XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||||
---|---|---|---|---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||
Titolo: | Attribuzioni del procuratore nazionale e del procuratore distrattuale antimafia - AA.C. 3577 e abb. | ||||
Serie: | Progetti di legge Numero: 693 | ||||
Data: | 19/01/05 | ||||
Abstract: | Scheda di sintesi per l'istruttoria legislativa; schede di lettura; progetti di legge; normativa di riferimento; giurisprudenza. | ||||
Descrittori: |
| ||||
Organi della Camera: | II-Giustizia | ||||
Riferimenti: |
|
Servizio studi |
progetti di legge |
Attribuzioni del procuratore nazionale e del procuratore distrettuale antimafia AA.C. 3577 e abb.
|
n. 693
|
xiv legislatura 19 gennaio 2005 |
Camera dei deputati
Dipartimento Giustizia
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: gi0498.doc
INDICE
Scheda di sintesi per l’istruttoria legislativa
Elementi per l’istruttoria legislativa
§ Necessità dell’intervento con legge
§ Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite
§ Il contenuto delle proposte di legge
Normativa di riferimento
§ Codice penale (artt. 416-bis, 416-ter, 629, 630, 644, 644-bis, 648, 648-bis, 648-ter,)
§ Codice di procedura penale (artt. 51, 54, 54-bis, 54-ter, 371-bis, 409, 421-bis, 422 e 507)
§ L. 27 dicembre 1956, n. 1423. Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità. (art. 1)
§ L. 31 maggio 1965, n. 575. Disposizioni contro la mafia.
§ D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43. Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale . (artt. 291-ter. 291-quater e 295)
§ L. 22 maggio 1975, n. 152. Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico. (art. 19)
§ L. 13 settembre 1982, n. 646. Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazione alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423 (2), 10 febbraio 1962, n. 57 (3) e 31 maggio 1965, n. 575 (4). Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia. (art. 23-bis)
§ L. 19 marzo 1990, n. 55. Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale. (art. 14)
§ D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (artt. 73 e 74)
§ D.L. 20 novembre 1991, n. 367. Coordinamento delle indagini nei procedimenti per reati di criminalità organizzata.
§ D.L. 8 giugno 1992, n. 306. Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa. (artt. 12-quinquies, 12-sexies e 22)
§ D.L. 20 giugno 1994, n. 399. Disposizioni urgenti in materia di confisca di valori ingiustificati. (art. 2)
§ L. 19 marzo 2001, n. 92. Modifiche alla normativa concernente la repressione del contrabbando di tabacchi lavorati. (art. 1)
Giurisprudenza
Corte costituzionale
§ SENTENZA N. 27 ANNO 1959
§ SENTENZA N. 23 ANNO 1964
§ SENTENZA N.177 ANNO 1980
§ Tribunale di Napoli (Atto di promovimento) Ordinanza n. 489, 28 aprile 1995.
§ Tribunale di Napoli (Atto di promovimento) Ordinanza n. 488, 5 maggio 1995.
§ Tribunale di Napoli (Atto di promovimento) ordinanza n. 840 22 settembre 1995.
Corte di Cassazione
§ Cassazione Penale, Sentenza n. 18 del 03-07-1996
Numero del progetto di legge |
3577 |
Titolo |
Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, in materia di azione di prevenzione patrimoniale e attribuzioni del procuratore nazionale e del procuratore distrettuale antimafia |
Iniziativa |
Parlamentare |
Settore d’intervento |
Misure di prevenzione e sicurezza |
Iter al Senato |
no |
Numero di articoli |
8 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
23 gennaio 2003 |
§ annuncio |
27 gennaio 2003 |
§ assegnazione |
29 aprile 2003 |
Commissione competente |
2ª Commissione (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
1ª Commissione (Affari costituzionali) |
Numero del progetto di legge |
733 |
Titolo |
Modifiche alla legislazione in materia di misure di prevenzione antimafia |
Iniziativa |
Parlamentare |
Settore d’intervento |
Misure di prevenzione e sicurezza; |
Iter al Senato |
no |
Numero di articoli |
4 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
12 giugno 2001 |
§ annuncio |
13 giugno 2001 |
§ assegnazione |
31 luglio 2001 |
Commissione competente |
2ª Commissione (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
1ª Commissione (Affari costituzionali) |
Numero del progetto di legge |
4758 |
Titolo |
Modifica all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, in materia di misure di prevenzione |
Iniziativa |
Parlamentare |
Settore d’intervento |
Misure di prevenzione e sicurezza |
Iter al Senato |
no |
Numero di articoli |
1 |
Date |
|
§ presentazione o trasmissione alla Camera |
26 febbraio 2004 |
§ annuncio |
1° marzo 2004 |
§ assegnazione |
17 marzo 2004 |
Commissione competente |
2ª Commissione (Giustizia) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
1ª Commissione (Affari costituzionali) |
La proposta AC 3577 interviene in relazione a diversi aspetti della legge n. 575 del 1965, apportando integrazioni e modifiche alla disciplina vigente dirette al rafforzamento della azione di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata.
In particolare: l’articolo 1 provvede alla riformulazione dell’articolo1 della legge n. 575, al fine di introdurre il principio di obbligatorietà della azione di prevenzione e di ampliare l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione sia personali che patrimoniali;
l’articolo 2 dispone una integrazione all’articolo 2 della legge n.575, in cui si disciplina il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione di natura personale, provvedendo ad estendere il relativo potere di proposta al procuratore distrettuale antimafia;
gli articoli da 3 ad 8 sono, infine, accomunati dalla medesima finalità, consistente nell’estendere il potere di proporre l’applicazione delle misure di prevenzione di natura patrimoniale, nonché le attribuzioni ad esso connessi, anche al procuratore nazionale e ai procuratori distrettuali antimafia.
La proposta di legge AC 4758, composta da un solo articolo, mira al superamento del c.d. modello di intervento a “doppio binario”, in base al quale il procedimento diretto alla applicazione della misura di prevenzione e quello finalizzato all’accertamento del reato e alla determinazione della pena sono considerati autonomi ed indipendenti tra di loro.
L’articolo 1 della proposta di legge AC 733, mediante la novella dell’art. 2 della legge n. 575/1965, intende sottrarre al procuratore del tribunale circondariale la competenza all’avvio del procedimento di prevenzione per attribuirla, invece, al procuratore della Repubblica presso il tribunale sede di corte d’appello.
I successivi articoli 2, 3 e 4 contengono disposizioni di coordinamento.
Trattandosi di proposte di iniziativa parlamentare, sono corredate della sola relazione illustrativa.
Tutte le proposte in esame provvedono a modificare ed integrare la disciplina delle misure di prevenzione, contenuta in norme di rango primario: si giustifica, pertanto, l’intervento con legge.
Tutte le proposte in esame riguardano il regime delle misure di prevenzione, sia patrimoniali che personali: in tale materia, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere h) (Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale) ed l) (Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione, lo Stato ha legislazione esclusiva.
Per le osservazioni sulla formulazione del testo si rinvia alle schede di lettura.
Il nostro ordinamento, accanto alle misure cautelari e di sicurezza, contemplate, rispettivamente, agli articoli 13 e 25 della Carta fondamentale, prevede e disciplina le misure di prevenzione: esse si differenziano dalle prime in quanto trovano applicazione indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e costituiscono applicazione del principio di “prevenzione e sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire” (Corte Costituzionale, sentenza n.27 del 1959). La Consulta, quindi, ha rinvenuto negli articoli 13 (“che con lo statuire che restrizioni alla libertà personale possono essere disposte soltanto per atto motivato della autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, riconosce per ciò stesso la possibilità di tali restrizioni in via di principio”), 16 e 17 della Costituzione (l’uno statuisce “che la legge possa apportare limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno quando ricorrano motivi di sicurezza”, l’altro consente “il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza ed incolumità pubblica”) il fondamento di tale istituto.
