XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||||
Titolo: | Istituzione del “Giorno della libertà” - A.C. 4325 e 2832 | ||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 698 | ||||
Data: | 31/01/05 | ||||
Abstract: | Scheda di sintesi; progetti di legge; iter al Senato; normativa di riferimento. | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni | ||||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Istituzione del A.C. 4325 e 2832
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n. 698
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31 gennaio 2005 |
Camera dei deputati
DIPARTIMENTO istituzioni
SIWEB
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File: AC0712.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Incidenza sull’ordinamento giuridico
- 1a Commissione (Affari costituzionali)
Relazione della 1a Commissione Affari costituzionali
Normativa di riferimento
§ Legge 27 maggio 1949, n. 260. Disposizioni in materia di ricorrenze festive
§ Legge 5 marzo 1977, n. 54. Disposizioni in materia di giorni festivi
§ Legge 31 dicembre 1996, n. 671. Celebrazione nazionale del bicentenario della prima bandiera nazionale
§ Legge 20 luglio 2000, n. 211. Istituzione del «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti
§ Legge 20 novembre 2000, n. 336. Ripristino della festività nazionale del 2 giugno, data di fondazione della Repubblica
§ Legge 30 marzo 2004, n. 92. Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati (art. 1)
Numero del progetto di legge |
A.C. 4325 |
Titolo |
Istituzione del ”Giorno della libertà” in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino |
Iniziativa |
Sen. Travaglia ed altri |
Settore d’intervento |
Celebrazioni, festività ed onorificenze; diritti e libertà fondamentali |
Iter al Senato |
Si (A.S. 1383) |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
1° ottobre 2003 |
§ annuncio |
6 ottobre 2003 |
§ assegnazione |
6 ottobre 2003 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
V Commissione (Bilancio); VII Commissione (Cultura) |
Numero del progetto di legge |
A.C. 2832 |
Titolo |
Istituzione del “Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei” in occasione della ricorrenza della storica data del 9 novembre 1989, giorno della caduta del muro di Berlino |
Iniziativa |
On. Gibelli ed altri |
Settore d’intervento |
Celebrazioni, festività ed onorificenze; diritti e libertà fondamentali |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
2 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
6 giugno 2002 |
§ annuncio |
3 settembre 2002 |
§ assegnazione |
3 settembre 2002 |
Commissione competente |
I Commissione (Affari costituzionali) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
III Commissione (Affari esteri); V Commissione (Bilancio); VII Commissione (Cultura) |
La proposta di legge A.C. 4325, approvata dal Senato, è composta da un solo articolo. Il comma 1 istituisce la celebrazione nazionale del “Giorno della libertà”, individuandola nella giornata del 9 novembre.
Il 9 novembre 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino: tale evento storico è prescelto dal provvedimento, in virtù del suo valore simbolico, al fine di commemorare la liberazione di Paesi oppressi e quale “auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”.
Il comma 2 prevede che in occasione della ricorrenza si svolgano cerimonie commemorative e momenti di approfondimento nelle scuole “che illustrino il valore della democrazia e della libertà, evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti”.
Diversa formulazione ma contenuto analogo ha la proposta di legge A.C. 2832, composta da due articoli.
L’articolo 1 riconosce il giorno 9 novembre “Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei” al fine di ricordare “le barbarie di tutti regimi dittatoriali che hanno caratterizzato negativamente il nostro continente” e dispone che in occasione di tale giornata siano organizzate cerimonie e iniziative, in particolare nelle scuole, concernenti i “valori della democrazia e della libertà nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo in un’ottica di pacifica convivenza tra le varie identità nazionali” presenti in Europa.
L’articolo 2 dispone che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
Le proposte di legge, di iniziativa parlamentare, sono accompagnate dalla sola relazione illustrativa.
L'intervento con legge appare necessario per individuare una ricorrenza nazionale.
Pur non potendosi riscontrare un esplicito riferimento costituzionale, sembra possibile ritenere che la materia in esame, concernendo l’istituzione di una nuova solennità civile della Repubblica e richiedendo pertanto, per sua natura, una disciplina unitaria a livello nazionale, non possa formare oggetto se non di una legge dello Stato.
Con riguardo alla previsione di celebrazioni, manifestazioni e iniziative, anche nelle scuole, possono assumere rilievo le materie di competenza legislativa concorrente “promozione e organizzazione di attività culturali” e “istruzione”.
Le proposte di legge non contengono disposizioni di coordinamento con la vigente normativa in materia di solennità nazionali, inizialmente riconducibile all’art. 3 della L. 260/1949[1], ma contenuta altresì in numerosi, successivi provvedimenti.
Si ricordano di seguito le celebrazioni nazionali istituite con legge negli ultimi anni.
Il giorno 7 gennaio, anniversario della nascita del primo tricolore d'Italia, è stato dichiarato dalla L. 671/1996[2] “Giornata nazionale della bandiera”. La legge prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, siano fissate le modalità delle celebrazioni annuali che devono, comunque, prevedere il carattere non festivo del giorno stesso[3].
La L. 336/2000[4] ha ripristinato la celebrazione della “Festa nazionale della Repubblica” nella data del 2 giugno. La festa nazionale è stata istituita, nella prima legislatura, con la legge 27 maggio 1949, n. 260, ma successivamente la legge 5 marzo 1977, n. 54, ne aveva stabilito lo spostamento alla prima domenica di giugno.
Con la L. 211/2000[5] è stato istituito il “Giorno della Memoria” nella data del 27 gennaio – in tale giorno, nel 1945, vennero abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz – al fine di ricordare lo sterminio del popolo ebraico nonché “le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
In occasione della ricorrenza la legge prevede l'organizzazione di cerimonie e iniziative, in particolare nelle scuole, volte al ricordo e alla riflessione su quanto accaduto “e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
L’art. 1 della L. 92/2004[6] ha istituito, nella giornata del 10 febbraio, il “Giorno del ricordo” quale solennità civile in memoria di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e delle vicende del confine orientale. La legge prevede iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e favorisce la realizzazione, da parte di istituzioni ed enti, di studi, convegni, incontri e dibattiti[7].
Nella seduta del 26 gennaio 2005, la 1ª Commissione del Senato in sede deliberante ha approvato definitivamente l’A.S. 3120 (già approvato dalla Camera quale testo unificato delle proposte di legge A.C. 2285 ed abb.), che dichiara il 4 ottobre, solennità civile ai sensi della L. 132/1958 in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, anche “giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”. Il progetto di legge dispone che, nell’occasione, si svolgano cerimonie e iniziative, in particolare nelle scuole, dedicate a tali valori universali.
Non risultano collegamenti diretti con lavori legislativi in corso.
Licenziato dalla 4ª Commissione (Difesa) del Senato in sede referente, è in stato di relazione per l’Assemblea dal 16 marzo 2004 l’A.S. 2276, recante norme finalizzate alla celebrazione nazionale del sessantennale della Resistenza e della Guerra di liberazione.
Sono in corso d’esame presso la 1ª Commissione del Senato in sede referente i disegni di legge A.S. 857 e 1354, aventi ad oggetto la commemorazione della strage di New York dell’11 settembre 2001 e di tutte le vittime del terrorismo e dell'intolleranza.
L’art. 11 del testo unificato delle proposte di legge A.C. 2379 e abb., recanti Disposizioni in favore delle vittime di reati, proposto dal relatore alla II Commissione della Camera nella seduta dell’11 novembre 2004, istituisce una “Giornata della memoria” da celebrare nelle scuole il 12 dicembre, al fine di assicurare la conservazione della memoria delle vittime degli eventi delittuosi che hanno destato maggiore allarme sociale.
Sono altresì in corso d’esame al Senato, tra gli altri, i disegni di legge A.S. 1429 (Istituzione della “Festa della famiglia”) ed A.S. 3131 (Istituzione della “Festa nazionale dei nonni”).
N. 4325
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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APPROVATA DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 1° ottobre 2003 (v. stampato Senato n. 1383)
d’iniziativa dei senatori
TRAVAGLIA, AGOGLIATI, ALBERTI CASELLATI, ASCIUTTI, BASILE, BIANCONI, BOSCETTO, CHINCARINI, CHIRILLI, COMINCIOLI, CONSOLO, COSTA, COZZOLINO, CURTO, D’AMBROSIO, DE CORATO, DEGENNARO, FABBRI, FIRRARELLO, FLORINO, GRECO, GRILLO, GUBETTI, IERVOLINO, IOANNUCCI, LAURO, MAGNALBO’, MAINARDI, MALAN, MANFREDI, MARANO, MASSUCCO, MEDURI, MINARDO, MONCADA LO GIUDICE DI MONFORTE, MULAS, NOVI, PALOMBO, PASINATO, PASTORE, PEDRIZZI, PERUZZOTTI, PESSINA, PIANETTA, PONTONE, RIZZI, SAMBIN, SCOTTI, TOMASSINI, TREDESE, DEMASI ¾ |
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Istituzione del “Giorno della libertà” in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino |
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Trasmessa dal Presidente del Senato
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proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1.
1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. 2. In occasione del "Giorno della libertà", di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti. |
N. 2832
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati
GIBELLI, VASCON, ERCOLE, FRANCESCA MARTINI, GUIDO ROSSI, PAROLO, BRICOLO, POLLEDRI, DIDONE’, LUSSANA, STUCCHI, FONTANINI, MARTINELLI, DI LUCA, GUIDO DUSSIN, DELMASTRO DELLE VEDOVE, COSSA, TESTONI, DANIELE GALLI, CAPARINI, BORNACIN, LOSURDO, MAGGI, MESSA, CIRIELLI, LUIGI MARTINI, ARRIGHI, BELLOTTI, CORONELLA, MENIA, MUSSOLINI, LISI, ONNIS, PORCU, ARNOLDI, MARRAS, RONCHI, LANDOLFI, BRIGUGLIO, LAMORTE, ASCIERTO, ROSITANI, ZACCHEO, BALLAMAN, NICOTRA, SARDELLI, MURATORI, LEZZA, FLORESTA, MONDELLO, ANGELA NAPOLI, BALDI, PINTO, PALMIERI, LICASTRO SCARDINO, ANTONIO BARBIERI, VERRO, ZANETTA, ROSSO, MEROI, LA STARZA, FATUZZO, GERACI, JACINI, MINOLI ROTA, GALVAGNO, EMERENZIO BARBIERI, NARO, DE LAURENTIIS, DE GHISLANZONI CARDOLI, DI VIRGILIO, MANINETTI, PATRIA, MASSIDDA, ROMELE, ZAMA, GRIMALDI, STAGNO D’ALCONTRES, GIUSEPPE GIANNI, GIUSEPPE DRAGO, GRILLO, SCHMIDT, ORICCHIO, SAPONARA, TARDITI, LAVAGNINI, ANGELINO ALFANO, MARINELLO, MILANESE, SAVO, PERLINI, RICCIUTI, SCALTRITTI, STRADELLA, TABORELLI, PANIZ, PAROLI, COSSIGA, PAOLETTI TANGHERONI, CALIGIURI, GIANFRANCO CONTE, SANZA, DI GIOIA ¾ |
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Istituzione del "Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei" in occasione della ricorrenza della storica data del 9 novembre 1989, giorno della caduta del muro di Berlino |
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Presentata il 6 giugno 2002
Onorevoli Colleghi! - Nella cultura storica dei cittadini italiani, sono scolpite le immagini trasmesse, il giorno 9 novembre 1989, dalle televisioni di tutto il mondo, che mostravano migliaia di tedeschi, spinti da un nobile desiderio di libertà, che facevano crollare il muro di Berlino, uno dei simboli più vergognosi della storia del nostro continente. La caduta del muro rappresenta per tutta l’Europa la fine dell’incubo dei regimi dittatoriali e totalizzanti. Poco dopo l’Europa spazzata da un vento di cambiamento ridisegnava i suoi confini con le dichiarazioni di indipendenza di Varsavia, Praga, Budapest e, da ultimo, dei Paesi dell’ex Jugoslavia. Il 9 novembre 1989, è una data importante per l’Europa e per il nostro Paese, rappresenta la speranza nella possibilità di creare un’unione di Stati, liberi e democratici capaci di convivere in pace nel rispetto delle differenze e dei diritti fondamentali dell’uomo.
La storia si ripete, le ideologie politiche sono spesso sfociate in regimi dittatoriali e totalizzanti, per questo motivo la memoria assume un ruolo fondamentale, non dimenticare vuol dire evitare di commettere gli stessi errori, ma soprattutto significa ricordare il sacrificio di chi ha lottato per la libertà e per la democrazia.
L’Europa unita è importante per il nostro futuro, questa unione non deve essere sancita soltanto da parametri economici, ma anche e soprattutto dalla sua ricchissima storia e dai punti in comune che nella tradizione "del vecchio continente" legano le Nazioni indipendenti in unico mosaico lastricato di comuni valori.
Per questi motivi assume un ruolo di notevole interesse l’istituzione del "Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei". Questa giornata ha un valore simbolico, ma serve anche come occasione di riflessione sulla storia dell’Europa e sui crimini commessi in nome di cieche ideologie e di interessi economici e di potere.
In occasione del "Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei" verranno organizzati cerimonie, iniziative, incontri indirizzati soprattutto alle giovani generazioni in modo tale da fare sopravvivere una coscienza storica che sia a garanzia dei valori della democrazia, della libertà e dell’autonomia e indipendenza di tutti i popoli.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1. (Finalità). 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 9 novembre, data storica che segna la ricorrenza dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, "Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei" al fine di ricordare le barbarie di tutti regimi dittatoriali che hanno caratterizzato negativamente il nostro continente, come monito di garanzia per la libertà e la convivenza pacifica dei Popoli europei nel rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali dell’uomo. 2. In occasione del "Giorno della libertà e dell’indipendenza dei Popoli europei" sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti di riflessione, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, sui valori della democrazia e della libertà nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo in un’ottica di pacifica convivenza tra le varie identità nazionali che caratterizzano il nostro continente, troppo spesso ferito da barbare e cieche ideologie che hanno dato vita a regimi dittatoriali e totalizzanti.
Art. 2. (Entrata in vigore). 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. |
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 1383
DISEGNO DI LEGGE
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d’iniziativa dei senatori
TRAVAGLIA, AGOGLIATI, ALBERTI CASELLATI, ASCIUTTI, BASILE, BIANCONI, BOSCETTO, CHINCARINI, CHIRILLI, COMINCIOLI, CONSOLO, COSTA, COZZOLINO, CURTO, D’AMBROSIO, DE CORATO, DEGENNARO, FABBRI, FIRRARELLO, FLORINO, GRECO, GRILLO, GUBETTI, IERVOLINO, IOANNUCCI, LAURO, MAGNALBÒ MAINARDI, MALAN, MANFREDI, MARANO, MASSUCCO, MEDURI, MINARDO, MONCADA LO GIUDICE di MONFORTE, MULAS, NOVI, PALOMBO, PASINATO, PASTORE, PEDRIZZI, PERUZZOTTI, PESSINA, PIANETTA, PONTONE, RIZZI, SAMBIN, SCOTTI, TOMASSINI, TREDESE e DEMASI
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COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’8 MAGGIO 2002 |
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Istituzione del «Giorno della libertà» in data 9 novembre
in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino
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Onorevoli Senatori. – La mancanza di trasparenza nell’analisi storica delle vicende nazionali può provocare tensioni sociali, generate dal sospetto di una censura di fatto, manipolatrice della verità, e quindi fonte di discriminazione e ingiustizie nei confronti di cittadini ed istituzioni. Tale situazione distorsiva si verifica abitualmente con l’avvento di modelli politici ispirati all’ideologia, di tipo conseguentemente fideistico, in combinazione con il progressivo degrado e l’omologazione al potere del sistema culturale ed informativo.
Un esempio significativo di tale esperienza è stato fornito in tempi recenti dal modello sovietico, che ha somministrato per decenni ai propri cittadini una rappresentazione della realtà ben diversa dalla pratica effettiva. Esperienze analoghe erano state vissute da Paesi quali l’Italia e la Germania, che avevano trovato in un intervento esterno (la disfatta militare dei regimi) il fattore di riequilibrio informativo, ripristinatore della verità. In mancanza di interventi esterni il caso sovietico si è risolto con l’applicazione di uno strumento endogeno, noto come Glasnost (trasparenza), che ha distrutto, con un’operazione di autoanalisi, le manipolazioni informative inquinanti la realtà del Paese. Ne è emerso un quadro di mistificazione permanente, ormai a tutti noto, di cui era affiorata qualche anticipazione con le dichiarazioni di Krushev, nell’ambito del XX Congresso del PCUS nel 1956. Il recente rilancio di attenzione per le vicende sovietiche, suscitate con contorno di polemiche dalla pubblicazione de «Il libro nero del comunismo», induce tuttavia ad un riesame dei fatti riguardanti fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, onde identificare con metodi comparativi uno sbocco chiarificatore da evidenziare, sia pure simbolicamente, in via legislativa.
L’obiettivo che si persegue col presente disegno di legge è quello di istituire il «Giorno della Libertà», da celebrare annualmente il 9 novembre, data in cui veniva abbattuto il muro di Berlino, simbolo palese dell’oppressione comunista, eretto in una notte il 13 agosto 1961 ed abbattuto il 9 novembre 1989.
Utilizzando una testimonianza simbolica di tale enorme portata sarebbe possibile un riequilibrio di valutazione nei confronti dei tre più famigerati totalitarismi del XX secolo, vale a dire fascismo, nazismo e comunismo, intaccando così una serie di incrostazioni informative che hanno finora deformato in modo strumentale e fazioso il giudizio storico. Si potrebbero così accomunare in modo finalmente ecumenico, nella commozione e nella condanna, il lager nazista di Auschwitz e il gulag sovietico di Kolyma, il lager di Dachau e il gulag di Vorkuta, il lager di Mathausen e il gulag di Norilsk, le fosse Ardeatine e le fosse di Katyn e le foibe istriane, l’uccisione di Giacomo Matteotti e quella di Padre Popelusko, l’eccidio di Lidice e quello di Tienanmen, oltre al suicidio infuocato di Jan Palach e di altri pressoché sconosciuti patrioti cecoslovacchi che all’epoca lo imitarono, le vittime del Viet Nam e le vittime dell’Afghanistan.
Al fine di giustificare la scelta sopra proposta va preliminarmente analizzata, seppure in modo molto succinto, la natura del totalitarismo. Dando per scontato il consenso univoco sul fatto che il totalitarismo sia un male, per le sue caratteristiche liberticide di oppressione e violenza, e che sia altresì soltanto un genere (e quindi una categoria ampia), appare evidente che in tempi recenti tale genere ha prodotto tre specie (e quindi categorie ristrette) piú vistose: il fascismo, il nazionalsocialismo ed il comunismo, derivanti tutti da una comune matrice oppressiva unanimemente condannata.
Una volta accettata come genere la comune matrice liberticida, si tratterebbe di analizzare il diverso trattamento riservato dagli eventi alle tre specie di totalitarismo. Ne potrebbe emergere un’anomalia storica degna di riflessione: mentre il sistema totalitario nazionalsocialista, annullato in forza di un intervento militare esterno, è stato sottoposto a giudizio e condanna formali davanti al Tribunale di Norimberga, il sistema totalitario comunista, annullato per autodissoluzione, è scampato a tale sorte, in forza di una «franchigia giudiziaria», acquisita per un concorso singolare di fattori favorevoli che tendono surrettiziamente a legittimarne la pur antidemocratica natura. In effetti il patto siglato, nel 1939, fra il totalitarismo nazionalsocialista e quello comunista, con l’accordo Hitler-Stalin, aveva dirottato l’aggressività nazionalsocialista contro il sistema dei Paesi democratici, che si erano così trovati «di fronte» un totalitarismo nemico ed «a lato» un totalitarismo formalmente neutrale. Nel 1941, con l’attacco del totalitarismo nazionalsocialista a quello comunista, quest’ultimo, data la comunanza dell’avversario, si era trovato automaticamente promosso ad alleato del sistema democratico, ricevendo quindi implicitamente un attestato di legittimazione, anche se nulla era cambiato nella sua struttura totalitaria. Si era realizzata in sostanza una specie di sillogismo di tipo «sofistico», così formulato: i Paesi democratici hanno combattuto il totalitarismo nazionalsocialista e fascista, il totalitarismo comunista ha combattuto lo stesso avversario, quindi il totalitarismo comunista è democratico.
Con la sconfitta del totalitarismo nazionalsocialista, il sistema comunista aveva teoricamente «liberato» una serie di Paesi come la Germania orientale, la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria, per tacere di Paesi minori, limitandosi tuttavia a sostituire, con quello comunista, il totalitarismo nazionalsocialista, esponendosi successivamente alle rivolte democratiche in Germania orientale, Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, e vedendosi costretto a costruire un simbolo di oppressione come il Muro di Berlino.
Sembra opportuno analizzare, a questo punto, la vera natura della sbandierata «Liberazione» di questi Paesi e del loro ritorno alla «Democrazia», intendendosi con tale termine un modello che preveda la presenza del pluralismo dei partiti e di tutte le libere articolazioni della società civile e l’assenza delle caratteristiche identificate da Friedrich e Brzezinski quali tipiche dello stato totalitario e cioè: uso su vasta scala dell’ideologia, sistema di partito unico, terrore, controllo dei mezzi di comunicazione, controllo delle armi, controllo dell’economia.
Una rapida analisi storica riguardante i Paesi coinvolti ci fornisce i seguenti elementi.
Polonia: si trattava di un Paese indipendente in cui vigevano leggi elettorali, retto da governi «forti» nazionali e prestigiosi, tipo Pilsudski, seppure di ispirazione feudale, di un Paese che dopo l’occupazione nazi-comunista del 1939, aveva formato un governo democratico di centro liberale all’estero (Sikorski), che aveva combattuto contro i nazisti con l’esercito di Anders, che aveva subito l’eccidio di Katyn (che vide l’esecuzione di 15.000 ufficiali polacchi) ad opera dei sovietici, che verso la fine della guerra si era sollevato con i suoi partigiani a Varsavia contro i nazisti occupanti, nella voluta indifferenza dell’esercito russo, attestato ai bordi della città come spettatore della repressione. Il Paese era stato occupato in condominio dai nazicomunisti nel 1939, in esclusiva dai nazisti dal ‘41 al ‘45 e sottoposto ai comunisti dal ‘45 alla caduta del muro. Il primo governo del dopoguerra era capeggiato dallo stalinista Bierut, col maresciallo sovietico Rokossovsky ministro della difesa.
L’intolleranza al sistema comunista si manifestava in Polonia con i primi segnali di sciopero contro il governo a Poznan nel 1956; nel 1981 veniva imposta la legge marziale ed iniziavano gli arresti di esponenti di Solidarnosc. La prima elezione democratica dopo la caduta del muro aveva luogo nel 1990, con l’elezione di Walesa a Presidente.
Romania: Paese indipendente, dal regime monarchico scarsamente democratico, non veniva mai occupata dai nazisti ai quali si alleava nel 1941 per l’attacco all’Unione Sovietica. Firmava la pace separata con l’URSS il 23 agosto 1944. Re Michele riparava in esilio il 30 dicembre 1947, con la costituzione della Repubblica popolare rumena, di ispirazione comunista.
Bulgaria: Regime a democrazia altalenante. Nel 1938 il Parlamento veniva formalmente ristabilito. Il Paese si avvicinava all’Asse, aderendo al patto tripartito, ma non dichiarava mai guerra alla URSS. Il Paese non veniva mai occupato dai nazisti. I comunisti assumevano il potere in Bulgaria il 9 settembre 1944 e mettevano al bando l’opposizione nel 1946, allorché la Bulgaria diveniva una repubblica popolare. Dopo l’abbattimento del Muro il primo ministro Zivkov si dimetteva il 10 novembre 1989. Libere elezioni nel giugno del 1990 venivano vinte dai socialisti e nel 1991 dai democratici. Nelle elezioni del 1997 veniva definitivamente sconfitta l’ala socialista.
Le vicende della Bulgaria offrono uno spunto di riflessione interessante. Le testimonianze più attendibili sono ovviamente quelle provenienti dai soggetti che siano realmente passati attraverso determinate esperienze. Ne consegue ad esempio che l’esaltazione di determinati modelli politici da parte di chi li abbia vissuti come semplice spettatore sia molto meno affidabile rispetto al parere dei soggetti che li abbiano vissuti di persona. Prima della caduta del muro di Berlino la Bulgaria era considerata una delle interpreti più ortodosse del verbo comunista, tanto da legittimare, in caso di votazioni plebiscitariamente sospette, l’espressione «Maggioranza bulgara». Alla luce del recente provvedimento legislativo emanato dall’attuale parlamento bulgaro, che viene riportato di seguito, si può ragionevolmente ritenere che la precedente ortodossia bulgara fosse pesantemente condizionata dalle «fraterne» pressioni sovietiche.
Atto sulla dichiarazione di criminalità del regime comunista in Bulgaria
Art. 1 (1) il partito comunista bulgaro (denominato partito bulgaro dei lavoratori) ha assunto il potere il 9 settembre 1944 con l’aiuto di una potenza straniera che aveva dichiarato guerra alla Bulgaria, ed in violazione della costituzione di Turnovo allora in vigore.
Art. 1 (2) il partito comunista bulgaro è responsabile del governo del Paese dal 9 settembre 1944 al 10 novembre 1989 ed ha condotto il Paese ad una catastrofe nazionale.
Art. 2 (1) i capi ed i principali funzionari del partito comunista bulgaro sono responsabili di quanto segue:
1) la distruzione mirata e decisa dei valori tradizionali della civiltà europea;
2) la violazione dolosa dei diritti umani e delle libertà fondamentali;
3) la persecuzione senza precedenti operata nei confronti dei parlamentari della XXV Assemblea Nazionale e di tutti i cittadini imputati dal cosiddetto tribunale del popolo in base alla falsificazione delle accuse;
4) il declino morale ed economico dello Stato;
5) l’adozione di una gestione centralizzata e dirigistica dell’economia, con il conseguente collasso della stessa;
6) la violazione e soppressione dei principi tradizionali del diritto di proprietà;
7) la distruzione dei valori morali dei cittadini e la violazione delle loro libertà religiose;
8) l’adozione di una costante politica del terrore contro i cittadini in disaccordo con il sistema di governo e contro intere categorie della popolazione;
9) la violazione, per motivi politici ed ideologici, dei principi riguardanti l’educazione infantile, l’istruzione, la scienza e la cultura, ivi comprese le motivazioni e giustificazioni a sostegno di tali azioni;
10) la distruzione indiscriminata della natura.
Art. 2 (2) il regime comunista è responsabile di quanto segue:
1) sottrazione ai cittadini di ogni possibilità di libera espressione della volontà politica attraverso la costrizione a nascondere le proprie opinioni sulla situazione del Paese e ad esprimere consenso pubblico nei confronti di determinati fatti e circostanze, pur essendo pienamente consapevoli della loro falsità e persino della loro natura criminale. Al fine di raggiungere tale obiettivo il regime utilizzava forme di persecuzione e la minaccia di perseguitare gli individui, le loro famiglie e i loro parenti;
2) la violazione sistematica dei fondamentali diritti umani attraverso l’oppressione di intere categorie della popolazione differenziate a seconda delle caratteristiche politiche, sociali, religiose o etniche, in violazione del fatto che la Repubblica popolare di Bulgaria aveva aderito alle norme internazionali sui diritti umani fin dal 1970;
3) la violazione dei principi fondamentali dello Stato democratico dell’autorità della legge, degli accordi e leggi internazionali in vigore, ponendo così gli interessi del partito comunista e dei suoi rappresentanti al di sopra della legge;
4) l’aver usato, nella persecuzione dei cittadini, tutti i mezzi utilizzabili dal Governo, quali:
a) esecuzioni, regime di carcerazioni disumane, campi di lavoro forzato, torture, applicazione di violenza estrema;
b) certificazione di insanità mentale e ricovero presso istituti psichiatrici come mezzo di repressione politica;
c) frapposizione di ostacoli o proibizione nel campo dell’acquisizione dell’istruzione e della pratica delle professioni;
d) ostacolo alla libera circolazione all’interno del Paese ed all’estero;
e) privazione della cittadinanza.
5) esecuzioni di delitti impuniti e concessione di privilegi illegali a persone coinvolte in azioni delittuose e nella persecuzione di altre persone;
6) aver subordinato gli interessi del Paese ad uno stato straniero fino al limite della perdita dell’individualità nel rispetto della dignità nazionale e della effettiva perdita della sovranità dello Stato.
Art. 3 (1) le circostanze elencate negli articoli 1 e 2 forniscono la base per la dichiarazione del carattere criminale del regime comunista che ha governato la Bulgaria dal 9 settembre 1944 al 10 novembre 1989.
Art. 3 (2) il partito comunista bulgaro operava come una organizzazione criminale, al pari di altre organizzazioni basate sulla sua ideologia e le cui attività erano dirette alla violazione dei diritti umani e del sistema democratico.
Art. 4 tutte le azioni delle persone impegnate a resistere e a rifiutare il regime comunista e la sua ideologia durante il periodo sopra menzionato sono legittime, moralmente giustificate e degne di rispetto.
Il presente atto è stato adottato dalla 38ª Assemblea nazionale il 26 aprile del 2000 ed è stato contrassegnato dal sigillo ufficiale dell’Assemblea Nazionale.
Presidente dell’Assemblea Nazionale
Y. Sokolov
Verificato dal Responsabile del direttorato dei servizi amministrativi:
M. Russava
Ungheria: Governo indipendente, vicino all’Asse, dichiara guerra all’URSS nel 1941. Invasa nel 1944 dai nazisti che depongono il Presidente Horty e costituiscono un governo che cade alla fine della guerra. Le elezioni del novembre 1945 danno la maggioranza al Partito dei piccoli proprietari, successivamente screditato dai sovietici ed escluso dal governo. L’Ungheria diviene una Repubblica popolare in base ad una costituzione di tipo sovietico il 20 agosto 1949, con la presenza costante sul territorio di truppe sovietiche. Il 23 ottobre 1956 la rivolta popolare causa il ritiro dalla capitale delle truppe sovietiche, che vi rientrano il 4 novembre 1956, soffocando la ribellione coi carri armati. Il primo ministro della rivolta, Imre Nagy, viene giustiziato. Nell’ottobre 1989 il partito comunista si trasforma in partito socialdemocratico ungherese e l’Ungheria si muta in semplice Repubblica, abbandonando la denominazione di «Popolare». Alle prime successive elezioni sale al potere il 23 maggio 1990 una coalizione di centro destra.
Cecoslovacchia: Smembrata a partire dal 1938, con la cessione dei Sudeti ai tedeschi, la concessione di una tenue indipendenza alla Slovacchia, e l’annessione alla Germania, nel 1939, di Boemia e Moravia. L’occupazione nazista cessa nel 1944-45. Alle elezioni del 1946 i comunisti conquistano 114 seggi su 300 e si impadroniscono del potere. Prima delle nuove elezioni del 1948, Gottwald instaura la dittatura comunista. Nella primavera del 1968 Novotny, succeduto a Gottwald, viene sostituito come segretario del partito da Dubcek, che persegue un programma di recupero democratico. (Primavera di Praga). Nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968 le truppe sovietiche invadono la Cecoslovacchia per ristabilire l’ordine socialista. Dubcek viene estromesso nell’aprile del 1969. Il 24 novembre 1989, in seguito a minacce di dimostrazioni popolari, il Politburo ceko si dimette. Il 29 dicembre 1989 si tengono libere elezioni che conducono Havel al potere.
Germania: Alla fine della guerra la Germania viene divisa nelle quattro zone: americana, inglese, francese e russa. Il 23 maggio 1949 viene costituita la Repubblica Federale Tedesca (nelle tre zone occidentali) ed il 7 ottobre 1949 la Repubblica Democratica Tedesca (Zona russa). Nella zona russa scoppia il 23 giugno 1953, a Berlino, la rivolta operaia, che viene schiacciata dall’intervento dei carri armati sovietici. Il 13 agosto 1961 viene eretto il muro di Berlino, abbattuto il 9 novembre 1989, dopo 28 anni dalla costruzione. Le libere elezioni del 18 marzo 1990 danno la vittoria agli schieramenti di centro destra. Il 3 ottobre 1990, con l’unificazione della Germania, finisce la Repubblica Democratica Tedesca.
Grecia: le vicende greche di fine guerra testimoniano la casualità, per i singoli Paesi, dell’appartenenza al mondo democratico o totalitario. I partigiani comunisti greci dell’ELAS e dell’EAM, guidati da Markos e intenzionati ad instaurare nel Paese un regime comunista, si oppongono al ritorno del re in esilio e al relativo referendum proposto per sanzionare l’evento. Combattono contro le truppe inglesi inviate da Churchill in Grecia per difendere l’ordine costituito e gli accordi internazionali. Dopo il referendum del 1º settembre 1946, i partigiani comunisti continuano i combattimenti per tre anni, con l’appoggio di URSS e Yugoslavia, dalle basi dell’Epiro meridionale. Gli aiuti, e di conseguenza la guerriglia, cessano con la frattura russo-yugoslava.
Appare chiaro che, senza l’appoggio occidentale, la Grecia sarebbe stata «liberata» dai comunisti.
Dalla breve rassegna sopra esposta emerge chiaramente l’importanza della data di abbattimento del muro di Berlino che segna, in reale e significativa coincidenza con tale evento, il vero momento di «liberazione» di tanti Paesi, passati dalla brevissima soggezione al totalitarismo nazista o addirittura dall’indipendenza, alla ben più lunga soggezione al totalitarismo comunista.
Una più approfondita ed obiettiva analisi storica dovrebbe quindi condurre alla conclusione che la fine della seconda guerra mondiale ha registrato due tipi di «Liberazione». Una liberazione effettiva, ossia quella operata dagli eserciti e partigiani dei Paesi realmente «democratici» nei confronti dei Paesi occidentali ed una «pseudo liberazione», effettuata dall’armata rossa nei confronti dei Paesi dell’Est, dove si è semplicemente operata una sostituzione di totalitarismo. I popoli soggetti hanno dovuto attendere oltre quarant’anni per essere veramente liberati, evento che si è realizzato soltanto in coincidenza con la caduta del muro di Berlino. Ed è proprio questo cumulo di circostanze che legittima il muro di Berlino come candidato più significativo a simbolizzare il concetto di Libertà. Pensando al pericolo scampato dalla Grecia e a quello molto più sfumato corso dall’Italia (con la riluttanza dei partigiani comunisti a deporre le armi) si può concludere che, pur in una visione ideale in molti casi sincera e quindi rispettabile, i partigiani comunisti, illudendosi di portare libertà, erano portatori di totalitarismo.
