XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive | ||||
Titolo: | Vendite dirette a domicilio e vendite piramidali - A.C. 2542-B | ||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 431 Progressivo: 1 | ||||
Data: | 04/07/05 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | X-Attività produttive, commercio e turismo | ||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Vendite dirette a domicilio A.C. 2542-B
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n. 431/1
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4 luglio 2005 |
Camera dei deputati
La documentazione predisposta per l’esame del progetto di legge A.C. 2542-3008-3325-3484-3492-4555-B recante "Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali" si articola nei seguenti fascicoli:
§ dossier n. 431/1 - Schede di lettura e normativa di riferimento;
§ dossier n. 431/2 - Lavori parlamentari alla Camera e al Senato.
Dipartimento Attività produttive
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: AP0108a
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
§ Impatto sui destinatari delle norme
§ 2. Contenuto della proposta di legge
Normativa nazionale
§ D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50 Attuazione della direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali
§ D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59 (artt. 5, 19-22)
§ D.L. 30 settembre 2003, n. 269 Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici (art. 44)
Normativa comunitaria
§ Dir. 84/450/CEE del 10 settembre 1984 Direttiva del Consiglio concernente la pubblicità ingannevole comparativa
§ Dir. 85/577/CEE del 20 dicembre 1985 Direttiva del Consiglio per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali
§ Dir. 97/7/CE del 20 maggio 1997 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza
§ Dir. 98/27/CE del 19 maggio 1998 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori
§ Dir. 2005/29/CE del 11 maggio 2005 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio ("direttiva sulle pratiche commerciali sleali")
Numero del progetto di legge |
2542-3008-3325-3484-3492-4555-B |
Titolo |
Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali |
Iniziativa |
Parlamentare (on. Bulgarelli ed altri) |
Settore d’intervento |
Commercio e tutela dei consumatori |
Iter al Senato |
Sì (A.S. 3263) |
Numero di articoli |
7 |
Date |
|
§ trasmissione alla Camera |
15 giugno 2005 |
§ annuncio |
16 giugno 2005 |
§ assegnazione |
17 giugno 2005 |
Commissione competente |
X Commissione (Attività produttive) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
I Commissione (Affari costituzionali); II Commissione (Giustizia) |
Il provvedimento in titolo, approvato, in seconda lettura, dalla 10a Commissione industria del Senato in sede deliberante, prevede una specifica normativa che, oltre a vietare le forme di vendita piramidali e le c.d. “catene di S. Antonio”[1], come già avvenuto in molti Paesi europei, provvede a regolamentare l’esercizio dell’attività di vendita diretta a domicilio, delineando un'analitica disciplina dei relativi profili contrattuali.
La proposta di legge, risultante dall'unificazione delle proposte AC nn. 2542, 3008, 3325, 3484, 3492 e 4555, consta di sette articoli.
L’articolo 1, oltre a recare, al comma 1, le definizioni di ”vendita diretta a domicilio” e “incaricato alla vendita diretta a domicilio”, circoscrive, al comma 2, l’ambito di applicazione del provvedimento, prevedendo la non applicabilità delle disposizioni ivi contenute - con l’eccezione del divieto di vendite piramidali e delle relative sanzioni ed ipotesi presuntive - alla offerta, alla sottoscrizione e alla propaganda a fini commerciali di prodotti e servizi finanziari e assicurativi, nonché dei contratti per la costruzione, la vendita e la locazione di beni immobili.
L’articolo 2 assoggetta le attività di vendita diretta a domicilio agli articoli 19, 20 e 22 (commi 1 e 2) del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 [2], di riordino del settore del commercio, nonché alle disposizioni vigenti in materia di commercializzazione dei beni e servizi offerti, mentre l’articolo 3 disciplina analiticamente l’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio; vengono, a tal proposito, previste le modalità di conferimento ed assunzione dell’incarico, il limite reddituale annuo che ne determina il carattere occasionale o professionale e la disciplina previdenziale applicabile; l’incaricato alla vendita diretta deve inoltre dotarsi di un apposito tesserino di riconoscimento.
L’articolo 4 reca una specifica disciplina dei rapporti intercorrenti tra l’incaricato alla vendita diretta a domicilio e l’impresa affidante.
L’articolo 5 sancisce il divieto delle attività e delle strutture di vendita piramidali, recando una definizione di queste ultime, nonché il divieto della promozione e dell’organizzazione di tutte quelle operazioni, tra le quali le c.d. “catene di S. Antonio”, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo.
L’articolo 6 fornisce una indicazione degli elementi che, in via presuntiva, fanno ritenere sussistente una operazione o una struttura di vendita vietata ai sensi dell'articolo 5.
Infine, l’articolo 7, modificato nel corso dell’esame al Senato, delinea il regime sanzionatorio penale applicabile in caso di violazione delle disposizioni concernenti i divieti in tema di forme di vendite piramidali, giochi e catene, prevedendo altresì l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria per le violazioni delle disposizioni di cui all’articolo 4, commi 2, 3, 5, 6 e 9.
Il provvedimento reca la disciplina di una particolare forma di vendita, la vendita diretta a domicilio, nonché il divieto di uno specifico tipo di vendita, la vendita piramidale; l’intervento con legge si rende necessario in quanto la disciplina del contratto di compravendita è contenuta in primo luogo nel codice civile (art. 1470 ss.) e in altre disposizioni di carattere legislativo.
Il provvedimento, essendo volto a disciplinare e, in taluni casi, sanzionare in via penale, particolari forme di vendita, le quali presentano profili di rilevanza in relazione alla tutela contrattuale dei consumatori, appare sostanzialmente riferibile alla materia “ordinamento civile e penale”, che l’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Si rileva, inoltre, come il divieto delle vendite piramidali, essendo assimilabile, anche alla luce degli orientamenti comunitari, al divieto di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese e consumatori, presenti altresì profili strettamente inerenti alla materia della “tutela della concorrenza”, che ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lett. e), Cost., è anch’essa attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
La disciplina contrattuale della vendita diretta e delle vendite piramidali è già prevista in numerosi ordinamenti giuridici, in particolare negli Stati Uniti e in diversi Stati membri dell’Unione Europea[3].
A livello comunitario, si ricorda come le vendite a domicilio abbiano in origine trovato una disciplina, anche se parziale, con la direttiva 85/577/CEE, relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali - già recepita nel nostro ordinamento ad opera del D.Lgs. n. 50 del 1992 - che tuttavia si è limitata a disciplinare un particolare aspetto del problema, quello relativo al diritto di recesso.
Con riferimento alle vendite a struttura piramidale, si segnala invece la recente approvazione della direttiva 2005/29/CE dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno[4].
La direttiva, adottata sulla base dell’articolo 153, paragrafi 1 e 3, lettera a), del Trattato UE – che include tra i compiti fondamentali della Comunità il conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori - è intesa ad introdurre un regime di norme armonizzate che vietino le pratiche commerciali sleali, uniformando le differenti legislazioni e indirizzi giurisprudenziali nazionali che attualmente disciplinano la materia nei singoli ordinamenti.
La direttiva è volta pertanto al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, compresa la pubblicità, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi.
Al fine di assicurare una maggiore certezza del diritto, la direttiva definisce dettagliatamente due categorie fondamentali di pratiche commerciali sleali, ossia quelle ingannevoli e quelle aggressive.
In particolare, in base all'articolo 5, una pratica commerciale è sleale se:
§ è contraria alle norme di diligenza professionale;
§ è falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
Segnatamente, sono considerate sleali le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7 o b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9."
Viene dunque considerata “ingannevole” una pratica commerciale contenente informazioni false e che, pertanto, non sia veritiera o che inganni o possa ingannare il consumatore medio sulla esistenza, sulla natura o su una delle caratteristiche del prodotto, mente sono definite “aggressive” le pratiche commerciali che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limitino o sia idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo inducano o sia idonee ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Sono inoltre vietate le pratiche commerciali “ingannevoli”, che ricorrono nel caso in cui si omettono informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, inducendo in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. (art. 7).
La direttiva, inoltre, prevede la possibilità di ricorso ad organismi di controllo delle pratiche commerciali sleali, ricorso che non è mai, comunque, considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all'articolo 11.
Ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2005/29/CE gli Stati membri sono tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della direttiva medesima e ad adottare tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni, in particolare, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva 2005/29/CE entro il 12 giugno 2007.
In relazione al divieto di forme di vendita piramidali, si segnala come la direttiva in oggetto indichi tra le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali e dunque vietate - elencatenell’Allegato 1 del provvedimento - l’avvio, la gestione o la promozione di un sistema promozionale a carattere piramidale nel quale il consumatore “fornisce un contributo a fronte dell’opportunità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti” (punto 14).
In tal senso, le disposizioni, anche di carattere sanzionatorio, recate dalla proposta di legge in esame in tema di forme di vendita piramidali, possono essere considerate come un’attuazione, benché parziale, della direttiva sopra richiamata.
Si ricorda, altresì, come un richiamo alla fattispecie delle vendite piramidali sia contenuto anche nel libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea del 2001, nel quale si illustrano le diverse soluzioni adottate dai diversi Stati membri della UE con riferimento, in particolare, al c.d. marketing multulivello[5].
Da ultimo, si segnala come il nuovo Trattato costituzionale – recentemente ratificato da parte del Parlamento italiano - che adotta una Costituzione per l’Europa, nel nuovo articolo III-235, riproducendo nella sostanza quanto previsto dal vigente art. 153 TCE, disponga, al par. 1, che l’Unione, al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare loro un elevato livello di protezione, contribuisce a tutelarne la salute, la sicurezza e gli interessi economici e a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia degli interessi ad essi facenti capo. Si fa presente, inoltre, come, ai sensi dell’art. I-14, par. 2, lett.f) della nuova Costituzione, la protezione dei consumatori rientri tra i principali settori nei quali l’Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri e come tutto il settore inerente la protezione dei consumatori sia coperto dalla procedura legislativa ordinaria; va, infine, posto in evidenza come i diritti dei consumatori trovino un esplicito riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali, laddove, all’art. II-98, si prevede che nelle politiche dell’Unione sia garantito ai consumatori un livello elevato di protezione.
In ordine ai riflessi sulle autonomie territoriali, è utile ricordare come diverse Regioni abbiano approvato una propria normativa in materia di vendita a domicilio, nella quale vengono dettate regole per la concessione dell'abilitazione all'attività di vendita a domicilio quale definita dal decreto legislativo n. 114 del 1998; tali interventi legislativi, adottati in attuazione del medesimo decreto legislativo per la regolazione del commercio su aree pubbliche, sono diretti, di norma, ad estendere l'abilitazione della vendita in forma itinerante alla vendita a domicilio[6].
A tale riguardo, si segnala, inoltre, come la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nel parere favorevole espresso in data 22 febbraio 2005, abbia esortato la Commissione di merito del Senato, mediante apposite osservazioni, a valutare - alla luce delle connessioni che il provvedimento in esame presenta con una materia di competenza legislativa residuale delle regioni, quale il commercio - l'opportunità sia di introdurre una disposizione che faccia salva la legislazione regionale in materia, sia di introdurre una disposizione di applicabilità della disciplina recata dal testo in esame alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, in quanto compatibile con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione.
Tra le fonti normative che disciplinano la negoziazione contrattuale condotta fuori dei locali commerciali, possono annoverarsi il Libro IV del Codice Civile, Titolo II, Capo XIV-bis(«Dei contratti del consumatore»), il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, di riforma del settore del commercio, e il decreto legislativo 15 gennaio 1992, n. 50, recante disposizioni in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali finalizzate a tutelare il consumatore contro pratiche commerciali abusive con particolare riferimento al diritto di recesso[7].
In tale contesto normativo il provvedimento in esame è diretto a disciplinare l’esercizio dell’attività di vendita diretta a domicilio, la figura dell’incaricato e i rapporti tra quest’ultimo e l’impresa affidante, in modo specifico ed ulteriore sia rispetto alla normativa generale in materia di compravendita, sia rispetto alle norme inerenti le forme speciali di vendita quali la vendita “a domicilio” e la vendita “per corrispondenza o su catalogo”, contenute nel citato decreto legislativo n. 114/98.
In relazione al coordinamento con la normativa vigente, è opportuno ricordare come risulti allo stato in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale un decreto legislativo recante il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori – Codice del consumo”. Il nuovo “Codice del consumo” reca una disciplina organica – benché non comprensiva delle norme contenute nel codice civile - in materia di "tutela dei consumatori", coordinata con la normativa comunitaria e diretta alla semplificazione normativa, al fine di ricostruire in un quadro nuovo le regole, non solo di carattere contrattuale, che afferiscono ai molteplici ambiti che vedono coinvolti gli interessi dei consumatori e degli utenti, secondo una logica sequenziale improntata alla protezione di questi ultimi nelle diverse fasi del processo di consumo.
Stante la finalità di tutela dei consumatori sottesa al provvedimento in esame, in particolare nei confronti di pratiche commerciali sleali quali le forme di vendita piramidale, si rileva come le disposizioni da questo introdotte avrebbero potuto trovare una più opportuna collocazione sistematica all’interno del suddetto Codice del consumo.
Si segnala come sia attualmente all’esame in sede referente presso la X Commissione attività produttive della Camera dei deputati la proposta di legge C 5133, recante modifiche alla legge 3 maggio 1985, n. 204 in materia di disciplina dell'attività di agente e rappresentante di commercio.
Il provvedimento è diretto, da una parte, a realizzare un maggior grado di formalizzazione e di tipizzazione dei rapporti contrattuali attraverso i quali si realizza la vendita diretta a domicilio. Ciò avviene con finalità di tutela degli operatori commerciali e dei consumatori in un settore, quale quello delle vendite dirette, che ha registrato uno sviluppo crescente nel tempo, sia in termini di fatturato che di numero di occupati.
Dall’altra parte, il provvedimento tutelerà i consumatori da quelle forme di vendita piramidale il cui profilo causale consiste nella mera moltiplicazione dei livelli di vendita, contribuendo pertanto ad evitare il ripetersi di episodi fraudolenti connessi a tale pratica commerciale sleale ormai vietata anche ai sensi della disciplina comunitaria.
Le vendite effettuate presso il domicilio del consumatore rientrano tra le forme speciali di vendita al dettaglio disciplinate dagli artt. 16-21 del D.Lgs. n. 114/98[8].
Ai sensi del predetto decreto, per forme speciali di vendita si intendono le forme distributive diverse dalle attività di vendita al pubblico al dettaglio in sede fissa (negozi) o su aree pubbliche (ambulantato).
In tale tipologia rientrano attività commerciali peraltro assai diverse tra loro: l'attività di vendita non rivolta al pubblico bensì riservata a determinati soggetti (spacci interni), la distribuzione tramite apparecchi automatici, e le vendite effettuate al di fuori dei locali commerciali: ossia le vendite a distanza (per corrispondenza o tramite televisione o altro sistema) e le vendite effettuate presso il domicilio del consumatore o comunque in una sede diversa dalle aree pubbliche.
Complessivamente, il decreto legislativo n.114/98 ha operato una omologazione delle forme speciali di vendita alla disciplina generale del commercio, introducendo, soprattutto per le vendite a distanza e per quelle a domicilio, norme più restrittive a tutela del consumatore e prevedendo disposizioni ad hoc per fattispecie ignorate dalla disciplina previgente (vendite televisive e commercio elettronico).
Segnatamente, le vendite a domicilio sono disciplinate dall’articolo 19 del decreto che, per l'accesso a tale tipo di vendita richiede la presentazione di una comunicazione al comune in cui l’esercente ha la residenza o la sede legale, indicante la sussistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 5 dello stesso decreto legislativo e il relativo settore merceologico. Decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione l'attività di vendita diretta a domicilio può essere avviata.
L’articolo 5 del D.Lgs 114/98, che individua i requisiti di accesso all'attività commerciale,al comma 2 elenca i requisiti ostativi all'esercizio dell'attività, corrispondenti ai requisiti morali previsti dalla previgente normativa per l'iscrizione al REC. In base a tale norma, non possono esercitare l’attività commerciale, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione:
a) coloro che sono stati dichiarati falliti;
b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c) coloro che hanno riportato una condanna a pena detentiva, accertata con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti di cui al titolo II (delitti contro la pubblica amministrazione) e VIII (delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio) del libro II del codice penale, ovvero di ricettazione, riciclaggio, emissione di assegni a vuoto, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina;
d) coloro che hanno riportato due o più condanne a pena detentiva o a pena pecuniaria, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, accertate con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti previsti dagli articoli 442 (commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate), 444 (commercio di sostanze alimentari nocive), 513 (turbata libertà dell'industria o del commercio), 513-bis (illecita concorrenza con minaccia o violenza), 515 (frode nell'esercizio del commercio), 516 (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) e 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) del codice penale, o per delitti di frode nella preparazione o nel commercio degli alimenti, previsti da leggi speciali;
e) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 ("Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 ("Disposizioni contro la mafia"), ovvero siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Per iniziare l'attività sono previsti ulteriori obblighi:
- comunicazione, all'autorità di pubblica sicurezza del territorio dove ha sede legale l'impresa, dell'elenco degli incaricati delle vendita di cui il venditore intende servirsi. Tali persone devono essere in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2, e il titolare dell'impresa di vendita risponde agli effetti civili dell'attività dei medesimi ;
- rilascio agli incaricati di un tesserino di riconoscimento, che deve essere ritirato immediatamente in caso di perdita dei requisiti richiesti per l'esercizio dell'attività commerciale.
Il tesserino deve essere numerato, datato anno per anno e deve contenere: le generalità e la fotografia dell'incaricato, l'indicazione a stampa della sede dell'impresa, dei prodotti dei quali viene effettuata la vendita, del nome e della firma del titolare dell'impresa; il tesserino deve essere esposto in modo visibile durante le operazioni di vendita.
Le disposizioni relative agli incaricati di vendita si applicano anche alle operazioni di vendita al domicilio del consumatore effettuate dal venditore ambulante. Inoltre, il tesserino di riconoscimento è obbligatorio anche per l'imprenditore che svolge personalmente le operazioni di vendita a domicilio, senza intermediari.
Ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 114/98, le disposizioni sugli incaricati di vendita e sul tesserino sono estese anche alle visite al domicilio del consumatore non a scopo di vendita, bensì per esibire o illustrare cataloghi o per l'effettuazione di qualsiasi forma di propaganda commerciale. In questo caso, la previsione è estesa, oltre che al domicilio del consumatore, anche al luogo dove esso si trovi temporaneamente.
L’articolo 22 definisce il regime sanzionatorio previsto in caso di violazione di articoli del D.Lgs 114/98, tra cui l’articolo 19. Il comma 1 prevede una sanzione amministrativa oscillante tra i 5 e i 30 milioni di vecchie lire, mentre il comma 2 prevede la sospensione dell’attività di vendita, da parte del sindaco, in caso di recidiva. La sospensione è prevista al massimo per venti giorni.
I commi successivi disciplinano la revoca dell’autorizzazione all’apertura delle strutture commerciali.
Si ricorda, infine, che ai sensi del comma 9 dell’articolo 19, alle vendite a domicilio si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 50 del 1992 in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali.
A tale ultimo riguardo, si segnala che le disposizioni del decreto legislativo n.50/92, di seguito illustrate, sono confluite nel nuovo Codice del consumo e saranno abrogate a far data dall’entrata in vigore del suddetto codice, che al momento non risulta ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale[9].
Con il citato D.Lgs. n. 50/92 si è data attuazione, in esercizio della delega contenuta nella legge comunitaria per il 1990, alla direttiva 85/577/CEE relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali. Questo provvedimento reca la disciplina relativa ai contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi stipulati tra il consumatore e l'operatore commerciale al di fuori di locali commerciali, cioè in situazioni nelle quali il legislatore ritiene opportuno rafforzare la tutela della parte contraente più debole in relazione alla elevata possibilità che il consenso di questa possa essere prestato al di fuori di un corretto convincimento sulle condizioni del contratto.
Il decreto legislativo riguarda non solo i contratti stipulati durante la visita dell'operatore commerciale al domicilio del consumatore o durante un'escursione organizzata dall'operatore, ma anche i contratti conclusi per corrispondenza "o, comunque, in base ad un catalogo che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza dell'operatore commerciale" (art. 1). Come specificato dall'art. 9 del D.Lgs. 50/92, rientrano in questo tipo di vendite anche quelle realizzate "sulla base di offerte effettuate al pubblico tramite il mezzo televisivo, e finalizzate ad una diretta stipulazione del contratto stesso" e i "contratti conclusi mediante l'uso di strumenti informatici e telematici"; si tratta, in quest'ultimo caso, degli acquisti effettuati con la carta di credito, attraverso internet o altre reti telematiche.
Di particolare interesse risulta l'art. 4 del D.Lgs. 50/92, che introduce il diritto di recesso del consumatore per i contratti stipulati secondo le modalità sopra esposte. Il venditore deve informare per iscritto il consumatore del diritto di recesso al momento della formulazione della proposta di vendita o al momento della stipula del contratto. Il consumatore può esercitare il diritto di recesso entro sette giorni dal momento dell'informazione; in caso di omessa o incompleta informazione il termine è di sessanta giorni. Il D.Lgs. regola in dettaglio le modalità e gli effetti dell'esercizio del diritto di recesso e le modalità del rimborso da parte del venditore a favore dell'acquirente.
Si ricorda che, contestualmente all’introduzione delle disposizioni di cui all’articolo 19, il decreto legislativo n. 114/98 ha abrogato l’articolo 36 della legge n. 426/1971 che recava disposizioni in materia di incaricati di vendite a domicilio.
Per quanto riguarda la disciplina del trattamento previdenziale relativo all’attività svolta dall’incaricato alle vendite, si rinvia alla scheda di commento all’articolo 3, comma 5, della proposta in esame.
La disciplina contrattuale della vendita diretta e delle vendite piramidali è già prevista in numerosi ordinamenti giuridici, in particolare negli Stati Uniti e in diversi Stati membri dell’Unione Europea[10].
A livello comunitario, si ricorda come le vendite a domicilio abbiano in origine trovato una disciplina, anche se parziale, con la direttiva 85/577/CEE, relativa ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali - già recepita nel nostro ordinamento ad opera del cittao D.Lgs. n. 50 del 1992 - che tuttavia si è limitata a disciplinare un particolare aspetto del problema, quello relativo al diritto di recesso.
Con riferimento alle vendite a struttura piramidale, si segnala invece la recente approvazione della direttiva 2005/29/CE dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno[11].
La direttiva, adottata sulla base dell’articolo 153, paragrafi 1 e 3, lettera a), del Trattato UE – che include tra i compiti fondamentali della Comunità il conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori - è intesa ad introdurre un regime di norme armonizzate che vietino le pratiche commerciali sleali, uniformando le differenti legislazioni e indirizzi giurisprudenziali nazionali che attualmente disciplinano la materia nei singoli ordinamenti.
La direttiva è volta pertanto al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, compresa la pubblicità, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi.
Al fine di assicurare una maggiore certezza del diritto, la direttiva definisce dettagliatamente due categorie fondamentali di pratiche commerciali sleali, ossia quelle ingannevoli e quelle aggressive.
In particolare, in base all'articolo 5, una pratica commerciale è sleale se:
§ è contraria alle norme di diligenza professionale;
§ è falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
Segnatamente, sono considerate sleali le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7 o b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9."
Viene dunque considerata “ingannevole” una pratica commerciale contenente informazioni false e che, pertanto, non sia veritiera o che inganni o possa ingannare il consumatore medio sulla esistenza, sulla natura o su una delle caratteristiche del prodotto, mente sono definite “aggressive” le pratiche commerciali che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limitino o sia idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo inducano o sia idonee ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Sono inoltre vietate le pratiche commerciali “ingannevoli”, che ricorrono nel caso in cui si omettono informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, inducendo in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. (art. 7).
La direttiva, inoltre, prevede la possibilità di ricorso ad organismi di controllo delle pratiche commerciali sleali, ricorso che non è mai, comunque, considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all'articolo 11.
Ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2005/29/CE gli Stati membri sono tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della direttiva medesima e ad adottare tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni, in particolare, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Gli Stati membri dovranno conformarsi alla direttiva 2005/29/CE entro il 12 giugno 2007.
Con riferimento al divieto di forme di vendita piramidali, si segnala come la direttiva in oggetto indichi tra le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali e dunque vietate - elencatenell’Allegato 1 del provvedimento - l’avvio, la gestione o la promozione di un sistema promozionale a carattere piramidale nel quale il consumatore “fornisce un contributo a fronte dell’opportunità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall’entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti” (punto 14).
In tal senso, le disposizioni, anche di carattere sanzionatorio, recate dalla proposta di legge in esame in tema di forme di vendita piramidali, possono essere considerate come un’attuazione, benché parziale, della direttiva sopra richiamata.
Da ultimo, si ricorda come un richiamo alla fattispecie delle vendite piramidali sia contenuto anche nel libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea del 2001, nel quale si illustrano le diverse soluzioni adottate dai diversi Stati membri della UE con riferimento, in particolare, al c.d. marketing multilivello. Si ricorda che sulla base di tale libro verde è scaturita la suddetta direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
In relazione al marketing multilivello si ricorda come secondo il citato libro verde tale pratica consiste nella creazione, da parte di un fornitore, di una rete di distribuzione per i propri prodotti attraverso il reclutamento di clienti per vendere a consumatori di loro conoscenza. Con riferimento alla disciplina nazionale di detta pratica si osserva che alcuni paesi applicano disposizioni generali sulle frodi, altri ricorrono alle normative sulla tutela dei consumatori (Italia e Paesi Bassi), altri ancora a leggi sulla concorrenza sleale (Austria, Belgio, Francia, Germania e Spagna). La grande diversità delle norme nazionali, che vanno dal divieto puro e semplice della vendita a domicilio (Lussemburgo), a regolamentazioni dettagliate sulle modalità autorizzate di vendita diretta multilivello (Spagna e Regno Unito), fa sì che le imprese del settore siano costrette a modificare i loro piani di commercializzazione e i loro articoli a seconda del paese per rispettare le norme di ciascuno Stato membro. Le imprese che praticano la vendita diretta multilivello si trovano, pertanto, nell'impossibilità di mettere a punto una strategia di vendita e di commercializzazione veramente paneuropea a causa delle numerose divergenze tra le leggi nazionali all'interno dell'UE.
