XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Introduzione dell’articolo 550-bis del codice di procedura penale in materia di ricorso immediato al giudice - A.C. 5760 | ||
Serie: | Progetti di legge Numero: 747 | ||
Data: | 02/05/05 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia | ||
Riferimenti: |
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Servizio studi |
progetti di legge |
Introduzione dell'articolo 550-bis del codice di procedura penale in materia di ricorso immediato al giudice A.C. 5760
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n. 747
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xiv legislatura 2 maggio 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Giustizia
SIWEB
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File: gi0551.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Il contenuto della proposta di legge
Normativa di riferimento
§ Costituzione della Repubblica (artt. 111 e 112)
§ Codice penale (artt. 124, 162 e 162-bis)
§ Codice procedura penale (artt. 438-448, 464, 525 e 550)
§ D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468 (artt. 21-31)
Giurisprudenza
Corte costituzionale
§ Sentenza del 1995, n. 484
Numero del progetto di legge |
A.C. 5760 |
Titolo |
Introduzione dell'articolo 550-bis del codice di procedura penale in materia di ricorso immediato al giudice |
Iniziativa |
Parlamentare |
Settore d’intervento |
Diritto processuale penale;Rito monocratico |
Iter al Senato |
No |
Numero di articoli |
1 |
Date |
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§ presentazione o trasmissione alla Camera |
6 aprile 2005 |
§ annuncio |
12 aprile 2005 |
§ assegnazione |
12 aprile 2005 |
Commissione competente |
II Commissione (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
I Commissione (Affari costituzionali) |
La proposta di legge in esame introduce un nuovo articolo, il 550-bis, nel codice di procedura penale, rendendo applicabile nell’ambito del rito ordinario l’istituto della citazione a giudizio su istanza della persona offesa, attualmente previsto per il solo processo onorario.
Trattandosi di progetto di legge di iniziativa parlamentare, è corredato della sola relazione illustrativa.
La proposta in esame è diretta ad introdurre un nuovo articolo nell’ambito del codice di procedura penale: è necessario, pertanto, l’intervento con legge.
La proposta di legge in esame estende, mediante una novella al codice di procedura penale, l’applicabilità dell’istituto della citazione a giudizio su istanza della persona offesa, attualmente previsto per il solo processo onorario, anche al rito ordinario: in tale materia, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l) (giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione, lo Stato ha legislazione esclusiva.
La proposta di legge in esame è diretta, mediante l’introduzione nel codice processuale penale dell’istituto della citazione a giudizio su istanza della persona offesa, a dare attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo (così la relazione illustrativa di cui il progetto è corredato).
Si ricorda, in proposito, che l’inserimento nel testo dell’art. 111 della Costituzione del suddetto principio, già previsto dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ha conferito la massima dignità normativa anche al parametro cronologico, accanto a quelli dell’indipendenza dei magistrati, della parità delle parti, della garanzia del contraddittorio. Non può più considerarsi conforme ai principi costituzionali che regolano la giurisdizione, dunque, un processo che si dilunghi al di là del tempo ragionevolmente occorrente perché ne risulti garantita la tutela degli altri valori predetti.
Il compito di assicurare la ragionevole durata del processo è affidato, dalla norma costituzionale, interamente al legislatore ordinario, su cui grava, pertanto, sia l’impegno di fornire alla giustizia le risorse e i mezzi appropriati per garantire una congrua intensità di lavoro di tutti gli addetti al settore, sia il divieto relativo alla introduzione nell’ordinamento di disposizioni che prevedano tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all’altro, formalità superflue.
L’istituto della citazione a giudizio su istanza della persona offesa è stato introdotto, nell’ambito del procedimento penale innanzi al giudice di pace, dagli articoli da 21 a 31 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.274. La normativa che disciplina la cognizione dei reati devoluti al giudice di pace, infatti, delinea due riti: uno, di generale applicazione, che muove da una fase di indagini preliminari; l’altro, limitato ai reati perseguibili a querela, nel quale la persona offesa, piuttosto che rivolgersi agli organi preposti allo svolgimento delle attività investigative, può ricorrere, in alternativa, direttamente al giudice per la citazione in giudizio dell’imputato: ciò è previsto, si chiarisce nella relazione al decreto legislativo, per consentire all’offeso del reato di giungere in tempi brevi a quell’udienza volta ad ottenere soddisfazione del torto subito che per le vie ordinarie avrebbe sicuramente cadenze di fissazione molto più lunghe.