La «franchigia giudiziaria», ottenuta finora dal totalitarismo comunista in base ad una legittimazione opportunistica, non puó tuttavia assumere carattere permanente. La circostanza che un totalitarismo come quello sovietico, autore di crimini piú gravi sul piano quantitativo e qualitativo di altri totalitarismi che hanno subìto la giusta condanna, sia stato esentato da un giudizio formale, tipo Norimberga, rappresenta un fatto iniquo che puó incidere negativamente nella coscienza di un Paese e va quindi rimosso. L’istituzione di un Giorno della libertà, riferito alla data di abbattimento del muro di Berlino, può rappresentare quindi una preziosa occasione di riflessione e di condanna.
La questione dei crimini commessi da uno Stato è stata affrontata per la prima volta dal Tribunale di Norimberga, il cui statuto così li codifica:
All’articolo 6a, Crimini contro la pace;
all’articolo 6b, Crimini di guerra;
all’articolo 6c, Crimini contro l’umanità.
I crimini commessi dal totalitarismo comunista rientrano in tutte e tre le categorie sopra menzionate, come dimostrano alcune menzioni a puro titolo esemplificativo:
6a: spartizione della Polonia, annessione all’URSS degli Stati Baltici, della Bucovina del Nord e della Bessarabia, aggressione alla Finlandia;
6b: liquidazione degli ufficiali polacchi nelle fosse di Katyn, soppressione nei gulag di soldati tedeschi prigionieri, saccheggio sistematico degli apparati industriali nei Paesi occupati;
6c: azioni di sterminio nei confronti dei Cosacchi, azioni di sterminio nei confronti dei contadini ricchi (kulaki), foibe istriane, «triangolo della morte» in Emilia, azioni di sterminio contro gruppi sociali: nobiltà, borghesi, intellettuali, clero, o contro categorie professionali: ufficiali, gendarmi, medici, eccetera.
Secondo il sopracitato Libro nero i regimi comunisti hanno sulla coscienza, fino ad oggi, il seguente numero di morti:
URSS, 20 milioni
Cina, 65 milioni
Vietnam, 1 milione
Corea del Nord, 2 milioni
Cambogia, 2 milioni
Europa dell’Est, 1 milione
America latina, 150.000
Africa, 1,7 milioni
Afghanistan, 1,5 milioni
Movimenti comunisti non al potere: 10.000.
Ci si potrebbe interrogare sull’utilità di una «rivisitazione» della storia comunista in base ad un criterio di confronti criminali, sostenendo che a questa stregua andrebbero chiamate in causa altre storie di oppressione e violenza, esemplificate dalle persecuzioni religiose o dal colonialismo. Indipendentemente dal fatto che la ricerca della verità rappresenta un dovere morale, al di fuori di criteri opportunistici circa l’utilità o meno dell’indagine, e che la rimozione strumentale della verità rappresenta un fatto moralmente inaccettabile e degradante, nel caso dei totalitarismi di questo secolo l’esigenza appare del tutto giustificata, almeno per due motivi.
A parità di efferatezza, due totalitarismi, quello fascista e quello nazionalsocialista, sono stati formalmente condannati, mentre quello comunista ha goduto della franchigia giudiziaria, creando cosi una sperequazione intollerabile per la coscienza civile e violando le più elementari regole di par condicio. Pur in presenza di tale situazione faziosa si continua a demonizzare il nazifascismo, estinto e condannato, tacendo del comunismo.
A differenza dei defunti totalitarismi fascista e nazionalsocialista, quello comunista è tuttora vitale: non va dimenticato infatti che solo il 37 per cento della popolazione originariamente sottoposta al regime comunista è stata liberata dal giogo, il che significa che il 63 per cento delle popolazioni inizialmente sottomesse è ancora sottoposto all’oppressione totalitaria. Tale fatto, a parte l’ingiustizia della mancata liberazione, rappresenta una mina vagante per la collettività internazionale, in quanto la mancata condanna ufficiale di un regime politico inaccettabile potrebbe consentirne il rilancio, con gravi rischi per l’equilibrio democratico mondiale.
L’enorme significato simbolico del «Giorno della libertà» è rappresentato quindi dal suo duplice valore di riparazione storica e di sfida attuale.
Per quanto riguarda il primo punto, sulla base degli archivi che si vanno aprendo, sarà praticabile infatti una vera analisi internazionale degli eventi, per una istruttoria di condanna del comunismo, snidandolo dalle attuali posizioni di immunità ed omologandolo ai giudizi già pronunciati su fascismo e nazionalsocialismo.
Nel secondo caso, la sfida attuale, sarà possibile coinvolgere cuori e cervelli che, sotto l’egida del «Giorno della libertà» diano l’avvio ad un montante movimento di opinione che si batta per la liberazione dei miliardi di cittadini che ancora languono sotto la dominazione comunista.
E quanto sia meritevole di attenzione la proposta di celebrare un «Giorno della libertà» legato alla data della caduta del muro di Berlino, come simbolo universale dell’aspirazione umana alla libertà, sia riferito al passato che ad un presente che purtroppo vede tanti esseri umani ancora soggetti al giogo comunista, lo testimonia anche la dichiarazione resa dal segretario dei DS, Valter Veltroni, nella relazione al congresso del suo partito nel gennaio 2000 al Lingotto di Torino. Pur scontando qualche passo contraddittorio o lacunoso, che denuncia comunque la propensione della sinistra a turare strumentalmente le falle storiche, il messaggio appare ineluttabilmente chiaro:(...) Attraverso l’antifascismo e le grandi lotte unitarie dei lavoratori... i comunisti... hanno fatto crescere e talvolta perfino rinascere la libertà e la stessa dignità umana. Quando invece sono potuti andare oltre quelle che venivano definite, al plurale, «le libertà borghesi», e hanno potuto affermare o imporre il comunismo come sistema politico, hanno finito per negare la libertà e i diritti fondamentali. Nel passaggio da ideale di giustizia e di solidarietà alla sua concreta realizzazione il comunismo si è allora trasformato in una delle più grandi tragedie del Novecento... Milioni di uomini, nell’Europa dell’Est dominata dal comunismo, hanno perduto la libertà individuale e collettiva che avevano conquistato, tra immensi sacrifici, liberandosi dall’oppressione nazista. Milioni di uomini non hanno mai potuto organizzare un partito politico vero, un sindacato, dar vita a giornali liberi, indire uno sciopero o convocare una manifestazione politica, scrivere libri che non piacessero al regime.
Chi ha tentato di farlo ha conosciuto le invasioni dei carri armati e repressioni sanguinose. I sacrifici dei martiri dell’Ungheria, dei protagonisti della Primavera di Praga, di Jan Palach, dei morti dell’89, stanno lì a dimostrarcelo. Come stanno a dimostrarcelo gli orrori della Cambogia di Pol Pot o la persecuzione da parte cinese del popolo tibetano.
Ecco perché non ci sono, non ci possono essere frasette ambigue, doroteismi verbali, ambiguità di comodo fra noi. Per questo ribadiamo che nel Novecento (ossia da quando è andato al potere, n.d.r.), nella sua concreta realizzazione storica, il comunismo è stato incompatibile con la libertà.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
2. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.
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AFFARI COSTITUZIONALI (1a)
177a Seduta (pomeridiana)
Presidenza del Presidente
PASTORE
Intervengono i sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Ventucci e per l’interno D’Alì.
La seduta inizia alle ore 14,45.
IN SEDE REFERENTE
(1383) TRAVAGLIA ed altri. - Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino
(Esame e rinvio)
Il relatore BOSCETTO illustra il disegno di legge n. 1383, corredato da una analitica relazione di carattere storico, che dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, prevedendo lo svolgimento di cerimonie commemorative ufficiali e di momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà, evidenziando gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.
Il seguito dell’esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16,30.
AFFARI COSTITUZIONALI (1a)
231a Seduta
Presidenza del Presidente
PASTORE
Intervengono i sottosegretari di Stato per l’interno D’Alì e alla Presidenza del Consiglio dei ministri Saporito.
La seduta inizia alle ore 15,05.
IN SEDE REFERENTE
(1383) TRAVAGLIA ed altri. - Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino
(Seguito dell’esame e rinvio)
Prosegue l’esame, sospeso nella seduta pomeridiana del 23 luglio 2002.
Il PRESIDENTE propone di fissare il termine per la presentazione di eventuali emendamenti alle ore 18 di giovedì 6 febbraio.
La Commissione conviene.
Il seguito dell’esame è rinviato.
La seduta termina alle ore 16,05.
AFFARI COSTITUZIONALI (1a)
238a Seduta
Presidenza del Presidente
PASTORE
Interviene il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Ventucci.
La seduta inizia alle ore 14,50.
IN SEDE REFERENTE
(1383) TRAVAGLIA ed altri. - Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino.
(Seguito e conclusione dell’esame)
Prosegue l’esame, sospeso nella seduta del 28 gennaio.
Si procede all’esame degli emendamenti, che si intendono illustrati, sui quali si pronunciano in senso negativo il relatore BOSCETTO e il sottosegretario VENTUCCI.
Accertata la presenza del prescritto numero di senatori, sono dichiarati decaduti per l’assenza dei rispettivi proponenti gli emendamenti 1.1, 1.2, 1.3 e 1.4.
La Commissione approva quindi la proposta del Presidente di conferire al relatore l’incarico di riferire all’Assemblea per l’approvazione del disegno di legge in titolo.
La seduta termina alle ore 15,40.
EMENDAMENTI AL DISEGNO DI LEGGE N. 1383
Art. 1
1.1 TURRONI
Al comma 1, sostituire le parole: "9 novembre" e "dell’abbattimento del muro di Berlino" rispettivamente con le seguenti: "2 agosto" e: "dell’abbandono del campo di concentramento di Fossoli".
Conseguentemente, modificare il titolo del disegno di legge con il seguente: "Istituzione del "Giorno della libertà" in data 2 agosto in ricordo dell’abbandono del campo di concentramento di Fossoli".
1.2 TURRONI
Al comma 1, sostituire le parole: "9 novembre" e "dell’abbattimento del muro di Berlino" rispettivamente con le seguenti: "27 gennaio" e:"dell’entrata delle truppe alleate nel campo di Auschwitz ".
Conseguentemente modificare il titolo del disegno di legge con il seguente: "Istituzione del "Giorno della libertà" in data 27 gennaio in ricordo delle truppe alleate nel campo di Auschwitz ".
1.3 MALABARBA, Tommaso SODANO
Al comma 1, aggiungere, in fine, le seguenti parole: "e il 19 aprile giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia, una tra le prime manifestazioni di opposizione al nazismo e al fascismo in Europa".
1.4 MALABARBA, Tommaso SODANO
Al comma 2, dopo le parole: "Giorno della libertà" inserire le seguenti: "e del Giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia".
Conseguentemente, nel titolo del disegno di legge, aggiungere, in fine, le seguenti parole: "e del Giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia in data 19 aprile".
BILANCIO (5a)
Sottocommissione per i pareri
149a Seduta
Presidenza del Presidente
AZZOLLINI
Interviene il sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze Maria Teresa Armosino.
La seduta inizia alle ore 15,05.
(1383) TRAVAGLIA ed altri - Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino
(Parere alla 1a Commissione. Esame. Parere favorevole)
Il relatore NOCCO rileva che, per quanto di competenza, non vi sono osservazioni da formulare sul disegno di legge in titolo.
Con l’avviso conforme del sottosegretario Maria Teresa ARMOSINO, su proposta del RELATORE, la Sottocommissione esprime, infine, parere di nulla osta.
La seduta termina alle ore 15,30.
Relazione della 1a Commissione Affari costituzionali
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾
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N. 1383-A
Relazione orale
Relatore Boscetto
TESTO PROPOSTO DALLA 1ª COMMISSIONE PERMANENTE (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL’INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) Comunicato alla Presidenza il 12 marzo 2003
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PER IL
DISEGNO DI LEGGE
Istituzione del «Giorno della libertà» in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino d’iniziativa dei senatori TRAVAGLIA, AGOGLIATI, ALBERTI CASELLATI, ASCIUTTI, BASILE, BIANCONI, BOSCETTO, CHINCARINI, CHIRILLI, COMINCIOLI, CONSOLO, COSTA, COZZOLINO, CURTO, D’AMBROSIO, DE CORATO, DEGENNARO, FABBRI, FIRRARELLO, FLORINO, GRECO, GRILLO, GUBETTI, IERVOLINO, IOANNUCCI, LAURO, MAGNALBÒ, MAINARDI, MALAN, MANFREDI, MARANO, MASSUCCO, MEDURI, MINARDO, MONCADA LO GIUDICE di MONFORTE, MULAS, NOVI, PALOMBO, PASINATO, PASTORE, PEDRIZZI, PERUZZOTTI, PESSINA, PIANETTA, PONTONE, RIZZI, SAMBIN, SCOTTI, TOMASSINI, TREDESE e DEMASI
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comunicato alla presidenza l’8 maggio 2002 |
PARERE DELLA 5ª COMMISSIONE PERMANENTE
(PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO)
(Estensore: Nocco)
28 gennaio 2003
— La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminato il disegno di legge, per quanto di propria competenza, esprime parere di nulla osta.
DISEGNO DI LEGGE
N. 1383 d’iniziativa dei senatori Travaglia ed altri
Art. 1.
1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
2. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.
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SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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362a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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(Antimeridiana) |
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Presidenza del vice presidente CALDEROLI
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Discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1383.
Il relatore, senatore Boscetto, ha chiesto l’autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.
BOSCETTO, relatore. Signor Presidente, signori senatori, questo disegno di legge, composto di un unico articolo, si propone di dichiarare il 9 novembre giorno della libertà, in quanto ricorrenza dell’abbattimento del Muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
Si prevede che in occasione del giorno della libertà "vengano annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole, che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti". È quindi un disegno di legge che va a sanzionare pesantemente, nel ricordo negativo, tutti i totalitarismi passati e anche quelli che, purtroppo, ancora residuano.
Si è scelto come momento simbolo quello della caduta del Muro di Berlino, avvenuta appunto il 9 novembre, in quanto quell’evento ha segnato la fine di uno dei più importanti e negativi totalitarismi della storia.
Questa è la mia breve relazione. Mi riservo eventualmente di usare più tempo per la replica.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale che, come convenuto, si terrà nella giornata di martedì.
Rinvio pertanto il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
La seduta è tolta (ore 12,09).
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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PUBBLICA |
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RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MARTEDI’ 1° APRILE 2003 (Antimeridiana) |
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Presidenza del vice presidente DINI, indi del vice presidente CALDEROLI
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1383.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 20 marzo il relatore ha svolto la relazione orale ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Travaglia. Ne ha facoltà.
TRAVAGLIA (FI). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, il disegno di legge in discussione tocca un tema di grande delicatezza che pervade da decenni, in modo più o meno esplicito, la vita del Paese, esercitando un’influenza di grande rilievo sull’equilibrio democratico della collettività e condizionando talvolta scelte politiche importanti.
È infatti ancora aperto il capitolo sulla condivisione dei significati impliciti del concetto di totalitarismo, anche a causa della mescolanza tra razionalità e passione che la sola evocazione del concetto può suscitare. La definizione non è facile e molti studiosi, fra i quali recentemente anche il collega Fisichella, si sono impegnati nell’analisi elaborando una serie di pregevoli ipotesi culturali.
Tuttavia, la politica è essenzialmente un esercizio pragmatico, sia pure alimentato da contributi culturali, e mi limiterò quindi ad una citazione da vocabolario secondo cui è di natura totalitaria il regime politico che ammette un solo partito informatore e guida dell’azione statale e nel quale il potere governativo disciplina direttamente tutti i rapporti sociali in base ad un’unica ideologia.
Aggiungerò una più elaborata definizione, seppure datata, di Friedrich e di Brzezinski, che indica sei caratteristiche tipiche degli Stati totalitari: uso su vasta scala dell’ideologia (le società totalitarie forniscono spiegazioni per ogni momento della vita); sistemi a partito unico (gli Stati totalitari sono sistemi a partito unico guidati da dittatori o leadership collettive: il partito unico è il solo partito legale nello Stato e monopolizza le cariche di Governo); terrore (gli Stati totalitari usano il terrore per mantenere il controllo della situazione attraverso limitazioni della libertà personale, interrogatori illegali, torture); controllo dei mezzi di comunicazione (le voci dissenzienti sono obbligate ad una comunicazione sotterranea; il regime fornisce una interpretazione unica e spesso distorta della realtà, rinforzando la propria ideologia); controllo delle armi; controllo dell’economia (attraverso piani economici statali con obiettivi da raggiungere per ciascun settore industriale, agricolo o altro; può anche significare l’abolizione della proprietà privata).
Alla luce di quanto sopra, sembra legittimo dedurre che il secolo scorso abbia assistito alla nascita e alla fine, sia pure incompleta, di tre totalitarismi principali, vale a dire il fascismo, durato vent’anni, il nazismo, durato dodici anni, ed il comunismo europeo, durato settant’anni. Si limita di proposito l’analisi ai totalitarismi principali, in quanto è ben possibile che altri totalitarismi minori e diversi abbiano funestato il pianeta, ma l’analisi porterebbe troppo lontano.
Del resto, la percezione stessa del totalitarismo appare un fatto abbastanza recente, dato che in passato le condizioni di vita erano tali per cui gli esseri umani impegnati nella lotta per la sopravvivenza avevano poco tempo a disposizione per meditare su modelli politici più democratici rispetto al totalitarismo, che molto spesso rappresentava l’unica soluzione di governo.
Per illustrare le condizioni di vita di un tempo, si pensi infatti che Jean Fourastié, il più grande studioso del confronto fra passato e presente, così si esprime nel suo testo fondamentale "Machinisme et bien-être": "A partire dal 1709 non sono più gli anni di fame che limitano l’espansione dell’umanità, a partire dal 1709 non si vedono più in Francia città o regioni intere sottoposte al furore della fame; a partire dal 1709 non si vedono più uomini mangiare bambini; a partire dal 1709 non si venderà più carne umana sul mercato di Tournus".
La consapevolezza del modello totalitario e della sua condanna marciano quindi di pari passo con il miglioramento della qualità della vita ed il conseguente sviluppo della coscienza democratica.
Il provvedimento in esame propone che venga ricordata in modo formale la fine dei totalitarismi significativi del XX secolo attraverso l’istituzione di una giornata commemorativa denominata "Giorno della libertà", da celebrarsi il 9 novembre di ogni anno in occasione dell’anniversario della caduta del muro di Berlino.
Sono svariati i motivi che fanno di questa data il simbolo universale della libertà come risposta all’oppressione del totalitarismo.
Presidenza del vice presidente CALDEROLI
(Segue TRAVAGLIA). La data si riferisce, infatti, alla chiusura del ciclo dei totalitarismi del XX secolo e assume quindi rilevanza cronologica, come significato conclusivo; richiama, inoltre, il totalitarismo di maggior durata, nonché quello che ha coinvolto di gran lunga il maggior numero di persone; si riferisce ad un totalitarismo ancora in vita in Paesi extraeuropei e rappresenta quindi uno stimolo alla riflessione e all’impegno civile e politico; fra i totalitarismi significativi, rappresenta inoltre l’unico modello dichiaratamente basato su una teoria a pretese scientifiche con l’ostentazione di presunti valori culturali; rappresenta l’unico totalitarismo che non abbia ricevuto una condanna istituzionale a livello internazionale.
I contenuti sopraindicati appaiono possedere un significato di tipo universale e quindi la celebrazione, nella data prescelta, potrebbe ben assumere col tempo una portata internazionale.
Avendo fatto riferimento ad un totalitarismo specifico, vorrei ricorrere, onde evitare accuse di parzialità, ad una testimonianza, tanto più autorevole in quanto di parte che attesti la legittimità della scelta proposta. Si tratta di un brano tratto dalla relazione di Valter Veltroni al primo congresso dei Democratici di Sinistra svoltosi al Lingotto di Torino dal 13 al 16 gennaio 2000.
Dice Veltroni: "Attraverso l’antifascismo e le grandi lotte unitarie dei lavoratori (…) i comunisti (…) hanno fatto crescere e talvolta perfino rinascere la libertà e la stessa dignità umana. Quando invece sono potuti andare oltre quelle che venivano definite, al plurale, "le libertà borghesi", e hanno potuto affermare o imporre il comunismo come sistema politico, hanno finito per negare la libertà e i diritti fondamentali. Nel passaggio da ideale di giustizia e di solidarietà alla sua concreta realizzazione il comunismo si è allora trasformato in una delle più grandi tragedie del Novecento (…). Milioni di uomini, nell’Europa dell’Est dominata dal comunismo, hanno perduto la libertà individuale e collettiva che avevano conquistato, tra immensi sacrifici, liberandosi dall’oppressione nazista. Milioni di uomini non hanno mai potuto organizzare un partito politico vero, un sindacato, dar vita a giornali liberi, indire uno sciopero o convocare una manifestazione politica, scrivere libri che non piacessero al regime. Chi ha tentato di farlo ha conosciuto le invasioni dei carri armati e repressioni sanguinose. I sacrifici dei martiri dell’Ungheria, dei protagonisti della Primavera di Praga, di Ian Palach, dei morti dell’89, stanno lì a dimostrarcelo. Come stanno a dimostrarcelo gli orrori della Cambogia di Pol Pot o la persecuzione da parte cinese del popolo tibetano. Ecco perché non ci sono, non ci possono essere frasette ambigue, doroteismi verbali, ambiguità di comodo fra noi. Per questo ribadiamo che nel Novecento, ossia da quando è andato al potere, nella sua concreta realizzazione storica, il comunismo è stato incompatibile con la libertà".
Per quanto riguarda il nostro Paese, ma situazioni analoghe potrebbero sussistere altrove, la data ed il riferimento previsti andrebbero a colmare una lacuna esistente in termini di pluralismo, ossia di un concetto spesso evocato anche molto autorevolmente nel dibattito nazionale, al quale sembra opportuno conferire talvolta un contenuto preciso nelle situazioni che lo richiedono.
Le celebrazioni tradizionali del 25 aprile e del 1° maggio, alle quali si è aggiunto recentemente il "Giorno della Memoria", dedicato alle vittime della Shoah, coprono infatti unilateralmente un solo versante del totalitarismo, escludendo in termini generali le vittime dell’oppressione stalinista nelle sue varie articolazioni, dai gulag alla persecuzione delle categorie sociali, dalle "purghe" alle deportazioni etniche denunciate, tra l’altro, da Krusciov nella sua relazione al XX Congresso del PCUS. E non considerano comunque, in un contesto nazionale, i casi delle foibe istriane nelle quali migliaia di cittadini italiani hanno perso la vita ad opera dei miliziani comunisti.
Una larghissima parte dei cittadini, pur condividendo senza riserve la condanna antitotalitaria delle tradizionali celebrazioni contro il nazifascismo, prova disagio a partecipare a manifestazioni non universali, in cui la scarsa presenza del tricolore e l’abbondanza di simboli di parte impongono quasi una forma di pedaggio ideologico ai partecipanti. La celebrazione del "Giorno della libertà" è destinata a consentire l’omaggio a tutte le vittime del totalitarismo, ivi comprese quelle finora ingiustamente escluse, e a favorire, una volta onorato il concetto di pluralismo, una partecipazione più massiccia e convinta dei cittadini a tutte le manifestazioni indette.
Vorremmo a questo punto riprendere il concetto, sopra evocato, della teoria scientifica presente alla base del comunismo e assente nei casi del fascismo e del nazismo, in quanto va attribuita al fatto un’importanza anche pratica.
La prova della differenza fra i due schieramenti totalitari è fornita in termini concreti anche dal fatto banale che, nel definire l’appartenenza ad un dato schieramento, i termini marxista (come teoria) e quello comunista (come pratica) sono sostanzialmente fungibili. Se invece al termine fascista o nazista si volesse associare in alternativa un termine di peso teorico, ci si troverebbe nell’impossibilità di citare qualcosa di significativo.
Il fatto sopra evocato ha una sua importanza, in quanto, se la teoria marxista si fosse confermata valida, la pratica comunista ne sarebbe uscita enormemente rafforzata; essendo invece fallita la teoria, ha trascinato con sé nella caduta la pratica comunista, moltiplicandone i connotati negativi. Popper, d’altronde, aveva molto tempestivamente compreso i rischi che Marx correva, quando collocava la propria teoria nel contenitore filosofico dello storicismo, basato sull’erronea convinzione che sia possibile prevedere le leggi di sviluppo della società.
Tuttavia, pur nel bilancio disastroso generato dal fallimento della teoria e testimoniato dal prevalente abbandono, discreto e progressivo, di simboli, nomi e princìpi teorici, la presenza di una teoria di base è riuscita a procurare e mantenere al comunismo qualche rendita di posizione: la pura e semplice enunciazione e codificazione sistematica di una serie di princìpi ed obiettivi astrattamente nobili e condivisibili in teoria (anche se brutalmente smentiti dalla pratica) ha consentito al comunismo di ricorrere in appello di fronte all’opinione pubblica.
E difatti, mentre fascismo e nazismo, non avendo in dote una teoria che li nobiliti, vengono brutalmente e giustamente giudicati in base ai risultati, il comunismo può godere di quello che Furet definisce il "beneficio delle buone intenzioni", secondo il quale si giustificano anche comportamenti inaccettabili se compiuti per un sogno di giustizia ed uguaglianza, per un nobile ideale. In sostanza, il nazifascismo è giudicato in base ai risultati e il comunismo in base alle intenzioni.
E questo doppio binario, alquanto originale, ha potuto generare situazioni marcatamente anomale, come quella denunciata, ad esempio, da Paolo Emilio Taviani nel suo libro postumo "Politica a memoria d’uomo", a testimonianza di una realtà davvero inaccettabile e che la pubblica opinione sembra avere sottovalutato. Nel testo esiste la conferma di una sorta di condizione extra legem garantita al Partito comunista italiano, ad esempio sui finanziamenti dall’URSS: "Abbiamo sempre detto" - scrive Taviani - "che il PCI è pagato da Mosca. Ma dare pubblicità alle carte di quel finanziamento comporterebbe necessariamente mettere al bando il PCI. Dunque guerra civile". Eppure, malgrado la testimonianza contenuta nel libro del comunista Cervetti "L’oro di Mosca" e l’ulteriore conferma di un personaggio insospettabile come Taviani, i rapporti fra PCI e Unione Sovietica continuano a rimanere tuttora avvolti in una specie di coltre fumogena che ne altera la trasparenza.
È certo che, col passare del tempo, con la progressiva apertura e pubblicizzazione degli archivi sovietici e il crescente coinvolgimento critico dell’opinione pubblica, la verità andrà gradualmente irrobustendosi e, come la pratica, così anche lo scudo protettivo della teoria nei confronti del modello marxista-comunista andranno gradualmente indebolendosi. Provvedimenti come quello in esame possono rappresentare un sia pur modesto contributo all’aumento della trasparenza e quindi alla progressiva neutralizzazione del potere di attrazione del modello comunista, favorendo il progresso di un giudizio obiettivo da parte della collettività.
In un clima di crescente attenzione civile e democratica, potrebbe meglio attecchire la condanna di ogni azione o manifestazione di pensiero che confliggano in qualche maniera con un modello di società ispirato al rispetto di valori fondamentali di civile convivenza e di misura democratica. Tanto per fare un esempio recentissimo di violazione di tale equilibrio, si potrebbe citare la decisione dell’amministrazione di Pontassieve - secondo i giornali - di intitolare una strada al nome dell’omicida di Giovanni Gentile. Un gesto che avrebbe meritato la civile condanna di tutte le parti politiche.
Il modello marxista si presenta comunque superato anche dal punto di vista economico. Non va dimenticato che il 23 per cento della popolazione mondiale è ancora soggetto a regimi comunisti e che in tale ambito rientra anche la Cina con il suo miliardo e duecentocinquanta milioni di persone; un Paese il cui ingresso in un modello politico di totale libertà, formale e sostanziale, è assolutamente indispensabile per il futuro equilibrio democratico dell’intero pianeta. In termini economici, ricordiamo che, secondo i dati della Banca mondiale, il reddito medio pro capite di Paesi come la Cina, Cuba, la Corea del Nord, il Laos e il Vietnam è risultato nel 2001 di 861 dollari l’anno, pari a due milioni di vecchie lire.
La progressiva democratizzazione di tutti i Paesi che sono ancora al di fuori di questo circuito virtuoso va favorita con l’eliminazione di tutte le incrostazioni, le ambiguità, le false lusinghe di modelli non appetibili, la cui adozione potrebbe soltanto ritardare il raggiungimento di ragionevoli livelli di vita.
Per concludere con un ultimo riferimento al provvedimento in esame, vorrei sottolineare che, oltre al contributo di trasparenza, esso potrebbe aiutare anche il processo, di cui si avvertono fermenti sempre più significativi, basato sull’esigenza di qualche forma di pacificazione nazionale. Non è auspicabile che in occasione delle prossime celebrazioni delle tradizionali ricorrenze si ripetano i casi di attrito degli ultimi tempi, che hanno visto il tentennamento delle istituzioni sotto la pressione di chi voleva poter onorare vittime, come quelle delle foibe, finora escluse dal ricordo cui hanno diritto. Il pluralismo delle celebrazioni potrà spianare la strada ad una atmosfera di maggiore serenità rafforzando il senso di identità nazionale e favorendo in tal modo l’efficacia della nostra azione interna e internazionale.
La politica, come la natura, ha orrore del vuoto. Questo provvedimento potrebbe contribuire a colmare una significativa lacuna nel quadro celebrativo nazionale, favorendo l’equilibrio della coscienza democratica negli interessi del Paese. (Applausi dai Gruppi FI e LP. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Turroni. Ne ha facoltà.
TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, considero questo progetto di legge pura propaganda, così come ho considerato pura propaganda un precedente ed analogo progetto di legge, relativo alle carte per cui è stata istituita la Commissione Mitrokhin. Si tratta di un provvedimento - ripeto - di pura propaganda, strumentale, ad uso interno, con il quale si vorrebbe, a senso unico, far uso della libertà.
Ho ascoltato affermazioni fatte con il desiderio di portare riferimenti storici, ad esempio al fascismo italiano, durato vent’anni. Ma quando si pensa e si argomenta su valori e questioni che riguardano il mondo intero, non si possono dimenticare i fascismi che in Portogallo sono durati assai più dei vent’anni di quello italiano o i totalitarismi presenti in altre parti del mondo, magari sostenuti da alcune democrazie occidentali. Vorrei chiedere: per quei Paesi, per quei cittadini, qual è la data della fine di tali totalitarismi, magari sostenuti dalle nostre democrazie occidentali?
Come dicevo, questo provvedimento è propaganda ad uso interno, così come è pura propaganda la dichiarazione di pochi giorni fa del Presidente del Consiglio dei ministri a proposito delle bandiere rosse. Lo posso dire io che non ne ho mai portata una (ma in quest’Aula c’è chi ha portato bandiere rosse) e lo posso dire con totale laicità. Vorrei ricordare al Presidente del Consiglio che rosse erano le bandiere del Partito Repubblicano (partito, ahimè, finito nella sua maggioranza), come rosse erano le bandiere ed i garofani di quel Partito socialista da cui il medesimo Berlusconi ottenne benefici, protezioni e favori.
È facile dividere tra bene e male, considerando che il bene sta tutto da una parte e il male tutto da un’altra. Così facendo, però, si dimentica la storia e quello che è avvenuto; si dimentica come in molti casi il male, o quello che è considerato oggi male, abbia contribuito - come è accaduto nel nostro Paese - alla conquista della libertà.
Si intende celebrare la caduta del muro di Berlino. Vorrei allora ricordare ai proponenti il disegno di legge che non a caso a Fatima, cittadina del Portogallo, luogo nel quale secondo i credenti la Madonna si sarebbe manifestata a tre pastorelli, accanto alla cappella eretta a ricordo di quell’evento è stato posto un pezzo del muro di Berlino, portato lì a ricordo. Si tratta di un segno ed io a quel segno voglio riferirmi.
Infatti, se alla "Giornata della libertà" deve essere attribuita una data significativa, perché allora non riconoscere, proprio attraverso il riferimento che ho appena fatto, il giorno in cui è stato eletto papa Giovanni Paolo II, cioè il 16 ottobre del 1978, come l’inizio della caduta di quei totalitarismi cui si è fatto riferimento? Non possiamo, infatti, dimenticare come l’azione di questo Papa sia stata determinante per la caduta del muro, ma anche per la caduta di regimi come quello della Polonia.
Vedo nella proposta al nostro esame la volontà di utilizzare questo tipo di argomenti ad uso interno, per fare propaganda, come se le vicende che oggi riguardano il nostro Paese potessero ancora essere legate e riferite ad un passato che non esiste più, da moltissimo tempo.
Per questo, allora, in totale contrapposizione, abbiamo presentato due emendamenti tendenti (come l’indicazione che ho appena dato, cioè della persona che ha avuto il merito, attraverso la sua opera costante, di far crollare il comunismo in tante parti del mondo) a ricordare altre date significative che potrebbero essere considerate nel nostro Paese ricorrenze a testimonianza della caduta dei totalitarismi: una il 2 agosto 1944, giorno in cui venne abbandonata quella vera e propria vergogna costituita per il nostro Paese dal campo di concentramento di Fossoli, nel quale passarono oltre 40.000 cittadini italiani catturati dai fascisti e dai nazisti per essere deportati in Germania e poi morire lì, nei campi di concentramento.
Ebbene, perché non dedicare la "Giornata della libertà" alla data in cui il campo di Fossoli venne abbandonato, ricordando che in quel campo, immediatamente dopo, si costituì, grazie al lavoro di don Zeno Saltini, la comunità di Nomadelfia, che raccoglieva gli orfani di quella guerra che era stata criminalmente attuata dal Governo del nostro Paese? Lì, con il nome di Nomadelfia, che tradotto significa legge della fraternità, venne costituita una società che faceva appunto dell’amore e della difesa dei più deboli il fondamento della propria ragion d’essere.
Un altro emendamento, altrettanto significativo, è volto a rafforzare un’idea che ho esposto poco fa parlando del bene e del male e di come quest’ultimo abbia potuto, comunque, contribuire alla conquista della libertà; del resto, la storia è fatta in questo modo.
Con l’emendamento 1.2 proponiamo di dedicare il "Giorno della libertà" a ricordo del 27 gennaio 1945, data in cui le truppe alleate - com’è noto, l’Armata Rossa - entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz. Questa data rappresenta realmente la libertà conquistata dall’Europa, quando venne posto fine a quella barbarie e reso noto al mondo cosa un totalitarismo aveva prodotto in termini di sterminio, di negazione dei diritti delle persone e della loro diversità, non solo fisica, ma anche ideologica. Ricordiamo, infatti, che in quel campo di sterminio - come in tutti gli altri che la barbarie nazista aveva costruito - non morirono solamente ebrei, ma anche zingari, comunisti e omosessuali.
Ebbene, se desideriamo evitare un uso strumentale e propagandistico di una proposta di legge come quella a nostro esame, non dobbiamo indirizzarla a vicende utili soltanto alla propaganda e al disconoscimento degli avversari che qualcuno ritiene di avere in un determinato schieramento politico.