Il provvedimento in titolo, approvato, in seconda lettura, dalla 10° Commissione industria del Senato in sede deliberante, prevede una specifica normativa che, oltre a vietare pratiche commerciali sleali quali le forme di vendita piramidali e le c.d. “catene di S. Antonio”, come già avvenuto in molti Paesi europei, provvede a regolamentare l’esercizio dell’attività di vendita diretta a domicilio, delineando un'analitica disciplina dei relativi profili contrattuali.
L’esigenza di tutela dei consumatori sottesa all’intervento legislativo è legata al fatto che le forme di vendita piramidali - dove i venditori non perseguono lo scopo di ottenere delle provvigioni a fronte dei beni o servizi venduti ma quello di acquisire lo status di venditore dietro pagamento di un corrispettivo - comportano una dilatazione potenzialmente illimitata dei livelli di vendita, determinando un progressivo aumento del rischio del "crollo" dell’intera piramide per gli incaricati che, in tempi successivi, entrano nella rete di vendita allettati dalla prospettiva degli elevati guadagni realizzati da chi ha investito prima di loro.
Alla luce di tale fenomeno, che ha dato luogo a diversi episodi fraudolenti, emerge inoltre la necessità di operare una netta distinzione, regolamentando i relativi profili contrattuali, tra le moderne forme di "vendita diretta", incluse quelle a struttura multilevel,che hanno lo scopo lecito e auspicabile di avvicinare il produttore al consumatore finale, e le suddette forme di "vendita piramidale", "catene di Sant’Antonio" e operazioni similari.
Il provvedimento è dunque diretto, da una parte, a realizzare un maggior grado di formalizzazione e di tipizzazione dei rapporti contrattuali attraverso i quali si realizza la vendita diretta a domicilio, ciò con finalità di tutela degli operatori commerciali e dei consumatori in un settore, quale quello delle vendite dirette, che ha registrato uno sviluppo crescente nel tempo, sia in termini di fatturato che di numero di occupati. Dall’altra parte, il provvedimento è al contempo diretto a tutelare i consumatori da quelle forme di vendita piramidale il cui profilo causale consiste nella mera moltiplicazione dei livelli di vendita, contribuendo pertanto ad evitare il ripetersi di episodi fraudolenti connessi a tale pratica commerciale sleale, ormai vietata anche ai sensi della disciplina comunitaria introdotta dalladirettiva 2005/29/CE dell'11 maggio 2005 (cfr., sopra, il paragrafo relativo alla disciplina comunitari della presente scheda di lettura).
La proposta di legge - risultante dall'unificazione delle proposte AC nn. 2542, 3008, 3325, 3484, 3492 e 4555 - consta di sette articoli, che riproducono sostanzialmente il testo approvato in prima lettura dalla X Commissione della Camera in sede legislativa, salvo talune modifiche introdotte nel corso dell’esame in seconda lettura presso il Senato, concernenti in particolare il regime sanzionatorio di cui all’articolo 7 (cfr., oltre, la relativa scheda di lettura).
Articolo 1 - Definizioni e ambito di applicazione della legge
Il comma 1 definisce :
· la vendita diretta a domicilio: espressione con la quale si intende la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi disciplinata dall’art. 19 del D.Lgs. n.114/98, che si effettua tramite raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale, o nei locali nei quali questi si trovi anche temporaneamente, per motivi personali, di studio, di intrattenimento o di svago;
· l’incaricato alla vendita diretta a domicilio: colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove – direttamente o indirettamente - la raccolta di ordinativi di acquisto presso i privati per conto delle imprese che esercitano l’attività di vendita diretta a domicilio;
· impresa: l’impresa esercente la vendita diretta a domicilio di cui alla definizione testé richiamata.
Ai sensi del comma 2, dal campo di applicazione della disciplina sono escluse - fatta eccezione per il divieto di vendite piramidali e le relative sanzioni ed ipotesi presuntive di cui ai successivi artt. 5, 6 e 7 della proposta - le offerte, le sottoscrizioni e la propaganda a fini commerciali di:
§ prodotti e servizi finanziari e assicurativi;
§ contratti per la costruzione, la vendita e la locazione di beni immobili.
Articolo 2 - Esercizio dell’attività di vendita diretta a domicilio
L’articolo 2 assoggetta l’attività di vendita diretta a domicilio al rispetto delle disposizioni del D.Lgs. n.114/98, nonché alle norme in vigore in materia di commercializzazione dei beni o dei servizi offerti.
In ordine alle norme vigenti in materia di commercializzazione dei beni o dei servizi offerti, si rileva come tale richiamo appaia riferibile, prevalentemente, alle disposizioni recentemente confluite nel decreto legislativo - allo stato in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale - recante il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori – Codice del consumo”. Tale “Codice del consumo”, reca, infatti, una disciplina organica – benché non comprensiva delle norme contenute nel codice civile - in materia di "tutela dei consumatori", finalizzata a ricostruire in un quadro nuovo le regole, non solo di carattere contrattuale, che afferiscono ai molteplici ambiti che vedono coinvolti gli interessi dei consumatori e degli utenti, secondo una logica sequenziale improntata alla protezione di questi ultimi nelle diverse fasi del processo di consumo[12].
In particolare, la disposizione di cui al comma 1 rinvia agli articoli 19, 20 e 22, commi 1 e 2 (cfr. paragrafo 1) del citato D.Lgs. n.114/98.
Si ricorda, come accennato, che il citato articolo 19 del D.Lgs. n. 114, reca la disciplina delle vendite a domicilio, disponendo in particolare che per l'accesso a tale tipo di vendita debba essere presentata una comunicazione al comune in cui l’esercente ha la residenza o la sede legale, indicante la sussistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 5 dello stesso decreto legislativo e il relativo settore merceologico. Decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione l'attività di vendita diretta a domicilio può essere avviata. Per iniziare l'attività sono previsti, quali ulteriori obblighi: una comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza del territorio dove ha sede legale l'impresa, dell'elenco degli incaricati delle vendita di cui il venditore intende servirsi; il rilascio agli incaricati di un tesserino di riconoscimento, che deve essere ritirato immediatamente in caso di perdita dei requisiti richiesti per l'esercizio dell'attività commerciale. Le disposizioni relative agli incaricati di vendita si applicano anche alle operazioni di vendita al domicilio del consumatore effettuate dal venditore ambulante. Inoltre, il tesserino di riconoscimento è obbligatorio anche per l'imprenditore che svolge personalmente le operazioni di vendita a domicilio, senza intermediari.
Ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n.114, le disposizioni sugli incaricati di vendita e sul tesserino sono estese anche alle visite al domicilio del consumatore non a scopo di vendita, bensì per esibire o illustrare cataloghi o per l'effettuazione di qualsiasi forma di propaganda commerciale. In questo caso, la previsione è estesa, oltre che al domicilio del consumatore, anche al luogo dove esso si trovi temporaneamente.
L’articolo 22 definisce invece il regime sanzionatorio previsto in caso di violazione di articoli del D.Lgs 114/98, tra cui l’articolo 19. Il comma 1 prevede, segnatamente, una sanzione amministrativa oscillante tra i 5 e i 30 milioni di vecchie lire, mentre il comma 2 prevede la sospensione dell’attività di vendita, da parte del sindaco, in caso di recidiva; la sospensione è prevista al massimo per venti giorni.
Articolo 3 - Attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio
L’attività dell’incaricato alla vendita diretta a domicilio è disciplinata dall’articolo 3, che assoggetta l’incaricato, con o senza vincolo di subordinazione, all’obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento previsto dai commi 5 e 6 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 114/98 (comma 1), stabilendo, inoltre, che tale attività possa essere svolta da chi risulti in possesso dei requisiti stabiliti dall’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo medesimo.
Si segnala che il richiamo del solo comma 2 del citato articolo 5 è stato introdotto a seguito di una modifica apportata nel corso dell’esame in seconda lettura presso il Senato; è da ritenere che tale modifica non abbia un rilievo di carattere meramente formale qualora la si intenda diretta ad escludere l’applicazione del comma 5 del medesimo articolo 5, il quale reca l’indicazione di una serie di requisiti professionali che deve possedere chi esercita, in qualsiasi forma, un'attività di commercio relativa al settore merceologico “alimentare”,anche se effettuata nei confronti di una cerchia determinata di persone.
Si ricorda che ai sensi del citato comma 5 dell’articolo 5, l'esercizio di un'attività di commercio relativa al settore merceologico alimentare è consentito solo a chi è in possesso di uno dei seguenti requisiti professionali:
a) avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare, istituito o riconosciuto dalla regione o dalle province autonome di Trento e di Bolzano;
b) avere esercitato in proprio, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, l’attività di vendita all’ingrosso o al dettaglio di prodotti alimentari; o avere prestato la propria opera, per almeno due anni nell’ultimo quinquennio, presso imprese esercenti l’attività nel settore alimentare, in qualità di dipendente qualificato addetto alla vendita o all’amministrazione o, se trattasi di coniuge o parente o affine, entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all’Inps;
c) essere stato iscritto nell’ultimo quinquennio al REC, per uno dei gruppi merceologici individuati alle lettere a), b), c) dell’articolo 12, comma 2, del decreto ministeriale, 4 agosto 1988, n. 375.
Ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 5 spetta alle regioni stabilire le modalità di organizzazione, la durata e le materie, con particolare riferimento alle normative relative all'ambiente, alla sicurezza e alla tutela e informazione dei consumatori, oggetto di corsi di aggiornamento finalizzati ad elevare il livello professionale o riqualificare gli operatori in attività. Le regioni, inoltre, possono altresì prevedere forme di incentivazione per la partecipazione ai corsi dei titolari delle piccole e medie imprese del settore commerciale.
Quanto al citato tesserino di riconoscimento si ricorda chedeve essere numerato e aggiornato annualmente, deve contenere le generalità e la fotografia dell'incaricato, l'indicazione a stampa della sede e dei prodotti oggetto dell'attività dell'impresa, nonché del nome del responsabile dell'impresa stessa, e la firma di quest'ultimo e deve essere esposto in modo visibile durante le operazioni di vendita. L'impresa che rilascia un tesserino di riconoscimento alle persone incaricate ha l’obbligo di ritiralo non appena esse perdano i requisiti richiesti dal citato articolo 5, comma 2.
Quest’ultimo, come accennato, elenca i requisiti ostativi all'esercizio dell'attività, corrispondenti ai requisiti morali previsti dalla previgente normativa per l'iscrizione al REC. In particolare, si ricorda che non possono esercitare l'attività commerciale, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione:
a) coloro che sono stati dichiarati falliti;
b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c) coloro che hanno riportato una condanna a pena detentiva, accertata con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti di cui al titolo II (delitti contro la pubblica amministrazione) e VIII (delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio) del libro II del codice penale, ovvero di ricettazione, riciclaggio, emissione di assegni a vuoto, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina;
d) coloro che hanno riportato due o più condanne a pena detentiva o a pena pecuniaria, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, accertate con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti previsti dagli articoli 442 (commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate), 444 (commercio di sostanze alimentari nocive), 513 (turbata libertà dell'industria o del commercio), 513-bis (illecita concorrenza con minaccia o violenza), 515 (frode nell'esercizio del commercio), 516 (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) e 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) del codice penale, o per delitti di frode nella preparazione o nel commercio degli alimenti, previsti da leggi speciali;
e) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 ("Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 ("Disposizioni contro la mafia"), ovvero siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Il comma 2 stabilisce che l’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio può essere svolta, senza vincolo di subordinazione, come oggetto di obbligazione assunta con contratto di agenzia.
Si ricorda che gli articoli 1742-1753 del codice civile disciplinano il contratto di agenzia. Segnatamente, l’art.1742contienela nozione del contratto, in base alla quale una parte (agente) assume stabilmente l'incarico di promuovere per conto dell'altra, in cambio di una retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. Il contratto di agenzia deve essere approvato per iscritto e ciascuna delle parti ha diritto (irrinunciabile) ad ottenere dall'altra un documento sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive.
In particolare, viene individuato l'agente commerciale indipendente in colui che in qualità di intermediario è incaricato di negoziare permanentemente la vendita e l'acquisto di merci, "ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente". Si tratta, quindi, di un agente con rappresentanza, figura, del resto, già prevista dall'attuale art. 1752 c.c. come ipotesi di estensione dei poteri dell'agente commerciale su apposita delega del preponente. Il contratto concluso dall’agente commerciale indipendente sarebbe quindi un contratto concluso in nome e nell’interesse del rappresentato che, in quanto nei limiti delle facoltà conferite, produce direttamente effetti nella sfera giuridica di quest’ultimo (art. 1388 cc).
Si ricorda, altresì, che la legge 3 maggio 1985, n. 204, abrogando la precedente normativa prevista dalla legge n. 316/1968, ha stabilito una nuova disciplina dell'attività degli agenti e rappresentanti di commercio.
La legge distingue l'attività dell'agente di commercio da quella del rappresentante: la prima si intende esercitata da chiunque venga stabilmente incaricato da una o più imprese di promuovere la conclusione di contratti in una o più zone determinate; l'attività del rappresentante di commercio è, invece, esercitata da colui che venga stabilmente incaricato da una o più imprese di concludere contratti in un una o più zone determinate. L’articolo 2 ha istituito presso ciascuna camera di commercio un ruolo per gli agenti e rappresentanti di commercio, soggetto a revisione quinquennale, prevedendo l’obbligo di iscrizione per tutti coloro che intendono svolgere l’attività e risultino in possesso dei requisiti previsti dalla legge stessa, mentre l’articolo 9, ha introdotto il divieto di esercizio dell’attività per chi non risulta iscritto al ruolo e una sanzione amministrativa a carico sia dell’agente che del mandante per il mancato rispetto delle disposizioni della legge. Puntuali disposizioni della legge stabiliscono, inoltre, i requisiti necessari per ottenere l'iscrizione al ruolo, la composizione della commissione che provvede alle iscrizioni ed alla tenuta del ruolo stesso, le modalità di decisione e di presentazione di eventuali ricorsi alla commissione centrale presso il Ministero delle attività produttive.
In particolare, tra i requisiti stabiliti dall’articolo 5 della legge per accedere all’attività (cittadinanza italiana, godimento dei diritti civili, l’assenza di interdizione, fallimento, condanne, frequenza alla scuola dell’obbligo ecc) rientra la frequenza, con esito positivo, a specifici corsi professionali riconosciuti o istituiti dalle regioni, oppure la prestazione d’opera per almeno due anni presso una impresa, oppure, infine, il conseguimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado di indirizzo commerciale o la laurea in materie commerciali o giuridiche.
Da ultimo, si ricorda che con il D.Lgs 10 settembre 1991, n. 303, che provveduto a recepire la direttiva 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, ha integrato la normativa già contenuta nel codice civile agli artt. 1742 ss. e quella contenuta negli AEC (Accordi Economici Collettivi). Le innovazioni introdotte dal decreto legislativo 303/91 sono consistite principalmente:
- nella previsione del diritto di ognuna delle parti di ottenere dall'altra una copia del contratto sottoscritto (art. 1742, comma 2);
- nel diritto dell'agente alla provvigione sugli affari conclusi anche dopo lo scioglimento del contratto, quando la conclusione degli stessi è effetto soprattutto dell'attività da lui svolta (art. 1748, comma 3);
- nella previsione di specifici obblighi del proponente nei riguardi dell'agente (art. 1748, commi 5, 6 e 7);
- nella trasformazione in contratto a tempo indeterminato del contratto di agenzia la cui esecuzione è proseguita dalle parti oltre la scadenza del termine fissato e nella disciplina del preavviso in caso di recesso di una delle parti dal contratto (art. 1750); nella modifica della disciplina dell'indennità in caso di cessazione del rapporto (art. 1751);
- nella disposizione, di nuova introduzione, relativa al cd. patto di non concorrenza, volto alla limitazione della concorrenza all'impresa preponente da parte dell'agente, nella stessa zona, dopo la conclusione del contratto di agenzia (art. 1751-bis).
Le novelle al regime codicistico apportate dal D.Lgs si sono limitate ad attuare le misure di armonizzazione stabilite dalla direttiva, lasciando inattuata la previsione dell’articolo 1 della direttiva medesima in relazione all’attribuzione all’agente commerciale anche di poteri rappresentativi in ordine alla conclusione dei contratti promossi. Ne è derivato un contenzioso con la Commissione europea e l’apertura di un procedimento di infrazione a carico dell’Italia. Successivamente, con il D.Lgs n. 65/99 - recante “Adeguamento della disciplina relativa agli agenti commerciali indipendenti, in ulteriore attuazione della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986" -che ha dato integrale recepimento alla suddetta direttiva, sono stati apportati i necessari aggiustamenti alla precedente disciplina introdotta dal D.Lgs 303/91, abrogando le disposizioni oggetto di censura comunitaria e modificando gli articoli 1742, 1746, 1748, 1749 e 1751 del codice civile, anche al fine di precisare gli obblighi e i diritti dell'agente e del preponente. A questi provvedimenti si è aggiunto, da ultimo, l'art. 23 della legge comunitaria n. 422/2000 che, in attuazione del comma 4 dell'art. 20 della direttiva n. 86/653/CEE, ha introdotto la c.d. indennità di non concorrenza, integrando l'art. 1751 bis del cc.
Ai sensi del successivo comma 3, in assenza di vincolo di subordinazione, viene consentito lo svolgimento dell’attività, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, anche da parte di soggettiche svolgano l’attività in maniera abituale, anche se non esclusiva o in maniera occasionale, purché siano incaricati da una o più imprese.
Il successivo comma 4 stabilisce i limiti quantitativi entro cui l’attività descritta nel comma precedente riveste carattere occasionale, vale a dire fino al conseguimento di un reddito annuo derivante dall’attività non superiore a 5.000 euro.
Il comma 5 chiarisce che all'attività di incaricato alla vendita a domicilio si applica la disciplina previdenziale di cui all'articolo 44, comma 2, ultimo periodo del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 ("Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici") convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003.
La citata disposizione ha introdotto l'obbligo dell'iscrizione alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995, a decorrere dal 1° gennaio 2004, per i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e degli incaricati delle vendite a domicilio, di cui all’articolo 19 del D.Lgs. 114 del 1998, a condizione che il reddito annuo derivante dalle citate attività sia superiore a 5000 euro.
Il citato articolo 2, comma 26, della L. 335 del 1995 aveva già stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli incaricati alla vendita a domicilio siano tenuti all'iscrizione presso una apposita gestione separata presso l'INPS.
Ai fini previdenziali gli incaricati della vendita a domicilio rientrano nella categoria dei collaboratori coordinati e continuativi (c.d. “co.co.co.”), per i quali il citato articolo 2, commi 26-32, della L. 335 del 1995, ha disposto la costituzione di un’apposita gestione previdenziale separata presso l’INPS ai fini della copertura assicurativa per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, alla quale risultano iscritti:
- i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo;
- i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
- gli incaricati alla vendita a domicilio.
Per l’anno 2005 le aliquote contributive della gestione sono così fissate:
- per i soggetti non iscritti ad altre forme obbligatorie di previdenza e non pensionati: 17,50%, ovvero 18,50% (17,50% più 1% [13]) sui compensi eccedenti la prima fascia di retribuzione pensionabile[14]. L’aliquota viene incrementata annualmente dello 0,20% fino al raggiungimento del 19% nell’anno 2014. Al contributo previdenziale si aggiunge un contributo assistenziale dello 0,50% a fronte della tutela per la maternità, CUAF e malattia;
- per i soggetti che percepiscono redditi da pensione previdenziale diretta: 15% (in base all’articolo 44, comma 6, della L. 289 del 2002, finanziaria per il 2003);
- per gli altri soggetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie e titolari di pensione non diretta: 10%.
Si ricorda poi che l'articolo 69, comma 9, della L. n.388 del 2000, ha istituito presso l'INPS un apposito Fondo per favorire la continuità della copertura contributiva (riscatto e prosecuzione volontaria) dei lavoratori discontinui, vale a dire stagionali, temporanei, a tempo parziale e titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
Il Fondo è alimentato con i contributi di solidarietà versati dai pensionati con trattamenti al di sopra del massimale contributivo.
Si ricorda, infine, che gli articoli 61-69 del D.Lgs. 276 del 2003, recante la riforma del mercato del lavoro in attuazione della delega di cui alla L. 30 del 2003, intervenendo sulla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, ha introdotto la figura del lavoratore a progetto, con l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso.
Articolo 4 - Disciplina del rapporto fra impresa affidante e incaricato alla vendita diretta a domicilio. Compenso dell’incaricato
L’articolo 4, al comma 1, prevede:
§ per l’incaricato alla vendita diretta a domicilio con vincolo di subordinazione, l’applicazione del contratto nazionale collettivo di lavoro applicato dall’impresa che esercita la vendita diretta;
§ per l’incaricato senza vincolo di subordinazione di cui all’articolo 3, comma 2 (ossia l’incaricato che esercita l’attività come oggetto di una obbligazione assunta con contratto di agenzia), l’applicazione dei vigenti accordi economici collettivi di settore (comma 1).
Per quanto concerne l’incaricato senza vincolo di subordinazione di cui all’articolo 3, comma 3 - ossia l’incaricato che esercita l’attività in maniera abituale, ancorché non esclusiva, ovvero in maniera occasionale, al di fuori di un contratto di agenzia ma comunque su incarico di una o più imprese – il successivo comma 2 dispone che l’incarico deve essere provato con atto scritto e che esso può essere liberamente rinunciato, anche per fatti concludenti con presa d’atto dell’impresa affidante, ovvero revocato per iscritto, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo. Il comma precisa, inoltre, che nell’atto di conferimento dell’incarico devono essere indicati i diritti e gli obblighi fissati dai successivi commi 3 e 6.
Il comma 3 riconosce al predetto incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione il diritto di recedere dall'incarico senza obbligo di motivazione e di ottenere dall'impresa affidante il rimborso delle somme inerenti i beni e i materiali da dimostrazione eventualmente acquistati, dietro restituzione degli stessi nella loro integrità.
Il diritto di recedere dall'incarico, senza obbligo di motivazione, è esercitato inviando all'impresa affidante una comunicazione, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, entro dieci giorni lavorativi dalla stipula dell'atto scritto di cui al comma 2, mentre l’impresa è tenuta a rimborsare all'incaricato le somme da questi eventualmente pagate per i beni e i materiali da dimostrazione entro trenta giorni dalla restituzione degli stessi.
Ai sensi del comma 4, nei confronti dell’incaricato è escluso ogni obbligo di acquisto di un qualsiasi ammontare di materiali o di beni commercializzati o distribuiti dall'impresa affidante - ad eccezione dei beni e dei materiali da dimostrazione strumentali alla sua attività che per tipologia e quantità risultano assimilabili ad un campionario – né di servizi forniti, direttamente o indirettamente, dall'impresa affidante, non strettamente inerenti e necessari all'attività commerciale in questione e comunque non proporzionati al volume dell'attività svolta.
Il comma 5 prevede l'obbligo di restituzione del tesserino di riconoscimento in caso di rinuncia all'incarico o revoca dello stesso.
All’incaricato è comunque riconosciuto, in tutti i casi di interruzione del rapporto con l'impresa affidante diversi dal recesso (fattispecie per la quale spetta il diritto al rimborso integrale) il diritto alla restituzione e alla rifusione del prezzo di beni e materiali integri eventualmente posseduti, in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario (comma 6).
L’incaricato deve attenersi alle modalità e condizioni generali di vendita stabilite dall'impresa affidante, ed in caso di inosservanza delle stesse è responsabile degli eventuali danni che ne siano derivati (comma 7).
Inoltre, salvo autorizzazione scritta, l’incaricato non ha la facoltà di riscuotere il corrispettivo degli ordinativi di acquisto eseguiti, né di concedere sconti o dilazioni di pagamento (comma 8).
In merito al compenso dell’incaricato senza vincolo di subordinazione, il comma 9 stabilisce che questo debba essere costituito dalle provvigioni sugli affari che, accettati, abbiano avuto regolare esecuzione.
La misura e le modalità di corresponsione delle provvigioni devono essere definite per iscritto.
Articolo 5 - Divieto delle forme di vendita piramidali e di giochi o catene
L'articolo 5 introduce, al comma 1, il divieto di promozione e realizzazione di attività di vendita di tipo piramidale.
La relativa fattispecie è identificata quando le attività e le strutture di vendita sono orientate in via principale all'attribuzione da parte dell'impresa affidante di un incentivo correlato al mero reclutamento di nuovi distributori o incaricati alla vendita piuttosto che sulla capacità del venditore di promuovere la vendita di beni o servizi determinati.
Si aggiunge poi (comma 2) il divieto di organizzare o promuovere giochi, piani di sviluppo, "catene di Sant’Antonio" e simili, che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone ed in cui il diritto a reclutare si trasferisce all’infinito previo il pagamento di un corrispettivo.
Si ricorda che la caratteristica delle vendite piramidali è quella di porsi come obiettivo la moltiplicazione dei livelli di vendita: i venditori non perseguono lo scopo di ottenere delle provvigioni a fronte dei beni o servizi venduti, bensì quello di acquisire lo status di venditore dietro pagamento di un corrispettivo, e di avviare immediatamente un’attività di ricerca di nuovi venditori ai quali far pagare il diritto di accesso.