La citazione a giudizio su istanza della persona offesa introduce nel sistema processuale ordinario una delle innovazioni più significative, spiega la relazione, dal momento che la persona offesa viene emancipata dal ruolo statico e, tutto sommato, marginale tradizionalmente rivestito per diventare, invece, “protagonista del processo, di cui segna l’incipit e scandisce le fasi successive”; per diventare, cioè, da semplice soggetto a vera e propria parte del processo, in quanto titolare del potere di promuovere direttamente il giudizio. L’istituto in esame sembra evocare la figura della azione penale privata, sia pure con taluni temperamenti dettati dall’esigenza di garantire in ogni caso un controllo preventivo da parte del pubblico ministero, anche a tutela dei diritti di difesa dell’imputato, apparendo inaccettabile, è ancora la relazione a precisare, che l’ offeso del reato possa comunque determinare motu proprio, e senza alcuna vigilanza, l’elevazione di una formale imputazione a carico della persona di cui si chiede la convocazione a giudizio. Una convocazione che potrebbe anche essere strumentale o, addirittura, priva di fondamento, con intuibili conseguenze pregiudizievoli a carico dell’imputato. Per tali ragioni la vocativo in judicium su istanza dell’offeso presenta una disciplina mista, in quanto, pur rimanendo affidata al soggetto privato l’iniziativa ai fini dell’instaurazione del giudizio, si demanda poi alle valutazioni del pubblico ministero se formulare o meno l’imputazione, confermando, o eventualmente anche modificando, l’addebito ipotizzato dall’offeso.
Secondo le direttive della legge delega, come si è già detto, la citazione privata è consentita unicamente per i reati perseguibili a querela, per i quali, comunque, il nuovo modus procedendi è semplicemente alternativo rispetto alle forme abituali, che restano, dunque, sempre attivabili a seguito di presentazione di querela: un regime che avesse affidato esclusivamente al privato l’attivazione di un procedimento penale, sottraendo in via definitiva al pubblico ministero il potere-dovere di esercitare l’azione, si sarebbe posto in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale, di cui all’articolo 112 della Costituzione.
Ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs n.274, la citazione a giudizio ad opera della persona offesa va effettuata mediante ricorso che deve contenere, a pena di inammissibilità (v. art.24), una serie di elementi, tra cui: l’indicazione del giudice avanti al quale comparire; le generalità del ricorrente e del suo difensore; l’indicazione di eventuali altre persone offese; le generalità della persona citata a giudizio; la descrizione in forma chiara e precisa del fatto che viene addebitato, con la indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (allo scopo di consentire alla persona citata di sviluppare le sue difese ed al pubblico ministero, che potrà intervenire con la formulazione della imputazione e a cui manca il supporto di una pregressa attività di indagine, di avere percezione esatta dell’episodio per cui si chiede il processo); i documenti dei quali si chiede l’acquisizione, l’indicazione delle fonti di prova adottate a sostegno della richiesta e delle circostanze su cui deve vertere l’eventuale esame di testimoni e consulenti tecnici (al fine di delimitare tempestivamente, in ossequio ad esigenze di semplificazione e speditezza, il panorama probatorio su cui dovrà poi pronunziarsi il giudice); la richiesta di fissazione dell’udienza; la sottoscrizione della persona offesa o del suo legale rappresentante.