Queste persone credo abbiano dato prova, negli oltre cinquantacinque anni di storia repubblicana e in quelli che hanno preceduto la Costituzione (quindi nel periodo che ha portato alla liberazione del nostro Paese), di aver lavorato tutte per il raggiungimento della libertà; anche coloro che, attraverso questo disegno di legge, si vorrebbe condannare per aver aderito ad una ideologia alla cui base vi era il marxismo.
In sostanza, con il provvedimento in titolo si vorrebbe cancellare il loro contributo alla libertà nel nostro Paese. Ebbene, dobbiamo respingere tale proposta e, volendo istituire il "Giorno della libertà" dai totalitarismi, prendere come riferimento il simbolo più bieco e più abietto, rappresentato dai campi di concentramento costruiti in Polonia e negli altri Paesi sottoposti al regime nazista. Di conseguenza, la giornata simbolo dovrebbe essere il 27 gennaio, giorno in cui furono aperti i cancelli di Auschwitz e liberate le poche persone che ancora vi vivevano in condizioni terribili.
Queste sono le considerazioni che ci sentiamo di fare con spirito estremamente laico, proprio perché - come affermato in precedenza - non siamo stati in alcun modo - né come forza politica, né personalmente - coinvolti in tali vicende.
Crediamo che non si debba fare in alcun modo un uso strumentale di quei drammatici eventi. Ho appena ascoltato il Sottosegretario affermare la ferma volontà di lavorare per la coesione sociale, ma pochi istanti dopo ho visto gettare via a scopo propagandistico un fatto come questo.
Ritengo che queste iniziative non siano utili a nessuno, soprattutto al confronto democratico, in un momento come l’attuale, in cui fortissime tensioni sono presenti nel nostro Paese e a livello internazionale per una guerra che sta provocando vittime in un campo e nell’altro, fra coloro che hanno deciso di invadere l’Iraq, coloro che lo stanno difendendo e cittadini che non hanno alcuna responsabilità nel conflitto.
In questo momento di tensione, nel quale così forti sono le preoccupazioni per tanti individui e così forti sono l’esigenza e il desiderio che a tutti quei lutti e a quelle pene sia posta al più presto fine, non abbiamo bisogno di altri elementi per avere al nostro interno - come se non fossero abbastanza quelli già esistenti - ulteriori divisioni, ulteriori scontri, ulteriori disconoscimenti del diritto di ciascuno di partecipare alla vita politica e sociale del Paese.
Per tutti questi motivi, ritengo che il provvedimento in esame sia quanto meno da abbandonare. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).
BOSCETTO, relatore. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BOSCETTO, relatore. Signor Presidente, vorrei ricordare, affinché eventualmente l’errore non venga ripetuto, che la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz è già ricordata dalla legge 20 luglio 2000, n. 211, quale Giorno della memoria.
L’articolo 1 infatti stabilisce che: "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
L’articolo 2 prevede che "In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione", come abbiamo visto nel 2001 e nel 2002.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vitali. Ne ha facoltà.
VITALI (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, come ha sostenuto poc’anzi il senatore Turroni, il Paese e le istituzioni non si devono dividere su valori condivisi come la libertà e la memoria dei grandi eventi che hanno segnato la nostra storia recente. Quindi, è necessario riflettere ancora sulla proposta avanzata, anche per capire quale sia la reale intenzione della maggioranza.
Sono infatti emersi due modi radicalmente diversi di proporre l’argomento; uno è quello del relatore, senatore Boscetto. Egli si è limitato ad illustrare in modo asettico le 14 righe del provvedimento che propone di dichiarare il 9 novembre ""Giorno della libertà", quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolico per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo". In quella giornata - ha ricordato il senatore Boscetto - verrebbero "annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti". Ma sulla base di questa illustrazione dell’argomento risulta persino difficile capire il significato che si intende attribuire al termine "totalitarismo", che purtroppo indica una realtà molto diffusa nel mondo di oggi.
Nel disegno di legge si parla del muro di Berlino, ed è quindi evidente che si pensa ai regimi comunisti dei Paesi dell’Est europeo che hanno conquistato la democrazia e la libertà dopo la rivoluzione del 1989 e la fine dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma quali sono le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo? Si pensa alla Cina, al Vietnam, alla Corea del Nord, a Cuba, cioè a quei Paesi che si richiamano ancora al comunismo e dove ancora vige il sistema del partito unico di stampo sovietico? Tutto lascia pensare che a questi ci si riferisca, soprattutto con l’avverbio "tuttora". Ma non vi sono forse altri sistemi non democratici dove i diritti umani non vengono rispettati e che con una legge così concepita rientrerebbero sicuramente nella categoria dei regimi totalitari? Come escludere, ad esempio, da questa categoria tutti quei regimi nei quali non vigono le regole della democrazia di stampo occidentale e quindi evitare che si prendano in esame indifferentemente Paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e del Medio Oriente, nei quali vigono sistemi basati sul fondamentalismo religioso, sulla negazione dei diritti umani e sul dominio di oligarchie che difendono il proprio potere con la forza?
Il tema della democrazia e del rispetto dei diritti umani è una questione cruciale nel mondo di oggi ed ha un valore universale. La condanna dei regimi che non li rispettano è importante, ma occorre valutare come sia opportuno estendere sempre più questi valori fondamentali in Paesi nei quali essi sono negati o calpestati ed agire di conseguenza non in una sola giornata, naturalmente, ma costantemente, in tutte le sedi internazionali nelle quali il nostro Paese è rappresentato.
Così facendo, è del tutto chiaro che si entra nel vivo della questione che divide le Nazioni Unite e l’Europa in questo preciso momento. Non possiamo infatti ignorare, proprio in queste ore che ci vedono con il fiato sospeso per la guerra tremenda in corso in Iraq, che sul tema dei diritti umani e della democrazia o, per meglio dire, sul modo in cui assicurarla in ogni parte del mondo vi è una controversia in atto, una differenza profonda nella comunità internazionale.
Tutti i grandi protagonisti della scena mondiale convengono sulla necessità di combattere strenuamente il terrorismo dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001. Ma c’è chi pensa, come l’Amministrazione degli Stati Uniti, che la liberazione dei popoli da un regime dispotico possa avvenire anche con l’intervento armato esterno - è il caso dell’Iraq - e chi invece ritiene che ciò possa avvenire solo dall’interno, se non si vogliono infiammare intere regioni del mondo come il Medio Oriente e trasformare la lotta contro il terrorismo in uno scontro di civiltà fra Occidente ed Islam.
Le stesse parole del Pontefice, forti e drammatiche, sulla pace e sul dialogo interreligioso, vanno lette evidentemente in questa chiave.
Si è discusso a lungo, ad esempio, nella comunità internazionale, sull’idea che una potenza emergente come la Cina, con la quale il nostro Paese intrattiene normali relazioni diplomatiche e commerciali, possa essere classificata come un Paese la cui popolazione è tuttora soggetta al totalitarismo, come suggerisce il provvedimento legislativo che ci viene ora proposto.
Il tema della democrazia e dei diritti umani in Cina è un tema reale: basti ricordare il massacro di piazza Tien An Men a Pechino, proprio pochi mesi prima del crollo del muro di Berlino, nel giugno 1989. Ma la domanda è: un’evoluzione democratica di un grande Paese come la Cina la si produce integrandola nella comunità internazionale e nei suoi organismi o tenendola ai margini?
Mi sembra che la risposta nelle sedi internazionali ci sia già stata e sia del primo tipo. Vogliamo risollevare la questione? Vogliamo intervenire nelle sedi internazionali per porre il problema del rispetto dei diritti umani in quel grande Paese? Nessuna obiezione da parte nostra, purché si sia consapevoli di cosa stiamo decidendo con un provvedimento apparentemente delimitato come quello che ci viene ora sottoposto.
Per non parlare poi di Cuba, nei cui confronti la politica dell’embargo da parte degli Stati Uniti ha prodotto solo miseria e non ha minimamente aiutato quel Paese a fare passi avanti verso la democrazia.
Sono tutte domande e considerazioni che mi portano ad una prima, provvisoria conclusione. Libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani nel mondo rappresentano un tema cruciale per l’avvenire del nostro pianeta.
Anche il modo in cui la povertà, la fame, l’iniqua distribuzione delle risorse possono essere affrontate dipende dai luoghi in cui vengono prese le decisioni e da quanto queste possano essere influenzate dall’opinione delle popolazioni interessate, liberamente e democraticamente espressa.
Le associazioni internazionali che si occupano di diritti umani, come la statunitense Freedom House o Amnesty International, calcolano vi siano circa 50 Paesi nel mondo in cui sono perpetrate gravi violazioni dei princìpi di libertà e democrazia e circa 80 Paesi in cui la legalità democratica non è pienamente rispettata.
Sono Paesi i cui regimi sono di natura assai diversa, con fondamenti ideologici e religiosi diversi. L’estensione della democrazia e dei diritti umani nel mondo passa indubbiamente attraverso il rafforzamento delle Nazioni Unite e di tutti gli organismi internazionali, oggi minacciati dalle spinte all’unilateralismo.
È necessario, ad esempio, pensare ad una sorta di Maastricht democratica - mi verrebbe da dire - a livello globale, pensare cioè al potenziamento di tutti i parametri del rispetto della democrazia e dei diritti umani come condizioni per entrare a far parte di tutti gli organismi internazionali, compresi quelli di carattere economico, poiché economia e democrazia non possono essere disgiunte. Su questo aspetto, purtroppo, il nostro Occidente ha tante colpe, per le quali dovrebbe chiedere scusa al mondo.
Al perseguimento di questi fondamentali obiettivi può bastare la proclamazione di una giornata? Se non chiariamo bene cosa intendiamo, non si rischiano gravi equivoci o fraintendimenti? Lo dico sinceramente anche ai presentatori della proposta: non è forse necessaria un’azione costante e quotidiana che parta da un impegno solenne del Parlamento e si sviluppi in azioni conseguenti, anche con momenti ufficiali di riflessione e di approfondimento nelle scuole?
Ricordare la caduta del muro di Berlino nei suoi molteplici e più autentici significati è cosa importante ma diversa. La caduta del muro ci ricorda sicuramente la conquista della libertà e della democrazia per tutti i Paesi che facevano parte del blocco sovietico. È anche l’inizio di una nuova fase storica per l’Europa e il mondo intero; è il simbolo della fine della divisione in due della Germania e della divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi politici, militari e ideologici contrapposti.
Con la riunificazione della Germania è finita la guerra fredda, si è aperta la possibilità di estendere l’Unione europea ad Est, come sta accadendo con l’Europa a 25, e l’Alleanza militare Nord-Atlantica ha cessato di essere concepita in funzione antisovietica.
La caduta del muro avvenne all’improvviso, quasi di sorpresa, nella notte del 9 novembre 1989 (quando la folla si accalcò nei pressi del muro alla notizia che tutti coloro i quali volevano recarsi in un altro Paese erano liberi di farlo senza alcun permesso), così come in una notte, quella del 13 agosto 1961, il muro fu costruito.
È stato indubbiamente un passaggio d’epoca che ha sollecitato storici come Timothy Garton Ash, il quale ha documentato nella storia del presente i grandi cambiamenti dell’Europa dell’Est nel decennio successivo, fino alla caduta di Milosevic a Belgrado, o Eric Hobsbawm, cui dobbiamo la felice espressione riferita al ‘900 come "secolo breve", che egli ritiene sia iniziato con la catastrofe della prima guerra mondiale e terminato precocemente con la caduta del muro.
Per intendere fino in fondo il significato di quell’evento possono soccorrere le grandi parole di un grande filosofo e sociologo tedesco, Jürgen Habermas, che nella rivoluzione in corso nel 1990 scriveva: "Indiscutibili sono la simpatia e l’entusiasmo per la spontanea gioia di rivedersi dei berlinesi, dei parenti, degli amici, degli abitanti di una stessa città che sono stati fino a quel momento separati. Si apre il cuore alla vista della libertà riconquistata, di una libertà di muoversi trasformata in passo di corsa, un arrestarsi sgomento e sopraggiunto: con un colpo solo è stato messo a nudo tutto il mostruoso, l’assurdo, il surreale di tutto ciò che questo muro rappresenta. Ma già il giorno seguente si poté notare la confusione di sentimenti, la nostra insicurezza su ciò che essi volessero effettivamente significare."
Libertà, dunque, riunificazione dell’Europa e fine della guerra fredda sono i significati inscindibili legati alla ricorrenza della caduta del muro, che è stato indubbiamente un grande evento di portata storica, insieme, come ha scritto Habermas, all’insicurezza e all’incertezza per il futuro. È dunque giusto ricordare quella giornata, ma è a tutti questi aspetti che bisogna fare riferimento se non si vuole fare torto al suo significato più autentico e al modo in cui l’Europa e il mondo lo hanno vissuto.
È lecito, inoltre, chiedersi se una eventuale ricorrenza del genere deve riguardare un solo Paese dell’Unione oppure - come sembra più sensato, visto il suo carattere universale - non deve invece essere assunta dall’Europa in quanto tale. La Germania, infatti, non festeggia la data della caduta del muro, il 9 novembre, ma quella della riunificazione, avvenuta il 3 ottobre 1990.
Avrebbe un grande significato che il Parlamento italiano proponesse agli organismi dell’Unione Europea di istituire una giornata della libertà e della riunificazione europea il 9 novembre, in occasione della caduta del muro. Potrebbe essere un modo per ribadire, anche attraverso ricorrenze come questa, la comune identità europea, i valori condivisi di libertà e democrazia cui tutti ci ispiriamo, i quali, soprattutto in un momento di grave crisi e tensione internazionale, come quello che stiamo ora vivendo, avrebbero la necessità di essere riaffermati.
La maggioranza - mi chiedo - è disponibile a ripensare alla sua proposta e a riformularla in questo senso? Si può pensare all’approvazione di un ordine del giorno per far ritornare il provvedimento in Commissione e poi rapidamente approvarlo in Aula? Lo chiedo a lei, senatore Boscetto, che è relatore sul provvedimento.
Se sarà così, si potrà trovare l’intesa con l’opposizione e si potrà procedere in modo condiviso; il che, su materie tanto importanti e delicate, è un bene prezioso da preservare con ogni cura.
Ricordo che il Parlamento italiano ha saputo procedere così con la legge 20 luglio 2000, n. 211, che istituisce il "Giorno della Memoria", in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Anche quello poteva essere un argomento di scontri e contrapposizioni, ma così fortunatamente non è stato.
Viceversa, se la maggioranza non saprà intraprendere questa strada di ragionevolezza e di buon senso, non farà altro che dimostrare di volere lo scontro con l’opposizione, anzi di ricercarlo, per ragioni esclusivamente propagandistiche.
E vengo all’altro modo di presentare la proposta, quello della relazione sul disegno di legge e quello esposto poco fa dal senatore Travaglia. Nella relazione si affrontano, in un modo che definire approssimativo e superficiale mi sembra un puro eufemismo, le vicende storiche dei regimi comunisti e della loro fine tra il 1990 e il 1991.
Si cita "Il libro nero del comunismo" per sostenere, invocando una sorta di par condicio, che "a parità di efferatezza, due totalitarismi, quello fascista e quello nazionalsocialista, sono stati formalmente condannati, mentre quello comunista ha goduto della franchigia giudiziaria". "Pur in presenza di tale situazione faziosa si continua a demonizzare il nazifascismo, estinto e condannato, tacendo del comunismo". "L’istituzione di un "Giorno della libertà", riferito alla data di abbattimento del muro di Berlino, può rappresentare quindi una preziosa occasione di riflessione e di condanna".
Ora, caro senatore Travaglia, noi non vogliamo affatto tacere sul dispotismo dei regimi comunisti, sulla negazione dei diritti di libertà che in quei regimi si manifestava, sulla violazione dei diritti umani. L’abbiamo detto ben prima della caduta del muro, c’è chi ha manifestato anche a sinistra per i fatti di Ungheria del 1956 e un’intera generazione ha protestato per l’invasione dei carri armati sovietici a Praga nel 1968. Se la sinistra italiana ha conquistato tanti consensi nelle libere elezioni ed è riuscita ad avvicinare tanti giovani amanti della libertà è anche perché ha saputo collegarsi inscindibilmente ai valori della democrazia, e lo ha dimostrato fin dai tempi della Resistenza antifascista e della Costituzione.
Per questo, lei, senatore Travaglia, non può sostenere ciò che ha scritto: "Pensando al pericolo scampato dalla Grecia e a quello molto più sfumato corso dall’Italia (con la riluttanza dei partigiani comunisti a deporre le armi) si può concludere che, pur in una visione ideale in molti casi sincera e quindi rispettabile, i partigiani comunisti, illudendosi di portare libertà, erano portatori di totalitarismo".
No, lei questo non può dirlo. Non può dimenticare che fu proprio nella lotta antifascista, combattuta fianco a fianco nelle Brigate partigiane e nei Comitati di liberazione nazionale da azionisti, comunisti, socialisti, cattolici e liberali, che nacquero i fondamenti del Patto costituzionale che ci ha regalato la nostra Repubblica, una delle democrazie più avanzate del mondo.
E non può essere dimenticato il contributo sovietico all’alleanza antifascista e la modernizzazione, seppur per via non democratiche, di società agricole tremendamente arretrate che avvenne in quei Paesi, che forse sono tra le ragioni che hanno visto storicamente distinti e contrapposti quei regimi che la relazione al presente provvedimento tende invece ad accomunare.
Nei suoi panni, poi, senatore Travaglia, io non avrei mai usato la parola "demonizzare" riferita al nazifascismo, che è un nemico ancora da combattere; e non avrei mai detto che il nazismo e il fascismo sono estinti e condannati, quando purtroppo vi sono in Italia e in Europa rigurgiti di xenofobia e di razzismo che non di rado si richiamano proprio all’ideologia del nazismo e del fascismo. Quando si leggono frasi di questo genere, viene alla mente un artifizio propagandistico, che evidentemente sta molto a cuore a molti nella maggioranza: evocare il fantasma del comunismo per mettere sul banco degli imputati i suoi presunti eredi.
Non voglio fare una polemica fin troppo facile; mi interessa capire cosa ha in mente la maggioranza: se si riconosce nelle parole misurate del relatore, senatore Boscetto, o se invece condivide i toni e le idee, per noi del tutto inaccettabili, del senatore Travaglia.
Per questo concluderò il mio intervento con le parole di uno dei più grandi studiosi di teoria del diritto e della politica del nostro tempo, il senatore a vita e nostro collega Norberto Bobbio, al quale voglio inviare un affettuoso saluto. Bobbio non ha mai avuto simpatie comuniste; è uno studioso di ispirazione azionista liberale che, come ebbe a dire egli stesso in uno scritto sul liberalsocialismo del 1994, si riconosce meglio - cito testualmente - "anche emotivamente nel motto "Giustizia e libertà"".
Norberto Bobbio ha affrontato il tema del crollo del sistema sovietico in due scritti, il primo del 1989 e l’altro del 1994. In quest’ultimo ha formulato due precise avvertenze che dovrebbero valere per tutti noi. La prima suona così: "Anche per uno come me, che, pur non essendo mai stato comunista, non avendo mai avuto la tentazione di esserlo, anzi, avendo dedicato la maggior parte degli scritti di critica politica a discutere coi comunisti su temi fondamentali come la libertà e la democrazia, non è stato nemmeno un anticomunista e ha sempre considerato i comunisti, o per lo meno i comunisti italiani, non come nemici da combattere, ma come interlocutori di un dialogo sulle ragioni della sinistra, il crollo catastrofico dell’universo sovietico non può non indurre a qualche riflessione".
La seconda avvertenza è la seguente: "Ogni giudizio su comunismo, filo-comunismo, anticomunismo non è possibile, ed anche eticamente scorretto, al di fuori del contesto storico in cui certe passioni sono sorte, certe convinzioni si sono formate, certi giudizi e pregiudizi hanno avuto origine". Addentrandosi poi nel giudizio storico, Bobbio continua così il suo ragionamento: "La passione e l’azione dei comunisti sono state ispirate all’ideale della emancipazione umana contro lo sfruttamento e l’alienazione, un ideale universalistico antitetico a quello del fascismo, nazionalistico, e a quello nazista, addirittura razzista".
Seguono parole dure, tragiche: "Da laico non ho nessuna difficoltà a considerarlo un ideale religioso, e riconosco che un tale ideale è completamente estraneo all’ethos democratico. Ma in questa idea del riscatto dell’uomo dalla miseria e dall’infelicità terrena, dalla schiavitù economica e dall’oppressione politica, risiede il fascino che il comunismo ha esercitato sui reietti, su coloro che, stando sui gradini più bassi della scala sociale, vedono soltanto in un salto qualitativo, in un atto rivoluzionario, in una trasformazione radicale della società, la possibilità di salire su un gradino più alto".
Crudamente, ma lucidamente, Bobbio continua: "Comincia soltanto ora la ricerca delle ragioni per cui il tentativo di attuare nella storia l’utopia di una società libera dalla miseria e dall’oppressione, si sia risolto nel suo contrario, in un sistema di potere dispotico che è andato sempre più assomigliando al regno del Grande Fratello descritto da Orwell".
E senza alcuna indulgenza per quei regimi questo scritto di Norberto Bobbio si conclude così: "La prova non è riuscita. La differenza sta nel senso che si vuole dare a questa conclusione catastrofica: o l’inevitabile esito del progetto perverso di sterminare una classe, la borghesia, come ha detto ancora recentemente Ernst Nolte, oppure il fallimento altrettanto inevitabile di un grandioso disegno di trasformare il corso della storia, in cui hanno creduto o sperato milioni di uomini. La giusta sconfitta di un immane crimine o l’utopia capovolta. Delle due possibili conclusioni, la più tragica è, senza ombra di dubbio, la seconda".
Una conclusione non molto diversa da quella dello storico Eric Hobsbawn nell’ultima parte de "Il secolo breve", dedicata alla fine del socialismo: "La tragedia della Rivoluzione d’Ottobre fu precisamente che essa poteva produrre soltanto quel tipo di socialismo spietato, brutale e autoritario".
"L’utopia capovolta" è il titolo dell’articolo di commento alla strage di Piazza Tien An Men che Bobbio scrisse per "La Stampa" nel giugno 1989. In quell’articolo Bobbio, prendendo atto della catastrofe del comunismo storico, il quale poteva sopravvivere ancora come regime, ma che egli vedeva già avviato lungo un percorso di disfacimento ormai irrimediabile, scriveva queste parole: "Il pensare che la speranza della rivoluzione sia spenta, e sia finita soltanto perché l’utopia comunista è fallita, significa chiudersi gli occhi per non vedere. Sono in grado le democrazie che governano i paesi più ricchi del mondo di risolvere i problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere? Questo è il problema. Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi, se mai ora e nel prossimo futuro su scala mondiale, che l’utopia comunista aveva additato e ritenuto che fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire "L’avevamo sempre detto!". O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo "storico") abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? Non sarà bene rendersi conto che, se nel nostro mondo regna e prospera la società dei due terzi che non ha nulla da temere dal terzo dei poveri diavoli, nel resto del mondo la società dei due terzi, o dei quattro quinti o dei nove decimi, è quell’altra? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? "Ora che di barbari non ce ne sono più," - dice il poeta - "che cosa sarà di noi senza barbari?"".
Sono parole scritte quattordici anni fa e che hanno ancora una straordinaria attualità. Parole che contengono la verità più importante: il crollo del comunismo ha chiuso la fase storica centrale dello scorso secolo ma ne ha aperta un’altra, niente affatto definita e scontata nei suoi esiti.
Senza nessuna nostalgia per la guerra fredda, ormai del tutto alle nostre spalle, bisogna constatare che il mondo non ha ancora trovato un suo equilibrio, un suo meccanismo di regolazione. La drammatica crisi irachena di questi giorni, e la divisione in atto negli organismi politici e militari internazionali sono lì a dimostrarlo.
Il crollo del comunismo ha lanciato una sfida alle nostre democrazie, ha affidato loro la responsabilità storica di individuare una risposta alle grandi ingiustizie e ai grandi squilibri del pianeta.
E nell’epoca della globalizzazione crescente queste risposte non sono state ancora trovate. Per tutto un periodo si è pensato che le risposte fossero nell’allargamento dei mercati, o che la globalizzazione dei mercati producesse automaticamente la riduzione degli squilibri, ma così non è stato. Anzi, le ricette liberiste hanno aumentato le diseguaglianze nel mondo, non le hanno ridotte.
Né si può pensare di ispirarsi di nuovo a politiche di pianificazione che hanno fatto fallimento.
La democrazia può vincere la sfida solo se non è unicamente un insieme di regole. Se il pluralismo e la libertà sono la nervatura di un sistema capace di estendere il governo democratico del pianeta e di riportare progressivamente sotto il suo controllo le grandi questioni della distribuzione delle risorse, della fame, della povertà, della crescita della popolazione, dell’ambiente in cui viviamo.
Questo significa oggi il rifiuto di ogni sistema dispotico e autoritario. I regimi comunisti sono crollati e su di essi è giusto che si dispieghi il giudizio storico, pur nell’articolazione dei diversi punti di vista.
Ma se vogliamo davvero che vi sia un giorno che ricordi la caduta del muro di Berlino, un evento sicuramente di portata epocale, allora il concetto di liberazione da un sistema dispotico, per i popoli che vivevano nel blocco sovietico, e di riunificazione europea dopo la fine della guerra fredda devono stare insieme.
Solo così potremo rendere un servizio alla verità storica, non venire affatto meno all’esigenza di ricordare la tragedia di regimi che negavano la democrazia e la libertà e nello stesso tempo sollecitare una riflessione autentica e non di parte sui valori fondanti la nostra convivenza e la nostra identità di europei e di cittadini del mondo.
Noi, colleghi della maggioranza, abbiamo avanzato una proposta. A voi l’onere di esaminarla e di discuterla e di dimostrare così che intendete farvi interpreti di esigenze di unità e non di divisione dello spirito pubblico di questo nostro Paese. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U e del senatore Zavoli. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Stiffoni. Ne ha facoltà.
STIFFONI (LP). Signor Presidente, il 9 novembre 1989 crollava uno dei più terribili simboli di sofferenza e di oppressione: il muro di Berlino. La sua caduta rappresenta per tutta l’Europa la fine dell’incubo dei regimi dittatoriali e totalizzanti. Di lì a poco l’Europa ridisegnava i suoi confini con le dichiarazioni di indipendenza di Varsavia, Praga, Budapest e, da ultimo, dei Paesi dell’ex Jugoslavia.
Inoltre, il 9 novembre 1989 è una data importante perché ha dato il via ad una seria valutazione storica dei crimini messi in atto dai regimi comunisti, che, vista la terribile efferatezza (si pensi soltanto, a titolo esemplificativo, ai gulag di Kolyma, di Vorkuta, di Norlisk, alle foibe istriane e all’eccidio di Tien An Men), possono essere accomunati a quelli commessi durante il nazismo.
Va sottolineato che questa proposta di legge ricalca i dettami della legge 20 luglio 2000, n. 211, con la quale è stato istituito il Giorno della memoria, che ricorre il 27 gennaio, data in cui vennero aperti nel 1945 i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, in ricordo della Shoah.
Il movimento della Lega Nord si batte da sempre per l’indipendenza dei popoli e ha più volte dimostrato il suo disgusto per tutti i regimi totalitari. Va poi ricordato che in questa legislatura è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge, praticamente identica a quella che stiamo esaminando, da parte dell’onorevole Gibelli, della Lega Nord.
Importante è sottolineare che tale proposta di legge, che vuole istituire in data 9 novembre il giorno della libertà e dell’indipendenza dei popoli europei, si caratterizza per la volontà di prendere a spunto il giorno della ricorrenza della caduta del muro di Berlino per sviluppare un dialogo sulla necessità di costruire un’Europa unita non soltanto da parametri economici, ma anche e soprattutto dalla sua storia e dai punti in comune che nella tradizione del Vecchio continente legano i vari popoli.
In relazione al disegno di legge in discussione, occorre precisare che una parte dell’opposizione, forse ancora troppo legata ad un passato nostalgico e ad un forte sentimentalismo nei confronti di un’ideologia non troppo lontana, purtroppo, dalla nostra storia (si pensi che ancora oggi nelle Aule parlamentari sono presenti schieramenti che anche nel nome si rifanno esplicitamente al comunismo), ha cercato, prima in Commissione e poi in Aula, con la presentazione di alcuni emendamenti, di avvalorare la tesi secondo cui l’Europa ha vissuto un unico totalitarismo, quello nazifascista, e quindi non è certamente corretto prendere a simbolo la data del 9 novembre per celebrare la democrazia e la libertà.
È una posizione, questa, che non condividiamo e considerato che il disegno di legge in esame ha tra i suoi firmatari anche i senatori Chincarini e Peruzzotti, della Lega Nord, e che alla Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge simile, sempre da parte del nostro movimento, ritengo che senza ombra di dubbio si debba esprimere un parere politico favorevole alla sua approvazione. (Applausi dai Gruppi LP e FI e del senatore Carrara. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malan. Ne ha facoltà.
MALAN (FI). Signor Presidente, "la democrazia è il peggiore dei sistemi eccettuati tutti gli altri". Questa frase paradossale fu pronunciata, come è noto, da Winston Churchill, forse l’uomo che nello scorso secolo più di tutti ha fatto per salvare la democrazia, quando il suo Paese, la Gran Bretagna o Regno Unito, era rimasto solo a battersi contro Hitler, che aveva ormai invaso parecchi Paesi europei, e altri, come il nostro, purtroppo, erano suoi alleati; altri ancora, come l’Unione Sovietica di Stalin, si erano accordati con Hitler stesso per partecipare alla spartizione di popoli che prima erano liberi, o, se non liberi, quantomeno indipendenti.
"La democrazia è il peggiore dei sistemi eccettuati tutti gli altri". Dunque, io credo che per la coscienza democratica e la crescita democratica di un Paese democratico sia utile conoscerli questi altri sistemi, perché è sempre molto facile vedere i difetti del sistema nel quale si vive, mentre è più difficile vedere i difetti degli altri sistemi.
È dunque bene che i nostri studenti, i nostri cittadini di tutte le età ricordino bene ciò che sono state e sono le tirannie, ciò che comporta la mancanza di democrazia.
La nostra coalizione, Forza Italia ha votato, nella scorsa legislatura, a favore della celebrazione del 27 gennaio come giorno simbolo della fine di quell’evento terribile che fu la Shoah, il tentativo di massacrare un intero popolo in nome di un’ideologia mostruosa.
Occorre però - e questo è uno degli scopi che possono essere perseguiti con l’istituzione del 9 novembre come "Giorno della libertà" - ricordare che non tutti i regimi si presentano con la loro faccia. Il nazismo, fin dalle sue origini, fin dalla fondazione del Partito nazionalsocialista, che poi prese il potere, fu esplicito sui suoi fini, che erano far trionfare il potere della forza basandosi sul presupposto che la forza risiede in una razza pura e che coloro che turbano la purezza della razza vanno eliminati.
Questo il nazismo lo disse in modo esplicito sin dagli inizi e purtroppo, nonostante ciò, incontrò un grande consenso, forse perché i cittadini tedeschi vedevano del sistema democratico in cui vivevano soltanto i difetti, attribuivano ad esso ogni male e lo consideravano la radice di tutti i loro problemi. Cercarono allora in questa ideologia mostruosa il riscatto da una situazione, che, per vari motivi (economici, storici e ideologici), li vedeva in difficoltà.
Vi sono però altri regimi che si presentano, invece, con la faccia esattamente opposta; regimi che si presentano con l’intento di voler creare la felicità per tutti gli uomini, un mondo dove ciascuno abbia ciò che è giusto: "a ciascuno secondo i propri bisogni"; un mondo perfetto che non ha nulla a che fare con la democrazia, che ovviamente è piena di difetti, come diceva Churchill e come sappiamo noi che ci viviamo dentro.
Questo mondo meraviglioso, che avrebbe comportato la nascita di un uomo nuovo, non più l’uomo corrotto che vive nei sistemi democratici o comunque non così evoluti come i sistemi marxisti, sarebbe stato ovviamente desiderabile da parte di tutti e moltissimi ci hanno creduto, fino a dare a volte la loro vita per raggiungere questo fine.
Purtroppo, questo fine si è dimostrato, nella pratica, altrettanto mostruoso di quello perseguito da chi, invece, prospettava fin dall’inizio un mondo basato su princìpi verso i quali oggi proviamo un’immediata ed istintiva repulsione.
Chi propone la superiorità di uomini su altri uomini in nome della razza, fonda la sua tesi su un concetto peraltro scientificamente senza fondamento, e se anche lo avesse, non potrebbe che incontrare la nostra immediata repulsione. Chi, invece, si presenta con l’intento di creare la felicità per tutti gli uomini ipotizzando un’umanità in cui tutti sono fratelli ed uguali, può suscitare - come è avvenuto - grande consenso.
Forse uno dei motivi per ricordare quel giorno è anche questo: nella politica e nella realtà non sono i fini quelli che determinano la differenza tra un’ideologia e un’altra (a meno che questi siano già di per sé negativi, come era il caso del nazismo), bensì i mezzi. Perciò, dare la felicità a tutti gli uomini a prezzo di sterminarne a milioni o di snaturarli, obbligandoli a trasformarsi nel cosiddetto "uomo nuovo" prospettato da varie utopie, tra cui quella comunista, è un’ipotesi ancor più mostruosa. L’uomo nuovo era quello di Pol Pot che si vantava di aver messo in atto tale ideologia con più coerenza, più velocità e più efficacia di qualsiasi altro leader comunista.
Questo - ripeto - è ancora più mostruoso ed è bene che ciascuno di noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, siano messi in guardia di fronte a simili prospettive di felicità e di perfezione che considerano un dettaglio un aspetto che invece è il fondamento delle nostre società: la persona umana. Quest’ultima va posta al centro della nostra società e non può essere sottomessa né alla razza, né alla classe, né all’ideologia che si propone di creare una società perfetta per uomini perfetti, perché gli uomini sono quelli che sono.
Chi vuole creare la società perfetta ha un piccolo problema: deve passare attraverso lo sterminio fisico o lo snaturamento degli uomini veri, quelli che rappresentano la parte fondante della nostra società. La nostra società non è formata dallo Stato, bensì dagli uomini e dalle donne. Se si disconosce questo principio, come hanno fatto tante ideologie, in particolare i totalitarismi del Novecento, si va inevitabilmente verso un regime mostruoso e verso mali inenarrabili.
Pertanto, è necessario conoscere ciò che è stato, e i diversi aspetti in cui si sono prospettati questi mostri che mirano a sottomettere la persona umana a qualcos’altro (sia esso l’ideologia, la razza o la nazione). Ed allora, non è questo o quel regime totalitario ad essere un danno e un male da combattere, ma tutti i regimi totalitari.