Caratteristica peculiare delle vendite piramidali è il profilo causale interno, consistente, come accennato, nella mera moltiplicazione dei livelli di vendita. Com’è noto, la causa del contratto di vendita andrebbe sempre ricercata nello scambio di una cosa contro un prezzo; nella vendita piramidale tale profilo causale è solo apparente, in quanto il prodotto venduto diviene unicamente il pretesto per reclutare altri venditori, che dovranno pagare all’agente una sorta di “diritto di accesso” alla struttura piramidale.Il rischio connesso a tale fenomeno di concatenazione contrattuale consiste proprio nel “crollo” della piramide, tanto più grave per gli agenti reclutati per ultimi, che non potranno recuperare quanto versato a titolo di diritto di accesso realizzando ulteriori forme di affiliazione. I motivi che rendono necessario un intervento legislativo sono dunque legati al fatto che la dilatazione potenzialmente illimitata dei livelli di vendita determina un progressivo aumento del rischio del "crollo" dell’intera piramide per gli incaricati che, in tempi successivi, entrano nella rete di vendita. Tale rischio non viene reso noto ai nuovi candidati, allettati - al contrario - dalla prospettiva degli elevati guadagni realizzati da chi ha investito prima di loro.
Si rileva, infine, come le vendite piramidali si avvicinino, in particolare, al c.d. multilevel marketing, che costituisce una delle più moderne varianti del fenomeno della vendita diretta, il cui successo, dimostrato dal costante incremento del volume d'affari, ha dato luogo purtroppo ad imitazioni, deformazioni ed a grossolane mistificazioni.
E’ comunque opportuno operare una netta distinzione tra le forme di "vendita diretta", includendo tra queste anche quelle a struttura multilevel, e le cosiddette forme di "vendita piramidale", "catene di Sant’Antonio" e operazioni similari.
La differenza tra i due tipi di vendita è data dal fatto che mentre la vendita diretta ha lo scopo di avvicinare il produttore al consumatore finale, nelle vendite piramidali l’obiettivo del venditore è l’accesso alla "catena", la posizione di venditore in sé e per sé.
Gli elementi distintivi tra la vendita diretta e la vendita piramidale sarebbero quindi essenzialmente due:
1) il compenso: nelle vendite piramidali la remunerazione è basata sulla acquisizione di nuove posizioni di rivendita, cioè sul semplice reperimento di nuovi elementi da inserire nell’organizzazione. Gli acquirenti che entrano nella catena pagano non tanto la merce, quanto il diritto di accesso all’organizzazione. Nella vendita diretta invece il guadagno dipende esclusivamente dalla merce effettivamente venduta;
2) l'investimento iniziale: nelle vendite piramidali l’investimento iniziale è obbligatorio non per l’acquisto della merce, ma quale prezzo per entrare nell’organizzazione. In questo modo il diritto dell’acquirente alla restituzione della merce, anche ove formalmente previsto, rimane di difficilissima attuazione.
Articolo 6 -Elementi presuntivi
L'articolo 6 attribuisce a talune circostanze di fatto, anche singolarmente, la qualità di elementi presuntivi in ordine alla sussistenza di una operazione o di una struttura di vendita vietata in quanto a carattere piramidale.
Tali elementi sono accomunati dal fatto di configurare obblighi impropri verso l’organizzazione in capo al soggetto da questa reclutato come venditore, e consistono, segnatamente:
a) nell’obbligo di acquisto dall’impresa organizzatrice di una rilevante quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rifusione del prezzo (per i beni ancora vendibili) in misura non inferiore al 90% del costo originario, nel caso di mancata vendita al pubblico;
b) nell’obbligo di corresponsione, all’impresa organizzatrice, all’atto del reclutamento e comunque quale condizione per la permanenza nell’organizzazione, di una somma di denaro o titoli di credito o altri valori mobiliai e benefici finanziari, in genere di rilevante entità, senza alcuna reale controprestazione;
c) l’obbligo di acquisto di materiali, beni o servizi – ivi compresi materiali didattici e corsi di formazione - non strettamente inerenti e necessari all’attività commerciale e comunque non proporzionati al volume dell’attività svolta.
Articolo 7 – Sanzioni
L’articolo 7 dispone in merito al regime sanzionatorio per la violazione degli obblighi e dei divieti stabiliti dal provvedimento.
In particolare, il comma 1 prevede la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda di importo compreso tra 100.000 e 600.000 euro, per coloro che promuovono o realizzano le attività o le strutture di vendita o le operazioni vietate ai sensi dell'articolo 5 (vendite piramidali e "catene di Sant'Antonio").
A seguito di una integrazione introdotta dal Senato, la sanzione di cui al comma 1 è prevista anche in caso di promozione di iniziative di carattere collettivo o induzione di uno o più soggetti ad aderire, associarsi od affiliarsi alle organizzazioni o alle operazioni vietate dall’articolo 5.
Per le suddette violazioni, il comma 2 dispone altresì la sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento ai sensi dell'articolo 36 del codice penale[15] e della sua comunicazione alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale.
Si segnala che nel corso dell’esame presso il Senato, conseguentemente all’integrazione della fattispecie di cui al comma 1, sono stati soppressi i commi 3 e 4 del testo dell’articolo 7 approvato dalla Camera, i quali prevedevano una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro nei confronti di chiunque induca o tenti di indurre uno o più soggetti ad aderire, associarsi o affiliarsi alle organizzazioni od operazioni di cui al medesimo articolo 5, nonché nei confronti di chi concorre all'induzione o al tentativo di induzione, anche mediante segnalazione di nominativi di persone quali potenziali destinatari del tentativo di induzione.
Da ultimo, il comma 3 dispone l’applicazione, alle imprese che non rispettino le disposizioni in materia di disciplina contrattuale fra impresa affidante e incaricato alla vendita diretta a domicilio, di cui all’articolo 4, commi 2, 3, 5, 6 e 9 (cfr. sopra), di una sanzione amministrativa pecuniaria da 1500 a 5000 euro.
Si ricorda come ai sensi dell’articolo 13 della citata direttiva 2005/29/CE dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno - la quale annovera le vendite piramidali tra le pratiche commerciali sleali considerate comunque vietate - gli Stati membri sono tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della direttiva medesima e ad adottare tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione.
Le sanzioni, in particolare, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
N. 2542-3008-3325-3484-3492-4555-B
CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE
APPROVATA, IN UN TESTO UNIFICATO, DALLA X COMMISSIONE PERMANENTE (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
il 19 gennaio 2005 (v. stampato Senato n. 3263)
MODIFICATA DALLA X
COMMISSIONE PERMANENTE
(INDUSTRIA, COMMERCIO, TURISMO)
DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 14 giugno 2005
d'iniziativa dei deputati
BULGARELLI, CENTO, CIMA, LION, ZANELLA; RUZZANTE, GAMBINI, ABBONDANZIERI, ALBERTINI, BATTAGLIA, BENVENUTO, BOATO, BOLOGNESI, BORRELLI, BURLANDO, CALZOLAIO, CAMO, CARBONELLA, CAZZARO, CENTO, CIALENTE, CIMA, CRUCIANELLI, CUSUMANO, DI SERIO D'ANTONA, FRIGATO, GASPERONI, GIACCO, GIULIETTI, GRIGNAFFINI, GRILLINI, LUCÀ, LUCIDI, LUMIA, LUSETTI, MARCORA, MARIOTTI, MEDURI, MONTECCHI, MOTTA, OLIVERIO, OTTONE, PISAPIA, POLLASTRINI, QUARTIANI, RAMPONI, RANIERI, ROCCHI, RODEGHIERO, NICOLA ROSSI, ROTUNDO, RUGGERI, SINISCALCHI, SPINI, TIDEI, TRUPIA, LUCCHESE; PEZZELLA, CIRIELLI, GAMBA, LA STARZA, MENIA, MEROI, MIGLIORI, SERENA, VILLANI MIGLIETTA; VERNETTI; D'AGRÒ, AIRAGHI, GIORGIO CONTE, DI GIANDOMENICO, FOTI, MAZZONI, MEREU, MORETTI, ALFREDO VITO, ZANETTA; DIDONÈ
Disciplina
della vendita diretta a domicilio e tutela
del consumatore dalle forme di vendita piramidali
Trasmessa dal Presidente del Senato della
Repubblica
il 15 giugno 2005
TESTO approvato dalla X Commissione permanente della Camera dei deputati |
modificato dalla X Commissione permanente del Senato della Repubblica |
Art. 1. (Definizioni e ambito di applicazione della legge). |
Art. 1. (Definizioni e ambito di applicazione della legge). |
1. Ai fini della presente legge si intendono: |
Identico. |
a) per «vendita diretta a domicilio», la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi, di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, effettuate tramite la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago; |
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b) per «incaricato alla vendita diretta a domicilio», colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio; |
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c) per «impresa» o «imprese», l'impresa o le imprese esercenti la vendita diretta a domicilio di cui alla lettera a). |
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2. Le disposizioni della presente legge, ad eccezione di quanto previsto dagli articoli 5, 6 e 7, non si applicano alla offerta, alla sottoscrizione e alla propaganda ai fini commerciali di: |
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a) prodotti e servizi finanziari; |
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b) prodotti e servizi assicurativi; |
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c) contratti per la costruzione, la vendita e la locazione di beni immobili. |
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Art. 2. (Esercizio dell'attività di vendita diretta a domicilio). |
Art. 2. (Esercizio dell'attività di vendita diretta a domicilio). |
1. Alle attività di vendita diretta a domicilio di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), si applicano le disposizioni di cui agli articoli 19, 20 e 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonché le disposizioni vigenti in materia di commercializzazione dei beni e dei servizi offerti. |
Identico. |
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Art. 3. (Attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio). |
Art. 3. (Attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio). |
1. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio, con o senza vincolo di subordinazione, è soggetta all'obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento di cui all'articolo 19, commi 5 e 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e può essere svolta da chi risulti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5 del medesimo decreto legislativo. |
1. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio, con o senza vincolo di subordinazione, è soggetta all'obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento di cui all'articolo 19, commi 5 e 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e può essere svolta da chi risulti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2, del medesimo decreto legislativo. |
2. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere esercitata come oggetto di una obbligazione assunta con contratto di agenzia. |
2. Identico. |
3. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere altresì esercitata, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, da soggetti che svolgono l'attività in maniera abituale, ancorché non esclusiva, o in maniera occasionale, purché incaricati da una o più imprese. |
3. Identico. |
4. La natura dell'attività di cui al comma 3 è di carattere occasionale sino al conseguimento di un reddito annuo, derivante da tale attività, non superiore a 5.000 euro. |
4. Identico. |
5. Resta ferma la disciplina previdenziale recata dall'articolo 44, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. |
5. Identico. |
Art. 4. (Disciplina del rapporto fra impresa affidante e incaricato alla vendita diretta a domicilio. Compenso dell'incaricato). |
Art. 4. (Disciplina del rapporto fra impresa affidante e incaricato alla vendita diretta a domicilio. Compenso dell'incaricato). |
1. All'incaricato alla vendita diretta a domicilio con vincolo di subordinazione si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato dall'impresa esercente la vendita diretta. All'incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione di cui all'articolo 3, comma 2, si applicano gli accordi economici collettivi di settore. |
Identico. |
2. Per l'incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione di cui all'articolo 3, comma 3, l'incarico deve essere provato per iscritto e può essere liberamente rinunciato, anche per fatti concludenti con relativa presa d'atto dell'impresa affidante, o revocato per iscritto tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo. L'atto di conferimento dell'incarico deve contenere l'indicazione dei diritti e degli obblighi di cui ai commi 3 e 6. |
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3. L'incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione di cui all'articolo 3, comma 3, ha diritto di recedere dall'incarico, senza obbligo di motivazione, inviando all'impresa affidante una comunicazione, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, entro dieci giorni lavorativi dalla stipula dell'atto scritto di cui al comma 2. In tale caso, l'incaricato è tenuto a restituire a sua cura e spese i beni e i materiali da dimostrazione eventualmente acquistati e l'impresa, entro trenta giorni dalla restituzione dei beni e dei materiali, rimborsa all'incaricato le somme da questi eventualmente pagate. Il rimborso è subordinato all'integrità dei beni e dei materiali restituiti. |
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4. Nei confronti dell'incaricato alla vendita diretta a domicilio non può essere stabilito alcun obbligo di acquisto: |
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a) di un qualsiasi ammontare di materiali o di beni commercializzati o distribuiti dall'impresa affidante, ad eccezione dei beni e dei materiali da dimostrazione strumentali alla sua attività che per tipologia e quantità sono assimilabili ad un campionario; |
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b) di servizi forniti, direttamente o indirettamente, dall'impresa affidante, non strettamente inerenti e necessari all'attività commerciale in questione, e comunque non proporzionati al volume dell'attività svolta. |
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5. Nel caso in cui l'incarico venga rinunciato o revocato, il tesserino di riconoscimento di cui all'articolo 3, comma 1, è ritirato. |
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6. In aggiunta al diritto di recesso di cui al comma 3, all'incaricato alla vendita diretta a domicilio è in ogni caso riconosciuto, in tutte le altre ipotesi di cessazione per qualsiasi causa del rapporto con l'impresa affidante, il diritto di restituzione e, entro trenta giorni, alla rifusione del prezzo relativamente ai beni e ai materiali integri eventualmente posseduti in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario. |
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7. L'incaricato alla vendita diretta a domicilio deve attenersi alle modalità e alle condizioni generali di vendita stabilite dall'impresa affidante. In caso contrario, egli è responsabile dei danni derivanti dalle condotte difformi da lui adottate rispetto alle modalità e alle condizioni di cui al primo periodo. |
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8. L'incaricato alla vendita diretta a domicilio non ha, salvo espressa autorizzazione scritta, la facoltà di riscuotere il corrispettivo degli ordinativi di acquisto che abbiano avuto regolare esecuzione presso i privati consumatori né di concedere sconti o dilazioni di pagamento. |
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9. Il compenso dell'incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione è costituito dalle provvigioni sugli affari che, accettati, hanno avuto regolare esecuzione. La misura delle provvigioni e le modalità di corresponsione devono essere stabilite per iscritto. |
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Art. 5. (Divieto delle forme di vendita piramidali e di giochi o catene). |
Art. 5. (Divieto delle forme di vendita piramidali e di giochi o catene). |
1. Sono vietate la promozione e la realizzazione di attività e di strutture di vendita nelle quali l'incentivo economico primario dei componenti la struttura si fonda sul mero reclutamento di nuovi soggetti piuttosto che sulla loro capacità di vendere o promuovere la vendita di beni o servizi determinati direttamente o attraverso altri componenti la struttura. |
Identico. |
2. È vietata, altresì, la promozione o l'organizzazione di tutte quelle operazioni, quali giochi, piani di sviluppo, «catene di Sant'Antonio», che configurano la possibilità di guadagno attraverso il puro e semplice reclutamento di altre persone e in cui il diritto a reclutare si trasferisce all'infinito previo il pagamento di un corrispettivo. |
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Art. 6. (Elementi presuntivi). |
Art. 6. (Elementi presuntivi). |
1. Costituisce elemento presuntivo della sussistenza di una operazione o di una struttura di vendita vietate ai sensi dell'articolo 5 la ricorrenza di una delle seguenti circostanze: |
Identico. |
a) l'eventuale obbligo del soggetto reclutato di acquistare dall'impresa organizzatrice, ovvero da altro componente la struttura, una rilevante quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rifusione del prezzo relativamente ai beni ancora vendibili, in misura non inferiore al 90 per cento del costo originario, nel caso di mancata o parzialmente mancata vendita al pubblico; |
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b) l'eventuale obbligo del soggetto reclutato di corrispondere, all'atto del reclutamento e comunque quale condizione per la permanenza nell'organizzazione, all'impresa organizzatrice o ad altro componente la struttura, una somma di denaro o titoli di credito o altri valori |
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mobiliari e benefici finanziari in genere di rilevante entità e in assenza di una reale controprestazione; |
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c) l'eventuale obbligo del soggetto reclutato di acquistare, dall'impresa organizzatrice o da altro componente la struttura, materiali, beni o servizi, ivi compresi materiali didattici e corsi di formazione, non strettamente inerenti e necessari alla attività commerciale in questione e comunque non proporzionati al volume dell'attività svolta. |
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Art. 7. (Sanzioni). |
Art. 7. (Sanzioni). |
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque promuove o realizza le attività o le strutture di vendita o le operazioni di cui all'articolo 5 è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno o con l'ammenda da 100.000 euro a 600.000 euro. |
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque promuove o realizza le attività o le strutture di vendita o le operazioni di cui all'articolo 5, anche promuovendo iniziative di carattere collettivo o inducendo uno o più soggetti ad aderire, associarsi o affiliarsi alle organizzazioni od operazioni di cui al medesimo articolo, è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno o con l'ammenda da 100.000 euro a 600.000 euro. |
2. Per le violazioni di cui al comma 1 si applica la sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento con le modalità di cui all'articolo 36 del codice penale e della sua comunicazione alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. |
2. Identico. |
3. Nei confronti di chiunque, cooperando alla promozione o alla realizzazione di una delle attività o strutture di vendita od operazioni di cui all'articolo 5, induca o tenti di indurre uno o più soggetti, anche promuovendo iniziative di carattere collettivo, ad aderire, associarsi o affiliarsi alle organizzazioni od operazioni di cui al medesimo articolo 5, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro. |
Soppresso. |
4. La medesima sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 3 si applica a chi concorre all'induzione o al tentativo di induzione, di cui al medesimo comma, anche mediante segnalazione di nominativi di persone quali potenziali destinatari del tentativo di induzione. |
Soppresso. |
5. All'impresa che non rispetti le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 2, 3, 5, 6 e 9, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 5.000 euro. |
3. Identico. |
D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50
Attuazione
della direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali
commerciali
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 3 febbraio 1992, n. 27, S.O.
(2) Vedi, anche, il D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185, riportato al n. CVII.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l'art. 42 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, recante delega al Governo per l'attuazione della direttiva n. 85/577/CEE Consiglio del 20 dicembre 1985, concernente la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 dicembre 1991;
Sulla proposta del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie, di concerto con i Ministri degli affari esteri, di grazia e giustizia, del tesoro e dell'industria, del commercio e dell'artigianato;
Emana il seguente decreto legislativo:
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1. Campo di applicazione.
1. Il presente decreto si applica ai contratti tra un operatore commerciale ed un consumatore, riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, in qualunque forma conclusi, stipulati:
a) durante la visita dell'operatore commerciale al domicilio del consumatore o di un altro consumatore ovvero sul posto di lavoro del consumatore o nei locali nei quali il consumatore si trovi, anche temporaneamente, per motivi di lavoro, di studio o di cura;
b) durante una escursione organizzata dall'operatore commerciale al di fuori dei propri locali commerciali;
c) in area pubblica o aperta al pubblico, mediante la sottoscrizione di una nota d'ordine, comunque denominata;
d) per corrispondenza o, comunque, in base ad un catalogo che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza dell'operatore commerciale.
2. Il presente decreto si applica anche nel caso di proposte contrattuali sia vincolanti che non vincolanti effettuate dal consumatore in condizioni analoghe a quelle specificate nel comma 1, per le quali non sia ancora intervenuta l'accettazione dell'operatore commerciale.
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2. Definizioni.
1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) consumatore: la persona fisica che, in relazione ai contratti o alle proposte contrattuali disciplinati dal presente decreto, agisce per scopi che possono considerarsi estranei alla propria attività professionale;
b) operatore commerciale: la persona fisica o giuridica che, in relazione ai contratti o alle proposte contrattuali disciplinati dal presente decreto, agisce nell'ambito della propria attività commerciale o professionale, nonché la persona che agisce in nome o per conto di un operatore commerciale.
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3. Esclusioni.
1. Sono esclusi dall'applicazione del presente decreto:
a) i contratti per la costruzione, vendita e locazione di beni immobili ed i contratti relativi ad altri diritti concernenti beni immobili, con eccezione dei contratti relativi alla fornitura di merci e alla loro incorporazione in beni immobili, nonché i contratti relativi alla riparazione di beni immobili;
b) i contratti relativi alla fornitura di prodotti alimentari o bevande o di altri prodotti di uso domestico corrente consegnati a scadenze frequenti e regolari;
c) i contratti di assicurazione;
d) i contratti relativi ai valori mobiliari.
2. Sono esclusi dall'applicazione del presente decreto anche i contratti aventi ad oggetto la fornitura di beni o la prestazione di servizi per i quali il corrispettivo globale che deve essere pagato da parte del consumatore non supera l'importo di lire cinquantamila, comprensivo di oneri fiscali ed al netto di eventuali spese accessorie che risultino specificamente individuate nella nota d'ordine o nel catalogo o altro documento illustrativo, con indicazione della relativa causale. Si applicano comunque le disposizioni del presente decreto nel caso di più contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l'entità del corrispettivo globale, indipendentemente dall'importo dei singoli contratti, superi l'importo di lire cinquantamila.
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4. Diritto di recesso.
1. Per i contratti e per le proposte contrattuali soggetti alle disposizioni del presente decreto è attribuito al consumatore un diritto di recesso nei termini ed alle condizioni indicati negli articoli seguenti.
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5. Informazione sul diritto di recesso.
1. Per i contratti e per le proposte contrattuali soggetti alle disposizioni del presente decreto l'operatore commerciale deve informare il consumatore del diritto di cui all'art. 4. L'informazione deve essere fornita per iscritto e deve contenere:
a) l'indicazione dei termini, delle modalità e delle eventuali condizioni per l'esercizio del diritto di recesso;
b) l'indicazione del soggetto nei cui riguardi va esercitato il diritto di recesso ed il suo indirizzo o, se si tratti di società o altra persona giuridica, la denominazione e la sede della stessa, nonché l'indicazione del soggetto al quale deve essere restituito il prodotto eventualmente già consegnato, se diverso.
Qualora il contratto preveda che l'esercizio del diritto di recesso non sia soggetto ad alcun termine o modalità, l'informazione deve comunque contenere gli elementi indicati nella lettera b).
2. Per i contratti di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 1, qualora sia sottoposta al consumatore, per la sottoscrizione, una nota d'ordine, comunque denominata, l'informazione di cui al comma 1 deve essere riportata nella suddetta nota d'ordine, separatamente dalle altre clausole contrattuali e con caratteri tipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento. Una copia della nota d'ordine, recante l'indicazione del luogo e della data di sottoscrizione, deve essere consegnata al consumatore.
3. Qualora non venga predisposta una nota d'ordine, l'informazione deve essere comunque fornita al momento della stipulazione del contratto ovvero all'atto della formulazione della proposta, nell'ipotesi prevista dal comma 2 dell'art. 1, ed il relativo documento deve contenere, in caratteri chiaramente leggibili, oltre agli elementi di cui al comma 1, l'indicazione del luogo e della data in cui viene consegnato al consumatore, nonché gli elementi necessari per identificare il contratto. Di tale documento l'operatore commerciale può richiederne una copia sottoscritta dal consumatore.
4. Per i contratti di cui all'art. 1, lettera d), l'informazione sul diritto di recesso deve essere riportata nel catalogo o altro documento illustrativo della merce o del servizio oggetto del contratto, o nella relativa nota d'ordine, con caratteri tipografici uguali o superiori a quelli delle altre informazioni concernenti la stipulazione del contratto, contenute nel documento. Nella nota d'ordine, comunque, in luogo della indicazione completa degli elementi di cui al comma 1, può essere riportato il solo riferimento al diritto di esercitare il recesso, con la specificazione del relativo termine e con rinvio alle indicazioni contenute nel catalogo o altro documento illustrativo della merce o del servizio per gli ulteriori elementi previsti nell'informazione (2/a).
5. L'operatore commerciale non potrà accettare a titolo di corrispettivo effetti cambiari che abbiano una scadenza inferiore a 15 giorni dalla stipulazione del contratto e non potrà presentarli allo sconto prima di tale termine.
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(2/a) Così corretto con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 22 febbraio 1992, n. 44.
6. Esercizio del diritto di recesso.
1. Il consumatore che intenda esercitare il diritto di cui all'art. 4 deve inviare all'operatore commerciale o al soggetto indicato nel precedente art. 5, ove sia diverso, una comunicazione in tal senso nel termine di 7 giorni, che decorrono:
a) dalla data di sottoscrizione della nota d'ordine contenente l'informazione di cui al precedente art. 5 ovvero, nel caso in cui non sia predisposta una nota d'ordine, dalla data di ricezione dell'informazione stessa, per i contratti riguardanti la prestazione di servizi ovvero per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora al consumatore sia stato preventivamente mostrato o illustrato dall'operatore commerciale il prodotto oggetto del contratto;
b) dalla data di ricevimento della merce, se successiva, per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora l'acquisto sia stato effettuato senza la presenza dell'operatore commerciale ovvero sia stato mostrato o illustrato un prodotto di tipo diverso da quello oggetto del contratto.
Le parti possono convenire nel contratto garanzie più ampie nei confronti dei consumatori rispetto a quanto previsto nel presente decreto.
2. Qualora l'operatore commerciale abbia omesso di fornire al consumatore l'informazione sul diritto di recesso, ai sensi dell'art. 5, oppure abbia fornito una informazione incompleta o errata che non abbia consentito il corretto esercizio di tale diritto, il termine indicato nel comma 1 è di sessanta giorni dalla data di stipulazione del contratto, per i contratti riguardanti la prestazione di servizi, ovvero dalla data di ricevimento della merce, nel caso di contratti riguardanti la fornitura di beni.