Il ricorso va presentato nella cancelleria del giudice di pace competente per territorio entro tre mesi dalla conoscenza del fatto costituente reato (art.22, comma 1): tale termine è stabilito a pena di decadenza (art.24) ed è analogo a quello previsto per la proposizione della querela, dal momento che l’istanza di citazione in giudizio è strutturata come atto equivalente alla presentazione della querela della quale, infatti, produce gli stessi effetti (art.21). Preventivamente, però, il ricorso deve essere comunicato al pubblico ministero mediante deposito di copia presso la sua segreteria e della avvenuta comunicazione deve darsi prova, a pena di inammissibilità, all’atto della presentazione del ricorso stesso, presso la cancelleria del giudice (art.22).
La normativa disciplina anche l’ipotesi di una possibile attivazione da parte dell’offeso, e per lo stesso fatto, di due meccanismi di propulsione del procedimento penale attraverso la presentazione sia della querela che del ricorso, eventualità che determinerebbe l’instaurarsi di due riti, con prevedibili interferenze dell’uno sull’altro. In realtà il problema nasce non tanto nel caso in cui sia stato originariamente proposto il ricorso -poiché “quando si procede a seguito di ricorso sono inapplicabili le diverse disposizioni che regolano la procedura ordinaria (art.22), per cui la presentazione di quest’atto renderebbe inefficace la successiva proposizione della querela- quanto nel caso inverso in cui sia stata proposta prima querela e successivamente ci si orienti verso l’istanza di citazione. Il decreto legislativo lo risolve stabilendo che “se per il medesimo fatto la persona offesa ha già presentato querela , deve farne menzione nel ricorso, allegandone copia e depositando altra copia presso la segreteria del pubblico ministero”, dopo di che “il giudice di pace dispone l’acquisizione della querela” (art.22).
Come già accennato, sul ricorso presentato dalla persona offesa per la citazione in giudizio del presunto autore del reato è previsto che possa (non che debba) intervenire il pubblico ministero: si vuole, spiega la relazione al decreto legislativo, salvaguardare l’esercizio dei poteri che l’ordinamento assegna all’organo pubblico, conservando in capo ad esso l’iniziativa penale propriamente detta, nel rispetto anche del precetto contenuto nell’art.112 Cost, relativamente alle prerogative del pubblico ministero nel promovimento dell’azione.
Ricevuta la comunicazione del ricorso, il pubblico ministero, entro dieci giorni, può presentare le proprie richieste nella cancelleria del giudice di pace (art.25). Il termine non è perentorio, ma può diventarlo di fatto, dal momento che già immediatamente dopo la sua scadenza il giudice di pace può provvedere sul ricorso, anche se nessuna richiesta sia stata avanzata (art.26).
In caso di intervento, il pubblico ministero valuta preliminarmente se il ricorso presenta tutti i requisiti perché possa innescarsi la successiva fase del processo, e, precisamente, se sia ammissibile, se appaia non manifestamente infondato, se sia stato presentato avanti ad un giudice territorialmente competente. Riscontrando dei vizi, esprimerà parere contrario alla citazione; diversamente formulerà l’imputazione, eserciterà, cioè, l’azione penale, potere che è espressione di una esclusiva prerogativa dell’organo pubblico. Tant’è che nel formulare l’imputazione il pubblico ministero può anche modificare l’addebito contenuto nel ricorso.
Dalla constatazione che il pubblico ministero può anche non intervenire, astenendosi sulla formulazione dell’addebito delineato nel ricorso dalla persona offesa, potrebbe argomentarsi che quella esclusiva prerogativa che all’organo pubblico dell’accusa la Costituzione riserva in tema di promovimento dell’azione penale, finisce con l’essere prevalicata da una iniziativa privata che potrebbe avere la parvenza della gestione di un potere di azione conferito all’offeso del reato. Conclusione destinata, invero, ad alimentare sospetti di incostituzionalità, specie se valutata nella prospettiva secondo la quale è esigenza ineludibile salvaguardare l’esercizio dei poteri che l’ordinamento assegna all’organo pubblico, conservando in capo ad esso l’iniziativa penale nel rispetto dell’articolo 112 Cost. Ogni dubbio, tuttavia, potrebbe dissolversi nel momento in cui si intravedesse nell’inerzia del pubblico ministero una sorta di “silenzio assenso”, da intendere come formulazione implicita di una imputazione attuata attraverso il recepimento dell’ipotesi accusatoria delineata dalla persona offesa.