Il 9 novembre 1989 si è finalmente aperta la possibilità per l’Europa intera di un’era di libertà e, sulla base della libertà e della democrazia, di poter costruire un futuro comune. L’Europa non può avere senso se non è fondata su questi valori. Altri hanno tentato di unificarla, ma con le armi e il terrore. Non è certamente questa l’Europa che può interessarci. Ci interessa, invece, l’Europa che si costruisce con fatica e che richiede un grande impegno da parte di tutti noi. È questa l’Europa per la quale vogliamo lavorare. Ma questa Europa ha potuto volgersi verso tale prospettiva una volta caduti tutti i totalitarismi.
Il 9 novembre 1989 è caduto il totalitarismo comunista dell’Est europeo, ma certamente, se non fossero caduti prima altri totalitarismi, se non fossero prima cadute le dittature che c’erano ad esempio in Spagna, in Portogallo e successivamente in Grecia, non sarebbe stata possibile l’Europa. Questo andrà detto nei 9 novembre che si succederanno; questo sarà l’argomento, il motivo positivo di speranza. Noi vogliamo celebrare la speranza, i valori positivi; non vogliamo scatenare odi e fare usi strumentali o di parte.
Se poi la lunga citazione fatta dal senatore Vitali del senatore Norberto Bobbio ci insegna qualcosa, bene. Se qualcuno crede che il comunismo, i disastrosi risultati, i mostruosi risultati portati dal comunismo reale siano dovuti non ad un’intrinseca negatività del comunismo in sé ma a parecchi errori di applicazione, ebbene anche quella può essere un’occasione per dirimere la questione, per parlarne.
La frase centrale della lunga citazione di Norberto Bobbio da parte del senatore Vitali è "la prova non è riuscita". Forse è bene ricordare il costo enorme che ha avuto questa prova per l’umanità, in particolare in Europa, ma anche al di fuori di essa. È bene dunque ricordare che le prove, gli esperimenti forse non vanno fatti sui popoli interi e comunque sulle persone. Una disputa ideologica è una cosa, ma quando gli azzardi vengono tramutati in azione politica e quando quest’ultima implica il terrore e la soppressione delle persone o il loro totale snaturamento, allora ci deve essere un no altrettanto immediato e convinto dei "no" che si dicono alle ideologie che si prospettano addirittura in modo esplicito come contrarie ai valori dell’umanità.
L’intervento del senatore Vitali e, prima ancora, quello del senatore Turroni mi hanno convinto della bontà di questa proposta. Il senatore Turroni ha proposto, come alternativa al Giorno della libertà, la data della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, che peraltro è già giustamente ricordata il 27 gennaio.
Forse non tutti sanno - sicuramente non lo sa la grandissima maggioranza degli studenti che frequentano le nostre scuole - quanti prigionieri, sopravvissuti miracolosamente ad Auschwitz e liberati, sono stati poi internati in campi di concentramento sovietici nella lontanissima e freddissima Siberia, e generalmente a quella seconda mostruosità non sono sopravvissuti.
Quanti ricordano, tra gli studenti che frequentano le nostre scuole, che la seconda guerra mondiale è nata grazie anche al trattato di sostanziale alleanza attiva (perché era un’alleanza attiva, non un trattato di pace) tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica di Stalin? L’accordo stabilito tra Molotov e Ribbentrop consentì a Hitler di iniziare la seconda guerra mondiale sapendo di essere tutelato sul fronte orientale. Una volta liquidata la poca resistenza che era in grado di offrire la Polonia, anche perché attaccata sull’altro fronte dall’Unione Sovietica, avrebbe potuto dedicarsi con comodo alle sole Francia e Gran Bretagna, senza temere attacchi da Est. Quello non fu certo un accordo con finalità positive, poiché la controparte che ebbe l’Unione Sovietica furono le Repubbliche baltiche, metà della Polonia, e anche un tentativo di impadronirsi della Finlandia.
A questi dettagli vorrei aggiungerne qualche altro che difficilmente i nostri studenti (ma anche alcuni adulti) ricordano. La Rivoluzione di Ottobre, di cui si conoscono le conseguenze, viene ricordata come il rovesciamento del regime antiquato e non certo democratico degli Zar, con l’instaurazione della dittatura del proletariato e del partito bolscevico. Sappiamo, in realtà, che la Rivoluzione di Ottobre non rovesciò gli Zar, che erano già stati esautorati dal potere, ma rovesciò un governo democratico il quale, in quanto tale, aveva molti difetti, ma era democratico e poteva dare alla Russia delle speranze, sia pure con grandi difficoltà, evitando milioni di persone sterminate, internate, deportate, le sofferenze immense di milioni di esseri umani privati durante il corso della loro vita di quel bene fondamentale che è la libertà.
Sui danni creati dalle ideologie ritengo vada sviluppata una riflessione: stiamo parlando del comunismo, ma ci riferiamo a tutte le ideologie capaci di suscitare entusiasmo, con risultati invece opposti alle aspettative. Milioni di persone che si sono battute per queste ideologie impegnando il proprio tempo, il proprio denaro e la propria vita a volte sono stati loro stessi vittime di uno spaventoso inganno: hanno dedicato la loro vita a ciò che in alcuni casi si è rivolto contro loro stessi e le loro famiglie e, in ogni caso, contro la libertà e il benessere dei loro concittadini e di tutto il mondo.
Questo credo sia da ricordare il 9 novembre. Si potrà dire che non è tutto, ma credo che il testo al nostro esame sia formulato con grande cura: si devono ricordare i danni creati dal totalitarismo passato e presente, da tutti i totalitarismi.
Ho iniziato il mio intervento con una citazione e lo chiuderò con un’altra, che avendo molti padri non attribuirò a nessuno: la libertà non è un bene conquistato una volta per sempre, ma va difeso giorno per giorno contro le ideologie di ieri, contro le false ideologie di oggi, contro i totalitarismi passati e presenti.
Questa giornata dovrà essere un aiuto per fare questo: per ricordare, contro i totalitarismi, che la libertà è una sola. È difficile da difendere, ma merita il nostro impegno giorno per giorno. (Applausi dai Gruppi FI, LP e AN e del senatore Carrara).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Petrini, il quale, nel corso del suo intervento, illustrerà anche l’ordine del giorno G1.
Il senatore Petrini ha facoltà di parlare.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, che la caduta del muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989, sia un evento degno di memoria è fuor di dubbio. Fu evento che possiamo senza tema di retorica definire epocale; fummo tutti facili profeti allora nel prevedere che nulla più sarebbe stato come prima; di quella profezia abbiamo una conferma inquietante proprio in questi giorni.
Quel giorno l’Europa ritrovò una sua unità, una condivisione di vita sociale, democratica e culturale. Fu recuperata all’Europa una parte della stessa che era stata ingiustamente esclusa. Basti ricordare la Polonia di Chopin e di Copernico, l’Ungheria di Liszt, il Magdeburgo di Bach, la Prussia di Kant. Quel giorno fu rimossa una cicatrice orrendamente deturpante dal volto del nostro Continente.
C’è però nella proposta di legge, volta a ricordare quel giorno senz’altro memorabile, una certa discrepanza dimensionale: il livello nazionale della celebrazione appare incongruo con il significato europeo e mondiale dell’evento. È come se - perdonate la banalità dell’esempio - la Sicilia celebrasse la Rivoluzione francese o la gloriosa Rivoluzione inglese quale fine dell’assolutismo monarchico e inizio del lungo cammino che ci ha portati alla conquista della democrazia. Tale celebrazione sarebbe incongrua.
La perplessità aumenta divenendo ferma contrarietà nel leggere le motivazioni che sostengono la celebrazione. Nella relazione che accompagna il disegno di legge si legge: "La mancanza di trasparenza nell’analisi storica delle vicende nazionali può provocare tensioni sociali, generate dal sospetto di una censura di fatto, manipolatrice della verità, e quindi fonte di discriminazione e ingiustizie nei confronti di cittadini e istituzioni".
È una frase generica che sottende però un’ambiguità: sembra si voglia affermare che vi siano state una censura, una manipolazione della verità, una mancata trasparenza nell’analisi storica delle vicende nazionali. Che si intenda sostenere proprio questa tesi è purtroppo confermato nel seguito: "Il recente rilancio di attenzione per le vicende sovietiche, suscitate con contorno di polemiche dalla pubblicazione de "Il libro nero del comunismo"" - questa pubblicazione sembra essere assurta alla gloria di una sorta di testo base - "induce tuttavia ad un riesame dei fatti riguardanti il fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, onde identificare con metodi comparativi uno sbocco chiarificatore da evidenziare, sia pure simbolicamente, in via legislativa".
Non comprendo che cosa significhi l’espressione "identificare con metodi comparativi uno sbocco chiarificatore", ma ciò che obiettivamente mi inquieta è la volontà di riesaminare i fatti riguardanti fascismo, nazionalsocialismo e comunismo allo scopo di rimuovere la mancata trasparenza nell’analisi storica.
È una tesi inquietante che viene confermata nel prosieguo: utilizzando come testimonianza simbolica questa proposta di legge, "sarebbe possibile un riequilibrio di valutazione nei confronti dei tre più famigerati totalitarismi del XX secolo, intaccando così una serie di incrostazioni informative che hanno finora riformato in modo strumentale e fazioso il giudizio storico. Si potrebbero così accomunare in modo finalmente ecumenico, il lager nazista di Auschwitz e il gulag sovietico di Kolyma, il lager di Dachau e il gulag Vorkuta, il lager di Mathausen e il gulag di Norlisk".
A proposito di tale equiparazione, voglio aprire un inciso. La Shoah ha una specificità assoluta e nessun paragone con quella tragedia è possibile. Ciò non significa che non vi siano state altre tragedie che debbano essere parimenti commemorate e conservate nella memoria collettiva. Quell’ecumenismo non può tuttavia esistere, perché la specificità della Shoah richiede che si tengano distinte queste tragedie.
BRUTTI Massimo (DS-U). Nella storiografia della marmellata tutto si eguaglia!
PETRINI (Mar-DL-U). Il concetto inquietante si completa più avanti affermando: "Nel 1941, con l’attacco del totalitarismo nazionalsocialista a quello comunista, quest’ultimo, data la comunanza dell’avversario, si era trovato automaticamente promosso ad alleato del sistema democratico, ricevendo quindi implicitamente un attestato di legittimazione, anche se nulla era cambiato nella sua struttura totalitaria. Si era realizzata in sostanza una specie di sillogismo di tipo "sofistico", così formulato: i Paesi democratici hanno combattuto il totalitarismo nazionalsocialista e fascista, il totalitarismo comunista ha combattuto lo stesso avversario, quindi il totalitarismo comunista è democratico".
Più che sofistico, ritengo questo sillogismo assolutamente banale, insostenibile, perché nessuna tesi storiografica ha mai sostenuto qualcosa di similare e, alla luce di questo sillogismo, non vedo quale rilettura e quale rimozione mistificatrice sia necessaria nella valutazione dei tre totalitarismi alla nostra attenzione.
Penso che la realtà non sia mai monocromatica e neanche bidimensionale, ma abbia una tridimensionalità e una varietà di sfumature che la rendono sempre diversa a seconda del punto di vista con cui la esaminiamo e a seconda della illuminazione. In questo polimorfismo della realtà sono sicuramente possibili letture diverse, però, pur nella diversità, qualcosa in comune, qualcosa che identifichi un valore condiviso possiamo e dobbiamo trovarlo.
Sono assolutamente certo che abbia ragione chi ritiene che il fascismo in Italia abbia avuto un’attenzione critica diversa e più impegnata di quanto non l’abbia avuta il comunismo; questo è assolutamente vero. Però, non concordo affatto nel ritenere che ciò sia scandaloso e sia il frutto di una censura o di una mistificazione; questo è il frutto di un argomento assolutamente banale. Il fascismo è stato in questo Paese una realtà vissuta tragicamente per vent’anni; il fascismo vede alcune nostre responsabilità storiche e culturali; il fascismo ha condiviso l’abiezione del nazismo, ha varato le leggi razziali, ha collaborato allo sterminio del popolo ebreo. Queste sono realtà storiche.
Il comunismo in Italia non è stato una realtà storica. È stato un partito che si è sempre mosso all’interno e nel rispetto di un sistema democratico. Se avesse vinto, avrebbe probabilmente riprodotto le stesse distorsioni e le stesse abiezioni che ha determinato dove è andato al potere, ma in Italia il Partito Comunista non è mai stato al potere: è sempre stato una grande speranza, se vogliamo una grande illusione, una grande tensione ideale verso una società più equa e più giusta e ha contribuito alla nostra democrazia, a costruire un sistema democratico attento ai bisogni sociali, fortemente motivato nel segno della solidarietà.
Il Partito Comunista ha la colpa di non aver saputo o voluto leggere la realtà di oltre-cortina. È una colpa che sicuramente ha, ma che è incommensurabile rispetto alla colpa storica che ha il fascismo in Italia.
Che questa tesi - che io sostengo - sia verosimile, paradossalmente lo dimostra proprio l’estensore della relazione di accompagnamento di questo provvedimento. E lo dimostra perché riporta con molta attenzione, alla lettera, una deliberazione dell’Assemblea nazionale bulgara, in cui si sancisce la natura criminale del regime comunista.
Ne cito alcuni passaggi: "I capi e i principali funzionari del Partito comunista bulgaro sono responsabili di quanto segue: violazione dolosa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, persecuzione senza precedenti operata nei confronti di tutti i cittadini (…); violazione e soppressione di princìpi tradizionali del diritto di proprietà; distruzione dei valori morali; violazione delle libertà religiose; adozione di una costante politica del terrore (…). Il regime comunista è responsabile di aver soppresso la espressione della volontà politica, di aver violato sistematicamente i fondamentali diritti umani attraverso l’oppressione di intere categorie di popolazione, di aver perseguito dei cittadini con tutti i mezzi utilizzabili, quali esecuzioni, regimi di carcerazione disumana e campi di lavori forzati, torture, applicazioni di violenza estrema". Questo dimostra che, dove il comunismo è stato una realtà, ha avuto quella condanna severa, assoluta, che si richiede.
E invece, dove il comunismo non è stato una realtà, ma soltanto una rappresentazione politica - fallace nella sua analisi, ma solo e soltanto una rappresentazione politica - c’è stata una revisione storica. E la dimostrazione è ancora il rifarsi al discorso del segretario del Partito Democratico della Sinistra, Valter Veltroni, al congresso del Lingotto nel 2000, in cui egli afferma - ed è frase lapidaria - che: "Quando il comunismo è andato al potere, esso ha tradito la libertà (…). Ecco perché" - cito soltanto la conclusione - "non ci sono, non ci possono essere frasette ambigue, doroteismi verbali, ambiguità di comodo tra noi. Per questo ribadiamo che nel Novecento, nella sua concreta realizzazione storica, il comunismo è stato incompatibile con la libertà".
Sono parole di Valter Veltroni, che del resto riprende parole molto simili già pronunciate da Massimo D’Alema nel 1998, in cui si riconosce il carattere liberticida dei regimi comunisti. "Alla sinistra democratica, socialista, azionista, laica e cattolica va il merito" - scrive D’Alema - "di aver visto prima di noi e di aver detto in modo più chiaro che sotto le bandiere del comunismo non si edificava l’uomo nuovo, ma si affermava una forma odiosa e terribile di oppressione dell’uomo sull’uomo". Io credo che queste parole siano di assoluta chiarezza nell’evidenziare il percorso critico che i colleghi del Partito Democratico della Sinistra, e dei Democratici di Sinistra poi, hanno percorso rispetto al loro passato.
Qualcuno potrà dire che questa resipiscenza è tardiva. Forse è anche tardiva, ma l’importante è che sia maturata.
Diceva Diderot: "Beviamo a pieni sorsi la menzogna che ci lusinga, ma ingoiamo goccia a goccia la verità che ci riesce amara". Questo è comunque un cammino critico, che ha trovano una sua conclusione.
A questo punto mi domando: che senso ha portare in quest’Aula una divisione così profonda attorno a valori che invece dovrebbero vederci uniti, come i valori dell’affermazione liberaldemocratica nell’Europa che noi speriamo essere unita politicamente nel futuro? Che significato ha (lo chiedo al relatore, che invece ha avuto parole molto più equilibrate nell’illustrare il disegno di legge in esame) questa celebrazione? Ha significato soltanto se rappresenta valori condivisi e se rappresenta qualcosa attorno a cui tutti possiamo cementarci. Se questa commemorazione diventa invece un momento di contrapposizione, essa perde tutto il suo significato positivo ed anzi ne acquista molti negativi.
Per questo invito la maggioranza a riflettere. Può darsi che io non abbia ragione (naturalmente lo ritengo), ma sono dispostissimo a credere che voi abbiate lo stesso convincimento, opposto al mio. Ma ha poca importanza che io abbia ragione o torto e voi viceversa: quello che importa è che ci troviamo, su versanti opposti, su argomenti di princìpi e valori che invece dovrebbero vederci uniti; e quell’unità sarebbe facilissima da ricreare se spogliassimo questi argomenti da ogni possibile strumentalizzazione di parte e se trasportassimo questa celebrazione dal livello nazionale, che appare incongruo, ad un livello internazionale europeo, se questa giornata fosse celebrata in Europa come la fine del totalitarismo e l’inizio di un cammino comune nuovo all’insegna dell’unità dell’Europa: allora questa giornata avrebbe un valore infinitamente diverso e potrebbe vederci tutti uniti nella celebrazione di quei valori.
Su questo dobbiamo assolutamente riflettere: che significato ha l’approvazione di una legge con accenti strumentali, che divide il Parlamento attorno a valori fondamentali, quando invece dovrebbe unirlo? È questa la riflessione che propongo a voi concludendo questo mio intervento. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come stabilito all’unanimità dalla Conferenza dei Capigruppo, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
La seduta è tolta (ore 13,09).
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’ abbattimento del muro di Berlino (1383)
ORDINE DEL GIORNO
G1. PETRINI, BATTISTI, GIARETTA, MANZIONE, RIGONI, DANIELI FRANCO, BEDIN, TOIA, VERALDI, VITALI, ZAVOLI
II Senato della Repubblica,
in sede di approvazione del disegno di legge n. 1383: «Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino»,
premesso:
che l’istituzione di una giornata commemorativa denominata "Giorno della libertà", in data 9 novembre, trova la sua naturale dimensione di realizzazione nell’ambito europeo e non in quello di un singolo Stato membro;
che la passata diffusione dei totalitarismi sul continente europeo giustifica e richiede che la commemorazione del loro abbattimento veda riuniti tutti i popoli che oggi compongono l’Unione europea, nel condiviso impegno affinché simili esperienze non si ripresentino più nella nostra storia;
che, inoltre, l’istituzione di una giornata commemorativa europea è in grado di rafforzare il sentimento di comune appartenenza ad un’unione politica fondata sui valori di libertà, pace, giustizia e sicurezza, i quali costituiscono il più saldo argine avverso i regimi di tipo totalitario,
impegna il Governo ad adottare tutte le iniziative opportune, presso il Consiglio e la Commissione della Comunità europea, finalizzate alla istituzione di una "Giornata europea della libertà", da celebrarsi il 9 novembre di ogni anno in tutti i Paesi dell’Unione, volta a ricordare l’abbattimento dei totalitarismi e l’affermazione dei valori della libertà e della democrazia posti a fondamento della nostra comune civiltà e del cammino verso la realizzazione dell’unità politica tra i popoli d’Europa .
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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PUBBLICA |
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RESOCONTO STENOGRAFICO |
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GIOVEDI’ 3 APRILE 2003 (Antimeridiana) |
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Presidenza del presidente PERA,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1383.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 1° aprile è proseguita la discussione generale, che ora riprendiamo.
È iscritto a parlare il senatore Pellicini. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, martedì scorso, a causa di un impegno, non ho potuto seguire in Aula la discussione del provvedimento, ma ho rimediato a questa lacuna leggendo attentamente dai resoconti gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto.
Il provvedimento in esame, come è noto, mira ad istituire il "Giorno della libertà" a ricordo della caduta del muro di Berlino, avvenuta il 9 novembre 1989, sulla traccia del disegno di legge, approvato dalla Camera e dal Senato, che ha istituito il "Giorno della memoria" per la Shoah. Attraverso manifestazioni pubbliche, studi e contatti con le scuole, si vogliono ricordare non soltanto la caduta del muro di Berlino, ma soprattutto gli effetti nefasti di un periodo di totalitarismo che ha bloccato l’Europa per altri quarantacinque anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
A parte il senatore Travaglia, che ha fatto una puntuale ricostruzione dell’iter storico della vicenda, i senatori dell’opposizione che mi hanno preceduto si sono dichiarati contrari per due ordini di motivazioni.
Il senatore Turroni è stato lapidario, dichiarando che si tratta di un provvedimento di bassa cucina propagandistica, come il provvedimento che ha istituito la Commissione d’inchiesta sul dossier Mitrokhin sarebbe una sorta di buffonata. Liquidando in poche battute il disegno di legge, lo stesso collega Turroni ha affermato che sono passati tanti anni e quell’evento non merita di essere ricordato.
I senatori Vitali e Petrini hanno argomentato in modo diverso, dicendo che si è trattato di un evento importante e da ricordare, ma - hanno chiesto - perché farlo soltanto in Italia? Ricordiamolo in Europa, perché se questa celebrazione fosse a livello europeo avrebbe ampio respiro; in questo momento, in Italia sarebbe invece fonte di divisioni. Per questa mancanza di profilo extraurbano, che a loro avviso dovrebbe avere il provvedimento, lo hanno bocciato.
Il senatore Petrini ha reso un’affermazione interessante: egli ha detto che sarebbe come se la Sicilia commemorasse la Rivoluzione francese. Non ho ben capito se i vescovi possano parlare della Chiesa cattolica o possa farlo solo il Papa, secondo questa sorta di interpretazione. Soprattutto, ha affermato che il provvedimento oggi suonerebbe non solo incompleto, ma anche fonte di polemiche e altro.
Vorrei ricordare non solo il muro di Berlino, ma anche quanto accadde in Europa, facendo tuttavia una premessa. Con spirito di larghissima collaborazione, abbiamo fatto passare due leggi importantissime: una riguardante la Shoah, approvata con il voto unanime anche della Casa delle Libertà; l’altra, recente, sull’istituzione della Commissione d’inchiesta sulle stragi nazifasciste, che abbiamo appoggiato ritenendo sia giunto il momento di affrontare un riesame storico di tutte le nostre posizioni, siano esse favorevoli o no.
Nell’ambito del discorso sulle stragi nazifasciste, è stato ammesso, da parte della sinistra, attraverso i senatori Calvi e Vitali, che c’erano dei buchi neri anche dall’altra parte. Alludo alle foibe e al cosiddetto triangolo della morte, dove, fino al 1948, furono assassinati numerosi personaggi, molti dei quali avevano solo il torto non di essere fascisti, ma di essere anticomunisti: anche preti e sacerdoti, come don Pessina. Abbiamo aderito, intanto, alla proposta d’inchiesta parlamentare sulle stragi nazifasciste. Tra l’altro, stiamo preparando un disegno di legge integrativo che riguarda il dramma delle foibe e il triangolo della morte, perché - continuiamo a dire - se va fatta luce, bisogna farla su tutto.
In questo quadro, non si può non evidenziare la data del 9 novembre 1989.
Amici senatori, vorrei ricordare alcuni avvenimenti di quel periodo. Si dice: perché non legare il "Giorno della libertà" ad Auschwitz o, viceversa, al campo di concentramento di Fossoli? Sarei d’accordo, ma esistono già ricorrenze specifiche. Esiste, da cinquant’anni, la ricorrenza del 25 aprile, che riguarda la liberazione dell’Italia: non possiamo celebrare due 25 aprile, quella festa già esiste. Inoltre, c’è la "Giornata della memoria", che ricorda Auschwitz: non possiamo celebrarne un’altra.
Invece, manca una ricorrenza che stigmatizzi quanto è successo dal 1945 in poi, per quasi quarantacinque anni. Non intendiamo operare una sorta di compensazione tra gli orrori di ieri e quelli successivi; il punto è che, mentre nel 1945 il fascismo perse la guerra e non se ne parlò più (tranne qualche elemento residuale oggetto di valutazione più, per così dire, medica che politica), il comunismo è invece rimasto per altri cinquant’anni ancora, occupando mezza Europa.
Vorrei ricordare che dal 1945 al 1947, sul nostro confine orientale, vi fu l’occupazione dell’Istria e della Dalmazia da parte delle truppe di Tito, che si battevano in nome non del comunismo, ma di un espansionismo di carattere nazionalista. Nel 1947 Togliatti diceva che, in caso di conflitto con la Jugoslavia, bisognava appoggiare i fratelli "titini". Questa non è polemica: sono fatti.
Do atto alla sinistra di aver compiuto grandi passi; tutti noi li abbiamo compiuti, ma la storia è costituita da fatti e non da giudizi.
Vorrei anche ricordare che dal 1945 al 1947 cadevano sotto il tallone comunista la Polonia, la Germania dell’Est, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria. Non è un passato che si può dimenticare perché - come dice il senatore Turroni - in definitiva si tratta di avvenimenti di parecchi anni fa.
Vorrei ricordare ancora Potsdam, Berlino, i fatti di Budapest del 1956. Chi va a Budapest noterà sulle cantonate di un edificio una bandiera nazionale con un foro in mezzo: gli insorti di Budapest avevano eliminato la falce, il martello e la spiga dalla bandiera nazionale. Per gente della mia età, i fatti di Budapest del 1956 sono stati l’elemento che ci ha spinti ad entrare in politica; io avevo quindici anni e piangevamo nel vedere i carri armati sovietici entrare in Ungheria. (Applausi dal Gruppo FI).
Non voglio fare nessuna speculazione politica. Il senatore Vitali ha detto che anche i comunisti si opposero nel 1956 all’intervento sovietico in Ungheria: fu una minoranza sparuta di iscritti al PCI ad opporsi, lo riconosco, ma la maggioranza, con i socialisti "carristi", si schierò a favore dell’invasione dell’Ungheria.
Occorre poi ricordare l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e tutto ciò che è successo fino alla caduta del muro di Berlino.
E allora, amici, dobbiamo essere davvero seri. Se vogliamo batterci per la democrazia, per un futuro che non veda più simili drammi, se vogliamo lottare contro ogni tipo di oppressione (e ce n’è ancora tanta nel mondo, sono d’accordo con voi: di destra e di sinistra, in alcuni regimi), bisogna avere il coraggio di affrontare completamente e seriamente la nostra storia.
I nostri libri di scuola sono fatti in un certo modo. Ho avuto modo di leggere, in qualcuno di essi, che le foibe erano anfratti del terreno carsico nei quali i croati erano stati seppelliti dai tedeschi. Questo è scritto su libri di testo tuttora in circolazione: non è possibile che si interpreti e si distorca la storia! Dobbiamo tutti avere il coraggio di approfondire e rispettare la storia e la verità: è un dovere reciproco, ma è anche un diritto, per recuperare quello che c’è di buono in noi stessi.
Il senatore Petrini ha affermato che l’intervento del senatore Travaglia gli ha fatto sorgere il sospetto che qualcosa non sia andato nel verso della ricerca delle verità. Senatore Petrini, non le possiamo nascondere nulla, naturalmente; certo, questo è successo, perché vi sono stati una martellante propaganda contro una serie di crimini che andavano condannati e un oblio nei confronti di altri crimini che, viceversa, non dovevano essere condannati. Questo deve finire. Deve finire perché ci dev’essere rispetto reciproco della verità.
Do atto alla sinistra di aver fatto moltissimo, e ne sono lieto. Dobbiamo recuperare da un lato un’unità nazionale, dall’altro il senso comune delle cose buone da farsi. Mi appello ai colleghi della sinistra perché si comportino come noi ci siamo comportati quando si è trattato di approvare la giornata in memoria della Shoah, o la costituzione - all’unanimità - di alcune Commissioni di indagine; questa volta tocca a voi concorrere con noi a far luce su angoli bui e terribili, che vanno una volta per tutte affrontati.
Diamo ai nostri ragazzi la possibilità di conoscere la verità sulla storia. Diamo loro la possibilità di giudicare con la loro testa, di farsi le proprie idee, ma soprattutto ricordiamoci il martirio di un’Europa, divisa per quarantacinque anni ad opera di un regime che (ormai tutti gli storici russi sono concordi nel sostenerlo) ha causato 20 milioni di morti.
Il senatore Vitali, con una punta di umorismo forse involontario, ha detto che nella Russia sovietica venne varata una riforma agraria, ancorché con un sistema poco democratico. Essa causò la morte di cinque o sei milioni di kulaki, contadini comunisti; il regime comunista sovietico prima espropriò la terra zarista promettendola ai contadini, poi, quando i contadini ne presero possesso, sperando di averne titolo e di poterla coltivare, furono sterminati. Alcuni morirono nella "collettivizzazione delle terre", altri nei campi in Siberia. Vi furono 20 milioni di morti nella sola Russia.
A questo punto, il mio appello è che tutto venga esaminato e si cerchi anche di capire perché scoppiò la rivoluzione del 1917. Il senatore Norberto Bobbio ha detto che occorre analizzare il comunismo rispetto all’epoca che lo ha prodotto: siamo perfettamente d’accordo, ma lo stesso discorso potrebbe valere per il fascismo e il nazismo.
Bobbio dice che il comunismo beneficiò di quella spinta ideologica, di quella speranza di mutare l’uomo: siamo d’accordo, lo voglio riconoscere. In effetti, gran parte del marxismo ha cercato di potenziare il valore dell’uomo per riuscire ad abbattere la miseria; purtroppo però questi princìpi, forse nobili, forse scientifici, non sono stati poi seguiti dal regime.
Quel regime gronda sangue; Trotzki venne ammazzato da Stalin; addirittura, quando ci fu l’invasione tedesca, uno dei motivi per cui i tedeschi dilagarono nella sacca del Don fu perché i migliori generali russi erano stati tutti ammazzati da Stalin. Questo non si può non dire, non si può negare, come non si può negare che l’Europa abbia grondato sangue e lacrime sotto il regime sovietico.
Non vogliamo fare della propaganda o - peggio che mai - muovere rimproveri ai figli presunti del comunismo, come è stato detto da alcuni colleghi. Non è vero, non vogliamo fare nulla di ciò: vogliamo semplicemente fare in modo che la storia finalmente circoli libera, dopo di che i nostri ragazzi, una volta appreso come sono andate le cose, sapranno se votare per voi, per noi o per altri, liberi però da una cappa di ignoranza che pesa ed è stata voluta a censura di una sola parte.
Quindi, sotto questo profilo, viva la libertà! Viva il giorno della libertà, viva la libertà delle coscienze! Apriamo finalmente le porte alla verità del passato. (Applausi dai Gruppi AN e LP e del senatore Gubetti. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Novi. Ne ha facoltà.
NOVI (FI). Signor Presidente, nel corso della discussione su questo disegno di legge sono risuonati all’interno di quest’Aula, soprattutto da parte della sinistra, parole e anche discorsi che, da una parte, richiamavano alla mente un’impostazione quasi giustificazionista, e, dall’altra, erano intrisi dell’esigenza della rimozione, dell’oblio, della negazione della memoria.
Infatti (diciamocelo con franchezza), quella del totalitarismo comunista è una questione che tuttora non può essere e non è affrontata con un’impostazione lucida, priva di quell’emotività, semmai da opposti estremismi, come quella che è risuonata poco fa in quest’Aula; un’impostazione che tenga conto, comunque, della linea di condotta di una cultura politica che viene da lontano.
Non è che il comunismo nasca da menti perverse e derivi da impostazioni di cultura politica insorte da un momento all’altro sullo scenario della storia. Il comunismo - come cultura, come antropologia - affonda le sue radici nel perfettismo gnostico, in una tradizione culturale millenaria che punta a realizzare il paradiso in terra, utopia nella quale credono coloro che ritengono possibile scalare il cielo. Da questa impostazione culturale nasce il comunismo. Esso ha una visione quasi angelica delle cose; però, poi, da questa visione angelica deriva un’impostazione luciferina dell’esercizio del potere. Bisogna portare rispetto a questa forma prima di cultura e poi di ideologia.
Ecco perché l’impostazione di Norberto Bobbio, alla quale ci si è richiamati, che differenzia il comunismo nell’ambito delle dottrine totalitarie per le sue buone intenzioni è, secondo me, un’impostazione culturale arretrata.
Infatti, già nel secondo dopoguerra tutte le impostazioni culturali che muovevano da un critica radicale al totalitarismo - da Hannah Arendt a Jacob Talmon e Raymond Aa ron - ponevano sostanzialmente sullo stesso piano sia il totalitarismo di destra che il totalitarismo di sinistra.
In realtà, il totalitarismo di sinistra deriva da una impostazione perfettistica e gnostica, che rivive poi sostanzialmente nel giacobinismo. Cos’è il comunismo? Non è altro che una lettura nella società industriale dell’impostazione, dell’approccio giacobino alle grandi questioni della storia del governo e della cultura. Non a caso da Lenin a Gramsci c’è questo legame con la cultura giacobina. E non a caso il dominio di una classe viene tradotto da Gramsci con il termine "egemonia". Sempre di dominio si tratta, ma nel caso di Gramsci esso viene esercitato tanto con la coercizione, quanto con il consenso.
In questo si differenzia il comunismo italiano da quello di derivazione sovietica. Quest’ultimo faceva i conti con la cultura tipica del dispotismo orientale, mentre il comunismo di derivazione gramsciana, quindi italiano, si trova a misurarsi con altre tradizioni culturali, e qui nasceva il concetto di egemonia.
Non riesco allora a capire perché la sinistra, anche nelle sue aree libertarie, come i Verdi, di fronte a questo tipo di analisi, di fronte a questo approccio - che porta poi a celebrare con il "Giorno della libertà" il declino di una Weltanschauung, di una visione, di una politica, di un dominio che dopotutto aveva governato e dominato l’Europa per oltre sessant’anni - in tutti i modi non vuole far sì che emerga, anche a livello di impostazione generale, l’esigenza di dare l’addio al totalitarismo di sinistra.
Non sarebbe forse nel vostro stesso interesse? Il comunismo, nel percorso culturale della sinistra, ha rappresentato una fase storica, ma la sinistra non può farsi coincidere con il totalitarismo comunista, come non è possibile far coincidere la destra con il totalitarismo fascista o nazista.
Se si vuol partire da tale presupposto, perché rifiutare, perché opporsi, perché stare a disquisire sulla necessità di dare l’addio al comunismo e sulla necessità di celebrare il giorno in cui non solo metaforicamente, ma anche fisicamente è crollato il comunismo, cioè il giorno della caduta del muro di Berlino?