3. La comunicazione di cui al comma 1, sottoscritta dal medesimo soggetto che ha stipulato il contratto o che ha formulato la proposta contrattuale, deve essere inviata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, che si intende spedita in tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante entro i termini previsti dal presente decreto o dal contratto, ove diversi. La comunicazione può essere inviata anche mediante telegramma, telex e fac-simile spediti entro i termini indicati nel comma 1 o nel comma 2, a condizione che sia confermata con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, con le medesime modalità, entro le 48 ore successive. L'avviso di ricevimento non è, comunque, condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.
4. Qualora espressamente previsto nell'offerta o nell'informazione concernente il diritto di recesso in luogo di una specifica comunicazione, è sufficiente la restituzione, entro il termine di cui al comma 1, della merce ricevuta.
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7. Condizioni per l'esercizio del diritto di recesso.
1. Per i contratti riguardanti la vendita di beni, qualora vi sia stata la consegna della merce, la sostanziale integrità della merce da restituire ai sensi del successivo art. 8 è condizione essenziale per l'esercizio del diritto di recesso. Nell'ipotesi prevista dal comma 2 dell'art. 6 è comunque sufficiente che la merce sia restituita in normale stato di conservazione, in quanto sia stata custodita ed eventualmente adoperata con l'uso della normale diligenza.
2. Per i contratti riguardanti la prestazione di servizi, il diritto di recesso non può essere esercitato nei confronti delle prestazioni che siano state già eseguite.
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8. Effetti dell'esercizio del diritto di recesso.
1. Con la ricezione da parte dell'operatore commerciale della comunicazione di cui al precedente art. 6, le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni derivanti dal contratto o dalla proposta contrattuale, fatte salve, nell'ipotesi in cui le obbligazioni stesse siano state nel frattempo in tutto o in parte eseguite, le ulteriori obbligazioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo.
2. Qualora sia avvenuta la consegna della merce, il consumatore è tenuto a restituire all'operatore commerciale o al soggetto da questi designato la merce ricevuta entro sette giorni dalla data del suo ricevimento ovvero entro il maggior termine convenuto dalle parti. Ai fini della scadenza del termine la merce si intende restituita nel momento in cui viene consegnata all'ufficio postale accettante o allo spedizioniere. Le spese di spedizione sono a carico del consumatore.
3. L'operatore commerciale entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all'art. 6 ovvero dal ricevimento della merce restituita, deve rimborsare al consumatore le somme da questi eventualmente pagate, ivi comprese le somme versate a titolo di caparra. Dal rimborso sono escluse soltanto le eventuali spese accessorie, così come individuate ai sensi dell'art. 3, comma 2, a condizione che tale esclusione sia stata espressamente prevista nella nota d'ordine o nell'informazione di cui all'art. 5, ovvero nel catalogo o altro documento illustrativo. Le somme si intendono rimborsate nei termini qualora vengano effettivamente restituite, spedite o riaccreditate con valuta non posteriore alla scadenza del termine precedentemente indicato. Nell'ipotesi in cui il pagamento sia stato effettuato per mezzo di effetti cambiari, qualora questi non siano stati ancora presentati all'incasso, deve procedersi alla loro restituzione. È nulla qualsiasi clausola che preveda limitazioni al rimborso nei confronti del consumatore delle somme versate, in conseguenza dell'esercizio del diritto di recesso.
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9. Altre forme speciali di vendita.
1. Le disposizioni del presente decreto si applicano anche ai contratti riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, negoziati fuori dei locali commerciali sulla base di offerte effettuate al pubblico tramite il mezzo televisivo o altri mezzi audiovisivi, e finalizzate ad una diretta stipulazione del contratto stesso, nonché ai contratti conclusi mediante l'uso di strumenti informatici e telematici.
2. Per i contratti di cui al comma 1 l'informazione sul diritto di cui all'art. 4 deve essere fornita nel corso della presentazione del prodotto o del servizio oggetto del contratto, compatibilmente con le particolari esigenze poste dalle caratteristiche dello strumento impiegato e dalle relative evoluzioni tecnologiche. Per i contratti negoziati sulla base di una offerta effettuata tramite il mezzo televisivo l'informazione deve essere fornita all'inizio e nel corso della trasmissione nella quale sono contenute le offerte. L'informazione di cui all'art. 5 deve essere altresì fornita per iscritto, con le modalità previste dal comma 3 di tale articolo, non oltre il momento in cui viene effettuata la consegna della merce. Il termine per l'invio della comunicazione, indicato nel precedente art. 6, decorre dalla data di ricevimento della merce.
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10. Irrinunciabilità del diritto di recesso.
1. Il diritto di cui all'art. 4 è irrinunciabile.
2. È nulla ogni pattuizione in contrasto con le disposizioni del presente decreto.
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11. Sanzioni.
1. Fatta salva l'applicazione della legge penale qualora il fatto costituisca reato, nell'ipotesi in cui l'operatore commerciale non abbia fornito l'informazione di cui al comma 1 dell'art. 5 o abbia fornito una informazione incompleta o errata o comunque non conforme a quanto prescritto dagli articoli 5 e 9 del presente decreto, che ostacoli l'esercizio del diritto di recesso, o abbia presentato all'incasso o allo sconto gli effetti cambiari prima che sia trascorso il termine di cui al comma 5 dell'art. 5 o non abbia rimborsato al consumatore le somme da questi eventualmente pagate o non abbia restituito gli effetti cambiari secondo le modalità previste dal comma 3 dell'art. 8 del presente decreto, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire dieci milioni (2/b).
2. Nei casi di particolare gravità o di recidiva, i limiti minimo e massimo della sanzione indicata al comma 1 sono raddoppiati.
3. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 (3). Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dell'art. 13 della predetta legge 24 novembre 1981, n. 689 (3), all'accertamento delle violazioni provvedono, di ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto previsto dall'art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (3), è presentato all'ufficio provinciale dell'industria, del commercio e dell'artigianato della provincia in cui vi è la residenza o la sede legale dell'operatore commerciale.
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(2/b) Così corretto con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 22 febbraio 1992, n. 44.
(3) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
(3) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
(3) Riportata alla voce Ordinamento giudiziario.
12. Foro competente.
1. Per le controversie civili inerenti all'applicazione del presente decreto la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato.
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13. Disposizioni transitorie e finali.
1. Il presente decreto entra in vigore trenta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
2. In via transitoria è consentito, per il periodo di centoottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che i cataloghi o altri documenti illustrativi della merce o del servizio oggetto del contratto non contengano l'informazione di cui al comma 1 dell'art. 5, a condizione che tale informazione sia riportata nella nota d'ordine o in altro documento consegnato al consumatore.
3. È altresì consentito per il periodo di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto che la nota d'ordine eventualmente sottoposta al consumatore per la sottoscrizione ai sensi del comma 2 dell'art. 5 non contenga l'informazione sul diritto di recesso, purché tale informazione sia comunque fornita al consumatore per iscritto, secondo le modalità di cui al comma 3 dell'art. 5, con documento a parte, che deve essere sottoscritto dal consumatore ed allegato alla nota d'ordine medesima.
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D.Lgs.
31 marzo 1998, n. 114
Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio, a
norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo
1997, n. 59 (artt. 5, 19-22)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 24 aprile 1998, n. 95, S.O.
(2) Riportata alla voce Ministeri: provvedimenti generali.
(omissis)
TITOLO II
Requisiti per l'esercizio dell'attività commerciale
5. Requisiti di accesso all'attività.
1. Ai sensi del presente decreto l'attività commerciale può essere esercitata con riferimento ai seguenti settori merceologici: alimentare e non alimentare.
2. Non possono esercitare l'attività commerciale, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione:
a) coloro che sono stati dichiarati falliti;
b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c) coloro che hanno riportato una condanna a pena detentiva, accertata con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti di cui al titolo II e VIII del libro II del codice penale, ovvero di ricettazione, riciclaggio, emissione di assegni a vuoto, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, sequestro di persona a scopo di estorsione, rapina (14/cost);
d) coloro che hanno riportato due o più condanne a pena detentiva o a pena pecuniaria, nel quinquennio precedente all'inizio dell'esercizio dell'attività, accertate con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti previsti dagli articoli 442, 444, 513, 513-bis, 515, 516 e 517 del codice penale, o per delitti di frode nella preparazione o nel commercio degli alimenti, previsti da leggi speciali;
e) coloro che sono sottoposti ad una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (15), o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (15), ovvero siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
3. L'accertamento delle condizioni di cui al comma 2 è effettuato sulla base delle disposizioni previste dall'articolo 688 del codice di procedura penale, dall'articolo 10 della legge 4 gennaio 1968, n.15 (16), dall'articolo 10-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575 (15), e dall'articolo 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (17).
4. Il divieto di esercizio dell'attività commerciale, ai sensi del comma 2 del presente articolo, permane per la durata di cinque anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata o si sia in altro modo estinta, ovvero, qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza.
5. L'esercizio, in qualsiasi forma, di un'attività di commercio relativa al settore merceologico alimentare, anche se effettuata nei confronti di una cerchia determinata di persone, è consentito a chi è in possesso di uno dei seguenti requisiti professionali:
a) avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio relativo al settore merceologico alimentare, istituito o riconosciuto dalla regione o dalle province autonome di Trento e di Bolzano;
b) avere esercitato in proprio, per almeno due anni nell'ultimo quinquennio, l'attività di vendita all'ingrosso o al dettaglio di prodotti alimentari; o avere prestato la propria opera, per almeno due anni nell'ultimo quinquennio, presso imprese esercenti l'attività nel settore alimentare, in qualità di dipendente qualificato addetto alla vendita o all'amministrazione o, se trattasi di coniuge o parente o affine, entro il terzo grado dell'imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all'INPS;
c) essere stato iscritto nell'ultimo quinquennio al registro esercenti il commercio di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 (18), per uno dei gruppi merceologici individuati dalle lettere a), b) e c) dell'articolo 12, comma 2, del decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375 (19).
6. In caso di società il possesso di uno dei requisiti di cui al comma 5 è richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra persona specificamente preposta all'attività commerciale.
7. Le regioni stabiliscono le modalità di organizzazione, la durata e le materie del corso professionale di cui al comma 5, lettera a), garantendone l'effettuazione anche tramite rapporti convenzionali con soggetti idonei. A tale fine saranno considerate in via prioritaria le camere di commercio, le organizzazioni imprenditoriali del commercio più rappresentative e gli enti da queste costituiti.
8. Il corso professionale ha per oggetto materie idonee a garantire l'apprendimento delle disposizioni relative alla salute, alla sicurezza e all'informazione del consumatore. Prevede altresì materie che hanno riguardo agli aspetti relativi alla conservazione, manipolazione e trasformazione degli alimenti, sia freschi che conservati.
9. Le regioni stabiliscono le modalità di organizzazione, la durata e le materie, con particolare riferimento alle normative relative all'ambiente, alla sicurezza e alla tutela e informazione dei consumatori, oggetto di corsi di aggiornamento finalizzati ad elevare il livello professionale o riqualificare gli operatori in attività. Possono altresì prevedere forme di incentivazione per la partecipazione ai corsi dei titolari delle piccole e medie imprese del settore commerciale.
10. Le regioni garantiscono l'inserimento delle azioni formative di cui ai commi 7 e 9 nell'ambito dei propri programmi di formazione professionale.
11. L'esercizio dell'attività di commercio all'ingrosso, ivi compreso quello relativo ai prodotti ortofrutticoli, carnei ed ittici, è subordinato al possesso dei requisiti del presente articolo. L'albo istituito dall'articolo 3 della legge 25 marzo 1959, n. 125 (20), è soppresso.
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(14/cost) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 - 22 novembre 2002, n. 474 (Gazz. Uff. 27 novembre 2002, n. 47, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, lettera c), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
(15) Riportata alla voce Sicurezza pubblica.
(16) Riportata alla voce Documentazioni amministrative e legalizzazione di firme.
(17) Riportata alla voce Imposte e tasse in genere.
(18) Riportata al n. XXIII.
(19) Riportato al n. LXXVIII.
(20) Riportata alla voce Mercati all'ingrosso.
(omissis)
19. Vendite effettuate presso il domicilio dei consumatori.
1. La vendita al dettaglio o la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio dei consumatori, è soggetta a previa comunicazione al comune nel quale l'esercente ha la residenza, se persona fisica, o la sede legale.
2. L'attività può essere iniziata decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1.
3. Nella comunicazione deve essere dichiarata la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 5 e il settore merceologico.
4. Il soggetto di cui al comma 1, che intende avvalersi per l'esercizio dell'attività di incaricati, ne comunica l'elenco all'autorità di pubblica sicurezza del luogo nel quale ha la residenza o la sede legale e risponde agli effetti civili dell'attività dei medesimi. Gli incaricati devono essere in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2.
5. L'impresa di cui al comma 1 rilascia un tesserino di riconoscimento alle persone incaricate, che deve ritirare non appena esse perdano i requisiti richiesti dall'articolo 5, comma 2.
6. Il tesserino di riconoscimento di cui al comma 5 deve essere numerato e aggiornato annualmente, deve contenere le generalità e la fotografia dell'incaricato, l'indicazione a stampa della sede e dei prodotti oggetto dell'attività dell'impresa, nonché del nome del responsabile dell'impresa stessa, e la firma di quest'ultimo e deve essere esposto in modo visibile durante le operazioni di vendita.
7. Le disposizioni concernenti gli incaricati si applicano anche nel caso di operazioni di vendita a domicilio del consumatore effettuate dal commerciante sulle aree pubbliche in forma itinerante.
8. Il tesserino di riconoscimento di cui ai commi 5 e 6 è obbligatorio anche per l'imprenditore che effettua personalmente le operazioni disciplinate dal presente articolo.
9. Alle vendite di cui al presente articolo si applica altresì la disposizione dell'articolo 18, comma 7 (30).
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(30) Vedi, anche, l'art. 44, comma 2, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione.
20. Propaganda a fini commerciali.
1. L'esibizione o illustrazione di cataloghi e l'effettuazione di qualsiasi altra forma di propaganda commerciale presso il domicilio del consumatore o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi di lavoro, studio, cura o svago, sono sottoposte alle disposizioni sugli incaricati e sul tesserino di riconoscimento di cui all'articolo 19, commi 4, 5, 6 e 8.
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21. Commercio elettronico.
1. Il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato promuove l'introduzione e l'uso del commercio elettronico con azioni volte a:
a) sostenere una crescita equilibrata del mercato elettronico;
b) tutelare gli interessi dei consumatori;
c) promuovere lo sviluppo di campagne di informazione ed apprendimento per operatori del settore ed operatori del servizio;
d) predisporre azioni specifiche finalizzate a migliorare la competitività globale delle imprese, con particolare riferimento alle piccole e alle medie, attraverso l'utilizzo del commercio elettronico;
e) favorire l'uso di strumenti e tecniche di gestione di qualità volte a garantire l'affidabilità degli operatori e ad accrescere la fiducia del consumatore;
f) garantire la partecipazione italiana al processo di cooperazione e negoziazione europea ed internazionale per lo sviluppo del commercio elettronico.
2. Per le azioni di cui al comma 1 il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato può stipulare convenzioni e accordi di programma con soggetti pubblici o privati interessati, nonché con associazioni rappresentative delle imprese e dei consumatori (30/a).
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(30/a) Vedi, anche, l'art. 103, L. 23 dicembre 2000, n. 388.
TITOLO VII
Sanzioni
22. Sanzioni e revoca.
1. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 16, 17, 18 e 19 del presente decreto è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a lire 30.000.000.
2. In caso di particolare gravità o di recidiva il sindaco può inoltre disporre la sospensione della attività di vendita per un periodo non superiore a venti giorni. La recidiva si verifica qualora sia stata commessa la stessa violazione per due volte in un anno, anche se si è proceduto al pagamento della sanzione mediante oblazione.
3. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 11, 14, 15 e 26, comma 5, del presente decreto è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 6.000.000.
4. L'autorizzazione all'apertura è revocata qualora il titolare:
a) non inizia l'attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità;
b) sospende l'attività per un periodo superiore ad un anno;
c) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2;
d) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell'attività disposta ai sensi del comma 2.
5. Il sindaco ordina la chiusura di un esercizio di vicinato qualora il titolare:
a) sospende l'attività per un periodo superiore ad un anno;
b) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2;
c) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell'attività disposta ai sensi del comma 2.
6. In caso di svolgimento abusivo dell'attività il sindaco ordina la chiusura immediata dell'esercizio di vendita.
7. Per le violazioni di cui al presente articolo l'autorità competente è il sindaco del comune nel quale hanno avuto luogo. Alla medesima autorità pervengono i proventi derivanti dai pagamenti in misura ridotta ovvero da ordinanze ingiunzioni di pagamento.
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(omissis)
D.L. 30 settembre 2003, n. 269
Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici (art. 44)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 2 ottobre 2003, n. 229, S.O. e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 24 novembre 2003, n. 326 (Gazz. Uff. 25 novembre 2003, n. 274, S.O.), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
(omissis)
44. Disposizioni varie in materia previdenziale.
1. L'articolo 9, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni e integrazioni, si interpreta nel senso che le agevolazioni di cui al comma 5 del medesimo articolo 9, così come sostituito dall'articolo 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, non sono cumulabili con i benefìci di cui al comma 1 dell'articolo 14 della legge 1° marzo 1986, n. 64, e successive modificazioni, e al comma 6 dell'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 48, e successive modificazioni e integrazioni (203).
2. A decorrere dal 1° gennaio 2004, ai fini della tutela previdenziale, i produttori di 3° e 4° gruppo di cui agli articoli 5 e 6 del contratto collettivo per la disciplina dei rapporti fra agenti e produttori di assicurazione del 25 maggio 1939 sono iscritti all'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti degli esercenti attività commerciali. Nei confronti dei predetti soggetti non trova applicazione il livello minimo imponibile previsto ai fini del versamento dei contributi previdenziali dall'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, e si applica, indipendentemente dall'anzianità contributiva posseduta, il sistema di calcolo contributivo di cui all'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335. Gli stessi possono chiedere, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, di regolarizzare, al momento dell'iscrizione all'INPS, i contributi relativi a periodi durante i quali abbiano svolto l'attività di produttori di terzo e quarto gruppo, risultanti da atti aventi data certa, nel limite dei cinque anni precedenti il 1° gennaio 2004. L'importo dei predetti contributi è maggiorato di un interesse annuo in misura pari al tasso ufficiale di riferimento. Il pagamento può essere effettuato, a richiesta degli interessati, in rate mensili, non superiori a trentasei, con l'applicazione del tasso ufficiale di riferimento maggiorato di due punti. I contributi comunque versati da tali soggetti alla gestione commercianti rimangono acquisiti alla gestione stessa. A decorrere dal 1° gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000. Per il versamento del contributo da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla predetta gestione separata (204).
3. All'articolo 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni (205):
a) (206);
b) (207).
4. L'azione giudiziaria relativa al pagamento degli accessori del credito in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, di cui al primo comma dell'art. 442 del codice di procedura civile, può essere proposta solo dopo che siano decorsi 120 giorni da quello in cui l'attore ne abbia richiesto il pagamento alla sede tenuta all'adempimento a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, contenente i dati anagrafici, residenza e il codice fiscale del creditore, nonché i dati necessari per l'identificazione del credito.
5. Al fine di contrastare il lavoro sommerso e l'evasione contributiva, le aziende, istituti, enti e società che stipulano contratti di somministrazione di energia elettrica o di forniture di servizi telefonici, nonché le società ad esse collegate, sono tenute a rendere disponibili agli Enti pubblici gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie i dati relativi alle utenze contenuti nei rispettivi archivi. Le modalità di fornitura dei dati, anche mediante collegamenti telematici, sono definite con apposite convenzioni da stipularsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le stesse convenzioni prevederanno il rimborso dei soli costi diretti sostenuti per la fornitura dei dati. Gli Enti previdenziali in possesso dei dati personali e identificativi acquisiti per effetto delle predette convenzioni, in qualità di titolari del trattamento, ne sono responsabili ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (208).
6. L'articolo unico, secondo comma, della legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, nel corso di un anno solare, il trattamento di integrazione salariale compete, nei limiti dei massimali ivi previsti, per un massimo di dodici mensilità, comprensive dei ratei di mensilità aggiuntive (209).
7. A decorrere dal 30 aprile 2004, la denuncia aziendale di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375, e successive modificazioni, è presentata su apposito modello predisposto dall'INPS. Qualora, a seguito della stima tecnica di cui all'articolo 8, comma 2, del citato decreto legislativo n. 375 del 1993, sia verificato il mancato svolgimento, in tutto o in parte, della prestazione lavorativa, l'INPS disconosce la stessa prestazione ai fini della tutela previdenziale (210).
8. A decorrere dal 1° gennaio 2004 le domande di iscrizione alle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura delle imprese artigiane, nonché di quelle esercenti attività commerciali di cui all'articolo 1, comma 202 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, hanno effetto, sussistendo i presupposti di legge, anche ai fini dell'iscrizione agli Enti previdenziali e del pagamento dei contributi e premi agli stessi dovuti. A tal fine le Camere di Commercio, Industria Artigianato e Agricoltura integrano la modulistica in uso con gli elementi indispensabili per l'attivazione automatica dell'iscrizione agli Enti previdenziali, secondo le indicazioni dagli stessi fornite. Le Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, attraverso la struttura informatica di Unioncamere, trasmettono agli Enti previdenziali le risultanze delle nuove iscrizioni, nonché le cancellazioni e le variazioni relative ai soggetti tenuti all'obbligo contributivo, secondo modalità di trasmissione dei dati concordate tra le parti. Entro 30 giorni dalla data della trasmissione, gli Enti previdenziali notificano agli interessati l'avvenuta iscrizione e richiedono il pagamento dei contributi dovuti ovvero notificano agli interessati le cancellazioni e le variazioni intervenute. A partire dal 1° gennaio 2004 i soggetti interessati dal presente comma sono esonerati dall'obbligo di presentare apposita richiesta di iscrizione agli Enti previdenziali. Entro l'anno 2004 gli Enti previdenziali allineano i propri archivi alle risultanze del Registro delle imprese anche in riferimento alle domande di iscrizione, cancellazione e variazione prodotte anteriormente al 1° gennaio 2004. È abrogata la disposizione contenuta nell'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 15 gennaio 1993, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 marzo 1993, n. 63, concernente l'impugnazione dei provvedimenti adottati dalle Commissioni provinciali dell'artigianato (211).
9. A partire dalle retribuzioni corrisposte con riferimento al mese di gennaio 2005, i sostituti d'imposta tenuti al rilascio della certificazione di cui all'articolo 4, commi 6-ter e 6-quater, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, trasmettono mensilmente in via telematica, direttamente o tramite gli incaricati di cui all'articolo 3, commi 2-bis e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1998, n. 322, all'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo dei contributi, per l'implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l'erogazione delle prestazioni, entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento. Tale disposizione si applica anche nei confronti dell'Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica (INPDAP) con riferimento ai sostituti d'imposta tenuti al rilascio della certificazione di cui all'articolo 4, commi 6-ter e 6-quater, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, il cui personale è iscritto al medesimo Istituto. Entro il 30 giugno 2004 gli enti previdenziali provvederanno ad emanare le istruzioni tecniche e procedurali necessarie per la trasmissione dei flussi informativi ed attiveranno una sperimentazione operativa con un campione significativo di aziende, enti o amministrazioni, distinto per settori di attività o comparti, che dovrà concludersi entro il 30 settembre 2004. A decorrere dal 1° gennaio 2004, al fine di garantire il monitoraggio dei flussi finanziari relativi alle prestazioni sociali erogate, i datori di lavoro soggetti alla disciplina prevista dal decreto ministeriale 5 febbraio 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 13 marzo 1969, e successive modificazioni ed integrazioni, sono tenuti a trasmettere per via telematica le dichiarazioni di pertinenza dell'INPS, secondo le modalità stabilite dallo stesso Istituto (212).
9-bis. (213).
9-ter. Al comma 8 dell'articolo 41 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sono soppresse le parole: «di 6.667.000 euro per l'anno 2003». Al medesimo comma le parole: «di 10.467.000 euro per l'anno 2004 e di 3.800.000 euro per l'anno 2005» sono sostituite dalle seguenti: «di 6.400.000 euro per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007» (214).
9-quater. Le dotazioni del Fondo di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, sono incrementate nella misura di 2.600.000 euro per l'anno 2005 e di 6.400.000 euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007. All'onere per gli anni 2005, 2006 e 2007 si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dell'anno 2005 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'àmbito dell'unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo dicastero (215).
9-quinquies. I soggetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, e successive modificazioni, che non hanno presentato la domanda di accredito della contribuzione figurativa per i periodi anteriori al 1° gennaio 2003, secondo le modalità previste dal medesimo articolo 3 del citato decreto legislativo, possono esercitare tale facoltà entro il 31 marzo 2005 (216) (216/a).
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(203) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(204) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(205) Alinea così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(206) La presente lettera, sostituita dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sostituisce il secondo periodo del comma 1 dell'art. 14, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669.
(207) La presente lettera, modificata dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sostituisce il comma 1-bis dell'art. 14, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669.
(208) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(209) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(210) Comma prima modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326 e poi così sostituito dall'art. 1, D.L. 27 gennaio 2004, n. 16, come modificato dalla relativa legge di conversione.
(211) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(212) Comma così modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(213) Il presente comma, aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, sostituisce il comma 7 dell'art. 41, L. 27 dicembre 2002, n. 289.
(214) Comma aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(215) Comma aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(216) Comma aggiunto dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326 e poi così modificato dal comma 527 dell'art. 1, L. 30 dicembre 2004, n. 311. Vedi, anche, le altre disposizioni del citato comma 527.
(216/a) Nel presente articolo le espressioni «c.p.c.» e «art.» sono state sostituite, rispettivamente, dalle parole «del codice di procedura civile» e «articolo» dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326.