La proposta di legge in esame introduce un nuovo articolo, il 550-bis, nel codice di procedura penale, rendendo applicabile nell’ambito del rito ordinario, mediante il richiamo agli articoli da 21 a 31 del decreto legislativo n.274 del 2000, l’istituto, diffusamente illustrato, della citazione a giudizio su istanza della persona offesa. A tal fine si introducono alcune modifiche rispetto alla disciplina dettata per il rito onorario che non riguardano, tuttavia, i principi che regolano l’istituto in esame, ritenuti dalla dottrina fondamentali in relazione alla sua compatibilità con le disposizioni costituzionali, ed in particolare con l’articolo 112 concernente l’obbligatorietà dell’azione penale e la titolarità esclusiva del relativo potere in capo all’organo della pubblica accusa.
Infatti:
- si stabilisce (comma 1, art.550-bis) che la citazione a giudizio su istanza della persona offesa sia ammessa soltanto per i reati, tra quelli di cui all’articolo 550 c.p.p., procedibili a querela: si tratta delle contravvenzioni, ovvero dei delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa (sola o congiunta alla pena detentiva) procedibili soltanto per espressa volontà della persona offesa (es: mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ex art. 388 c.p.; violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ex art. 388 bis c.p.; falsità in foglio firmato in bianco ex art. 486 c.p.; turbata libertà dell’industria o del commercio ex art.513 c.p.; violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art.570 c.p.; furti ex art.626 c.p.; sottrazione di cose comuni ex art.627 c.p.; ingresso abusivo nel fondo altrui ex art.637 c.p.; etc.);
- non si modificano le disposizioni che delineano l’istituto della citazione diretta a giudizio come semplicemente alternativo rispetto alle forme abituali, che restano, dunque, sempre attivabili a seguito di presentazione di querela: come già ricordato, infatti, un regime che affidasse esclusivamente al privato l’attivazione di un procedimento penale, sottraendo in via definitiva al pubblico ministero il potere-dovere di esercitare l’azione, potrebbe considerarsi in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’articolo 112 della Costituzione;
- rimane, al fine di salvaguardare l’esercizio dei poteri che l’ordinamento assegna all’organo pubblico, la possibilità per il pubblico ministero di intervenire sul ricorso presentato dalla persona offesa per la citazione in giudizio del presunto autore del reato: come già ricordato, quindi, ricevuta la comunicazione del ricorso, il pubblico ministero può presentare le proprie richieste, può formulare l’imputazione ed anche modificare l’addebito contenuto nel ricorso.
Rispetto alla disciplina di cui al decreto legislativo n.274, invece:
- si raddoppia da dieci a venti giorni il termine, decorrente dalla comunicazione del ricorso, entro il quale il pubblico ministero deve presentare le proprie richieste (comma 2, art.550-bis);
- si porta da venti a quarantacinque giorni, decorrenti dal deposito del ricorso, il termine entro il quale il giudice di pace deve convocare, con decreto, le parti in udienza (comma 2, art.550-bis);
- si stabilisce che tra il giorno del deposito del ricorso e l'udienza dinanzi al giudice di pace non debbano intercorrere più di centottanta giorni (in luogo dei novanta fissati per il rito onorario; comma 2, art.550-bis)
- si prevede che il decreto di convocazione della parte contenga, a pena di nullità, anche l’avviso relativo alla possibilità per l’imputato di chiedere, dieci giorni prima dell’udienza, di essere ammesso all’oblazione, al rito abbreviato o alla applicazione della pena su richiesta (comma 3, art.550-bis).
Si prevede, infine, allo scopo di “ridurre sostanzialmente il carico del lavoro del giudice monocratico”, che la persona offesa presenti il ricorso non direttamente a questi, bensì al giudice di pace, cui è affidata, dunque, “una funzione di vero e proprio filtro posto a monte della fase giudiziale, la quale continua a essere affidata al giudice monocratico”.