La sinistra vera, la sinistra libertaria, cosa ha in comune con il muro di Berlino? Nulla. Come d’altronde la destra, quella vera, cos’ha in comune con il fascismo e con il nazismo? Cosa può avere in comune, ad esempio, con il nazismo una destra che si richiama ai valori della destra storica e dei fratelli Spaventa? Cosa ha in comune, ad esempio, con il fascismo una destra che si richiama ai valori condivisi dello Stato democratico e liberale? Assolutamente nulla. Cosa può avere in comune con il fascismo e con il nazismo un uomo di destra che si richiama alla lezione di Burke? Assolutamente nulla.
Cosa può avere in comune con il comunismo e con lo stalinismo un uomo di sinistra che si richiami, ad esempio, all’austromarxismo o al laburismo, oppure al socialismo cosiddetto utopistico? Nulla, assolutamente nulla. Però, se vogliamo vivere in una democrazia condivisa, dobbiamo prendere le distanze da queste due impostazioni, prima culturali e poi politiche.
Ecco perché mi risulta incomprensibile il motivo per cui la sinistra si sia arrampicata sugli specchi qui in Aula, presentando anche emendamenti che non hanno alcun senso nel quadro del "Giorno della memoria". Infatti, il totalmente mostruoso sterminio di Auschwitz è acquisito, celebrato; non vengono celebrati, invece, il totalmente mostruoso delirio politico che ha portato nella Cambogia di Pol Pot al massacro di oltre due milioni di uomini; il totalmente mostruoso genocidio staliniano dei kulaki; il totalmente mostruoso delle violenze nel periodo della Rivoluzione culturale delle Guardie rosse in Cina; il totalmente mostruoso dell’invasione cinese del Tibet e della desertificazione culturale e religiosa di quel Paese.
Allora, perché non fare in modo che questo oblio, questa mancanza di memoria cessi? Perché non fare in modo che le nuove generazioni ricordino il costo umano di un sistema politico, di un’ideologia che ha provocato cento milioni di morti? Di questo si tratta.
Io ritengo che la sinistra dovrebbe essere promotrice essa stessa di una giornata della libertà come quella che ha proposto il mio carissimo amico Sergio Travaglia.
Penso che si possa essere antifascisti e anticomunisti; non riesco però a comprendere quanti, semmai, ritengono l’antifascismo una sorta di nostalgismo. L’antifascismo, come valore, può e deve essere semmai praticato nella quotidianità, come l’anticomunismo e il rifiuto del totalitarismo possono e devono essere praticati nella quotidianità.
Quindi, non ci si deve incontrare e stringere la mano tra orfani o reduci di ideologie contrapposte: bisogna incontrarsi tra uomini liberi che rifiutano il concetto stesso di totalitarismo. Così bisogna incontrarsi. La persona cui ripugna il totalitarismo può essere di destra, di sinistra o di centro; quella stessa persona non ha scheletri negli armadi, non ha album di famiglia da sfogliare, perché sono album che appartengono, semmai, a determinate famiglie politiche, album di degenerazioni politiche e ideologiche che poi si sono isterilite. Ditemi, infatti, chi può in questa fase storica - come nelle fasi storiche future - proporre un regime collettivista, un regime comunista. C’è un altro atteggiamento che non può essere condiviso: quello di identificare il comunismo con il solo stalinismo, come se lo stalinismo fosse una degenerazione del comunismo. È il comunismo, è il sistema comunista che porta allo stalinismo, è il totalitarismo di sinistra che porta allo stalinismo. Non è, lo stalinismo, una degenerazione del comunismo; se si ragiona in questi termini, vuol dire che lo si fa in termini giustificazionisti nei confronti del comunismo.
Ecco perché, colleghi, la sinistra dovrebbe acquisire la maturità di comprendere la necessità di rivendicare essa stessa la celebrazione della "Giornata della memoria", in quanto è la stessa sinistra ad avere interesse a chiudere definitivamente i conti con il totalitarismo comunista.
È la sinistra che, se vuole vivere la modernità, deve chiudere i conti con un’ideologia che si riferisce a culture tipiche del dispotismo asiatico. (Commenti del senatore Gasbarri). È la sinistra che deve realizzare una cesura all’interno non della sua storia, di cui il comunismo fa parte, ma di un capitolo che non va dimenticato, bensì superato.
Ritengo che, se riusciremo ad arrivare ad un voto unitario sul disegno di legge in esame, ne guadagneremo tutti. Se questo non accadrà, vorrà dire che la sinistra ha ancora un legame culturale con quella parte di storia, una visione complessiva che denota tuttora la tentazione di riconoscersi in quel tipo di totalitarismo.
Che interesse ha la sinistra al permanere in questa impostazione? Secondo me, nessuno.
Per tali motivi ritengo che un voto unitario sul provvedimento in esame, sulla celebrazione della "Giornata della libertà" dal totalitarismo che tutti noi dobbiamo rivendicare, sia quanto mai opportuno. (Applausi dai Gruppi FI e AN).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Massimo Brutti. Ne ha facoltà.
BRUTTI Massimo (DS-U). Signor Presidente, i contributi storiografici che abbiamo ascoltato oggi nel corso della discussione generale sul provvedimento in esame meriterebbero una replica tale da andare al di là delle polemiche che possono essere legate all’approvazione o alla non approvazione di un disegno di legge sulla cui opportunità abbiamo forti riserve.
Esprimerò in dichiarazione di voto l’orientamento sul provvedimento in discussione e sull’idea discutibile di condizionare - mi sembra proprio questo il punto chiave dell’intervento legislativo - parte dei programmi scolastici, imponendo un approfondimento di temi individuati per legge.
L’intero dibattito sulle degenerazioni totalitarie del secolo alle nostre spalle merita sedi migliori, un approfondimento maggiore, e auspicherei non fosse terreno di polemica tra noi, perché già ne abbiamo tanti di motivi per polemizzare.
A mia volta, ho forti riserve sull’utilità di proporre testi dal punto di vista storiografico assolutamente inconsistenti, come quel tal "Libro nero sul comunismo", come base per una valutazione storica seria, critica ed approfondita.
Piuttosto, esorterei i nostri colleghi del centro-destra a rileggere alcuni grandi pamphlet dell’anticomunismo degli anni Cinquanta, ben più seri del citato "libro nero".
Esiste una letteratura che forse potrebbe essere utilmente riesaminata e studiata. Guai agli imitatori. Riprendete in mano "Ho scelto la libertà" di Kravchenko, o il libro collettivo "Il dio che ha fallito", o, per stare all’Italia, gli scritti di polemisti di quegli anni che possono essere riletti con utilità perché hanno precorso tutti i motivi fondamentali dell’anticomunismo in una fase nella quale l’anticomunismo aveva un senso, in quanto combatteva contro un nemico forte, potente.
Non c’è nulla di più malinconico delle frasi propagandistiche del Presidente del Consiglio pronunciate in un’Italia che da tempo è diversa da quella degli anni Cinquanta, da quella della sua adolescenza, per inventare una contrapposizione che nel Paese non c’è e che può essergli utile, ma che tuttavia rivela la natura minoritaria della sua cultura e delle posizioni che egli esprime.
Quando si dice che le bandiere rosse sono tali perché c’è sopra il sangue, evidentemente si dice una cosa che gli italiani non sentono, non condividono, non pensano; quindi, ci si consegna e ci si condanna a sostenere (pensate voi: da Palazzo Chigi!) posizioni che sono di minoranza nel Paese, nel modo di pensare degli italiani.
Non torneremo su queste polemiche, perché non sono neanche strettamente collegate all’iniziativa dei parlamentari che hanno proposto l’istituzione di questo "Giorno della libertà". Abbiamo riserve sul fatto che si continui a picchiare sempre sulla scuola, che si continui a porre la questione di un condizionamento di quel che a scuola si insegna, di direttive, di contenuti prestabiliti, dai programmi di interesse locale allo studio della lingua veneta, fino allo studio del "Libro nero sul comunismo". Sono però convinto che, nonostante questi tentativi, la scuola italiana abbia in sé riserve, cultura, buona volontà e dignità, per cui provvedimenti come questo non lasceranno una traccia effettiva e rilevante.
Richiamo qui l’intervento del collega Vitali, che è stato molto sereno ed ha manifestato una disponibilità a discutere ed anche a trovare un punto di accordo. Avremmo preferito che questa vostra iniziativa avesse caratteri tali da poter essere condivisa da tutti, che non fosse accompagnata da una relazione così sgangherata, così piena di spunti propagandistici e caratterizzata da una concezione giudiziaria della storia, che evidentemente non può essere base né della ricerca storica, né dell’insegnamento, né della riflessione comune nel Paese, tra le forze politiche e culturali dell’Italia.
Mi affido al senso critico e all’autocontrollo dei nostri colleghi che più sono impegnati per giungere all’approvazione di questo provvedimento. Sarebbe, a nostro avviso, un gesto di buona volontà rendersi disponibili a smussare, modificare e tenere conto delle indicazioni e delle proposte dell’opposizione. Ciascuno tiene per sé le proprie idee, ma in quest’Aula, su temi che possono riguardare gli italiani, ricerchiamo punti di vista comuni, un accordo, un dialogo. Se non sarà possibile, ciascuno assumerà la propria posizione al momento del voto, motivandola, e non avverrà nulla di male.
L’istituzione di un altro "giorno", per fortuna non di festa (la prima cosa che sono andato a verificare quando ho letto il testo del disegno di legge è stata proprio questa), non cambierà molto, se il provvedimento sarà approvato così come voi lo volete. Se invece c’è disponibilità all’accordo, siamo pronti a discuterne. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Castagnetti. Ne ha facoltà.
CASTAGNETTI (FI). Signor Presidente, colleghi, ringrazio il senatore Massimo Brutti per la parte del suo discorso nella quale, con la giusta misura che il provvedimento proposto richiede, dimostra una disponibilità nell’ambito del significato di questo provvedimento e ad esso circoscritta: non si tratta di riscrivere la storia, né di un regolamento di conti tra i passati ideologici o politici di nessuno di noi. Si tratta di fare un gesto e mi pare che ora vi sia quella disponibilità di cui invece, purtroppo, nel dibattito, fino a quest’ultimo intervento, avevo riscontrato l’assenza, con meraviglia e, se permettete, anche con una certa preoccupazione.
Parlo di preoccupazione proprio perché insieme sediamo in quest’Aula e nelle istituzioni e se facciamo così tanta fatica a capirci su cose modeste, chissà quali risultati possiamo garantire al resto del nostro lavoro.
Ricordo l’imbarazzo dichiarato - in modo anche espresso - di alcuni colleghi intervenuti nei giorni scorsi: mi riferisco ai senatori Vitali e Petrini, i quali hanno manifestato la preoccupazione che ci sarebbe del provocatorio in tutto questo.
A me pare, francamente, che se ci fosse stato del provocatorio avrebbero avuto ragione di lamentarsi. Ma sono proprio le loro lamentele a rischiare di renderli meritevoli di provocazione: si tratta, infatti, di capire fino a che punto dobbiamo prendere come dette ma non sentite, dichiarate ma non praticate espressioni sulle quali le forze politiche italiane si confrontano da almeno dieci anni - vale a dire dalla caduta del muro di Berlino - sulla scena italiana.
Le espressioni che ritengo sincere consistono nel fatto che ci siamo lasciati alle spalle delle mostruosità, degli eccidi incredibili; ci siamo lasciati alle spalle la conculcazione dei diritti minimali dei nostri simili e finalmente viviamo una stagione nella quale cerchiamo di costruire, ognuno secondo le proprie inclinazioni e i propri ideali, la democrazia italiana, europea e, un domani (è un sogno), mondiale.
Questo ho sentito dire da tutti i settori di questo emiciclo e mi stupisce, invece, che qualcuno ritenga necessaria qualche cautela, o qualche tratto di attenzione, perché non si devono ferire le sensibilità. Se dovessi pensare che nella sensibilità di qualche mio collega c’è il ricordare che Stalin era un assassino e che su quel muro i Vopos hanno ammazzato un sacco di poveri giovani, sparando loro mentre cercavano la libertà, se pensassi che qualcuno di voi si senta toccato nella sua sensibilità se non dico che quello era il marcio della storia da eliminare, allora avrei sì poco rispetto per voi e dovreste ritenere che non vi rispetterei nel momento in cui pensassi ad una vostra qualsiasi complicità nel ricordare quei fatti.
Sono convinto che non vi sia nessuna complicità nel ricordare quegli eventi, sono convinto che vi è ripugnanza da parte di tutti per quanto è accaduto. Perché, allora, dovrebbe essere provocatorio dire che eleggiamo quel giorno a testimonianza della comune indignazione per quello che è avvenuto, della comune voglia di costruire su quell’esperienza barbara e indecente un’Europa migliore?
Questo è il senso della valutazione, laddove non con ipocrisia ma con serenità si pone tale questione.
Ha ragione il senatore Massimo Brutti: non nego che vi sia sempre qualcuno che vuole ricordare le esperienze dei nonni o degli zii per poter dire che il nipote non è degno, ma questo vale sempre quando la polemica si abbassa di tono. Proprio per evitare questo dobbiamo volare alto.
Il collega Pellicini, richiamando la Shoah, ha commesso sostanzialmente lo stesso errore, quasi che qualcuno potesse pensare che vi sia un solo individuo che ritiene che di fronte alla Shoah, di fronte a ciò che è avvenuto in quegli anni, non ci si debba porre in termini di ripulsa.
Dobbiamo smettere di pensare che c’è la riserva mentale sui valori della liberaldemocrazia che ci accomunano, per cui tornando a riconoscere certi valori qualcuno può essere in imbarazzo. Nessuno deve sentirsi in difficoltà nel dire che il XX secolo ha avuto due mostri incredibili: il nazismo e il comunismo. Perché sono stati più incredibili di altri che li hanno preceduti nel corso della storia? Proprio per le ragioni che citava il collega Vitali come elemento di distinzione.
Egli si è riferito a Norberto Bobbio, il maestro (chi vuole lo elegga maestro, io mi limito a leggerlo; qualche volta è maestro, qualche volta meno), il quale dice che il comunismo ha un carattere distinto rispetto al nazismo perché assurge in qualche modo a dignità di religione. Ma è stata proprio l’accentuazione della barbarie, che non ha avuto simili prima di essi, che accomuna nazismo e comunismo, perché entrambi hanno ritenuto di poter fare una religione senza metafisica.
Entrambi hanno ritenuto di poter fare dell’ideologia una religione, hanno ritenuto - bestemmia somma! - di cambiare l’uomo. Io credo che l’uomo vada bene così e non so chi lo abbia fatto; il mio non è dunque un richiamo religioso ma, se religione deve esservi, deve venire dalla metafisica. Le religioni del positivismo, del comunismo, del materialismo portano ai mostri dello Stato-dio e dell’uomo-dio, alle prevaricazioni del XX secolo.
Per fortuna, ci siamo lasciati tutto questo alle spalle; rispetto ai due mostri, ha vinto una cosa molto bella che ci accomuna: la liberaldemocrazia. Non dobbiamo quindi andare a cercare il reciproco pentitismo per creare la democrazia, dobbiamo semplicemente dire che la democrazia ha abbattuto i due mostri.
La cultura democratica c’era già prima del nazismo e prima del comunismo; è stata opacizzata da momenti storici negativi ed è poi riaffiorata con più forza al servizio di tutti noi. Questa deve essere l’analisi. Non si tratta di fare ciascuno un passo indietro rispetto agli errori dei nostri nonni o della nostra gioventù per avere la democrazia. Nessuno deve fare passi indietro; dobbiamo prendere atto che, nonostante la virulenza e la potenza di droga ideologica che stavano dietro il nazismo e il comunismo, la cultura e lo spirito della libertà sono stati più forti e il liberalismo, il cattolicesimo democratico, il socialismo umanitario hanno vinto. Il XX secolo non è un secolo di sconfitti, è il secolo della sconfitta dei mostri e della vittoria della cultura della democrazia.
Non si può pensare neanche lontanamente che qualcuno di noi sia meno adeguato dell’altro a celebrare il "Giorno della libertà. Dobbiamo accingerci a celebrare questa giornata convinti che da lì nasce una nuova Europa, più grande e più libera, perché sono stati finalmente abbattuti i mostri del comunismo.
Questa data, rispetto ad altre che evocano mostruosità, ha una peculiarità che merita di essere riproposta: è la più recente rispetto ad altre, che pure hanno un significato simbolico non minore, ed è anche la più dimenticata nella terra che ha partorito quell’evento.
Sono stato recentemente in Germania e ho parlato, alla Porta di Brandeburgo, con il padre di un ragazzo, il quale, mostrandomi la fotografia del figlio ammazzato sul muro, mi ha detto non solo che gli manca il figlio, ma che nessuno ricorda più le centinaia di ragazzi che cercavano di scappare e sono stati uccisi. C’è davvero un’esigenza di memoria dell’olocausto di tanti giovani sacrificati dalla tirannide per la loro ansia di libertà. Quell’evento ha poi una dimensione molto ampia, riguardando una serie di popoli di etnie diverse, e ciò può farlo assurgere ad un significato universale.
Per queste ragioni, manifesto il mio plauso ai presentatori del disegno di legge, che confido possa diventare legge per tutti noi, con lo stesso spirito. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, LP e AN. Congratulazioni).
PETRINI (Mar-DL-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, desidero far rilevare la disorganicità che ha caratterizzato, per motivi fortuiti, questo dibattito. I nostri lavori sono stati organizzati in modo tale che la relazione è stata incardinata in una seduta che è difficile ricordare; è seguita una discussione generale che, in modo del tutto fortuito, ha diviso gli interventi dell’opposizione da quelli della maggioranza. Martedì mattina sono intervenuti il senatore Vitali, il senatore Turroni e il sottoscritto; nella seduta odierna abbiamo assistito alla replica della maggioranza, ma non vi è stata organicità. (Applausi del senatore Vitali).
PRESIDENTE. Senatore Petrini, effettivamente il problema che lei pone non è privo di fondamento, ma non riguarda solo questo disegno di legge: riguarda il modo di procedere dei lavori del Senato, sul quale vi è stata convergenza unanime dei Presidenti dei Gruppi parlamentari con la dislocazione di discussione e votazioni in questa maniera. Quindi, sia lei che io non possiamo che prenderne atto e, semmai, sollecitare in altre occasioni un’organizzazione diversa dei lavori. (Applausi dei senatori Zavoli e Tessitore).
È iscritta a parlare la senatrice Alberti Casellati. Ne ha facoltà.
ALBERTI CASELLATI (FI). Signor Presidente, signori senatori, l’abbattimento del muro di Berlino ha segnato una svolta epocale nella nostra storia più recente.
Il comunismo mondiale ha perso la scommessa con la storia. Il riscatto delle classi più disagiate è avvenuto e sta avvenendo in un contesto di sviluppo e progresso che nessun muro, né quello materiale né quello delle chiusure ideologiche, ha saputo assicurare. I muri sono stati abbattuti dall’interno, attraverso il riscatto di popoli oppressi che decenni di condizionamenti ideologici, di violenze e di mancanza di libertà non hanno saputo soffocare. Abbiamo assistito a violenze inaudite contro le libertà religiose, contro la libera espressione del pensiero, perfino contro le libertà sindacali.
Celebrare l’abbattimento del muro di Berlino assume oggi una valenza simbolica fortissima, indicando innanzitutto e una volta per tutte che soltanto in un quadro di rispetto dei valori della democrazia e della partecipazione è possibile lo sviluppo civile ed economico dei popoli. Questo vale per tutte le forme di totalitarismo che hanno portato lutti all’Europa nel secolo scorso: il fascismo, il nazismo, il comunismo.
Non è, questo, il "Libro nero del comunismo", come dice il senatore Brutti, ma il libro nero di tutti i totalitarismi. E sotto questa bandiera della libertà, senatore Brutti, contro tutti i totalitarismi, auspicavamo che tutti, maggioranza e opposizione, fossero uniti senza pregiudizi .
Oggi, al di là di qualche crisi contingente, attraversiamo una nuova stagione di dialogo e di collaborazione fra tutti i popoli dell’Europa, compresi quelli che troppo a lungo abbiamo dovuto considerare di oltrecortina, che non a caso si chiamava Cortina di ferro.
È importante che soprattutto i giovani conoscano fino in fondo i guasti che su tutti i piani comporta un’impostazione del conflitto violenta e prevaricatrice.
In una logica democratica non c’è qualcuno che possa presumere di aver in mano la verità e la giustizia e che, sulla base di tale presunzione, si possa permettere di opprimere gli avversari attraverso lo schiacciamento delle loro libertà.
In una logica democratica, il conflitto tra i vari interessi in campo è considerato un fatto fisiologico, al quale la società è chiamata a far fronte attraverso il confronto, la mediazione, la paziente ricerca di quelle soluzioni che possano accontentare il maggior numero di esigenze: e, questo, in un’ottica che sappia guardare al bene comune, ben sapendo che il bene comune parte innanzitutto dal valore irrinunciabile della libertà.
Dunque, credo sia particolarmente importante affermare tali prìncipi attraverso la celebrazione di una giornata dedicata alla libertà. E ciò è particolarmente attuale di fronte ai rigurgiti del terrorismo brigatista, che ripropongono l’annosa tentazione di risolvere le divergenze di opinione rispolverando miti pseudorivoluzionari che, ove applicati nel concreto, sono costati lacrime, sangue e ribellione dei popoli che da tali miti si sono ritrovati oppressi.
Credo che la sinistra, che oggi si proclama riformista e democratica, debba misurarsi con serietà e maturità con questi temi, compiendo fino in fondo quell’autocritica su un dato passato che ha fin qui, in una certa misura, lasciato in sospeso. (Applausi dai Gruppi FI, UDC e AN. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D’Onofrio. Ne ha facoltà.
D’ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, ho ritenuto di intervenire per due ragioni.
Il disegno di legge reca anche la firma di due colleghi dell’UDC e vorremmo che su questo tema si potesse raggiungere un orientamento larghissimo, auspicabilmente unanime, nel Parlamento della Repubblica, sapendo che questa materia si deve depurare da un potenziale uso che faccia coincidere la valutazione positiva, che nessuno - ritengo - può avere diversa, della caduta del muro di Berlino con una legittima diversa valutazione degli ordinamenti sociali che prima e dopo quel grande evento si sono realizzati.
Intendo dire che coloro che, come me, appartengono ad una generazione precedente e hanno convissuto con una stagione caratterizzata politicamente da quello che è stato definito l’arco costituzionale, non hanno mai immaginato che nell’arco costituzionale vi fossero princìpi di libertà diversi da quelli da noi professati. Da un’altra parte non era così; ciò nonostante, fu raggiunto un risultato comune.
La caduta del muro di Berlino mi indusse, due giorni dopo quell’evento straordinario, a scrivere sul settimanale dell’allora Democrazia Cristiana (oggi è il nome di un quotidiano che mi auguro sia dell’UDC, "La Discussione") un articolo intitolato "Cristiani e democristiani dopo la caduta del muro di Berlino". Ovviamente, da cristiani potevamo essere soltanto lieti dell’evento; da democristiani, dovevamo capire che poteva cambiare il mondo, persino il mondo che ci aveva consentito di governare il Paese perché c’era il muro di Berlino.
Vorrei evitare che nel giudizio su quell’avvenimento vi siano divisioni sul merito della liberaldemocrazia che vince, ma che non ci sia la pretesa, da parte di quelli di noi che sostengono il fatto positivo, che esiste solo un ordinamento civile dopo la caduta del muro di Berlino: quello che è stato definito il pensiero unico, l’unico modello sociale, l’unico modello europeo.
Ieri ho ascoltato un’interessantissima lezione di Alain Minc, che ha indicato, nel venir meno della comune cultura storica degli europei a 15, una ragione di fondo dell’unificazione europea di vecchio stile: la necessità di trovare una ragione di unificazione dell’Europa a 25 come fatto nuovo. Non ci si può basare soltanto sull’aver messo insieme ad altri i Paesi della logica antisovietica negli anni fra il 1957 e il 1989; non può essere, ovviamente, soltanto una logica di ordinamento costituzionale.
In altri termini, su questo tema sarei molto rammaricato di vedere una divisione su un valore che dovrebbe essere comune, ma vorrei dire ai colleghi che hanno mostrato preoccupazione al riguardo che io sarei preoccupato di veder sostenuto questo provvedimento in una logica di pensiero unico. Non deve essere questo il motivo per il quale dobbiamo essere lieti nel valutare la caduta del muro di Berlino come un fatto positivo. Non abbiamo la pretesa di indicare per il periodo successivo alla caduta del muro di Berlino un solo modello civile per il nostro Paese o per l’Europa. (Applausi dai Gruppi UDC e AN e del senatore Travaglia).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il relatore.
BOSCETTO, relatore. Signor Presidente, colleghi, sento il dovere di ringraziare tutti coloro che sono intervenuti in questo alto e nobile dibattito: il senatore Turroni, il senatore Vitali, il senatore Stiffoni, il senatore Malan, il senatore Petrini, il senatore Pellicini, il senatore Novi, il senatore Massimo Brutti, il senatore Castagnetti, la senatrice Alberti Casellati e, da ultimo, ma con la solita abilità, il senatore D’Onofrio.
Presidenza del vice presidente FISICHELLA
(Segue BOSCETTO, relatore). Una nobile discussione, dicevo, densa di argomenti, forse addirittura troppo tesa a evidenziare dati storici e culturali, mentre questo disegno di legge è invece molto più semplice e facilmente percepibile.
Se parliamo di "totalitarismo", non c’è bisogno di andare a ricercare Aaron, la Arendt, Brezinski o tutti quelli che hanno dato una formulazione giuridica e concettuale a questa parola; è ormai una parola che non ha più bisogno di spiegazioni, perché appartiene di per sé al nostro vocabolario.
Egualmente, l’aver voluto esaminare questo disegno di legge alla luce di tutta una serie di eventi storici che hanno coinvolto le vicende del nazismo, quelle del fascismo e quelle, più lunghe, del comunismo è sempre utile, ma ormai risaputo, perché la nostra democrazia ha permesso e permette sempre più di riuscire a fare la corretta storia di tutte queste vicende. Non è epoca di revisionismi: è epoca di precisa collocazione di dati storici assodati e documentati in testi ormai finalmente condivisi.
Non ho trovato quindi, al di là di queste logiche culturali e storiche, quella frammentazione nella discussione della quale si lamentava il senatore Petrini; forse perché, nella mia qualità di relatore, l’ho seguita tutta e intensamente e questo non è potuto succedere ad altri che non hanno presenziato all’intero dibattito, sia pure spezzettato. Pur tuttavia, ricordo come sia stata alternanza fra opposizione e maggioranza; infatti nella discussione della giornata precedente sono intervenuti i senatori Stiffoni e Malan, portando tutta la logica di questo schieramento, come per primo era intervenuto il senatore Travaglia, il quale, con un bellissimo intervento in discussione generale, aveva aggiunto diverse considerazioni al testo scritto che aveva predisposto quale presentatore del disegno di legge.
Vorrei tuttavia, sul piano tecnico, che diventa però anche piano sostanziale, ricordare come la relazione del senatore Travaglia sul disegno di legge, che si dilungava per pagine e pagine in dati storici sui tre totalitarismi, sia stata superata dalla 1a Commissione attraverso un testo da essa originato, che è lo stesso testo del senatore Travaglia, ma condiviso dopo i lavori in Commissione e senza che vi sia stata una relazione scritta di presentazione.
Non vorrei quindi che si rimanesse impiccati a quel primo dato scritto del senatore Travaglia. Vorrei che si ricordasse la bellezza dell’intervento che ha pronunciato; vorrei, soprattutto, che ci si rendesse conto di come il prosieguo del dibattito abbia fatto sì che anche le posizioni sembrate un po’ più dense di sospetto sulle reciproche intenzioni siano diventate assai più sfumate.
Posso dire - e ritengo che ciò possa essere condiviso - che questa mattina, a conclusione della discussione, le voci che si sono levate, tenendo conto dei contributi precedenti, hanno tentato di porre in essere un voto unanime di questa Assemblea sul provvedimento.
Voglio ricordare - l’ho detto poco fa - che si tratta di un disegno di legge estremamente semplice: "La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. In occasione del "Giorno della libertà", di cui al comma 1, vengono annualmente organizzate cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà" e sottolineo tali termini "evidenziando obiettivamente" - è importante questo avverbio - "gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti".
Quindi, il momento dell’abbattimento del muro di Berlino non viene preso ex sé, in relazione ad un’unica particolare realtà, ma come evento simbolo per censurare - sia in quello che è accaduto, sia nell’odierno ricordo - tutti i totalitarismi, passati e presenti.
Per quanto concerne gli emendamenti presentati, in alcuni di essi vi è l’idea di dedicare questa giornata ad un ricordo anche dell’unità europea, considerandola momento fondamentale dell’allargamento dell’Unione Europea. Vi sono anche proposte alternative che, ovviamente, si collocano in modo non pertinente.
Nell’ordine del giorno G1 troviamo l’auspicio e l’invito al Governo affinché questa giornata, che si sostiene non trovare la sua naturale dimensione in un singolo Stato membro, trovi una dimensione di celebrazione nell’ambito europeo. Di Europa parla anche l’ordine del giorno G2. L’ordine del giorno G3, tra i cui firmatari è il senatore Travaglia, evidenzia anch’esso come tale giorno debba essere stabilito attraverso questa legge in Italia, con il suggerimento, però, all’Unione Europea di renderlo celebrativo - non festivo - in tutti i Paesi membri.
Questi ordini del giorno sono stati depositati successivamente alle proposte di modifica, anche se alcuni emendamenti erano già nei termini dei quali ho parlato; mi pare quindi che il passare delle ore ci abbia messi in una situazione in relazione alla quale si possa riflettere insieme, avendo davanti ancora qualche giorno, se questo testo - come dicevo poc’anzi - possa essere condivisibile, condiviso e addirittura unanimemente votato.
Ho colto, senatore Massimo Brutti, quello che lei diceva e sono d’accordo quasi su tutto, salvo su alcune notazioni polemiche e anche sull’idea che questa celebrazione vada dolosamente ad inserirsi nei testi scolastici. Questo non lo si è pensato: se si terranno nelle scuole le manifestazioni di cui si parla, sarà per spiegare il significato di democrazia e libertà, ma soprattutto per ricordare ai giovani che vedono sempre più lontana la storia del fascismo, del nazismo e anche del comunismo, finito con la caduta del muro di Berlino, l’orrore di totalitarismi che vanno a negare in radice, alla sostanza e completamente la personalità umana in tutte le proprie attribuzioni. Questo per far sì che le giovani generazioni, attraverso le spiegazioni e l’interesse per questi dati storici, evitino qualsiasi possibilità di farsi indurre a valutare positivamente, o quasi positivamente, o comunque a non disprezzare momenti negativi, anche se non simili, vicini a quelli dei quali stiamo parlando.
Ho la sensazione che una linea condivisa sia sul punto di essere trovata e mi conforta l’intervento del senatore Castagnetti, come mi confortano gli interventi del senatore D’Onofrio, della senatrice Alberti Casellati, e tutti quelli di questa mattina.
Quindi, ritengo opportuno, signor Presidente, se non ci sono valutazioni difformi, chiederle che, terminata la discussione generale, dopo questa mia replica e quella del Governo, si possa rinviare l’esame degli ordini del giorno e degli articoli ad una prossima seduta del Senato della Repubblica. (Applausi dai Gruppi FI, AN e UDC).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
SAPORITO, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi sembra che il dibattito si sia mantenuto complessivamente sul filo di un reciproco rispetto politico, ma anche di comuni motivazioni sulla concezione della libertà. Ogni tentativo, da ultimo quello del relatore, senatore Boscetto, volto a creare occasioni di convergenza non è soltanto apprezzato, ma anche auspicato dal Governo. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Poiché non si fanno osservazioni, accogliendo la richiesta avanzata dal relatore, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
La seduta è tolta (ore 12,43).
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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423a SEDUTA |
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RESOCONTO STENOGRAFICO |
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MERCOLEDI’ 25 GIUGNO 2003 (Pomeridiana) |
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Presidenza
del presidente PERA,
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1383.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 3 aprile si è conclusa la discussione generale e hanno avuto luogo le repliche del relatore e del rappresentante del Governo.
PETRINI (Mar-DL-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, se lei permette, vorrei far riferimento all’ordine dei lavori e avanzare una proposta di non passaggio agli articoli.
Il mio intervento sull’ordine dei lavori è relativo all’estrema frammentarietà e discontinuità che ha avuto in quest’Aula la discussione del disegno di legge inteso ad istituire il cosiddetto giorno della libertà. (Brusìo in Aula). Vedo che c’è un’assoluta disattenzione da parte di tutti, ma sto ponendo una questione che forse dovrebbe essere annotata. (Commenti).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, c’è troppo rumore e non riesco a comprendere il senatore Petrini. Fategli svolgere il suo intervento.
PETRINI (Mar-DL-U). Le facevo presente che questo disegno di legge ha avuto un iter estremamente discontinuo, sfilacciato, frammentario; possiamo definirlo in mille modi, tutti negativi.
Lei stesso ricordava che la discussione generale sul provvedimento si è conclusa il 3 aprile, più di due mesi e mezzo fa. Mi domando che significato avrebbe adesso, se non quello di aggiungere confusione a confusione, discutere una proposta di non passaggio agli articoli, nel dubbio di non poter neanche arrivare a definire la questione incidentale stessa, per poi riprendere la discussione, in modo ulteriormente frammentario, nella giornata di domani, forse addirittura nelle giornate a venire; chissà, magari anche dopo la pausa estiva.
Pertanto, riterrei opportuno, per dare un minimo di organicità alla discussione, che la proposta di non passaggio agli articoli da me avanzata venisse collocata in una discussione più ordinata, che eventualmente (in caso di mancato accoglimento della mia proposta) potrebbe consentire il prosieguo dell’esame del provvedimento. Tutto ciò, ovviamente, in una giornata diversa da quella odierna.
VITALI (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI (DS-U). Signor Presidente, ho chiesto la parola per sostenere la richiesta del senatore Petrini.
Sarebbe opportuno che la ripresa della discussione su questo argomento avvenisse in modo organico e quindi in una data che andrà opportunamente scelta, esaminando la richiesta del senatore Petrini di non passaggio agli articoli, passando poi, in caso di non accoglimento, all’esame degli articoli e dei relativi emendamenti, alle dichiarazioni di voto e al voto finale, in modo da ripristinare con organicità l’esame del provvedimento, ciò che anch’io, come il senatore Petrini, ritengo assolutamente indispensabile.
PELLICINI (AN). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, la richiesta dei colleghi non mi sembra elimini il male denunziato. Siamo tutti d’accordo che il disegno di legge ha avuto una discussione, diciamo così, rateale, ma se, a questo punto, proprio perché ha avuto una discussione rateale, lo rinviamo ancora, non soltanto non si ottiene il risultato voluto, ma si ottiene addirittura un risultato peggiore, cioè che sarà ancora più difficile discuterlo dopo.
Secondo me, occorre invece passare all’esame degli articoli e degli emendamenti e condurre in porto il provvedimento. Un rinvio giova soltanto ad allontanare la conoscenza dei fatti che lo riguardano.