(omissis)
Dir. 84/450/CEE del 10 settembre 1984
Direttiva
del Consiglio
concernente la pubblicità ingannevole comparativa
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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 19 settembre 1984, n. L 250. Entrata in vigore il 13 settembre 1984.
(2) Termine di recepimento: 1° ottobre 1986. Direttiva recepita con D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74. Si veda anche il D.P.R. 10 ottobre 1996, n. 627.
(3) Titolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
Il Consiglio delle Comunità europee,
visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 100,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Parlamento europeo,
visto il parere del Comitato economico e sociale,
considerando che esistono grandi disparità delle disposizioni legislative vigenti negli Stati membri della Comunità economica europea in materia di pubblicità ingannevole; che la pubblicità si estende oltre i confini dei singoli Stati membri e che quindi ha un'incidenza diretta sull'instaurazione e sul funzionamento del mercato comune;
considerando che la pubblicità ingannevole può condurre ad una distorsione di concorrenza all'interno del mercato comune;
considerando che la pubblicità, indipendentemente dal fatto che essa porti o no alla conclusione di un contratto, influisce sulla situazione economica dei consumatori;
considerando che la pubblicità ingannevole può indurre il consumatore a prendere, quando acquisisce beni o si avvale di servizi, decisioni pregiudizievoli e che la disparità delle disposizioni nazionali e in molti casi all'origine non solo di una insufficiente tutela del consumatore ma ostacola anche la realizzazione di campagne pubblicitarie oltre i confini e quindi incide sulla libera circolazione di merci e servizi;
considerando che il secondo programma della Comunità economica europea per una politica di protezione e d'informazione del consumatore prevede l'adozione di misure atte a proteggere il consumatore dalla pubblicità ingannevole e sleale;
considerando che è nell'interesse del pubblico in generale, dei consumatori e di quanti svolgono, in regime di concorrenza, un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale nell'area del mercato comune armonizzare, in un primo tempo, le disposizioni nazionali in materia di tutela dalla pubblicità ingannevole e, in una seconda fase, prevedere una normativa in merito alla pubblicità sleale, nonché - se necessario - alla pubblicità comparativa, in base a proposte appropriate presentate dalla Commissione;
considerando che per conseguire tale obiettivo occorre fissare dei criteri minimi oggettivi in base ai quali si possa giudicare se una determinata forma di pubblicità è ingannevole;
considerando che le disposizioni legislative che gli Stati membri saranno chiamati ad emanare contro la pubblicità ingannevole dovranno essere idonee ed efficaci;
considerando che le persone o le organizzazioni che in base alla legislazione nazionale si considerano aventi un diritto o interesse legittimo nel caso di specie devono avere la possibilità di agire contro la pubblicità ingannevole davanti ad un Tribunale o ad un'autorità amministrativa avente la competenza di giudicare in merito ai ricorsi oppure di promuovere un'adeguata azione giudiziaria;
considerando che spetterebbe a ciascuno Stato membro decidere se autorizzare il Tribunale o l'organo amministrativo ad esigere che si ricorra in via preliminare ad altri mezzi previsti per risolvere le controversie;
considerando che i Tribunali o gli organi amministrativi devono avere il potere di ordinare ed ottenere la cessazione della pubblicità ingannevole;
considerando che in certi casi può essere opportuno vietare la pubblicità ingannevole anche prima che essa sia stata portata a conoscenza del pubblico; che tuttavia ciò non implica assolutamente che gli Stati membri siano tenuti ad istituire una regolamentazione che preveda un sistematico controllo preliminare della pubblicità;
considerando che occorrerebbe disporre procedimenti di urgenza i quali permettano di prendere provvedimenti con effetto provvisorio o definitivo;
considerando che, al fine di impedire che la pubblicità ingannevole continui a produrre effetti, può risultare opportuno ordinare la pubblicazione di decisioni pronunciate da tribunali od organi amministrativi e la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa;
considerando che gli organi amministrativi devono essere imparziali ed in determinate circostanze l'esercizio dei loro poteri deve poter formare oggetto di ricorso giurisdizionale;
considerando che i controlli volontari esercitati da organismi autonomi per eliminare la pubblicità ingannevole possono evitare azioni giudiziarie o ricorsi amministrativi e devono quindi essere incoraggiati;
considerando che l'operatore pubblicitario dovrebbe essere in grado di provare adeguatamente l'esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella sua pubblicità ed in determinati casi il Tribunale o l'organo amministrativo gli può chiedere di fornire tale prova;
considerando che la presente direttiva non deve opporsi al mantenimento o all'adozione da parte degli Stati membri di disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consumatori, delle persone che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in generale,
ha adottato la presente direttiva:
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Articolo 1 (4)
La presente direttiva ha lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.
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(4) Articolo inizialmente sostituito dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE e successivamente così sostituito dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
Articolo 2
Ai sensi della presente direttiva si intende per:
1) "pubblicità", qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi;
2) "pubblicità ingannevole", qualsiasi pubblicità che in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente;
2-bis) "pubblicità comparativa", qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente (5);
3) "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista (6);
4) "responsabile del codice": qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e della revisione di un codice di condotta e/o del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo (7).
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(5) Punto aggiunto dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
(6) Punto così sostituito dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
(7) Punto aggiunto dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
Articolo 3
Per determinare se la pubblicità sia ingannevole, se ne devono considerare tutti gli elementi, in particolare i suoi riferimenti:
a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità, la natura, esecuzione, composizione, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sui beni o sui servizi;
b) al prezzo o al modo in cui questo viene calcolato, e alle condizioni alle quali i beni o i servizi vengono forniti;
c) alla natura, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale ed i premi o riconoscimenti.
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Articolo 3-bis (8)
1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa
a) non sia ingannevole ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, e degli articoli 3 e 7, paragrafo 1 della presente direttiva o degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno;
b) confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
c) confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
d) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;
e) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
f) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
g) non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati;
h) non ingeneri confusione tra i professionisti, tra l'operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell'operatore pubblicitario e quelli di un concorrente.
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(8) Articolo aggiunto dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE e così sostituito dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
Articolo 4 (9)
1. Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere la pubblicità ingannevole e garantire l'osservanza delle disposizioni in materia di pubblicità comparativa nell'interesse sia dei professionisti sia dei concorrenti. Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali persone od organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse contrastare la pubblicità ingannevole o la regolamentazione della pubblicità comparativa possano:
a) promuovere un'azione giudiziaria contro tale pubblicità
o
b) sottoporre tale pubblicità al giudizio di un'autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un'adeguata azione giudiziaria.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere a quali di questi mezzi si debba ricorrere e se sia opportuno che l'organo giurisdizionale o amministrativo sia autorizzato ad esigere che si ricorra in via preliminare ad altri mezzi previsti per risolvere le controversie, compresi quelli di cui all'articolo 5.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere:
a) se le azioni giudiziarie possano essere promosse singolarmente o congiuntamente contro più professionisti dello stesso settore economico
e
b) se possano essere promosse nei confronti del responsabile del codice allorché il codice in questione incoraggia a non rispettare i requisiti di legge (10).
2. Nel contesto delle disposizioni giuridiche di cui al paragrafo 1 gli Stati membri conferiscono alle autorità giudiziarie o amministrative il potere, qualora ritengano che detti provvedimenti siano necessari, tenuto conto di tutti gli interessi in causa e in particolare dell'interesse generale:
- di far sospendere la pubblicità ingannevole o comparativa illecita oppure di avviare le azioni giudiziarie appropriate per fare ingiungere la sospensione di tale pubblicità, o
- qualora la pubblicità ingannevole o l'illecita pubblicità comparativa non sia stata ancora portata a conoscenza del pubblico, ma la pubblicazione ne sia imminente, di vietare tale pubblicità o di avviare le azioni giudiziarie appropriate per vietare tale pubblicità;
anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all'intenzionalità o alla negligenza da parte dell'operatore pubblicitario.
Gli Stati membri prevedono inoltre che i provvedimenti di cui al primo comma possano essere adottati nell'ambito di un procedimento d'urgenza
- con effetto provvisorio, oppure
- con effetto definitivo,
fermo restando che compete ad ogni Stato membro scegliere una delle due opzioni.
Inoltre, al fine di impedire che continui a produrre effetti la pubblicità ingannevole o comparativa illecita la cui sospensione sia stata ordinata con una decisione definitiva, gli Stati membri possono conferire alle autorità giudiziarie o amministrative il potere:
- di far pubblicare tale decisione per esteso, o in parte, e nella forma che ritengano opportuna,
- di far pubblicare inoltre, una dichiarazione rettificativa.
3. Le autorità amministrative di cui al paragrafo 1 devono:
a) essere composte in modo che la loro imparzialità non possa essere messa in dubbio;
b) avere i poteri necessari per vigilare e imporre in modo efficace l'esecuzione delle loro decisioni, quando esse decidono in merito ai ricorsi e
c) motivare, in linea di massima, le loro decisioni.
Allorché le competenze di cui al paragrafo 2 sono esercitate esclusivamente da una autorità amministrativa, le decisioni devono essere sempre motivate. Devono inoltre essere previste, in questo caso, procedure in base alle quali l'esercizio improprio o ingiustificato dei poteri dell'autorità amministrativa e le omissioni improprie o ingiustificate nell'esercizio dei poteri stessi possano essere oggetto di ricorso giurisdizionale.
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(9) Articolo così modificato dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
(10) Paragrafo così sostituito dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
Articolo 5 (11)
La presente direttiva non esclude il controllo volontario, che gli Stati membri possono incoraggiare, della pubblicità ingannevole o della pubblicità comparativa esercitato da organismi autonomi, né esclude che le persone o le organizzazioni di cui all'articolo 4 possano adire tali organismi qualora sia prevista una procedura dinanzi ad essi, oltre a quella giudiziaria o amministrativa di cui all'articolo 4.
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(11) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
Articolo 6
Gli Stati membri attribuiscono ai tribunali o agli organi amministrativi il potere, in occasione di un procedimento giurisdizionale civile o amministrativo, di cui all'articolo 4:
a) di esigere che l'operatore pubblicitario fornisca prove sull'esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità se, tenuto conto dei diritti o interessi legittimi dell'operatore pubblicitario e di qualsiasi altra parte nella procedura, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico e nel caso della pubblicità comparativa di esigere che l'operatore pubblicitario fornisca tali elementi entro un periodo di tempo breve (12);
b) di considerare inesatti i dati di fatto, se le prove richieste conformemente alla lettera a) non siano state fornite o siano ritenute insufficienti dal Tribunale o dall'organo amministrativo.
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(12) Lettera così sostituita dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
Articolo 7 (13)
1. La presente direttiva non si oppone al mantenimento o all'adozione da parte degli Stati membri di disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei professionisti e dei concorrenti (14).
2. Il paragrafo 1 non è applicabile alla pubblicità comparativa per quanto riguarda il confronto.
3. Le disposizioni della presente direttiva si applicano lasciando impregiudicate le disposizioni comunitarie applicabili alla pubblicità riguardante prodotti e/o servizi specifici oppure restrizioni o divieti relativi al contenuto pubblicitario di particolari mezzi di comunicazione di massa.
4. Le disposizioni della presente direttiva concernenti la pubblicità comparativa non obbligano gli Stati membri che, nel rispetto delle disposizioni del trattato, mantengono o introducono il divieto della pubblicità per taluni beni o servizi imposto direttamente o da un ente o un'organizzazione incaricati, ai sensi della legge degli Stati membri, di disciplinare l'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, a consentire la pubblicità comparativa per tali beni o servizi. Qualora tale divieto sia limitato a mezzi di comunicazione di massa particolari, la direttiva si applica ai mezzi di comunicazione che non sono coperti da tale divieto.
5. Nessuna disposizione della presente direttiva impedisce agli Stati membri, nel rispetto delle disposizioni del trattato, di mantenere o introdurre divieti o limitazioni dell'uso della pubblicità comparativa riguardante servizi professionali, imposti direttamente o da un ente o un'organizzazione incaricati, a norma della legislazione degli Stati membri, di disciplinare l'esercizio di un'attività professionale.
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(13) Articolo così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 97/55/CE.
(14) Paragrafo così sostituito dall'articolo 14 della direttiva 200/29/CE.
Articolo 8
Gli Stati membri mettono in vigore i provvedimenti necessari per conformarsi alla presente direttiva entro il 1° ottobre 1986 e ne informano immediatamente la Commissione. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo di tutte le disposizioni di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
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Articolo 9
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles, addì 10 settembre 1984.
Per il Consiglio
il presidente
P. O'Toole
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Dir. 85/577/CEE del 20 dicembre 1985
Direttiva
del Consiglio
per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali
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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 31 dicembre 1985, n. L 372.
(2) Termine di recepimento: 23 dicembre 1987. Direttiva recepita con D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50.
Il Consiglio delle Comunità europee,
visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 100,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Parlamento europeo,
visto il parere del comitato economico e sociale,
considerando che la conclusione di un contratto o di un impegno unilaterale tra un commerciante e un consumatore fuori dei locali commerciali di detto commerciante costituisce una prassi commerciale corrente negli Stati membri e che tali contratti o impegni unilaterali sono disciplinati da legislazioni differenti secondo gli Stati membri;
considerando che una disparità tra tali disposizioni legislative può avere un'incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune; che è pertanto necessario ravvicinare le disposizioni legislative vigenti in questo settore;
considerando che il programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e d'informazione del consumatore prevede tra l'altro, ai punti 24 e 25, che siano adottati provvedimenti per tutelare i consumatori contro pratiche commerciali abusive nel settore delle vendite a domicilio; che il secondo programma della Comunità economica europea per una politica di tutela e informazione dei consumatori ha confermato le azioni e le priorità del programma preliminare;
considerando che la caratteristica dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali del commerciante è che, di regola, il commerciante prende l'iniziativa delle trattative, il consumatore è impreparato di fronte a queste trattative e si trova preso di sorpresa; che il consumatore non ha spesso la possibilità di confrontare la qualità e il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte; che questo elemento di sorpresa è generalmente presente non soltanto nel caso di contratti conclusi a domicilio, ma anche in altre forme di contratti conclusi dal commerciante fuori dai propri locali;
considerando che è opportuno accordare al consumatore il diritto di rescissione da esercitarsi entro un termine non inferiore a sette giorni, per permettergli di valutare gli obblighi che derivano dal contratto;
considerando che occorre inoltre adottare opportuni provvedimenti affinché il consumatore sia informato per iscritto del suo diritto a disporre di questo periodo di riflessione;
considerando che non bisogna limitare la libertà degli Stati membri di mantenere o introdurre un divieto, totale o parziale, di concludere contratti fuori dei locali commerciali se ciò è fatto, a loro avviso, nell'interesse dei consumatori,
ha adottato la presente direttiva:
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Articolo 1
1. La presente direttiva si applica ai contratti stipulati tra un commerciante che fornisce beni o servizi e un consumatore:
- durante un'escursione organizzata dal commerciante al di fuori dei propri locali commerciali, o
- durante una visita del commerciante:
I) al domicilio del consumatore o a quello di un altro consumatore;
II) sul posto di lavoro del consumatore,
qualora la visita non abbia luogo su espressa richiesta del consumatore.
2. La presente direttiva si applica anche ai contratti per la fornitura di un bene o di un servizio, diversi dal bene o dal servizio per il quale il consumatore ha richiesto la visita del commerciante, purché il consumatore, al momento di sollecitare la visita, non sia stato al corrente, del fatto che la fornitura di quest'altro bene o servizio fa parte delle attività commerciali o professionali del commerciante.
3. La presente direttiva si applica inoltre ai contratti per i quali il consumatore abbia fatto un'offerta in condizioni analoghe a quelle specificate nel paragrafo 1 o nel paragrafo 2 senza essere per questo vincolato a tale offerta prima dell'accettazione della stessa da parte del commerciante.
4. La presente direttiva si applica anche alle offerte contrattuali effettuate dal consumatore in condizioni analoghe a quelle specificate al paragrafo 1 o al paragrafo 2, nel caso in cui il consumatore sia vincolato alla propria offerta.
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Articolo 2
Ai fini della presente direttiva si intende per:
- "consumatore", la persona fisica che, per le transazioni disciplinate dalla presente direttiva, agisce per un uso che può considerarsi estraneo alla propria attività professionale;
- "commerciante", la persona fisica o giuridica che, nel concludere la transazione in questione, agisce nell'ambito della propria attività commerciale o professionale, o la persona che agisce a nome o per conto di un commerciante.
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Articolo 3
1. Gli Stati membri possono decidere che la presente direttiva sia applicata ai soli contratti per i quali il controvalore che il consumatore deve pagare supera una data somma. Questa somma non può superare 60 ECU.
Il Consiglio, su proposta della Commissione, procede ogni due anni, per la prima volta quattro anni dopo la notifica della presente direttiva, all'esame ed eventualmente alla revisione di tale importo tenendo conto dell'evoluzione economica e monetaria intervenuta nella Comunità.
2. La presente direttiva non si applica:
a) ai contratti per la costruzione, vendita e locazione di beni immobili e ai contratti relativi ad altri diritti concernenti beni immobili.
Rientrano nel campo di applicazione della presente direttiva i contratti relativi alla fornitura di merci e alla loro incorporazione in beni immobili o i contratti relativi alla riparazione di beni immobili;
b) ai contratti relativi alla fornitura di prodotti alimentari o bevande o di altri prodotti di uso domestico corrente, consegnati da fattorini a scadenze frequenti e regolari;
c) ai contratti di fornitura di beni o servizi, purché rispondano ai seguenti tre criteri:
I) il contratto è concluso in base ad un catalogo del commerciante che il consumatore ha avuto modo di consultare senza la presenza del rappresentante del commerciante;
II) è prevista una continuità di contatto tra il rappresentante del commerciante e il consumatore in ordine a questa o a un'eventuale transazione successiva;
III) il catalogo ed il contratto fanno menzione esplicita al consumatore del suo diritto di restituire le merci al fornitore entro un termine di almeno 7 giorni dal loro ricevimento, o di rescindere il contratto entro gli stessi termini, senza alcun obbligo, salvo la debita cura delle merci;
d) ai contratti di assicurazione;
e) ai contratti relativi ai valori mobiliari.
3. In deroga all'articolo 1, paragrafo 2, gli Stati membri possono non applicare la presente direttiva ai contratti per la fornitura di un bene o di un servizio avente un rapporto diretto con il bene o il servizio per il quale il consumatore ha richiesto la visita del commerciante.
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Articolo 4
Il commerciante deve informare per iscritto il consumatore, nel caso di transazioni contemplate all'articolo 1, del suo diritto di rescindere il contratto entro i termini di cui all'articolo 5, nonché del nome e indirizzo della persona nei cui riguardi può essere esercitato tale diritto.
Detta informazione deve recare una data e menzionare gli elementi che permettono d'individuare il contratto.
Essa è consegnata al consumatore:
a) nel momento della stipulazione del contratto nel caso dell'articolo 1, paragrafo 1;
b) non oltre la stipulazione del contratto nel caso dell'articolo 1, paragrafo 2;
c) al momento della formulazione dell'offerta da parte del consumatore nel caso dell'articolo 1, paragrafi 3 e 4.
Gli Stati membri fanno sì che la loro legislazione nazionale preveda misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l'informazione di cui al presente articolo.
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Articolo 5
1. Il consumatore ha il diritto di rescindere il proprio impegno indirizzando una comunicazione entro un termine di almeno 7 giorni dal momento in cui ha ricevuto l'informazione di cui all'articolo 4, e secondo le modalità e condizioni prescritte dalla legislazione nazionale. Per l'osservanza del termine è sufficiente che la comunicazione sia inviata prima della scadenza del termine stesso.
2. Con l'invio della comunicazione il consumatore è liberato da tutte le obbligazioni derivanti dal contratto rescisso.
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Articolo 6
Il consumatore non può rinunciare ai diritti conferitigli a norma della presente direttiva.
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Articolo 7
Qualora il consumatore eserciti il proprio diritto di rescissione, gli effetti giuridici del recesso sono disciplinati a norma della legislazione nazionale, in particolare per quanto riguarda il rimborso dei pagamenti relativi a beni o a prestazioni di servizi, nonché la restituzione di merci ricevute.
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Articolo 8
La presente direttiva non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato.
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Articolo 9
1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di 24 mesi a decorrere dalla sua notifica (3) e ne informano immediatamente la Commissione.
2. Gli Stati membri provvedono a comunicare alla commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
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(3) La presente direttiva è stata notificata agli Stati membri il 23 dicembre 1985.
Articolo 10
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles, addì 20 dicembre 1985.
Per il Consiglio
il presidente
R. Krieps
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Dir. 97/7/CE del 20 maggio 1997
Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio
riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza
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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 4 giugno 1997, n. L 144. Entrata in vigore il 4 giugno 1997.
(2) Termine di recepimento: 4 maggio 2000. Direttiva recepita con D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 185.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 100A,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale,
deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B del trattato,
visto il progetto comune approvato dal comitato di conciliazione il 27 novembre 1996,
(1) considerando che è necessario, nell'ambito della realizzazione degli obiettivi del mercato interno, adottare le misure intese a consolidare progressivamente tale mercato;
(2) considerando che la libera circolazione delle merci e dei servizi riguarda non soltanto il commercio professionale ma altresì i privati; che essa implica per i consumatori la possibilità di accedere alle merci e ai servizi di un altro Stato membro alle stesse condizioni della popolazione di tale Stato;
(3) considerando che la vendita transfrontaliera a distanza può rappresentare per i consumatori una delle principali manifestazioni concrete della realizzazione del mercato interno, come è stato constatato, tra l'altro, nella comunicazione della Commissione al Consiglio "Verso un mercato unico della distribuzione"; che è indispensabile per il buon funzionamento del mercato interno che i consumatori possano rivolgersi ad un'impresa situata fuori del proprio paese, benché quest'ultima disponga di una filiale nel paese di residenza del consumatore;
(4) considerando che l'introduzione di nuove tecnologie comporta una moltiplicazione dei mezzi messi a disposizione dei consumatori per conoscere le offerte fatte dovunque nella Comunità e per fare le loro ordinazioni; che taluni Stati membri hanno già adottato disposizioni differenti o divergenti per la protezione dei consumatori nelle vendite a distanza con effetti negativi sulla concorrenza tra le imprese nel mercato unico; che è quindi necessario introdurre un minimo di regole comuni a livello comunitario in questo settore;
(5) considerando che i punti 18 e 19 dell'allegato alla risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975 riguardante un programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore enunciano la necessità di proteggere gli acquirenti di beni o di servizi contro richieste di pagamento di merci non ordinate e contro i metodi aggressivi di vendita;
(6) considerando che la comunicazione della Commissione al Consiglio dal titolo "Nuovo impulso alla politica di protezione del consumatore", approvata dalla risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986, annunciava al punto 33 che la Commissione avrebbe presentato proposte riguardanti l'impiego delle nuove tecnologie di informazione che consentono ai consumatori di fare a domicilio ordinazioni a un fornitore;
(7) considerando che la risoluzione del Consiglio del 9 novembre 1989 sulle future priorità per il rilancio della politica di protezione dei consumatori invita la Commissione a rivolgere i suoi sforzi in via prioritaria ai settori indicati nell'allegato; che questo allegato menziona le nuove tecnologie che consentono la vendita a distanza; che la Commissione ha dato seguito a questa risoluzione con l'adozione di un "piano d'azione triennale per la politica di protezione dei consumatori nella CEE (1990-1992)" e che detto piano prevede l'adozione di una direttiva in materia;
(8) considerando che l'uso delle lingue in materia di contratti a distanza rientra nelle competenze degli Stati membri;
(9) considerando che il contratto negoziato a distanza è caratterizzato dall'impiego di una o più tecniche di comunicazione a distanza; che queste diverse tecniche sono utilizzate nell'ambito di un sistema organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza che vi sia la presenza simultanea del fornitore e del consumatore; che la costante evoluzione di queste tecniche non consente di redigerne un elenco esaustivo ma richiede che vengano definiti principi validi anche per quelle tecniche che sono ancora poco impiegate;
(10) considerando che una medesima transazione comprendente prestazioni successive o altri atti di esecuzione periodica può dare adito a qualificazioni giuridiche diverse, a seconda delle legislazioni degli Stati membri; che, fatta salva la facoltà degli Stati membri di ricorrere all'articolo 14, le disposizioni della presente direttiva non possono essere applicate in modo difforme, in funzione delle legislazioni degli Stati membri; che, a tal fine, appare pertanto legittimo prevedere che debba esserci conformità con le disposizioni della presente direttiva almeno in occasione della prima di una serie di prestazioni successive o del primo di altri atti di esecuzione periodica che possano ritenersi un tutt'uno, sia che detta prestazione o serie di prestazioni costituiscano l'oggetto di un contratto singolo ovvero di contratti successivi e distinti;
(11) considerando che l'impiego di tecniche di comunicazione a distanza non deve portare ad una diminuzione dell'informazione fornita al consumatore; che è necessario pertanto determinare le informazioni che devono essere obbligatoriamente trasmesse al consumatore a prescindere dalla tecnica di comunicazione impiegata; che l'informazione trasmessa deve inoltre conformarsi alle altre regole comunitarie pertinenti ed in particolare alla direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole; che, in caso di eccezioni all'obbligo di fornire informazioni, è lasciato alla discrezionalità del consumatore se chiedere alcune informazioni di base quali l'identità del fornitore, le caratteristiche principali dei beni o servizi ed il loro prezzo;
(12) considerando che in caso di comunicazione telefonica è opportuno che il consumatore ottenga sufficienti informazioni all'inizio della conversazione per decidere se continuare o meno;
(13) considerando che l'informazione diffusa da talune tecnologie elettroniche ha spesso un carattere effimero in quanto essa non è ricevuta su un supporto durevole; che è necessario che il consumatore riceva, in tempo utile, per iscritto, informazioni necessarie ai fini della buona esecuzione del contratto;
(14) considerando che il consumatore non ha in concreto la possibilità di visionare il bene o di prendere conoscenza della natura del servizio prima della conclusione del contratto; che si dovrebbe prevedere un diritto di recesso, a meno che la presente direttiva non disponga diversamente; che è necessario limitare ai costi diretti di spedizione dei beni al mittente gli oneri - qualora ve ne siano - derivanti al consumatore dall'esercizio del diritto di recesso, che altrimenti resterà formale; che questo diritto di recesso lascia impregiudicati i diritti del consumatore previsti dalla legislazione nazionale, con particolare riferimento alla ricezione di beni deteriorati o servizi alterati o di servizi e beni non corrispondenti alla descrizione contenuta nell'offerta di tali prodotti o servizi; che spetta agli Stati membri determinare le altre condizioni e modalità relative all'esercizio del diritto di recesso;
(15) considerando che è necessario altresì prevedere un termine di esecuzione del contratto qualora esso non sia stato stabilito all'atto dell'ordinazione;
(16) considerando che la tecnica promozionale consistente nell'invio al consumatore di un prodotto o nella fornitura di un servizio a titolo oneroso senza richiesta preliminare o accordo esplicito da parte sua non può essere accettata, sempreché non si tratti di una fornitura di sostituzione;
(17) considerando che occorre tener presenti i principi sanciti dagli articoli 8 e 10 della Convenzione europea, del 4 novembre 1950, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; che occorre riconoscere al consumatore un diritto alla protezione della vita privata, segnatamente per quanto concerne la tranquillità rispetto a talune tecniche di comunicazione particolarmente invadenti e che occorre pertanto precisare i limiti specifici all'impiego di tali tecniche; che gli Stati membri dovrebbero adottare opportune misure per proteggere efficacemente da siffatti contatti i consumatori che hanno dichiarato di non voler essere contattati tramite determinate tecniche di comunicazione, ferma restando la tutela specifica prevista per i consumatori a norma della legislazione comunitaria relativa alla protezione dei dati personali e della vita privata;
(18) considerando che è importante che le regole fondamentali vincolanti della presente direttiva siano completate, ove opportuno, da regole di autodisciplina professionale conformemente alla raccomandazione 92/295/CEE della Commissione, del 7 aprile 1992, relativa a codici di comportamento per la tutela dei consumatori in materia di contratti negoziati a distanza;
(19) considerando che, ai fini di una tutela ottimale dei consumatori, è importante che il consumatore sia sufficientemente informato sulle disposizioni della presente direttiva e sugli eventuali codici di comportamento esistenti in materia;
(20) considerando che il mancato rispetto delle disposizioni della presente direttiva può recare pregiudizio ai consumatori ma anche ai concorrenti; che si possono quindi prevedere disposizioni che consentano di vigilare sulla sua applicazione a organismi pubblici o al loro rappresentante, o a organizzazioni di consumatori che secondo la legislazione nazionale abbiano un legittimo interesse a proteggere i consumatori, oppure a organizzazioni professionali titolari di un legittimo interesse ad agire;
(21) considerando che, ai fini della tutela dei consumatori, è importante affrontare non appena possibile la questione dei reclami transfrontalieri; che il 14 febbraio 1996 la Commissione ha pubblicato un piano d'azione sull'accesso dei consumatori alla giustizia e sulla risoluzione delle controversie in materia di consumo nell'ambito del mercato interno; che tale piano d'azione prevede iniziative specifiche per la promozione dei procedimenti extragiudiziali; che sono stabiliti criteri oggettivi (allegato II) per garantire l'affidabilità dei procedimenti suddetti ed è previsto l'uso di moduli di reclamo standardizzati (allegato III);
(22) considerando che nell'impiego delle nuove tecnologie il consumatore non ha padronanza della tecnica; che è pertanto necessario prevedere che l'onere della prova possa incombere al fornitore;
(23) considerando che in taluni casi esiste il rischio di privare il consumatore della protezione accordata dalla presente direttiva designando il diritto di un paese terzo come diritto applicabile al contratto; che pertanto occorre prevedere nella presente direttiva disposizioni intese ad evitare tale rischio;
(24) considerando che uno Stato membro può vietare, per motivi di interesse generale, la commercializzazione sul suo territorio, tramite contratti negoziati a distanza, di taluni prodotti e servizi; che questo divieto deve avvenire nel rispetto delle regole comunitarie; che tali divieti sono già previsti, in particolare in materia di medicinali, dalla direttiva 89/552/CEE del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive e dalla direttiva 92/28/CEE del Consiglio, del 31 marzo 1992, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano,
hanno adottato la presente direttiva:
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Articolo 1
Oggetto
La presente direttiva ha come oggetto di ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri riguardanti i contratti a distanza tra consumatori e fornitori.