Sempre la Consulta, nella già citata sentenza n. 27, ha richiamato tra i presupposti costituzionali delle misure di prevenzione l’articolo 25, secondo comma, in base al quale nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi stabiliti dalla legge: “è ben vero –sostiene la Corte- che le misure di sicurezza in senso stretto si applicano dopo che un fatto preveduto dalla legge come reato sia stato commesso, ma poiché le misure di sicurezza intervengono o successivamente all’espiazione della pena, e cioè quando il reo ha già per il reato commesso soddisfatto il suo debito verso la società, ovvero in casi nei quali il fatto, pur essendo preveduto dalla legge come reato, non è punibile, bisogna dedurne che oggetto di tali misure rimane sempre quello comune a tutte le misure di prevenzione, cioè la pericolosità sociale del soggetto”.
In atto, la disciplina positiva delle misure di prevenzione è ricavabile da una serie di stratificazioni legislative dovute, a loro volta, ad una pluridecennale tecnica novellistica.
Il testo normativo fondamentale rimane quello della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, così come modificato e integrato dagli interventi legislativi succedutisi nel corso del tempo.
Le tradizionali misure preventive di natura personale (sorveglianza speciale, divieto ed obbligo di soggiorno) sono state estese, con la legge 31 maggio 1965, n. 575, agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose e, con la legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d Rognoni La Torre), anche agli indiziati di appartenere ad associazioni camorristiche ed assimilabili.
La legge n.646/1982 ha poi provveduto al potenziamento del sistema della prevenzione antimafia, introducendo nuove misure a carattere patrimoniale, mentre le leggi 3 agosto 1988, n. 327 e 19 marzo 1990, n. 55 hanno introdotto rilevanti modifiche della normativa concernente le tradizionali misure di prevenzione personali, con l’obiettivo di eliminare gli inconvenienti più vistosi della precedente disciplina.
Per quanto riguarda più in particolare la prevenzione antimafia, occorre ricordare come la disciplina delle misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale, dell’obbligo e del divieto di soggiorno ha subito una serie di adattamenti che, in primo luogo, ne hanno consentito la applicazione agli “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso” e successivamente agli “indiziati di appartenere alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
La prevenzione antimafia, come già accennato, è stata poi potenziata mediante l’introduzione, da parte della legge Rognoni-La Torre, di misure di natura patrimoniale, ritenute le più idonee a combattere le organizzazioni criminali: da un lato, infatti, l’esperienza giudiziaria ha contribuito a dimostrare che il vero punto debole della mafia è rappresentato dalle tracce documentali lasciate dalla grande circolazione di denaro connessa allo svolgimento delle attività criminose; dall’altro, proprio perché le organizzazioni criminali hanno come principale obiettivo l’accumulazione di ingenti capitali, è ragionevole presumere che la maggiore efficacia preventiva sia potenzialmente esercitata da misure rivolte ad impedire o ad ostacolare l’acquisizione di ricchezza.
Le misure introdotte dalla legge n. 646 sono il sequestro e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita.
Il sequestro è un provvedimento di natura provvisoria e cautelare, disposto in via temporanea dal presidente del Tribunale su richiesta del Procuratore della Repubblica o del questore e successivamente convalidato dal Tribunale, sui beni dei quali la persona nei confronti della quale è stato iniziato il procedimento risulta poter disporre, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o alla attività economica svolta, ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; la misura in esame, finalizzata ad anticipare e ad assicurare gli effetti della confisca, rispetto alla quale, dunque, assume natura strumentale, ha come effetto la provvisoria perdita da parte del destinatario della disponibilità materiale del bene e la altrettanto provvisoria limitazione a compiere atti giuridici che abbiano ad oggetto il bene sequestrato.
La confisca dei beni sequestrati, dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza, consiste, invece, in un provvedimento di natura ablativa che comporta la devoluzione allo Stato dei beni (mobili, immobili, mobili registrati, crediti, ecc.) che ne costituiscono oggetto: analogamente a quanto previsto in materia di sequestro, sulla confisca provvede il Tribunale (anche d’ufficio) ed in via provvisoria, su richiesta del Procuratore della Repubblica o del questore, il presidente del Tribunale.
Il progetto AC 3577 interviene in relazione a diversi aspetti della legge n. 575 del 1965, apportando integrazioni e modifiche alla disciplina vigente dirette al rafforzamento della azione di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e recependo a tal fine parte delle proposte avanzate dalla Commissione ministeriale presieduta da Giovanni Fiandaca e istituita con decreto del Ministro della giustizia del 15 ottobre 1998.
In particolare l’articolo 1 provvede alla riformulazione dell’articolo1 della legge n. 575, al fine di:
§ introdurre il principio di obbligatorietà della azione di prevenzione che, analogamente a quanto avviene per l’azione penale in virtù del disposto dell’articolo 112 della Costituzione, è sottratta alla sfera di discrezionalità del pubblico ministero e deve essere esercitata “d’ufficio”;
§ ampliare l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione sia personali che patrimoniali, obbligatoriamente applicabili non solo, come già previsto al vigente articolo 1 della legge n.575, agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, camorristico o ad esse assimilabili, ma anche: agli indiziati di appartenere ad associazioni finalizzate al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope e ad associazioni per delinquere finalizzate al contrabbando di tabacchi lavorati esteri; agli indiziati dei reati di estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, usura, ricettazione (salvo che il fatto sia di particolare tenuità), riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori; agli indiziati di delitti commessi per finalità di terrorismo, di eversione dell’ordine costituzionale, di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di contrabbando, di reati indicati all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.
L’articolo 2, invece, dispone una integrazione all’articolo 2 della legge n.575, in cui si disciplina il procedimento di applicazione delle misure di prevenzione di natura personale (sorveglianza speciale, obbligo di soggiorno) ai soggetti indicati al precedente articolo 1, ed in cui si stabilisce che la adozione dei suddetti provvedimenti possa essere disposta su proposta del procuratore nazionale antimafia, del procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona interessata o del questore. La norma in esame provvede ad estendere il potere di proposta (che ai sensi dell’articolo 1 del progetto in esame deve essere obbligatoriamente esercitato, ricorrendone i presupposti) al procuratore distrettuale antimafia.
Gli articoli da 3 ad 8 sono, infine, accomunati dalla medesima finalità, consistente nell’estendere il potere di proporre l’applicazione delle misure di prevenzione di natura patrimoniale (sequestro e confisca), nonché le attribuzioni ad esso connessi, anche al procuratore nazionale e ai procuratori distrettuali antimafia, in armonia con quanto disposto dal precedente articolo 2 in relazione alle misure di natura personale.
In base alla attuale disciplina, infatti, mentre il procuratore nazionale antimafia può proporre, come detto, l’adozione delle misure di natura personale, i provvedimenti di prevenzione patrimoniali sono emanati su proposta soltanto del procuratore della Repubblica e del questore territorialmente competenti (articoli 2-bis, comma 4; 2-ter, commi 2, 6 e 7; 3-quater, comma 5, l. 575/1965) cui è attribuito anche un potere di indagine relativamente al tenore di vita, alle disponibilità finanziarie, al patrimonio delle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose o camorristiche: in particolare i suddetti soggetti , anche a mezzo della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, possono accertare se gli indiziati siano titolari di licenze o autorizzazioni, di concessioni o di abilitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali o commerciali, se beneficiano di contributi, finanziamenti o mutui agevolati concessi dallo Stato, dagli enti pubblici o dalla Comunità europea; tali accertamenti possono riguardare anche il coniuge, i figli, o coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose o camorristiche.
Il procuratore della Repubblica ed il questore, poi, possono richiedere ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio, alle imprese, società ed enti di ogni tipo informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini (articolo 2-bis, l. 575/1965).