Il giudice di pace, qualora la persona citata in giudizio chieda di essere ammessa all’oblazione, al rito abbreviato o alla applicazione della pena su richiesta, rinvia l’udienza dinanzi al giudice monocratico (comma 4, art.550-bis) poiché, in virtù del principio di immediatezza sancito nel secondo comma dell’articolo 525 c.p.p. e ampiamente illustrato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.484 del 1995, il giudice che provvede alla trattazione della procedura, intendendosi per tale, tra l’altro, l'assunzione delle richieste delle parti, deve essere lo stesso che emana la decisione giurisdizionale di merito; diversamente (nel caso, cioè, di mancata richiesta di oblazione, di rito abbreviato o di patteggiamento), il giudice di pace convoca con decreto le parti in udienza e, soltanto dopo aver constatata la ritualità delle notifiche, rinvia il processo dinanzi al giudice monocratico (comma 5, art.550-bis).
N. 5760
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CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
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PROPOSTA DI LEGGE |
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d’iniziativa dei deputati PECORELLA, GHEDINI ¾ |
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Introduzione dell'articolo 550-bis del codice di procedura penale in materia di ricorso immediato al giudice |
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Presentata il 6 aprile 2005
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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, con l'obiettivo di dare concreta attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, introduce nel codice di procedura penale l'istituto del ricorso immediato al giudice, già sperimentato positivamente nel procedimento penale innanzi al giudice di pace. Si ricorda, a tale proposito, che proprio la previsione di questo istituto rappresentò una delle innovazioni più significative introdotte dalla riforma che ha attribuito al giudice di pace la competenza in materia penale, in quanto autorizza il privato, pur con alcuni temperamenti, a promuovere direttamente il giudizio in materia penale, così evocando la figura dell'azione penale privata.
Esigenze di speditezza del processo penale e di deflazione del carico di lavoro dei tribunali inducono oggi a estendere l'istituto del ricorso immediato anche al procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica, sia pure limitatamente ai reati per i quali l'articolo 550 del codice di procedura penale prevede che il pubblico ministero eserciti l'azione penale con la citazione diretta a giudizio, quando questi siano perseguibili a querela. Si è ritenuto di escludere l'applicazione dell'istituto del ricorso immediato per i reati perseguibili d'ufficio, in quanto proprio dalla procedibilità a querela risalta immediatamente l'interesse privato alla punizione del colpevole, che rappresenta la ratio di un giudizio in cui l'iniziativa penale è rimessa alla persona offesa.
Il nuovo istituto consente all'interessato di giungere in tempi brevi all'udienza volta a ottenere soddisfazione del torto subìto, che per le vie ordinarie (ossia a seguito di semplice presentazione della querela) avrebbe sicuramente cadenze di fissazione molto più lunghe. Una volta avviato il procedimento con la presentazione del ricorso è, però, rimesso al pubblico ministero di aderirvi o meno, promuovendone la prosecuzione o la interruzione con le proprie richieste al giudice. È bene precisare che, così come avviene per i reati di competenza del giudice di pace, l'interessato potrà scegliere se seguire la via ordinaria della querela o intraprendere quella più immediata del ricorso presentato direttamente al giudice.
Il vantaggio conferito alla persona offesa di poter ottenere la convocazione in udienza del presunto autore del reato entro un termine assai ristretto è comunque compensato dalla previsione di stringenti formalità sia nell'ottica di uno sgravio degli incombenti addossati alla pubblica accusa sia per scoraggiare iniziative infondate e strumentali.
Ad esempio, sono anticipate alla presentazione del ricorso l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta e delle circostanze su cui deve vertere l'eventuale esame di testimoni e di consulenti tecnici, nonché l'allegazione dei documenti di cui si chiede l'acquisizione. Tali oneri sono tanto più stringenti in quanto previsti a pena di inammissibilità del ricorso.
Al fine di ridurre sostanzialmente il carico di lavoro del giudice monocratico, la proposta di legge prevede che la persona offesa presenti il ricorso non direttamente a questi, bensì al giudice di pace, al quale, tuttavia, non è attribuita la competenza a conoscere i reati in questione, bensì è affidata una funzione di vero e proprio filtro posto a monte della fase giudiziale, la quale continua a essere affidata al giudice monocratico.