Pertanto, a nome di Alleanza Nazionale, signor Presidente, sono contrario alla proposta del senatore Petrini.
PRESIDENTE. Colleghi, l’andamento della discussione di questo disegno di legge è veramente ondivago, anche carsico: scompare e ricompare, e così via. Anche se fosse rinviato a domani mattina, non lo si potrebbe discutere perché devono prima essere incardinati altri disegni di legge; lo stesso succederà la settimana prossima. Quindi, o ci rassegniamo a questo andamento carsico, oppure decidiamo finalmente di prendere in esame questo disegno di legge e di concluderne l’iter.
Peraltro, manca anche poco al termine stabilito per i nostri lavori. Non avendo registrato l’unanimità delle opinioni, impieghiamo allora questo tempo residuo, supposto che lo si possa impiegare, e poi rinviamo la discussione; senatore Petrini, non ho altri conforti.
Pertanto, se la sua richiesta di non passaggio all’esame degli articoli è reiterata, senatore Petrini, la metterò ai voti, perché il rinvio in realtà non sarebbe a domani mattina, in quanto abbiamo altre questioni da esaminare.
PETRINI (Mar-DL-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, il fatto che il rinvio non potrà essere a domani mattina conferma il mio timore e quindi rafforza la mia primaria argomentazione.
A questo punto, però, se lei ritiene che si debba comunque procedere nel valutare la mia proposta di non passaggio all’esame degli articoli, vorrei prima illustrarla.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, questo disegno di legge, come ho avuto modo di anticipare, ha avuto una gestazione estremamente frammentaria ed è il caso, pertanto, di fare una piccola sintesi (che purtroppo si perderà nella disattenzione di questa serata e dovrà essere riproposta quando riaffronteremo verosimilmente l’argomento).
Difatti, nella discussione generale è emersa una netta contrarietà da parte dell’opposizione al disegno di legge in esame e a questa contrarietà hanno fatto eco numerosi interventi da parte della maggioranza in cui si esprimeva, non senza una certa malizia e una certa teatralità, lo stupore per la nostra contrarietà. Si chiedeva la maggioranza e chiedeva all’opposizione: come potete essere contrari a celebrare un giorno il cui valore ideale, storico e morale è palese, è lampante, è sotto gli occhi di tutti, è nell’evidenza dei fatti? Questa domanda merita un chiarimento e una risposta da parte nostra.
Non è certo, come qualcuno ha adombrato, che vi sia da parte dell’opposizione una resistenza o un dubbio nell’esprimere una ferma condanna nei confronti di quello che fu il totalitarismo comunista e non vi è dubbio alcuno che quel totalitarismo determinò la violazione grave e financo tragica dei diritti di individui fino a decretarne la morte.
È assolutamente certo, quindi, il nostro giudizio sul totalitarismo comunista ed è assolutamente in linea con la tradizione, la storia e la cultura del Gruppo cui appartengo. D’altra parte, è un’acquisizione che anche i colleghi della sinistra hanno rappresentato; lascerò a loro l’onere e l’onore di riconfermare quest’acquisizione.
Il problema, colleghi, è un altro. Noi abbiamo manifestato perplessità di fronte all’idea di celebrare a livello nazionale un evento che, invece, non ha una dimensione nazionale e che non riguarda l’Italia, ma l’Europa o - se vogliamo - il mondo intero.
Esso potrebbe avere una sua congrua celebrazione proprio a livello europeo, laddove potrebbe rappresentare la ritrovata unità sociale e politica dei popoli europei di fronte ad un dramma e ad una divisione drammatica che la storia ha determinato e l’inizio di un nuovo cammino, alla luce di quella liberaldemocrazia che ormai è un valore acquisito appartenente a tutto il continente europeo.
La nostra perplessità di fronte alla discrepanza dimensionale dell’evento e della celebrazione è però diventata contrarietà ferma e netta nel momento in cui ci siamo accorti che questa rappresentazione non voleva avere il significato che potrebbe assumere nella sua corretta dimensione europea, bensì un significato assolutamente strumentale, perché piegato ad una polemica duramente e - se mi è consentito - grettamente politica e nazionale.
Infatti, il disegno di legge in esame viene illustrato dal suo presentatore come necessario per riequilibrare un giudizio storico che sarebbe squilibrato a favore del totalitarismo comunista, rispetto alla condanna che la storia ha decretato nei confronti di altri totalitarismi, in particolare quello fascista e quello nazista.
Ciò è scritto chiaramente nella relazione che accompagna il disegno di legge. Afferma, infatti, il presentatore: "Utilizzando una testimonianza simbolica di tale enorme portata sarebbe possibile un riequilibrio di valutazione nei confronti dei tre più famigerati totalitarismi del XX secolo, vale a dire fascismo, nazismo e comunismo, intaccando così una serie di incrostazioni informative che hanno finora deformato in modo strumentale e fazioso il giudizio storico", giudizio che già precedentemente il presentatore affermava inquinato da manipolazioni della verità, da fonti di discriminazione e da ingiustizie nei confronti dei cittadini e delle istituzioni.
Ebbene, noi non possiamo accettare un disegno di legge che abbia un intento storiografico, perché la legge non può avere questo intento e questa dimensione. La storia la fanno gli storici, i giudizi li riequilibrano gli storici. Questo provvedimento può certo rappresentare qualcosa in termini di idealità ritrovate e di un cammino futuro, di dimensione europea, ma non può avere un intento storiografico, perché sarebbe assolutamente deformante sia rispetto al dovere istituzionale che abbiamo, sia rispetto alla stessa verità storica.
Se dobbiamo fare violenza alla nostra funzione di legislatori ed entrare nel merito di tale squilibrio storico, allora dobbiamo dire che è certo che l’attenzione e la condanna che hanno subìto il nazismo e il fascismo nel nostro Paese sono state superiori e più gravi rispetto a quelle che ha subìto il comunismo, ma ciò è avvenuto per una ragione molto semplice, nella quale non si può rinvenire una faziosità o una malafede o una distorsione ideologica.
La ragione è semplicissima: il comunismo è estraneo alla storia del nostro Paese, vi entra soltanto come un’opzione politica che si è sempre giocata all’interno delle regole democratiche; viceversa, il fascismo è un dramma che noi abbiamo vissuto in prima persona, di cui portiamo una responsabilità netta, che impone quella revisione storica, che impone quel giudizio storico, quella critica storica, cosa che non è per il comunismo. È questo il motivo di questa disparità che una legge, in modo del tutto improprio, nel merito e nel metodo vuole ripianare, e lì nasce la nostra ferma contrarietà.
Vedete, colleghi, io penso che sia maturo il tempo per una riflessione di questo tipo. Una celebrazione di questa fatta ha valore se veramente rappresenta qualcosa di condiviso non fra noi e voi, ma di condiviso all’interno della cultura del nostro popolo, di quel popolo che noi rappresentiamo. In questi termini questa celebrazione può avere valore. Ma se è un elemento di divisione, se è un elemento di contrapposizione, allora non soltanto non avrà quel valore positivo che potrebbe avere, ma ne assume uno gravemente negativo.
Infatti, colleghi, come dicevo, questa discussione generale ha una "anzianità" molto lunga; l’abbiamo conclusa, signor Presidente, il 3 aprile e dopo quella data c’è stato, secondo calendario, anche un 25 aprile. Ebbene, signor Presidente, ricordo che in quel 25 aprile soltanto io fra i parlamentari della mia città ero presente alle celebrazioni per l’anniversario della Liberazione. Eppure, quell’anniversario è il mito fondativo di questo Paese, è il mito su cui abbiamo costruito i nostri valori istituzionali e su cui fondiamo la nostra identità e la nostra unità.
Ebbene, sarebbe davvero drammatico se avessimo le celebrazioni del centro-sinistra e le celebrazioni del centro-destra, se avessimo le celebrazioni dell’antifascismo e quelle dell’anticomunismo, se trasmettessimo questa nostra divisione, questa nostra faziosità nella cultura e nella ideologia del popolo che rappresentiamo.
Sarebbe un fatto estremamente grave su cui vi invito a riflettere, colleghi, perché non è un interesse specifico quello che stiamo rappresentando: è l’interesse di una Nazione su cui possiamo, credo, trovare certamente un punto di convergenza, perché abbiamo il dovere di trovare punti di idealità comune; se non ci fossero questi punti, allora sarebbe veramente triste il destino della Nazione che rappresentiamo. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
MONTICONE (Mar-DL-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MONTICONE (Mar-DL-U). Non so se posso, signor Presidente, prendere la parola adesso. Se lei ritiene di chiudere ora la seduta, rinuncio ad intervenire questa sera.
PRESIDENTE. Senatore Monticone, può prendere la parola un oratore per Gruppo. Comunque, se intende intervenire può farlo; dopodiché, toglierò la seduta.
MONTICONE (Mar-DL-U). Rinuncio ad intervenire questa sera.
PRESIDENTE. Possiamo dunque chiudere qui i nostri lavori.
PELLICINI (AN). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Senatore Pellicini, il senatore Petrini ha avanzato una proposta di non passaggio all’esame degli articoli; pertanto, potrebbe intervenire un oratore per Gruppo.
Tuttavia, data l’ora, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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424a SEDUTA |
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RESOCONTO STENOGRAFICO |
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GIOVEDI’ 26 GIUGNO 2003 |
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Presidenza del vice presidente CALDEROLI
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1383.
Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri è stata avanzata dal senatore Petrini una proposta di non passaggio all’esame degli articoli.
Passiamo pertanto alla votazione di tale proposta.
MONTICONE (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MONTICONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, come è stato detto dal senatore Petrini, questa proposta di istituzione di una giornata della libertà il 9 novembre di ogni anno per ricordare agli italiani, attraverso la celebrazione della caduta del Muro di Berlino, il significato della libertà dai totalitarismi, sulla scorta di quanto ha indicato il proponente del non passaggio agli articoli, è un tema di alta importanza e assume un significato speciale in particolar modo oggi, alla vigilia del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea.
Ritengo che proprio il profilo europeo della eventuale istituzione di questa giornata debba essere tenuto in conto, perché non rappresenti solo per l’Italia - pur essendo per noi elemento importante - una giornata celebrativa che deve avere invece un orizzonte europeo.
Fra l’altro, la Presidenza italiana potrebbe farsi portatrice - come richiedono anche alcuni ordini del giorno - del desiderio e della volontà dell’Italia di sollecitare la volontà collettiva dei popoli europei per trovare nella celebrazione di una giornata europea delle libertà anche un altro fattore importante, non solo simbolico ma prospettico e progettuale, di unione.
Sarebbe un fatto inusuale che proprio alla vigilia dell’impegno della Presidenza del Consiglio italiana in un ruolo europeo di particolarissima rilevanza internazionale, stabilissimo, in sede parlamentare, la celebrazione in Italia di questa giornata. Credo sia molto più opportuno impegnare il Governo (nella forma che il Parlamento italiano riterrà idonea: io, ad esempio, riterrei opportuna una mozione in tal senso) ad operare nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea perché sia fissato questo giorno di celebrazione delle libertà.
Credo che non sia difficile trovare una convergenza larga in Parlamento, in modo particolare per quanto concerne questa richiesta di impegno del Governo italiano. Tuttavia, se non si addivenisse ad una sospensione dell’esame del provvedimento attraverso il non passaggio agli articoli, occorre anche entrare nel merito di questa proposta di legge.
Vi sono alcune osservazioni di fondo che, a mio parere, sorreggono l’opportunità di dare a questa ricorrenza un profilo europeo, in primo luogo il tema del totalitarismo. Non intendo criticare gli interventi significativi di colleghi né la relazione introduttiva al disegno di legge, ma credo che alcuni esponenti della cultura politologica e storiografica italiana, a cominciare dal vice presidente del Senato professor Fisichella, che hanno ampiamente discettato del totalitarismo, avvertono che sarebbe un errore mettere sullo stesso piano, cronologicamente e culturalmente, tipi di totalitarismo diversi della prima metà del Novecento, dei quali alcuni tuttora hanno vita in alcune parti del mondo.
Il termine totalitarismo, sul piano della scienza politica e della storiografia, ha un significato non meramente teorico bensì riferibile puntualmente alle concrete vicende della storia. Occorre distinguere, non già per evitare di condannare dittature e forme di assolutismo violento che sono esistite, anche nel nostro Paese, ed esistono tuttora, bensì per operare davvero in funzione di una nuova e comune visione europea contro ogni forma di totalitarismo, evitando giudizi aprioristici o sommari che possono essere impropri dal punto di vista politologico e storiografico.
Tra gli studiosi che hanno analizzato dettagliatamente, consultando una mole immensa di documenti, la storia dei totalitarismi del Novecento vi è lo storico Renzo De Felice, venuto purtroppo a mancare diversi anni fa, il quale, così come il professor Fisichella sul piano politologico, ha dato indicazioni molto importanti sul totalitarismo, in particolare europeo, che andrebbero tenute presenti anche in una disposizione di legge che parla invece un po’ troppo facilmente di totalitarismi.
Vi è un secondo aspetto che consiglierebbe una sospensione o eventualmente la trasformazione di questa proposta in una mozione europeistica: l’autonomia della storiografia. In qualità di parlamentari possiamo giudicare politicamente le vicende attraversate dall’Italia e dall’Europa nei decenni passati, e che sono tuttora attuali in varie parti del mondo, ma il giudizio storico che emerge qui tra le righe, anche nelle motivazioni rispettabili di alcuni colleghi, non spetta a noi; il giudizio storico è affidato alla ricerca storiografica. È certamente importante sollecitare, anche dal punto di vista politico, la coscienza degli storici e del Paese, ma non spetta ai politici formulare un giudizio storico.
Un terzo elemento che consiglierebbe prudenza in questa vicenda risiede nella circostanza che neppure gli storici giudicano nel senso di condannare o assolvere, bocciare o promuovere il passato e a maggior ragione le vicende più recenti. Compito della storiografia non è condannare, bensì ricostruire criticamente, sulla base di ricerche, la verità possibile. Questa verità dovrebbe fare riferimento, anche in un provvedimento di legge, ai diritti umani più che ai totalitarismi, alle vittime della guerra e non solo alle vittime dei pogrom, della Shoah, dei lager e dei gulag. L’enorme numero di vittime provocate dalla seconda guerra mondiale implica una condanna politica e morale.
In conclusione, sostengo l’opportunità di non passare all’esame degli articoli, ricercando una soluzione europea che sarebbe molto più importante e significativa. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
PELLICINI (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, vorrei ricordare ai colleghi che fanno riferimento all’autonomia della storia rispetto alla politica, a questioni di opportunità, che distinguono tra comunismo, che in Italia non fece molti danni, e fascismo che ne fece tanti, un piccolo precedente di qualche tempo fa.
Voi ricorderete quando l’opposizione ha fermamente voluto l’istituzione di una Commissione d’inchiesta per accertare le ragioni della mancata repressione penale per le stragi nazifasciste "armadio della vergogna". È chiaro che quella Commissione, successivamente istituita, ha il compito storico-politico di accertare i motivi per cui non si procedette nella direzione di far luce su quelle stragi, lasciando i fascicoli bloccati nel famoso "armadio della vergogna".
Come mai accadde ciò? Di fronte a quella richiesta della sinistra, il sottoscritto e Alleanza Nazionale, non soltanto non posero alcun ostacolo ma addirittura io, in qualità di relatore di quella legge, convinto che fosse giunto finalmente il momento di far luce su tutto, aderii pienamente all’istituzione della Commissione, dimostrando con ciò due cose: in primo luogo, che non vi sono scheletri nell’armadio di cui abbiamo paura; in secondo luogo, che la storia e la politica hanno assolutamente il dovere di fare luce.
Colleghi, la ragione per la quale chiediamo di istituire il "Giorno della libertà", a ricordo della caduta del Muro di Berlino, è una ragione importante, di carattere nazionale e internazionale. È importante sotto il profilo internazionale perché quella data rappresentò la fine reale della seconda guerra mondiale. Quando si afferma - come hanno rilevato i colleghi in alcuni emendamenti ancora da esaminare - che il "Giorno della libertà" dovrebbe essere fissato il 25 aprile o il giorno della liberazione del campo di Fossoli o in altre date coincidenti con il 1945, si dice una cosa parzialmente giusta, non totalmente. Infatti, mentre il nazismo ed il fascismo nel 1945 persero la guerra, e con ciò l’argomento fu chiuso e consegnato alla storia, il comunismo sovietico internazionale ha occupato per altri quarant’anni mezza Europa dell’Est.
Il punto di fondo è che il "Giorno della libertà" vuole ricordare il momento magico in cui, con la caduta del Muro di Berlino e il crollo della dittatura comunista in Europa, i Paesi dell’Est europeo (la Cecoslovacchia, l’Ungheria della rivoluzione del 1956, la Germania della rivolta di Potsdam e di Berlino, la Romania e tutti i Paesi occupati dalle truppe sovietiche) furono liberati (senza dimenticare gli effetti di quella occupazione sulla questione albanese e su quella istriana e dalmata) e l’Europa fu finalmente ricongiunta.
Pertanto, come si può affermare, come sostengono alcune tesi, che il Giorno della libertà andrebbe commemorato solo a livello internazionale ed europeo, ma non a livello nazionale? Perché? La realtà è che il senatore Petrini e il collega Monticone, che stimo moltissimo, temono che questa celebrazione possa avere dei risvolti politici.
Quali risvolti politici temete? Avete detto di essere d’accordo con la caduta del Muro di Berlino. Temete forse un’azione di propaganda? Temete - come ha detto il senatore Petrini e ha affermato anche il relatore - che si voglia fare una sorta di comparazione tra i vari estremismi, le varie dittature, per poter in qualche modo bilanciare le cose?
Non è questo il punto. Il punto è che oggi in Italia e in Europa occorre dare spazio alla ricerca della verità storica e politica. Non è possibile, caro collega Petrini, affermare che il fascismo in Italia ha fatto molti più danni del comunismo e separare le due vicende, perché se si vuole fare un’indagine storica e politica - e si deve finalmente fare - bisogna ricordare che il fascismo nacque nel 1919, preceduto dal Congresso di Forlì e dalla scissione con i socialisti, e che quando Mussolini venne espulso dal Partito Socialista disse: "Mi fischiate perché mi amate ancora".
Questo è il punto. La storia del fascismo e del comunismo in Italia, culminata poi in scontri anche violenti e durissimi, è una storia profondamente italiana non scindibile neanche da quella del vecchio Partito socialista.
Se si vuole affrontare finalmente una ricostruzione della nostra storia nazionale - ed è nostro interesse - bisogna avere il coraggio di esaminare tutto insieme. Non si possono avere libri di scuola che ancora oggi parlano semplicemente dell’antifascismo e dell’antinazismo; è giusto, ma non si parla o si sfumano i problemi dell’anticomunismo, del totalitarismo comunista e quello delle foibe.
Senatore Petrini, lei dice che il comunismo in Italia ha prodotto pochi danni. Lasciamo perdere quello che è successo dal 1945 al 1948, quando migliaia di persone scomparvero, e non parlo di fascisti o ex fascisti: mi riferisco a don Pessina e a tutte le vicende di preti ammazzati nel cosiddetto triangolo della morte. Lasciamo perdere le stragi di prigionieri della RSI, che erano colpevoli di aver combattuto, ma che furono ammazzati una volta disarmati. Lasciamo perdere questi episodi, ma prendiamo in considerazione quella che è stata la tragedia delle foibe, quando il comunismo titino ci ha portato via l’Istria e la Dalmazia e ha perseguitato e infoibato decine di migliaia di italiani colpevoli solo di essere italiani, d’accordo, purtroppo - sto leggendo in questi giorni il libro di Gianni Oliva sulle foibe - con l’allora compagno Ercoli, che era Togliatti.
Se vogliamo davvero fare un’opera di ricostruzione della nostra storia, occorre anche capire perché accadde questo, cosa accadde in Istria, che cosa fu il fascismo di frontiera, quale fu il tentativo slavo di avere una sorta di federazione e quello che poi invece successe. In altre parole, occorre guardare alla nostra storia in modo completo e serio.
Sono convinto allora che accanto alle date storiche che celebriamo in Italia - il 25 aprile, come fine della guerra, e che noi vorremmo tanto fosse la data dell’inizio della riconciliazione e non soltanto quella della sconfitta del fascismo, e il 2 giugno - non si possa non collocare un giorno che ricordi la caduta del Muro di Berlino, che è stato un evento epocale, con il quale abbiamo finalmente chiuso la tragica parentesi della seconda guerra mondiale.
Il Novecento è stato il secolo delle grandi trasformazioni, delle grandi dittature, quello in cui, ad esempio, in Unione Sovietica, con l’operato di Stalin sono accaduti fatti gravissimi; è stato il secolo delle dittature naziste e fasciste che trovano la loro ragion d’essere nel Trattato di Versailles e nella famosa "vittoria mutilata", quando uscimmo frustrati dalla prima guerra mondiale perché non ci era stato dato niente di quello che ci doveva essere dato: D’Annunzio dovette andare a Fiume, che poi perdemmo qualche anno dopo con gli slavi.
Per capire questo, per capire chi siamo stati e soprattutto chi saremo domani, perché chi non ha passato non ha futuro, chi non ha presenza storica non ha consapevolezza di sé stesso, non si possono tirare stracci bagnati pulendo il pavimento dal sangue di un solo tipo. Occorre fare chiarezza!
Per questo, signor Presidente, sono convinto che non si possa ulteriormente rinviare la discussione di questo disegno di legge, non tanto per fare un piacere alle sinistre che evidentemente non vogliono affrontare questo punto, ma perché i nostri ragazzi devono conoscere la storia di tutta l’Italia e di tutta l’Europa, e finalmente di un’Europa libera e non più comunista. (Applausi dal Gruppo AN e del senatore Travaglia).
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, i Comunisti Italiani voteranno a favore della proposta di non passaggio all’esame degli articoli, perché ritengono che il disegno di legge in esame, primo firmatario il collega Travaglia, contenga una proposta quanto meno grottesca, direi anche, per certi versi, cinica, se non altro per la scelta dei tempi: è stata infatti comunicata alla Presidenza il 12 marzo 2003, nel testo proposto alla 1a Commissione. È, cioè, pervenuta in Aula nel corso di una guerra preventiva neocolonialista che era e resta una guerra illegittima, senza nessuna giustificazione né giuridica, né morale; di una guerra preventiva che si è svolta contro la legalità e il diritto internazionale, contro la stessa Carta dell’ONU e che ha procurato sofferenze, lutti e rovine.
Non c’è ancora nessuna prova di arsenali di armi di distruzione di massa, non c’è nessuna prova di connivenza con il terrorismo; però, è stata scatenata una guerra preventiva con l’obiettivo del dominio di tutte le fonti energetiche e per l’egemonia su una vasta area geografica che va dal Tigri al Kazakistan. Dunque, il provvedimento è giunto, come ripeto, al nostro esame quando era in corso quella guerra.
È una proposta, oltre che demagogica, povera di contenuti. Sarà infatti dedicato un giorno, nell’anno scolastico, ad educare ai valori della democrazia e della libertà le nuove generazioni, mentre questo dovrebbe essere un compito quotidiano. Lo stesso collega Novi ha del resto riconosciuto, intervenendo nella discussione generale, che sono valori da praticarsi nella quotidianità e - mi permetto di aggiungere - soprattutto tenuto conto che da due anni a questa parte molte sono, a mio avviso, le violazioni, gli attacchi alla nostra Costituzione, la cui elaborazione ha rappresentato uno dei momenti più alti di libertà e di democrazia nel nostro Paese.
Signor Presidente, io sono il rappresentante di un piccolo partito che non si può definire erede del vecchio PCI, ma che si ispira, nella sua azione politica quotidiana, a quelle grandi tradizioni del vecchio Partito comunista che hanno educato tante generazioni non certamente al totalitarismo, ma ai valori alti della democrazia e della libertà; valori alti che non si possono difendere solo in astratto, ma che devono essere difesi attraverso un’azione quotidiana, attraverso le lotte democratiche per la difesa e l’attuazione piena della Costituzione della Repubblica, non solo per quanto riguarda i diritti di libertà e i diritti-doveri dei cittadini nei rapporti civili, etico-sociali e politici, bensì anche nei rapporti economici. Una Costituzione che ha prefigurato uno Stato di democrazia progressiva e che ha il compito di rendere effettiva la partecipazione di ciascun cittadino, di tutti i gruppi, alla vita politica, sociale ed economica del Paese.
Ho ascoltato, sempre con grande attenzione, l’intervento del collega Pellicini e, ovviamente, quello del collega Monticone. Credo che la deformazione della storia spesso passi anche attraverso un’omologazione dei fenomeni storici, come quella volta a mettere sullo stesso piano nazismo e comunismo attraverso l’omissione di stessi fatti storici.
Vorrei ricordare innanzitutto a me stesso che chi era stato aggredito voleva una Germania unita, neutrale e disarmata, non certamente una Germania divisa; che il Patto Atlantico nacque prima del Patto di Varsavia, come pure la Germania dell’Ovest, la Repubblica federale tedesca. Quando fu costruito, il Muro di Berlino segnò un confine e molti tirarono un sospiro di sollievo perché il riconoscimento di quel confine significava sventare il pericolo di una terza guerra mondiale. Questo però fa parte di una ricerca storica che non spetta a noi. Quindi, non bisogna fare violenza alla storia. (Commenti dei senatori Mugnai e Pellicini).
Con tutta la modestia, colleghi, lo ripeto: sono il rappresentante di un partito comunista che si ispira a quel grande, vecchio Partito comunista che è stato una importante scuola di democrazia, sempre in prima fila - insieme alle altre forze democratiche e progressiste - a difendere i valori fondanti della nostra Repubblica; un Partito comunista italiano che non esiste più e che ha avuto il più alto numero di condannati dal Tribunale speciale fascista, il più alto numero di combattenti e di martiri della Resistenza, sempre in prima fila nelle lotte per il lavoro, per la pace, per la conquista dei diritti civili, contro il latifondo (ricordo le grandi lotte per la terra) ed il terrorismo, che ha sempre costituito un muro democratico contro le tentazioni autoritarie e i vari tintinnii di sciabola che si sono ogni tanto uditi nel nostro Paese.
Non bisogna fare violenza alla storia. Credo che l’educazione ai valori della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza debba costituire per tutti noi un fatto quotidiano. Ecco il motivo per cui diciamo sì alla proposta di non passaggio all’esame degli articoli, perché riteniamo questo provvedimento demagogico e per certi versi grottesco, ma anche cinico, considerato il momento ed il contesto internazionale nel quale è stato proposto.
COMPAGNA (UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COMPAGNA (UDC). Signor Presidente, i senatori dell’UDC voteranno contro la proposta di non passare all’esame degli articoli, illustrata dal senatore Petrini.
Ci rendiamo conto con molto rispetto degli argomenti che hanno portato il senatore Marino ad esprimere un voto diverso dal nostro. Proprio per questo, però, ci è dispiaciuto il linguaggio che egli ha adoperato nei confronti del provvedimento in esame, giacché ha parlato di demagogia, di cinismo, di brutalità.
Questo disegno di legge nasce da un intento simbolico; è pienamente legittimo, in un libero Parlamento, che esso non sia condiviso dal collega che mi ha preceduto, ma ciò non lo autorizza a giudizi - definiamoli così - sarcastici (ed anche qualcosa di più), sulle linee che hanno ispirato il provvedimento.
Non mi hanno convinto gli argomenti usati ieri sera dal senatore Petrini; mi hanno convinto ancora meno alla luce di quelli che ha esposto stamattina il senatore Monticone. Per quelle strane contraddizioni che onorano i liberi Parlamenti, essi hanno manifestato la medesima intenzione di precludere al Senato il passaggio all’esame degli articoli del disegno di legge presentato dal collega Travaglia e da molti altri senatori.
L’obiezione avanzata ieri dal senatore Petrini si incentrava su un’eccessiva attenzione posta nei confronti del totalitarismo comunista, che nella storia nazionale - a giudizio dello stesso senatore Petrini - ha rappresentato tutt’al più una minaccia, ma soltanto potenziale, nel senso che la proposta politica del comunismo, nella storia d’Italia, si è svolta sempre e soltanto e tutta quanta nei canali della democrazia parlamentare, mentre lo stesso non può dirsi per l’esperimento del totalitarismo fascista.
Si tratta, quindi, di un argomento che riguarda la storia nazionale. In nome, invece, dell’esigenza di uscire fuori della storia nazionale e di ragionare in una prospettiva europea, il senatore Monticone ha poco fa detto di condividere la proposta di non passaggio all’esame degli articoli.
Cosa non mi convince? Non mi convince la somma dei due argomenti. È evidente che l’intento del disegno di legge è proporre una data simbolica in una storia nazionale concepita e percepita in una dimensione europea.
Se il collega Monticone me lo consente, forte di quella stima, simpatia e amicizia che sempre gli ho manifestato, non mi convincono i suoi richiami storiografici. Egli ha ricordato De Felice e Fisichella e ha sottolineato l’esigenza di una categoria, il totalitarismo, di tenere distanti dalla politica il giudizio storiografico e la passione storica. A me è sembrato, invece, molto più pertinente che nel disegno di legge del collega Travaglia si citassero, con tutto il rispetto per maestri domestici della statura di Renzo De Felice e Domenico Fisichella, Friedrich e Brzezinski.
Il senatore Monticone conosce il testo, per cui lo invito ad andare ancora più indietro: la parola "totalitarismo" compare nella cultura storica e politica dell’Europa moderna, e anche dell’Italia, grazie a una meritoria traduzione di un libro pubblicato dalla casa editrice "Il Mulino", con l’aggettivo "totalitario" accoppiato al sostantivo "democrazia". A me da ragazzo fece male la democrazia totalitaria. Per me la democrazia era naturaliter antitotalitarismo. Invece, un grande storico europeo di Israele, o israeliano d’Europa, Jacob Talmon, ha la dignità, senza schematismi, di far risalire a Jean Jacques Rousseau i rischi e le minacce del totalitarismo.
Mi sembra molto più pertinente questa considerazione storiografica nell’ambito di una prospettiva europea: perché la caduta del Muro di Berlino? Con quello spirito di sintesi, talvolta elegante e talvolta superficiale, che lo contraddistingue, il senatore Andreotti, molti anni addietro, da presidente del Consiglio, così rispose a chi gli chiedeva come mai vi fosse tanto entusiasmo in Inghilterra e in Italia per Gorbaciov (era ancora aperta la vicenda del comunismo, anche se ormai al limite): "Che cosa vuole? Per gli europei della mia generazione è un incubo che si dilegua". Ma l’incubo sta proprio nei termini in cui lo richiama il senatore Travaglia.
La seconda guerra mondiale ha visto la sconfitta del nazifascismo, ma ha visto anche la vittoria del nazifascismo alleato con il comunismo: l’Estonia, la Lettonia, la Lituania; è come se le guerre mondiali fossero continuate. Ecco perché in una giusta - secondo me - ricostruzione la caduta del Muro di Berlino ha una portata nella storia europea; il che, fa cadere gli argomenti illustrati ieri sera dal senatore Petrini.
Nella dialettica tra democratici e comunisti io ricordo un uomo della sinistra, il segretario della SFIO, Guy Mollet: perché egli era anticomunista quanto lo eravamo noi, liberali, cristiani, repubblicani, saragattiani? Egli diceva che i comunisti non stanno a Sinistra, ma stanno a Est: ecco perché prospettiva nazionale e prospettiva europea non possono essere due corpi separati.
Quindi, è intelligente la ricostruzione contenuta nella relazione introduttiva al disegno di legge e la libertà storiografica è pienamente garantita.
Non sono entusiasta di alcuni dei temi della maturità dati la settimana scorsa: non mi piace che a scuola ci si schieri. Però, non mi piace nemmeno che non ci si schieri per ipocrisia. A scuola si può spiegare come la si pensa su Gherardo Colombo e su Ilda Boccassini anche facendo lezione sulla Rivoluzione francese, se un professore è bravo e ha passione per la propria materia e sa comunicare. Io ho avuto professori comunisti che si onoravano di avere allievi anticomunisti, e viceversa.
E allora, collega Monticone, sono d’accordo con lei, e prima che con lei con Benedetto Croce, sul fatto che la storia non è momento di giudizio, semmai di giustificazione. Ma stiamo attenti: la libertà storiografica deve essere garantita a tutti. La Sinistra voleva impedirla a Renzo De Felice a metà degli anni Settanta. Non tutta la Sinistra: fu un uomo di Sinistra, Giorgio Amendola (e siamo grati alla sua memoria), a porre fine agli attacchi squadristici di colleghi storici - mi riferisco a Salvadori e Tranfaglia - che disonoravano la libertà quando pretendevano che De Felice fosse bandito dall’editoria e dall’università italiana.
La storia, però, non è al di fuori e al di sopra della passione politica. Diversamente, avrebbe ragione quel Presidente della Camera (mi pare fosse l’onorevole Violante) che considerava la storia una specie di quarto grado di giudizio, dopo l’appello, e poi voleva negare a Sergio Romano la libertà di raccontare la sua storia di Edgardo Sogno come l’aveva sentita e sofferta.
Sono queste le ragioni che suggeriscono ai parlamentari dell’UDC di votare contro la proposta di non passaggio all’esame degli articoli. (Applausi dai Gruppi UDC, FI e AN).
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 10,59, è ripresa alle ore 11,21).
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Passiamo nuovamente alla votazione della proposta di non passaggio all’esame degli articoli.
Verifica del numero legale
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale). (Alcuni senatori dell’opposizione rilevano la presenza di luci accese tra i banchi della maggioranza che non corrispondono a senatori).
Invito gli assistenti parlamentari a rimuovere le tessere cui non corrispondono senatori, sia tra i banchi della maggioranza che tra i banchi dell’opposizione.
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta di non passare all’esame degli articoli, avanzata dal senatore Petrini.
Non è approvata.
Passiamo all’esame degli ordini del giorno, che si intendono illustrati e sui quali invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi.
PASTORE, f. f. relatore. Signor Presidente, per quanto riguarda l’ordine del giorno G1, se viene apportata una modifica alla premessa, il parere è favorevole.
L’ordine del giorno tende ad estendere a livello europeo il Giorno della libertà, però la premessa contraddice il disegno di legge in quanto afferma, nel primo capoverso, che l’istituzione di una giornata commemorativa deve avere una dimensione nell’ambito europeo e non in quello di un singolo Stato.
È chiaro che in questi termini esso non può essere accolto e pertanto propongo che nel primo capoverso della premessa si dica: "trova la sua naturale dimensione di realizzazione anche nell’ambito europeo", espungendo quindi le successive parole: "e non in quello di un singolo Stato membro".
Se così modificato, il parere sull’ordine del giorno è favorevole, altrimenti è contrario perché la premessa, ripeto, contrasta con l’impostazione del disegno di legge.