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Articolo 2
Definizioni
Ai fini della presente direttiva si intende per:
1) contratto a distanza: qualunque contratto avente per oggetto beni o servizi stipulato tra un fornitore e un consumatore nell'ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal fornitore che, per tale contratto, impieghi esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso;
2) consumatore: qualunque persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;
3) fornitore: qualunque persona fisica o giuridica che nei contratti in parola agisca nel quadro della sua attività professionale;
4) tecnica di comunicazione a distanza: qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra dette parti; un elenco indicativo delle tecniche contemplate dalla presente direttiva è riportato nell'allegato I;
5) operatore di tecnica di comunicazione: qualunque persona fisica o giuridica, pubblica o privata, la cui attività professionale consista nel mettere a disposizione dei fornitori una o più tecniche di comunicazione a distanza.
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Articolo 3
Eccezioni
1. La presente direttiva non si applica ai contratti:
- relativi a un servizio finanziario cui si applica la direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica le direttive 90/619/CEE del Consiglio, 97/7/CE e 98/27/CE (3);
- conclusi tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati;
- conclusi con gli operatori delle telecomunicazioni impiegando telefoni pubblici;
- conclusi per la costruzione e la vendita di beni immobili, ovvero ai contratti riguardanti altri diritti relativi a beni immobili, ad eccezione della locazione;
- conclusi in occasione di una vendita all'asta.
2. Gli articoli 4, 5, 6 e l'articolo 7, paragrafo 1 non si applicano:
- ai contratti di fornitura di generi alimentari, di bevande o di altri beni per uso domestico di consumo corrente forniti al domicilio di un consumatore, al suo luogo di residenza o al suo luogo di lavoro, da distributori che effettuano giri frequenti e regolari;
- ai contratti di fornitura di servizi relativi all'alloggio, ai trasporti, alla ristorazione, al tempo libero, quando all'atto della conclusione del contratto il fornitore si impegna a fornire tali prestazioni ad una data determinata o in un periodo prestabilito; in caso di attività ricreative all'aperto il fornitore può, in via d'eccezione, riservarsi il diritto di non applicare l'articolo 7, paragrafo 2, in casi specifici.
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(3) Trattino così sostituito dall'articolo 18 della direttiva 2002/65/CE.
Articolo 4
Informazioni preliminari
1. In tempo utile prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere le seguenti informazioni:
a) identità del fornitore e, in caso di contratti che prevedono il pagamento anticipato, indirizzo del fornitore;
b) caratteristiche essenziali del bene o del servizio;
c) prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse o imposte;
d) eventuali spese di consegna;
e) modalità di pagamento, consegna o esecuzione del contratto;
f) esistenza del diritto di recesso, tranne nei casi di cui all'articolo 6, paragrafo 3;
g) costo dell'utilizzo della tecnica di comunicazione a distanza, quando è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base;
h) durata della validità dell'offerta o del prezzo;
i) se del caso, durata minima del contratto in caso di contratti per la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi di esecuzione continuata o periodica.
2. Le informazioni di cui al paragrafo 1, il cui scopo commerciale deve essere inequivocabile, devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile, con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza impiegata, osservando in particolare i principi di lealtà in materia di transazioni commerciali e di protezione di coloro che secondo le disposizioni legislative degli Stati membri sono incapaci di manifestare il loro consenso, come ad esempio i minori.
3. Inoltre, in caso di comunicazioni telefoniche, l'identità del fornitore e lo scopo commerciale della telefonata devono essere dichiarati in modo inequivocabile all'inizio di qualsiasi conversazione telefonica con il consumatore.
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Articolo 5
Conferma scritta delle informazioni
1. Il consumatore deve ricevere conferma per iscritto o su altro supporto duraturo a sua disposizione ed a lui accessibile delle informazioni previste all'articolo 4, paragrafo 1, lettere da a) ad f), in tempo utile all'atto dell'esecuzione del contratto e al più tardi al momento della consegna per quanto riguarda i beni non destinati ad essere consegnati a terzi, a meno che esse non gli siano già state fornite, per iscritto o sull'altro supporto duraturo, a sua disposizione ed a lui accessibile prima della conclusione del contratto.
Devono comunque essere forniti:
- un'informazione scritta sulle condizioni e le modalità di esercizio del diritto di recesso ai sensi dell'articolo 6, inclusi i casi di cui all'articolo 6, paragrafo 3, primo trattino;
- l'indirizzo geografico della sede del fornitore a cui il consumatore può presentare reclami;
- informazioni sui servizi di assistenza e sulle garanzie commerciali esistenti;
- le condizioni di recesso dal contratto in caso di durata indeterminata o di durata superiore ad un anno.
2. Il paragrafo 1 non si applica ai servizi la cui esecuzione è effettuata mediante una tecnica di comunicazione a distanza, qualora siano forniti in un'unica soluzione e siano fatturati dall'operatore della tecnica di comunicazione. Ciò nondimeno, il consumatore deve comunque poter disporre dell'indirizzo geografico della sede del fornitore a cui può presentare reclami.
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Articolo 6
Diritto di recesso
1. Per qualunque contratto negoziato a distanza il consumatore ha diritto di recedere entro un termine di almeno sette giorni lavorativi senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all'esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente.
Per l'esercizio di questo diritto, il termine decorre:
- per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore ove siano stati soddisfatti gli obblighi di cui all'articolo 5;
- per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto o dal giorno in cui sono stati soddisfatti gli obblighi di cui all'articolo 5, qualora ciò avvenga dopo la conclusione del contratto purché il termine non superi il termine di tre mesi di cui al comma seguente.
Nel caso in cui il fornitore non abbia soddisfatto gli obblighi di cui all'articolo 5, il termine sarà di tre mesi. Tale termine decorre:
- per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore;
- per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto.
Se le informazioni di cui all'articolo 5 sono fornite entro tale termine di tre mesi, il consumatore disporrà da tale momento del termine di almeno sette giorni lavorativi, di cui al primo comma.
2. Se il diritto di recesso è stato esercitato dal consumatore conformemente al presente articolo, il fornitore è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, che dovrà avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all'esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. Tale rimborso deve avvenire nel minor tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni.
3. Salvo diverso accordo tra le parti, il consumatore non può esercitare il diritto di recesso previsto nel paragrafo 1 per i contratti:
- di fornitura di servizi la cui esecuzione sia iniziata, con l'accordo del consumatore, prima della scadenza del termine di sette giorni lavorativi, previsto al paragrafo 1;
- di fornitura di beni o servizi il cui prezzo è legato a fluttuazioni dei tassi del mercato finanziario che il fornitore non è in grado di controllare;
- di fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati o che, per loro natura, non possono essere rispediti o rischiano di deteriorarsi o alterarsi rapidamente;
- di fornitura di registrazioni audio e video, o di software informatici sigillati, aperti dal consumatore;
- di fornitura di giornali, periodici e riviste;
- di servizi di scommesse e lotterie.
4. Gli Stati membri prevedono nella loro legislazione che:
- se il prezzo di un bene o di un servizio è interamente o parzialmente coperto da un credito, concesso dal fornitore, o
- se il prezzo è interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore da terzi in base ad un accordo tra questi e il fornitore,
il contratto di credito sia risolto di diritto, senza alcuna penalità, qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso conformemente al paragrafo 1.
Gli Stati membri determinano le modalità di risoluzione del contratto di credito.
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Articolo 7
Esecuzione del contratto
1. Salvo diverso accordo tra le parti, il fornitore deve eseguire l'ordinazione entro trenta giorni a decorrere dal giorno successivo a quello in cui il consumatore ha trasmesso l'ordinazione al fornitore.
2. In caso di mancata esecuzione del contratto da parte di un fornitore, dovuta alla mancata disponibilità del bene o del servizio richiesto, il consumatore ne deve essere informato e deve poter essere rimborsato quanto prima delle somme eventualmente pagate ed in ogni caso entro trenta giorni.
3. Tuttavia gli Stati membri possono prevedere che il fornitore possa consegnare al consumatore un bene o un servizio di qualità e prezzo equivalenti, qualora sia stata prevista questa possibilità prima della conclusione del contratto, o nel contratto. Il consumatore deve essere informato di tale possibilità in modo chiaro e comprensibile. Le spese di rinvio conseguenti all'esercizio del diritto di recesso sono, in questo caso, a carico del fornitore ed il consumatore deve esserne informato. In al caso la fornitura di un bene o di un servizio non può essere assimilata ad una fornitura non richiesta ai sensi dell'articolo 9.
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Articolo 8
Pagamento mediante carta
Gli Stati membri accertano che esistano misure appropriate affinché:
- il consumatore possa chiedere l'annullamento di un pagamento in caso di utilizzazione fraudolenta della sua carta di pagamento nell'ambito di contratti a distanza cui si applica la presente direttiva;
- in caso di utilizzazione fraudolenta, le somme versate a titolo di pagamento vengano riaccreditate o restituite al consumatore.
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Articolo 9 (4)
Fornitura non richiesta
Considerato il divieto delle pratiche di fornitura non richiesta stabilito dalla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per dispensare il consumatore da qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta, fermo restando che l'assenza di risposta non implica consenso.
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(4) Articolo così sostituito dall'articolo 15 della direttiva 2005/29/CE.
Articolo 10
Limiti all'impiego di talune tecniche di comunicazione a distanza
1. L'impiego da parte di un fornitore delle tecniche riportate in appresso richiede il consenso preventivo del consumatore:
- sistema automatizzato di chiamata senza intervento di un operatore (dispositivo automatico di chiamata),
- fax (telecopia).
2. Gli Stati membri si accertano che le tecniche di comunicazione a distanza diverse da quelle di cui al paragrafo 1, qualora consentano una comunicazione individuale, possano essere impiegate solo se il consumatore non si dichiara esplicitamente contrario.
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Articolo 11
Ricorso giudiziario o amministrativo
1. Gli Stati membri accertano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni nazionali per l'attuazione della presente direttiva nell'interesse dei consumatori.
2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano di adire secondo il diritto nazionale i tribunali o gli organi amministrativi competenti per fare applicare le disposizioni nazionali per l'attuazione della presente direttiva ad uno o più dei seguenti organismi:
a) organismi pubblici o loro rappresentanti,
b) organizzazioni di consumatori aventi un legittimo interesse a tutelare i consumatori,
c) organizzazioni professionali aventi un legittimo interesse ad agire.
3. a) Gli Stati membri possono stabilire che l'onere della prova dell'esistenza di un'informazione preliminare, di una conferma scritta, o del rispetto dei termini e del consenso del consumatore può essere a carico del fornitore.
b) Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché i fornitori e gli operatori di tecniche di comunicazione pongano fine alle pratiche non conformi alle disposizioni adottate in applicazione della presente direttiva quando siano in grado di farlo.
4. Gli Stati membri possono prevedere che il controllo volontario del rispetto delle disposizioni della presente direttiva da parte di organismi autonomi ed il ricorso a tali organismi per la composizione di controversie si aggiungano ai mezzi che gli Stati membri debbono prevedere per assicurare il rispetto delle disposizioni della presente direttiva.
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Articolo 12
Carattere imperativo delle disposizioni
1. Il consumatore non può rinunciare ai diritti conferitigli in virtù del recepimento della presente direttiva nel diritto nazionale.
2. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della tutela assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legge di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno o più Stati membri.
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Articolo 13
Norme comunitarie
1. Le disposizioni della presente direttiva si applicano nella misura in cui non esistano, nell'ambito della normativa comunitaria, disposizioni particolari che disciplinano globalmente taluni contratti a distanza.
2. Quando una normativa comunitaria specifica contiene disposizioni che disciplinano solo determinati aspetti della fornitura di beni o della prestazione di servizi, tali disposizioni, e non le disposizioni della presente direttiva, sono applicabili per detti aspetti specifici del contratto negoziato a distanza.
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Articolo 14
Clausola minima
Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe compatibili con il trattato, per garantire al consumatore un livello di protezione più elevato. Dette disposizioni comprendono, se del caso, il divieto, per ragioni d'interesse generale, della commercializzazione nel loro territorio di taluni beni o servizi, in particolare i medicinali, mediante contratti a distanza, nel rispetto del trattato.
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Articolo 15
Attuazione
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro tre anni dalla sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
2. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni legislative interne che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
4. Al più tardi entro un termine di quattro anni dall'entrata in vigore della presente direttiva la Commissione presenta al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione sull'applicazione della stessa, corredata, se del caso, di una proposta di revisione.
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Articolo 16
Informazione del consumatore
Gli Stati membri adottano misure appropriate per informare il consumatore della legge nazionale che recepisce la presente direttiva ed incoraggiano, se del caso, le organizzazioni professionali ad informare i consumatori dei loro codici di autoregolazione.
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Articolo 17
Sistema di reclami
La Commissione studia l'attuabilità dell'istituzione di mezzi efficaci per rispondere ai reclami dei consumatori in materia di vendite a distanza. Entro due anni dall'entrata in vigore della presente direttiva la Commissione riferisce al Parlamento europeo e al Consiglio in merito all'esito dello studio e presenta, se del caso, proposte in merito.
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Articolo 18
La presente direttiva entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.
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Articolo 19
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles, addì 20 maggio 1997.
Per il Parlamento europeo
il presidente
J.M. Gil-Robles
Per il Consiglio
il presidente
J. Van Aartsen
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Allegato I
Tecniche di comunicazione di cui all'articolo 2, punto 4
- Stampati senza indirizzo
- Stampati con indirizzo
- Lettera circolare
- Pubblicità stampa con buono d'ordine
- Catalogo
- Telefono con intervento di un operatore
- Telefono senza intervento di un operatore (dispositivo automatico di chiamata, audiotext)
- Radio
- Videotelefono (telefono con immagine)
- Teletext (microcomputer, schermo di televisore) con tastiera o schermo sensibile al tatto
- Posta elettronica
- Fax
- Televisione (teleacquisto, televendita)
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Allegato II
Servizi finanziari di cui all'articolo 3, paragrafo 1
[- Servizi d'investimento
- Operazioni di assicurazione e di riassicurazione
- Servizi bancari
- Operazioni riguardanti fondi di pensione
- Servizi riguardanti operazioni a termine o di opzione.
Tali servizi comprendono in particolare:
- i servizi di investimento di cui all'allegato della direttiva 93/22/CEE; i servizi di società di investimenti collettivi;
- i servizi che rientrano nelle attività che beneficiano del riconoscimento reciproco cui si applica l'allegato della seconda direttiva 89/646/CEE;
- le operazioni che rientrano nelle attività di assicurazione e riassicurazione di cui:
- all'articolo 1 della direttiva 73/239/CEE;
- all'allegato della direttiva 79/267/CEE;
- alla direttiva 64/225/CEE;
- alle direttive 92/49/CEE e 92/96/CEE.] (5).
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(5) Allegato soppresso dall'articolo 18 della direttiva 2002/65/CE.
Dichiarazione del Consiglio e del Parlamento europeo sull'articolo 6, paragrafo 1
Il Consiglio e il Parlamento europeo prendono atto che la Commissione esaminerà la possibilità e l'opportunità di armonizzare il metodo di calcolo del periodo di riflessione previsto nella normativa vigente in materia di protezione dei consumatori, soprattutto nella direttiva 85/577/CEE del 20 dicembre 1985 per la protezione dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (vendita a domicilio).
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Dichiarazione della Commissione sull'articolo 3, paragrafo 1, primo trattino
La Commissione ammette l'importanza che riveste la protezione dei consumatori in caso di contratti a distanza per la prestazione di servizi finanziari e in considerazione di ciò ha elaborato un libro verde "Servizi finanziari: come soddisfare le aspettative dei consumatori". In base ai risultati ottenuti dal libro verde, la Commissione esaminerà le modalità e le possibilità di inserire la protezione dei consumatori nella politica dei servizi finanziari e le eventuali implicazioni legislative e, se del caso, presenterà proposte adeguate.
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Dir. 98/27/CE del 19 maggio 1998
Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori
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(1) Pubblicata nella G.U.C.E. 11 giugno 1998, n. L 166. Entrata in vigore il 1° luglio 1998.
(2) Termine di recepimento: vedi articolo 8 della presente direttiva. Direttiva recepita con L. 30 luglio 1998, n. 281 e con D.Lgs. 23 aprile 2001, n. 224. Vedi, anche, la L. 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001).
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 100 A,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale,
deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 189 B del trattato,
(1) considerando che alcune direttive, il cui elenco figura nell'allegato della presente direttiva, stabiliscono regole in materia di tutela degli interessi dei consumatori;
(2) considerando che i meccanismi esistenti attualmente sia sul piano nazionale che su quello comunitario per assicurare il rispetto di tali direttive non sempre consentono di porre termine tempestivamente alle violazioni che ledono gli interessi collettivi dei consumatori; che per interessi collettivi si intendono gli interessi che non ricomprendono la somma degli interessi di individui lesi da una violazione; che ciò non pregiudica i ricorsi e le azioni individuali proposti da privati lesi da una violazione;
(3) considerando che, al fine di far cessare pratiche illecite in base alle disposizioni nazionali applicabili, l'efficacia delle misure nazionali che recepiscono le direttive summenzionate incluse le misure di tutela che vanno oltre il livello prescritto dalle direttive stesse, purché siano compatibili con il trattato e autorizzate da tali direttive, può essere ostacolata allorché tali pratiche producono effetti in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno origine;
(4) considerando che tali difficoltà nuocciono al corretto funzionamento del mercato interno, in quanto basta trasferire il punto di partenza di una pratica illecita per essere al riparo da qualsiasi forma di applicazione della legge e che ciò costituisce una distorsione della concorrenza;
(5) considerando che queste stesse difficoltà sono tali da intaccare la fiducia dei consumatori nel mercato interno e possono limitare la portata dell'azione delle organizzazioni rappresentative degli interessi collettivi dei consumatori o degli organismi pubblici indipendenti, specificamente preposti alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori, i quali sono lesi da una pratica che viola il diritto comunitario;
(6) considerando che le pratiche menzionate travalicano spesso le frontiere tra gli Stati membri; che è quindi necessario e urgente ravvicinare in una certa misura le disposizioni nazionali che consentono di far cessare dette pratiche illecite a prescindere dal paese in cui la pratica illecita ha prodotto effetti; che, per quanto riguarda la giurisdizione, ciò non deve ostare all'applicazione delle regole del diritto internazionale privato e delle convenzioni in vigore tra gli Stati membri, tenendo conto tuttavia degli obblighi generali imposti agli Stati membri dal trattato, in particolare quelli connessi al corretto funzionamento del mercato interno;
(7) considerando che l'obiettivo dell'iniziativa prevista può essere realizzato soltanto dalla Comunità e che spetta quindi ad essa agire;
(8) considerando che l'articolo 3 B, terzo comma, del trattato impone al legislatore comunitario di non andare al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato; che, a norma di tale articolo, è importante tenere conto per quanto possibile delle peculiarità dei sistemi giuridici nazionali accordando agli Stati membri la possibilità di scegliere tra diverse alternative aventi effetti equivalenti; che gli organi giurisdizionali o le autorità amministrative competenti a pronunciarsi sui ricorsi o le azioni di cui all'articolo 2 della presente direttiva hanno il diritto di esaminare gli effetti delle decisioni precedenti;
(9) considerando che una di tali alternative dovrebbe prevedere che uno o più organismi pubblici indipendenti specificamente preposti alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori esercitino i diritti di ricorso e di azione contemplati dalla presente direttiva; che un'altra alternativa dovrebbe prevedere l'esercizio di tali diritti ad opera delle organizzazioni il cui scopo è la tutela degli interessi collettivi dei consumatori secondo i criteri stabiliti dalla legislazione nazionale;
(10) considerando che gli Stati membri dovrebbero essere in grado di scegliere una delle due alternative oppure cumularle nel designare sul piano nazionale gli organismi e/o le organizzazioni legittimati ai fini della presente direttiva;
(11) considerando che, per quanto riguarda le violazioni intracomunitarie, il principio del riconoscimento reciproco dovrebbe essere applicato a tali organismi e/o organizzazioni; che gli Stati membri, su richiesta dei loro enti nazionali, dovrebbero comunicare alla Commissione la denominazione e lo scopo degli enti nazionali legittimati a promuovere ricorsi o azioni nei rispettivi paesi in base alle disposizioni della presente direttiva;
(12) considerando che è compito della Commissione assicurare la pubblicazione dell'elenco di questi enti legittimati sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee; che, fino alla pubblicazione di una dichiarazione contraria, si presume che un ente legittimato abbia capacità di agire;
(13) considerando che gli Stati membri dovrebbero poter prevedere un obbligo di consultazione preliminare a carico della parte che intende chiedere un provvedimento inibitorio, onde consentire alla parte convenuta di porre termine alla violazione contestata; che gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere che tale consultazione preliminare avvenga congiuntamente con un organismo pubblico indipendente designato dagli Stati membri interessati;
(14) considerando che nel caso in cui gli Stati membri stabiliscono che è necessaria una consultazione preliminare, occorre definire un termine massimo di due settimane successive alla ricezione della richiesta di consultazione al di là del quale, qualora non venga posto termine alla violazione, l'ente qualificato interessato ha il diritto di adire senza indugio l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa competente;
(15) considerando che è opportuno che la Commissione riferisca in merito al funzionamento della presente direttiva e, in particolare, sul suo campo di applicazione e sull'esercizio della consultazione preliminare;
(16) considerando che l'applicazione della presente direttiva non dovrebbe ostare all'applicazione delle regole comunitarie in materia di concorrenza,
hanno adottato la presente direttiva:
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Articolo 1
Campo d'applicazione.