Si prevedono, pertanto, due ipotesi. Nella prima l'imputato, entro dieci giorni prima della data di udienza, può chiedere al giudice di pace di essere ammesso all'oblazione, al rito abbreviato o all'applicazione della pena su richiesta. Considerato che sarà quindi il giudice di pace a rinviare l'udienza (avanti al giudice monocratico) per procedere secondo la richiesta dell'imputato, la proposta di legge consente di arrivare al rito alternativo senza che nel frattempo sia stato inutilmente aggravato il carico di lavoro del tribunale.
Vi è poi l'ipotesi che l'imputato non chieda i riti alternativi. In questo caso il giudice di pace, convocate le parti in udienza con decreto e constatata la ritualità delle notifiche, rinvierà il processo avanti il giudice monocratico, per una udienza che dovrà tenersi entro sessanta giorni. Anche in questo caso, l'intervento del giudice ordinario è circoscritto alla fase del giudizio.
Per quanto riguarda la disciplina del procedimento che si svolge dinanzi al giudice monocratico, la proposta di legge prevede che si osservino, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articoli da 21 a 31 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, che hanno per oggetto la disciplina del ricorso immediato innanzi al giudice di pace, contemperando alcuni termini processuali ivi previsti in ragione della maggiore gravità dei reati di competenza del tribunale rispetto a quelli di competenza del giudice di pace.
Ciò significa che il ricorso deve essere presentato nella cancelleria del giudice di pace territorialmente competente entro il termine di tre mesi dalla conoscenza del fatto che costituisce reato, termine che è significativamente identico a quello previsto dall'articolo 124 del codice penale per la proposizione della querela.
È bene precisare che la «privatizzazione» dell'iniziativa processuale non significa che il privato possa comunque determinare di propria iniziativa l'elevazione di una formale imputazione a carico della persona di cui si chiede la convocazione a giudizio e l'assunzione in capo a questi della qualità di imputato. Ciò avrebbe provocato il rischio di avallare chiamate in giudizio totalmente infondate o puramente strumentali e comunque non pertinenti all'oggetto penale. Se il pubblico ministero ritiene ammissibile e non manifestatamente infondato il ricorso formula l'imputazione. Si ribadisce così l'esclusiva prerogativa dell'organo pubblico sul tema dell'imputazione. D'altra parte, l'addebito contenuto nel ricorso potrà, se del caso, essere semplicemente fatto proprio dal pubblico ministero, con un atto formale di assunzione dell'iniziativa penale, che rimanderà alla descrizione del fatto contenuta nel ricorso. Quando, invece, occorra in qualche modo ritoccare l'addebito, il pubblico ministero è abilitato a provvedervi.
proposta di legge ¾¾¾
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Art. 1.
1. Dopo l'articolo 550 del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Art. 550-bis (Ricorso immediato al giudice). - 1. Per i reati procedibili a querela di cui all'articolo 550, è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articoli da 21 a 31 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274. 2. Ai fini di cui al presente articolo, il termine di cui al comma 1 dell'articolo 25 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, è di venti giorni. Il termine di cui al comma 1 dell'articolo 27 del citato decreto legislativo n. 274 del 2000, è di quarantacinque giorni, e il termine di cui al comma 2 del medesimo articolo è di centottanta giorni. 3. Il decreto di convocazione della parte contiene, a pena di nullità, anche l'avviso che, a pena di decadenza, dieci giorni prima della data di udienza l'imputato può chiedere di essere ammesso all'oblazione, al rito abbreviato o all'applicazione della pena su richiesta. 4. Nell'ipotesi in cui sia presentata una delle richieste previste al comma 3, il giudice di pace rinvia l'udienza dinanzi al giudice monocratico. 5. Ove non si proceda ai sensi dei commi 3 e 4, il giudice di pace, convocate le parti in udienza con decreto e constatata la ritualità delle notifiche, rinvia il processo dinanzi al giudice monocratico a una udienza entro sessanta giorni».
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