Per quanto riguarda gli altri ordini del giorno il parere è favorevole.
PRESIDENTE. Senatore Petrini, ascoltato l’intervento del relatore, intende accogliere la sua proposta?
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, il punto è fondamentale perché la discussione si svolge intorno a questo nodo. Noi riteniamo che questa celebrazione abbia un significato solo se trova una dimensione continentale; perde invece il suo significato e ne acquista uno non condivisibile, a nostro parere, qualora in luogo di questa dimensione continentale ne avesse una esclusivamente nazionale.
Pertanto, non possiamo accogliere la modifica proposta dal relatore. Anzi, avremmo addirittura voluto che questo ordine del giorno diventasse una mozione evitando quindi di passare alla votazione degli articoli e del disegno di legge. Manteniamo quindi la nostra proposta.
Colgo l’occasione per fare una dichiarazione di voto. Signor Presidente, dobbiamo ripercorrere - e penso sia utile - tutto ciò che è stato detto in sede di discussione generale e nella discussione che si è avuta sul non passaggio all’esame degli articoli. In particolare vorrei rispondere ai colleghi Pellicini e Compagna.
Il collega Pellicini ha illustrato con molta passione, con forza argomentativa e con rispetto per la controparte la sua posizione. Ricambio il rispetto, collega Pellicini, ma non posso condividere le sue argomentazioni e la sua passione. È assolutamente evidente che lei ha rappresentato una posizione ideologica specifica - come è legittimo - una sensibilità culturale specifica, ma nel fare questo si è in qualche modo tradito. Lei ha chiaramente espresso l’intento che ha questa legge, un intento che non possiamo condividere né come metodo né come merito.
Non possiamo assolutamente condividere che quest’Aula assuma il compito proprio dello storico, esprimendo valutazioni e giudizi storici e nel momento in cui, contro natura, quest’Aula fosse chiamata a questo compito non possiamo assolutamente condividere quella valutazione storica che lei ci ha rappresentato.
Non possiamo assolutamente ritenere che ci sia necessità nella storia del nostro Paese di riequilibrare il giudizio sui totalitarismi che per quanto ci riguarda non è mai stato squilibrato, dal momento che abbiamo sempre fermamente condannato il totalitarismo comunista. Lo abbiamo sempre fatto nella nostra storia politica, nella nostra cultura e nella nostra ideologia.
Non possiamo assolutamente ritenere che vi sia questo squilibrio dal momento che quella effettiva e maggiore attenzione, che ho sempre riconosciuta e torno a riconoscere, avutasi nei confronti del totalitarismo fascista deriva ineluttabilmente da un fatto conclamato, che nessuno può negare: di quel totalitarismo siamo stati protagonisti assoluti, senatore Pellicini; di quelle tragedie, di quegli orrori, di quelle violazioni dei diritti fondamentali di vita e di libertà dell’uomo il nostro popolo è stato - ahimè! - protagonista.
È assolutamente logico che vi sia allora nei confronti di quella esperienza una specifica attenzione, che vi sia addirittura un’ansia di riscatto nei confronti di quella esperienza. Quando voi, con merito del Gruppo di Alleanza Nazionale, avete condiviso (il senatore Pellicini ha usato il verbo "accettato", un’espressione impropria, brutta che non voglio impiegare) l’istituzione del "Giorno della Memoria" e avete votato per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sulle tragedie e gli eccidi del nazifascismo, avete condiviso la cultura, l’ideologia, il senso morale che è proprio del nostro popolo e, in ragione di questa condivisione, fate parte della comunità politica di questo Paese.
Il comunismo ha avuto anch’esso, senz’altro, elementi storici riprovevoli, ma faccio fatica a ritenere che gli eventi ricordati dal senatore Pellicini siano immediatamente ed esclusivamente riconducibili ad una ideologia totalitarista. Quelli erano epifenomeni della guerra di liberazione in Italia, ma al di là di quelle grandi tragedie, giustamente ricordate, della guerra civile, il comunismo è stato soltanto un’opzione politica, niente di più che un’opzione politica.
Per questo motivo, a livello nazionale, non possiamo mettere sullo stesso piano il totalitarismo fascista con quello comunista. Possiamo farlo a livello europeo: sul piano europeo questi totalitarismi, al di là delle distinzioni che la cultura storica del collega Monticone porta ad operare, sono senz’altro, in prima analisi e semplicisticamente, paragonabili, ed è giusto ricordarli anche perché questa celebrazione verrebbe a creare un’affermazione di unità sugli ideali della liberaldemocrazia che devono guidare il cammino della nuova Europa, dell’Europa unita, della Comunità europea.
In questa ottica, quella celebrazione ha significato, ma se la trasferiamo in una dimensione nazionale assume un altro significato, senatore Compagna: il significato improprio di voler correggere e riscrivere la storia di questo Paese. Non è nostro compito e non possiamo comunque condividere quella riscrittura.
Torno a ripetere quanto ho già detto, rivolgendo un monito all’Assemblea: corriamo il rischio di spaccare ideologicamente questo Paese. Non possiamo dimenticare che vi è stata un’odiosa polemica attorno alle celebrazioni del 25 aprile.
Quel giorno, nella piazza Cavalli di Piacenza, ero l’unico parlamentare presente, perché i tre parlamentari eletti nella provincia di Piacenza erano assenti a quella celebrazione, e non era un’assenza casuale. Quell’assenza avveniva sull’eco di una dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio che aveva deciso di riposarsi dalla sua incessante attività, dalla sua financo eccessiva attività, proprio quel giorno, il 25 aprile.
Colleghi, c’è il pericolo reale di dividere questo Paese in un’ideologia che oggi sarebbe veramente fuori dal tempo, in uno scontro ideologico tra una fazione antifascista e una fazione anticomunista, tra quella che scenderà in piazza il 25 aprile e quella che scenderà in piazza il 9 novembre. Sarebbe una tragedia, sarebbe l’esatto contrario di ciò che ci riproponiamo con disegni di legge di questo tipo che dovrebbero unire il nostro popolo attorno a valori costruttivi, a valori rivolti a traguardi futuri. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, Verdi-U e DS-U. Congratulazioni).
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, sarò brevissimo. Voterò contro questo ordine del giorno e contro gli altri due, ma per quanto riguarda l’ordine del giorno G1 lo faccio anche con un certo rammarico. Quest’ultimo, infatti, entra nella logica di una proposta che ho dichiarato non condivisibile e definito per certi versi cinica e strumentale.
CASTAGNETTI (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CASTAGNETTI (FI). Signor Presidente, intervengo per dichiarare il mio voto contrario a questo ordine del giorno, ancor più dopo le esplicite motivazione addotte dal collega Petrini. La vera valenza di questa proposta di legge stava nel fatto che la democrazia italiana del 2003 era in grado di non guardare indietro ma avanti nella comune adesione a valori di libertà e di ripugnanza verso i totalitarismi.
Questo era il punto di partenza e l’unico plausibile del disegno di legge in esame. Il provvedimento invece - il discorso del senatore Petrini infatti è integralmente rivolto all’indietro - si è trasformato in un tentativo di capire ancora una volta le ragioni delle differenze e delle colpe del passato, con un atteggiamento "giustificazionista" piuttosto approssimativo circa alcune colpe al fine di evidenziarne altre. Evidentemente, su queste basi non facciamo alcuna celebrazione, facciamo soltanto delle rivendicazioni, o meglio, ognuno fa le sue. Credo però che così facendo si vada contro lo spirito della proposta.
Non credo sia un atteggiamento comprensibile ancora oggi - anche guardando alla storia italiana e ai suoi travagli - affermare che hanno cominciato gli uni e non gli altri, che il fascismo è stato un fenomeno nazionale mentre il comunismo no e che quindi dobbiamo distinguere i due totalitarismi.
Mi permetto di dire che si tratta di affermazioni sbagliate anche dal punto di vista storico. La violenza che ha suscitato la cultura antidemocratica e illiberale del fascismo non è stata tanto superiore alle violenze scatenate dalla cultura antidemocratica e illiberale del comunismo in Italia. Mi sto riferendo all’Italia, non agli altri Paesi. In Italia i partigiani bianchi sono stati ammazzati dai partigiani rossi, non da qualche altra parte.
D’AMICO (Mar-DL-U). Gli ebrei! Gli ebrei, te li ricordi Castagnetti?
CASTAGNETTI (FI). Bravo. Sì, gli ebrei me li ricordo. Questa è la reazione! Sto parlando dei partigiani, come Pisani e altri, che dovrebbero essere suoi compagni, ammazzati dai partigiani rossi …
PRESIDENTE. Senatore Castagnetti, si rivolga alla Presidenza e il senatore D’Amico faccia il piacere di ascoltare.
CASTAGNETTI (FI). Vorrei che capiste il livello di faziosità che regna in quest’Aula. Questo onorevole collega, nel momento in cui commemoro i partigiani della sua parte politica; se la prende con me perché mi sarei dimenticato gli ebrei. Questo è il livello di faziosità col quale ci stiamo misurando.
Torno a dire che è difficile misurare chi ha più colpa del grado di intolleranza e di criminalità che si è sviluppato anche in Italia da parte di ideologie illiberali. Quello che vorremmo stabilire con questa festa è che ci lasciamo tutta quella storia dietro le spalle e che rispetto a due aberrazioni del Novecento, il nazismo e fascismo e il comunismo, ha vinto la liberaldemocrazia, che purtroppo è stata qualche volta minoritaria (ed io ho aderito a quei pensatori che sono stati minoritari in quel tempo) e che poi invece la storia ha fatto diventare, mi augurerei, plebiscitaria.
Oggi nessun comunista dice più che Turati è stato un traditore, ma un padre del socialismo; mi auguro che oggi nessuno, a destra, parli del nazionalismo patriottico, monarchico, moderato e liberale come di un’aberrazione, bensì come di un valore.
Se allora ha vinto la cultura liberaldemocratica, su questa base possiamo, nella comune adesione, celebrare questa festa; altrimenti sono recriminazioni - ahimé - come quelle che abbiamo dovute constatare qui.
Ritenevo - e quando sono intervenuto in discussione generale l’ho sostenuto - che questa fosse una "sincera adesione". Quando vedo al congresso dei DS la scritta "I care" so che è diversa da "Proletari di tutto il mondo unitevi!" (so leggere, anche l’inglese). Allora, se costoro affermano "I care", ritengo che abbiano abbracciato una cultura che ripugna l’esperienza comunista. Ma se ogni volta che chiedo loro di ripugnarla mi dicono che devono fare il distinguo, sono problemi loro. (Applausi dai Gruppi FI e AN).
La verità è che io sono in buona fede e credo sinceramente che in quest’Aula nessuno sia nostalgico dell’aberrazione comunista. Ritengo che in quest’Assemblea ognuno voglia un orizzonte di libertà e di democrazia che ci accomuna tutti. Se è questo il sentimento, la festa ha ragione di essere celebrata; altrimenti, ognuno tornerà alle sue recriminazioni.
Personalmente il 25 aprile - mi rivolgo al senatore Petrini che lo sa - ero sul palco delle celebrazioni; sono eletto nel centro-destra e celebro il 25 aprile perché è la mia festa: è la festa della libertà e la Casa delle libertà festeggia la libertà. Non ho dubbi su questo.
Debbo dire però che ho assistito al "comiziaccio" del sindaco diessino di Brescia, che si è fatto un po’ di propaganda elettorale a quattro lire e un soldo. Vogliamo concepire le feste in questo o in un altro modo? Oggi abbiamo un’occasione di riflessione per concepire le feste nel modo costruttivo che io continuo ad auspicare.
Per queste ragioni, per evitare la diminutio che è contenuta nell’ordine del giorno G1, voteremo contro. (Applausi dai Gruppi FI e AN).
PRESIDENTE. Colleghi, poiché è già capitato in sede di discussione della proposta di non passaggio agli articoli, desidero riportare le cose al loro ambito: abbiamo svolto una discussione generale; ci sarà ora l’esame dell’articolo unico e degli emendamenti, con le dichiarazioni di voto. Non occorre parlare di tutto il disegno di legge ad ogni passaggio, vi sono vari passaggi. In questo momento stiamo discutendo di un ordine del giorno; le valutazioni sul complesso del provvedimento verranno in una fase successiva.
PELLICINI (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, ringrazio innanzitutto il senatore Petrini delle molte citazioni e anche delle parole di apprezzamento che ha usato nei miei confronti, che ritengo non siano soltanto per me, ma debbano andare anche al Gruppo del quale faccio parte. Tuttavia, vorrei svolgere brevemente alcune considerazioni, rispondendo e prendendo nota di quanto egli ha detto.
Siamo di fronte ad un ordine del giorno che per me potrebbe anche andar bene se non si volesse trasferire il tutto soltanto in Europa. Se vi fosse stata la dizione "anche in Europa" mi sarebbe andato bene, perché il Muro di Berlino ha avuto ripercussioni in tutta l’Europa ed anche in Italia (colgo quindi le parole dei colleghi di sinistra e della Margherita, quando dicono che l’evento fu europeo).
Ciò detto, vorrei però svolgere due brevi considerazioni senza offendere alcuno o dare giudizi imponderati. Quando si cita il professor Fisichella e il professor De Felice - è stato citato dal senatore Monticone: "De Felice nell’opera omnia sul fascismo" - bisognerebbe ricordare che il professor Fisichella, in un libro molto chiaro, relativamente ai regimi nazisti, fascisti e sovietici distingue il regime fascista come "autoritario", mentre riferisce al nazismo e al comunismo la qualifica di "regimi totalitari". Questo è un primo punto che sottolineo per chiarezza, senza entrare nella spiegazione del perché.
Un secondo punto è che non si tratta di fare "la conta del passato", bensì di stabilire una data per il futuro, guardando a un’Europa diversa e pertanto mi pare che assolutamente si debba andare avanti sulla strada intrapresa.
Ritengo quindi che l’ordine del giorno G1, così come concepito, non possa essere accolto.
PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli ordini del giorno in esame.
VENTUCCI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, cedo la parola al senatore Petrini perché credo voglia proporre una riformulazione dell’ordine del giorno G1.
PRESIDENTE. Senatore Petrini, vuole aggiungere qualcosa?
PETRINI (Mar-DL-U). Sì, signor Presidente. Come proposta di mediazione, il primo punto della premessa potrebbe essere così riformulato: "che l’istituzione di una giornata commemorativa denominata "Giorno della libertà", in data 9 novembre, trova la sua naturale dimensione di realizzazione nell’ambito europeo". Si elimina quindi la parte della premessa: "e non in quello di un singolo Stato membro", ma rimane l’affermazione della naturale dimensione continentale.
PRESIDENTE. Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi su questa nuova formulazione dell’ordine del giorno G1.
PASTORE, f.f. relatore. In questi termini, il parere è favorevole.
VENTUCCI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo accoglie l’ordine del giorno G1 come riformulato, nonché gli ordini del giorno G2 e G3.
PRESIDENTE. Essendo stati accolti dal Governo, gli ordini del giorno G1 (testo 2), G2 e G3 non verranno posti in votazione.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’unico articolo del disegno di legge, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, aggiungo la firma agli emendamenti 1.101 e 1.102, che mi accingo ad illustrare. Essi tendono a ribadire il significato continentale, europeo, di questa celebrazione.
Non vorrei essere ridondante e noioso; però, debbo una spiegazione e una replica al senatore Castagnetti, il quale, probabilmente per effetto della diluizione della discussione generale di questo disegno di legge, non ha ben presente come si è articolata la stessa e quale ne è stata, quindi, la dinamica.
Egli astrae il mio intervento da questo contesto e afferma che il mio è un discorso fatto con la testa voltata indietro e teso, quindi, ad una rivisitazione storica del tutto indebita nel metodo, del tutto sbagliata nel merito e del tutto inopportuna, essendo questa celebrazione rivolta con lo sguardo al futuro dell’Europa.
Senatore Castagnetti, è davvero curioso che lei mi rimproveri questa posizione, perché è quella che ho assunto fin dal primo momento. E’ del tutto indebito riscrivere la storia in quest’Aula, è assolutamente non condivisibile una riscrittura del genere ed è invece auspicabile celebrare questa giornata con lo sguardo rivolto al futuro dell’Unione Europea, un futuro che tutti vogliamo sia alla luce di quella liberaldemocrazia che intendiamo affermare come valore primario.
E’ davvero curioso, ripeto, che il senatore Castagnetti abbia rivolto questa polemica verso di me, perché è esattamente quella che io ho rivolto verso i colleghi della maggioranza. E l’ho fatto perché questo disegno di legge non ha voluto assumere quella dimensione europea che avrebbe potuto avere, non è stato adottato come impegno qualificante per il semestre europeo di Presidenza italiana ed è invece stato accompagnato da relazioni che rivelavano l’intento, del tutto erroneo, sbagliato nel merito e nel metodo, di riscrivere una visione storica.
E’ esattamente la mia posizione, senatore Castagnetti, quella da lei rappresentata, ed è assurdo che la utilizzi in polemica con me, anche perché, nel momento in cui rimprovera all’opposizione certe nostalgie o certe ambiguità, dovrebbe ricordare che la mia parte politica, come e più della sua, ha sempre dato un giudizio fermamente negativo sul totalitarismo comunista. Non abbiamo nulla da rimproverarci dal punto di vista storico. Siamo sempre stati …
PRESIDENTE. Senatore Petrini, mi scusi se la interrompo, ma siamo in fase di illustrazione degli emendamenti da lei sottoscritti. Vuol fare anche un cenno agli emendamenti?
PETRINI (Mar-DL-U). In effetti, signor Presidente, sto spiegando perché questi emendamenti intendono riportare il discorso alla corretta dimensione europea e al corretto valore di celebrazione della liberaldemocrazia. Noi siamo sempre stati al servizio della liberaldemocrazia, senatore Castagnetti, e non dobbiamo prendere lezioni da parte di nessuno.
Ciò premesso, signor Presidente, interverrò nuovamente in sede di votazione degli emendamenti. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
PRESIDENTE. Colleghi, non intendo togliere la parola a nessuno, ma non intendo neppure che si utilizzino degli stratagemmi per fare duetti e parlarsi a distanza. Ci sono momenti in cui è possibile fare interventi politici, ma non utilizziamo fasi che non c’entrano nulla per interloquire gli uni con gli altri.
I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
PASTORE, f. f. relatore. Signor Presidente, esprimo parere contrario su tutti gli emendamenti presentati.
VENTUCCI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Governo esprime parere conforme a quello del relatore.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento 1.100.
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, dichiaro il voto favorevole mio e dei Comunisti Italiani all’emendamento 1.100 del collega Passigli.
Se mi è consentito, preannunzio fin d’ora il voto favorevole sugli emendamenti 1.1 e 1.2 e l’astensione sugli emendamenti 1.101, 1.3, 1.4 e 1.102.
D’AMICO (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
D’AMICO (Mar-DL-U). Signor Presidente, mi pare che l’emendamento del senatore Passigli abbia un merito molto chiaro: spiegare che in Italia il Giorno della libertà c’è. In Italia, un giorno nel quale questo Paese, con l’aiuto degli Alleati ma anche con le forze che esistevano in questo Paese, ha sconfitto l’autoritarismo e il totalitarismo c’è già nel calendario: il 25 aprile. Quello è il "Giorno della libertà degli italiani", il giorno in cui gli italiani riconquistano la libertà dopo l’ignobiltà di un regime che, partendo dal delitto Matteotti e passando per le leggi razziali, per finire all’ignobiltà della Repubblica sociale, ha macchiato la storia e l’onore del Paese.
Vogliamo cercare un’altra data per questo Paese? Certo, sappiamo che nel secolo scorso non c’è stato uno, bensì due totalitarismi; lo sappiamo benissimo e devo dire che sono tra coloro che, con tutti i liberali del mondo, quando è caduto il Muro di Berlino sono stati felici che finalmente alcune centinaia di migliaia di persone rompessero quell’argine e alcuni milioni di europei si ricongiungessero all’Europa. Ma allora, se vogliamo celebrare un altro giorno, l’Italia ha battuto il rischio del totalitarismo comunista in un’altra data, signori: quella del 18 aprile 1948; quella è la data in cui gli italiani, con il loro voto, battono la minaccia comunista.
NOCCO (FI). Ha ragione.
D’AMICO (Mar-DL-U). Non lo riconosco io che sono liberale; lo ha riconosciuto Enrico Berlinguer in un’intervista che io considero ancora oggi importante.
Pertanto, cosa vuol dire, oggi, celebrare in Italia la festa della libertà con riferimento alla caduta del Muro di Berlino? Si sta provando a fare un’azione politica - piuttosto vergognosa, io dico - tesa a equiparare in Italia i due pericoli e a dare il segnale che in Italia le due cose sono state la stessa cosa; questo mi ha fatto insorgere ascoltando le parole del senatore Castagnetti. (Commenti dal Gruppo AN).
Senatore Castagnetti, in Italia non è stato così! L’Italia ha conosciuto al Governo il totalitarismo fascista, che è stato esempio ignobile per l’Europa ed ha imposto al Paese sacrifici di sangue; in particolare, ad alcuni cittadini italiani (ecco perché sono insorto): quelli di religione ebraica. Ha imposto loro un sacrificio di sangue che, in ogni caso, è bene non dimenticare.
Allora, credo sia giusto che il Parlamento riaffermi che l’Italia ha già il suo "Giorno della libertà", il 25 aprile; quel giorno è un giorno di libertà per il mondo, non è solo una festa italiana. L’Italia ha saputo battere i totalitarismi, con la lotta di Resistenza prima e con il 18 aprile dopo, con un voto di grande saggezza. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).
CONTESTABILE (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CONTESTABILE (FI). Signor Presidente, cari colleghi, finora non ho partecipato alla discussione, ma a dire quello che penso mi spinge qualche osservazione che ho sentito fare dal senatore D’Amico.
Che noi si dia un giudizio politico e non storico è fuori discussione: la storia la fanno gli storici. La storia è di per sé revisionistica, per cui ben vengano i vari revisionismi quando sono criticamente fondati. Faurisson, il cosiddetto revisionista francese che nega l’Olocausto, deve essere condannato non perché è un revisionista, ma perché è un cattivo storico, perché l’Olocausto c’è stato. Ben vengano, perciò, i revisionismi, perché la critica storica non è altro che revisionismo.
Sulla differenza fra etica e politica e fra storia e politica, la lettura di Benedetto Croce ci ha convinti che etica è una cosa e politica altra cosa e che il mestiere di storico è diverso dal mestiere di politico; su questo, non ci piove.
Quello che riconduce il Giorno per la libertà alla data del 25 aprile è una visione che considero rispettabile, ma sbagliata: rispettabile, perché non c’è dubbio che il 25 aprile sia festa di libertà; sbagliata, perché non è l’unica festa di libertà. Il 25 aprile si è battuto il totalitarismo nazista e fascista, ma il Novecento, il secolo delle ideologie, ha visto purtroppo altri totalitarismi che per drammaticità e tragicità non sono secondi al totalitarismo nazista.
Se si facesse il conto dei morti - certo, mi è stato detto altre volte, la storia non è contabilità, ma milioni di morti sono milioni di morti - si scoprirebbe, ad esempio, che il totalitarismo comunista è stato il più drammatico, il più tragico, il più nefasto dei vari totalitarismi, tutti da condannare (ribadisco: tutti da condannare), che si sono affacciati sulla scena politica del secolo delle ideologie, il Novecento.
Mi è dispiaciuto il richiamo che il collega D’Amico ha fatto agli ebrei e all’ebraismo. Caro collega, io non ho votato (mi perdoni se glielo ricordo), al contrario di lei, per il ritorno in Italia dei Savoia; ho votato contro il rientro dei Savoia in Italia perché Casa Savoia firmò le leggi razziali. (Applausi della senatrice Toia e del senatore Cambursano).
Allora, se c’è coerenza, questa deve essere valutata nel tempo e nello spazio: non si può invocare ora l’Olocausto degli ebrei quando lo si è dimenticato nel momento in cui in quest’Aula si è votato per il rientro in Italia di Casa Savoia (Applausi del senatore Ruvolo).
Pertanto, credo di non dover prendere lezioni di filoebraismo o di filosemitismo. Vengo da una famiglia per tradizione filosionista; io stesso, per i miei studi, mi sono occupato molto di ebraismo medievale e credo di non dover ricevere lezioni al riguardo in quest’Aula.
Ben venga, allora, la data del 25 aprile; essa, però, non comprende la vittoria su tutti i totalitarismi. Perdonatemi, il concetto può essere brutto, ma bisogna riequilibrare le ideologie anche in questo Paese. Il Paese deve avere un segnale che si è battuto il nazismo e il fascismo - per fortuna - ma che - per fortuna - si è battuto anche il comunismo (Applausi dai Gruppi FI, LP e AN). Pertanto, l’istituzione di questa festa può essere un segnale - perdonatemi di nuovo il brutto concetto - per riequilibrare le ideologie nefaste. Badate bene: non sono d’accordo con coloro che affermano che tutte le ideologie sono nefaste. Alcune sì: il fascismo, dal mio punto di vista, è nefasto; il nazismo, molto nefasto; il comunismo, molto nefasto.
In conclusione, credo che l’istituzione di questa celebrazione sia un segnale al Paese. Finalmente si riequilibrino non nella storia, ma nelle coscienze degli italiani, i totalitarismi nefasti. (Applausi dai Gruppi FI, UDC, LP, e AN. Congratulazioni).
PELLICINI (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, non sono contrario all’emendamento 1.100 perché si richiama il 25 aprile "quale ricorrenza non solo della fine della guerra, e in Italia della liberazione dall’occupazione straniera"; su questo potrei anche essere d’accordo. Quando però l’emendamento del senatore Passigli recita: "ma anche come data simbolo della vittoria dei regimi democratici sulle dittature, sulle autocrazie, sui totalitarismi", vuol dire che lo stesso imbarca nei regimi democratici anche la Russia sovietica, dato che indubbiamente l’Unione Sovietica ebbe un forte ruolo nella vittoria contro le potenze dell’Asse.
Se però è storia, non si possono impunemente mettere sul medesimo piano gli angloamericani e il comunismo, che fino al 1989 ha mantenuto il Muro di Berlino. Per questo motivo, sono contrario all’emendamento 1.100.
Gli altri emendamenti, in definitiva, vogliono fissare il Giorno della libertà in una data connessa a quella del 25 aprile. In particolare, l’emendamento 1.1 intende istituire il Giorno della libertà nella data del 2 agosto, in ricordo dell’abbandono del campo di concentramento di Fossoli, evento del 1945. L’emendamento 1.2 chiede che il Giorno della libertà sia fissato nella data in cui le truppe alleate entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz; anche questo è un episodio del 1945. Altri emendamenti tendono a collocare in quello stesso periodo il Giorno della libertà.
Ribadisco, una volta per tutte, che quegli avvenimenti del 1945 sono ormai consegnati alla storia, come lo sono la caduta dei regimi nazista e fascista, con le differenze che peraltro esistevano tra i due totalitarismi. Infatti, è proprio il caso di dire che non è possibile fare di tutta un’erba un fascio.
La data che vogliamo celebrare intende ricordare la liberazione dell’Europa dal tallone sovietico nel 1989. E’ da quell’anno che tutti i Paesi dell’Est sono liberi, è da quella data storica che l’Europa si è riunificata, tanto che molti di quei Paesi stanno per entrare nell’Unione Europea, che sarà a 25 e non più a 15.
Condivido in tal senso le parole del senatore Petrini: si tratta di una questione di valenza europea. Siccome però, vivaddio, il nostro è uno Stato inserito a pieno titolo nell’Europa, non vedo perché ciò che può essere celebrato in Europa non debba essere celebrato in Italia.
Se poi ritenete che dietro il provvedimento in esame ci sia l’idea segreta di discutere anche dei misfatti compiuti dalla sinistra, come ha ben detto il collega senatore Contestabile, posso sostenere che ciò in parte è vero, ma, soprattutto, comincio a temere che abbiate una terribile coda di paglia.
Il problema deve essere affrontato pienamente da tutti, se c’è la volontà di farlo. Ciascuno si assuma la responsabilità storica che appartiene ai propri Gruppi di origine. Questo è il discorso da fare, superando tutto il resto.
Per questo, signor Presidente, sono contrario - ripeto - all’emendamento 1.100, come a tutti gli altri emendamenti presentati.
MACONI (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MACONI (DS-U). Signor Presidente, mi sembra che la discussione fin qui svolta - mi riferisco, in particolare, all’intervento del senatore Contestabile - abbia svelato fino in fondo la reale intenzione che si cela dietro la discussione e l’approvazione del disegno di legge in esame.
La volontà non è quella di discutere l’evoluzione della storia e la natura dei regimi totalitari che hanno imperversato in Europa e nemmeno quella di riscrivere la storia o di reinterpretarla, bensì quella di usare la storia per piegarla ai fini politici attuali. Credo che questo sia all’origine dell’inaccettabilità del disegno di legge.
Noi abbiamo proposto un’alternativa: quella di avviare una discussione in Europa; peraltro, sta per iniziare anche il semestre italiano di Presidenza europea. Quella potrebbe essere la strada.
In questo caso, invece, si continua a perseguire un altro obiettivo, che non è quello di consegnare al Paese simboli in cui possa identificarsi. Il 25 aprile non è la data in cui si celebra la festa di una parte. La Liberazione dell’Italia è una festa in cui tutti i cittadini si riconoscono, perché segna un evento storico. Essa corrisponde alla cacciata del nazismo e del fascismo dall’Italia, ma rappresenta anche l’identificazione del Paese nella creazione di un regime di libertà e di democrazia.
Quello che in realtà si vuole fare in quest’Aula è riproporre un processo di revisionismo storico, confuso dal punto di vista ideologico, che tende a nascondere le colpe e a mettere tutto sullo stesso piano, senza vedere le differenze, senza individuare le responsabilità. Tutto questo per perseguire ancora l’obiettivo di una divisione all’interno del Paese.
Per questi motivi, riteniamo che il disegno di legge in esame sia inaccettabile e debba essere rigettato con forza. Pertanto, voteremo a favore dell’emendamento 1.100. (Applausi dal Gruppo DS-U).
VITALI (DS-U). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VITALI (DS-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
Verifica del numero legale
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 12,12 , è ripresa alle ore 12,32).
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Procediamo nuovamente alla votazione dell’emendamento 1.100.
Verifica del numero legale
VITALI (DS-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.
SENATO DELLA REPUBBLICA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾ XIV LEGISLATURA ¾¾¾¾¾¾¾¾¾
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457a SEDUTA |
PUBBLICA |
RESOCONTO STENOGRAFICO |
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GIOVEDI’ 31 LUGLIO 2003 (Pomeridiana) |
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Presidenza del presidente PERA, indi del vice presidente CALDEROLI
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Seguito della discussione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1383.
Riprendiamo l’esame dell’unico articolo del disegno di legge.
Ricordo che nella seduta antimeridiana del 26 giugno ha avuto inizio la votazione degli emendamenti.
Passiamo alla votazione dell’emendamento 1.100.
Verifica del numero legale
TURRONI (Verdi-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento 1.100, presentato dal senatore Passigli.
Non è approvato.
Metto ai voti l’emendamento 1.1, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l’emendamento 1.2, presentato dal senatore Turroni e da altri senatori.
Non è approvato.
Metto ai voti l’emendamento 1.101, presentato dal senatore Bassanini e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell’emendamento 1.3.
Verifica del numero legale
BEDIN (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento 1.3, presentato dai senatori Malabarba e Sodano Tommaso.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell’emendamento 1.4.
Verifica del numero legale
BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, vorrei pregarla di invitare cortesemente i colleghi a stare seduti, perché sono attivi molti dispositivi di votazione senza senatori. Chiediamo comunque la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato è in numero legale.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1383
PRESIDENTE. Metto ai voti l’emendamento 1.4, presentato dai senatori Malabarba e Sodano Tommaso.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione dell’emendamento 1.102.
BEDIN (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta non risulta appoggiata).
Metto ai voti l’emendamento 1.102, presentato dal senatore Vitali e da altri senatori.
Non è approvato.
Passiamo alla votazione finale.
MARINO (Misto-Com). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, a nome dei Comunisti Italiani preannuncio il voto contrario ad una proposta che riteniamo demagogica, di taglio propagandistico e quanto meno stravagante.
Si vuole dedicare un giorno dell’anno in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino quale simbolo della liberazione dei popoli, quando sono molti i muri da abbattere in tante vaste aree del mondo per affermare i princìpi di fratellanza, di libertà ed eguaglianza.
Questa proposta costituisce - a nostro avviso - una violenza contro la storia. È una proposta anche cinica per la scelta dei tempi. La discussione generale del provvedimento si è svolta mentre infuriava una guerra preventiva, assolutamente illegittima e neocolonialista, fatta solo per il dominio delle fonti energetiche, mentre piovevano bombe sulle popolazioni civili, sui mercatini e persino sugli ospedali pediatrici.
In quei giorni leggevamo sulla stampa che i detenuti a Guantanamo, legati nelle gabbie, senza processo, subivano l’umiliazione di veder gettare via il loro Corano, il loro libro delle preghiere, unico conforto nel bugliolo.
Concludiamo questa discussione mentre è in corso un’occupazione militare che segue un’aggressione illegittima e immorale. È stato più volte evocato, nel corso della discussione generale, il "Libro nero del comunismo". Sono stati evocati i crimini del comunismo, i venti milioni di vittime che avrebbe fatto solo in Russia. Credo che la deformazione e la falsificazione della storia spesso passino attraverso l’omologazione dei fenomeni storici o attraverso l’omissione dei fatti storici.
Signor Presidente, mi consenta di citare un altro libro, "Le livre noir du capitalisme" ("Il libro nero del capitalismo"), edito in Francia nel 1998, con gli scritti di Jean Suret-Canale, Jean Ziegler e di storici, sociologi e giornalisti. Esso contiene un’appendice, un quadro sinottico che riepiloga i massacri e le guerre del ventesimo secolo. Spero che i colleghi capiscano quanto siano per me necessari questi dieci minuti di cui dispongo, certamente insufficienti per riassumere un secolo di storia di lotte per la difesa e l’affermazione dei valori della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Signor Presidente, vorrei che almeno l’appendice di due pagine potesse essere allegata al mio intervento, per ragioni di brevità.
Signor Presidente, si tratta di una sinossi che va dalla tratta dei neri ridotti in schiavitù al genocidio dei Pellerossa, degli Inca, dei Maya, degli Amerindi al colonialismo più spietato, alle repressioni antisindacali, ai grandi macelli delle due guerre mondiali, alle guerre dell’oppio in Cina, al Vietnam, all’Iran di Mussadek, all’Algeria sotto la colonizzazione francese, agli interventi americani in America latina, alle vittime della globalizzazione senza regole per fame e sete, ai crimini di oggi in nome del petrolio (vedi l’Iraq). Sarebbe interessante leggere il contributo di Subhi Toma, esiliato sin dal 1971 in Francia, quando parla dell’Iraq vittima del petrolio.