1. La presente direttiva ha per oggetto il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative ai provvedimenti inibitori di cui all'articolo 2 volti a tutelare gli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle direttive riportate in allegato, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno.
2. Ai fini della presente direttiva per violazione si intende qualsiasi atto contrario alle disposizioni delle direttive riportate in allegato, così come recepite nell'ordinamento interno degli Stati membri, che leda gli interessi collettivi di cui al paragrafo 1.
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Articolo 2
Provvedimenti inibitori.
1. Gli Stati membri designano gli organi giurisdizionali o le autorità amministrative competenti a deliberare su ricorsi o azioni proposti dagli enti legittimati a norma dell'articolo 3 ai seguenti fini:
a) ordinare con la debita sollecitudine e, se del caso, con procedimento d'urgenza, la cessazione o l'interdizione di qualsiasi violazione;
b) se del caso, prevedere misure quali la pubblicazione, integrale o parziale, della decisione, in una forma ritenuta adeguata e/o la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa al fine di eliminare gli effetti perduranti della violazione;
c) nella misura in cui l'ordinamento giuridico dello Stato membro interessato lo permetta, condannare la parte soccombente a versare al Tesoro pubblico o ad altro beneficiario designato nell'ambito o a norma della legislazione nazionale, in caso di non esecuzione della decisione entro il termine fissato dall'organo giurisdizionale o dalle autorità amministrative, un importo determinato per ciascun giorno di ritardo o qualsiasi altro importo previsto dalla legislazione nazionale al fine di garantire l'esecuzione delle decisioni.
2. La presente direttiva non osta all'applicazione delle regole di diritto internazionale privato sulla legge applicabile e comporta, di norma, l'applicazione della legge dello Stato membro in cui ha origine la violazione o della legge dello Stato membro in cui la violazione produce i suoi effetti.
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Articolo 3
Enti legittimati a proporre ricorsi ed azioni.
Ai fini della presente direttiva, per "ente legittimato" si intende qualsiasi organismo o organizzazione, debitamente costituito secondo la legislazione di uno Stato membro, che ha un legittimo interesse a far rispettare le disposizioni di cui all'articolo 1 e in particolare:
a) uno o più organismi pubblici indipendenti, specificamente preposti alla tutela degli interessi di cui all'articolo 1, negli Stati membri in cui esistono simili organismi e/o
b) le organizzazioni aventi lo scopo di tutelare gli interessi di cui all'articolo 1, secondo i criteri stabiliti dal loro diritto nazionale.
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Articolo 4
Violazioni intracomunitarie.
1. Ciascuno Stato membro prende le misure necessarie a garantire che, in caso di violazione avente origine nel proprio territorio, ogni ente legittimato di un altro Stato membro, qualora gli interessi che esso tutela siano interessi lesi da detta violazione, possa adire l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa di cui all'articolo 2, previa presentazione dell'elenco di cui al paragrafo 3. Gli organi giurisdizionali o le autorità amministrative riconoscono tale elenco come prova di capacità di agire dell'ente legittimato, fermo restando il loro diritto di valutare se, nel caso di specie, lo scopo di tale ente giustifichi l'azione.
2. Ai fini delle violazioni intracomunitarie, e fatti salvi i diritti riconosciuti dalla legislazione nazionale ad altri enti, gli Stati membri, su richiesta dei loro enti legittimati, comunicano alla Commissione che detti enti sono legittimati a proporre ricorsi e azioni a norma dell'articolo 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione la denominazione e lo scopo di detti enti nazionali legittimati.
3. La Commissione redige l'elenco degli enti legittimati di cui al paragrafo 2, con l'indicazione del loro scopo. Tali elenchi sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee; le modifiche apportate a tali elenchi sono pubblicate senza indugio; l'elenco aggiornato è pubblicato ogni sei mesi.
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Articolo 5
Consultazione preliminare.
1. Gli Stati membri possono prevedere o lasciare in vigore disposizioni in base alle quali la parte che intende proporre ricorso o azione possa farlo unicamente dopo aver cercato di porre termine alla violazione in consultazione o con la parte convenuta o con la parte convenuta ed un ente legittimato a norma dell'articolo 3, lettera a), dello Stato membro in cui viene proposto il ricorso o l'azione. Spetta allo Stato membro decidere se la parte che intende proporre ricorso o azione debba consultare o meno l'ente legittimato. Qualora non venga posto termine alla violazione entro le due settimane successive al ricevimento della richiesta di consultazione, la parte interessata può presentare senza indugio un ricorso od un'azione per provvedimento inibitorio.
2. Le modalità di consultazione preliminare decise dagli Stati membri sono notificate alla Commissione e sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.
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Articolo 6
Relazioni.
1. Ogni tre anni e per la prima volta entro cinque anni dall'entrata in vigore della presente direttiva, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della presente direttiva.
2. Nella prima relazione, la Commissione esamina in particolare:
- il campo di applicazione della presente direttiva in relazione alla tutela degli interessi collettivi delle persone che esercitano un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;
- il campo di applicazione della presente direttiva come definito dalle direttive elencate nell'allegato;
- la funzione svolta dalla consultazione preliminare di cui all'articolo 5, ai fini della tutela efficace dei consumatori.
Se del caso, la relazione è corredata di proposte di modifica della presente direttiva.
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Articolo 7
Disposizioni relative ad una più ampia legittimazione ad agire.
La presente direttiva non osta al mantenimento in vigore o all'adozione da parte degli Stati membri di norme che prevedono sul piano nazionale una più ampia legittimazione ad agire agli enti legittimati, nonché a qualsiasi interessato.
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Articolo 8
Attuazione.
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva, entro 30 mesi dalla sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
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Articolo 9
Entrata in vigore.
La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.
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Articolo 10
Destinatari.
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Bruxelles, addì 19 maggio 1998.
Per il Parlamento europeo
Il Presidente
J.M. Gil-Robles
Per il Consiglio
Il Presidente
G. Brown
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Allegato
Elenco delle direttive di cui all'articolo 1 [*]
1. Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (G.U.U.E. L 149 del 11.6.2005) (3).
2. Direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (G.U.C.E. L 372 del 31. 12. 1985, pag. 31).
3. Direttiva 87/102/CEE del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (G.U.C.E. L 42 del 12. 2. 1987, pag. 48), modificata da ultimo dalla direttiva 98/7/CE (G.U.C.E. L 101 dell'1. 4. 1998, pag. 17).
4. Direttiva 89/552/CEE del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive: articoli da 10 a 21 (G.U.C.E. L 298 del 17. 10. 1989, pag. 23), modificata dalla direttiva 97/36/CE (G.U.C.E. L 202 del 30. 7. 1997, pag. 60).
5. Direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, vacanze e circuiti "tutto compreso" (G.U.C.E. L 158 del 23. 6. 1990, pag. 59).
6. Direttiva 92/28/CEE del Consiglio, del 31 marzo 1992, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano (G.U.C.E. L 113 del 30. 4. 1992, pag. 13).
7. Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (G.U.C.E. L 95 del 21. 4. 1993, pag. 29).
8. Direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (G.U.C.E. L 280 del 29. 10. 1994, pag. 83).
9. Direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda i contratti negoziati a distanza (G.U.C.E. L 144 del 4. 6. 1997, pag. 19).
10. Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (G.U.C.E. L 171 7. 7. 1999) (4).
11. Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno ("direttiva sul commercio elettronico"). (G.U.C.E. L 178 del 17.7.2000) (5).
11. Direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica le direttive 90/619/CEE del Consiglio, 97/7/CE e 98/27/CE (6).
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[*] Le direttive nn. 1, 6, 7 e 9 contengono disposizioni specifiche in materia di ricorsi ed azioni per provvedimenti inibitori.
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(3) Punto così sostituito dall'articolo 16 della direttiva 2005/29/CE.
(4) Testo aggiunto dall'articolo 10 della direttiva 1999/44/CE.
(5) Testo aggiunto dall'articolo 18 della direttiva 2000/31/CE.
(6) Punto aggiunto dall'articolo 19 della direttiva 2002/65/CE. Il punto 11, però, è già presente nell'allegato. Si rimane in attesa di un'eventuale rettifica da parte della Comunità europea.
Dir. 2005/29/CE del 11 maggio 2005
Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato
interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive
97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il
regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
("direttiva sulle pratiche commerciali sleali")
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(1) Pubblicata nella G.U.U.E. 11 giugno 2005, n. L 149. Entrata in vigore il 12 giugno 2005.
(2) Termine di recepimento: vedi articolo 19 della presente direttiva.
(3) Testo rilevante ai fini del SEE.
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 95,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (4),
deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (5),
considerando quanto segue:
(1) L'articolo 153, paragrafi 1 e 3, lettera a), del trattato prevede che la Comunità deve contribuire al conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori mediante misure adottate a norma dell'articolo 95 del medesimo.
(2) A norma dell'articolo 14, paragrafo 2, del trattato, il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché la libertà di stabilimento. Lo sviluppo di pratiche commerciali leali all'interno dello spazio senza frontiere interne è essenziale per promuovere le attività transfrontaliere.
(3) Le leggi degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali sono caratterizzate da differenze notevoli che possono provocare sensibili distorsioni della concorrenza e costituire ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Nel settore della pubblicità, la direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, fissa criteri minimi di armonizzazione nella normativa in tema di pubblicità ingannevole, ma non si oppone al mantenimento o all'adozione, da parte degli Stati membri, di disposizioni che garantiscano una più ampia tutela dei consumatori. Di conseguenza, le disposizioni degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole sono profondamente diverse.
(4) Queste differenze sono fonte di incertezza per quanto concerne le disposizioni nazionali da applicare alle pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori e creano molti ostacoli sia alle imprese che ai consumatori. Questi ostacoli rendono più oneroso per le imprese l'esercizio delle libertà del mercato interno, soprattutto ove tali imprese intendano effettuare attività di marketing, campagne pubblicitarie e promozioni delle vendite transfrontaliere. Tali ostacoli causano inoltre incertezze circa i diritti di cui godono i consumatori e compromettono la fiducia di questi ultimi nel mercato interno.
(5) In assenza di norme uniformi a livello comunitario, gli ostacoli alla libera circolazione di servizi e di merci transfrontaliera o alla libertà di stabilimento potrebbero essere giustificati, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, purché volti a tutelare obiettivi riconosciuti di interesse pubblico e purché proporzionati a tali obiettivi. Tenuto conto delle finalità della Comunità, stabilite dalle disposizioni del trattato e dal diritto comunitario derivato in materia di libera circolazione, e conformemente alla politica della Commissione riguardante le comunicazioni commerciali come indicato nella comunicazione della Commissione "Seguito dato al Libro verde sulla comunicazione commerciale nel mercato interno", tali ostacoli dovrebbero essere eliminati. Ciò è possibile solo introducendo a livello comunitario norme uniformi che prevedono un elevato livello di protezione dei consumatori e chiarendo alcuni concetti giuridici, nella misura necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto.
(6) La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi. Secondo il principio di proporzionalità, la presente direttiva tutela i consumatori dalle conseguenze di tali pratiche commerciali sleali allorché queste sono rilevanti, ma riconosce che in alcuni casi l'impatto sui consumatori può essere trascurabile. Essa non riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un'operazione tra professionisti. Tenuto pienamente conto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri, ove lo desiderino, continueranno a poter disciplinare tali pratiche, conformemente alla normativa comunitaria. Inoltre la presente direttiva non riguarda e lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità che risulti ingannevole per le imprese ma non per i consumatori e in materia di pubblicità comparativa. La presente direttiva lascia altresì impregiudicate pratiche pubblicitarie e di marketing generalmente ammesse, quali il product placement consentito, la differenziazione del marchio o l'offerta di incentivi in grado di incidere legittimamente sulla percezione dei prodotti da parte dei consumatori e di influenzarne il comportamento senza pero limitarne la capacita di prendere una decisione consapevole.
(7) La presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. Non riguarda le pratiche commerciali realizzate principalmente per altri scopi, comprese ad esempio le comunicazioni commerciali rivolte agli investitori, come le relazioni annuali e le pubblicazioni promozionali delle aziende. Non riguarda i requisiti giuridici inerenti al buon gusto e alla decenza che variano ampiamente tra gli Stati membri. Le pratiche commerciali quali ad esempio le sollecitazioni commerciali per strada possono essere indesiderabili negli Stati membri per motivi culturali. Gli Stati membri dovrebbero di conseguenza poter continuare a vietare le pratiche commerciali nei loro territori per ragioni di buon gusto e decenza conformemente alle normative comunitarie, anche se tali pratiche non limitano la libertà di scelta dei consumatori. In sede di applicazione della direttiva, in particolare delle clausole generali, è opportuno tenere ampiamente conto delle circostanze del singolo caso in questione.
(8) La presente direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori. Essa, quindi, tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che non rispettano le regole previste dalla presente direttiva e, pertanto, garantisce nel settore da essa coordinato una concorrenza leale. Resta inteso che esistono altre pratiche commerciali che, per quanto non lesive per i consumatori, possono danneggiare i concorrenti e i clienti. La Commissione dovrebbe valutare accuratamente la necessità di un'azione comunitaria in materia di concorrenza sleale al di la delle finalità della presente direttiva e, ove necessario, presentare una proposta legislativa che contempli questi altri aspetti della concorrenza sleale.
(9) La presente direttiva non pregiudica i ricorsi individuali proposti da soggetti che sono stati lesi da una pratica commerciale sleale. Non pregiudica neppure l'applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali relative al diritto contrattuale, ai diritti di proprietà intellettuale, agli aspetti sanitari e di sicurezza dei prodotti, alle condizioni di stabilimento e ai regimi di autorizzazione, comprese le norme relative, in base al diritto comunitario, alle attività legate all'azzardo, e alle norme comunitarie in materia di concorrenza e relative norme nazionali di attuazione. Gli Stati membri potranno in tal modo mantenere o introdurre limitazioni e divieti in materia di pratiche commerciali, motivati dalla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori nel loro territorio ovunque sia stabilito il professionista, ad esempio riguardo ad alcol, tabacchi o prodotti farmaceutici. Per i servizi finanziari e i beni immobili occorrono, tenuto conto della loro complessità e dei gravi rischi inerenti, obblighi particolareggiati, inclusi gli obblighi positivi per i professionisti. Pertanto, nel settore dei servizi finanziari e dei beni immobili, la presente direttiva non pregiudica il diritto degli Stati membri di andare al di la delle sue disposizioni al fine di tutelare gli interessi economici dei consumatori. Non è opportuno disciplinare in questo ambito la certificazione e le indicazioni concernenti il titolo degli articoli in metalli preziosi.
(10) È necessario garantire un rapporto coerente tra la presente direttiva e il diritto comunitario esistente, soprattutto per quanto concerne le disposizioni dettagliate in materia di pratiche commerciali sleali applicabili a settori specifici. La presente direttiva modifica pertanto la direttiva 84/450/CEE, la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza la direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori e la direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. Di conseguenza, la presente direttiva si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore e vieta ai professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti. Ciò è particolarmente importante per prodotti complessi che comportano rischi elevati per i consumatori, come alcuni prodotti finanziari. La presente direttiva completa pertanto l'acquis comunitario applicabile alle pratiche commerciali lesive degli interessi economici dei consumatori.
(11) L'elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso la presente direttiva da luogo a un elevato livello comune di tutela dei consumatori. La presente direttiva introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Essa stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive, che attualmente non sono disciplinate a livello comunitario.
(12) Dall'armonizzazione deriverà un notevole rafforzamento della certezza del diritto sia per i consumatori sia per le imprese, che potranno contare entrambi su un unico quadro normativo fondato su nozioni giuridiche chiaramente definite che disciplinano tutti gli aspetti inerenti alle pratiche commerciali sleali nell'UE. In tal modo si avrà l'eliminazione degli ostacoli derivanti dalla frammentazione delle norme sulle pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori e la realizzazione del mercato interno in questo settore.
(13) Per conseguire gli obiettivi comunitari mediante l'eliminazione degli ostacoli al mercato interno, è necessario sostituire le clausole generali e i principi giuridici divergenti attualmente in vigore negli Stati membri. Il divieto unico generale comune istituito dalla presente direttiva si applica pertanto alle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Per sostenere la fiducia da parte dei consumatori il divieto generale dovrebbe applicarsi parimenti a pratiche commerciali sleali che si verificano all'esterno di un eventuale rapporto contrattuale tra un professionista ed un consumatore o in seguito alla conclusione di un contratto e durante la sua esecuzione. Il divieto generale si articola attraverso norme riguardanti le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive.
(14) È auspicabile che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientrino quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente. Conformemente alle leggi e alle pratiche di alcuni Stati membri sulla pubblicità ingannevole, la presente direttiva suddivide le pratiche ingannevoli in azioni e omissioni ingannevoli. Per quanto concerne le omissioni, la presente direttiva elenca un limitato novero di informazioni chiave necessarie affinché il consumatore possa prendere una decisione consapevole di natura commerciale. Tali informazioni non devono essere comunicate in ogni pubblicità, ma solo qualora il professionista inviti all'acquisto, nozione questa chiaramente definita nella presente direttiva. Il fatto che la presente direttiva sia impostata sull'armonizzazione completa non osta a che gli Stati membri precisino nella legislazione nazionale le principali caratteristiche di particolari prodotti quali, per esempio, gli oggetti da collezione o i prodotti elettrotecnici, qualora l'omissione di tale precisazione avesse importanza decisiva al momento dell'invito all'acquisto. La presente direttiva non intende ridurre la scelta del consumatore vietando la promozione di prodotti apparentemente simili ad altri prodotti, a meno che tale somiglianza non sia tale da confondere il consumatore riguardo all'origine commerciale del prodotto e sia pertanto ingannevole. La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare la normativa comunitaria in vigore che attribuisce espressamente agli Stati membri la scelta tra varie opzioni in materia di regolamentazione per la protezione dei consumatori nel settore delle pratiche commerciali. In particolare, la presente direttiva dovrebbe lasciare impregiudicato l'articolo 13, paragrafo 3 della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.
(15) Qualora il diritto comunitario stabilisca obblighi di informazione riguardo a comunicazioni commerciali, pubblicità e marketing, tali informazioni sono considerate rilevanti ai fini della presente direttiva. Gli Stati membri potranno mantenere gli obblighi di informazione o prevedere obblighi aggiuntivi riguardanti il diritto contrattuale e aventi conseguenze sotto il profilo del diritto contrattuale qualora ciò sia consentito dalle clausole minime previste dai vigenti strumenti giuridici comunitari. L'allegato II riporta un elenco non completo di tali obblighi di informazione previsti dall'acquis. Tenuto conto della piena armonizzazione introdotta dalla presente direttiva, solo le informazioni previste dal diritto comunitario sono considerate rilevanti ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 5 della stessa. Qualora gli Stati membri abbiano introdotto informazioni aggiuntive rispetto a quanto specificato nel diritto comunitario, sulla base delle clausole minime, l'omissione di tali informazioni non costituisce un'omissione ingannevole ai sensi della presente direttiva. Di contro, gli Stati membri, se consentito dalle clausole minime presenti nella legislazione comunitaria, hanno facoltà di mantenere o introdurre disposizioni maggiormente restrittive, conformemente alla normativa comunitaria, per garantire un livello più elevato di tutela dei singoli diritti contrattuali dei consumatori.
(16) Le disposizioni sulle pratiche commerciali aggressive dovrebbero riguardare le pratiche che limitano considerevolmente la libertà di scelta del consumatore. Si tratta di pratiche che comportano il ricorso a molestie, coercizione, compreso l'uso di forza fisica, e indebito condizionamento.
(17) È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L'allegato I riporta pertanto l'elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L'elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva.
(18) È opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto necessario, nel deliberare in cause relative alla pubblicità dopo l'entrata in vigore della direttiva 84/450/CEE, esaminare l'effetto su un virtuale consumatore tipico. Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l'efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia, ma contiene altresì disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultano particolarmente vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. Ove una pratica commerciale sia specificatamente diretta ad un determinato gruppo di consumatori, come ad esempio i bambini, è auspicabile che l'impatto della pratica commerciale venga valutato nell'ottica del membro medio di quel gruppo. È quindi opportuno includere nell'elenco di pratiche considerate in ogni caso sleali una disposizione che, senza imporre uno specifico divieto alla pubblicità destinata ai bambini, tuteli questi ultimi da esortazioni dirette all'acquisto. La nozione di consumatore medio non è statistica. Gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali dovranno esercitare la loro facoltà di giudizio tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia, per determinare la reazione tipica del consumatore medio nella fattispecie.
(19) Qualora talune caratteristiche, quali età, infermità fisica o mentale o ingenuità, rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile ad una pratica commerciale o al prodotto a cui essa si riferisce, e il comportamento economico soltanto di siffatti consumatori sia suscettibile di essere distorto da tale pratica, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, occorre far si che essi siano adeguatamente tutelati valutando la pratica nell'ottica del membro medio di detto gruppo.
(20) È opportuno prevedere un ruolo per i codici di condotta che consenta ai professionisti di applicare in modo efficace i principi della presente direttiva in specifici settori economici. Nei settori in cui vi siano obblighi tassativi specifici che disciplinano il comportamento dei professionisti, è opportuno che questi forniscano altresì prove riguardo agli obblighi di diligenza professionale in tale settore. Il controllo esercitato dai titolari dei codici a livello nazionale o comunitario per l'eliminazione delle pratiche commerciali sleali può evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o amministrative e dovrebbe pertanto essere incoraggiato. Le organizzazioni dei consumatori potrebbero essere informate e coinvolte nella formulazione di codici di condotta, al fine di conseguire un elevato livello di protezione dei consumatori.
(21) Le persone o le organizzazioni che in base alla legislazione nazionale siano considerate titolari di interesse legittimo nel caso di specie devono disporre di mezzi di impugnazione contro le pratiche commerciali sleali dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un'autorità amministrativa competente a decidere dei reclami o a promuovere un'adeguata azione giudiziaria. Pur spettando al diritto nazionale stabilire l'onere della prova, è appropriato attribuire agli organi giurisdizionali e alle autorità amministrative il potere di esigere che il professionista fornisca prove sull'esattezza delle allegazioni fattuali che ha presentato.
(22) È necessario che gli Stati membri determinino le sanzioni da irrogare per le violazioni delle disposizioni della presente direttiva e ne garantiscano l'applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
(23) Poiché gli scopi della presente direttiva, vale a dire l'eliminazione degli ostacoli al funzionamento del mercato interno rappresentati dalle leggi nazionali in materia di pratiche commerciali sleali e il conseguimento di un elevato livello comune di tutela dei consumatori mediante il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno e conseguire un elevato livello comune di tutela dei consumatori in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(24) È opportuno rivedere la presente direttiva onde assicurare che sia stato affrontato il problema degli ostacoli al mercato interno e sia stato raggiunto un alto livello di protezione dei consumatori. Il riesame potrebbe portare a una proposta della Commissione intesa a modificare la presente direttiva, in cui potrebbero essere comprese un'estensione limitata della deroga di cui all'articolo 3, paragrafo 5, e/o modifiche ad altri atti legislativi in materia di tutela dei consumatori che rispecchino l'impegno della Commissione nell'ambito della strategia della politica dei consumatori di rivedere l'acquis esistente in modo da conseguire un elevato livello comune di tutela dei consumatori.
(25) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
hanno adottato la presente direttiva:
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(4) Pubblicato nella G.U.U.E. 30 aprile 2004, n. C 108.
(5) Parere del Parlamento europeo del 20 aprile 2004 (G.U.U.E. C 104 E del 30.4.2004), posizione comune del Consiglio del 15 novembre 2004 (G.U.U.E. C 38 E del 15.2.2005) e posizione del Parlamento europeo del 24 febbraio 2005. Decisione del Consiglio del 12 aprile 2005.
Capo 1
Disposizioni generali
Articolo 1
Scopo.
La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori.
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Articolo 2
Definizioni.
Ai fini della presente direttiva, si intende per:
a) "consumatore": qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale;
b) "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista;
c) "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni;
d) "pratiche commerciali tra imprese e consumatori" (in seguito denominate "pratiche commerciali"): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;
e) "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori": l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacita del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso;
f) "codice di condotta": un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici;
g) "responsabile del codice": qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e revisione di un codice di condotta e/o del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo;
h) "diligenza professionale": rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori;
i) "invito all'acquisto": una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il prezzo del prodotto in forme appropriate rispetto al mezzo impiegato per la comunicazione commerciale e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto;
j) "indebito condizionamento": lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacita del consumatore di prendere una decisione consapevole;
k) "decisione di natura commerciale": una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto. Tale decisione può portare il consumatore a compiere un'azione o all'astenersi dal compierla;
l) "professione regolamentata": attività professionale, o insieme di attività professionali, l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, è subordinata direttamente o indirettamente, in base a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali.
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Articolo 3
Ambito di applicazione.
1. La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite all'articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un'operazione commerciale relativa a un prodotto.
2. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto.
3. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione delle disposizioni comunitarie o nazionali relative agli aspetti sanitari e di sicurezza dei prodotti.