Sempre il procuratore della Repubblica e il questore possono chiedere al tribunale competente di disporre ulteriori indagini o verifiche quando, a seguito degli accertamenti di cui all’articolo 2-bis, ricorrano sufficienti indizi per ritenere che l’esercizio di determinate attività economiche sia sottoposto alle condizioni di intimidazione e di assoggettamento previste all’articolo 416-bis del codice penale o possa agevolare l’attività delle persone nei confronti delle quali sia stata applicata (o semplicemente proposta) una misura di prevenzione personale, ovvero quella dei soggetti sottoposti ad indagini per appartenenza ad associazioni mafiose o camorristiche (articolo 3-quater, l. 575/1965).
Il procuratore della Repubblica ed il questore possono, inoltre, chiedere al tribunale di estendere a chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione i divieti e le decadenze di cui all’articolo 10, commi 1 e 2, della legge n. 575: tali limitazioni discendono automaticamente per il soggetto che vi è sottoposto dalla applicazione della misura di prevenzione e concernono l’impossibilità di ottenere nuove licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio, concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali, concessioni di costruzione, di costruzione e gestione o di servizi pubblici, iscrizioni agli albi di appaltatori e fornitori di pubbliche amministrazioni, contributi, finanziamenti o mutui agevolati, nonché la decadenza da quelli già spettanti (articolo 10-quater, comma 2, l. 575/1965)
Il procuratore della Repubblica ed il questore possono, infine, chiedere al tribunale la rinnovazione della cauzione (che deve essere versata contestualmente alla applicazione della misura di prevenzione a garanzia dell’adempimento delle prescrizioni imposte), nella ipotesi in cui essa sia stata confiscata in seguito alla violazione dei divieti o degli obblighi prescritti (articolo 3-bis, comma 7, l. 575/1965).
Gli articoli in esame, come detto, al fine di rendere più incisivo l’utilizzo delle misure patrimoniali di prevenzione, provvedono ad estendere il relativo potere di proposta, nonché tutte le attribuzioni ad esso connesse appena illustrate (in primo luogo quelle concernenti lo svolgimento delle indagini finalizzate alla individuazione dei patrimoni illeciti), anche al procuratore nazionale e ai procuratori distrettuali antimafia: ciò sia per ragioni sistematiche, che in considerazione del fatto che presso i rispettivi uffici “affluiscono tutte le informazioni in materia di criminalità organizzata” (così la relazione di cui il progetto è corredato).
Una ulteriore modifica riguarda il primo comma dell’articolo 2-ter della legge n. 575, in cui si dispone che “nel corso del procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dall’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (sorveglianza speciale, divieto, obbligo di soggiorno, n.d.r.) iniziato nei confronti delle persone indicate nell’articolo 1, il tribunale, ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini(…)”: tale norma non sembra coordinarsi con l’impostazione del vigente codice di procedura penale che, salvo ipotesi eccezionali, affida al pubblico ministero lo svolgimento delle attività investigative, anche di natura supplementare, e più precisamente con la disposizione prevista all’articolo 421-bis dello stesso codice “in virtù della quale il giudice dell’udienza preliminare può ordinare l’integrazione delle indagini preliminari indicando al pubblico ministero quelle ulteriori da svolgere e fissando il termine per il loro compimento“, nonché con la disposizione di cui all’articolo 409, comma 4, del medesimo codice “a mente della quale il g.i.p., a seguito della udienza fissata per decidere sulla richiesta di archiviazione non immediatamente accolta, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al p.m., fissando il termine indispensabile per il complemento di esse”.
Al fine di ricondurre anche le disposizioni della legge n. 575 alla natura accusatoria del vigente codice di rito, l’articolo 4 del progetto in esame stabilisce che il tribunale “può indicare al pubblico ministero ulteriori indagini oltre quelle già compiute ai sensi dell’articolo 2-bis, fissando il termine entro il quale esse devono essere svolte”.
La proposta di legge AC 4758, composta da un solo articolo, mira al superamento del c.d. modello di intervento a “doppio binario”, in base al quale il procedimento diretto alla applicazione della misura di prevenzione e quello finalizzato all’accertamento del reato e alla determinazione della pena sono considerati autonomi ed indipendenti tra di loro, con la conseguenza, tra l’altro, che la sentenza definitiva di proscioglimento non comporta la automatica cessazione di efficacia delle misure di prevenzione applicate in relazione ai medesimi fatti oggetto dell’accertamento giurisdizionale.
Tale orientamento è stato fatto proprio anche dalla Corte di cassazione che, nella sentenza del 17 luglio 1996, n. 18 delle Sezioni unite, in relazione alla confisca disciplinata dalla legge n. 575/1965, afferma “che la ratio sottesa ai provvedimenti in esame -adottabili nell’ambito del procedimento di prevenzione- siccome diretta a colpire beni e proventi di natura presuntivamente illecita per escluderli dal cosiddetto circuito economico, si ricollega, seppur con un ambito di estensione non identico, alle ipotesi previste dall’art. 240 cpv c.p., nn.1 e 2 che, come è noto, prescindono dalla condanna –da una affermazione di responsabilità accertata in sede penale- con la conseguente applicabilità anche nel caso di proscioglimento, quale che sia la formula”.
Altra argomentazione addotta dalla cassazione a favore della tesi della autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, inoltre, è rinvenuta nelle modificazioni introdotte alla legge n. 575/1965 dalla citata l. n. 55/1990: si fa riferimento in particolare all’articolo 9 di tale provvedimento, in cui si dispone che “quando si procede nei confronti di persone imputate del delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale o del delitto di cui all'articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, il pubblico ministero ne dà senza ritardo comunicazione al procuratore della Repubblica territorialmente competente per il promuovimento, qualora non sia già in corso, del procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.
Successivamente, il giudice penale trasmette a quello che procede per l'applicazione della misura di prevenzione gli atti rilevanti ai fini del procedimento, salvo che ritenga necessario mantenerli segreti”.
La proposta in esame, modificando sia la legge n. 1423/1956 che la legge n. 575/1965, introduce il principio in virtù del quale le misure di prevenzione cessano automaticamente di avere efficacia se per i fatti per i quali sono state adottate è stata pronunciata sentenza di proscioglimento.
L’articolo 1della proposta AC 733 interviene sullacompetenza all’avvio del procedimento di prevenzione.
L’art. 2 della legge n. 575/1965 prevede che nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona o dal questore, anche se non vi è stato il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.
Tra i soggetti attualmente titolari del potere di proposta per la adozione del provvedimento di prevenzione di natura personale vi è, quindi, il procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona interessata alla misura. Tale norma – afferma la relazione al provvedimento in esame - rivela una carenza di coordinamento con le previsioni dell’art. 51, comma 3-bis, del codice processuale penale che, invece, attribuiscono all’ufficio del procuratore distrettuale antimafia (ovvero al p.m. presso il tribunale sede di corte d’appello) le funzioni di pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado per i delitti di criminalità organizzata.
Tali delitti, enucleati dallo stesso art. 51, comma 3-bis, c.p.p., sono quelli di associazione di tipo mafioso; di tratta di persone; di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù; di acquisto e alienazione di schiavi; di sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione; ovvero commessi avvalendosi delle condizioni di intimidazione derivanti dal vincolo mafioso o commessi per agevolare l'attività delle associazioni mafiose; ovvero ancora finalizzati al traffico di stupefacenti e al contrabbando di tabacchi lavorati.
Il mancato coordinamento assume, poi, maggior rilievo se si considera che, normalmente, è proprio nella fase delle indagini che emergono gli elementi di “mafiosità” su cui si basa la richiesta al tribunale di applicazione delle misure di prevenzione.
Tra l’altro, dalla disciplina vigente non emergono disposizioni che facciano sorgere in capo al procuratore distrettuale un obbligo generale di comunicazione di tali elementi indizianti al p.m. del tribunale circondariale, territorialmente competente per le misure di prevenzione.
Un caso specifico è quello previsto dalla legge Rognoni-La Torre (L.n. 686/1982) che sancisce (art. 23-bis) l’obbligo del p.m. che procede verso persone imputate di associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti di dare notizia di tali indagini “senza ritardo” al p.m. competente per territorio per il promuovimento del procedimento di prevenzione.
L’articolo 1 della proposta di legge, mediante la novella dell’art. 2 della legge n. 575/1965, intende risolvere l’incongruenza prospettata, sottraendo al procuratore del tribunale circondariale la competenza all’avvio del procedimento di prevenzione ed attribuendola al procuratore della Repubblica presso il tribunale sede di corte d’appello.
Le successive disposizioni della proposta in esame si muovono nella stessa ottica di coordinamento e razionalizzazione della disciplina di prevenzione.
In particolare la abrogazione dell’art. 19, comma 1, della legge Reale (l. n. 152/1975) da parte dell’ articolo 3 si spiega con il rinvio, operato dalla norma citata, alla generale applicabilità della legge 575/1965; da tale rinvio, deriverebbe, pertanto, stanti le modifiche introdotte dall’articolo 1 del progetto, la possibilità per il procuratore distrettuale antimafia di avviare un procedimento di prevenzione personale non solo nei confronti di indiziati di appartenenza alla mafia bensì anche nei confronti di delinquenti comuni (art. 1, nn. 1 e 2 della legge n. 1423/1956)
L’art. 19, comma 1, della l. n. 152/1975 stabilisce che le disposizioni della l. n. 575/1965 si applicano anche alle persone indicate nell’art. 1, numeri 1) e 2) della legge 1423/1965, ovvero a coloro che debba ritenersi siano abitualmente dediti a traffici delittuosi o vivano abitualmente con i proventi di attività illecite.
Alle stesse esigenze di coordinamento rispondono le modifiche introdotte dall’articolo 2, in cui si propone una riformulazione dell’art. 14, comma 1, della l. n. 55 del 1990.
Il citatoart. 14, comma 1, prevede l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale e di quelle a tutela dei rapporti i con la P.A. di cui alla legge n. 575/1965, oltre che ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni di stampo mafioso o finalizzate al traffico di stupefacenti, anche ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) del primo comma dell'art. 1 della l.n. 1423/1956 (v. ante), quando l'attività delittuosa da cui si ritiene derivino i proventi sia una di quelle previste dagli articoli 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601(tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi), 629 (estorsione), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione), 644 (usura), 648-bis (riciclaggio) o 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale, ovvero quella di contrabbando.
Il nuovo art. 14, comma 1, della legge 55/1990 circoscrive l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione antimafia (sia personali che patrimoniali) ai soli illeciti commessi, normalmente, con le modalità dell’associazione a delinquere di tipo mafioso; sono espunti, pertanto, dalla disposizione i reati di cui all’art. 600, 601 e 602 del codice penale (illeciti per cui è prevista l’associazione a delinquere “semplice” di cui all’art. 416 c.p.), mentre vengono contemplati i reati di ricettazione produzione e traffico illecito di stupefacenti (con esclusione dell’ipotesi della particolare tenuità del fatto) e di contrabbando aggravato. Rispetto alla norma ora vigente, la nuova disposizione fa poi ricorso al concetto di abitualità nella commissione del reato.
Si osserva che il testo dell’articolo in esame contiene un riferimento anche all’art. 644-bis del codice penale, in cui si disciplinava il reato di usura impropria, abrogato dalla legge n.108 del 1996.
Allo stesso art. 14 della legge n. 55/1990 vengono, inoltre, aggiunti due ulteriori commi:
§ il comma 1-bis in cui, conformemente a quanto disposto all’articolo 1 della proposta di legge, si attribuisce il potere di proporre la applicazione delle misure di prevenzione al procuratore nazionale antimafia, al procuratore distrettuale antimafia e al questore;
§ il comma 1-ter che, invece, assegna al procuratore presso il tribunale circondariale e al questore la competenza a proporre l’applicazione delle misure di prevenzione nelle ipotesi di reati commessi da delinquenti comuni.
L’articolo 4 della proposta di legge, infine, dispone la applicazione della ordinaria disciplina del codice di procedura penale (di cui agli artt. 54, 54-bis, 54-ter) alle ipotesi di conflitto tra pubblici ministeri sulla competenza in materia di misure di prevenzione.
I conflitti di competenza possono essere negativi (art. 54 c.p.p.) o positivi (art. 54-bis c.p.p.): la prima fattispecie ricorre qualora sia il p.m. che trasmette gli atti alla procura che ritienecompetente, sia quello che li riceve, declinano la titolarità della funzione inquirente in relazione al procedimento; i conflitti positivi, viceversa, si verificano quando il p.m. richiede la trasmissione degli atti da altro ufficio inquirente e questo rivendichi la sua competenza sul procedimento.
In entrambi i casi, il conflitto è risolto dal procuratore generale presso la Corte d’appello (nella ipotesi di contrasto tra uffici dello stesso distretto) o dal procuratore generale presso la Corte di cassazione (nella ipotesi di contrasto tra uffici giudiziari di distretti diversi). La decisione è adottata con decreto motivato, ha validità soltanto in relazione alle indagini preliminari e, pur vincolando a procedere il p.m. designato, può essere modificata in presenza di situazioni nuove che rendano giustificabile una valutazione differente. Restano comunque validi e sono utilizzabili in giudizio, secondo le regole generali del codice, gli atti di indagine già compiuti.
In caso di conflitto positivo, l’art. 54-bis c.p.p. contempla l’eventualità di risoluzione anticipata quando, prima della decisione del procuratore generale, uno degli uffici di procura procedenti aderisca alla richiesta dell’altro ufficio, trasmettendo spontaneamente gli atti del procedimento.
L’art. 54-ter disciplina l’ipotesi di contrasto tra pubblici ministeri sulla titolarità delle indagini relative ai reati di cui all’art. 51-bis, comma 3, c.p.p. (si tratta dei reati ordinariamente commessi con le modalità dell’associazione a delinquere di tipo mafioso o ad essa assimilabile). Il conflitto che si verifica tra due diverse direzioni distrettuali antimafia viene risolto dal procuratore generale presso la cassazione, mentre quello infradistrettuale tra uffici del p.m. presso diversi tribunali circondariali viene risolto dal procuratore generale presso la Corte d’appello.
N. 3577
¾
CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
|
PROPOSTA DI LEGGE |
|
d’iniziativa dei deputati LUMIA, BONITO, BOVA, DIANA, FILIPPESCHI, FINOCCHIARO, LEONI, LUCIDI, MINNITI, VIOLANTE ¾ |
|
Modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, in materia di azione di prevenzione patrimoniale e attribuzioni del procuratore nazionale e del procuratore distrettuale antimafia |
|
¾¾¾¾¾¾¾¾
Presentata il 23 gennaio 2003
¾¾¾¾¾¾¾¾
Onorevoli Colleghi! - La consapevolezza della centralità del contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata e mafiosa deve continuare ad impegnare le istituzioni e la società civile nella continua ricerca degli strumenti più moderni ed efficaci per colpire le ricchezze accumulate dalla mafia.
A tale riguardo, significative, sono state le iniziative promosse dal Parlamento e dal Governo nel corso della XIII legislatura, al fine di aggiornare e definire concrete proposte di riforma dell'apparato normativo del contrasto patrimoniale alle mafie, anche sulla scorta dell'esperienza e dell'opera delle organizzazioni e dei soggetti del volontariato oltreché degli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina.
In tale quadro vanno considerati i contributi di analisi e di elaborazione proposti dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare della XIII legislatura nelle relazioni presentate al Parlamento e approvate quasi sempre all'unanimità.
Fondamentale, poi, è stato il lavoro della Commissione per la ricognizione e il riordino della normativa di contrasto alla criminalità organizzata, presieduta del professore Giovanni Fiandaca, e istituita con decreto del Ministro della giustizia, professore Giovanni Maria Flick, il 15 ottobre 1998. Parte di quel lavoro, peraltro, è già all'attenzione del Parlamento in virtù della proposta di legge recante "Nuove disposizioni contro la mafia" (atto Camera n. 2779), mirata alla riforma dell'articolo 416-bis (associazione di tipo mafioso) e dell'articolo 416-ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso) e dell'articolo 12-sexies (ipotesi particolari di confisca) del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356 del 1992, anch'essa di iniziativa del gruppo Democratici di sinistra-Ulivo.
Anche la Direzione nazionale antimafia, ha recentemente avanzato alcune ipotesi di integrazione e di modifica della normativa vigente, con riguardo all'esercizio dell'azione di prevenzione patrimoniale e ai soggetti ad essa legittimati.
Si tratta di soluzioni auspicate dalla magistratura e ampiamente condivise dalla dottrina, ma è di particolare rilievo il fatto che quella autorità giudiziaria, forte di un osservatorio privilegiato sul fenomeno e ricca di efficaci esperienze di contrasto alle mafie, abbia ritenuto di formalizzare e di raccomandarle all'attenzione del legislatore.
Con la presente proposta di legge, che fa proprio il lavoro svolto dalla Direzione nazionale antimafia, riteniamo di offrire al Parlamento una valida base di discussione al fine di dare veste normativa a innovazioni necessarie per dare risposta adeguata alle esigenze di riforma del settore.
In virtù di tale riconoscimento, la relazione illustrativa dell'articolato fa espresso riferimento al testo redatto dalla Direzione nazionale antimafia.
Modifica dell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
Venendo al merito specifico delle modifiche legislative, va anzitutto proposta la fondamentale modifica dell'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
La certezza che la nuova frontiera del contrasto alla criminalità organizzata è costituita dall'aggressione dei patrimoni illeciti deve indurre il legislatore a operare scelte che incidano profondamente anche nel sistema dei princìpi. In quest'ottica, proprio per sperimentare l'impegno di tutte le forze politiche che siedono in Parlamento nel contrasto alla criminalità organizzata, è necessario affermare esplicitamente nel sistema normativo delle misure di prevenzione un principio di fondamentale rilevanza, cioè quello dell'obbligatorietà dell'azione di prevenzione che, al pari dell'obbligatorietà dell'azione penale, non lascerebbe spazio al pubblico ministero per scelte discrezionali nell'intervento di prevenzione sia personale che patrimoniale.
L'azione di prevenzione dovrebbe dunque essere esercitata obbligatoriamente e d'ufficio nei confronti degli indiziati dei reati tassativamente indicati alla medesima disposizione.
Una ulteriore modifica dell'articolo 1 attiene alle figure di reato per le quali è obbligatoria l'azione di prevenzione.
Si propone così non solo il riordino dell'elenco dei reati inserendo nella disposizione originaria dell'articolo 1 anche quelli indicati in altre disposizioni normative, ma se ne aggiungono altri, idonei, secondo la comune esperienza, a generare e accumulare ricchezza illecita. In effetti si tratta di fattispecie già inserite dal legislatore nell'elenco dei reati alla cui condanna, in presenza di altri presupposti, consegue l'applicazione della confisca prevista dall'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni.
Si elencano dunque, oltre a tutti i reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale (i cosiddetti delitti di criminalità organizzata) il reato di associazione per finalità di contrabbando; il reato di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge n. 356 del 1992 citato; i reati commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale; gli altri reati relativi agli stupefacenti e al contrabbando.
Modifica all'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
La seconda modifica riguarda l'attribuzione al procuratore distrettuale antimafia del potere di proposta della misura di prevenzione personale, che ovviamente potrà essere esercitato in relazione ai reati per i quali egli già può svolgere indagini ai sensi dell'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.
Una siffatta innovazione risponde anche a ragioni sistematiche, essendo già previsto il potere di proposta del procuratore nazionale. Ovviamente il potere del procuratore nazionale e di quello distrettuale dovrà essere esercitato d'intesa tra loro per evidenti ragioni di coordinamento e di razionalizzazione delle iniziative.
Modifiche agli articoli 2-bis, 2-ter, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 10-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
Una ratio sostanzialmente identica ispira la proposta di modifica all'articolo 2-bis. Non si comprende infatti per quale ragione non sia stato affidato al procuratore nazionale antimafia il potere di proporre l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali dal momento che gli è stato attribuito il potere di proposta della misura di prevenzione personale. L'esclusione è apparsa priva di ragionevolezza anche alla più autorevole dottrina(cfr. P. V. Molinari- "Titolari dell'azione di prevenzione con riferimento alle misure patrimoniali. Il procuratore nazionale antimafia dimezzato ?" - in Cass. Pen. 1998, 607, pagg. 964 e segg.). Così come irragionevole è apparsa, alla luce della logica che ha ispirato l'istituzione delle direzioni distrettuali antimafia, l'esclusione del procuratore distrettuale antimafia dal novero delle autorità legittimate ad avanzare la proposta di applicazione delle misure di prevenzione.
Si è ritenuto, perciò, sia per le ragioni sistematiche esposte sia per la necessità di rendere più frequente e più incisivo l'uso di tale strumento di contrasto alla criminalità organizzata, di inserire fra le autorità legittimate a propone l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali il procuratore nazionale antimafia e il procuratore distrettuale antimafia, ai quali, per ragioni funzionali all'esercizio del potere loro affidato, deve anche essere attribuito il potere di svolgere le necessarie indagini patrimoniali finalizzate, appunto, alla individuazione dei patrimoni illeciti.
La corrispondente modifica dovrà apportarsi conseguentemente alle disposizioni di cui agli articoli 2-ter, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 10-quater.
Invero, l'esclusione del procuratore nazionale antimafia dal novero dei soggetti legittimati a promuovere l'azione di prevenzione in materia patrimoniale appare ancora più irragionevole solo che si tenga conto che al suo ufficio affluiscono tutte le informazioni in materia di criminalità organizzata ed esso, già per tale sola ragione, può ritenersi l'ufficio più idoneo per l'individuazione dei patrimoni illecitamente accumulati.
Non possono di certo condividersi le critiche e le preoccupazioni di coloro i quali ritengono che attribuendo simili poteri al procuratore nazionale antimafia si creerebbe un ufficio del pubblico ministero centralizzato e invasivo rispetto agli uffici di procura periferici.
A tal proposito va osservato che i rilievi mossi sono davvero infondati sia perché non tengono conto del fatto che nel sistema normativo vigente la titolarità della richiesta delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali) e il potere di svolgere indagini e accertamenti è attribuito, oltre che al procuratore della Repubblica presso il tribunale del circondario dove dimora abitualmente la persona per la quale si richiede la misura di prevenzione, al questore competente per territorio, e finora nessuno ha ritenuto invasivo, rispetto agli uffici di procura, il potere di indagine e di richiesta attribuito ad un organo di polizia, né di ciò qualcuno si è mai lamentato, sia perché il procuratore nazionale antimafia, lungi dall'invadere la sfera delle attribuzioni delle procure ordinarie e distrettuali, potrebbe esercitare la propria funzione di coordinamento anche nella materia delle misure di prevenzione, coordinando appunto l'attività di tali procure sia nella fase acquisitiva di tutti gli elementi conoscitivi necessari per la formulazione della proposta sia nella fase di presentazione della stessa, svolgendo in tal modo anche una funzione di "supporto" degli uffici periferici del pubblico ministero.
L'esercizio di tale funzione appare quanto mai necessario rispetto a quegli uffici giudiziari che, per carenze di organico o per gli assorbenti impegni sul versante della repressione penale, non sono in grado di dedicare l'attenzione che merita al versante della prevenzione.
Il sistema delineato assicurerebbe una completa e tempestiva attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta contestualmente sul duplice fronte dell'esercizio dell'azione penale e della promozione dell'azione di prevenzione da parte degli uffici di procura e della direzione nazionale antimafia, secondo le rispettive attribuzioni.
L'approvazione della modifica proposta consentirebbe di disporre di uno strumento che, coordinato con quello dei procuratori distrettuali e con quello di cui già fruiscono i procuratori della Repubblica e i questori, potrebbe incrementare considerevolmente l'acquisizione delle ricchezze mafiose che, com'è noto, esplicano un "effetto attrattivo" verso le cosche - specie in contesti caratterizzati da grave disagio sociale - ed inquinano l'economia legale.
In ordine poi al rilievo secondo cui sarebbe inopportuno attribuire al procuratore nazionale antimafia il potere di svolgere le indagini finalizzate alla proposta della misura di prevenzione, derivando da una simile attribuzione una centralizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, si osserva che le cosiddette "indagini patrimoniali" finalizzate alle misure di prevenzione sono cosa diversa dalle "indagini preliminari" e con esse non possono essere assolutamente confuse.
Le indagini patrimoniali da svolgere per l'individuazione dei patrimoni illeciti, in realtà, hanno natura di "accertamenti", e questi vengono espletati, tranne alcuni casi come il sequestro di documentazione, con forme e modalità diverse dagli atti di indagine previsti dal codice di procedura penale.
Resta comunque il fatto che molti degli "accertamenti patrimoniali" (ad esempio l'accesso ai dati e alle informazioni delle conservatorie dei registri immobiliari, della Motorizzazione civile, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dell'Anagrafe tributaria, eccetera) già ora non sono affatto preclusi al procuratore nazionale antimafia, il quale può effettuarli, per il coordinamento investigativo e per la repressione dei reati, ai sensi dell'articolo 371-bis, comma 3, lettera c), del codice di procedura penale, attraverso l'acquisizione e l'elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata.
Senza dire, poi, che l'intervento della direzione nazionale antimafia nel settore potrebbe rivelarsi particolarmente utile non soltanto come "supplenza", laddove la magistratura impegnata nel settore penale è costretta a trascurare quello della prevenzione, ma anche nella individuazione dei beni che, pur nella disponibilità di un medesimo soggetto, si possono trovare in luoghi diversi. E ciò in virtù proprio della "competenza" della direzione nazionale antimafia estesa su tutto il territorio nazionale.
Modifica all'articolo 2-ter, primo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
Si propone, infine, la modifica dell'articolo 2-ter, primo comma, nella parte in cui esso stabilisce che "il tribunale, ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma dell'articolo precedente".
La formulazione proposta è nel senso che il tribunale, ove necessario, "può indicare al pubblico ministero ulteriori indagini, oltre quelle già compiute ai sensi dell'articolo 2-bis, fissando il termine entro il quale esse devono essere svolte".
La modifica servirebbe non soltanto a snellire il procedimento ma a modellare la vigente disposizione del procedimento di prevenzione, che com'è noto si svolge in camera di consiglio, al paradigma processuale del nuovo codice di procedura penale, e più precisamente alla disposizione prevista dall'articolo 421-bis dello stesso codice, in virtù della quale il giudice dell'udienza preliminare può ordinare l'integrazione delle indagini preliminari indicando al pubblico ministero quelle ulteriori da svolgere, fissando il termine per il loro compimento, e alla disposizione di cui all'articolo 409, comma 4, del medesimo codice, a mente della quale il giudice per le indagini preliminari, a seguito della udienza fissata per decidere sulla richiesta di archiviazione non immediatamente accolta, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il compimento di esse.
Infatti, nel nuovo processo penale, tranne specifici e tassativi casi di integrazione probatoria affidata al giudice (articoli 422 e 507 del codice di procedura penale), il potere di svolgere indagini è affidato esclusivamente al pubblico ministero.
L'intervento proposto si rende, dunque, necessario per coordinare e rendere più coerente il sistema complessivo, essendo evidente che il legislatore nel formulare il testo vigente si è ispirato all'impianto del previgente codice di procedura penale.
proposta di legge ¾¾¾
|
Art. 1.
1. L'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
"Art. 1. - 1. L'azione di prevenzione è obbligatoria e si esercita d'ufficio, ai sensi delle disposizioni di cui alla presente legge, nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso. 2. La presente legge si applica anche nei confronti degli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, alle associazioni di cui all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, introdotto dall'articolo 1 della legge 19 marzo 2001, n. 92; degli indiziati dei reati di cui agli articoli 629, 630, 644, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648-ter del codice penale, e all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero di taluno dei delitti commessi per finalita di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale; di taluno dei delitti previsti dagli articoli 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; di taluno dei delitti in materia di contrabbando, nei casi di cui all'articolo 291-ter, comma 2, e nei casi di cui all'articolo 295, secondo comma, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni; di taluno degli altri reati indicati all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale".
Art. 2.
1. All'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, dopo le parole: "possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia," sono inserite le seguenti: "dal procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 3.
1. All'articolo 2-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono premesse le seguenti parole: "Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore distrettuale antimafia,";
b) al comma 4, dopo le parole: "sottratti od alienati," sono inserite le seguenti: "il procuratore nazionale antimafia, il procuratore distrettuale antimafia,";
c) al comma 6 sono premesse le seguenti parole: "Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 4.
1. All'articolo 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole da: "può procedere" fino alla fine del comma, sono sostituite dalle seguenti: "può indicare al pubblico ministero ulteriori indagini, oltre quelle già compiute ai sensi dell'articolo 2-bis, fissando il termine entro il quale esse devono essere svolte";
b) al secondo comma, secondo periodo, dopo le parole: "A richiesta" sono inserite le seguenti: "del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia,";
c) al sesto comma, primo periodo, dopo le parole: "su richiesta" sono inserite le seguenti: "del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia,";
d) al settimo comma, dopo le parole: "su proposta" sono inserite le seguenti: "del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 5.
1. Al settimo comma dell'articolo 3-bis della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo le parole: "su richiesta" sono inserite le seguenti: "del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 6.
1. Al primo comma dell'articolo 3-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo le parole: "al procuratore generale presso la corte di appello," sono inserite le seguenti: "al procuratore nazionale antimafia, al procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 7.
1. All'articolo 3-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: "non ricorrono i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui all'articolo 2" sono inserite le seguenti: "il procuratore nazionale antimafia, il procuratore distrettuale antimafia,";
b) al comma 5, dopo le parole: "sottratti o alienati" sono inserite le seguenti: "il procuratore nazionale antimafia, il procuratore distrettuale antimafia,".
Art. 8.
1. Al secondo comma dell'articolo 10-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, dopo le parole: "su richiesta" sono inserite: "del procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia,".
|
N. 733
¾
CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
|
PROPOSTA DI LEGGE |
|
d’iniziativa del deputato SINISCALCHI ¾ |
|
Modifiche alla legislazione in materia di misure di prevenzione antimafia |
|
¾¾¾¾¾¾¾¾
Presentata il 12 giugno 2001
¾¾¾¾¾¾¾¾
Onorevoli Colleghi! - L'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, attribuisce la funzione di avviare il procedimento di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o similari:
al Procuratore nazionale antimafia;
al questore nella cui provincia dimora la persona interessata;
al procuratore della Repubblica nel cui circondario dimora la persona interessata.
Tale norma, però, nella parte in cui attribuisce al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona interessata la competenza a promuovere il procedimento, anziché al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto in cui dimora tale persona, benché sia stata introdotta successivamente al decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8, rivela un manifesto difetto di coordinamento con la normativa portata da questi ultimi provvedimenti legislativi e, in particolare, con l'attribuzione, da parte del comma 3-bis dell'articolo 51 del codice di procedura penale, al procuratore distrettuale della Repubblica delle funzioni di pubblico ministero in tutti i procedimenti penali per i delitti di stampo mafioso.
Non v'è chi non veda come l'attribuzione della funzione di promuovere il procedimento di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale ad un pubblico ministero diverso da quello cui è attribuita la funzione di promuovere il procedimento penale per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per tutti i delitti di stampo mafioso sia contraria ad ogni logica organizzativa e ordinamentale e, dunque, concretamente suscettibile di compromettere l'efficacia dell'azione di prevenzione criminale degli organi del pubblico ministero e, dunque, della complessiva risposta dello Stato ai poteri criminali "forti".
Di norma, invero, gli elementi di fatto, sulla cui base viene formulata la proposta di applicazione di misure di prevenzione, emergono nel corso delle indagini preliminari concernenti i delitti di stampo mafioso e sono, quindi, proprio nella fase in cui è più importante il ricorso al procedimento di prevenzione, nella disponibilità del procuratore distrettuale della Repubblica, il quale da nessuna norma è obbligato a comunicarli - se non nel caso, solo eventuale, disciplinato dall'articolo 23-bis, commi 1 e 2, della legge 13 settembre 1982, n. 646, in cui le indagini sfocino in un'imputazione che abbia per oggetto il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale o quello di cui all'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (articolo 23-bis, commi 1 e 2, della legge n. 646 del 1982) - al procuratore della Repubblica competente per il promuovimento del procedimento di prevenzione che eserciti le sue funzioni presso un tribunale con sede in un capoluogo di circondario che non sia anche capoluogo di distretto.
Né tale discrasia può trovare adeguato bilanciamento nella attribuzione - frutto della sostituzione dell'articolo 2 della legge n. 575 del 1965 ad opera dell'articolo 22, comma 01, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 - del potere di promuovere il procedimento di prevenzione anche al Procuratore nazionale antimafia, giacché tale potere - peraltro assai spurio se si considerano la struttura di tale organo e le sue funzioni di alto coordinamento e, solo in casi eccezionali, di supplenza, organizzativa o processuale, dell'attività dei procuratori distrettuali della Repubblica - riguarda solo le misure personali e non anche le misure patrimoniali di prevenzione, come è facilmente desumibile dal fatto che, a differenza di quanto disposto dall'articolo 2 della legge n. 575 del 1965, di tale organo nessuna menzione v'è nelle norme, pur modificate o introdotte dal citato decreto-legge n. 306 del 1992, concernenti tale ultimo tipo di misure (articoli 2-bis, 2-ter e 3-quater della citata legge n. 575 del 1965).
Sulla base di analoghe considerazioni, il tribunale di Napoli ha di recente ripetutamente rilevato la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, appunto nella parte in cui attribuisce la funzione di promuovere il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali previste dalla legislazione antimafia al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del circondario, anziché al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto, in cui dimora la persona interessata, opinando il contrasto di tale norma con il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e con quello di buon andamento della pubblica amministrazione; e le relative ordinanze, pronunziate in data 28 aprile, 5 maggio e 22 settembre 1995, sono state pubblicate, le prime due, nella Gazzetta Ufficiale n. 214 del 13 settembre 1995, e l'ultima, nella Gazzetta Ufficiale n. 285 del 6 dicembre 1995.
La irragionevolezza di tale disciplina mi pare, però, tanto grave ed evidente da indurmi a proporre, prima ed al di là di quelle che saranno le valutazioni della Corte costituzionale, la modifica legislativa di cui all'articolo 1, che, attibuendo ai cosiddetti procuratori distrettuali antimafia il potere di proposta in materia di misure di prevenzione antimafia ora di spettanza dei procuratori della Repubblica presso i tribunali nel cui circondario dimora la persona interessata, sarebbe in grado di superare i problemi pratici e giuridici che l'attuale disciplina pone, nonché la prospettata questione di costituzionalità.
Le modifiche proposte con l'articolo 1, così come l'eventuale accoglimento da parte della Corte costituzionale della questione di costituzionalità sopra esposta, comporterebbero, però, per effetto del rinvio alla legge 31 maggio 1965, n. 575, disposto dall'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, l'attribuzione ai cosiddetti procuratori distrettuali antimafia del compito di promuovere l'applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, cioè di soggetti che spesso nulla hanno da spartire con le associazioni di tipo mafioso.
Per evitare ciò, e per armonizzare l'ambito delle attribuzioni in materia di misure di prevenzione dei cosiddetti procuratori distrettuali antimafia con le funzioni a questi ultimi spettanti in materia penale (v. articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale) e conservare ai procuratori della Repubblica che esercitano le loro funzioni presso tribunali che non hanno sede nei capoluoghi dei distretti di corte di appello le attribuzioni in materia di misure di prevenzione nei confronti dei delinquenti comuni - fatta eccezione per quelli di cui al n. 3) dell'articolo 1 della legge n. 1423 del 1956, che già oggi possono essere proposti solo dai questori - si propongono, all'articolo 3, l'abrogazione del primo comma dell'articolo 19 della legge n. 152 del 1975, e le modifiche di cui all'articolo 2, le quali, inoltre, hanno lo scopo di circoscrivere l'applicabilità della disciplina in materia di misure di prevenzione antimafia ai soli soggetti nei cui confronti ricorrano "indici di mafiosità", che s'è ritenuto di dover ravvisare (in armonia con quanto avvenuto con l'introduzione, ad opera dell'articolo 2 del decreto-legge 20 giugno 1994, n. 399, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 501, dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) nella sussistenza di indizi di dedizione a talune attività delittuose di norma rientranti tra quelle svolte dalle associazioni di tipo mafioso, cioè: l'estorsione; il sequestro di persona a scopo di estorsione; l'usura; l'usura impropria; la ricettazione di non lieve entità; il riciclaggio; il traffico di non lieve entità di sostanze stupefacenti; il contrabbando aggravato.
Quanto a quest'ultimo punto va, infatti, rilevato che la vigente disciplina, ricavabile dall'articolo 14, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55, non consente l'applicazione delle misure patrimoniali di prevenzione - e, in particolare, del sequestro e della confisca previsti dall'articolo 2-ter della legge n. 575 del 1965 - nei confronti di chi sia dedito ad attività usuraie, in tal modo mettendo in luce una grave lacuna, oltre che una palese incongruità in rapporto a quanto disposto dall'articolo 12-sexies citato.
Infine, onde superare i problemi pratici e giuridici che potrebbero derivare dal nuovo riparto di attribuzioni tra gli uffici del pubblico ministero in materia di misure di prevenzione, e che già derivavano dalla prevalente opinione giurisprudenziale secondo cui, in subiecta materia, l'incompetenza territoriale del pubblico ministero proponente sarebbe causa di nullità o di inammissibilità della proposta, con l'articolo 4 si propone di estendere al procedimento di prevenzione la disciplina in materia di contrasti tra pubblici ministeri dettata dal codice di procedura penale.
In tal modo dovrebbe risultare chiaro che, anche in materia di misura di prevenzione, solo per il giudice si può parlare di "competenza" e che l'eventuale "incompetenza" del pubblico ministero proponente non è causa di nullità degli atti di indagine preliminari alla proposta né della medesima proposta.
proposta di legge ¾¾¾
|
Art. 1. 1. All'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, le parole: "nel cui circondario" sono sostituite dalle seguenti: "che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello in cui".
Art. 2. 1. Il comma 1 dell'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modificazioni, è sostituito dai seguenti:
"1. Le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche ai soggetti indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ed ai soggetti indicati nei numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, quando i traffici delittuosi cui si ritiene siano abitualmente dediti o le attività delittuose con cui si ritiene vivano abitualmente rientrino nella previsione degli articoli 629, 630, 644, 644-bis, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis o 648-ter del codice penale ovvero dell'articolo 295, secondo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, o dell'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, esclusa la fattispecie di cui al quinto comma. 1-bis. L'applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 è proposta dal Procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d'appello o dal questore della provincia in cui dimora l'interessato quando si possa ritenere che costui si avvalga delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale o agisca al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste da tale articolo ovvero quando appartenga ad un'associazione finalizzata alla commissione di delitti in materia di sostanze stupefacenti ovvero viva abitualmente, anche in parte, con i proventi dell'attività delittuosa di cui all'articolo 630 del codice penale. 1-ter. Fuori dai casi previsti dal comma 1-bis, l'applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, è proposta dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario o dal questore nella cui provincia dimora la persona interessata".
Art. 3. 1. Il primo comma dell'articolo 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive modificazioni, è abrogato.
Art. 4. 1. Ai contrasti tra procuratori della Repubblica in materia di misure di prevenzione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 54, 54-bis e 54-ter del codice di procedura penale. |
N. 4758
¾
CAMERA DEI DEPUTATI ¾¾¾¾¾¾¾¾ |
|
PROPOSTA DI LEGGE |
|
d’iniziativa del deputato FRAGALA’ ¾ |
|
Modifica all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, in materia di misure di prevenzione |
|
¾¾¾¾¾¾¾¾
Presentata il26 febbraio 2004
¾¾¾¾¾¾¾¾
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge interviene sulla normativa che disciplina le misure di prevenzione, colmando una lacuna che si traduce in una palese ingiustizia a danno di tutti quei cittadini che sono sottoposti a tali misure sebbene in sede penale siano stati prosciolti dall'accusa di appartenere ad associazioni di stampo mafioso. Secondo la normativa vigente, la sentenza di assoluzione non determina alcun effetto estintivo della misura di prevenzione neanche nei casi in cui questa si basa sugli stessi fatti che hanno portato il giudice penale a pronunciare sentenza di proscioglimento.
Le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 18 del 17 luglio 1996, hanno ribadito che, stante l'autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale, non può affermarsi l'assorbente rilevanza della sentenza di assoluzione dell'imputato dal delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale nel procedimento di prevenzione, nel quale gli indizi di affiliazione ad un «clan mafioso» e l'indimostrata liceità dell'appartenenza dei beni possono essere desunti anche dagli stessi fatti storici in ordine ai quali è stata esclusa la configurabilità di illiceità penale ovvero da altri, acquisiti o autonomamente desunti nel giudizio di prevenzione.
Tale tesi non è condivisibile poiché, se è vero che si basa su un corretto assunto, quale è quello della diversità dei presupposti e dei fini del procedimento penale rispetto a quello di prevenzione, è pur vero che questo viene portato alle sue estreme conseguenze (assoluta autonomia) senza tenere conto di quei princìpi costituzionali ai quali invece deve sempre sottostare ogni limitazione della sfera personale e patrimoniale della persona da parte dello Stato. In nessuno Stato democratico può ammettersi che una persona per uno stesso fatto sia riconosciuta, per mezzo di una sentenza penale, innocente e, allo stesso tempo, «ritenuta» pericolosa e, quindi, meritevole dell'applicazione di una misura di prevenzione. È evidente che in questo caso tale misura dovrebbe essere revocata.
Sia ben chiaro che non si intendono assolutamente negare la peculiarità dello strumento delle misure di prevenzione rispetto allo strumento penale e il ruolo da questo svolto nella lotta alla criminalità organizzata, quanto piuttosto sottolineare l'esigenza che anche le citate misure siano sottoposte, sotto ogni loro profilo, ai princìpi costituzionali. Si tratta di strumenti diversi: nella logica del sistema alle misure di prevenzione spetta la funzione di impedire il compimento di reati, mentre al diritto penale spetta quella repressiva in riferimento a reati già posti in essere. Le misure di prevenzione, infatti, sono interventi considerati tradizionalmente - e formalmente - di carattere amministrativo, sebbene abbiano per più versi ormai subìto un netto processo di giurisdizionalizzazione, che ha condotto parte della dottrina a configurarle sostanzialmente come «sanzioni penali anomale» volte ad impedire che determinati soggetti, ritenuti socialmente pericolosi, commettano reati. La caratteristica propria di tali misure è pertanto quella di venire applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato.
Da questa innegabile diversità di funzioni si fa correttamente derivare l'autonomia dei procedimenti. Tuttavia, non è corretto considerare assoluta questa autonomia, dovendo essa incontrare dei limiti ben precisi. Proprio l'individuazione di questi limiti costituisce l'oggetto della presente proposta di legge.
Come ha più volte ribadito la Corte di cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza n. 1706 del 16 luglio 1967), autonomia significa, da un lato, che la responsabilità penale per un reato deve essere fondata su prove piene, che sono tali anche se di natura indiretta (indiziaria, secondo la comune definizione), in quanto gli indizi devono condurre ad un giudizio di certezza sul fatto e, dall'altro, che la misura di prevenzione può prescindere dall'accertamento della responsabilità penale per un reato, avendo come presupposto la pericolosità, comune o qualificata, del soggetto, la quale richiede un giudizio essenzialmente prognostico rapportato a determinati parametri. La circostanza che questo giudizio si fonda su elementi con minore efficacia probatoria rispetto a quelli penali significa comunque - è la Corte di cassazione a stabilirlo - che, qualora si tratti di pericolosità qualificata dall'appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso, tali elementi devono raggiungere la consistenza dell'indizio con esclusione, quindi, di sospetti, congetture e illazioni. In sostanza, anche le misure di prevenzione devono avere una giustificazione di carattere oggettivo. Si ricorda, infatti, che ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, le misure di prevenzione si devono ancorare su elementi di fatto dai quali poter desumere la pericolosità del destinatario. Ne consegue che è sufficiente, ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente all'associazione stessa. Ma in uno Stato di diritto non si può ammettere che tale probabilità sussista anche a fronte di una sentenza di assoluzione. L'autonomia tra i due procedimenti deve venire meno quando si accerta con sentenza l'innocenza del soggetto sottoposto a misure di prevenzione in quanto presunto pericoloso: in questo caso vengono meno tutti gli elementi sui quali poter basare una prognosi positiva di pericolosità del soggetto. Solamente finché tale accertamento non è stato raggiunto è corretto considerare autonomi il procedimento penale e quello delle misure di prevenzione. Dopo tale momento l'autonomia si traduce in una ingiustizia.
L'esigenza di modificare la normativa vigente in conformità a quanto esposto è stata condivisa anche dal Governo, come risulta dalla risposta ad una interrogazione parlamentare su una grave vicenda della quale è stata vittima il signor Alberto Di Pietra, al quale, per quanto risultato innocente con sentenza, non sono state revocate le misure di prevenzione alle quali è stato sottoposto. Come si legge nel resoconto dei lavori parlamentari, il rappresentante del Governo ha affermato, in relazione alle ingiustizie subite dal signor Di Pietra, che «è evidente il contrasto di giudicati e la opportunità di un intervento di riforma normativa al fine di impedire che un cittadino subisca un procedimento di misura di prevenzione patrimoniale e personale anche quando le accuse a lui rivolte vengano riconosciute infondate» (Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 2 dicembre 2003).
La proposta di legge, pertanto, modifica la legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante «Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità», e la legge 31 maggio 1965, n. 575, recante «Disposizioni contro la mafia», stabilendo il principio in base al quale dalla sentenza di assoluzione del soggetto sottoposto a misure di prevenzione deve derivare la cessazione degli effetti di queste, qualora esse trovino fondamento sui fatti per i quali è stato pronunciato il proscioglimento.
proposta di legge ¾¾¾
|
Art. 1. 1. All'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «I provvedimenti previsti dalla presente legge cessano di avere efficacia se per i fatti per i quali sono stati emessi è stata pronunciata sentenza di proscioglimento». 2. All'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «I provvedimenti previsti dalla presente legge cessano di avere efficacia se per i fatti per i quali sono stati emessi è stata pronunciata sentenza di proscioglimento».
|