Ho ascoltato nella discussione generale gli interventi che, con toni enfatici, ricordavano i venti milioni di morti causati solo in Russia dal regime comunista.
Ho apprezzato anche le parole del senatore Novi, che credo abbia fatto uno sforzo di comprensione e di sistemazione delle grandi svolte della storia. Certamente è stato sconfitto il secondo assalto al cielo dopo la Comune di Parigi, ma che cosa c’era prima della Rivoluzione russa? Le anime morte, i contadini ridotti a pertinenze della terra e, anche dopo la riforma agraria - difendo il mio pensiero mentre voi andate avanti per la vostra strada - la servitù della gleba, e subito dopo la rivoluzione, così come in Francia, ci fu l’intervento di tutte le potenze, compresa l’Italia che inviò un contingente a Vladivostok.
La guerra civile si protrasse fino al 1929, con fame, carestia e vittime. Quel 1917 ha costituito un grande esperimento sociale, un tentativo di abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, per assicurare la piena occupazione, l’uguaglianza reale dei diritti sul piano sostanziale, per costruire l’uomo nuovo. Le vere riforme sociali sono avvenute solo dopo il 1917; prima di quella data, le questioni sociali si risolvevano con le cannonate di Bava Beccaris.
Il contributo dell’URSS alla vittoria contro il nazifascismo è stato completamente dimenticato, insieme all’epopea di Stalingrado. Collega Pellicini, lei parla di 20 milioni di morti vittime del comunismo. Io ricordo i 20 e più milioni di soldati sovietici morti per difendere anche la nostra libertà… (Applausi dal Gruppo Misto-Com)… e i 50 milioni di feriti e di invalidi risultato di quella guerra. Sostenete che si è trattato, nel caso degli Stati socialisti, di regimi mostruosi che hanno oppresso i popoli, ma non è volato uno schiaffo alla fine di quei regimi! (Proteste dai Gruppi AN e FI).
PRESIDENTE. Per favore, colleghi, oltre tutto stiamo discutendo un disegno di legge sulla libertà, e il senatore Marino ha la libertà di parlare.
MARINO (Misto-Com). Dobbiamo essere tutti contro il totalitarismo, giorno per giorno. L’educazione alla democrazia deve essere un fatto quotidiano. E in questo senso abbiamo il dovere di costruire, dopo l’Europa monetaria, l’Europa politica: una Europa di pace, per evitare che si ripetano i massacri che ci sono stati sul suolo europeo! (Proteste dai Gruppi AN e FI). Dobbiamo costruire un’Europa che sia un modello di democrazia sociale, un riferimento anche per le masse povere.
Ecco perché diciamo no, signor Presidente, ad una proposta di legge che stride con i tempi bui che stiamo vivendo, una proposta strumentale, demagogica, che cela, anche male, una goffa propaganda. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, Verdi-U, Mar-DL-U e DS-U).
MALABARBA (Misto-RC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, i miei personali orientamenti culturali e politici, che sono distanti anni luce da quelli che sono stati i regimi illiberali dell’Est europeo (per essere più precisi, la mia corrente storica è stata vittima delle persecuzioni staliniane) e l’orientamento del mio partito (che sull’antistalinismo ha posto le basi della rifondazione comunista) non hanno tuttavia nulla a che vedere con le proposte che sono state avanzate per l’istituzione del Giorno della libertà.
Si tratta di una proposta che costituisce essenzialmente un elemento di propaganda, e che credo non faccia assolutamente giustizia di quello che è avvenuto nella storia del secolo scorso. È un’operazione che noi rifiutiamo completamente e, per le argomentazioni che sono state utilizzate soprattutto nel corso del dibattito nei mesi scorsi, devo dire che vi è anche una certa ignoranza rispetto agli avvenimenti, che non ci consentirà di fare di passi in avanti verso una democrazia compiuta. Infatti, se non si analizza bene la storia e il nostro passato, sicuramente non ci saranno possibilità di migliorare il nostro futuro.
Dichiaro, quindi, la nostra più ferma contrarietà su questo provvedimento. Se diventerà legge, noi ci impegneremo, in una fase politica successiva, a modificare questa normativa, perché non è possibile avere un atteggiamento così unilaterale rispetto ai fatti storici.
L’abbiamo già detto: abbiamo la nostra festa, che è quella del 25 aprile, ed è la festa della libertà di tutti. Noi avremmo potuto forse affrontare questo tema in una dimensione europea, ma non si è voluto fare questo e si è compiuta una forzatura. Non ci stiamo: voteremo contro! (Applausi del Gruppo Misto-RC e DS-U).
TURRONI (Verdi-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, il clamore che ha accompagnato la fase finale dell’esame di questo provvedimento ci conferma nella nostra contrarietà. Abbiamo manifestato contrarietà a questo disegno di legge fin dalla discussione generale. Un disegno di legge voluto e proposto per alimentare il conflitto, per dividere, per stabilire in maniera piuttosto anacronistica dove stanno i buoni e dove gli altri, prevedendo però di collocare dalla parte dei giusti coloro contro i quali si è dovuto combattere per conquistare la libertà e l’indipendenza nel nostro Paese.
Noi avevamo presentato degli emendamenti cercando di individuare altre date che fossero capaci di riconoscere momenti molto significativi nel secolo che è appena trascorso, legati alla fine del conflitto più grave che l’Europa e il mondo intero hanno dovuto sopportare, che ha visto lo sterminio all’interno dei campi di concentramento, che ha visto migliaia di italiani deportati, rinchiusi all’interno di un campo che si trova a Fossoli e portati nei medesimi campi di concentramento per mano non solo delle truppe naziste, ma anche di coloro che quelle truppe naziste aiutavano e sostenevano, visto che stavano dalla stessa parte.
Abbiamo proposto quindi che, invece del 9 ottobre, la data del giorno della libertà fosse quella in cui il campo di Fossoli venne preso da don Zeno Saltini per costituirvi la comunità Nomadelfia e per accogliervi tutti i giovani che erano stati privati delle loro famiglie da quella guerra ignobile alla quale era stato costretto il nostro Paese dal fascismo.
Così come un’altra data significativa poteva essere quella in cui l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz, liberando i pochi che erano sopravvissuti allo sterminio, e fra quei pochi non solo gli ebrei, perché lo sterminio colpì - voglio ricordarlo - i comunisti, gli omosessuali, gli zingari. Bisogna che le ricordiamo queste cose, quando si pretende di sostenere la storia a senso unico.
Nel nostro Paese (e lo possiamo dire noi, che non abbiamo bandiere rosse da difendere) la libertà è stata riconquistata anche grazie al lavoro, all’impegno di tanti che, riconoscendosi appunto in quelle bandiere rosse, seppero, insieme con tutti gli altri partigiani e con quelle truppe che combatterono a Cefalonia e in tanti altri posti, ridare dignità al nostro Paese contro il regime fascista che aveva negato la libertà ai suoi cittadini.
Queste cose sono ricordate già con una data, quella del 25 luglio…
CASTAGNETTI (FI). Bravo!
TURRONI (Verdi-U). Scusate, del 25 aprile. Ma è anche una data importante quella del 25 luglio, per chi la ricorda: è quella della caduta dell’altro cavaliere; mi auguro che ce ne sia un’altra che celebri la caduta del successivo cavaliere. (Commenti dei senatori Castagnetti e Guzzanti).
Quindi, dicevo, c’era già una data, il 25 aprile: era già sufficiente quella, non era necessario andarne a ricercare con faziosità un’altra, così come si sta facendo.
Noi, dicevo, non abbiamo nulla da spartire con altri passati e siamo fieri della nostra collocazione politica; non accettiamo però queste rivisitazioni storiche fatte - lo ripeto - per dividere, per riscrivere la storia in altro modo, collocando dalla parte dei giusti coloro che si macchiarono di crimini contro la libertà di tutti. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U, Misto-Com e dei senatori Sodano Tommaso e Peterlini).
PETRINI (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PETRINI (Mar-DL-U). Signor Presidente, abbiamo già avuto modo di esprimere la nostra ferma contrarietà su questo provvedimento. Noi non neghiamo certo che la caduta del muro di Berlino sia stata un evento storico di grande rilevanza, anzi un evento epocale. Riteniamo però che questo evento sia estraneo alla storia del nostro Paese e presente invece chiaramente nella storia del nostro Continente.
E’ un evento che ha una dimensione europea, al quale il nostro Paese partecipa per quello che può essere il futuro dell’unione continentale, ma in sé e per sé esso non significa e non può significare per l’Italia la conquista della libertà, perché l’Italia non ha mai avuto una dittatura comunista e la sua libertà la conquistò nell’aprile del 1948, quando forze democratiche sconfissero le forze dell’allora Partito Comunista Italiano, stabilendo per la nostra Nazione uno sviluppo liberal-democratico.
Questa è la nostra storia e non può essere mistificata. D’altra parte, è assolutamente evidente nelle intenzioni dei proponenti l’intento di dare a questo disegno di legge un significato storiografico. Si vuole con questo disegno di legge riscrivere la storia del nostro Paese, correggendo quelli che si dichiarano essere degli scompensi di valutazione.
Tutto ciò è inaccettabile in primo luogo perché una legge non può avere questo intento. La storia deve essere scritta dagli storici, che sono tali proprio perché si astraggono dalla contingenza presente per leggere il passato con la necessaria neutralità. Quindi, questo intento è assolutamente improprio; in secondo luogo, è sbagliato perché vuole correggere uno squilibrio che non è tale, non esiste.
E’ assolutamente vero che l’attenzione che la nostra storia ha avuto nei confronti della dittatura fascista è stata di gran lunga superiore all’attenzione che ha avuto di fronte alla storia delle dittature comuniste, ma questo ha una ragione semplice ed inconfutabile: la dittatura fascista appartiene alla nostra storia, le dittature comuniste no.
Allora, è assolutamente logico che noi ci si sia concentrati, nella nostra valutazione storica, soprattutto su quella che purtroppo è una colpa, una responsabilità che portiamo nel nostro passato e della quale non dobbiamo mai dimenticarci e di cui abbiamo il dovere di emendarci.
D’altra parte, onorevoli colleghi, come si suol dire, il diavolo fa le pentole ma non i coperti. Allora, il 9 novembre, che voi volete sia il "Giorno della libertà" in ricordo della caduta del Muro di Berlino, ha nella nostra storia nazionale un significato assolutamente diverso, perché il 9 novembre 1926 in questo Paese il fascismo rivelò la sua vera natura dittatoriale, spogliandosi di quelle parvenze democratiche che fino allora aveva mantenuto.
E’ il 5 novembre 1926 che si riunisce il Consiglio dei ministri che vara dei provvedimenti amministrativi, presentati dal ministro dell’interno Federzoni, che proclamano la fine della libertà di associazione politica e della libertà di stampa. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U). Quei provvedimenti amministrativi sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 novembre 1926 ed entrano in vigore immediatamente, all’ora zero del giorno 9 novembre 1926. Quel giorno viene abolita la democrazia, la libertà di espressione in questo Paese. (Applausi del Gruppo Mar-DL-U).
E quel giorno, il 9 novembre 1926, viene convocato il Parlamento nazionale per discutere provvedimenti eccezionali per la difesa dello Stato. Quei provvedimenti eccezionali per la difesa dello Stato istituiscono i tribunali speciali; si reintroduce nel nostro ordinamento giudiziario la pena di morte: 9 novembre 1926. Ma c’è di più: quel giorno, in modo proditorio, un deputato fascista, Turati, naturalmente soltanto omonimo del socialista, presenta un ordine del giorno che non è all’ordine del giorno, inserito - ripeto in modo proditorio - nell’ordine del giorno, che stabilisce la decadenza dei 124 parlamenti aventiniani: 9 novembre 1926.
Il 9 novembre 1926 quell’ordine del giorno assolutamente illegale cancella l’opposizione politica da questo Paese. I 17 deputati comunisti che non appartenevano agli aventiniani sono stati nel frattempo arrestati: il 9 novembre 1926, colleghi.
Ma questa legge è sbagliata soprattutto perché introduce una spaccatura nel nostro Paese. Questa legge segna la comparsa di una spaccatura in due fazioni, quella antifascista e quella anticomunista. Quella antifascista festeggerà il 25 aprile, quella anticomunista festeggerà il 9 novembre. È un passo indietro per chi vorrebbe che la democrazia della rappresentanza fosse il confronto franco, sereno e razionale tra le diverse proposte politiche.
Questa legge, purtroppo, va ben al di là del significato che voi le attribuite, perché stabilisce che la politica in questo Paese segna la spaccatura fra due posizioni ideologiche. Questa legge vuole fidelizzare il voto, vuole significare che il voto è un’appartenenza e non una scelta. Si va esattamente contro quello che è un corretto cammino di democrazia liberal-democratica. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Misto-RC e dei senatori Pagliarulo e De Paoli).
PELLICINI (AN). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PELLICINI (AN). Signor Presidente, vorrei ricordare ai colleghi della sinistra e del centro-sinistra quello che in termini molto pacati abbiamo detto altre volte: questa legge non vuole cancellare la storia, non vuole cancellare le responsabilità pregresse del fascismo, non vuole cancellare assolutamente le responsabilità del nazismo e della dittatura nazista.
Questa legge mira semplicemente a proseguire negli altri quarantaquattro anni successivi. Vedete: Fossoli, il 25 aprile, la liberazione di Trieste, la Risiera di San Sabba sono momenti che segnano drammaticamente la fine e la sconfitta del fascismo da una parte e del nazismo dall’altra. Quella storia non la cancella nessuno perché è in tutti i libri, in tutti i film, in tutte le opere anche d’arte e in tutta la tragedia di un popolo che ha sofferto.
Tuttavia, non è che le cose si siano fermate al 25 aprile. Non è un caso se la data della caduta del Muro di Berlino è il 9 novembre del 1989, cioè quarantaquattro anni dopo la fine della guerra: in quell’occasione è finita l’occupazione sovietica di mezza Europa, quell’Europa che oggi ritorna alla libertà e che sta riunendosi.
Quell’Europa segna alcune date che devono passare alla storia, queste sì, che non hanno nulla a che vedere con le altre: Potsdam, rivolta di Berlino, Budapest (1956); Praga (1968); Jan Palach (1969); e le centinaia di morti del Muro di Berlino e sul confine orientale del nostro Paese; la tragedia delle foibe e poi i morti ammazzati tra il 1945 e il 1948. Anche quelli sono morti che vanno conteggiati, amici, non per limitare le responsabilità altrui, ma per affidare la storia alla storia.
Non è possibile che i nostri ragazzi non conoscano la tragedia cominciata nel 1921, forse nel 1914 con la Prima guerra mondiale, e proseguita anche durante il fascismo, che peraltro - signori - ebbe responsabilità quantitative un tantino minori rispetto al "collega" comunismo.
Non è possibile ignorare che cosa è stata la Germania nazista se si prescinde dalla Pace di Versailles; non è possibile separare la storia d’Italia. Caro senatore Petrini, io la rispetto, ma il comunismo è stato una costola del fascismo e viceversa (dal Congresso di Forlì al Congresso di Livorno).
È vero, nel 1945 Togliatti cercò di recuperare i combattenti della Repubblica sociale facendo appello ai fascisti di sinistra. Amici, dobbiamo avere tutti il coraggio di fare un riconoscimento di paternità, ancorché qualche volta si tratta di figli mostri, se volete metterla su questo piano.
Non è stato e non è un tentativo di cancellare la storia, ma di scriverla tutta e questo tentativo la politica lo deve fare. È il tentativo di ricordare questo sacrificio. Pertanto, viva l’Europa libera e riunita! Viva l’abbattimento del Muro di Berlino! (Applausi dai Gruppi AN, FI e LP).
BRUTTI Massimo (DS-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUTTI Massimo (DS-U). Signor Presidente, cari colleghi, confesso di non riuscire ad adattarmi ad un costume politico-parlamentare con il quale si pretende, in interventi di 10 minuti cadauno, di scrivere la storia, proporre prospettive storiografiche, dare indicazioni sui giudizi che dovrebbero essere prevalenti, comunemente accettati, anzi, alla base dei programmi di studio su eventi e vicende della storia contemporanea a noi vicina che formano e devono formare oggetto di analisi scientifica e di discussione fondata su argomentazioni motivate.
Quindi, se qualcuno pensa di fare la storia in questa sede a colpi di date che si contrappongono le une alle altre, sbaglia. La storia, in particolare quella contemporanea del nostro Paese, merita rispetto; meritano rispetto le motivazioni ideali di tutti i soggetti che in essa hanno agito e il rispetto deve tradursi in sapere critico.
Se c’è un’indicazione che le forze politiche, quali portatrici di progetti culturali, possono dare al Paese su questi temi è la seguente: studiate, studiate, studiate; leggete i documenti, ripensate la storia alle nostre spalle, perché attraverso il ripensamento di questa si arricchisce la possibilità di comprensione del presente e quindi anche la possibilità di umanizzare i nostri rapporti e la società nella quale viviamo.
La norma oggi in discussione è veramente molto asciutta, perché si limita ad indicare un evento simbolo e attorno a questo definisce una sorta di festività nazionale.
Vorrei allora dire ai colleghi che hanno proposto questo disegno di legge e a quelli che lo hanno commentato in modo così entusiasticamente adesivo: parliamoci chiaro, qual è la sostanza? Qui si vuole istituire una festività nuova, diversa dalle festività della Repubblica e nella quale si sottintende una scelta ideale: una condanna nei confronti di regimi che avevano simboli rassomiglianti e vicini a quelli di uno dei soggetti politici che hanno fondato la Costituzione e posto le basi, quasi il recinto ideale, entro le quali si è sviluppata la storia della Repubblica fino ai giorni nostri.
C’è un elemento di contestazione, insomma, alla base della scelta di questa data come festività nazionale nei confronti di un soggetto politico che oggi non esiste più ma che è stato parte attiva essenziale della storia costituzionale e politica del nostro Paese.
Ho cercato poi di comprendere quale fosse il senso anche concreto dell’istituzione di questa nuova festività. Proprio perché la norma è così secca e non dice molto - salvo i suoi sottintesi - ho letto il testo della relazione che accompagna questo disegno di legge. Francamente, non riesco a condividere ed a considerare benevolmente le idee di fondo che ispirano la proposta e che sono espresse anche nella relazione.
In essa è riportato che: "Il recente rilancio di attenzione sulle vicende sovietiche suscitate con contorno di polemiche dalla pubblicazione de "Il libro nero del comunismo", induce (…) ad un riesame dei fatti riguardanti fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, onde identificare con metodi comparativi uno sbocco chiarificatore da evidenziare, sia pure simbolicamente, in via legislativa".
L’incerto italiano di questa relazione non nasconde il fatto che vi è alla base del disegno di legge una specie di visione giudiziaria della storia, per cui bisogna evidenziare, attraverso una festività nazionale, la condanna nei confronti di una pagina della storia dell’Europa.
Ho pensato che se vi fosse stato bisogno di dare vita ad una festa, ad un giorno simbolo dell’unità d’Europa, e dell’unità d’Europa nella libertà, forse sarebbe stato meglio scegliere questa data insieme, costruire insieme le motivazioni di una tale scelta e non fermarsi ad una visione giudiziaria e rivendicativa della storia. La storia si fa misurandone tutti gli aspetti: ancora una volta non con i comizi o con i discorsi parlamentari, ma con la ricerca e lo studio dei documenti.
C’è un elemento che mi rassicura: vale a dire che non "si fa festa"; questa festività nazionale non serve a far festa, a non lavorare, perché è esclusivamente simbolica. Tuttavia, il riferimento, che sembra così fondamentale nell’ispirazione che è alla base della legge, a "Il libro nero del comunismo", un’opera cara al Presidente del Consiglio, non mi rassicura sulle intenzioni e soprattutto su un aspetto del disegno di legge, che è l’unico concreto, che riguarda il fatto che i temi indicati nella relazione e quindi anche quelli di quel discutibile pamphlet che è "Il libro nero sul comunismo" debbano formare obbligatoriamente oggetto dei programmi scolastici, perché a questo poi il provvedimento si riferisce quando parla di celebrazioni, di studio, di seminari o quant’altro.
A parte il fatto che questo libro è una mediocre imitazione di altre opere, che sarebbe più opportuno leggere, ristampare e rimettere in circolazione, che sono i libri dell’anticomunismo degli anni Cinquanta, libri importanti. Tra l’altro, in essi si conduceva una battaglia anticomunista che si svolgeva quando il comunismo c’era e non retrospettivamente, quando il problema serve soltanto ad agitare spettri per la lotta politica interna al Paese; si tratta, infatti, solo di agitare spettri.
Sarebbe meglio, allora, ristampare, leggere e studiare il libro di Kravchenko, "Ho scelto la libertà" oppure "Il dio che ha fallito": ricordate questi scritti dell’anticomunismo storico? Erano scritti seri, impegnati nella polemica contro il comunismo, quando questo era potente.
Mi avvio a concludere consigliando un altro libro che potrebbe essere utilmente studiato: mi riferisco a quello di Renato Mieli su Togliatti; un libro dimenticato, ma di acre anticomunismo. Oppure, per riferirmi ad un giornalista italiano, che già ho avuto occasione di citare in un altro nostro dibattito, che era un excomunista trotzkista, Guglielmo Peirce, che scrisse un libro come "Pietà per i nostri carnefici" od anche "Libertà provvisoria"; in quest’ultimo libro si sosteneva, in sostanza, che finché c’era il PCI in Italia vi era una specie di libertà provvisoria per il Paese.
Questi autori avevano il coraggio delle proprie idee, scrivevano libri anche documentati, di battaglia. Oggi "Il libro nero del comunismo", che serve ad arricchire la casa editrice del Presidente del Consiglio, distribuito gratuitamente ai congressi di partito, è una pallida imitazione, non è storiografia, non è più polemica politica. No.
Guardiamo al di là di tutto questo, cari colleghi. Pensate di stabilire la verità storica per legge? Di imporre ai programmi scolastici la trattazione di certi argomenti piuttosto che di altri o l’adozione di certi libri piuttosto che altri?
Su questa proposta non possiamo essere d’accordo, anche per il fatto che essa è motivata così debolmente, con una relazione approssimativa non solo nella lingua italiana ma anche nei concetti fondamentali che la percorrono.
Non crediamo quindi che si tratti di una cosa seria, non crediamo alla "storiografia della marmellata" in cui tutto è uguale a tutto. Anche lo scritto di Hannah Arendt sul totalitarismo va collocato in un contesto culturale e storico nel quale si avvertiva la necessità, per motivi politici, di unire in una sola ed unica categoria forme storiche così diverse come il nazismo, il fascismo, il comunismo.
Abbiamo ancora bisogno di queste semplificazioni? No, abbiamo bisogno di studiare le individualità delle vicende storiche e per fare questo la proposta che qui ci viene avanzata non aiuta affatto. Potrà essere uno strumento di polemica politica, usatela come tale, ma la comprensione della storia è altro, è anche - mi permetto di dirlo ai colleghi - la formazione di una coscienza nazionale, è altro da questi mediocri tentativi di strumentalizzazione politica e di divisione.(Applausi dai Gruppi DS-U e Verdi-U).
MALAN (FI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALAN (FI). Signor Presidente, qualche giorno prima dello scorso 25 aprile, il presidente della Repubblica Ciampi ha esortato a vivere quella festa come momento di condivisione dei comuni valori di libertà e democrazia. Qualcuno ha ascoltato l’appello, qualcuno invece, ancora una volta, ha approfittato dell’occasione per fare comizi contro gli avversari politici.
Ebbene, nell’esprimere il voto a favore da parte del Gruppo di Forza Italia su questo provvedimento, che abbiamo fortemente voluto e sostenuto, esprimo l’auspicio - che per noi è un impegno - che nessuno usi più il 25 aprile e mai usi il 9 novembre per dividere gli italiani, bensì per affermare i valori di libertà e di democrazia che uniscono gli italiani. (Applausi dal Gruppo FI).
PRESIDENTE. Procediamo dunque alla votazione.
PETRINI (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
(Commenti dai banchi della sinistra. Proteste dai banchi della maggioranza).
Il Senato non è in numero legale.
Sospendo la seduta per venti minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 19,32, è ripresa alle ore 19,53).
Ripresa della discussione del disegno di legge n.1383
PRESIDENTE. Procediamo nuovamente alla votazione finale.
VILLONE (DS-U). Chiedo la verifica del numero legale.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.
(Segue la verifica del numero legale).
Il Senato non è in numero legale.
Onorevoli colleghi, in base ad un calcolo probabilistico, ritengo che fra venti minuti il numero dei senatori presenti sarà ancora minore.
Pertanto, apprezzate le circostanze, rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta e auguro a tutti voi e ai vostri cari buone vacanze. (Generali applausi).
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (1383)
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE
ART. 1.
1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
2. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.
1.100PASSIGLI
Respinto
Al comma 1, sostituire le parole da: «il 9 novembre» fino alla fine del comma con le seguenti: «il 25 aprile "Giornata della libertà", quale ricorrenza non solo della fine della guerra, e in Italia della liberazione dall’occupazione straniera, ma anche come data simbolo della vittoria dei regimi democratici sulle dittature, sulle autocrazie, sui totalitarismi».
Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole: «del Giorno» con le seguenti: «della Giornata».
1.1TURRONI, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, MARTONE, RIPAMONTI, ZANCAN
Respinto
Al comma 1, sostituire le parole: «9 novembre» e «dell’abbattimento del muro di Berlino» rispettivamente con le seguenti: «2 agosto» e: «dell’abbandono del campo di concentramento di Fossoli».
Conseguentemente, modificare il titolo del disegno di legge con il seguente: «Istituzione del "Giorno della libertà" in data 2 agosto in ricordo dell’abbandono del campo di concentramento di Fossoli».
1.2TURRONI, BOCO, CARELLA, CORTIANA, DE PETRIS, DONATI, MARTONE, RIPAMONTI, ZANCAN
Respinto
Al comma 1, sostituire le parole: «9 novembre» e «dell’abbattimento del muro di Berlino» rispettivamente con le seguenti: «27 gennaio» e: «dell’entrata delle truppe alleate nel campo di Auschwitz».
Conseguentemente, modificare il titolo del disegno di legge con il seguente: «Istituzione del "Giorno della libertà" in data 27 gennaio in ricordo delle truppe alleate nel campo di Auschwitz».
1.101BASSANINI, VITALI, PETRINI
Respinto
Al comma 1, dopo le parole: «della libertà», aggiungere le seguenti: «e dell’unità europea» e aggiungere, in fine, le parole: «, nonché momento fondamentale dell’allargamento dell’Unione europea».
Respinto
Al comma 1, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «e il 19 aprile giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia, una tra le prime manifestazioni di opposizione al nazismo e al fascismo in Europa».
Respinto
Al comma 2, dopo le parole: «Giorno della libertà», inserire le seguenti: «e del Giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia».
Conseguentemente, nel titolo del disegno di legge, aggiungere, in fine, le seguenti parole: «e del Giorno dell’insurrezione contro il nazismo del ghetto di Varsavia in data 19 aprile».
1.102VITALI, BASSANINI, PETRINI
Respinto
Al comma 2, dopo le parole: «della libertà», aggiungere le seguenti: «e dell’unità europea» e aggiungere, in fine, le parole: «e il significato storico, politico e culturale dell’unità dell’Europa» .
Allegato B
Tabella allegata alla dichiarazione di voto del senatore Marino sul disegno di legge n. 1383
- Ultime repressioni anti-indiane negli USA, che segnano la fine del genocidio messo in atto nel XI secolo 100 000
- Guerra anglo-boera (per il controllo del Sudafrica) 100 000
- Vittime delle conquiste coloniali della fine del XI secolo e dell’inizio del XX secolo (fra cui la conquista della Corea a opera del Giappone, 1908) 500 000
- Guerra russo-giapponese (1904-1905). La sola battaglia di Mukden provocò più di 100 000 morti 300 000
- Repressione della rivoluzione del 1905 in Russia 100.000
- Guerra italo-turca per la Tripolitania 50 000
- Guerre balcaniche (1912-13) in Turchia, Serbia, Bulgaria 500 000
- Genocidio degli armeni in Turchia 1 000 000
- Prima guerra mondiale (1914-18) 8 500 000
- Guerra civile in URSS, carestie ed epidemie conseguenti agli interventi stranieri e all’embargo occidentale 6 000 000
- Repressione dopo i moti rivoluzionari in diversi Paesi d’Europa: Finlandia, Paesi Baltici, Ungheria, Germania, Italia, Polonia, Romania, Bulgaria (1918-23) 200 000
- Guerra greco-turca (1920-22) 100 000 (e più di 1500 000 esuli)
- Vittime del fascismo in Europa prima della Seconda guerra mondiale (1924-39) 150 000
- Guerra franco-spagnola contro i marocchini del Rif (1925-26) 50 000
- Interventi militari degli USA in America centrale, in Sudamerica
e ai Caraibi (1910-1940) 50 000
- Guerra per il petrolio del Chaco fra Bolivia e Paraguay (1931-35) 150 000
- Vittime delle carestie e delle epidemie nelle Indie, in Cina e in Indonesia (1900-45) 8 000 000 (almeno, di cui 6 milioni per la sola Cina)
- Repressioni massicce e guerra civile scatenate da Jiang Jeshi in Cina (1927-37) 1 000 000
- Guerra di aggressione giapponese in Cina (1931-41) 1 000 000
- Guerra del fascismo italiano in Etiopia 200 000
- Guerra civile in Spagna scatenata da Franco, sostenuto da Hitler e Mussolini e facilitato dal "non intervento" delle democrazie occidentali 700 000
- Seconda guerra mondiale provocata dalla Germania di Hitler e dal Giappone militarista. Fu anche il risultato delle capitolazioni successive dei Paesi capitalisti occidentali di fronte al nazismo in Europa e davanti al Giappone in Asia (1939-45). Vittime militari e civili compresi i deportati e l’Olocausto 50 000 000
- Guerra francese in Indocina (1946-55) 1.200 000
- Guerra statunitense in Vietnam (1956-75) 2 000 000
- Repressioni colonialiste del dopoguerra fra cui quelle del Madagascar (800000 morti), Algeria (1945), Marocco, Tunisia, Africa nera 500 000
- Guerra in Algeria (1956-62) 1 200 000
- Massacri anticomunisti in Indonesia dopo il settembre 1965 1 500 000
- Guerra e repressioni nel Bengala orientale e in Bangladesh (secondo Amnesty International) 3 000 000
- Massacri indo-pakistani conseguenti alla spartizione dell’India (1948) (14 milioni di profughi) 300 000 (anche se alcune fonti parlano ai 10 milioni di morti)
- Quattro guerre arabo-israeliane (1948, 1956, 1967, 1973) e la guerra del Libano 300 000 (più 700000 esuli palestinesi)
- Repressioni anticurde della Turchia, dell’Iran e dell’Iraq 200 000
- Guerra Iran-Iraq 600 000
- Guerra del Golfo (1991), vittime dirette 200 000 (più le 50000 vittime della denutrizione in Iraq a causa del blocco che dura tuttora)
- Interventi diretti USA o attraverso gruppi paramilitari in Nicaragua, Salvador, Guatemala, Panama, Rep. Dominicana, ecc 200 000- Guerra a Timor Orientale 200 000
- Repressioni in Cile, Argentina, Brasile, Perù, Bolivia, Colombia, ecc. sostenute in generale dai servizi USA 150 000
Conflitti interetnici in Transcaucasia e in Asia centrale (1990-95) fra cui la guerra in Cecenia nel 1995 (80000 morti) 200 000
Guerre in Angola 2 000 000
Guerra in Mozambico 1 000 000
- Massacri in Somalia, in Liberia, in Ruanda (genocidio dei tutsi 500000), Burundi, Sierra Leone, Congo/Zaire, Congo/Brazzaville ecc. (1990-97), nel Sudafrica dell’apartheid 4 000 000
Per quanto concerne l’Africa, comprendiamo anche le vittime delle carestie (Sahel, Somalia, Etiopia e quelle per la mancanza di cure, in particolare dei profughi)
- Guerra interna in Afghanistan dopo la caduta dell’ultimo Governo progressista 700 000
- Guerre e massacri etnici nella ex Jugoslavia provocati alla disgregazione del Paese incoraggiati dalla Germania e da altre potenze occidentali 200 000(più 1 milione di profughi cacciati dalle loro regioni).
Soltanto fra il 1990 e il 1995 le guerre hanno provocato nel mondo 5 milioni e mezzo di morti, per i tre quarti civili (in Europa 250 mila, in Asia 1 milione e mezzo, in Medio Oriente 200 mila, in Africa 3 milioni e mezzo).
A questa tabella incompleta occorre aggiungere la morte per malnutrizione di 6 milioni di bambini per il solo anno 1997.
Sempre nel 1997 si contavano 40 milioni di profughi ed esuli.
Votazione finale e approvazione del disegno di legge:
(1383) TRAVAGLIA ed altri. – Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (Relazione orale)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la votazione finale del disegno di legge n. 1383.
Ricordo che nella seduta pomeridiana del 31 luglio hanno avuto luogo le dichiarazioni di voto finale e che sulla votazione finale è mancato il numero legale.
Passiamo alla votazione finale.
MONTICONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, chiediamo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.
PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dal senatore Monticone, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata).
Votazione nominale con scrutinio simultaneo
PRESIDENTE. Comunico che da parte del prescritto numero di senatori è stata chiesta la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, del disegno di legge n. 1383, composto del solo articolo 1.
Indìco pertanto la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico.
I senatori favorevoli voteranno sì; i senatori contrari voteranno no; i senatori che intendono astenersi si esprimeranno di conseguenza.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B). (Applausi dai Gruppi FI, UDC e AN).
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Istituzione del "Giorno della libertà" in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino (1383)
ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE (*)
ART. 1.
1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
2. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.
________________
(*) Approvato il disegno di legge composto del solo articolo 1 .
[1] Legge 27 maggio 1949, n. 260, Disposizioni in materia di ricorrenze festive.
[2] L. 31 dicembre 1996, n. 671, Celebrazione nazionale del bicentenario della prima bandiera nazionale.
[3] Con il D.P.C.M. 28 maggio 1997 è stato istituito un Comitato nazionale, con il compito di preparare e organizzare, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i Ministeri degli affari esteri, della pubblica istruzione, dell'interno e della difesa, manifestazioni celebrative ed iniziative storico-culturali sul piano internazionale e nazionale in occasione del bicentenario della bandiera nazionale.
[4] L. 20 novembre 2000, n. 336, Ripristino della festività nazionale del 2 giugno.
[5] L. 20 luglio 2000, n. 211, Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
[6] L. 30 marzo 2004, n. 92, Istituzione del “Giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
[7] La medesima legge dispone, inoltre, un finanziamento a favore dell'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata e della Società di studi fiumani, e concede un riconoscimento a titolo onorifico ai congiunti degli infoibati.