4. In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici.
5. Per un periodo di sei anni a decorrere dal 12 giugno 2007 gli Stati membri possono continuare ad applicare disposizioni nazionali più dettagliate o vincolanti di quelle previste dalla presente direttiva nel settore da essa armonizzato, in attuazione di direttive contenenti clausole minime di armonizzazione. Tali misure devono essere essenziali al fine di assicurare un'adeguata protezione dei consumatori da pratiche commerciali sleali e devono essere proporzionate al raggiungimento di tale obiettivo. La revisione di cui all'articolo 18 può, se ritenuto opportuno, comprendere una proposta intesa a prorogare questa deroga per un ulteriore periodo limitato.
6. Gli Stati membri notificano alla Commissione senza indugio le disposizioni nazionali applicate sulla base del paragrafo 5.
7. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione delle norme che determinano la competenza giurisdizionale.
8. La presente direttiva non pregiudica le eventuali condizioni relative allo stabilimento, o ai regimi di autorizzazione, o i codici deontologici di condotta o altre norme specifiche che disciplinano le professioni regolamentate, volti a mantenere livelli elevati di integrità dei professionisti, che gli Stati membri possono, conformemente alla normativa comunitaria, imporre a questi ultimi.
9. In merito ai "servizi finanziari" definiti alla direttiva 2002/65/CE e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa armonizza.
10. La presente direttiva non è applicabile all'attuazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di certificazione e di indicazioni concernenti il titolo degli articoli in metalli preziosi.
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Articolo 4
Mercato interno.
Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva.
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Capo 2
Pratiche commerciali sleali
Articolo 5
Divieto delle pratiche commerciali sleali.
1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate.
2. Una pratica commerciale è sleale se:
a) è contraria alle norme di diligenza professionale,
e
b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
3. Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
4. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:
a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7
o
b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9.
5. L'allegato I riporta l'elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva.
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Sezione 1
Pratiche commerciali ingannevoli
Articolo 6
Azioni ingannevoli.
1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l'informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
a) l'esistenza o la natura del prodotto;
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;
c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;
d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;
e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;
f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identità, il patrimonio, le capacita, lo status, il riconoscimento, l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;
g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, o i rischi ai quali può essere esposto.
2. È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:
a) una qualsivoglia attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente;
b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove:
i) non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno fermo e verificabile;
e
ii) il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice.
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Articolo 7
Omissioni ingannevoli.
1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
2. Una pratica commerciale è altresì considerata un'omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l'intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell'altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
3. Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per comunicare la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un'omissione di informazioni si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi.
4. Nel caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto:
a) le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso;
b) l'indirizzo geografico e l'identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l'indirizzo geografico e l'identità del professionista per conto del quale egli agisce;
c) il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l'impossibilita di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l'indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;
d) le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale;
e) l'esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto.
5. Sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, di cui l'allegato II fornisce un elenco non completo.
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Sezione 2
Pratiche commerciali aggressive
Articolo 8
Pratiche commerciali aggressive.
È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
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Articolo 9
Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento.
Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:
a) i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;
b) il ricorso alla minaccia fisica o verbale;
c) lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravita tale da alterare la capacita di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;
d) qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;
e) qualsiasi minaccia di promuovere un'azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa.
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Capo 3
Codici di condotta
Articolo 10
Codici di condotta.
La presente direttiva non esclude il controllo, che gli Stati membri possono incoraggiare, delle pratiche commerciali sleali esercitato dai responsabili dei codici né esclude che le persone o le organizzazioni di cui all'articolo 11 possano ricorrere a tali organismi qualora sia previsto un procedimento dinanzi ad essi, oltre a quelli giudiziari o amministrativi di cui al medesimo articolo.
Il ricorso a tali organismi di controllo non è mai considerato equivalente alla rinuncia agli strumenti di ricorso giudiziario o amministrativo di cui all'articolo 11.
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Capo 4
Disposizioni finali
Articolo 11
Applicazione.
1. Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l'osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell'interesse dei consumatori.
Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali le persone o le organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse a contrastare le pratiche commerciali sleali, inclusi i concorrenti, possono:
a) promuovere un'azione giudiziaria contro tali pratiche commerciali sleali,
e/o
b) sottoporre tali pratiche commerciali sleali al giudizio di un'autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un'adeguata azione giudiziaria.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere a quali di questi mezzi si debba ricorrere e se sia opportuno che l'organo giurisdizionale o amministrativo possa esigere che si ricorra in via preliminare ad altri mezzi previsti per risolvere le controversie, compresi quelli di cui all'articolo 10. Il ricorso a tali mezzi è indipendente dal fatto che i consumatori interessati si trovino nel territorio dello Stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro Stato membro.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere:
a) se le azioni giudiziarie possano essere promosse singolarmente o congiuntamente contro più professionisti dello stesso settore economico,
e
b) se possano essere promosse nei confronti del responsabile del codice allorché il codice in questione incoraggia a non rispettare i requisiti di legge.
2. Nel contesto delle disposizioni giuridiche di cui al paragrafo 1, gli Stati membri conferiscono all'organo giurisdizionale o amministrativo il potere, qualora ritengano necessari detti provvedimenti tenuto conto di tutti gli interessi in causa e, in particolare, dell'interesse generale:
a) di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per ingiungere la loro cessazione,
o
b) qualora la pratica commerciale sleale non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente, di vietare tale pratica o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per vietarla,
anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all'intenzionalità o alla negligenza da parte del professionista.
Gli Stati membri prevedono inoltre disposizioni affinché i provvedimenti di cui al primo comma possano essere adottati nell'ambito di un procedimento d'urgenza:
- con effetto provvisorio,
oppure
- con effetto definitivo,
fermo restando che compete ad ogni Stato membro scegliere una delle due opzioni.
Inoltre, al fine di impedire che le pratiche commerciali sleali la cui sospensione sia stata ordinata da una decisione definitiva continuino a produrre effetti, gli Stati membri possono conferire all'organo giurisdizionale o all'autorità amministrativa il potere:
a) di far pubblicare tale decisione per esteso, o in parte, e nella forma che ritengano opportuna,
b) far pubblicare inoltre una dichiarazione rettificativa.
3. L'autorità amministrativa di cui al paragrafo 1 deve:
a) essere composta in modo che la sua imparzialità non possa essere messa in dubbio;
b) avere, quando decide in merito ai ricorsi, i poteri necessari per vigilare e assicurare l'effettiva esecuzione delle sue decisioni;
c) motivare, in linea di massima, le sue decisioni.
Allorché i poteri di cui al paragrafo 2 sono esercitati esclusivamente da un'autorità amministrativa, le sue decisioni sono sempre motivate. In questo caso, devono essere inoltre previste procedure in base alle quali l'esercizio improprio o ingiustificato dei poteri dell'autorità amministrativa e le omissioni improprie o ingiustificate nell'esercizio dei poteri stessi possano essere oggetto di ricorso giurisdizionale.
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Articolo 12
Organi giurisdizionali e amministrativi: allegazioni fattuali.
Gli Stati membri attribuiscono agli organi giurisdizionali o amministrativi il potere, in un procedimento civile o amministrativo di cui all'articolo 11:
a) di esigere che il professionista fornisca prove sull'esattezza delle allegazioni fattuali connesse alla pratica commerciale se, tenuto conto degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico;
e
b) di considerare inesatte le allegazioni fattuali, se le prove richieste ai sensi della lettera a) non siano state fornite o siano ritenute insufficienti dall'organo giurisdizionale o amministrativo.
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Articolo 13
Sanzioni.
Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per garantirne l'applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
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Articolo 14
Modifiche della direttiva 84/450/CEE.
La direttiva 84/450/CEE è cosi modificata:
1) l'articolo 1 è sostituito dal seguente:
«Articolo 1
La presente direttiva ha lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.";
2) all'articolo 2,
- il punto 3) è sostituito dal seguente:
"3) "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale; e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista;";
- è aggiunto il punto seguente:
"4) "responsabile del codice": qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e della revisione di un codice di condotta e/o del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo.";
3) l'articolo 3 bis è sostituito dal seguente:
«Articolo 3 bis
1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa
a) non sia ingannevole ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, e degli articoli 3 e 7, paragrafo 1 della presente direttiva o degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno;
b) confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
c) confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
d) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;
e) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
f) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
g) non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati;
h) non ingeneri confusione tra i professionisti, tra l'operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell'operatore pubblicitario e quelli di un concorrente."
4) l'articolo 4, paragrafo 1, è sostituito dal seguente:
"1. Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere la pubblicità ingannevole e garantire l'osservanza delle disposizioni in materia di pubblicità comparativa nell'interesse sia dei professionisti sia dei concorrenti. Tali mezzi includono disposizioni giuridiche ai sensi delle quali persone od organizzazioni che secondo la legislazione nazionale hanno un legittimo interesse contrastare la pubblicità ingannevole o la regolamentazione della pubblicità comparativa possano:
a) promuovere un'azione giudiziaria contro tale pubblicità
o
b) sottoporre tale pubblicità al giudizio di un'autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere un'adeguata azione giudiziaria.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere a quali di questi mezzi si debba ricorrere e se sia opportuno che l'organo giurisdizionale o amministrativo sia autorizzato ad esigere che si ricorra in via preliminare ad altri mezzi previsti per risolvere le controversie, compresi quelli di cui all'articolo 5.
Spetta a ciascuno Stato membro decidere:
a) se le azioni giudiziarie possano essere promosse singolarmente o congiuntamente contro più professionisti dello stesso settore economico
e
b) se possano essere promosse nei confronti del responsabile del codice allorché il codice in questione incoraggia a non rispettare i requisiti di legge."
5) l'articolo 7, paragrafo 1, è sostituito dal seguente:
"1. La presente direttiva non si oppone al mantenimento o all'adozione da parte degli Stati membri di disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei professionisti e dei concorrenti."
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Articolo 15
Modifiche delle direttive 97/7/CE e 2002/65/CE.
1) L'articolo 9 della direttiva 97/7/CE è sostituito dal seguente:
«Articolo 9
Fornitura non richiesta.
Considerato il divieto delle pratiche di fornitura non richiesta stabilito dalla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per dispensare il consumatore da qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta, fermo restando che l'assenza di risposta non implica consenso."
2) l'articolo 9 della direttiva 2002/65/CE è sostituito dal seguente:
«Articolo 9
Considerato il divieto delle pratiche di fornitura non richiesta stabilito dalla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, e fatte salve le disposizioni della legislazione degli Stati membri relative al tacito rinnovo dei contratti a distanza, quando dette norme consentono il tacito rinnovo, gli Stati membri adottano le misure necessarie per dispensare il consumatore da qualunque obbligo in caso di fornitura non richiesta, fermo restando che l'assenza di risposta non implica consenso."
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Articolo 16
Modifiche della direttiva 98/27/CE e del regolamento (CE) n. 2006/2004.
1) Nell'allegato della direttiva 98/27/CE il punto 1 è sostituito dal seguente:
"1. Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (G.U.U.E. L 149 del 11.6.2005)."
2) All'allegato del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori ("regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori"), è aggiunto il punto seguente:
"16. Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (G.U.U.E. L 149 del 11.6.2005)."
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Articolo 17
Informazione.
Gli Stati membri adottano misure appropriate per informare il consumatore della legge nazionale che recepisce la presente direttiva e, se del caso, incoraggiano i professionisti e i responsabili del codice ad informare i consumatori in merito ai propri codici di condotta.
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Articolo 18
Revisione.
1. Entro il 12 giugno 2011, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione globale sull'applicazione della presente direttiva e, in particolare, dell'articolo 3, paragrafo 9, dell'articolo 4 e dell'allegato I, e sulle possibilità di armonizzare e semplificare ulteriormente il diritto comunitario in materia di protezione dei consumatori, nonché di adottare, tenendo conto dell'articolo 3, paragrafo 5, eventuali misure necessarie a livello comunitario per assicurare il mantenimento di livelli adeguati di protezione dei consumatori. La relazione è corredata, se del caso, di una proposta di revisione della presente direttiva o di altre norme pertinenti del diritto comunitario.
2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, ai sensi del trattato, si adoperano per adottare un'iniziativa entro due anni dalla presentazione da parte della Commissione di eventuali proposte presentate a norma del paragrafo 1.
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Articolo 19
Recepimento.
Gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 12 giugno 2007. Essi ne informano immediatamente la Commissione e comunicano senza indugio a quest'ultima ogni eventuale successiva modifica.
Essi applicano tali disposizioni entro il 12 dicembre 2007. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono stabilite dagli Stati membri.
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Articolo 20
Entrata in vigore.
La presente direttiva entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
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Articolo 21
Destinatari.
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Strasburgo, addì 11 maggio 2005.
Per il Parlamento europeo
Il presidente
J. P. BORRELL FONTELLES
Per il Consiglio
Il presidente
N. SCHMIT
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Allegato I
Pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali
Pratiche commerciali ingannevoli
1) Affermazione, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ove egli non lo sia.
2) Esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione.
3) Asserire che un codice di condotta ha l'approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, ove esso non la abbia.
4) Asserire che un professionista (incluse le sue pratiche commerciali) o un prodotto è stato approvato, accettato o autorizzato da un organismo pubblico o privato quando esso non lo sia stato o senza rispettare le condizioni dell'approvazione, dell'accettazione o dell'autorizzazione ricevuta.
5) Invitare all'acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l'esistenza di ragionevoli motivi che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all'entità della pubblicità fatta dal prodotto e al prezzo offerti (bait advertising ovvero pubblicità propagandistica).
6) Invitare all'acquisto di prodotti ad un determinato prezzo e successivamente:
a) rifiutare di mostrare l'articolo pubblicizzato ai consumatori,
oppure
b) rifiutare di accettare ordini per l'articolo o di consegnarlo entro un periodo di tempo ragionevole,
oppure
c) fare la dimostrazione dell'articolo con un campione difettoso,
con l'intenzione di promuovere un altro prodotto (bait and switch ovvero pubblicità con prodotti civetta).
7) Dichiarare falsamente che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo molto limitato o che sarà disponibile solo a condizioni particolari per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata e privare i consumatori della possibilità o del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole.
8) Impegnarsi a fornire l'assistenza post-vendita a consumatori con i quali il professionista ha comunicato prima dell'operazione commerciale in una lingua diversa dalla lingua ufficiale dello Stato membro in cui il professionista è situato e poi offrire concretamente tale servizio soltanto in un'altra lingua, senza chiaramente comunicarlo al consumatore prima che questi si sia impegnato a concludere l'operazione.
9) Affermare o generare comunque l'impressione che la vendita del prodotto è lecita, ove non lo sia.
10) Presentare i diritti conferiti ai consumatori dalla legge come una caratteristica propria dell'offerta fatta dal professionista.
11) Impiegare contenuti redazionali nei media per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga chiaramente dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore (advertorial ovvero pubblicità redazionale). Tale disposizione è senza pregiudizio della direttiva 89/552/CEE.
12) Formulare affermazioni di fatto inesatte per quanto riguarda la natura e la portata dei rischi per la sicurezza personale del consumatore o della sua famiglia se egli non acquistasse il prodotto.
13) Promuovere un prodotto simile a quello fabbricato da un particolare produttore in modo tale da fuorviare deliberatamente il consumatore facendogli credere che il prodotto è fabbricato dallo stesso produttore mentre invece non lo è.
14) Avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale il consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante principalmente dall'entrata di altri consumatori nel sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti.
15) Affermare che il professionista sta per cessare l'attività o traslocare, ove non stia per farlo.
16) Affermare che alcuni prodotti possono facilitare la vincita in giochi d'azzardo.
17) Affermare falsamente che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o malformazioni.
18) Comunicare informazioni di fatto inesatte sulle condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo d'indurre il consumatore ad acquistare il prodotto a condizioni meno favorevoli di quelle normali di mercato.
19) Affermare in una pratica commerciale che si organizzano concorsi o promozioni a premi senza attribuire i premi descritti o un equivalente ragionevole.
20) Descrivere un prodotto come gratuito, senza oneri o simili se il consumatore deve pagare un sovrappiù rispetto all'inevitabile costo di rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare l'articolo.
21) Includere nel materiale promozionale una fattura o analoga richiesta di pagamento che dia al consumatore l'impressione di aver già ordinato il prodotto in commercio mentre non lo ha fatto.
22) Falsamente dichiarare o dare l'impressione che il professionista non agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi falsamente come consumatore.
23) Dare la falsa impressione che i servizi post-vendita relativi a un prodotto siano disponibili in uno Stato membro diverso da quello in cui è venduto il prodotto.
Pratiche commerciali aggressive
24) Creare l'impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto.
25) Effettuare visite presso l'abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell'esecuzione di un'obbligazione contrattuale.
26) Effettuare ripetute e sgradite sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza, fuorché nelle circostanze e nella misura in cui siano giustificate dalla legge nazionale ai fini dell'esecuzione di un'obbligazione contrattuale, fatti salvi l'articolo 10 della direttiva 97/7/CE e le direttive 95/46/CE e 2002/58/CE.
27) Imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento in virtù di una polizza di assicurazione di esibire documenti che non potrebbero ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la validità della richiesta, o omettere sistematicamente di rispondere alla relativa corrispondenza, al fine di dissuadere un consumatore dall'esercizio dei suoi diritti contrattuali.
28) Includere in un messaggio pubblicitario un'esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati. Questa disposizione non osta all'applicazione dell'articolo 16 della direttiva 89/552/CEE, concernente delle attività televisive.
29) Esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo nel caso dei beni di sostituzione di cui all'articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 97/7/CE (fornitura non richiesta).
30) Informare esplicitamente il consumatore che se non acquista il prodotto o servizio sarà in pericolo il lavoro o la sussistenza del professionista.
31) Dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti:
- non esiste alcun premio né vincita equivalente,
oppure
- qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore.
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Allegato II
Disposizioni di diritto comunitario che stabiliscono norme in materia di pubblicità e comunicazioni commerciali
Articoli 4 e 5 della direttiva 97/7/CE
Articolo 3 della direttiva 90/314/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1990, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso»
Articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 94/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 1994, concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili
Articolo 3, paragrafo 4 della direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori
Articoli da 86 a 100 della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano
Articoli 5 e 6 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»)
Articolo 1, lettera d) della direttiva 98/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, che modifica la direttiva 87/102/CEE del Consiglio relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo
Articoli 3 e 4 della direttiva 2002/65/CE
Articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2001/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 gennaio 2002, che modifica la direttiva 85/611/CEE del Consiglio concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) al fine di regolamentare le società di gestione e i prospetti semplificati
Articoli 12 e 13 della direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sulla intermediazione assicurativa
Articolo 36 della direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all'assicurazione sulla vita
Articolo 19 della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari
Articoli 31 e 43 della direttiva 92/49/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l'assicurazione diretta diversa dall'assicurazione sulla vita (terza direttiva assicurazione non vita)
Articoli 5, 7 e 8 della direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, relativa al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari
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[1] La caratteristica delle vendite piramidali è quella di porsi come obiettivo la moltiplicazione dei livelli di vendita: i venditori non perseguono lo scopo di ottenere delle provvigioni a fronte dei beni o servizi venduti ma quello di acquisire lo status di venditore dietro pagamento di un corrispettivo, e di avviare immediatamente un’attività di ricerca di nuovi venditori ai quali far pagare il diritto di accesso; le vendite piramidali si avvicinano, in particolare, al c.d. multilevel marketing, che costituisce una delle più moderne varianti del fenomeno della vendita diretta. Caratteristica peculiare delle vendite piramidali è il profilo causale interno, consistente nella mera moltiplicazione dei livelli di vendita. Com’è noto, la causa del contratto di vendita andrebbe sempre ricercata nello scambio di una cosa contro un prezzo; nella vendita piramidale tale profilo causale è solo apparente, in quanto il prodotto venduto diviene unicamente il pretesto per reclutare altri venditori, che dovranno pagare all’agente una sorta di “diritto di accesso” alla struttura piramidale. Il rischio connesso a tale fenomeno di concatenazione contrattuale consiste proprio nel “crollo” della piramide, tanto più grave per gli agenti reclutati per ultimi, che non potranno in tal modo recuperare quanto versato a titolo di diritto di accesso realizzando ulteriori forme di affiliazione.
[2] Recante la “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59”
[3] Si ricorda come in base ad uno studio commissionato nel 1999 dalla Commissione europea, concernente l’eventuale introduzione di una disciplina del multilevel marketing e delle vendite piramidali, tra gli Stati membri dell’Unione europea che hanno provveduto all’adozione di leggi che vietano le vendite piramidali sono ricompresi il Belgio, la Danimarca, la Francia, l’Olanda, il Portogallo, la Spagna e il Regno Unito.
[4] “Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del ParlamentO europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio”. GUCE L. 149 dell’11 giugno 2005
[5] Secondo il libro verde la pratica consiste nella creazione, da parte di un fornitore, di una rete di distribuzione per i propri prodotti attraverso il reclutamento di clienti per vendere a consumatori di loro conoscenza. Con riferimento alla disciplina nazionale di detta pratica si osserva che alcuni paesi applicano disposizioni generali sulle frodi, altri ricorrono alle normative sulla tutela dei consumatori (Italia e Paesi Bassi), altri ancora a leggi sulla concorrenza sleale (Austria, Belgio, Francia, Germania e Spagna). La grande diversità delle norme nazionali, che vanno dal divieto puro e semplice della vendita a domicilio (Lussemburgo), a regolamentazioni dettagliate sulle modalità autorizzate di vendita diretta multilivello (Spagna e Regno Unito), fa sì che le imprese del settore siano costrette a modificare i loro piani di commercializzazione e i loro articoli a seconda del paese per rispettare le norme di ciascuno Stato membro. Le imprese che praticano la vendita diretta multilivello si trovano, pertanto, nell'impossibilità di mettere a punto una strategia di vendita e di commercializzazione veramente paneuropea a causa delle numerose divergenze tra le leggi nazionali all'interno dell'UE.
[6] A tale riguardo, si possono citare le leggi della regione Abruzzo n. 135 del 1999, della Regione Calabria n. 18 del 1999, della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 1999, della Regione Lombardia n. 15 del 2000, della Regione Marche n. 26 del 1999, della Regione Puglia n. 18 del 2001, della Regione Sicilia n. 18 del 1995, della Regione Toscana n. 10 del 2003, della Regione Umbria n. 6 del 2000, della Regione Veneto n. 10 del 2001 e della Regione Valle d'Aosta 20 del 1999, nonché le leggi della provincia autonoma di Trento n. 7 del 2000 e di Bolzano n. 4 del 2000, che abilitano alla vendita a domicilio chi ha ottenuto la licenza per la vendita su aree pubbliche in forma itinerante.
[7] Si ricorda come il citato D.Lgs n.50/92 sia ora confluito nel decreto legislativo - allo stato in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale - recante il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori – Codice del consumo”, adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, recante “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001”. In particolare, il Capo II della Parte III (artt. 33-98), Titolo II, del nuovo Codice del consumo, recante la disciplina di particolari modalità di circolazione, è articolato in Sezioni dedicate, nell’ordine, ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai contratti a distanza, con una specifica Sezione IV in materia di diritto di recesso.
[8] Recante la “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59”
[9] Si tratta, in particolare, del decreto legislativo recante il “Riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori – Codice del consumo”, adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, recante “Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione – Legge di semplificazione 2001”. Al riguardo, si ricorda che il nuovo “Codice del consumo” reca una disciplina organica – benché non comprensiva delle norme contenute nel codice civile - in materia di "tutela dei consumatori", coordinata con la normativa comunitaria e diretta alla semplificazione normativa, al fine di ricostruire in un quadro nuovo le regole, non solo di carattere contrattuale, che afferiscono ai molteplici ambiti che vedono coinvolti gli interessi dei consumatori e degli utenti, secondo una logica sequenziale improntata alla protezione di questi ultimi nelle diverse fasi del processo di consumo. In particolare, il Capo II della Parte III (artt. 33-98), Titolo II, del Codice, recante la disciplina di particolari modalità di circolazione, è articolato in Sezioni dedicate, nell’ordine, ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali e ai contratti a distanza, con una specifica Sezione IV in materia di diritto di recesso.
In occasione dell’esame dello schema di decreto legislativo il Servizio studi della Camera dei deputati ha redatto il dossier della collana “Pareri al Governo” n. 380 (1° febbraio 2005), cui si rinvia per un approfondimento della tematica.
[10] Si ricorda come in base ad uno studio commissionato nel 1999 dalla Commissione europea (H.-W. Micklitz, B. Monazzaihian, Ch. RÖßLER, Door to door Selling-Pyramidal Selling_multileve-Marketing), concernente l’eventuale introduzione di una disciplina del multilevel marketing e delle vendite piramidali, tra gli Stati membri dell’Unione europea che hanno provveduto all’adozione di leggi che vietano le vendite piramidali sono ricompresi il Belgio, la Danimarca, la Francia, l’Olanda, il Portogallo, la Spagna e il Regno Unito.
[11] “Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del ParlamentO europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio”. G.U.C.E. L. 149 dell’11 giugno 2005
[12] Per un approfondimento dei contenuti del suddetto Codice del consumo si rinvia al dossier della collana “Pareri al Governo” n. 380 (1° febbraio 2005), redatto dal Servizio studi della Camera dei deputati in occasione dell’esame dello schema di decreto legislativo.
[13] L’art. 3-ter del D.L. n. 384/1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 438/1992, ha stabilito in favore di tutti i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici e privati una aliquota aggiuntiva nella misura di un punto percentuale sulle quote di retribuzione eccedente il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile.
[14] Nell’anno 2005 la prima fascia di retribuzione pensionabile è pari a 38.641 euro.
[15] Art. 36 c.p. (Pubblicazione della sentenza penale di condanna):
"(...)La sentenza di condanna alla pena di morte (2) o all'ergastolo è pubblicata mediante affissione nel comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l'ultima residenza.
La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice.
La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d'ufficio e a spese del condannato.
La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti".