XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | Le privatizzazioni in Italia | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 103 | ||
Data: | 28/09/04 | ||
Abstract: | Schede di lettura sulle privatizzazioni in Italia | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione |
Servizio studi |
documentazione e ricerche |
Le privatizzazioni in Italia |
n. 103 |
xiv legislatura 28 settembre 2004
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Camera dei deputati
SIWEB
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FILE: BI0533
I N D I C E
2. La normativa generale sulle privatizzazioni. Le leggi degli anni 1992-1994
3.1 La società Patrimonio dello Stato S.p.A.
3.2 La società Infrastrutture S.p.a.
4. Le modalità di cessione delle partecipazioni azionarie
5.1 L’introduzione della golden share: il decreto-legge n. 332/1994
5.2 La golden share e l’ordinamento comunitario.
5.4 La sentenza della Corte di Giustizia
5.5 La seconda procedura di infrazione
5.6 La riforma della golden share nella legge finanziaria per il 2004
5.7 I criteri per l’esercizio della golden share: il D.P.C.M. 10 giugno 2004
6.1 La trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni. Le linee fondamentali
6.2 Le attività della Cassa depositi e prestiti S.p.A.
6.3 Gli assetti organizzativi e patrimoniali della Cassa depositi e prestiti S.p.A.
6.4 La cessione di partecipazioni dello Stato alla Cassa depositi e prestiti S.p.A.
7. Il riordino delle partecipazioni nel Mezzogiorno. Sviluppo Italia
8. Le operazioni di privatizzazione effettuate: anni 1992-2003
8.1 Le operazioni di dismissione di partecipazioni dirette detenute dal Tesoro dal 1994
8.2 Le operazioni di dismissione delle partecipazioni dell’IRI dal 1992
9. Le partecipazioni detenute dal Ministero dell’economia e delle finanze
10. Il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato
Appendice – Le
privatizzazioni nel settore creditizio.
Le fondazioni bancarie
Il sistema economico italiano è stato caratterizzato per lungo tempo da una massiccia presenza dei soggetti pubblici e, in particolare, dello Stato.
Sotto il profilo giuridico, l’esercizio di attività di impresa da parte di enti pubblici è stato effettuato, principalmente, sotto tre diverse forme.
Un primo tipo è rappresentato dall’azienda o amministrazione autonoma. In questo caso l’impresa assume la forma di organo dell’amministrazione pubblica, e, specificamente, dell’amministrazione ministeriale, privo di una propria soggettività giuridica, ma dotato di particolari requisiti di autonomia rispetto all’amministrazione alla quale appartiene. Hanno rivestito la forma di amministrazioni autonome, prima della loro trasformazione, l’Azienda di Stato per i servizi telefonici, l’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, l’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.
La seconda forma di esercizio dell’attività di impresa da parte di soggetti pubblici è rappresentata dall’ente pubblico economico. Si tratta di un soggetto che, in relazione alla tipologia di attività svolta, di carattere imprenditoriale, ha propria personalità giuridica e, pertanto, è separato dall’amministrazione ministeriale. L’ordinamento dell’ente rimane, peraltro, di diritto pubblico e l’amministrazione ministeriale dispone di poteri di indirizzo e di controllo, che vengono esercitati attraverso atti pubblici. Sono stati enti pubblici economici, prima di essere trasformati in società per azioni, l’IRI, l’ENI, l’ENEL. Alcuni enti pubblici economici, come l’IRI o l’ENI, non esercitavano direttamente l’attività di impresa, ma avevano compiti di gestione di società per azioni da essi detenute o partecipate (enti di gestione o enti holding).
Gli enti pubblici, infine, hanno esercitato attività di impresa attraverso società per azioni da essi partecipate. In questo caso l’esercizio dell’attività di impresa avviene attraverso soggetti di diritto private e nelle forme disciplinate dal diritto privato; i poteri esercitati dall’ente pubblico sono quelli che discendono, in base al codice civile, dalla proprietà della partecipazione azionaria, in rapporto alla sua consistenza (totalitaria, di maggioranza, minoritaria).
Il processo di privatizzazione si è pertanto articolato in due fasi. In primo luogo, l’assunzione, da parte delle imprese che erano ordinate in forma pubblicistica, della veste giuridica di società per azioni (c.d. “privatizzazione formale”). Successivamente, la cessione a privati di una quota o della totalità della partecipazione detenuta dallo Stato (c.d. “privatizzazione sostanziale”).
Già nel corso degli anni ottanta sono state effettuate alcune importanti operazioni di privatizzazione. Tali operazioni, peraltro, si collocavano nell’ambito dell’attività di gestione dell’ente holding, che definiva le modalità di cessione e ne percepiva i proventi. Erano peraltro previsti significativi poteri di indirizzo e di approvazione da parte degli organi politici e, in particolare, una delibera di indirizzo del Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (CIPI).
Tra le operazioni di privatizzazione effettuate negli anni ottanta, le principali sono state rappresentate dalla cessione dell’Alfa Romeo, venduta dall’IRI alla FIAT (delibera CIPI 7 novembre 1986) e da quella del gruppo tessile Lanerossi, venduto dall’ENI al gruppo Marzotto (delibera CIPI 17 febbraio 1987).
Rispetto a queste operazioni, il processo di privatizzazioni che si è svolto nel corso degli anni novanta presenta caratteri di sostanziale novità, non soltanto sotto il profilo dell’entità delle operazioni effettuate.
In primo luogo viene definito un ampio quadro legislativo in materia di trasformazione degli enti pubblici economici e di individuazione delle modalità di cessione.
In secondo luogo è stato elaborato un programma ad ampio spettro di privatizzazioni, rispetto al quale ha assunto un ruolo fondamentale il Ministero del tesoro (poi Ministero dell’economia e delle finanze), in quanto diretto azionista delle principali società di proprietà pubblica.
In terzo luogo, l’attuazione del programma di privatizzazioni si colloca, da un lato, in rapporto ai vincoli derivanti dalla normativa comunitaria in materia di concorrenza e di aiuti di Stato alle imprese, dall’altro in relazione a condizioni finanziarie problematiche, in particolare a causa dell’espansione del debito pubblico. Al riguardo, si è previsto che le entrate derivanti dalla dismissione di partecipazioni dirette dello Stato confluissero nel Fondo di ammortamento dei titoli di Stato, per essere destinate alla riduzione del debito, attraverso il rimborso di titoli in scadenza ovvero il riacquisto, sul mercato secondario, di titoli in circolazione.
La prima normativa organica in materia di privatizzazioni è stata dettata con il decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386[1], convertito dalla legge 29 gennaio 1992, n. 35 (Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica).
Il decreto-legge n. 386/1991 prevedeva procedure assai articolate, relative alla trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici e delle aziende autonome statali, alla cessione di partecipazioni nelle società risultanti dalla trasformazione e, infine, alle cessioni dalle quali dovesse derivare la perdita del controllo sulla società da parte dello Stato. Tali procedure, anche per effetto della loro complessità, sono rimaste sostanzialmente inattuate.
Il decreto-legge n. 386/2001 prospettava la facoltà di trasformare in società per azioni gli enti di gestione delle partecipazioni statali, gli altri enti pubblici economici e le aziende autonome statali. A tal fine si prevedeva l’adozione da parte del CIPE di una delibera di indirizzo, sulla quale le competenti commissioni parlamentari erano chiamate ad esprimere il parere. In conformità agli indirizzi dettati dal CIPE, gli organi competenti degli enti interessati (e delle azione autonome) potevano adottare una delibera di trasformazione. La delibera, infine, doveva essere approvata con decreto interministeriale (decreto del Ministro del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro del tesoro e con i Ministri competenti).
Anche riguardo alla possibilità di vendita delle azioni delle società risultanti dalla trasformazione si prevedeva l’adozione di una delibera di indirizzo del CIPE, sottoposta al parere delle competenti commissioni parlamentari, alla quale, tra l’altro, era demandata la definizione delle modalità di cessione. L’atto di alienazione avrebbe dovuto conformarsi ai criteri stabiliti dal CIPE.
Nel caso in cui la cessione delle partecipazioni comportasse la perdita del controllo di maggioranza, diretto o indiretto, da parte dello Stato, il decreto-legge n. 386/2001 richiedeva l’adozione di specifiche deliberazioni delle Camere, alle quali avrebbe fatto seguito l’approvazione delle operazioni di alienazione con deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 11, la cessione delle partecipazioni avrebbe dovuto essere eseguita con modalità tali “da assicurare, di regola, diffusione di esse fra il pubblico e da prevenire, anche in forma indiretta, concentrazioni o posizioni dominanti”.
Per quanto concerne la destinazione dei proventi delle operazioni di privatizzazione, il decreto-legge n. 386/2001 si limitava a stabilire che essi fossero versati all'entrata del bilancio dello Stato (articolo 1, comma 13).
A breve distanza di tempo dal decreto-legge n. 386/2001, mentre le condizioni di finanza pubblica evidenziavano un sensibile aggravamento, che si sarebbe riflesso nella crisi valutaria della lira del settembre del 1992, veniva adottato il decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), il cui capo III (articoli 14-21) introduceva modalità assai più incisive di trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici.
Innanzitutto è stata disposta direttamente per legge la trasformazione in società per azioni dell’IRI (Istituto nazionale per la ricostruzione industriale), dell'ENI (Ente nazionale idrocarburi), dell'ENEL (Ente nazionale energia elettrica) e dell’INA (Istituto nazionale assicurazioni).
Le azioni, emesse a seguito della determinazione del capitale sociale iniziale, da effettuarsi con decreto del Ministro del tesoro, sono state attribuite al Ministero del tesoro, che esercita i diritti dell’azionista secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri d'intesa con il Ministro del bilancio e della programmazione economica e con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato. Al Ministero del tesoro sono state altresì attribuite le azioni della Banca Nazionale del Lavoro (BNL) e le partecipazioni detenute dalla Cassa depositi e prestiti nell’IMI S.p.a. e negli altri istituti di intermediazione creditizia e finanziaria.
L’attribuzione al Ministero del tesoro delle azioni e della competenza ad esercitare i diritti dell’azionista (ribadita ed estesa successivamente dalla legge n. 474/1994) ha fatto del Ministero medesimo il centro di gestione delle operazioni di privatizzazione.
Contestualmente l’articolo 18 del decreto-legge n. 233/1992 ha dettato una procedura molto semplificata di trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni. La trasformazione è stata demandata ad una delibera del CIPE. Relativamente alla delibera di trasformazione, non era previsto il parere delle commissioni parlamentari, come invece disponeva il D.L. n. 386/1991, ma si prevedeva che i contenuti della delibera fossero oggetto di comunicazione da inviare alle Camere con un anticipo di almeno quindici giorni.
La procedura disciplinata dall’articolo 18 ha avuto estesa applicazione. In particolare, poco dopo la conversione del decreto-legge n. 333/1992, con delibera CIPE del 12 agosto 1992, l’ente “Ferrovie dello Stato” (che era stato istituito in base alla legge 17 maggio 1985, n. 210, contestualmente alla soppressione dell’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato) è stato trasformato in società per azioni.
Analogamente, per i servizi postali, il decreto legge 1° dicembre 1993, n. 487, convertito dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71 ha disposto la trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni nell’ente “Poste italiane” e ha prospettato la successiva trasformazione di quest’ultimo in società per azioni, che è stato effettuata con delibera CIPE n. 244/1997 del 18 dicembre 1997.
Relativamente alla effettuazione delle operazioni di dismissione, l’articolo 16 del decreto-legge 333/1992 prevedeva la predisposizione, da parte del Ministro del tesoro, di un programma di riordino delle partecipazioni disciplinate dal decreto medesimo, da presentare al Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo avrebbe inviato alle competenti Commissioni parlamentari per l’espressione del parere. Successivamente al parere, si prevede la sottoposizione del programma all’approvazione del Consiglio dei Ministri, che lo avrebbe reso esecutivo.
Nel programma, tra l’altro, doveva essere prevista la quotazione delle società interessate dal riordino e doveva essere stabilito l’ammontare dei ricavi da destinare alla riduzione del debito pubblico.
Il decreto-legge 333/1992 ha, infine, garantito, a titolo di concessione per una durata non inferiore a venti anni, la continuità, in capo alle società per azioni risultanti dalla trasformazione, di tutte le attività e i diritti, riservati per disposizioni di legge o per atto amministrativo agli enti originari.
Il decreto-legge n. 386/1991 e il successivo decreto-legge n. 333/1992 interessavano principalmente le procedure di trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici.
Con il decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474 (Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni) è stata dettata una disciplina generale in materia di dismissione delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato.
Il decreto-legge n. 332/1994 interviene su tre profili di rilievo: l’individuazione delle modalità con le quali devono essere effettuate le operazioni di vendita delle partecipazioni; gli specifici requisiti ai quali è sottoposta la privatizzazione delle società che esercitano pubblici servizi; le competenze del Ministero del tesoro in materia di gestione delle operazioni di privatizzazione.
Per quanto concerne il primo aspetto, il decreto-legge n. 332/1994, da un lato, ha escluso le operazioni di privatizzazione dall’applicazione delle norme di contabilità generale dello Stato, dall’altro, ha individuato due specifiche modalità attraverso le quali effettuare la vendita delle partecipazioni: l’offerta pubblica di vendita e la trattativa diretta con i potenziali acquirenti. E’ stata prevista anche la possibilità di effettuare la cessione mediante ricorso contestuale ad entrambe le procedure. Per ogni singola operazione è stata demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la scelta della modalità di vendita tra quelle indicate nel decreto-legge.
L’individuazione espressa dell’offerta pubblica di vendita e della trattativa diretta è stata effettuata con l’intento, nel primo caso, di assicurare un’ampia diffusione, anche tra i risparmiatori privati, delle azioni delle società privatizzate; nel secondo caso, di affidare la proprietà delle società in questione ad un gruppo di azionisti interessati alle prospettive di sviluppo industriale e capaci di garantire la continuità della gestione.
In relazione a questa seconda finalità, il decreto-legge n. 332/1994 ha introdotto un’apposita disposizione con la quale si affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l’individuazione delle società per le quali la cessione mediante trattativa diretta è rivolta a costituire un nucleo stabile di azionisti di riferimento. In queste ipotesi gli acquirenti, che devono presentare requisiti di idonea capacità imprenditoriale, si impegnano ad assicurare, mediante accordo, particolari condizioni finanziarie, economiche e gestionali; a non cedere, per un periodo determinato, le partecipazioni acquistate e a non cedere l’azienda; a corrispondere un determinato risarcimento in caso di inadempimento delle clausole del contratto di cessione e dell’accordo.
Nell’ambito del decreto-legge n. 332/1994 una specifica disciplina viene riservata alle privatizzazioni delle società operanti nei settori della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi.
I caratteri particolari della disciplina consistono nella previsione delle istituzioni di autorità indipendenti di regolazione; nell’attribuzione al Ministero del tesoro di poteri speciali da esercitare successivamente alla perdita del controllo sulle società in questione; nella possibilità di introdurre nello statuto un limite massimo di possesso azionario e l’elezione degli amministratori mediante voto di lista.
L’articolo 1-bis del decreto-legge n. 332/1994 subordina le dismissioni delle partecipazioni azionarie dello Stato e degli enti pubblici nelle società che esercitano servizi di rilevante interesse pubblico, alla creazione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe e il controllo della qualità dei servizi medesimi.
Le autorità indipendenti con funzioni di regolazione dei servizi pubblici sono state successivamente istituite e disciplinate dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità” e, con riferimento al settore delle comunicazioni, dalla legge 31 luglio 1997, n. 249 “Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo”.
L’articolo 2 del decreto-legge n. 332/1994 dispone che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri siano individuate le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e operanti nei settori sopra indicati, nei cui statuti, prima di ogni atto di cessione delle partecipazioni che determini la perdita del controllo da parte dello Stato, deve essere prevista l’attribuzione di poteri speciali al Ministro del tesoro (la c.d. golden share: cfr. infra capitolo 5).
Il decreto-legge n. 332/1994 ha, altresì, previsto la possibilità di inserire nello statuto delle società operanti nel settore dei servizi pubblici, nonché delle banche e delle imprese di assicurazione, specifiche clausole, che non possono essere modificate per un periodo di tre anni, con le quali si fissa un limite massimo di possesso azionario non superiore al 5 per cento. Il limite al possesso azionario si applica anche alle società controllate da uno stesso soggetto, alle società collegate, e ai soggetti che, direttamente o indirettamente, aderiscono a patti parasociali che coinvolgono almeno il 10 per cento del capitale di società quotate o il 20 per cento del capitale di società non quotate.
Il superamento del limite così stabilito comporta il divieto di esercitare il diritto di voto e i diritti non aventi contenuto patrimoniale per le partecipazioni che eccedono il limite stesso.
E’ peraltro previsto che la clausola con cui si impone un limite al possesso azionario decada se il limite sia superato per effetto di un’offerta pubblica di acquisto da cui derivi l’assunzione della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria.
In connessione con la clausola relativa al limite del possesso azionario, il decreto-legge n. 332/1994 ha previsto l’introduzione di una ulteriore clausola, con la quale si stabilisce che l’elezione degli amministratori abbia luogo mediante voto di lista. Questa seconda clausola è rivolta a tutelare le minoranze azionarie. Si è infatti stabilito che alle liste di minoranza dovrà essere riservato complessivamente almeno un quinto degli amministratori e un rappresentante del collegio sindacale.
Il decreto-legge n. 332/1994 ha infine precisato e rafforzato le competenze in materia di attuazione del programma di privatizzazioni già attribuite al Ministero del tesoro dal decreto-legge n. 333/1992. Al riguardo sono stati assegnati alla Direzione generale del tesoro i compiti relativi alla gestione finanziaria dei titoli azionari di proprietà dello Stato, alla rappresentanza dell’azionista nell’assemblea societaria e alle attività istruttorie e preparatorie relative a operazioni di cessione e collocamento sul mercato finanziario delle partecipazioni azionarie dello Stato.
In questo modo la Direzione generale del tesoro è divenuta la struttura responsabile della effettiva realizzazione delle operazioni di privatizzazione.
Successivamente alla definizione delle modalità di trasformazione in società per azioni degli enti pubblici economici, disciplinate dal decreto legge n. 332/1994, la legge 15 marzo 1997, n. 59, ha conferito al Governo, nell’ambito di un generale riassetto della pubblica amministrazione, una specifica delega per riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni, controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale (articolo 11, comma 1, lettera b)).
Come precisato dal successivo articolo 14, comma 1, lettera b), nell’ambito dei principi e criteri direttivi dettati per l’esercizio della delega, è stata prospettata, da un lato, la trasformazione in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato degli enti che non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico e di quelli per i quali non è necessaria la personalità di diritto pubblico e, dall’altro, la trasformazione in ente pubblico economico o in società di diritto privato degli enti caratterizzati da un’ampia autonomia finanziaria.
In attuazione della delega è stato adottato un provvedimento di carattere generale, il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, “Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali a norma degli articoli 11 e 14 della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
Il decreto legislativo ha operato un riordino complessivo degli enti pubblici (esclusi gli enti previdenziali, gli enti operanti nella promozione e nel sostegno del sistema pubblico nazionale e, per quanto non diversamente disposto, gli enti di ricerca), dettando alcuni princìpi comuni di carattere generale da recepire nella revisione dei rispettivi statuti.
Il decreto reca inoltre disposizioni relative alle procedure per il riordino di una serie di enti, prevalentemente di carattere culturale, attraverso tre distinte modalità:
- privatizzazione;
- trasformazione in strutture scientifiche universitarie dotate di autonomia amministrativa e contabile;
- fusione o unificazione strutturale.
Le misure di riordino degli enti sono adottate a seguito di una istruttoria svolta dai Ministeri competenti, dopo aver consultato gli enti interessati e con il parere delle commissioni parlamentari competenti per materia, e hanno effetto dal 1 gennaio 2002.
Gli enti privatizzati continuano ad operare come enti privi di scopo di lucro e assumono la veste di persone giuridiche private. Essi possono continuare ad esercitare le attività di rilievo pubblicistico, precedentemente svolte, sulla base di apposite concessioni o convenzioni stipulate con le autorità ministeriali competenti.
Sulla base della medesima norma di delega il Governo ha inoltre adottato vari provvedimenti di riordino, trasformazione in fondazione o in società per azioni, di numerosi, specifici enti.
In particolare, tra i provvedimenti più rilevanti, sono stati adottati:
- il decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, che ha istituito la società Sviluppo Italia, attraverso la quale è stato effettuato il riordino degli enti e delle società di promozione operanti nel Mezzogiorno (cfr. infra cap.7);
- il decreto legislativo 21 aprile 1999, n. 116, con il quale è stato riordinato l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ai fini della sua trasformazione in società per azioni;
- il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, che ha disposto la trasformazione in società per azioni dell’Ente autonomo acquedotto pugliese;
- il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 304, che ha disposto la trasformazione in società per azioni dell’Ente autonomo esposizione universale di Roma.
Il termine per l’esercizio delle deleghe, di cui all’articolo 11, comma 1, della legge n. 59 del 1997, fissato inizialmente al 31 gennaio 1999, è stato prorogato fino al 31 luglio 1999 (art. 9, comma 6, della legge n. 50/1999).
Successivamente, la legge 6 luglio 2002, n. 137, “Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici”, all’articolo 1, comma 1, ha delegato il Governo ad adottare, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge medesima (vale a dire entro il termine del 23 gennaio 2004), decreti legislativi correttivi o modificativi dei decreti legislativi già emanati in attuazione delle deleghe di cui all’articolo 11, comma 1, della legge n. 59/1997.
Precedentemente alla delega di cui alla legge n. 137/2002, era stata peraltro prevista, ai sensi dell’articolo 28 della legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002), come novellato dall’articolo 34, comma 23, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), una particolare procedura di privatizzazione da effettuarsi mediante regolamento di delegificazione.
Più precisamente, si è stabilito che, con uno o più regolamenti di delegificazione, vengano individuati gli enti e, più in generale, gli organismi pubblici, che sono ritenuti indispensabili, e ne sia disposta, se necessario, la trasformazione in società per azioni o in fondazioni di diritto privato oppure la fusione o l’accorpamento con enti che svolgano attività analoghe o complementari. Sono da ritenere indispensabili gli enti le cui funzioni non possono essere svolte in modo più proficuo da altri soggetti pubblici o privati.
Scaduto il termine previsto per l’adozione dei regolamenti, gli enti e gli organismi per i quali non sia stato assunto alcun provvedimento sono soppressi e posti in liquidazione.
Sono in ogni caso esclusi dalle operazioni di trasformazione o dalla soppressione gli enti, gli istituti, le agenzie e gli altri organismi pubblici che gestiscono la previdenza sociale a livello di primario interesse nazionale, sono essenziali per esigenze di difesa o di sicurezza, svolgono funzioni di prevenzione e vigilanza sanitaria, svolgono compiti di garanzia di diritti di rilevanza costituzionale.
Gli schemi dei regolamenti di delegificazione sono sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Il termine per l’adozione di detti regolamenti, che comporta in via automatica la soppressione e la liquidazione degli enti non considerati, è stato più volte prorogato e, da ultimo, ai sensi dell’articolo 4 del D.L. n. 136/2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 186/2004, è stato fissato al 31 dicembre 2004.
Finora non risultano adottati regolamenti di delegificazione in attuazione delle disposizioni richiamate.
Nell’attuale legislatura, peraltro, la trasformazione in società per azioni di importanti enti pubblici è stata realizzata direttamente mediante specifiche disposizioni di legge.
Ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, è stata disposta la trasformazione in società per azioni dell’ANAS.
Analogamente, gli articoli 5 e 6 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, hanno previsto la trasformazione in società per azioni, rispettivamente, della Cassa depositi e prestiti (cfr. infra cap. 6) e della SACE.
Al tempo stesso, la preferenza per la forma giuridica della società per azioni, anche al fine dello svolgimento di attività di interesse pubblico, ha trovato conferma nell’adozione, nella presente legislatura, di disposizioni di legge che autorizzano soggetti pubblici, in particolare ministeri, a costituire società per azioni, le quali pertanto, almeno in fase iniziale, sono interamente possedute dallo Stato o dagli enti pubblici che le hanno costituite.
Gli esempi più rilevanti di questa tendenza sono rappresentati dalle società Patrimonio dello Stato S.p.A. e Infrastrutture S.p.A., istituite in base alle disposizioni del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, “Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture”, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002 n. 112, e incaricate di operare nel settore della gestione del patrimonio dello Stato e nel settore del finanziamento delle infrastrutture.
Nella presente legislatura è stata altresì prevista l’istituzione:
- ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge n. 138/2002, convertito , con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002 n. 178 della società CONI Servizi S.p.A., a totale partecipazione pubblica (le azioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze) che, nell’ambito del generale riassetto del CONI, è incaricata di sostenere l’insieme delle attività dell’ente pubblico;
- ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 291/2003 il Ministero per i beni e le attività culturali è stato autorizzato a costituire la “Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo ARCUS S.p.A.”, preposta alla promozione ed al sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di interventi per la conservazione e la tutela dei beni culturali nonché di iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo.
L’articolo 7 del decreto-legge 15 aprile 2002 n. 63, ha previsto l’istituzione della Patrimonio dello Stato S.p.A. ai fini della valorizzazione, della gestione e dell’alienazione del patrimonio dello Stato, nel rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni pubblici.
La società, il cui capitale è stabilito in un milione di euro, ha quale unico proprietario il Ministero dell’economia e delle finanze.
E’ peraltro consentito al Ministero medesimo di trasferire “a titolo gratuito” tutte o parte delle azioni possedute ad altre società di cui, comunque, il Ministero detenga direttamente l’intero capitale sociale.
Ai sensi dell’articolo 7, comma 10, del decreto-legge n. 63/2002 possono essere oggetto di trasferimento alla Patrimonio dello Stato S.p.A., i seguenti beni e diritti:
- diritti pieni o parziali su beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio dello Stato, sia disponibile che indisponibile[2], ovvero sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato;
- ogni altro diritto costituito per legge a favore dello Stato, presumibilmente in primo luogo a valere su beni immobili.
Nelle direttive di massima emanate con deliberazione 19 dicembre 2002, il CIPE ha ulteriormente precisato che possono essere trasferiti alla società crediti, concessioni, beni immateriali, beni immobili e mobili nonché ogni altra componente dell'attivo dello Stato ivi incluse quote di partecipazioni dello Stato in società.
Al riguardo, il CIPE precisa che il trasferimento di partecipazioni dello Stato in società è ammesso solo se esse hanno ad oggetto sociale lo svolgimento di attività nel settore immobiliare.
La determinazione delle modalità e dei valori di trasferimento è rimessa, ai sensi dell’articolo 7, comma 10, del decreto-legge n. 63/2002, ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Il medesimo comma 10 dell’articolo 7 stabilisce, con specifico riferimento al trasferimento dei beni di particolare valore artistico e storico, che esso debba essere effettuato d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali[3].
Il trasferimento alla società di beni demaniali non modifica il regime giuridico previsto per il demanio pubblico dagli articoli 823 e 829, primo comma, del Codice civile.
Le disposizioni richiamate prevedono, in particolare, l’inalienabilità dei beni del demanio pubblico e l’adozione di un apposito atto amministrativo per dichiarare il passaggio di un bene dal demanio al patrimonio dello Stato (c.d. sdemanializzazione).
Si stabilisce, infine, che restano comunque fermi i vincoli gravanti sui beni trasferiti e i diritti di godimento spettanti a terzi, fino al termine di scadenza previsto nel relativo titolo.
Al Ministero dell’economia e delle finanze è attribuito, nei confronti della Patrimonio dello Stato S.p.a., il potere di dettare gli indirizzi strategici, previa definizione da parte del CIPE delle direttive di massima.
Le direttive di massima sono state definite dal CIPE con la deliberazione del 19 dicembre 2002, n. 124 (pubblicata nella G.U. del 22 marzo 2003).
Nella deliberazione è ribadito l’obiettivo della società, consistente nel valorizzare, gestire con efficienza ed alienare il patrimonio dello Stato nel rispetto dei requisiti, dei vincoli e delle finalità proprie dei beni pubblici e dell'intero sistema di tutele esistente su di essi.
Nelle ipotesi di trasferimento alla società di beni pubblici di particolare valore storico, artistico, culturale ed ambientale non vengono modificati in alcun modo i vincoli gravanti sui beni medesimi.
Per il perseguimento del suo oggetto la Patrimonio dello Stato S.p.a. potrà, anche avvalendosi di terzi, svolgere le seguenti attività (indicate nell’articolo 4 dello statuto):
a) piani di fattibilità, piani di ristrutturazione di beni immobili ed ogni altra operazione che rientri nei settori degli investimenti, connessi ai beni ad essa trasferiti anche in gestione;
b) redazione di studi e analisi su voci dell'attivo del Rendiconto generale del patrimonio dello Stato (crediti e partecipazioni, beni mobili e immobili), fornendo raccomandazioni al Ministero dell'economia ai fini della loro valorizzazione;
c) ideazione, promozione e realizzazione di iniziative ed interventi di recupero, valorizzazione e riqualificazione ambientale di beni immobili ad essa trasferita o affidati in gestione;
d) amministrazione, vigilanza e tutela dei beni affidati in gestione, anche attraverso interventi di manutenzione e ristrutturazione di tali beni, e mediante l’utilizzazione degli stessi;
e) individuazione e gestione di procedure di alienazione di beni e/o cessione e/o concessione di diritti sugli stessi osservando principi di trasparenza;
f) effettuazione di operazioni di cartolarizzazione, come espressamente previsto dall’art. 7, comma 11 del D.L. n. 63/2002;
g) valorizzazione, gestione, alienazione e acquisizione, a condizioni di mercato, del patrimonio di altri soggetti pubblici;
h) acquisizione e cessione, a condizioni di mercato, di beni di terzi funzionali al raggiungimento dell'oggetto sociale.
Per il perseguimento delle finalità ad essa assegnate, l’articolo 7, comma 11, del D.L. n. 63/2002, prevede espressamente che la società Patrimonio dello Stato S.p.a. possa anche effettuare operazioni di cartolarizzazione, in conformità alla disciplina contenuta nel D.L. n. 351/2001.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 7, comma 12, la Patrimonio dello Stato S.p.a. può trasferire, esclusivamente a titolo oneroso, i propri beni alla società Infrastrutture S.p.a., istituita ai sensi dell'articolo 8 del D.L. n. 63/2002, con le medesime modalità stabilite per il trasferimento dei diritti su beni mobili e immobili dello Stato a favore della Patrimonio S.p.a.
A favore di amministrazioni pubbliche, enti territoriali, enti pubblici e società a totale partecipazione pubblica la società fornisce, a condizioni di mercato, attività di consulenza, assistenza e fornitura di servizi, nei settori:
- della realizzazione di progetti di sviluppo locale e di strumenti innovativi di programmazione e qualificazione del territorio;
- della costituzione di iniziative di parternariato pubblico-privato;
- della finanza di progetto.
Per il raggiungimento dell'oggetto sociale, infine, la società può compiere, purché in via strumentale, tutte le operazioni mobiliari, immobiliari e finanziarie ritenute utili e opportune, nonché assumere partecipazioni in altre società e enti costituiti o da costituire.
L’articolo 8 del decreto legge n. 63 del 2002 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti a costituire una società finanziaria, la “Infrastrutture S.p.a.”, con lo scopo di favorire la realizzazione di infrastrutture, opere pubbliche e investimenti.
La società ha come funzione principale quella di finanziare, in via sussidiaria rispetto ai finanziamenti concessi da banche e da altri intermediari finanziari, le infrastrutture e le grandi opere pubbliche, purché suscettibili di utilizzazione economica, e di concedere finanziamenti a medio e lungo termine finalizzati ad investimenti per lo sviluppo economico.
In particolare, Infrastrutture S.p.a. si configura come un intermediario finanziario non bancario, sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, creato dalla Cassa Depositi e Prestiti, che interviene sussidiariamente al sistema bancario, secondo una duplice modalità: sia con prestiti a lungo termine, di durata media di 10-20 anni, erogati direttamente a soggetti privati impegnati nella realizzazione di grandi progetti nel quadro delle procedure speciali della legge-obiettivo, sia con finanziamenti a medio termine a favore di banche – a loro volta – finanziatrici di interventi infrastrutturali.
Tale duplice modalità di intervento riproduce lo schema di modelli societari già operanti in altri paesi europei, quali ad esempio la Germania, la Spagna e l’Austria[4].
La costituzione è avvenuta in data 9 dicembre 2002, per atto unilaterale, mediante iscrizione nel registro delle imprese di Roma.
Il capitale sociale iniziale è stato fissato in un milione di euro ed è stato versato interamente all’atto della costituzione. Successivi aumenti di capitale possono essere stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Tali aumenti di capitale possono essere sottoscritti dalla Cassa depositi e prestiti, anche a valere sulla cartolarizzazione di una parte dei propri crediti, individuati tenendo conto dei principi di convenienza economica e di salvaguardia delle finalità di interesse pubblico della Cassa stessa.
Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 maggio 2003 (pubblicato sulla G.U. del 3 giugno 2003 n. 126) è stato in effetti disposto un aumento del capitale sociale fino alla somma massima di 3.200 milioni di euro, a valere sulle risorse derivanti dall’operazione di cartolarizzazione di propri crediti effettuata dalla Cassa depositi e prestiti. Agli amministratori è stata conferita la facoltà di aumentare il capitale, in una o più volte, fino alla detta somma massima entro un periodo di cinque anni.
La Cassa depositi e prestiti ha depositato la somma di 3.200 milioni di euro su uno specifico conto fruttifero presso la tesoreria dello Stato[5].
Le azioni della società non possono formare oggetto di diritti reali o personali a favore di terzi. E’ richiesta l’autorizzazione preventiva del Ministro dell’economia e delle finanze per il trasferimento ad altri soggetti delle azioni. Lo scioglimento della società può avvenire solo per disposizione di legge.
Le linee direttrici per l’operatività della società sono state definite con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 maggio 2003.
Le attività rientranti nell’oggetto sociale di “Infrastrutture S.p.a.” sono individuate in termini assai ampi dal comma 3 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 63/2002.
In particolare la società è incaricata di concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, finalizzati:
- alla realizzazione di infrastrutture e grandi opere pubbliche suscettibili di utilizzazione economica;
- alla realizzazione di investimenti a sostegno, in generale, dello sviluppo economico.
L’attività della società è per altro verso limitata dalla previsione che essa debba svolgersi “in via sussidiaria rispetto ai finanziamenti concessi da banche e altri intermediari finanziari”.
Il carattere sussidiario attribuito all’intervento della società pare riconducibile alle specifiche finalità di tale intervento; esso, in sostanza, dovrebbe esplicarsi soltanto nei casi di opere e investimenti che rispondano ad interessi di natura pubblica e che per le loro particolari caratteristiche, difficilmente troverebbero sostegno finanziario da parte del sistema creditizio.
La sussidiarietà, intesa in connessione con le finalità pubbliche perseguite, sembra giustificare gli elementi speciali della disciplina relativa all’ordinamento e all’attività della società, che, altrimenti, potrebbero configurare una posizione di privilegio rispetto agli operatori di mercato, in contrasto con la disciplina comunitaria in materia di concorrenza e aiuti di Stato.
La prima tipologia di finanziamenti sarà erogata per infrastrutture e grandi opere pubbliche gestite:
a) da amministrazioni pubbliche;
b) da altri soggetti da individuare secondo procedure di selezione che garantiscano il rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza imparzialità e concorrenzialità.
I finanziamenti relativi alla realizzazione di infrastrutture e grandi opere pubbliche possono essere effettuati dalla società in forma diretta ovvero possono essere concessi per il tramite di banche ed altri intermediari finanziari.
Nel caso di concessione del finanziamento in via diretta, la società effettua la valutazione del merito creditizio del prenditore e determina la remunerazione dei rischi da assumere.
Nel caso di finanziamento concesso per il tramite di banche e altri intermediari finanziari, il rischio dell’insolvenza del prenditore finale grava su questi ultimi. E’ altresì previsto che il tasso di interesse a carico del destinatario del finanziamento non debba essere superiore al tasso di interesse praticato dalla società a carico dell’ente finanziatore, maggiorato di un margine per remunerare il rischio creditizio e gli oneri del servizio. In ogni caso, il margine in questione dovrà essere approvato dalla società.
Relativamente ai finanziamenti per infrastrutture e grandi opere pubbliche, l’articolo 75 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per l’anno 2003) stabilisce che Infrastrutture S.p.a. finanzia prioritariamente, anche attraverso la costituzione di uno o più patrimoni separati, gli investimenti per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria per il sistema alta velocità/alta capacità, anche al fine di ridurre la quota a carico dello Stato.
La seconda tipologia di finanziamenti, finalizzati ad investimenti per lo sviluppo economico, è ammessa esclusivamente per alcune specifiche aree di investimento, individuate nelle linee direttrici approvate con il D.M. 27 maggio 2003. Si tratta delle seguenti aree:
a) aiuti alle piccole e medie imprese;
b) concessione di prestiti per l’edilizia residenziale pubblica;
c) finanziamento per lo sviluppo regionale.
I finanziamenti compresi in questa seconda tipologia sono concessi unicamente per il tramite di banche e altri intermediari finanziari o sono messi a disposizione di soggetti istituzionalmente deputati al sostegno dello sviluppo economico.
In generale, i finanziamenti concessi dalla società sono a medio e lungo termine; l’organo amministrativo della società può peraltro, con decisione motivata, derogare a questa disposizione.
In ogni caso, la società è tenuta a svolgere l’istruttoria sui finanziamenti richiesti, in modo da accertare preventivamente, da un lato, che l’intervento sia conforme ai requisiti e alle condizioni previste dalla legge ed alle linee direttrici per l’operatività della società medesima; dall’altro, che sia compatibile con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.
Come è stato indicato dal Presidente della società nelle audizioni svolte presso Commissioni permanenti di Camera e Senato, la caratteristica di Infrastrutture S.p.a. è il pieno controllo della decisione di finanziamento, poiché la società deve operare in regime di economicità e redditività degli interventi[6], secondo un approccio di mercato.
Nella selezione ed individuazione dei progetti da finanziare la società opererà nell’ottica della diversificazione del rischio, concentrandosi sui progetti con rendimento finanziario elevato e sulle iniziative che prevedano l’erogazione di un contributo da parte delle amministrazioni; i progetti con basso o incerto rendimento e con elevate problematiche tecniche verranno realizzati tramite patrimoni separati[7].
In relazione alle proprie finalità, Infrastrutture S.p.a. può anche prestare garanzie per finanziamenti di terzi.
La società può altresì assumere partecipazioni minoritarie, detenere immobili e esercitare ogni attività strumentale, connessa o accessoria ai propri compiti istituzionali. Tali partecipazioni non dovranno, in ogni caso, essere di maggioranza né comunque di controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.
Per lo svolgimento delle proprie attività, la società può altresì acquisire quote azionarie di società già partecipate dalla Cassa depositi e prestiti operanti nel settore delle infrastrutture.
Sotto il profilo finanziario, la società “Infrastrutture S.p.a.” trae la provvista economica necessaria a finanziare la propria attività attraverso l’emissione di titoli di debito e l’assunzione, in generale, di finanziamenti.
Sono in ogni caso espressamente vietate alla società la raccolta di fondi a vista e la negoziazione per conto terzi di strumenti finanziari.
Tali divieti paiono volti a limitare e distinguere la tipologia di attività che la società “Infrastrutture S.p.a.” può esercitare sia in rapporto all’attività bancaria, sia in rapporto all’attività ordinaria delle società di intermediazione mobiliare e degli altri intermediari finanziari.
In particolare, il divieto di raccolta di fondi a vista, implica che è comunque escluso, da parte della società Infrastrutture S.p.a., l’esercizio dell’attività bancaria, come definita ai sensi degli articoli 10 e 11 del TUB.
A garanzia del soddisfacimento dei diritti dei portatori di titoli e dei concedenti i finanziamenti, la società può destinare i propri beni e i diritti relativi ai finanziamenti da essa concessi.
A tal fine la società sembra poter utilizzare anche i beni che possono essere ad essa ceduti da parte dello Stato, di enti pubblici non territoriali e di società interamente controllate dallo Stato.
Per le modalità della cessione dei beni alla società si fa rinvio al comma 10 dell’articolo 7 del D.L. n. 63/2002 relativo all’istituzione della Patrimonio dello Stato S.p.a, nel quale si demanda a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la definizione delle modalità del trasferimento. Il medesimo comma 10 prospetta, inoltre, che possano applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 3 del già citato D.L. n. 351/2001, commi 1, 16, 17, 18 e 19, con i quali si disciplina la cessione a titolo oneroso di beni immobili dello Stato a società che, per finanziare il pagamento del prezzo, effettuano operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione dei beni ad esse ceduti.
La previsione che possano confluire nel patrimonio della società beni compresi nel patrimonio dello Stato trova riscontro nel comma 12 dell’articolo 7, ai sensi del quale i beni della società “Patrimonio dello Stato S.p.a.” possono essere trasferiti a titolo oneroso a “Infrastrutture S.p.a.”.
I beni e i diritti destinati a garanzia delle operazioni compiute dalla società per reperire finanziamenti costituiscono patrimonio separato rispetto a quello della società e a quelli relativi ad altre operazioni di finanziamento.
Sui titoli di debito emessi dalla società, sugli strumenti di finanziamento da essa utilizzati e sulle garanzie da essa prestate è previsto, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del D.L. n. 63/2002, che il Ministro dell’economia e delle finanze possa disporre con proprio decreto la garanzia dello Stato.
Come risulta dal dettato normativo, la prestazione o meno della garanzia da parte dello Stato è rimessa alla scelta discrezionale del Ministro.
Il decreto-legge n. 332/1994 aveva individuato, in modo tipizzato, le modalità con le quali effettuare la cessione delle partecipazioni nelle società da privatizzare. Al riguardo, si stabiliva che la cessione avrebbe potuto essere realizzata soltanto attraverso offerta pubblica di vendita o trattativa diretta con i potenziali acquirenti, ovvero attraverso ricorso ad entrambe le procedure e si affidava ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la scelta, con riferimento ad ogni singola operazione, delle procedure di vendita.
Successivamente, la legge finanziaria per il 2000 (articolo 66, comma 1 della legge 23 dicembre 1999, n. 488), ha introdotto una disciplina più flessibile, prevedendo la possibilità di utilizzare anche altre modalità di alienazione, diverse dall’offerta pubblica di vendita e dalla trattativa diretta, purché risultassero idonee a garantire la massimizzazione del gettito, il contenimento dei costi e la rapidità di esecuzione della cessione.
Peraltro, l’applicazione di questa disciplina era limitata alla dismissione di partecipazioni dirette che avessero un carattere di residualità, sia per l'esiguità della partecipazione in rapporto con la dimensione della società, sia per la strategia adottata dallo Stato in un determinato settore. La disposizione citata prevedeva, infatti, che il ricorso a modalità “atipiche” di vendita potesse avere luogo soltanto per le partecipazioni di controllo con un valore inferiore a 100 miliardi di lire e per le partecipazioni non di controllo che rivestissero limitato rilievo in relazione agli obiettivi di politica economica e industriale dello Stato.
Ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri era demandata l’individuazione sia delle partecipazioni che potevano essere dismesse con modalità differenti da quelle prescritte dal decreto-legge n. 474/1994, sia delle forme di cessione.
In attuazione del disposto dell’articolo 66, comma 1, della legge 488/1999, è stato adottato il D.P.C.M. 29 settembre 2000, con il quale si è stabilito che le partecipazioni elencate nel decreto medesimo potessero essere alienate anche con modalità in uso nella prassi dei mercati finanziari e si è demandata ad un decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica la scelta delle specifiche modalità di alienazione.
Con successivo D.M. 9 marzo 2001 sono state individuate, nell’ambito delle partecipazioni elencate nel D.P.C.M. 29 settembre 2000, le partecipazioni non quotate da alienare mediante trattativa privata con i potenziali acquirenti. In sostanza, pertanto, si è scelta una modalità di alienazione che era già prevista dal decreto-legge n. 332/1994.
Nella XIV legislatura specifici interventi in materia di disciplina delle privatizzazioni sono stati adottati nell’ambito delle manovre annuali di finanza pubblica.
Un primo intervento, contenuto nell’ambito delle misure dei cosiddetti “cento giorni” ha prospettato la dismissione di partecipazioni dello Stato a titolo di rimborso di obbligazioni dello Stato. Tale modalità di dismissione, peraltro, non ha ricevuto attuazione.
Più precisamente, l’articolo 25 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, ha previsto l’emissione di titoli di debito pubblico il cui rimborso sia effettuato con azioni di società di capitali detenute dallo Stato, demandando ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione della denominazione, durata, prezzi, remunerazione e modalità di emissione dei titoli in questione, anche in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato.
Peraltro, tali emissioni non hanno avuto luogo e, in sede di legge finanziaria per il 2004 (comma 219 dell’articolo 3 della legge n. 350/2003) è stato precisato che il rimborso dei titoli di cui all’articolo 25 del decreto-legge n. 350/2001 può essere effettuato non soltanto attraverso la cessione di azioni di proprietà dello Stato, ma anche attraverso le modalità consuete di rimborso per cassa.
La particolare forma di cessione delle partecipazioni introdotta dal decreto-legge n. 350/2001 è parsa riconducibile alla finalità di fornire al Governo gli strumenti per effettuare privatizzazioni anche in una situazione di difficoltà dei mercati finanziari.
Al medesimo scopo, l’articolo 25 ha affidato allo strumento del decreto ministeriale il compito di definire le caratteristiche di operazioni finanziarie (non ulteriormente specificate nell’atto di legge) aventi ad oggetto azioni detenute dallo Stato in società di capitali, nonché il compito di individuare le società le cui azioni potevano essere cedute o essere oggetto di dette operazioni finanziarie.
Alle cessioni da effettuare secondo le modalità indicate dall’articolo 25 non si sarebbe applicata la disciplina generale dettata dal decreto-legge n. 332/1994.
Anche questa disposizione, peraltro, finora non ha avuto attuazione.
Un secondo intervento ha avuto per oggetto la definizione dei criteri in base ai quali determinare il prezzo dei titoli da alienare
Al riguardo, la legge finanziaria per il 2003 (articolo 80, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289) ha previsto che, quando si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati, il prezzo di vendita sia fissato:
- facendo riferimento al valore dei titoli sui mercati finanziari nel momento dell'alienazione;
- tenendo conto dell'esigenza di incentivare la domanda dei titoli stessi.
La congruità del prezzo così determinato deve essere attestata da un consulente finanziario terzo. In ogni caso si prevede espressamente che il prezzo possa risultare inferiore rispetto a quello al quale sono state effettuate precedenti offerte di azioni della medesima società.
Anche quest’ultima disposizione pare riconducibile alla notevole diminuzione dei corsi dei titoli azionari quotati che si è registrata a partire dal 2001. L’espressa previsione di legge è infatti volta a permettere la realizzazione di offerte di vendita di titoli azionari anche a prezzi più bassi rispetto a quelli fissati in operazioni di alienazione dei medesimi titoli compiute negli anni precedenti, quando i corsi azionari erano più sostenuti.
Un intervento normativo di più ampia portata relativamente alla disciplina delle modalità di alienazione è stato effettuato con l’ultima legge finanziaria (articolo 4, commi 218-220, della legge 24 dicembre 2003, n. 350). I commi citati introducono alcune modifiche al testo della legge n. 474/1994 rivolte ad affidare al Governo la scelta delle procedure di vendita, indicando soltanto le finalità da perseguire.
A differenza di quanto previsto dall’articolo 66 della legge finanziaria per il 2000 la nuova disciplina si applica in generale a tutte le partecipazioni dello Stato, non soltanto a quelle di valore limitato.
Al riguardo si prevede che l’alienazione delle partecipazioni deve essere effettuata con modalità “trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell’azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali”.
Tali modalità di alienazione sono preventivamente individuate, per ciascuna società, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive.
Nella sostanza, la norma, pur confermando l’attuale assetto delle competenze relative all'individuazione delle procedure di dismissione in capo al Governo, consente di individuare la modalità di cessione più appropriata nell'ambito delle opzioni attualmente in essere nel mercato finanziario, non limitando la scelta unicamente tra l'offerta pubblica di vendita e la trattativa diretta[8].
Il rilievo attribuito dalla disposizione agli obiettivi della diffusione dell’azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali sembrerebbe, peraltro, privilegiare il ricorso a forme di collocamento della partecipazioni sul mercato, quali le offerte pubbliche di vendita, che favoriscano la configurazione delle società privatizzate quali società con bassa concentrazione proprietaria e incentivino lo sviluppo dei mercati borsistici[9].
In deroga alla disciplina generale sono state inoltre dettate (articolo 3, comma 218, della n. 350/2003) specifiche disposizioni per la vendita delle partecipazioni di limitato valore, vale a dire le partecipazioni direttamente detenute dallo Stato non di controllo e di valore inferiore ad euro 50 milioni.
In tale ipotesi viene affidata ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anziché ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’individuazione di specifiche modalità di alienazione “secondo tecniche in uso nei mercati finanziari” e fermo restando il rispetto dei princìpi di trasparenza e non discriminazione.
La finalità della norma, come espressamente stabilito, è quella di “realizzare la massimizzazione del gettito per l’erario, il contenimento dei costi e la rapidità di esecuzione della cessione”.
La legge finanziaria per il 2004 reca altresì previsioni concernenti la dismissione delle partecipazioni di controllo di società operanti nei servizi di pubblica utilità. Per tali dismissioni si richiama quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 1 della legge n. 481 del 1995 (“Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”), con il quale si stabilisce che, nel caso di privatizzazione dei servizi di pubblica utilità, il Governo definisca i criteri per la privatizzazione di ciascuna impresa e le relative modalità di dismissione e li trasmetta al Parlamento ai fini dell'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.
Le previsioni della legge finanziaria restringono l’ambito di applicazione di tale procedura, più articolata rispetto alla disciplina generale, escludendone l’adozione quando ricorrano contestualmente le due seguenti condizioni:
a) nel caso in cui si tratti di alienazione di titoli azionari già quotati in mercati regolamentati nazionali o comunitari;
b) qualora il collocamento sia rivolto, direttamente o indirettamente, ad un pubblico indistinto di risparmiatori o di investitori internazionali.
In proposito, la relazione illustrativa al disegno di legge finanziaria evidenziava che intento della norma è quello di prevedere un “iter semplificato nella procedura di scelta delle modalità di vendita di titoli azionari di public utilities ... qualora il metodo di alienazione assicuri, di per sé, l’auspicata ulteriore diffusione dell’azionariato”.
La legge finanziaria per il 2004 ha introdotto anche alcune specifiche disposizioni relative all’assegnazione a società nazionali ed estere e a singoli professionisti, di incarichi di studio, consulenza, valutazione e assistenza connessi alle operazioni di privatizzazione.
In particolare, si prevede:
- che sono attribuite in via esclusiva al Ministero dell’economia e delle finanze, relativamente alle partecipazioni da questo possedute, delle competenze in materia di affidamento degli incarichi;
- che è escluso, per l’affidamento degli incarichi, l’obbligo di ricorso a procedure concorsuali, quando si tratti di importi inferiori alle soglie previste dalla normativa comunitaria;
- che i soggetti incaricati della valutazione possono partecipare ai consorzi di collocamento delle medesime partecipazioni, ma non assumerne la guida;
- che il consulente finanziario incaricato di attestare la congruità del prezzo possa anche essere coinvolto nella strutturazione dell’operazione di alienazione.
Ai sensi della legge finanziaria per il 2004, infine, la disciplina dettata dall’articolo 1 del decreto-legge n. 332/1994 in materia di modalità di effettuazione delle privatizzazioni e di affidamento dei relativi incarichi viene estesa anche agli incarichi conferiti dal Ministero dell’economia e delle finanze in relazione a piani di riordino, risanamento o ristrutturazione delle società partecipate dallo Stato, propedeutici alla dismissione della partecipazione.
L’introduzione nello statuto delle società oggetto di privatizzazione di poteri speciali che il Governo, attraverso il Ministro dell’economia e delle finanze, può esercitare anche dopo aver ceduto il controllo (c.d. golden share), è stata prevista nell’ambito della disciplina generale sulle privatizzazioni dettata dal decreto-legge 13 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994 n. 474 (“Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni”).
La golden share si applica alle società che operano in settore relativi ai servizi pubblici, tra i quali il decreto-legge n. 332/1994 indica espressamente la difesa, i trasporti, le telecomunicazioni, le fonti di energia.
Il decreto-legge n. 332/1994 (articolo 2) prevedeva i seguenti poteri speciali:
a) il gradimento all'assunzione di partecipazioni rilevanti (partecipazioni superiori al 5% o alla minore percentuale fissata dal Ministro dell'economia e delle finanze);
b) il gradimento per la validità di patti parasociali che riuniscano almeno il 5% del capitale con diritto di voto o la minore percentuale fissata dal Ministro dell'economia;
c) il veto all'assunzione di delibere relative allo scioglimento della società, al trasferimento dell'azienda, a fusioni, scissioni, modifica dell'oggetto sociale, modifica o soppressione dei poteri speciali;
d) la nomina di un amministratore (o un numero di amministratori non superiore a un quarto dei membri del consiglio) e di un sindaco.
L’individuazione delle società nei cui statuti deve essere introdotta, prima della perdita del controllo da parte dello Stato, la previsione dei poteri speciali è rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che deve essere preventivamente comunicato alle competenti Commissioni parlamentari.
Il contenuto della clausola che attribuisce i poteri speciali è definito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e le clausole stesse sono approvate con deliberazione dell’assemblea straordinaria[10]. I soci dissenzienti hanno facoltà di recesso.
La disciplina sui poteri speciali si applica anche alle società controllate, direttamente o indirettamente da enti pubblici, anche territoriali ed economici, operanti nel settore dei trasporti e degli altri servizi pubblici e individuate con provvedimento dell'ente pubblico partecipante, al quale sono riservati i poteri in questione (articolo 2, comma 3, del D.L. n. 332/1994).
La normativa sui poteri speciali si ricollega agli istituti della "golden share" o "action spécifique" degli ordinamenti inglese e francese.
Tali istituti rispondono all’esigenza che, nella dismissione di imprese che incidono su interessi pubblici rilevanti, lo Stato si riservi la possibilità di esercitare poteri penetranti relativi alla composizione azionaria e alle scelte di maggior rilievo di competenza degli organi societari, anche dopo aver ceduto il controllo proprietario.
D’altra parte la disciplina sulla golden share introdotta in diversi ordinamenti nazionali può presentare profili di incompatibilità con i princìpi dell’ordinamento comunitario relativi al diritto di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, in quanto conferisce al Governo nazionale il potere discrezionale di impedire operazioni di acquisto di partecipazioni azionarie e altre operazioni di carattere straordinario.
Per definire i criteri in base ai quali la disciplina della golden share può risultare compatibile con l’ordinamento comunitario, la Commissione europea ha adottato un’apposita comunicazione (comunicazione CE 97/C 220/06)[11] con la quale si afferma che l'esercizio dei poteri speciali, che deve comunque essere attuato senza discriminazioni, è ammesso se si fonda su "criteri obiettivi, stabili e resi pubblici" e se è giustificato da "motivi imperiosi di interesse generale". In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione europea, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo quei poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito.
Sulla base degli indirizzi contenuti nella comunicazione, la Commissione ha aperto una procedura di infrazione nei confronti delle disposizioni della legge n. 494/1994 che recavano la disciplina dei poteri speciali (procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato anche il Portogallo, il Regno Unito, la Francia e il Belgio). Dopo la lettera di messa in mora del 3 febbraio 1998 e il parere motivato del 10 agosto 1998, la procedura si è conclusa con il deferimento dell'Italia alla Corte di Giustizia (dicembre 1998).
Prima che intervenisse la sentenza della Corte di Giustizia, il Governo italiano ha adottato il D.P.C.M. 4 maggio 1999, con il quale sono stati specificati gli obiettivi che possono giustificare l'inserimento di poteri speciali negli statuti delle società da privatizzare. Si è, al riguardo, stabilito, in conformità con le indicazioni della Commissione europea, che i poteri speciali devono rispondere all’obiettivo di salvaguardare vitali interessi dello Stato e devono essere giustificati da imprescindibili motivi di interesse generale, con particolare riferimento all'ordine pubblico, alla sicurezza, alla sanità ed alla difesa.
Al tempo stesso, il D.P.C.M. 4 maggio 1999 ha individuato i criteri di introduzione di poteri speciali richiamando i princìpi di non discriminazione, di idoneità e proporzionalità rispetto al raggiungimento delle finalità alle quali i poteri medesimi devono rispondere.
Criteri più puntuali sono stati individuati per quanto riguarda l’esercizio del potere di gradimento nei confronti dell’acquisizione di partecipazioni rilevanti, che in modo più incisivo può interferire con il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei capitali.
Il contenuto del D.P.C.M. 4 maggio 1999 è stato in ampia parte ripreso, a livello legislativo, dall’articolo 66 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria per il 2000).
Più precisamente l’articolo 66 ha ribadito che i poteri speciali possono essere introdotti esclusivamente per rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, in particolare con riferimento all'ordine pubblico, alla sicurezza, alla sanità e alla difesa, in forma e misura idonee e proporzionali alla tutela degli interessi così individuati, anche per quanto riguarda i limiti temporali entro i quali si applicano. I poteri speciali, inoltre, devono essere stabiliti nel rispetto dei principi dell'ordinamento interno e comunitario, e, in primo luogo, del principio di non discriminazione, e devono risultare coerenti con gli obietti perseguiti attraverso le operazioni di privatizzazione e con i princìpi di tutela della concorrenza e del mercato.
L’articolo 66, della legge n. 488/1999 ha demandato ad un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del tesoro e del Ministro dell’industria la definizione dei criteri per l’esercizio dei poteri speciali, prescrivendo, in ogni caso, che tali criteri debbano risultare obiettivi, stabili nel tempo e resi previamente pubblici.
In attuazione dell'articolo 66 della legge n. 488/1999 è stato emanato il D.P.C.M. 11 febbraio 2000, il quale definisce i criteri per l'esercizio dei poteri speciali, riproducendo sostanzialmente il contenuto del precedente D.P.C.M. del 4 maggio 1999.
In particolare, per quanto concerne i criteri specifici individuati in relazione all’esercizio del potere di gradimento nei confronti dell’acquisizione di partecipazioni azionarie rilevanti, il D.P.C.M. 11 febbraio 2000 prevede che il gradimento sia rifiutato quando si tratti di evitare acquisizioni azionarie che:
a) non siano trasparenti e non assicurino la conoscenza della titolarità delle partecipazioni azionarie rilevanti ai fini del controllo della società, nonché degli obiettivi e dei programmi industriali dell'acquirente, nella misura in cui questi ultimi incidano sulle finalità e i criteri che presiedono all’introduzione dei poteri speciali;
b) compromettano processi di liberalizzazione e apertura dei mercati o non siano coerenti con la scelta di privatizzazione della società ovvero determinino situazioni di conflitto di interessi che possano pregiudicare il perseguimento della missione affidata alla società per quanto concerne le finalità di interesse pubblico;
c) comportino oggettivi rischi di infiltrazione di organizzazioni criminali o di coinvolgimento della società in attività illecite;
d) siano lesive della conservazione dei poteri speciali;
e) comportino consistenti pericoli di grave pregiudizio per interessi vitali dello Stato, anche con riferimento all’autonomia e alla sicurezza dei rifornimenti di materie prime e beni essenziali alla collettività, alla continuità dei servizi pubblici essenziali e alla sicurezza dei relativi impianti e reti, allo sviluppo dei settori tecnologicamente avanzati.
Il D.P.C.M. 11 febbraio 2000, come già il precedente D.P.C.M. 4 maggio 1999, ha previsto che i criteri definiti in relazione al potere di gradimento nei confronti dell’acquisizione di partecipazioni rilevanti si applichino anche all’esercizio degli altri poteri speciali.
La Corte di Giustizia, con propria sentenza pronunciata il 23 maggio 2000[12], ha tuttavia condannato l'Italia, dichiarando che le norme contenute nell'articolo 1, comma 5, e nell'articolo 2, del D.L. n. 332/1994, convertito dalla legge n. 474/1994, sono in contrasto con le disposizioni del Trattato CE in materia di diritto di stabilimento (art. 43 Trattato CE), libera prestazione dei servizi (art. 49) e libera circolazione dei capitali (art. 56). Nella sentenza si osserva che, per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, l'esistenza o meno di un adempimento deve essere valutata in relazione alla situazione sussistente al momento della scadenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione; nel caso specifico, due mesi dopo la notifica del parere motivato avvenuta il 10 agosto 1998. Pertanto la Corte non poteva prendere in considerazione le disposizioni adottate successivamente a tale scadenza, quali il D.P.C.M. 4 maggio 1999 e le disposizioni inserite nella legge finanziaria per il 2000.
Proprio con riferimento alla normativa intervenuta successivamente alla prima procedura di infrazione, la Commissione ha di nuovo inviato, nel febbraio 2003, una lettera di messa in mora al Governo italiano. La lettera prospetta, anche con riferimento all’articolo 66 della legge n. 488/1999 (legge finanziaria per il 2000) e al D.P.C.M. 11 febbraio 2000, la violazione degli articoli 43 e 56 del Trattato CE, relativi, rispettivamente, al diritto di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali.
In particolare, con riferimento ai criteri previsti dal D.P.C.M. 11 febbraio 2000 per l'esercizio dei poteri speciali, la Commissione, pur riconoscendo come legittimi gli obiettivi perseguiti con il decreto, ritiene tuttavia che non sussista un nesso causale adeguato fra tali obiettivi e l'esercizio dei poteri speciali, che conferiscono allo Stato strumenti di controllo dell’assetto proprietario e gestionale dell’impresa, ovvero che gli obiettivi del decreto possano essere conseguiti mediante strumenti meno restrittivi delle libertà sancite nel Trattato. Al riguardo la Commissione prospetta il ricorso alle direttive comunitarie settoriali esistenti (per es. nel settore dell’energia) o, nei settori non specificamente disciplinati dalla legislazione comunitaria, a provvedimenti nazionali orizzontali che stabiliscano norme di funzionamento per il settore in questione.
Più in generale, la Commissione ribadisce che, in conformità alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, anche in presenza di motivi imperativi di interesse generale, misure restrittive, quali il regime di gradimento e di veto, devono essere fondate su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo alle imprese interessate. Qualsiasi soggetto colpito da una misura restrittiva di questo tipo deve, inoltre, poter disporre di un rimedio giurisdizionale.
In conclusione, la Commissione dubita che i criteri per l'esercizio dei poteri speciali definiti nel D.P.C.M. 11 febbraio 2000 soddisfino condizioni di proporzionalità nel conseguimento di imperativi motivi di interesse generale, tali da giustificare il controllo dell’assetto proprietario dell’impresa e della sua gestione.
Alla luce dei rilievi formulati la Commissione ha invitato le autorità italiane, entro due mesi dalla data di ricevimento della lettera di messa in mora, a:
- giustificare in che modo i poteri speciali introdotti negli statuti di Finmeccanica e del gruppo ENEL (dopo che l'introduzione di tali poteri negli statuti di ENI e Telecom Italia era già stata condannata dalla sentenza della Corte di Giustizia) siano proporzionati ai pur legittimi motivi di interesse generale, in particolare di difesa e sicurezza degli approvvigionamenti energetici, perseguiti da queste imprese;
- modificare e/o giustificare, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, la normativa sulle privatizzazioni che attribuisce allo Stato l’esercizio di poteri speciali e che è già stata dichiarata incompatibile con il diritto di stabilimento e con il diritto di libera circolazione dei capitali previsti, rispettivamente, dagli articoli 43 e 56 del Trattato CE.
La Commissione si riserva di emettere un parere motivato nel caso in cui ritenga insufficienti i chiarimenti forniti dalle autorità italiane o nel caso in cui tali osservazioni non pervengano entro il termine prestabilito.
Il Governo italiano ha inviato le proprie osservazioni alla Commissione il 4 giugno 2003.
Nella memoria si rileva che la previsione dei poteri speciali nasce dall’esigenza di guidare imprese che gestiscono interessi di vitale importanza per lo Stato italiano durante la fase di transizione verso i meccanismi di mercato. Al riguardo si evidenziano anche i rischi per la concorrenza derivanti dal diverso grado di apertura dei mercati nazionali, che potrebbero determinare situazioni nelle quali una impresa, che gode di una posizione di monopolio legale in uno Stato membro, cerchi, grazie al potere economico che le deriva da questa posizione, di entrare nel mercato di un altro Stato membro, restringendone le condizioni di concorrenzialità.
La normativa sui poteri speciali, inoltre, trova giustificazione nelle previsioni del Trattato che permettono agli Stati membri di adottare specifiche misure giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (articoli 46 e 58) ovvero rivolte a tutelare gli interessi essenziali della propria sicurezza e relative alla produzione o al commercio di armi, munizioni o materiale bellico (articolo 296). Anche in materia di tutela della concorrenza è previsto un regime derogatorio per le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale (articolo 86.2).
Le società nei cui statuti è stata introdotta la golden share. gestiscono servizi di interesse economico generale, quali l'approvvigionamento di prodotti petroliferi e di gas, per quanto riguarda l’ENI, l'approvvigionamento di energia elettrica, per quanto concerne l’ENEL, la telefonia vocale (Telecom), la difesa (Finmeccanica). L'introduzione di tali poteri risponde pertanto alla tutela di imperiosi motivi di interesse generale.
I poteri speciali inseriti negli statuti delle società privatizzate, peraltro, non sono mai stati utilizzati. Il Governo italiano ha, anzi, rinunciato alla nomina del consigliere sia in ENI, sia in ENEL; per quanto riguarda Telecom, la società è stata autorizzata a modificare la clausola statutaria che prevedeva i poteri speciali.
Infine, riguardo all'assenza del controllo giurisdizionale contestata dalla Commissione, il Governo italiano rileva che, anche se tale controllo non è espressamente previsto nella normativa in questione, esso rimane comunque un principio indefettibile a tutela delle posizioni giuridiche soggettive. Anche circa la motivazione degli atti con cui siano eventualmente esercitati i poteri speciali, la legge n. 241/1990 stabilisce un obbligo generale di motivazione per tutti gli atti amministrativi dello Stato, a tutela delle posizioni soggettive coinvolte.
Fatte queste osservazioni, il Governo italiano si è comunque impegnato a procedere in tempi rapidi a una modifica della regolamentazione nazionale in materia di esercizio dei poteri speciali, che restringa la portata di tali poteri, rendendoli pienamente conformi ai principi del diritto comunitario e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Al riguardo nelle osservazioni trasmesse dal Governo alla Commissione si prospetta un duplice intervento, che comporti sia la revisione della normativa primaria (le disposizioni del D.L. n. 332/1994, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 474/1994), sia la ridefinizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali definiti dal D.P.C.M. 11 febbraio 2000. Tali interventi saranno effettuati sulla base degli indirizzi sottoposti al Governo dal Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni, previsto dall’articolo 15 del D.L. n. 332/1994.
Con la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003) è stata operata una generale revisione della disciplina relativa ai poteri speciali. Come risulta da ulteriori comunicazioni intercorse tra le due istituzioni, l’intervento effettuato nella legge finanziaria per il 2004 è diretta conseguenza degli impegni assunti dal Governo italiano in relazione alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione.
Le innovazioni introdotte dai commi 227-231 dell’articolo 4 della legge finanziaria per il 2004 in materia di poteri speciali che possono essere attribuiti al Ministro dell’economia e delle finanze dagli statuti di società privatizzate sono rivolte a limitare i contenuti di tali poteri rispetto alla normativa precedente, anche in considerazione dei rilievi formulati dalla Commissione europea in merito alla compatibilità di tale normativa con i princìpi dell’ordinamento comunitario relativi alla libertà di stabilimento e alla libertà di movimento dei capitali.
Più precisamente, le innovazioni recate dalla legge finanziaria interessano i seguenti profili:
a) la previsione che l’esercizio dei poteri speciali possa avvenire solo nel caso in cui l’operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato, con il rinvio ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la definizione dei criteri con i quali i poteri medesimi dovranno essere esercitati;
b) la previsione che l’esercizio dei poteri speciali debba essere adeguatamente motivato, in relazione al concreto pregiudizio che possa derivare per interessi vitali dello Stato;
c) la sostituzione del potere di opposizione al potere di gradimento preventivo nei confronti di rilevanti modifiche degli assetti proprietari (assunzioni di partecipazioni rilevanti e patti parasociali);
d) la limitazione dei poteri di nomina ad un solo amministratore, privo del diritto di voto.
Il comma 227 novella interamente il comma 1 dell'articolo 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, che reca la disciplina dei poteri speciali.
Il nuovo testo mantiene inalterato l’ambito di applicazione dei poteri speciali, che possono essere previsti per società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nei settori della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e, in generale, dei pubblici servizi.
Anche la procedura di individuazione delle società nei cui statuti, prima della perdita del controllo da parte dello Stato, debbano essere inserite clausole che comportino l’attribuzione di poteri speciali al Ministro dell’economia e delle finanze rimane inalterata. L’individuazione di tali società ha luogo mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di intesa con il Ministro delle attività produttive e con i Ministri competenti per settore, e previamente comunicato alle competenti Commissioni parlamentari.
L’esercizio dei poteri speciali è affidato al Ministro dell’economia e delle finanze, di intesa con il Ministro delle attività produttive.
Nel nuovo testo viene meno, peraltro, la previsione in base alla quale l’esercizio dei poteri speciali avrebbe dovuto tener conto degli obiettivi nazionali di politica economica e industriale.
Le successive lettere del comma 1 dell’articolo 2 della legge n. 474/1994 definiscono i contenuti e gli effetti dei poteri speciali.
La lettera a)attribuisce al Ministro il potere di opporsi all’assunzione di partecipazioni rilevanti, vale a dire di partecipazioni pari almeno al 5% del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto. Ai fini della definizione di partecipazioni rilevanti il Ministro può, peraltro, anche stabilire, con proprio decreto, una percentuale più bassa.
Il raggiungimento del limite che costituisce una partecipazione rilevante è valutato calcolando, nel caso in cui si tratti di una persona fisica, le quote detenute dal socio e dai membri del suo gruppo familiare (coniuge non separato legalmente e figli minori). Sono altresì calcolate le quote detenute dal gruppo di appartenenza, costituito dal soggetto (anche diverso da una società) che esercita il controllo, dalle società controllate e dalle società collegate. Sono, infine, computate anche le quote detenute, direttamente o indirettamente, dagli aderenti a patti parasociali[13], nel caso in cui tali patti riguardino il 10% delle azioni con diritto di voto nel caso di società quotate e il 20% delle quote o delle azioni con diritto di voto nel caso di società non quotate.
Il potere di opposizione sostituisce il potere di esprimere il proprio gradimento, che era previsto dalla precedente disciplina. Pertanto, in caso di silenzio del Ministro, la nuova formulazione, al contrario di quella previgente, comporta l’assenso all’assunzione di partecipazioni rilevanti.
L’opposizione deve essere espressa entro dieci giorni dalla comunicazione dell’acquisto della partecipazione, che deve essere effettuata dagli amministratori della società al momento della richiesta di iscrizione nel libro dei soci. Per l’espressione del gradimento era previsto un termine di 60 giorni.
L’esercizio dell’opposizione deve trovare giustificazione nel fatto che il Ministro ravvisi nell’assunzione di partecipazioni rilevanti un pregiudizio concreto agli interessi vitali dello Stato e deve avere luogo attraverso un provvedimento debitamente motivato in relazione a questo profilo. La necessaria connessione tra l’esercizio del potere di opposizione e il rischio che possano essere pregiudicati interessi vitali dello Stato, nonché l’espressa previsione di una motivazione che evidenzi tale rischio rappresentano un’innovazione rispetto alla disciplina precedente.
Resta confermato che, nelle more di decorrenza del termine per l'esercizio del potere di opposizione, è sospeso il diritto di voto e gli altri diritti aventi contenuto diverso da quello patrimoniale, connessi alle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante. Resta altresì confermato che, se viene esercitato il potere di opposizione, il cessionario non può esercitare i diritti di voto e comunque quelli aventi contenuto diverso da quello patrimoniale, connessi alle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante e dovrà cedere le stesse azioni entro un anno. In caso di mancata ottemperanza, il tribunale, su richiesta del Ministro dell'economia e delle finanze, ordina la vendita delle azioni che rappresentano la partecipazione rilevante, secondo le procedure di cui all'articolo 2359-ter del codice civile[14].
La nuova formulazione introdotta dall’articolo in esame, infine, prevede espressamente l’impugnabilità del provvedimento con il quale è stato esercitato il potere di opposizione. Il termine per l’impugnazione è fissato in 60 giorni e la competenza è attribuita al tribunale regionale amministrativo del Lazio.
La lettera b)attribuisce al Ministro dell’economia e delle finanze il potere di opporsi alla conclusione di patti parasociali, nel caso in cui gli aderenti al patto rappresentino almeno il 5% del capitale sociale costituito da azioni con diritto di voto nell'assemblea ordinaria. Il Ministro, con proprio decreto, può peraltro fissare una percentuale minore.
Ai sensi del comma 5 dell’articolo 122 del D.Lgs. n. 58/1998 (Testo unico in materia di intermediazione finanziaria) gli obblighi previsti dall’articolo medesimo in relazione ai patti parasociali si applicano ai patti, in qualunque forma stipulati:
a) che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l'esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano;
b) che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o di strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse;
c) che prevedono l'acquisto delle azioni o degli strumenti finanziari previsti dalla lettera b);
d) aventi per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società.
Anche in questo caso il potere di opposizione sostituisce quello di espressione del gradimento.
In funzione dell’esercizio del potere in questione, già il testo precedente incaricava la CONSOB di informare il Ministro dei patti e degli accordi rilevanti ai fini dell’esercizio del potere medesimo, di cui l’autorità avesse avuto comunicazione in conformità alle previsioni del Testo unico sull’intermediazione finanziaria[15].
L’esercizio del potere di opposizione deve avere luogo entro il termine di dieci giorni dalla comunicazione della CONSOB (anziché entro i 60 giorni precedentemente previsti per l’esercizio del potere di gradimento).
Anche in questo caso la nuova disciplina impone che l’opposizione sia manifestata attraverso un provvedimento debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio che il patto arrechi ad interessi vitali dello Stato.
Come già disposto dalla precedente disciplina, durante la decorrenza del termine per l’esercizio del potere di opposizione sono sospesi è sospeso il diritto di voto e gli altri diritti aventi contenuto diverso da quello patrimoniale spettanti ai soci che aderiscono al patto. In caso di opposizione del Ministro gli accordi sono inefficaci. Nel caso in cui dal comportamento in assemblea dei soci aderenti al patto si desuma il mantenimento degli impegni assunti, sono impugnabili le delibere per le quali il voto di tali soci sia risultato determinante.
Analogamente a quanto stabilito nella lettera a), anche il provvedimento con il quale viene esercitato il potere di opposizione alla conclusione di patti parasociali è impugnabile – sulla base della nuova formulazione – entro sessanta giorni dai soci aderenti al patto dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio.
La lettera c) conferma il potere di veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o, comunque, di particolare rilevanza. Si tratta delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell'azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all'estero, di cambiamento dell'oggetto sociale e delle delibere volte a modificare lo statuto, sopprimendo o modificando i poteri speciali.
Anche in questo caso le innovazioni introdotte dalla disciplina dettata dalla presente legge finanziaria riguardano, in primo luogo, la previsione che l’esercizio del potere di veto debba essere motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato.
In secondo luogo, si stabilisce che il provvedimento con cui viene esercitato il potere di veto possa essere impugnato dai soci dissenzienti entro 60 giorni dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio.
La riformulazione della lettera d) limita i poteri di nomina del Ministro dell’economia e delle finanze alla nomina di un amministratore senza diritto di voto. La disciplina precedente prevedeva la nomina di almeno un amministratore o di un numero di amministratori non superiore ad un quarto dei membri del consiglio e di un sindaco.
Il comma 228 detta alcune disposizioni volte a specificare le modalità di esercizio del potere di opposizione all’acquisizione di partecipazioni rilevanti e alla conclusione di patti parasociali, di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a) e b),del D.L. n. 332 del 1994, come modificato dal comma 227.
Al riguardo si precisa che il potere di opposizione viene esercitato con riferimento alla singola operazione.
Tale potere è altresì esercitabile quando il limite fissato per l’individuazione di una partecipazione rilevante sia raggiunto o oltrepassato attraverso ripetuti e distinti atti di acquisto.
Si prevede, infine, che il potere di opposizione possa essere esercitato non soltanto in relazione all’operazione di acquisto della partecipazione rilevante ovvero alla conclusione del patto parasociale, ma anche ogniqualvolta insorga l'esigenza di tutelare "sopravvenuti motivi imperiosi di interesse pubblico". In questa ipotesi il potere di opposizione deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal concreto manifestarsi degli interessi che richiedono tutela e deve essere esplicitamente motivato con riferimento alla data in cui le ragioni che lo giustificano si sono manifestate.
Il comma 229 definisce la procedura con la quale sono eliminate dagli statuti delle società interessate le clausole che prevedono poteri speciali.
A tal fine si demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro delle attività produttive e con i Ministri competenti per settore, l’individuazione delle società dai cui statuti debba essere eliminata, con deliberazione dell'assemblea straordinaria, la clausola con la quale è stata attribuita al Ministro dell'economia e delle finanze, la titolarità di uno o più dei poteri speciali.
Il comma 230 prevede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'economia e delle finanze e delle attività produttive, volto ad individuare i criteri di esercizio dei poteri speciali, limitando il loro utilizzo ai soli casi di pregiudizio degli interessi vitali dello Stato.
Per l’adozione del decreto il comma in esame ha fissato il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria. Peraltro, al momento, il decreto non risulta essere stato ancora emanato né pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Il comma 231, infine, dispone che gli statuti delle società nei quali è prevista la clausola che attribuisce allo Stato i poteri speciali devono essere adeguati alla nuova disciplina dettata dai commi precedenti.
In attuazione delle disposizioni della legge finanziaria, è stato adottato il D.P.C.M. 10 giugno 2004 (“Definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali, di cui all'art. 2 del D.L. 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 1994, n. 474”), con il quale sono stati individuati i criteri per l’esercizio dei poteri speciali di opposizione all’assunzione di partecipazioni rilevanti, di opposizione alla conclusione di accordi parasindacali e di veto su determinate delibere.
Il D.P.C.M. 10 giugno 2004 sostituisce il precedente D.P.C.M. 11 febbraio 2000.
Il D.P.C.M. 10 giugno 2004 ribadisce le finalità di esercizio dei poteri speciali (tutela di rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale, con particolare riferimento all’ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla sanità e alla difesa), il criterio di idoneità e rilevanza rispetto agli interessi da tutelare, la possibilità di introdurre limiti temporali, il rispetto dei princìpi dell’ordinamento interno e di quello comunitario, con particolare riferimento al principio di non determinazione.
Rispetto alla disciplina previgente viene invece rivista l’individuazione delle circostanze in relazione alle quali è ammesso il ricorso all’esercizio dei poteri speciali di opposizione e di veto. Tali circostanze sono, ai sensi del D.P.C.M. 10 giugno 2004, rappresentate da:
a) grave ed effettivo pericolo di una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, nonché dal pericolo di carenza di erogazione dei servizi connessi e conseguenti e, in generale, di materie prime e di beni essenziali alla collettività, nonché di un livello minimo di servizi di telecomunicazione e di trasporto;
b) grave ed effettivo pericolo in merito alla continuità di svolgimento degli obblighi verso la collettività nell'ambito dell'esercizio di un servizio pubblico, nonché in merito al perseguimento della missione affidata alla società nel campo delle finalità di interesse pubblico;
c) grave ed effettivo pericolo per la sicurezza degli impianti e delle reti nei servizi pubblici essenziali;
d) grave ed effettivo pericolo per la difesa nazionale, la sicurezza militare, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica;
e) emergenze sanitarie.
Le circostanze in cui è ammesso l’esercizio dei poteri pubblici rappresentano, pertanto, situazioni di pericolo o di emergenza nei settori di interesse generale specificamente individuati (ordine pubblico, sicurezza, sanità e difesa), nonché nei settori dell’energia ,delle telecomunicazioni e dei trasporti. Il riferimento, in generale, a beni essenziali alla collettività e alla continuità nell’esercizio di servizi pubblici sembra, peraltro, prospettare la possibilità di un ambito di applicazione oggettivo assai ampio.
Rispetto alla normativa precedente e, in particolare, al D.P.C.M. 11 febbraio 2000, che viene integralmente sostituito, non sono più riproposte le previsioni che ammettevano il ricorso ai poteri speciali in caso di assenza di trasparenza nell’acquisizione delle partecipazioni, pregiudizio ai processi di liberalizzazione e di apertura dei mercati e al perseguimento della missione della società relativa a finalità di interesse pubblico, rischi di infiltrazione di organizzazioni criminali o di coinvolgimento della società in attività illecite, lesione della possibilità di conservazione dei poteri speciali medesimi.
In altre parole sono eliminate le giustificazioni di esercizio dei poteri speciali correlate a modalità generali di riassetto proprietario o di svolgimento dell’attività della società.
Il D.P.C.M. 10 giugno 2004 prevede inoltre che l’esercizio dei poteri speciali di opposizione e di veto possa avere luogo anche in forma condizionata, vale a dire attraverso la formulazione di condizioni il cui accoglimento comporta la rinuncia, da parte del Governo, all’opposizione o al veto.
Per quanto concerne il potere di veto, viene specificato che esso può essere esercitato sia con riferimento alle delibere assunte dall’assemblea che a quelle assunte dagli organi di amministrazione.
Il D.P.C.M. 10 giugno 2004 dispone altresì in ordine al potere di nomina di un amministratore senza diritto di voto, demandando tale nomina ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di intesa con il Ministro delle attività produttive e detta la disciplina transitoria in materia di poteri e scadenza degli amministratori e dei sindaci nominati in base alla disciplina anteriore all’entrata in vigore della legge n. 350/2003.
Il D.P.C.M. 10 giugno 2004, infine, ribadisce l’attribuzione a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive, del compito di determinare il contenuto della clausola statutaria volta a introdurre uno o più dei poteri speciali.
Il decreto-legge n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 326/2003 ha disposto la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni, denominata “Cassa depositi e prestiti società per azioni” (CDP S.p.A.).
Ai fini della trasformazione è stata prevista l’adozione:
1) di un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, con il quale si definiscono i rapporti patrimoniali tra la CDP S.p.A. e lo Stato (in particolare, le attività e le passività trasferite allo Stato o alla gestione separata della CDP S.p.A. e i beni e le partecipazioni trasferite dallo Stato), e si determina il capitale sociale della nuova società; tale atto è stato adottato con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 5 dicembre 2003, “Attuazione del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003 per la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni” (pubblicato nella G.U. 12 dicembre 2003, n. 288);
2) di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, con il quale è stato approvato lo statuto della CDP S.p.A. e sono nominati i componenti degli organi sociali.
L’attività della società per azioni è strutturata su due aree distinte.
La prima area, organizzata come gestione separata, prosegue l’attività tradizionale della Cassa depositi e prestiti. Essa cura la concessione di finanziamenti agli enti pubblici e agli organismi di diritto pubblico, utilizzando, come provvista, il risparmio postale garantito dallo Stato e i fondi provenienti da emissioni di titoli e altre operazioni di raccolta, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.
La gestione separata mantiene una disciplina speciale, in virtù della quale spettano al Ministro dell’economia e delle finanze poteri di indirizzo e di definizione dei criteri di svolgimento dell’attività.
La seconda area (gestione ordinaria) ha per compito la concessione di finanziamenti relativi alle reti e agli impianti destinati alla fornitura dei servizi pubblici ed alle bonifiche. Questi finanziamenti sono concessi a valere sui fondi provenienti da emissioni di titoli e operazioni di raccolta non assistite dalla garanzia dello Stato. E’ in ogni caso esclusa la raccolta di fondi a vista. Si stabilisce, inoltre, che la raccolta di fondi sia effettuata esclusivamente attraverso investitori istituzionali.
La società per azioni assume la configurazione di intermediario finanziario non bancario, ed è soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia nelle forme previste per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del Testo unico bancario.
La proprietà del capitale azionario della nuova società è attribuita allo Stato. E’ stata prevista tuttavia la possibilità che altri soggetti pubblici o privati, tra cui, in particolare, sono indicate espressamente le fondazioni bancarie, possano detenere quote di capitale, purché nel complesso tali quote rimangano di minoranza.
Un gruppo di 65 fondazioni bancarie ha rilevato il 30% del capitale della società, versando un corrispettivo pari a 1 miliardo e 50 milioni di euro.
Il D.L. n. 269/2003 ha altresì previsto (art. 5, comma 3), la possibilità di trasferire a titolo oneroso alla Cassa depositi e prestiti partecipazioni societarie dello Stato, anche indirette. Tali partecipazioni sono assegnate alla gestione separata.
In sede di prima applicazione, con il decreto ministeriale che ha definito i rapporti patrimoniali tra la Cassa depositi e prestiti e il Ministero dell’economia, sono state cedute alla Cassa le seguenti partecipazioni:
1) il 10,35% di ENEL, per un corrispettivo di 3.156,5 milioni di euro;
2) il 10% di ENI, per un corrispettivo di 5.315,8 milioni di euro;
3) il 35% di Poste Italiane S.p.A., per un corrispettivo di 2.518,7 milioni di euro.
Complessivamente pertanto nel 2003 sono state cedute alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. partecipazioni dello Stato per un valore di 11 miliardi di euro.
Tale importo secondo quanto previsto nel D.M. 5 dicembre 2003 è stato prelevato dai conti correnti di tesoreria intestati alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. per essere trasferito sul fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
La trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni si pone a conclusione di un processo di ridefinizione dell’organizzazione e dei compiti dell’Istituto, che, di recente, si è caratterizzato per un crescente impegno nel finanziamento delle opere pubbliche, sia direttamente, sia attraverso la costituzione della società Infrastrutture S.p.A.
La Cassa depositi e prestiti (CDP) nasce nell’Italia preunitaria quando, seguendo l’esempio francese, fu istituita nel 1850 con sede a Torino. L’origine della CDP è legata all’esigenza di utilizzare per il finanziamento degli investimenti pubblici le ingenti disponibilità finanziarie, provenienti dalla raccolta del risparmio postale. Per circa un secolo la CDP è stata una Direzione Generale del Ministero del Tesoro, pur avendo contabilità e bilancio separati da quelli dello Stato.
Con legge 13 maggio 1983, n. 197, la CDP acquisisce piena autonomia e nel 1993 viene riconosciuta all’Istituto la personalità giuridica (art. 22 del D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito dalla legge 19 marzo 1993, n. 68).
Successivamente, in attuazione dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, viene adottato il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 284, con il quale si provvede a riordinare l’assetto organizzativo e funzionale della CDP, ribadendo la natura giuridica di amministrazione dello Stato, dotata di propria personalità giuridica e di autonomia ordinamentale, organizzativa, patrimoniale e di bilancio, che svolge attività di interesse economico generale. Alla CDP, pertanto, non sono applicate le norme contenute nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Con la legge finanziaria per il 2002 (legge n. 448/2001), si è previsto (articolo 47, commi da 1 a 5) che la Cassa depositi e prestiti potesse intervenire nel finanziamento del piano straordinario delle infrastrutture e delle opere di grandi dimensioni a livello regionale e locale, individuate dal CIPE[16].
Successivamente, con il D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, la CDP è stata autorizzata a costituire una società finanziaria per azioni, "Infrastrutture S.p.A.", con il compito di finanziare, in via sussidiaria rispetto a banche e altri intermediari, da un lato, le infrastrutture e le grandi opere pubbliche, purché suscettibili di utilizzazione economica, dall’altro, gli investimenti per lo sviluppo.
In diverse occasioni (anche in audizioni parlamentari), il Ministro dell’economia e delle finanze ha rilevato che, in relazione al Piano di azione europeo per le infrastrutture, la Cassa depositi e prestiti, trasformata in società per azioni, dovrebbe affiancare, a livello nazionale, la Banca europea per gli investimenti nelle operazioni di finanziamento.
Le attività di competenza della Cassa depositi e prestiti S.p.A. sono strutturate su due aree distinte che comportano anche una separazione organizzativa e contabile.
L’area che comprende l’attività tradizionale di finanziamento agli enti pubblici è infatti affidata ad una gestione separata.
La seconda area di attività riguarda la concessione di finanziamenti nel settore dei servizi pubblici e rappresenta l’ambito di competenza della gestione ordinaria.
Il decreto-legge n. 269/2003 prevede inoltre che la nuova società possa assumere partecipazioni e svolgere le attività strumentali, connesse e accessorie ai propri compiti.
La prima area di attività, individuata dal decreto-legge n. 269/2003, è affidata ad una gestione separata e riguarda la concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, alle regioni, agli enti locali, agli enti pubblici in generale e agli organismi di diritto pubblico.
Si tratta dell’attività tradizionalmente svolta dalla Cassa depositi e prestiti. In proposito, già il D.Lgs. n. 284/1999, comprendeva, tra le attività e servizi di interesse economico generale svolti dalla Cassa depositi e prestiti, la concessione di “finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, alle regioni, agli enti locali, agli altri enti pubblici, ai gestori di pubblici servizi, alle società a cui la Cassa partecipa e agli altri soggetti indicati dalla legge”.
I soggetti beneficiari dell’attività di finanziamento svolta dalla gestione separata sono rappresentati, innanzitutto, dagli enti locali e, più in generale, da tutti gli enti pubblici.
Rispetto alla normativa precedente non sono più previsti, tra i destinatari dei finanziamenti, i gestori di pubblici servizi, alla luce del fatto che al settore dei pubblici servizi si rivolgerà l’attività di finanziamento svolta dalla gestione ordinaria.
E’ invece inserito, nell’ambito dei soggetti beneficiari dei finanziamenti della gestione separata, il riferimento agli organismi di diritto pubblico.
Sulla base della normativa in materia di appalti di lavori pubblici, forniture e servizi, si definisce organismo di diritto pubblico “qualsiasi organismo dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dagli enti locali, da altri enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico, o la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, o i cui organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti, in misura non inferiore alla metà, da componenti designati dai medesimi soggetti”.
Come evidenziato da ultimo dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 4748 del 22 agosto 2003, l’individuazione degli organismi di diritto pubblico consegue all’accertamento di tre distinti requisiti, che devono presentarsi cumulativamente:
1. il possesso della personalità giuridica;
2. la sussistenza di una dominanza pubblica, riscontrabile in relazione alle fonti di finanziamento o al controllo sulla gestione o alla composizione degli organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza;
3. il perseguimento di interessi generali di carattere non industriale o commerciale.
Le forme di provvista relative ai finanziamenti della gestione separata sono rappresentate, in primo luogo, dal risparmio postale, raccolto attraverso libretti di risparmio postale e buoni fruttiferi postali. La distribuzione di questi prodotti è affidata a Poste italiane S.p.A. o a società da essa controllate e su di essi sussiste la garanzia dello Stato.
E’ inoltre previsto che la CDP S.p.A. possa raccogliere fondi con l’emissione di titoli o, più in generale, l’assunzione di finanziamenti e altre operazioni finanziarie, che “possono essere assistite dalla garanzia dello Stato[17]”.
Alla gestione separata possono, inoltre, essere assegnate partecipazioni azionarie di cui la CDP S.p.A. è titolare. Fanno parte dei compiti spettanti alla gestione separata anche le attività strumentali, connesse e accessorie.
La gestione separata, infine, può effettuare attività di assistenza e consulenza in favore dei soggetti beneficiari dei finanziamenti da essa concessi.
La separazione della gestione alla quale è affidato il finanziamento degli enti pubblici riguarda i profili contabili e organizzativi.
La gestione separata è soggetta, inoltre, ad una disciplina speciale, che è caratterizzata dai seguenti profili:
- specifici poteri attribuiti al Ministro dell’economia e delle finanze;
- integrazione del consiglio di amministrazione con rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze e con rappresentanti e degli enti locali;
- vigilanza della Commissione parlamentare;
- possibilità di avvalersi della rappresentanza in giudizio e della difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Al Ministro dell’economia e delle finanze è attribuito il potere di indirizzo della gestione separata.
In particolare il Ministro, con propri decreti di natura non regolamentare, stabilisce:
a) i criteri per la definizione delle condizioni economiche e generali degli strumenti di raccolta (libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali, nonché titoli emessi e altre operazioni di finanziamento) che sono assistiti dalla garanzia dello Stato;
b) i criteri per la definizione delle condizioni economiche e generali degli impieghi; al riguardo vengono espressamente indicati i princìpi di accessibilità, uniformità di trattamento, predeterminazione e non discriminazione[18];
c) le norme in materia di trasparenza, pubblicità, contratti e comunicazioni periodiche, come già previsto dall’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 284/1999);
d) i criteri per la gestione delle partecipazioni assegnate.
Riguardo agli atti di amministrazione relativi alla gestione separata, il consiglio di amministrazione della CDP S.p.A. è integrato dal ragioniere generale dello Stato, dal direttore generale del Tesoro e da tre esperti in materie finanziarie in rappresentanza, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni, nominati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, scegliendoli da terne presentate dalla Conferenza dei presidenti delle giunte regionali, dall'UPI e dall'ANCI[19].
E’ stata, infine, prevista espressamente la continuità, in capo alla gestione separata, dei rapporti giuridici sorti per effetto dell’operazione di cartolarizzazione di una quota dei propri crediti effettuata dalla Cassa depositi e prestiti in vista dell’aumento di capitale della società Infrastrutture S.p.A.
La seconda area di attività che il decreto-legge n. 269/2003 attribuisce alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. ha per oggetto la concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, per opere, impianti, reti e dotazioni relativi alla fornitura di servizi pubblici e alle bonifiche ed è affidata alla gestione ordinaria.
La provvista per questi finanziamenti sarà reperita attraverso l’emissione di titoli e, più in generale, l’assunzione di finanziamenti e l’effettuazione di altre operazioni finanziarie.
La competenza a deliberare le operazioni di raccolta di fondi, sotto qualsiasi forma, spetta all’organo amministrativo della CDP S.p.A.
Non si applica il divieto, per i soggetti diversi dalle banche, di raccolta del risparmio tra il pubblico.
Per quanto concerne i finanziamenti concessi dalla gestione ordinaria per reti ed impianti destinati a servizi pubblici è escluso peraltro che la CDP S.p.A. possa raccogliere fondi rimborsabili a vista.
La raccolta dei fondi per i finanziamenti della gestione ordinaria è effettuata esclusivamente presso investitori istituzionali.
Le due disposizioni sembrano essere finalizzate a distinguere l’attività della gestione ordinaria della CDP S.p.A. dall’attività delle banche.
In ogni caso, per quanto concerne la raccolta dei fondi da destinare all’attività della gestione ordinaria (finanziamento di opere, impianti e reti relativi alla fornitura di servizi pubblici), è espressamente esclusa la garanzia dello Stato.
Alla CDP S.p.A. è, infine, attribuita la facoltà di costituire patrimoni separati, destinandoli specificamente al soddisfacimento dei diritti di portatori di titoli e di altri soggetti finanziatori.
Alla CDP S.p.A. si applica la disciplina prevista per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del Testo unico bancario.
L’articolo 107 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia[20] prevede l’iscrizione in un elenco speciale degli intermediari finanziari che presentano determinati requisiti, relativi all'attività svolta, alla dimensione e al rapporto tra indebitamento e patrimonio, individuati dal Ministro del tesoro, sentite la Banca d'Italia e la CONSOB.
Sugli intermediari finanziari iscritti all’elenco speciale si esercita la vigilanza della Banca d’Italia, nelle forme previste dalla specifica disciplina.
In particolare, la Banca d'Italia detta disposizioni aventi ad oggetto l'adeguatezza patrimoniale e il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni nonché l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni; in queste materie può altresì adottare provvedimenti specifici nei confronti di singoli intermediari e, con riferimento a determinati tipi di attività, può dettare disposizioni volte ad assicurarne il regolare esercizio.
Gli intermediari sono tenuti a inviare alla Banca d'Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato e documento richiesto.
Alla Banca d'Italia sono attribuiti anche poteri ispettivi, con facoltà di richiedere l'esibizione di documenti e gli atti ritenuti necessari.
La Banca d'Italia, infine, può imporre agli intermediari il divieto di intraprendere nuove operazioni per violazione di norme di legge o di disposizioni emanate sulla base della normativa vigente.
La trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni ha avuto effetto dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 5 dicembre 2003 (pubblicato nella G.U. n. 288 del 12 dicembre 2003) con il quale è stato determinato il capitale sociale e sono stati definiti i rapporti patrimoniali tra la CDP S.p.A. e lo Stato.
La pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale sostituisce gli adempimenti previsti dalla normativa in materia di costituzione della società.
Secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 269/2003, il primo esercizio sociale della CDP S.p.A. si chiuderà il 31 dicembre 2004. In tal modo, quale che sia la data di trasformazione in società per azioni, si assicura che il primo esercizio (e i successivi) si concludano in coincidenza con la fine dell’anno.
Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 269/2003 lo statuto della CDP S.p.A. è stato approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (non pubblicato, peraltro, nella Gazzetta Ufficiale).
Con il medesimo decreto sono stati nominati anche i componenti del Consiglio di amministrazione della società.
Organi della società sono l’Assemblea, il Consiglio di amministrazione, composto da 9 membri, e il Collegio sindacale, composto da 5 sindaci effettivi e da 2 sindaci supplenti.
Il Consiglio di amministrazione nomina il Direttore generale.
E’ prevista, inoltre, l’istituzione di un Comitato di indirizzo con funzioni consultive e propositive nei confronti del Consiglio di amministrazione, relativamente alla formulazione degli indirizzi strategici della società. Il Comitato di indirizzo è composto dal Direttore generale e da 8 membri nominati dal Consiglio di amministrazione.
Il D.M. 5 dicembre 2003 ha determinato il capitale sociale della CDP S.p.A. in 3.5 miliardi di euro. Il capitale sociale è stato interamente versato su un conto corrente presso la Tesoreria centrale dello Stato di cui è titolare la CDP S.p.A. (conto corrente denominato “CDP S.p.A. - gestione separata”).
Il capitale sociale è suddiviso in 350 milioni di azioni del valore nominale di 10 euro. Le azioni sono ripartite in 245 milioni di azioni ordinarie e 105 milioni di azioni privilegiate.
Secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 269/2003, allo Stato è attribuita la proprietà delle azioni della nuova società.
L’esercizio dei diritti dell’azionista da parte dello Stato è di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze.
Il decreto-legge n. 269/2003 richiama l’articolo 24, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 300/1999 (“Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”), in base al quale l’area funzionale del Ministero dell’economia e delle finanze relativa alla politica economica e finanziaria e corrispondente alle attribuzioni del Dipartimento del tesoro include anche i compiti relativi alla gestione di partecipazioni azionarie dello Stato, compreso l'esercizio dei diritti dell'azionista e l'alienazione dei titoli azionari di proprietà dello Stato.
Non si applicano le disposizioni dell’articolo 2362 del codice civile, che, nella novella in vigore dal 1° gennaio 2004, prevedono l’iscrizione nel registro delle imprese di una dichiarazione contenente i dati identificativi dell’unico azionista[21].
La partecipazione dello Stato al capitale della CDP S.p.A., peraltro, sulla base della disciplina dettata dal decreto-legge n. 269/2003, deve essere maggioritaria, ma non necessariamente totalitaria.
Quote del capitale sociale, purché complessivamente rimangano di minoranza, possono essere detenute dalle fondazioni bancarie, di cui al decreto legislativo n. 153/1999[22], nonché, in generale, da altri soggetti pubblici o privati.
In relazione a quest’ultima disposizione, un gruppo di 65 fondazioni bancarie ha acquistato una quota complessiva pari al 30% del capitale totale, corrispondente ad un valore di 1 miliardo e 50 milioni di euro.
In particolare, 5 quote da 89,84 milioni di euro sono state rilevate, rispettivamente, dalla Compagnia di San Paolo, dalla Fondazione Cariplo, dalla Fondazione Cassa di risparmio di Torino, dalla Fondazione Cassa di risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona e dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Complessivamente le fondazioni bancarie hanno sottoscritto la totalità delle azioni privilegiate (105 milioni), che hanno diritto di voto nelle assemblee ordinarie e in quelle straordinarie e che saranno convertite in azioni ordinarie dal 1° gennaio 2010.
Alle azioni privilegiate è attribuito un dividendo preferenziale determinato in rapporto al valore nominale, in misura pari ad un tasso del 3% aumentato del tasso di inflazione relativo all’ultimo mese dell’esercizio al quale il dividendo medesimo si riferisce.
Alle fondazioni è altresì riconosciuto il diritto di recesso nel quinto anno prima della data prevista per la conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie. Il diritto di recesso è, inoltre, previsto, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2005 e il 31 dicembre 2009, nel caso in cui il dividendo sia inferiore, anche per un solo esercizio, a quello minimo attribuito alle azioni privilegiate.
Le fondazioni designano 3 dei 9 membri del Consiglio di amministrazione della CDP S.p.A. e 2 dei 5 sindaci effettivi della società.
E’ inoltre previsto che la maggioranza dei membri del Comitato di indirizzo sia nominata su designazione dei titolari delle azioni privilegiate.
Il decreto-legge n. 269/2003 ha previsto che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di natura non regolamentare, oltre ad essere determinato il capitale sociale fossero anche definiti gli assetti patrimoniali della nuova società, con specifico riferimento ai rapporti con lo Stato. In particolare, è stata demandata al decreto ministeriale:
a) l’individuazione delle funzioni e delle attività e passività di spettanza della Cassa depositi e prestiti prima della trasformazione che sono trasferite al Ministero dell'economia e delle finanze o, pur rimanendo alla CDP S.p.A., sono assegnate alla gestione separata;
b) l’individuazione dei beni e partecipazioni dello Stato, anche indirette, che sono trasferite alla CDP S.p.A. e assegnate alla gestione separata.
Con successivi decreti ministeriali possono essere disposti ulteriori trasferimenti e conferimenti.
c) la definizione degli impegni accessori assunti dallo Stato.
I profili sopra indicati sono stati definiti con il D.M. 5 dicembre 2003.
In particolare, tale decreto ha trasferito al Ministero dell’economia e delle finanze le seguenti passività, di cui in precedenza era titolare la Cassa depositi e prestiti:
- una quota dei buoni postali fruttiferi pari a 57.522 milioni di euro;
- il servizio depositi da parte delle amministrazioni statali, regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici, nonché di privati (i depositi del settore privato ammontano a 1.170 milioni di euro);
- il servizio dei conti correnti postali (di cui la quota detenuta da privati ammonta a 16.793 milioni di euro).
Nell’ambito delle attività precedentemente detenute dalla Cassa depositi e prestiti è stata trasferita al Ministero dell’economia e delle finanze una quota dei mutui concessi dall’Istituto. La nuova società per azioni rimane titolare di mutui nei confronti delle amministrazioni locali per un importo complessivo di 47.490 milioni di euro.
Secondo i dati del bilancio della Cassa depositi e prestiti relativo al 2002, lo stock del risparmio postale risultava pari a 187,3 miliardi di euro, a fronte dei quali la Cassa vantava crediti verso la clientela per 92,6 miliardi di euro (di cui 52,3 miliardi di euro nei confronti degli enti locali e 21,4 miliardi di euro nei confronti delle regioni, 4,3 miliardi di euro nei confronti dello Stato e 6,5 miliardi di euro nei confronti di altri enti pubblici).
L’esercizio delle attività inerenti alla gestione dei rapporti trasferiti al Ministero dell’economia e delle finanze è affidata alla gestione separata istituita nell’ambito della Cassa depositi e prestiti S.p.A. A tal fine è prevista la stipula tra il Ministero e la società di una o più convenzioni con le quali sono definiti gli indirizzi per lo svolgimento da parte della CDP S.p.A. delle funzioni in questione, ne viene effettuata la ricognizione ed è determinata l’eventuale commissione da corrispondere alla società per l’effettuazione dei servizi resi.
Per effetto delle disposizioni contenute nel D.M. 5 dicembre 2003 sono stati estinti i conti correnti fruttiferi di tesoreria n. 29810 “Cassa DD.PP. – Fondo di garanzia del risparmio postale”; n. 29811 “Cassa DD.PP. – Gestione principale” e n. 29812 “Cassa DD.PP. – Gestione dei conti correnti e assegni postali”.
Le disponibilità giacenti sui conti correnti indicati, che alla fine del 2002 risultavano pari a 155,7 miliardi di euro sono state attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze.
Contestualmente è stata prevista l’accensione presso la tesoreria centrale dello Stato di un conto corrente fruttifero, denominato “CDP S.p.A. – gestione separata” e intitolato alla nuova società. Su quest’ultimo conto corrente è stata versata la somma di 10.800 milioni di euro, prelevata dai conti correnti precedentemente intestati all’istituto, dei quali è stata disposta l’estinzione.
Il D.L. n. 269/2003 ha previsto (art. 5, comma 3), la possibilità di trasferire a titolo oneroso alla Cassa depositi e prestiti partecipazioni societarie dello Stato, anche indirette.
Tali partecipazioni sono assegnate alla gestione separata.
Sulla base delle disposizioni sopra richiamate, pertanto, la Cassa depositi e prestiti, contestualmente alla privatizzazione, che è stata attuata, sotto il profilo formale, mediante la trasformazione in società per azioni, e, sotto il profilo sostanziale, mediante la cessione a fondazioni bancarie del 30% del capitale, ha assunto un ruolo molto rilevante di strumento attivo nella realizzazione dei programmi di privatizzazione delle partecipazioni ancora detenute dallo Stato.
Per effetto della trasformazione in società per azioni, infatti, la Cassa è stata collocata al di fuori del settore delle amministrazioni pubbliche, per cui i proventi della cessione di attività finanziarie da parte dello Stato possono essere contabilizzati a riduzione del debito pubblico.
Per altro verso, il Ministro dell’economia e delle finanze continua ad esercitare un’influenza decisiva sull’attività della Cassa, in conseguenza sia della larga maggioranza detenuta nel capitale dell’istituto, sia degli specifici poteri ad esso attribuiti con riferimento alla gestione separata, alla quale sono affidate le partecipazioni cedute dallo Stato.
In attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 269/2003, con il D.M. 5 dicembre 2003, che ha definito i rapporti patrimoniali tra la Cassa e il Ministero dell’economia, è stata disposta la cessione alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. delle seguenti partecipazioni azionarie di proprietà dello Stato:
1) il 10,35% di ENEL, per un corrispettivo di 3.156,5 milioni di euro;
2) il 10% di ENI, per un corrispettivo di 5.315,8 milioni di euro;
3) il 35% di Poste Italiane S.p.A., per un corrispettivo di 2.518,7 milioni di euro.
Complessivamente pertanto sono state cedute alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. partecipazioni dello Stato per un valore di 11 miliardi di euro.
Tale importo secondo quanto previsto nel D.M. 5 dicembre 2003 è stato prelevato dai conti correnti di tesoreria intestati alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. per essere trasferito sul fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
In connessione con la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni sono state pertanto effettuate operazioni di privatizzazione per un valore complessivo di circa 12 miliardi di euro, di cui 11 miliardi relativi alle partecipazioni cedute dallo Stato alla nuova società e 1 miliardo relativo alla quota del capitale della nuova società ceduta alle fondazioni bancarie.
In merito ai pacchetti azionari ceduti alla Cassa depositi e prestiti, il Presidente della società, nell’audizione presso la V Commissione della Camera svoltasi in data 25 marzo 2004 nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle politiche di privatizzazione, ha precisato che il pacchetto di Poste italiane S.p.a. rappresenta per la Cassa una partecipazione “assolutamente strategica”, in quanto le Poste, attraverso il sistema del risparmio postale, sono il principale strumento di raccolta dei finanziamenti della Cassa; l’attività di raccolta del risparmio svolta dalle Poste ricopre pertanto un ruolo strumentale decisivo ai fini dell’attività di finanziamento da parte della Cassa rivolta a favore di soggetti pubblici.
Al contrario, le partecipazioni di Enel ed Eni trasferite alla Cassa hanno carattere esclusivamente finanziario e rispondono alla finalità di “patrimonializzare” la società.
La società per azioni “Sviluppo Italia”, interamente posseduta dal Ministero dell’economia e delle finanze, è stata istituita il 26 gennaio 1999, ai sensi del D.Lgs. 9 gennaio 1999 n. 1, successivamente integrato dal D.Lgs. 14 gennaio 2000, n. 3, con il compito di svolgere funzioni di coordinamento, riordino, indirizzo e controllo delle attività di promozione dello sviluppo industriale e dell'occupazione nelle aree depresse del Paese, nonché di attrazione degli investimenti.
Con la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 gennaio 1999 il capitale sociale iniziale è stato fissato in 35 miliardi di lire.
Tale somma è stata interamente conferita alla società “Sviluppo Italia” quale partecipazione del Ministero dell’economia e finanze[23], che esercita, ai sensi dell’articolo 2, comma 6, del D.Lgs. n. 1/1999, i diritti dell’azionista.
Attualmente il capitale sociale (a seguito dell’incorporazione delle società in essa confluite) ammonta a 1.257,6 milioni di euro.
Le funzioni che la società Sviluppo Italia esercita attraverso l’erogazione di servizi e l’acquisizione di partecipazioni sono le seguenti:
- promozione di attività produttive e attrazione degli investimenti;
- promozione di iniziative occupazionali e nuova imprenditorialità;
- sviluppo della domanda di innovazione;
- sviluppo dei sistemi locali d’impresa, anche nei settori agricolo, turistico e del commercio;
- supporto alle amministrazioni pubbliche centrali e locali per la programmazione finanziaria e la progettualità dello sviluppo;
- consulenza in materia di gestione degli incentivi nazionali e comunitari, con particolare riferimento per il Mezzogiorno e le altre aree depresse.
Alla società Sviluppo Italia è stato assegnato il compito di provvedere al riordino e all’accorpamento delle attività e delle strutture delle società SPI, ITAINVEST, IG - Società per l’imprenditoria giovanile, INSUD, RIBS, ENISUD[24], FINAGRA e le quote dell’associazione IPI detenute dallo Stato o da società da questo controllate, ricollocandole in una o più società operative da essa direttamente o indirettamente controllate, ovvero, ai sensi del D.Lgs. n. 3/200, in rami di azienda.
Il D.Lgs. n. 1/1999 disponeva inizialmente che Sviluppo Italia provvedesse al riordino e all’accorpamento delle suddette società partecipate al fine di una loro ricollocazione in due nuove società operative specializzate, rispettivamente, in materia di servizi allo sviluppo e di servizi finanziari. A tal fine, nel giugno 1999 vennero costituite due società operative, una per i servizi allo sviluppo (Progetto Italia) e una per i servizi finanziari (Investire Italia), che operavano in regime di convenzione con le diverse società controllate da Sviluppo Italia.
Con il successivo D.Lgs. n. 3/2000, nel riconfermare le missioni di Sviluppo Italia, sono state emanate alcune disposizioni correttive ed integrative, dirette ad assicurare alla Società - ad un anno dalla sua costituzione - strumenti operativi più funzionali al perseguimento degli obiettivi ad essa affidati.
A seguito del D.Lgs. n. 3/2000, che ha previsto la possibilità per Sviluppo Italia di operare tramite propri rami di azienda, il consiglio di amministrazione di Sviluppo Italia Spa, nel gennaio 2000, ha deciso di procedere alla fusione per incorporazione delle società SPI, ITAINVEST, IG, INSUD, RIBS e FINAGRA, nonché di Progetto Italia e Investire Italia.
L’operazione di fusione è stata completata nel giugno 2000[25].
A seguito della operazione di fusione, Sviluppo Italia è subentrata nella gestione di tutti gli interventi che precedentemente erano di competenza delle varie società in essa confluite:
- l’imprenditoria giovanile e il prestito d’onore (ora definiti “autoimpiego e autoimprenditorialità”) della IG;
- la siderurgia (legge 181/1989) e la promozione e lo sviluppo di attività imprenditoriali della SPI;
- il settore turistico della INSUD;
- le attività finanziarie di ITAINVEST;
- gli interventi nel settore agro-alimentare di RIBS e Finagra.
Per quanto concerne gli interventi nel settore agro-alimentare, l’articolo 4, comma 42, della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003) ha disposto il trasferimento all'ISMEA delle risorse finanziarie di Sviluppo Italia Spa relative agli interventi ex Ribs[26].
Il Consiglio di amministrazione di Sviluppo Italia S.p.A., è attualmente composto di sette membri[27].
Per quanto concerne l’assetto organizzativo, attualmente Sviluppo Italia (gestita da un unico amministratore delegato) è strutturata in cinque aree funzionali[28], così definite:
- Attrazione di Investimenti;
- Servizi alla Committenza Pubblica;
- Sostegno alle politiche occupazionali;
- Sviluppo d'impresa;
- Creazione di impresa.
Con la delibera 2 agosto 2002, n. 62, il CIPE ha previsto la definizione da parte di Sviluppo Italia di un Programma Quadro, al cui finanziamento è stato destinato un importo pari a 73 milioni di euro.
Attraverso il Programma Quadro 2002-2004, presentato da Sviluppo Italia il 12 dicembre 2002 ed approvato con delibera 19 dicembre 2002, n. 130, il CIPE ha inteso promuovere, sulla base degli indirizzi programmatici contenuti nel DPEF 2003-2006, la realizzazione di tre Programmi Operativi aventi ad oggetto:
- l’attività di advisoring e supporto tecnico alle Amministrazioni centrali, alle regioni e province autonome nella fase attuativa degli studi di fattibilità;
- il supporto alle regioni e alle province per il miglioramento della capacità e della qualità della committenza pubblica;
- la predisposizione e l’avvio di un programma pluriennale di marketing finalizzato alla attrazione degli investimenti nelle aree sottoutilizzate del Paese. Tra gli strumenti per la realizzazione di tale Programma Operativo è previsto il “contratto di localizzazione”, che rappresenta una nuova tipologia di contrattazione programmata tra MEF, MAP, Regioni, Impresa e Sviluppo Italia, rivolta a garantire alle imprese certezza di tempi e di costi nel processo insediativo.
I tre Programmi Operativi rappresentano un ampliamento effettivo della missione di Sviluppo Italia.
Oltre alla sede centrale a Roma, Sviluppo Italia è presente nel territorio nazionale in diverse sedi, assorbendo le già esistenti strutture locali delle società in essa confluite (in particolare della IG e della SPI).
Sviluppo Italia agisce inoltre a livello territoriale attraverso le società regionali: a conclusione del processo di revisione delle sedi territoriali che facevano capo alle società confluite in Sviluppo Italia, si è proceduto ad una rimodulazione in nuove strutture regionali operative.
Sono attualmente operative 14 società a responsabilità limitata - una per ciascuna regione del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) e altre sette nel Centro-Nord (Umbria, Toscana, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Marche).
Altre 4 società regionali sono in fase di avvio, nell’ambito di un progetto complessivo che prevede la copertura dell’intero territorio nazionale.
Le società controllate e partecipate
Al mese di maggio 2004 Sviluppo Italia detiene un portafoglio di partecipazioni costituito da 154 società, in parte ereditate dalle singole società confluite nella Società, in parte acquisite successivamente alla fusione, di cui:
- 25 società direttamente controllate da Sviluppo Italia, tra cui:
· 14 società regionali operative, frutto di un processo di accorpamento e razionalizzazione delle società dislocate sul territorio volto alla costituzione di un solo soggetto per regione;
· 11 società, alcune delle quali strumentali al conseguimento degli obiettivi della società, tra le quali assumono un ruolo significativo Sviluppo Italia Turismo Spa, Sviluppo Italia Aree Produttive Spa, Italia Navigando Spa e Innovazione Italia Spa, rispettivamente focalizzate su turismo, riqualificazione di aree industriali dismesse, valorizzazione delle località portuali turistiche e sviluppo delle reti a banda larga, e Investire Partecipazioni Spa, (la bad company del Gruppo);
- 129 società partecipate, dislocate su tutto il territorio nazionale, 28 delle quali concentrate nel settore agroalimentare, 10 nel settore del turismo e le restanti relative a settori tradizionali (tessile, edile, meccanico, metallurgico e servizi) e a settori a elevato contenuto tecnologico (informatica, telefonia, aerospazio, elettronica).
Investimenti nel capitale di rischio
Sul modello di esperienze europee di successo Sviluppo Italia si è progressivamente strutturata come una moderna Agenzia per lo sviluppo che opera attraverso tre principali linee di intervento: attrazione d'investimenti, sviluppo e creazione d’impresa, supporto alla Pubblica Amministrazione.
Per raggiungere tali obiettivi, Sviluppo Italia agisce sia come soggetto gestore e co-gestore di funzioni pubbliche, sia come attore operante sul mercato con propri capitali di rischio.
A tal fine, Sviluppo Italia interviene mediante acquisizioni e partecipazioni al capitale di piccole, medie e grandi imprese.
Tali attività di acquisizione di partecipazioni temporanee di minoranza e la concessione di finanziamenti a condizioni di mercato sono rivolte al sostegno di iniziative imprenditoriali in fase di start-up ovvero all'ampliamento, ammodernamento, riconversione di impresa.
Gli investimenti sono effettuati, prevalentemente, nel settore manifatturiero e in quello dei servizi ed inquadrate preferibilmente in una logica di filiera o distretto produttivo.
Particolare interesse è riservato alle iniziative che prevedono nuovi insediamenti produttivi nelle aree obiettivo 1 (Sud e Isole), in un’ottica di attrazione di investimenti.
Per quanto concerne le aree del Centro-Nord, Sviluppo Italia interviene limitatamente alle aree obiettivo 2, di crisi siderurgica e a rilevante squilibrio tra domanda e offerta di lavoro.
Gli investimenti sono rivolti verso società di capitali (piccole, medie e grandi imprese) economicamente e finanziariamente sane, con progetti di sviluppo realizzati anche attraverso società appositamente costituite (le cosiddette “Newco”).
Non sono, invece, oggetto di investimento iniziative che prevedono il consolidamento del debito o che si sostanziano nel salvataggio di imprese in difficoltà finanziaria.
Sviluppo Italia interviene nel capitale di rischio a seguito di un processo di valutazione delle iniziative.
Le imprese proponenti debbono presentare un progetto dettagliato che comprenda, tra l’altro, le previsioni economiche e finanziarie di medio termine (business plan).
Oltre che la coerenza con obiettivi di sviluppo del territorio e di impatto occupazionale, la valutazione delle iniziative riguarda sia la sostenibilità patrimoniale, economica e finanziaria del progetto, inquadrata nel contesto di mercato di riferimento, che la redditività attesa per Sviluppo Italia.
La partecipazione al capitale sociale attraverso la quale si attua l’intervento di Sviluppo Italia risponde alle seguenti caratteristiche:
a) è acquisita tramite aumento di capitale;
b) si tratta di una partecipazione comunque minoritaria (sino al 30% in grandi imprese e sino al 49% in PMI);
c) si tratta di una partecipazione temporanea, con orizzonte temporale di riferimento di 5 anni.
All’intervento nel capitale di rischio può affiancarsi un finanziamento a medio termine concesso a condizioni di mercato (sia con riguardo alla remunerazione, che alle garanzie richieste).
Nel periodo di permanenza nel capitale dell’azienda, Sviluppo Italia richiede la designazione di propri membri nel consiglio di amministrazione e nel collegio sindacale, la certificazione dei bilanci aziendali e report periodici informativi sull’andamento della gestione aziendale.
Generalmente la cessione della partecipazione si realizza mediante il riacquisto della quota di Sviluppo Italia da parte del proponente. In alternativa, può prevedersi la vendita a terzi o sui mercati regolamentati.
L’attività di investimento nel capitale di rischio svolta da Sviluppo Italia, mediante acquisizione di partecipazioni temporanee di minoranza e la concessione di finanziamenti a condizioni di mercato è stata disciplinata a livello legislativo e sostenuta finanziariamente ai sensi dell’articolo 4, commi 106-11, della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350/2003), con i quali è stato istituito un Fondo rotativo nazionale, gestito da Sviluppo Italia, per gli interventi nel capitale di rischio.
Le condizioni e le modalità di attuazione del Fondo rotativo nazionale per gli interventi nel capitale di rischio sono state dettate con deliberazione CIPE 7 maggio 2004, n. 10.
Le risorse che confluiscono nel fondo (pari a 10 milioni di euro per il 2004 e 45 milioni di euro per il 2005) sono destinate ad effettuare interventi temporanei e di minoranza, comunque non superiori al 30%, nel capitale di imprese produttive, nei settori dei beni e dei servizi.
La partecipazione al capitale di rischio può riguardare esclusivamente medie e grandi imprese così come individuate dalla normativa nazionale e comunitaria.
Sviluppo Italia è autorizzata ad utilizzare le risorse del Fondo per sottoscrivere o acquistare, esclusivamente a condizioni di mercato, quote di capitale di imprese produttive che presentino nuovi programmi di sviluppo ovvero, in base agli indirizzi e secondo le modalità definite dal CIPE, a quote di minoranza di fondi mobiliari chiusi che investono in tali imprese.
Gli interventi non possono riguardare consolidamenti delle passività delle imprese, né operazioni per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà.
Il comma 110 demanda al CIPE la definizione delle condizioni e modalità di attuazione degli interventi. In particolare, il CIPE deve stabilire:
a) i criteri generali di valutazione;
b) la durata massima, comunque non superiore a cinque anni, della partecipazione al capitale.
Il Fondo, in ogni caso, non può effettuare investimenti nelle imprese operanti in settori ai quali si applicano regole comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato[29], nonché nelle imprese di produzione, trasformazione o commercializzazione dei prodotti elencati nell'allegato I del Trattato CE[30].
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Modalità di vendita |
Ricavo |
Trasferimento
al Fondo ammortamento |
1994 |
|||||
Febbraio 1994 |
IMI (I tranche) |
27,45% |
OPV |
1.794 |
1.593 |
Giugno 1994 |
INA (I tranche) |
47,25% |
OPV (32,25%) |
4.530 |
4.330 |
1995 |
|||||
Luglio 1995 |
IMI (II tranche) |
14,48% |
Trattativa diretta |
913 |
913 |
Ottobre 1995 |
INA (II tranche) |
18,37% |
Trattativa diretta |
1.687 |
1.682 |
Novembre 1995 |
ENI (I tranche) |
15% |
OPV (33,43%) |
6.299 |
5.756 |
1996 |
|||||
Giugno 1996 |
INA (III tranche) |
31,08% |
Emissione di titoli convertibili in
azioni INA S.p.A. (PEN’s), |
4.200 a |
3.550,
di cui: |
Luglio 1996 |
IMI (III tranche) |
6,94% |
Investitori istituzionali |
501 |
493 |
Ottobre 1996 |
ENI (II tranche) |
15,81% |
OPV (48,68%) |
8.872 |
8.444 |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Modalità di vendita |
Ricavo |
Trasferimento
al Fondo ammortamento |
1997 |
|||||
Maggio 1997 |
Istituto Bancario San Paolo di Torino b |
3,36% |
OPV |
286 |
277 |
Giugno 1997 |
Banco di Napoli
|
60% |
Trattativa diretta |
62 |
-47 c |
Luglio/Agosto 1997 |
ENI (III Tranche) |
15,81% |
OPV (60,9%) |
13.230 |
13.174 |
Luglio/Novembre 1997 |
SEAT d |
44,7% |
Trattativa diretta |
1.653 |
1.641, di cui: |
Ottobre/Novembre 1997 |
TELECOM Italia e |
28% |
Trattativa diretta |
22.880 |
22.322 |
1998 |
|||||
Giugno 1998 |
ENI (IV tranche) |
14,2% |
OPV (78,4%) |
12.995 |
12.698 |
Dicembre 1998 |
BNL |
62,2% |
Trattativa diretta |
6.707 |
6.577 |
1999 |
|||||
Ottobre 1999 |
ENEL (I tranche) |
31,7% |
OPV (68,5%) |
32.045 |
31.423 |
Dicembre 1999 |
UNIM |
7,49% |
OPA totalitaria (Gruppo Pirelli) |
53 |
42 |
Dicembre 1999 |
Mediocredito Centrale |
100% |
Trattativa diretta |
3.944 |
3.904 |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Modalità di vendita |
Ricavo |
Trasferimento
al Fondo ammortamento |
2000 |
|||||
Maggio 2000 |
Credito Industriale Sardo (CIS) |
53,23% |
Trattativa diretta |
42 |
42 |
Luglio 2000 |
Meliorbanca |
7,21% |
Trattativa diretta |
59 |
58,
di cui |
Luglio 2000 |
Mediocredito Lombardo |
3,39% |
Trattativa diretta |
75 |
75 |
Novembre 2000 |
Banco di Napoli (II tranche) |
16,16% |
OPA |
956 |
956 |
Novembre 2000 |
Liquidazione dell’IRI (anticipazione) |
|
|
|
8.000 |
2001 |
|||||
Febbraio 2001 |
ENI (V tranche) |
5% |
OBA (Accelerated Bookbuilding Offer) |
5.268 |
5.226 |
Marzo 2001 |
Liquidazione dell’IRI (anticipazione) |
|
|
|
3.000 |
Maggio 2001 |
San Paolo IMI |
0,35% |
Vendita diretta sul mercato tramite intermediario finanz. |
155 |
105 |
Maggio 2001 |
Beni Stabili |
0,25% |
Vendita diretta sul mercato tramite intermediario finanz. |
4 |
4 |
Luglio 2001 |
Mediocredito Centrale |
0,30% |
Trattativa diretta (Banca di Roma) |
3 |
2 |
Dicembre 2001 |
Banca Nazionale del Lavoro (BNL) |
1,314% |
Vendita diretta sul mercato tramite intermediario finanz. |
149 |
149 |
Dicembre 2001 |
Mediocredito dell’Umbria f |
6,86% |
Trattativa diretta (Rolo Banca) |
12 |
11 |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Modalità di vendita |
Ricavo |
Trasferimento
al Fondo ammortamento |
2002 |
milioni di euro |
milioni di euro |
|||
Gennaio 2002 |
Cariverona |
0,01% |
Trattativa diretta (Unicredito Italiano) |
0,3 |
0,3 |
Gennaio 2002 |
Mediovenezie |
0,22% |
Vendita diretta sul mercato tramite intermediario finanz. (Cariverona) |
0,1 |
0,1 |
Febbraio 2002 |
Mediocredito Toscano |
6,51% |
Trattativa diretta (Monte Paschi Siena) |
18 |
18 |
Marzo/Aprile 2002 |
INA-Generali S.p.a. |
1,1% |
Vendita diretta sul mercato tramite intermediario finanz. |
76 |
76 |
Maggio 2002 |
Mediocredito Fondiario Centroitalia |
3,39% |
Trattativa diretta (Banca delle Marche) |
6 |
5,6 |
Dicembre 2002 |
TELECOM ITALIA |
3,46% |
ABO (Accelerated
Bookbuilding Offer) |
1.434 |
1.431 |
2003 |
|||||
Ottobre 2003 |
Mediocredito Friuli Venezia Giulia |
34,01% |
Trattativa diretta (Fondazione Cassa di risparmio di Trieste) |
61 |
59,4 |
Novembre 2003 |
ENEL (II trance) |
6,6% |
Bought Deal |
2.173 |
2.170 |
Dicembre 2003 |
ENEL |
10,35% |
Trattativa diretta |
3.156 |
10.991 |
Dicembre 2003 |
ENI |
10% |
Trattativa diretta |
5.316 |
|
Dicembre 2003 |
Poste Italiane Spa |
35% |
Trattativa diretta |
2.519 |
|
Dicembre 2003 |
ETI (Ente Tabacchi Italiani) |
100% |
Trattativa diretta (British American Tobacco, FB Group e Axiter) |
2.325 |
2.310 |
Dicembre 2003 |
Cassa Depositi e Prestiti |
30% |
Trattativa diretta |
1.050 |
1.050 |
2004 |
|||||
Aprile 2004 |
Coopercredito Spa |
14,42% |
Cessione alla BNL S.p.A. |
15,5 |
Da trasferire |
(*) Nella tavola precedente non sono stati indicati, in quanto non derivanti dalla cessione di partecipazioni azionarie, i proventi della vendita delle licenze UMTS effettuata nel dicembre 2002 per un importo complessivo di 26.750 miliardi di lire. Tali proventi sono stati peraltro, trasferiti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, per una quota di 20.736 miliardi di lire (pari al 90% di quanto dovuto dalla cinque società aggiudicatarie) nel dicembre 2000; successivamente, in relazione alla cessione delle licenze UMTS, si è registrato un ulteriore trasferimento al fondo nel novembre 2002 per un importo di 638 miliardi di lire.
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Acquirente |
Modalità di vendita |
Ricavo lordo |
1992 |
|||||
Dicembre 1992 |
Acciaierie e Ferriere Piombino |
100% |
Lucchini (99%) |
|
365 |
Dicembre 1992 |
Tubi Ghisa |
75% |
Pont a Mousson |
|
121 |
Dicembre 1992 |
Pavesi |
10% |
Barilla |
|
82 |
1993 |
|||||
Gennaio 1993 |
Pavesi (SME) |
41% |
Barilla |
|
174 |
Agosto 1993 |
Finanziaria Italgel (SME) |
62,1% |
Nestlè |
Trattativa privata |
431 |
Ottobre 1993 |
Finanziaria Cirio-Bertolli-De Rica (SME) |
62,1% |
FI.SVI. |
Trattativa privata |
311 |
Novembre 1993 |
Elsag Bailey
1 |
39,3% |
Terzi |
Collocamento sul mercato |
271 |
Dicembre 1993 |
Credito Italiano |
54,8% |
|
OPV (29,7%) |
1.801 |
Dicembre 1993 |
Ansaldo Trasporti 1 |
22% |
Mercato |
|
78 |
1993 |
Azioni SIP (STET) |
- |
Pubblico |
Convers./Warrant |
105 |
1993 |
Az. Banca di Roma |
1,92% |
Pubblico |
Esercizio Warrant |
112 |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Acquirente |
Modalità di vendita |
Ricavo lordo |
1994 |
|||||
Gennaio 1994 |
Azioni Telecom |
|
Pubblico |
Convers./Warrant |
239 |
Febbraio 1994 |
COMIT |
51,3% |
|
OPV (26,7%) |
2.891 |
Luglio 1994 |
AST - Acciai Speciali Terni |
100% |
KAI |
Trattativa privata |
600 |
Dicembre 1994 |
SME residua 1 |
32% |
Schemaventi Spa
(Edizioni Holding, La Leonardo Finanz., Movenpick Holding) |
Trattativa privata |
723 |
Dicembre 1994 |
Elsag Bailey
2 |
8,6% |
Merrill Lynch |
|
79 |
1994 |
Ansaldo Trasporti 2 |
15% |
Mercato |
|
98 |
Dicembre 1994 |
SGS Thomson |
14,8% |
Mercato |
|
165 |
Dicembre 1994 |
ICE |
100% |
Finaosta |
|
86 |
1995 |
|||||
Marzo 1995 |
ILP - Ilva Laminati Piani |
100% |
RILP |
Trattativa privata |
2.514 |
Marzo 1995 |
Italtel |
40% |
Siemens AG |
|
1.000 |
Giugno 1995 |
ISE |
74% |
Edison EDF |
|
370 |
Luglio 1995 |
S.I.S.H |
44,9% |
Sahavirya Steel H. |
|
159 |
Luglio 1995 |
Sahavirya Steel H. |
2,3% |
Supatra Eaucheevalkul |
|
109 |
Agosto 1995 |
SME residua 2 |
14,9% |
Schemaventi e Crediop |
Adesione OPA (lanciata da Schemaventi e Crediop) |
341 |
I semestre 1995 |
Azioni TELECOM |
- |
Mercato |
Convers./Warrant |
64 |
Ottobre 1995 |
SGS Thomson |
11,3% |
Mercato |
|
277 |
II semestre 1995 |
Azioni TELECOM e TIM |
|
Mercato |
Cessioni in borsa |
500 |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Acquirente |
Modalità di vendita |
Ricavo lordo |
1996 |
|||||
Febbraio 1996 |
DALMINE |
84,1% |
Techint/Siderca |
|
301 |
Maggio 1996 |
SME residua 3 |
15,2% |
Schemaventidue e Crediop |
Adesione OPA |
238 |
Giugno 1996 |
M.A.C. |
50% |
Marconi (UK) |
|
223 |
I semestre 1996 |
Azioni TELECOM e TIM |
|
Mercato |
Cessioni in borsa |
800 |
Ottobre 1996 |
Nuova Portello S.r.l. |
100% |
Cristallo S.r.l. |
|
120 |
Dicembre 1996 |
Alfa Romeo Avio |
75% |
FIAT Avio |
|
200 |
Dicembre 1996 |
Space System Loral |
12,3% |
LORAL |
|
144 |
Dicembre 1996 |
Lucchini Siderurgica S.p.A. |
40% |
Lucchini S.p.A. |
|
135 |
II semestre 1996 |
Azioni TELECOM e TIM |
|
Mercato |
|
435 |
II semestre 1996 |
Az. STET |
|
Pubblico |
Cessioni in borsa |
145 |
1997 |
|||||
Aprile 1997 |
New Sultzer Diesel e Diesel Ricerche (FINCANTIERI) |
100% |
Wartsila NSD Coorporation (Finlandia) |
|
261 |
Aprile 1997 |
L.Q.S.S. |
8,3% |
Loral Space & Communication Inc. |
|
136 |
Luglio 1997 |
Aeroporti di Roma |
45% |
Mercato |
OPV |
594 |
Luglio 1997 |
Galileo Inc. (Racom Teledata ALITALIA) |
6,89% |
Mercato |
|
253 |
Dicembre 1997 |
Az. Banca di Roma |
14,4% |
Invest. Ist. |
Collocamento diretto di azioni emissione prestito obbligazionario convertibile in azioni Banca di Roma (POC) |
666 conversione
POC: |
Anno |
Società ceduta |
Quota ceduta % |
Acquirente |
Modalità di vendita |
Ricavo lordo |
1998 |
|||||
I semestre 1998 |
ALITALIA |
18,38% |
Pubblico |
Collocamento diretto di azioni |
787 |
I semestre 1998 |
Azioni Banca di Roma |
|
Pubblico |
Cessione di azioni |
353 |
Ottobre 1998 |
EPBA |
62% |
ABB |
|
1.300 |
1999 |
|||||
Marzo 1999 |
Grandi Motori Trieste |
60% |
Wartsila |
|
95 |
Maggio 1999 |
Galileo Inc. (Racom Teledata ALITALIA) |
1,44% |
Mercato |
|
125 |
Novembre 1999 |
AUTOSTRADE 1 |
30% |
|
Trattativa diretta |
4.911 |
Novembre 1999 |
AUTOSTRADE 1 |
56,6% |
|
OPV |
8.105 |
Novembre 1999 |
Aeroporti di Roma |
3% |
Enti territoriali |
|
100 |
2000 |
|||||
Maggio 2000 |
FINMECCANICA |
43,7% |
|
OPV |
10.659 |
Giugno 2000 |
Aeroporti di Roma |
51,2% |
Consorzio Leonardo |
Procedura competitiva |
2.572 |
I semestre 2000 |
Azioni Finmeccanica |
|
|
Esercizio di warrant |
350 |
I semestre 2000 |
Azioni Banca di Roma |
|
|
Conversione di obbligazioni convertibili |
210 |
I semestre 2000 |
Wartsila NSD |
15,4% |
Metra Corporation |
Trattativa privata |
190 |
II semestre 2000 |
COFIRI |
100% |
Consorzio (Tosinvest, Finendo Faber factor e Senlado) |
Procedura competitiva |
984 |
II semestre 2000 |
Azioni Banca di Roma |
|
|
Conversione di obbligazioni convertibili |
664 |
* Nella precedente tabella non sono state considerate le cessioni di importo limitato.
Il 30 novembre 2002 l’IRI, in liquidazione dal 27 giugno 2000, è stato cancellato dal Registro delle imprese per effetto della fusione per incorporazione nella FINTECNA, società in precedenza posseduta al 100% dall’IRI stesso.
Nella successiva tavola sono indicate le quote di partecipazione detenute dal Ministero dell'Economia alla data del 1° settembre 2004.
Società per settore |
Partecipazione (%) |
Assicurativo |
|
CONSAP - Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A. |
100 |
Bancario e Servizi finanziari |
|
CDP S.p.A. |
70 |
Patrimonio dello Stato S.p.A. |
100 |
Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensioni S.p.A. (MEFOP) |
61,83 |
Difesa e Aerospazio |
|
Finmeccanica S.p.A. |
32,30 |
Editoriale |
|
SEAT S.p.A. |
0,1 |
Energetico |
|
ENEL S.p.A. |
50,63 |
ENI S.p.A. |
20,32 |
Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN S.p.A.) |
100 |
Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN S.p.A.) |
100 |
Holding di partecipazione |
|
Fintecna S.p.A. |
100 |
RAI Holding S.p.A. |
100 |
Mezzogiorno |
|
Italia Lavoro S.p.A. |
100 |
SOGESID - Società per la Gestione degli Impianti Idrici S.p.A. |
100 |
Sviluppo Italia S.p.A. |
100 |
FIME - Finanziaria Meridionale S.p.A. |
71,8 |
Postale |
|
Poste Italiane S.p.A. |
65 |
Telecomunicazioni |
|
Telecom Italia Media S.p.A. |
0,1 |
Trasporti |
|
Alitalia S.p.A. |
62,33 |
ENAV S.p.A. |
100 |
Ferrovie dello Stato S.p.A. |
100 |
ANAS S.p.A. |
100 |
Servizi vari |
|
ARCUS S.p.A. |
100 |
Cinecittà Holding S.p.A. |
100 |
Coni Servizi S.p.A. |
100 |
Consip - Concessionaria Servizi Informativi Pubblici S.p.A. |
100 |
EUR S.p.A. |
90 |
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato |
100 |
SACE S.p.A. |
100 |
Sicot S.r.l. (Sistemi di Consulenza per il Tesoro S.r.l.) |
100 |
Settore tributario |
|
So.Gei S.p.A. |
100 |
Demanio Servizi S.p.A. |
4 |
Società per gli studi di settore S.p.A. |
88,89 |
La legge 27 ottobre 1993, n. 432, successivamente modificata dall'articolo 1 del D.L. 8 gennaio 1996, n. 6 (legge n. 110/1996) e dai commi 181-182 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (collegato alla manovra di finanza pubblica per il 1997), ha istituito il Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato con l’obiettivo di destinare i proventi delle operazioni di privatizzazione alla riduzione del debito pubblico.
Attualmente il Fondo è disciplinato dal Capo III del Titolo I (artt. 44-52) del D.Lgs 30 dicembre 2003, n. 396 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di debito pubblico” (Testo A).
Le finalità per le quali possono essere utilizzate le disponibilità del Fondo sono le seguenti (art. 48 del D.Lgs. n. 396/2003):
- acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico da destinare ad immediato annullamento, in modo da ridurre la consistenza complessiva dei titoli di Stato in circolazione;
- rimborso di titoli di Stato in scadenza;
- acquisto di partecipazioni azionarie possedute da società delle quali il Tesoro sia unico azionista, ai fini della loro dismissione (modifica introdotta dal comma 182 dell'articolo 2 della legge n. 662/1996)[31].
Ai sensi dell’art. 45, del D.Lgs. n. 396/2003, le risorse finanziarie di cui il Fondo può disporre sono individuate in:
a) titoli di Stato corrisposti dagli acquirenti come prezzo dovuto per la vendita di beni del patrimonio immobiliare ovvero di partecipazioni dello Stato;
b) proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato[32]; sono in ogni caso esclusi i proventi derivanti dalle dismissioni immobiliari;
c) gettito derivante da entrate straordinarie dello Stato, nei limiti stabiliti dai rispettivi provvedimenti legislativi;
d) eventuali assegnazioni da parte del Ministero dell’economia e delle finanze;
e) proventi derivanti da donazioni o da disposizioni testamentarie, comunque destinate al conseguimento delle finalità del Fondo;
f) proventi derivanti dalla vendita di attività mobiliari e immobiliari confiscate dall'autorità giudiziaria e corrispondenti a somme sottratte illecitamente alla pubblica amministrazione;
g) importo fino a lire 30.000 miliardi di lire a valere sull'autorizzazione ad emettere titoli pubblici in Italia e all'estero nell’ambito dell’importo massimo pari a 189.000 miliardi di lire, al netto dei titoli da rimborsare, stabilito dall'articolo 3, comma 5, della legge n. 539/1993[33].
Le somme destinate al Fondo affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato[34], per essere poi trasferiti ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia (capitolo 9565 dell’UPB 3.3.9.7), ed essere infine conferite al conto istituito presso la Banca d'Italia, intestato appunto al Fondo.
Il Fondo di ammortamento è amministrato dal Ministro dell’economia, coadiuvato, ai sensi dell’art. 44, comma 2 del D.Lgs. n. 396/2003, da un Comitato consultivo composto dal Direttore generale del Tesoro, con funzioni di presidente, dal Ragioniere generale dello Stato, dal Direttore dell’Agenzia delle entrate e dal Direttore dell’Agenzia del demanio.
I criteri e le modalità per la gestione del Fondo sono definiti dall’articolo 46 del D.Lgs. n. 396/2003.
In particolare, il comma 1 precisa che le disponibilità affluite al Fondo debbono essere interamente impiegate nell'acquisto di titoli di Stato o nel rimborso di titoli in scadenza a decorrere dal 1995, nonché per l'acquisto di partecipazioni azionarie possedute da società delle quali il Tesoro sia unico azionista, ai fini della loro dismissione.
Le operazioni di acquisto dei titoli sono effettuate per il tramite della Banca d'Italia o di altri intermediari abilitati[35].
Le modalità di utilizzo delle somme depositate nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sono state definite con i decreti del Ministro del tesoro 13 ottobre 1995, 13 novembre 1995, 27 maggio 1996, 21 luglio 2000, e da ultimo, con il D.M. economia 29 maggio 2001.
Sulle giacenze del Fondo la Banca centrale corrisponde semestralmente interessi calcolati sulla base di un tasso pari a quello medio dei Buoni ordinari del Tesoro emessi nel semestre precedente (articolo 46, comma 3 del D.Lgs. n. 396/2003).
Gli interessi maturati sulle giacenze, unitamente ai proventi delle dismissioni, costituiscono le voci più rilevanti degli importi che complessivamente affluiscono al Fondo per essere successivamente utilizzati nell'acquisto di titoli di Stato.
A tali disponibilità si è aggiunta l'entrata una tantum costituita dal controvalore delle maggiori emissioni di titoli autorizzati dall'articolo 3 della legge n. 539/1993.
Infine, è esteso al Fondo il divieto di sequestro, pignoramento, opposizione e di altre misure cautelari previsto per quanto concerne le disponibilità del conto "Disponibilità del Tesoro per il servizio di tesoreria", sul quale vengono giornalmente registrate le operazioni di introito e di pagamento connesse con il servizio di tesoreria, gestito dalla Banca d'Italia.
Le informazioni circa la gestione del Fondo sono contenute nella Relazione presentata annualmente dal Ministro dell’economia e finanze, riportata in allegato al conto consuntivo dello stato di previsione del Ministero dell’economia, ai sensi dell’art. 2, comma 3, legge n. 432/1993.
L'ultima Relazione è stata presentata nel giugno 2004 ed è riferita alla gestione 2003.
Secondo i dati contenuti nella Relazione al Parlamento sull’amministrazione del “Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato” contenuta nel Rendiconto relativo all’esercizio 2003, dal 1994 (primo anno di esercizio) al 31 dicembre 2003, le entrate complessive del bilancio dello Stato da destinare al Fondo ammontano a 104.571 milioni di euro, nell’ambito delle quali le entrate da privatizzazioni risultano pari a 99.706 milioni di euro.
Nel medesimo periodo sono state complessivamente trasferite o accreditate sul conto intestato al Fondo (al lordo degli interessi maturati) risorse per un importo pari a 94.785 milioni di euro (di cui gli interessi risultano pari a 1.484 milioni e le somme accreditate nell’ottobre del 1995 come proventi delle maggiori emissioni di titoli di debito ammontano a 3.079 milioni di euro).
Per quanto concerne il 2004, è stata effettuata l’operazione di cessione alla BNL S.p.A. della quota del 14,42% detenuta dal Ministero dell’economia in Coopercredito S.p.A., per un ammontare lordo pari a 15,5 milioni di euro.
Entrata in bilancio |
Provenienza |
Valore |
Trasferimento al Fondo |
Febbraio 1994 |
IMI 1 |
1.593 |
Dicembre 1994 |
Luglio 1994 |
INA 1 |
4.327 |
Dicembre 1994 |
Luglio 1995 |
IMI 2 |
913 |
Settembre 1995 |
Febbraio 1995 |
INA 1 |
2 |
Giugno 1995 |
Ottobre 1995 |
INA 2 |
1.682 |
Dicembre 1995 |
Dicembre 1995 |
ENI 1 |
5.756 |
Marzo 1996 |
Giugno 1996 |
IMI 3 |
493 |
Settembre 1996 |
Novembre 1996 |
ENI 2 |
7.286 |
Febbraio 1997 |
Dicembre 1996 |
ENI 2 |
1.158 |
Febbraio 1997 |
Marzo-Luglio 1997 |
ENI 3 |
13.173 |
Ottobre 1997 |
Giugno 1997 |
San Paolo Torino |
277 |
Ottobre 1997 |
Novembre 1997 |
Telecom |
15.932 |
Novembre 1997 |
Novembre 1997 |
SEAT |
1.631 |
Febbraio 1998 |
Novembre 1997 |
Vendita immobili |
2 |
Settembre 1998 |
Gennaio 1998 |
ENI 2 – svincolo importi pignorati |
6 |
Giugno 1998 |
Gennaio 1998 |
Banco di Napoli |
47 |
Settembre 1998 |
Maggio 1998 |
Conguaglio azioni SEAT |
10 |
Dicembre 1999 |
Giugno 1998 |
Recupero per erroneo pagamento IVA alla società Morgan & Stanley per privatizzazione Telecom |
6 |
Settembre 1998 |
Luglio 1998 |
ENI 4 |
11.557 |
Settembre 1998 |
Luglio 1998 |
ENI 4 (green shoe) |
1.141 |
Settembre 1998 |
Luglio 1998 |
Titoli convertiti in azioni INA (INA 3) |
1.103 |
Settembre 1998 |
Dicembre 1998 |
BNL offerta globale |
3.454 |
Dicembre 1998 |
Dicembre 1998 |
BNL nucleo stabile |
2.576 |
Dicembre 1998 |
Gennaio 1999 |
BNL (green shoe) |
547 |
Maggio 1999 |
Dicembre 1998 |
Versamento accantonamento oneri |
106 |
Febbraio 1999 |
Marzo 1999 |
Titoli convertiti in azioni INA (INA 3) |
982 |
Ottobre 1999 |
Agosto 1999 |
Titoli convertiti in azioni INA (INA 3) |
237 |
Dicembre 2000 |
Novembre 1999 |
ENEL |
29.713 |
Novembre 1999 |
Dicembre 1999 |
ENEL (green shoe) |
1.710 |
Aprile 2000 |
Dicembre 1999 |
Mediocredito Centrale |
3.904 |
Aprile 2000 |
Gennaio 2000 |
UNIM (Società immobiliare Gruppo INA) |
42 |
Aprile 2000 |
Febbraio 2000 |
Titoli convertiti in azioni INA (INA 3) |
1.193 |
Luglio 2000 |
Maggio 2000 |
Credito Industriale Sardo - CIS |
42 |
Settembre 2000 |
Luglio 2000 |
Meliorbanca |
29 |
Dicembre 2000 |
Settembre 2000 |
Mediocredito Lombardo |
75 |
Gennaio 2001 |
Novembre 2000 |
IRI Anticipo di liquidazione |
8.000 |
Marzo 2001 |
Settembre 2000 |
Titoli convertiti in azioni INA (INA 3) |
35 |
Dicembre 2001 |
Dicembre 2000 |
Banco di Napoli (OPA del San Paolo) |
956 |
Marzo 2001 |
Dicembre 2000 |
Licenze UMTS (90%) |
20.736 |
Dicembre 2000 |
Febbraio 2001 |
ENI 5 |
5.226 |
Marzo 2001 |
Febbraio 2001 |
Privatizzazione Meliorbanca (differenza) |
29 |
Aprile 2001 |
Marzo 2001 |
IRI Anticipo di liquidazione |
3.000 |
Aprile 2001 |
Giugno 2001 |
Dismissione azioni S. Paolo IMI (quota residua) |
105 |
Novembre 2001 |
Giugno 2001 |
Azioni Beni stabili |
4 |
Novembre 2001 |
Luglio 2001 |
Azioni Mediocredito centrale |
2 |
Novembre 2001 |
Novembre 2001 |
Licenze UMTS (2° versam. e interessi) |
638 |
Novembre 2002 |
|
Altre operazioni minori |
3 |
|
TOTALE ENTRATE PRIVATIZZAZIONI 1994-2001 (miliardi di lire) |
157.838 |
al 31/12/2002 |
|
(milioni di euro) |
81.517 |
|
|
Dicembre 2001 |
BNL (quota residua) |
76,9 |
Dicembre 2002 |
Gennaio 2002 |
Cariverona |
0,3 |
Dicembre 2002 |
Gennaio 2002 |
Mediovenezie |
0,1 |
Dicembre 2002 |
Febbraio 2002 |
Mediocredito Toscano |
17,7 |
Dicembre 2002 |
Aprile 2002 |
Ina-Generali |
76,9 |
Maggio 2003 |
Maggio 2002 |
Mediocredito Fondiario Centroitalia |
5,6 |
Maggio 2003 |
Dicembre 2002 |
Telecom (quota residua) |
1.431 |
Maggio 2003 |
Ottobre 2003 |
Mediocredito Friuli Venezia Giulia (quota residua) |
59 |
Novembre 2003 |
Novembre 2003 |
ENEL (II tranche) |
2.170 |
Novembre 2003 |
Dicembre 2003 |
ETI Spa |
2.310 |
Agosto 2004 |
Dicembre 2003 |
Cessione alla CDP di quote ENEL, ENI e Poste Italiane Spa |
10.991 |
Agosto 2004 |
Dicembre 2003 |
Cassa Depositi e Prestiti |
1.050 |
Agosto 2004 |
TOTALE ENTRATE PRIVATIZZAZIONI (milioni di euro) |
99.706 |
al 31/12/2003 |
|
Gen-dic. 94-feb. 95 |
Utili e dividendi |
76 |
Ott.-Dic. 1995 |
Ottobre 1999 |
Assegnazioni straordinarie (Riserve ENEL) |
4.422 |
Novembre 1999 |
Dicembre 1999 |
Assegnazioni straordinarie (Riserve IRI) |
2.107 |
Aprile 2000 |
|
Versamenti volontari |
7 |
|
Altre entrate Fondo 1994-2001 (miliardi di lire) |
6.612 |
|
|
(milioni di euro) |
3.415 |
|
|
ottobre 2003 |
Parziale distribuzione avanzo di fusione FINTECNA |
1.450 |
Ottobre 2003 |
TOTALE ENTRATE FONDO |
104.571 |
al 31/12/2003 |
|
Aprile 2004 |
Coopercredito Spa |
15,5 |
Agosto 2004 |
Si illustrano di seguito i dati più rilevanti relativi alle disponibilità del Fondo e alle operazioni di acquisto dei titoli di Stato effettuate negli anni attraverso di esso.
Nel 1994, primo anno di attività del Fondo, sono affluiti al Fondo 5.920 miliardi di lire, di cui 1.593 miliardi relativi alla prima tranche della privatizzazione dell'IMI e 4.327 provenienti dalla prima tranche di dismissioni INA.
In tale anno non sono state fatte operazioni di riacquisto di titoli di Stato.
Nel 1995 sul Fondo per l'ammortamento del debito pubblico sono affluiti i proventi delle privatizzazioni derivanti dalla seconda tranche delle operazioni IMI (913 miliardi) e INA (1.685 miliardi, di cui 2 miliardi derivanti da INA 1), per un totale di 2.598 miliardi di lire.
I proventi netti relativi alla prima tranche di dismissioni ENI, avvenuta nel mese di novembre 1995 (5.756 miliardi) sono affluiti al Fondo all'inizio del 1996 (18 marzo 1996).
Il Fondo è stato altresì alimentato dall'accreditamento da parte della Banca d'Italia di 282 miliardi di lire, a titolo di interessi sulle disponibilità del Fondo medesimo. Sul Fondo è altresì confluito il ricavo netto delle maggiori emissioni di titoli pubblici del 1994, per un importo pari a 5.961 miliardi di lire (a fronte dell'emissione pari a 6.000 miliardi in valore nominale effettuata nel 1994, sulla base dell’autorizzazione di cui all'articolo 3, comma 5, della legge n. 539/1993) e ulteriori 74 miliardi di utili e dividendi.
Parte di tali risorse è stata utilizzata per il riacquisto di titoli di Stato, mediante asta competitiva, in data 30.11.1995 e 21.12.1995, per complessivi 5.826 miliardi di lire (5.530 miliardi di valore nominale).
Nel 1996 sono affluiti al Fondo i proventi relativi alla terza tranche dell'operazione IMI (493 miliardi) e all'operazione di vendita della prima tranche delle azioni dell'ENI (5.756 miliardi) avvenuta alla fine del 1995, per un importo complessivo di 6.249 miliardi di lire.
I proventi netti relativi alla seconda tranche dell'operazione ENI, avvenuta nel mese di novembre 1996, pari a 8.444 miliardi, sono affluiti al Fondo all'inizio del 1997 (3 febbraio 1997).
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 1.096 miliardi di lire.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle disponibilità del Fondo, ed in particolare le operazioni di acquisto di titoli di Stato in scadenza, sono stati acquistati, con due operazioni, rispettivamente, 4.500 miliardi di BTP in scadenza il 1° ottobre 1996 e 4.442 miliardi di CTO in scadenza il 20 novembre 1996.
Operazioni di riacquisto sul mercato secondario di titoli in circolazione sono state effettuate con un'asta nel mese di giugno per 2.249 miliardi, cui hanno fatto seguito due successive operazioni per 1.499 miliardi e 653 miliardi.
Le disponibilità del Fondo sono state infine utilizzate dal Tesoro per un importo di 3.000 miliardi di lire nel 1996 (in data 27 dicembre 1996) come parziale corrispettivo da versare all’IRI per il trasferimento delle azioni STET (cui si sono aggiunti ulteriori 13.500 miliardi nel 1997, di cui 6.300 in data 12 marzo 1997, 2.200 miliardi il 16 giugno 1997, e 5.000 miliardi il 17 dicembre 1997).
Nel 1997, il Fondo ha registrato incassi per circa 42.360 miliardi di lire, di cui 41.775 miliardi relativi a dismissioni patrimoniali ed operazioni connesse, a fronte di utilizzi per 38.135 miliardi.
In tale anno sono affluiti al Fondo i proventi di privatizzazioni per complessivi 41.779 miliardi, tra cui:
- 277,4 miliardi relativi all’operazione San Paolo, affluiti al Fondo nell’ottobre 1997;
- 12.882 miliardi, relativi alla terza tranche dell’operazione ENI, affluiti al Fondo il 6 ottobre 1997;
- 19.879 miliardi relativi all’operazione TELECOM (di cui 15.932 miliardi relativi alla prima tranche e 3.900 miliardi relativi alla seconda tranche), affluiti al Fondo il 21 novembre 1997.
I proventi netti relativi all’operazione SEAT, effettuata nel novembre 1997, pari a 1.630 miliardi, sono affluiti al Fondo il 25 febbraio 1998.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 581 miliardi di lire.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle disponibilità del Fondo, ed in particolare le operazioni di acquisto di titoli di Stato in scadenza, sono stati riacquistati BTP in scadenza il 1° dicembre 1997 per un controvalore di 14.913 miliardi.
Il riacquisto sul mercato secondario di titoli in circolazione è stato effettuato, tramite asta competitiva, con due operazioni, per complessivi 9.722 miliardi.
Le disponibilità del Fondo sono state infine utilizzate dal Tesoro, per un importo di 13.500 miliardi (6.300 in data 12 marzo 1997, 2.200 miliardi il 16 giugno 1997, e 5.000 miliardi il 17 dicembre 1997), come corrispettivo del trasferimento delle azioni STET.
Nel 1998, il Fondo ha registrato incassi per circa 24.219 miliardi di lire, di cui 23.970 miliardi relativi a dismissioni patrimoniali ed operazioni connesse, a fronte di uscite per 28.322 miliardi.
In particolare, nel 1998 sono affluiti al Fondo ammortamento titoli di Stato i proventi delle seguenti operazioni principali di privatizzazione:
- 1.630 miliardi relativi all’operazione SEAT effettuata nel novembre 1997, ma affluiti al Fondo in data il 25 febbraio 1998;
- 2.443 miliardi provenienti dalla quota residuale della privatizzazione di Telecom (greenshoe);
- 47 miliardi relativi ad operazioni di privatizzazione del Banco di Napoli;
- 12.698 miliardi provenienti dalla privatizzazione di ENI 4;
- 1.103 miliardi relativi alla conversione di titoli in azioni INA;
- 3.454 miliardi provenienti dalla privatizzazione della BNL (offerta globale), cui vanno aggiunti 2.576 miliardi relativi al c.d. nucleo stabile.
Gli ulteriori 547 miliardi della privatizzazione BNL (greenshoe) sono stati accreditati al Fondo nel maggio 1999.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 249 miliardi di lire.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle disponibilità del Fondo, ed in particolare le operazioni di acquisto di titoli di Stato in scadenza, sono stati acquistati, con varie operazioni, rispettivamente, 3.399 miliardi di BTP in scadenza il 1° novembre 1998 e complessivi 16.616 miliardi di CTZ in scadenza il 30 ottobre e il 30 dicembre 1998 (ulteriori 146 miliardi sono stati utilizzati per rimborsi anticipati (D.M. 21.9.1998)).
Le disponibilità del Fondo sono state infine utilizzate dal Tesoro per un importo di 8.159 miliardi nel 1998 come corrispettivo del trasferimento delle azioni STET.
Per quanto riguarda la gestione 1999, il Fondo ha registrato incassi per 35.871 miliardi di lire, quasi interamente derivanti da dismissioni, a fronte di uscite per 35.995 miliardi.
In particolare, nel 1999 sono affluiti al Fondo i proventi di privatizzazioni per complessivi 35.781 miliardi di lire, tra cui:
- 547 miliardi provenienti dalla privatizzazione della BNL (greenshoe) effettuata nel novembre 1998, ma affluiti al Fondo nel maggio 1999;
- 982 miliardi relativi alla conversione in azioni INA delle obbligazioni emesse nel 1998 a completamento della relativa privatizzazione;
- 29.713 miliardi proveniente dalla privatizzazione della prima tranche dell’ENEL effettuata nel mese di ottobre 1999 (gli ulteriori 1.710 miliardi di privatizzazione ENEL relativi alla greenshoe, effettuata a dicembre 1999, sono affluiti al fondo nel 2000);
- 4.422 miliardi di assegnazioni straordinarie a valere sulla quota di azioni ENEL detenuta dal Tesoro[36].
Affluiranno al Fondo nell’esercizio 2000 le risorse frutto della privatizzazione di Mediocredito Centrale (3.904 miliardi) effettuata nel dicembre 1999.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati accreditati da parte della Banca d'Italia 90 miliardi di lire.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle disponibilità del Fondo, si è provveduto al rimborso di titoli in scadenza per un importo complessivo pari a 28.748 miliardi di lire[37] e al riacquisto (buy-back) tramite asta competitiva svoltasi nel novembre 1999 di tre tranches di CCT per un importo pari a 7.246 miliardi di lire.
Per quanto riguarda la gestione 2000, nel Fondo sono state accreditate risorse per 30.111 miliardi di lire, di cui soltanto circa 7.000 miliardi relativi a dismissioni, a fronte di uscite per 21.952 miliardi.
La più importante voce di entrata per il Fondo ammortamento è derivata nel 2000 dalla cessione, attraverso asta, delle licenze UMTS[38].
Nel dicembre 2000, infatti, sono affluiti al bilancio dello Stato e girati al Fondo ammortamento titoli di Stato 20.736 miliardi di lire, provenienti dagli incassi risultanti dal rilascio delle licenze UMTS. Si tratta del 90% dell’importo versato dalle cinque società aggiudicatarie della gara[39] in adempimento degli obblighi connessi allo svolgimento dell’asta e alla fase immediatamente successiva.
Per quanto concerne le privatizzazioni, nel 2000 si è registrato un rallentamento delle operazioni gestite direttamente dal Tesoro.
In particolare, l’apporto delle privatizzazioni (pari a complessivi 7.153 miliardi) è stato determinato, principalmente, dall’esercizio della greenshoe relativa alla cessione di azioni dell’ENEL, effettuata nel 1999 ma affluita al Fondo nell’aprile 2000 (1.710 miliardi); dalla vendita di Mediocredito Centrale, anch’essa effettuata nel dicembre 1999, ma trasferita al Fondo nell’aprile 2000 (3.904 miliardi); dall'esercizio dell'opzione di conversione in azioni INA delle obbligazioni a suo tempo emesse a completamento della relativa privatizzazione (1.430 miliardi), dalle dismissioni di UNIM, della Banca CIS e di Meliorbanca (circa 42 miliardi ciascuna le prime due e 29 miliardi la terza).
Ulteriori 2.107 miliardi sono derivati dalla assegnazione straordinaria a valere sulla quota detenuta in IRI dal Tesoro.
Nel 2000 sono stati inoltre acquisiti al bilancio dello Stato i proventi delle operazioni di privatizzazione del Mediocredito Lombardo (circa 75 miliardi), dell’offerta pubblica di acquisto della quota residuale del Tesoro nel Banco di Napoli (955 miliardi), nonché 8.000 miliardi di anticipazioni della liquidazione dell’IRI. Tali risorse sono peraltro confluite nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato nei primi mesi del 2001.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 107 miliardi di lire.
Nel 2000 le somme affluite nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sono state principalmente utilizzate per operazioni di riacquisto di titoli sul mercato, effettuate in gran parte a fine 2000 a seguito dell’introito dei proventi delle licenze UMTS.
In particolare, sono stati complessivamente riacquistati titoli (BTP, CCT, CTZ, BOT) per un valore di 16.794 miliardi (8.642 milioni di euro); si è proceduto, inoltre, al riacquisto di titoli di Stato, mediante asta competitiva, in data 20.5.2000, per complessivi 5.157 miliardi di lire.
Nel 2001 sono stati trasferiti al Fondo circa 17.815 miliardi di lire, a fronte di utilizzi pari a 25.642 miliardi.
In particolare, l’apporto delle privatizzazioni, pari a 17.432 miliardi di lire, è stato determinato:
- 956 miliardi dalla quota relativa al versamento derivante dall’adesione per l’intero quantitativo delle azioni detenute da parte del Tesoro al capitale del Banco di Napoli all’OPA da parte del SANPAOLO, effettuata nel novembre 2000, ed affluiti al Fondo nel marzo 2001;
- 75 miliardi dalla vendita di Mediocredito Lombardo, anch’essa effettuata nel luglio 2000, affluiti al Fondo nel gennaio 2001;
- 5.226 miliardi dalla quinta tranche di cessione di azioni dell’ENI;
- 35 miliardi dalla conversione in azioni INA delle obbligazioni a suo tempo emesse a completamento della relativa privatizzazione;
- circa 140 miliardi derivanti dalle dismissioni di una quota residua di SANPAOLO IMI e di Meliorbanca (circa 105 miliardi il primo e 29 il secondo), dalla cessione di azioni del Mediocredito Centrale (circa 2 miliardi) e dalla vendita di Beni Stabili S.p.A. (circa 4,5 miliardi).
Gli altri importi in entrata provengono dalla liquidazione dell’IRI: 8.000 miliardi di lire il primo versamento e 3.000 miliardi il secondo.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 382 miliardi di lire.
Per quanto concerne l’utilizzo delle disponibilità del Fondo, nel primo semestre è stato disposto il riacquisto, tramite asta, di BTP e CCT con scadenze nel 2002, per un importo di 4.355 miliardi. Sono state effettuate operazioni di riacquisto, nel mese di agosto, su due BTP trentennali per un totale di 1.902 miliardi e nel mese di dicembre, su BTP con scadenze 2002 e 2003, per 1.986 miliardi.
Sono state infine effettuate operazioni di rimborso di titoli in scadenza, con un utilizzo del Fondo, nel 2001, di circa 17.400 miliardi di lire.
Nel 2002 sono affluiti al Fondo ammortamento titoli di Stato circa 424 milioni di euro da operazioni di privatizzazioni.
Le entrate derivanti da operazioni di dismissione effettuate nel 2002 sono pari a circa 94,5 milioni di euro. Tra le principali:
- 76,8 milioni derivanti dalla privatizzazione della quota residua di BNL, effettuata nel 2001, trasferiti al Fondo a gennaio 2002;
- 17,7 milioni derivanti dalla vendita della quota residua detenuta nel Mediocredito Toscano (6,51%) realizzata nel febbraio 2002.
Nel corso dell’esercizio finanziario 2002 sono stati inoltre trasferiti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato le risorse relative al secondo versamento e alla quota interessi dell’assegnazione delle licenze UMTS (entrate in bilancio a fine 2001) pari a 329 milioni di euro.
I proventi derivanti dalla cessione del pacchetto di minoranza residuo (1,1%) detenuto in INA-Generali, pari a 76,9 milioni, realizzata nell’aprile 2002, e dalla cessione delle azioni del Mediocredito fondiario Centroitalia pari a 5,6 milioni, effettuata nel maggio 2002, confluiranno nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato nel 2003.
L’operazione di privatizzazione di gran lunga più rilevante tra quelle effettuate nel corso del 2002 è, peraltro, rappresentata dalla cessione delle partecipazioni residue in TELECOM.
L’operazione ha incassato 1.434 milioni di euro lordi, che, acquisiti all’entrata del bilancio nel 2002, saranno trasferiti, al netto degli oneri per commissione, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato nel 2003.
A titolo di interessi sulle disponibilità, nel Fondo sono stati altresì accreditati da parte della Banca d'Italia 32 milioni di euro.
Data l’esiguità degli importi disponibili per acquisti sul mercato o rimborsi a scadenza, si è proceduto, unicamente, alla residua attività di rimborso anticipato, ai prezzi di mercato del 26 novembre 1998, disposta dal D.M. 21 settembre 1998, dei titoli al portatore e nominativi appartenenti a prestiti vigenti emessi dal Tesoro di importo inferiore a 5 milioni di lire, nonché delle frazioni di capitale inferiori a tale cifra, in attuazione dell’articolo 41 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, contenente le norme per l’introduzione dell’euro in Italia.
I rimborsi durante l’anno 2002 ai sensi di tale disposizione sono stati pari a 25.000 euro in valore nominale, corrispondenti a circa 31.000 euro di utilizzo del Fondo.
Nel 2003 sono stati trasferiti al Fondo circa 5.208,6 milioni di euro, a fronte di utilizzi pari a 5.818,3 milioni di euro.
In particolare, l’apporto delle privatizzazioni è stato pari a 3.743 milioni di euro.
Più precisamente, le entrate derivanti da operazioni di dismissione effettuate nel 2003 sono state pari a circa 2.229,5 milioni di euro, relative a:
- vendita della quota del 34% detenuta nel Mediocredito Friuli Venezia-Giulia, effettuata nell’ottobre 2003, per un importo netto di circa 59,4 milioni;
- vendita della II tranche delle quote possedute in ENEL, realizzata a novembre 2003 per un importo pari a 2.170,1 milioni.
Nel Fondo ammortamento nel 2003 sono confluiti anche circa 1.514 milioni relativi ad operazioni di dismissione effettuate nel 2002, di cui:
- 76,9 milioni derivanti dalla cessione del pacchetto di minoranza residuo (1,1%) detenuto in INA-Generali, realizzata nell’aprile 2002;
- 5,6 milioni derivanti dalla cessione delle azioni del Mediocredito fondiario Centroitalia, effettuata nel maggio 2002;
- 1.434 milioni di euro lordi derivanti dalla cessione delle partecipazioni residue in TELECOM.
Nel corso del 2003,il Ministero dell’Economia ha realizzato, complessivamente, operazioni di dismissione relative a società direttamente partecipate che hanno generato un introito lordo pari a 16,6 miliardi di euro.
Oltre, come già ricordato, alla vendita della quota del 34% detenuta nel Mediocredito Friuli Venezia-Giulia (59 milioni di euro) e della II tranche delle quote possedute in ENEL (2.170 milioni), i cui proventi sono già affluiti al Fondo ammortamento, nel 2003 sono state effettuate le seguenti operazioni:
- vendita a 65 fondazioni bancarie di una quota complessiva pari al 30% del capitale della Cassa depositi e prestiti S.p.A., corrispondente ad un valore di 1 miliardo e 50 milioni di euro;
- cessione, in data 12 dicembre 2003, alla Cassa depositi e prestiti S.p.A., in attuazione di quanto previsto dal D.L. n. 269/2003, delle seguenti partecipazioni azionarie:
§ 10,35% di ENEL, per un corrispettivo di 3.156,5 milioni;
§ 10% di ENI, per un corrispettivo di 5.315,8 milioni;
§ 35% di Poste Italiane S.p.A., per un corrispettivo di 2.518,7 milioni;
- vendita dell’ETI S.p.A (ex Ente Tabacchi Italiani), effettuata il 23 dicembre 2003, per un importo netto pari a circa 2.310 milioni.
Gli introiti di queste ultime operazioni di privatizzazione sono affluite nel Fondo ammortamento ad agosto 2004.
Per quanto concerne l’utilizzo delle disponibilità del Fondo, nel 2003 le operazioni di riacquisto di titoli di Stato effettuate a valere sulle risorse del Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato ammontano a oltre 2 miliardi di euro, mentre i rimborsi di titoli in scadenza ammontano a 2,330 miliardi.
Nel maggio 2003, inoltre, le disponibilità del Fondo sono state utilizzate per il pagamento della quota residua di azioni STET (Telecom), acquisite dal Tesoro nel 1996 attraverso la cessione alla Fintecna della partecipazione azionaria posseduta dall’IRI S.p.a., per complessivi 1.450 milioni di euro.
Nel 2004 risulta finora effettuata l’operazione di cessione alla BNL S.p.A. della quota del 14,42% (3 milioni di azioni ordinarie) detenuta dal Ministero dell’economia in Coopercredito S.p.A., per un ammontare lordo pari a 15,5 milioni di euro, affluita nel Fondo ammortamento nel mese di agosto 2004.
In pari data, sono affluite al Fondo i proventi delle privatizzazioni effettuate nel dicembre 2003, per un importo complessivo di 14.351 milioni di euro, di cui:
- 1.050 milioni relativi alla vendita del 30% del capitale della Cassa depositi e prestiti;
- 10.991 milioni relativi alla cessione alla Cassa depositi e prestiti S.p.A., delle partecipazioni azionarie di ENEL, ENI e Poste italiane S.p.a.;
- 2.310 milioni relativi alla vendita dell’ETI S.p.A.
Nella tavole seguenti sono riepilogati:
- l’ammontare complessivo delle risorse che, per ciascuno degli anni dal 1994 al 2003, sono affluite al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato e di quelle che sono state utilizzate per il riacquisto o il rimborso di titoli (tavola 1);
- l’ammontare delle risorse del Fondo destinate al riacquisto di titoli ancora in circolazione e al rimborso di titoli di Stato in scadenza, con distinto riferimento, per ciascuno degli anni dal 1994 al 2003, alle tipologie di titoli interessate dalle suddette operazioni (Tavola 2).
Tavola 1
(milioni di euro)
|
ACCREDITI |
UTILIZZI |
Consistenza |
|||||
Anno |
Privatizzazioni |
Altro |
Totale |
Riacquisto titoli |
Rimborso titoli |
Altro |
Totale |
Fondo |
1994 |
3.057 |
- |
3.057 |
- |
- |
- |
- |
3.057 |
1995 |
1.342 |
3.263 |
4.605 |
3.009 |
- |
- |
3.009 |
4.654 |
1996 |
3.227 |
566 |
3.793 |
2.273 |
4.618 |
1.549 |
8.440 |
7 |
1997 |
21.575 |
300 |
21.877 |
5.021 |
7.702 |
6.972 |
19.695 |
2.188 |
1998 |
12.379 |
129 |
12.508 |
4.214 |
10.412 |
- |
14.627 |
69 |
1999 |
18.479 |
46 |
18.526 |
3.742 |
14.848 |
- |
18.590 |
5 |
2000 |
3.697 |
11.853 |
15.551 |
11.337 |
- |
|
11.337 |
4.219 |
2001 |
9.003 |
197 |
9.200 |
4.257 |
8.986 |
- |
16.243 |
176 |
2002 |
425 |
32 |
457 |
- |
- |
- |
-- |
633 |
2003 |
3.743 |
1.466 |
5.209 |
2.038 |
2.330 |
1.450 |
5.818 |
24 |
Tavola 2
(milioni di euro)
BUY BACK |
RIMBORSI |
TOTALE |
||||||||||
Anno |
BOT |
CTZ |
CCT |
BTP |
Totale |
CTO |
CCT |
BTP |
CTE |
CTZ |
Totale |
|
1995 |
- |
- |
871 |
1.985 |
2.856 |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
2.856 |
1996 |
- |
- |
1.528 |
643 |
2.171 |
2.302 |
- |
2.324 |
- |
- |
4.626 |
6.797 |
1997 |
- |
- |
3.787 |
1.068 |
4.855 |
- |
- |
7.747 |
- |
- |
7.747 |
12.602 |
1998 |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
69 |
1.759 |
- |
9.539 |
11.367 |
11.367 |
1999 |
- |
- |
3.688 |
- |
3.688 |
- |
950 |
6.575 |
1.500 |
6.410 |
15.435 |
19.123 |
2000 |
57,5 |
915,6 |
2.949 |
7.353 |
11.275,1 |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
11.275 |
2001 |
- |
- |
1.067 |
3.142 |
4.209 |
- |
- |
5.200 |
- |
4.000 |
9.200 |
13.409 |
2002 |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
- |
2003 |
- |
- |
- |
2.000 |
2.000 |
- |
- |
2.330 |
- |
- |
2.330 |
4.330 |
Totale |
57,5 |
915,6 |
13.890,0 |
16.191,0 |
31.054,1 |
2.302 |
1.019 |
25.935 |
1.500 |
19.949 |
50.705 |
81.759,1 |
Nell’ambito delle operazioni di privatizzazione, un particolare rilievo ha rappresentato la cessione delle partecipazioni nel settore creditizio che, ancora nel corso degli anni ottanta, risultava caratterizzato, per un verso dalla frammentazione della struttura organizzativa e delle finalità operative dei soggetti in esso operanti, per l’altro, dalla presenza preponderante della proprietà pubblica.
Tale proprietà, peraltro, solo in misura limitata faceva capo allo Stato. Di proprietà dell’IRI erano le tre banche di interesse nazionale (Banca commerciale, Credito italiano e Banca di Roma), che sono state privatizzate negli anni 1993-1994. Una disciplina speciale e particolari caratteristiche degli assetti proprietari, anche dovute all’origine e all’evoluzione storica di questi istituti, presentavano le casse di risparmio e le banche popolari.
La trasformazione del sistema bancario, che ha portato alla definizione di un nuovo ordinamento, è stata attuata attraverso molteplici interventi normativi, volti al recepimento delle direttive comunitarie in materia creditizia. Sotto il profilo dell’evoluzione normativa un punto di arrivo è stato senza dubbio rappresentato dal decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, “Testo unico delle norme in materia creditizia e finanziaria”.
Anche per quanto concerne gli specifici aspetti concernenti la privatizzazione, la normativa concernente il settore creditizio ha presentato un’evoluzione specifica rispetto alla disciplina generale.
Il processo di privatizzazione delle banche pubbliche ha avuto inizio con la legge n. 218 del 1990 (la cosiddetta legge Amato), e con l'adozione del conseguente D.Lgs. n. 356 del 1990, relativo alla trasformazione degli enti creditizi in società per azioni a partecipazione pubblica.
Gli obiettivi principali della legge n. 218 erano l'adozione del modello societario da parte delle banche pubbliche e la definizione di un'organica disciplina dei gruppi, con la finalità di favorire la crescita dimensionale degli intermediari mediante la concentrazione degli enti creditizi.
La modifica della forma giuridica mediante l'adozione del modello della società per azioni rispondeva da un lato all’esigenza di facilitare l’accesso ai mercati dei capitali, dall’altro a quella di offrire più ampie garanzie di trasparenza ai fini del controllo sulla gestione delle aziende, attraverso l’applicazione della normativa civilistica sui doveri e le responsabilità degli organi societari.
Per la trasformazione delle aziende bancarie in società per azioni, la legge Amato ha individuato una procedura complessa che comporta il conferimento, da parte degli istituti di credito, dell'azienda bancaria in apposita Spa, pervenendo in tal modo alla costituzione di due distinti soggetti, l'ente conferente (comunemente noto come fondazione bancaria) e la società conferitaria, vale a dire la banca vera e propria.
In sostanza, si procedeva ad una separazione tra proprietà e attività bancaria e creditizia attraverso la costituzione della fondazione bancaria che, in qualità di holding, risultava la azionista unica della società per azioni. A quest’ultima, invece, spettava il compito di proseguire l’attività bancaria e creditizia già svolta dall’ente conferente in una forma giuridica che offriva una maggiore snellezza operativa.
La legge non assicurava, tuttavia, alle fondazioni un assetto giuridico sufficientemente definito, né provvedeva a chiarirne gli scopi tipici. Il provvedimento si limitava, in sostanza, a riconoscere ad essi piena capacità di diritto pubblico e privato, escludendo la possibilità che gli stessi potessero esercitare direttamente l’attività bancaria.
La vigilanza nei confronti delle fondazioni veniva attribuita al Ministero del tesoro. Si stabiliva, inoltre, l’obbligo a carico degli enti di perseguire, per esplicita disposizione statutaria, fini di interesse pubblico e di utilità sociale preminentemente nei settori della ricerca scientifica, dell'istruzione, dell'arte e della sanità.
Per incentivare la trasformazione in società per azioni delle banche pubbliche, la legge n. 218 aveva previsto uno speciale regime tributario volto ad agevolare le operazioni di fusione, scissione, trasformazione e conferimento.
L'approvazione della legge Amato e l'adozione del decreto n. 356 hanno costituito un passaggio fondamentale nel processo di riassetto del settore bancario, in particolare laddove hanno consentito alla generalità delle aziende di assumere la forma di società per azioni. In tal modo si è raggiunto il risultato di armonizzare, sotto il profilo formale, la struttura organizzativa delle diverse aziende, a fronte della situazione precedente in cui convivevano numerose categorie di istituti di credito, ciascuna delle quali dotata di ordinamenti specifici e peculiari caratteristiche.
Successivamente alla legge Amato, con direttiva del Ministro del tesoro dell’11 novembre 1994 (c.d. direttiva Dini), emanata ai sensi dell’articolo 1, comma 7, del D.L. n. 332 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 474 del 1994, sono stati dettati i criteri e le procedure per le dismissioni delle partecipazioni deliberate dagli enti conferenti, nonché per la diversificazione del rischio degli investimenti effettuati dagli stessi enti.
Tuttavia, tale intervento non è risultato sufficiente a promuovere la fuoriuscita delle fondazioni dal comparto bancario. L’effettiva cessione, da parte delle fondazioni, delle partecipazioni detenute nelle banche conferitarie, ha richiesto un secondo, generale intervento di riforma della disciplina del settore, che è stato attuato mediante la cosiddetta “legge Ciampi”.
La disciplina delle fondazioni bancarie, sia sotto il profilo civilistico sia sotto il profilo tributario, ha registrato una importante evoluzione ad opera della legge di delega n. 461 del 1998 e del conseguente D.Lgs. n. 153 del 1999 (c.d. “legge Ciampi”), e successive modificazioni.
La nuova disciplina ha espressamente attribuito alle fondazioni natura giuridica di enti di diritto privato con piena autonomia statutaria e gestionale.
In particolare, l’articolo 2 del decreto Ciampi definisce le fondazioni quali persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale, che perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico secondo quanto previsto dai rispettivi statuti.
Occorre ricordare che la soggettività pubblica delle fondazioni bancarie era stata affermata nell’articolo 11 del D.Lgs. n. 356/90, che attribuiva agli enti conferenti di cui alla legge n. 218/1990 “piena capacità di diritto pubblico e di diritto privato”. Il decreto legislativo n. 153 ha abrogato l’articolo 11 del decreto n. 356.
Quanto agli scopi istituzionali, le fondazioni bancarie sono tenute a perseguire fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.
Nonostante l’obbligo di perseguire scopi di utilità sociale le fondazioni non possono, in ogni caso, essere considerante organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Infatti, ai sensi dell’articolo 10, comma 10 del D.Lgs. n. 460/97, non si considerano ONLUS, tra l’altro, gli “enti conferenti di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218”.
L’articolo 2, comma 2 del testo originario del decreto legislativo n. 153 prevedeva l’obbligo, per le fondazioni, di indicare nello statuto i settori cui indirizzare l’attività includendo fra questi almeno uno di quelli qualificati, ai sensi dell’articolo 1, come rilevanti. La qualifica di settori rilevanti era attribuita ai settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali deboli.
Le richiamate disposizioni, sono state successivamente modificate dalla legge n. 448/01 e dal DL n. 269/03, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/03
Quanto al sistema di governo delle fondazioni, sono previsti tre organi con compiti, rispettivamente, di indirizzo, di amministrazione e di controllo.
Ai sensi di quanto disposto originariamente dal decreto legislativo n. 153, nell’ambito dell’organo di indirizzo, doveva essere prevista “un'adeguata e qualificata rappresentanza del territorio, con particolare riguardo agli enti locali”.
Per quanto concerne le incompatibilità delle funzioni, il testo originario del decreto n. 153, disponeva che gli amministratori della fondazione non potessero svolgere funzioni di consigliere di amministrazione nella società bancaria conferitaria.
La vigilanza sull’attività delle fondazioni, che veniva affidata al Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica, consisteva nel potere di approvare gli statuti, di sciogliere gli organi di amministrazione e controllo e nella valutazione della sana e prudente gestione.
In merito agli altri aspetti contenuti nel decreto n. 153, la disciplina ivi prevista evidenzia, tra l’altro, che le fondazioni:
- devono operare nel rispetto del principio di economicità;
- hanno la possibilità di esercitare imprese solo se direttamente strumentali ai fini statutari ed esclusivamente nei settori definiti rilevanti. In questa ipotesi hanno l’obbligo, ai sensi dell’articolo 9, della tenuta obbligatoria di contabilità separate;
- non possono esercitare attività creditizia; la preclusione interessa anche l’effettuazione di qualunque forma di finanziamento, di erogazione o di sovvenzione, diretti o indiretti, ad enti con fini di lucro o in favore di imprese di qualsiasi natura, con eccezione delle imprese strumentali e delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, e successive modificazioni;
- hanno l’obbligo di destinare una quota consistente del reddito, nella misura del 50%, detratte le spese di funzionamento, gli oneri fiscali e le riserve obbligatorie, ai settori di intervento indicati nello statuto, ferma restando la possibilità dell’autorità di vigilanza di variare la suddetta misura.
Con riguardo al regime tributario, il decreto Ciampi ha introdotto alcune agevolazioni fiscali in favore delle fondazioni. Tra queste, particolare rilievo assumono:
- l’assimilazione delle fondazioni agli enti non commerciali;
- l’applicazione, ai fini della tassazione, di una aliquota IRPEG dimezzata rispetto a quella ordinaria;
- la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile delle fondazioni delle plusvalenze derivanti dal trasferimento delle azioni detenute nella società bancaria conferitaria.
Le agevolazioni fiscali introdotte, in favore sia delle fondazioni che delle banche conferitarie, hanno dato origine ad un contenzioso in sede comunitaria.
La Commissione europea - a seguito di un procedimento d'indagine formale, diretto ad accertare la compatibilità con il mercato comune delle agevolazioni a favore delle fondazioni e delle ristrutturazioni bancarie di cui al D.Lgs. n. 153/99 - con decisione dell’11 dicembre 2001 ha stabilito che le misure fiscali a favore delle banche accordate dalla legge 23 dicembre 1998, n.461, e dal conseguente decreto legislativo 17 maggio 1999, n.153, sono incompatibili con le norme del Trattato CE relative agli aiuti di Stato.
Le misure in questione, infatti, conferirebbero un vantaggio concorrenziale discriminatorio alle banche partecipanti ad operazioni di fusione e ristrutturazione. In base alla decisione della Commissione europea, il Governo italiano era tenuto a recuperare gli importi corrispondenti alle agevolazioni concesse (compresi gli interessi decorrenti dalla data in cui l’aiuto è divenuto disponibile per i beneficiari).
Con l’articolo 1 del D.L. n. 282/2002, convertito, con modificazioni, dalla legge 27/2003, in attuazione della decisione della Commissione europea, si è disposto l’obbligo, per le banche che avevano beneficiato delle agevolazioni in parola, di effettuare il versamento, entro il 31 dicembre 2002, di un importo pari alle imposte non corrisposte, per effetto delle medesime agevolazioni, nonché degli interessi sull’importo dovuto, calcolati nella misura del 5,5% annuo.
Per quanto concerne il regime fiscale delle fondazioni bancarie, l’articolo 5 del DL n. 63/2002, disponendo una interpretazione autentica della legge n. 461/98 e del D.Lgs. n. 153/99, ha precisato che le agevolazioni sono motivate dal regime giuridico privatistico delle stesse, da ritenersi speciale rispetto a quello delle altre fondazioni.
La Commissione europea, che nell’agosto del 2002 ha concluso l’indagine avviata nel 2000, ha riconosciuto la conformità del regime fiscale delle fondazioni bancarie alle regole comunitarie. Ciò in quanto, come rilevato dalla medesima Commissione, l’attività di gestione del patrimonio e di utilizzazione dei proventi per l’erogazione di contributi ad enti senza scopo di lucro non costituisce attività economica.
Particolare rilievo, nell’ambito della riforma disciplinata dalla legge Ciampi, ha assunto la disciplina relativa alla dismissione delle partecipazioni di controllo da parte delle fondazioni nel periodo transitorio.
Rispetto all’iniziale obbligo di detenere la maggioranza del capitale sociale nelle conferitarie disposto dalla legge Amato, il decreto n. 153 ha introdotto un obbligo opposto, consistente, appunto, nella necessità di dismettere le partecipazioni di controllo entro un termine espressamente previsto.
Ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 153/99, il controllo sussiste nei casi previsti dall'articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile, ai sensi del quale sono controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Per la determinazione del controllo si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta, mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Il comma 3 del medesimo articolo 6 del D.Lgs. n. 153/1999 individua, inoltre, le ipotesi in cui si ha controllo nella forma di influenza dominante.
A tal fine si prevede che il controllo si considera esistente nella forma dell’influenza dominante quando:
a) la fondazione, in base ad accordi in qualsiasi forma stipulati con altri soci, ha il diritto di nominare la maggioranza degli amministratori, ovvero dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
b) la fondazione ha il potere, in base ad accordi in qualsiasi forma stipulati con altri soci, di subordinare al proprio assenso la nomina o la revoca della maggioranza degli amministratori;
c) sussistono rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario e organizzativo idonei ad attribuire alla fondazione il diritto di nomina della maggioranza degli amministratori o la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria o il potere di assenso sulla nomina o revoca della maggioranza degli amministratori.
La disciplina in merito alle partecipazioni di controllo è stata successivamente oggetto di importanti modifiche.
Il testo originario dell’articolo 25 disponeva che la dismissione delle partecipazioni di controllo detenute nelle società conferitarie dovesse essere effettuato entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e quindi entro il 15 giugno 2003.
Tuttavia, ove non si fosse provveduto entro il suddetto termine, le medesime partecipazioni potevano essere detenute per altri due anni; in tal caso, le fondazioni avrebbero perso la qualifica di ente non commerciale e, di conseguenza, non avrebbero potuto fruire delle relative agevolazioni fiscali.
Infine, nel caso in cui, al 15 giugno 2005, la fondazione fosse stata ancora in possesso delle partecipazioni di controllo nelle conferitarie, l’articolo 25 prevedeva l’intervento del Ministero del tesoro che, in qualità di autorità di vigilanza, procedeva alla dismissione in parola anche, eventualmente, attraverso la nomina di un apposito commissario.
Le rilevanti innovazioni introdotte dalla legge n. 461/1998 e dal decreto legislativo n. 153/1999 comportavano, per espressa previsione normativa, l’adeguamento degli statuti delle fondazioni (art. 28, comma 1, del D.Lgs. n. 153/1999)[40].
Prima della conclusione della XIII legislatura, il Ministro del tesoro ha adottato l’atto di indirizzo 22 maggio 2001 (cosiddetto “atto Visco”) con il quale è stata precisata la disciplina delle incompatibilità e dei requisiti di onorabilità dei soggetti che ricoprono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione e controllo nelle fondazioni. L’atto di indirizzo, tra l’altro, prevedeva che nell’ipotesi in cui una fondazione detenesse il controllo o una partecipazione rilevante della società bancaria conferitaria o di altra banca, i soggetti con funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso la fondazione non potevano ricoprire analoghe funzioni in tali banche né in società da esse controllate, né in società nelle quali le banche in questione detenessero una partecipazione rilevante.
L’atto di indirizzo è stato impugnato presso il TAR del Lazio, che ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, al fine di verificare la legittimità di un potere di indirizzo del Ministero nei confronti delle fondazioni, in quanto soggetti di diritto privato.
La disciplina sulle fondazioni dettata dal decreto legislativo n. 153 del 1999 è stata oggetto di un’incisiva revisione con l’articolo 11 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002).
In particolare, le modifiche introdotte hanno riguardato i settori di attività delle fondazioni, la composizione degli organi e il rapporto tra le fondazioni e la società bancaria conferitaria, sia per quanto concerne l’incompatibilità relativa all’esercizio di cariche nella fondazione e nella società bancaria, sia per quanto concerne le modalità e i tempi di dismissione delle partecipazioni di controllo.
L’articolo 11 della legge n. 448/01 demandava ad un regolamento ministeriale l’adozione delle disposizione attuative. Il regolamento, emanato con D.M. 2 agosto 2002, n. 217, ha specificato e integrato diversi profili della normativa stabilita per legge.
Sulla disciplina delle fondazioni, peraltro, sono successivamente intervenute due importanti sentenze della Corte costituzionale: la sentenza 24-29 settembre 2003, n. 300 relativa ai giudizi di legittimità costituzionale promossi da alcune Regioni e la sentenza 24-29 settembre 2003, n. 301 relativa a giudizi di legittimità costituzionale promossi dal TAR del Lazio[41].
In ambedue le sentenze, la Corte costituzionale muove dall’affermazione che con la legge n. 461/1998 e con il decreto legislativo n. 153/1999 le fondazioni hanno acquisito compiutamente natura giuridica privata, con piena autonomia statutaria e gestionale. In base a questo presupposto la Corte costituzionale ha, da un lato, rigettato i ricorsi con cui le regioni intendevano affermare la propria competenza legislativa e regolamentare, stabilendo, al contrario, che la disciplina delle fondazioni è compresa nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. D’altro lato, proprio in considerazione della natura di persone giuridiche private delle fondazioni, la Corte, accogliendo parte dei rilievo formulati dal TAR del Lazio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni dell’articolo 11 della legge finanziaria per il 2002, che si traducevano in una compressione della loro autonomia statutaria e gestionale e in un’eccessiva estensione dei poteri di intervento attribuiti all’Autorità di vigilanza.
Sulla definizione della natura giuridica delle fondazioni, prima delle sentenze della Corte costituzionale, era intervenuto l’articolo 5 del DL n. 63/2002, nel quale, mantenendo fermo il regime di agevolazioni fiscali previsto per le fondazioni dal D.Lgs. n. 153/99, si affermava che le fondazioni hanno un “regime giuridico privatistico, speciale rispetto a quello delle altre fondazioni”[42].
La revisione della disciplina delle fondazioni operata dall’articolo 11 della legge n. 448/2001 ha, prima di tutto, interessato la definizione dei settori di attività. In particolare, si è cercato di individuare per legge in modo più vincolante gli ambiti di intervento delle fondazioni, anche al fine di concentrare l’utilizzo delle risorse.
Mentre la riforma Ciampi rimetteva allo statuto l’individuazione dei settori di attività delle fondazioni, prevedendo soltanto che dovesse essere compreso almeno uno dei settori rilevanti, l’articolo 11 della finanziaria per il 2002 ha disposto che le fondazioni devono indirizzare le attività esclusivamente nei settori ammessi, definiti dalla legge medesima, e, nell’ambito di questi, devono operare in via prevalente nei settori rilevanti scelti, nell’ambito dei settori ammessi, per un periodo non inferiore al triennio e in numero non superiore a cinque[43].
La lettera c-bis) all’articolo 1, comma 1 del decreto n. 153, introdotta dall’articolo 11 della legge n. 448/01, individua quattro categorie di “settori ammessi”:
- la prima categoria comprende: famiglia e valori connessi; crescita e formazione giovanile; educazione, istruzione e formazione, incluso l'acquisto di prodotti editoriali per la scuola; volontariato, filantropia e beneficenza; religione e sviluppo spirituale; assistenza agli anziani; diritti civili;
- la seconda categoria contiene settori eterogenei, alcuni dei quali del tutto nuovi: prevenzione della criminalità e sicurezza pubblica; sicurezza alimentare e agricoltura di qualità; sviluppo locale ed edilizia popolare locale; protezione dei consumatori; protezione civile; salute pubblica, medicina preventiva e riabilitativa; attività sportiva; tossicodipendenze; disturbi psichici e mentali;
- la terza categoria riprende settori già inclusi dalla disciplina previgente: ricerca scientifica e tecnologica; protezione e qualità ambientale;
- l’ultima categoria concerne l’arte e le attività e i beni culturali.
L’articolo 7 della legge n. 166/02 ha inserito un nuovo settore concernente la realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità.
L’articolo 11 ha inoltre indicato come criteri per lo svolgimento dell’attività delle fondazioni il rapporto prevalente con il territorio, l’equilibrata destinazione delle risorse e la preferenza per i settori a maggiore rilevanza sociale.
Infine, si attribuiva al Ministro dell’economia e delle finanze, in quanto Autorità di vigilanza, il potere di modificare con proprio regolamento l’individuazione dei settori ammessi.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 301 del 29 settembre 2003 ha respinto i rilievi di costituzionalità relativi alle disposizioni che individuano i settori ammessi, in quanto, considerato che l’elenco dei settori risulta ampio e vario, la previsione legislativa dei settori ammessi non può ritenersi lesiva della autonomia gestionale e statutaria delle fondazioni.
Nella medesima sentenza, la Corte costituzionale ha respinto anche i rilievi di costituzionalità relativi alla modifica della nozione di “settori rilevanti” e all’obbligo, per le fondazioni, di sceglierne un certo numero in ciascun triennio. Anche in questo caso, la Corte non individua alcuna lesione all’autonomia delle fondazioni ma, al contrario, ritiene utile evitare una eccessiva dispersione dell’attività delle fondazioni e concentrare le risorse finanziarie in specifici settori.
La Corte ha, invece, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 1, ultimo periodo della legge n. 448/01, che consentiva al Ministero di modificare, con proprio decreto, i settori ammessi.
Secondo quanto indicato dalla Corte, tale disposizione concede all’Autorità di vigilanza il potere di modificare il contenuto di disposizioni di legge, senza indicare criteri che ne delimitino la discrezionalità e che garantiscano la compatibilità delle eventuali modifiche con la natura privata delle fondazioni e con la loro autonomia statutaria.
La sentenza della Corte costituzionale, più in generale, esplica un’incidenza determinante sulla configurazione dei rapporti tra le fondazioni e l’Autorità di vigilanza.
La Corte, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
· dell’articolo 4, comma 1, lettera g) del D.Lgs. n. 153/1999, ai sensi del quale la definizione dei requisiti di onorabilità e delle ipotesi di incompatibilità negli statuti doveva avvenire nel rispetto degli indirizzi dettati dal Ministero dell’economia e delle finanze, in qualità di Autorità di vigilanza;
· dell’articolo 10, comma 3, lettera e) del D.Lgs. n. 153/1999, nella parte in cui attribuisce al Ministero la possibilità di adottare atti di indirizzo di carattere generale.
Al riguardo, infatti, la Corte afferma che l’Autorità di vigilanza dispone soltanto di un potere di controllo, che consiste nella verifica della corrispondenza dell’attività delle fondazioni a determinati parametri preventivamente fissati. Non le spetta, invece, un potere di indirizzo, che si esplicherebbe nella determinazione delle modalità secondo le quali l’attività delle fondazioni deve svolgersi.
Il secondo profilo su cui la legge finanziaria per il 2002 ha introdotto rilevanti modifiche concerne la composizione degli organi delle fondazioni.
In particolare l’articolo 11, comma 4, stabiliva che gli statuti dovessero prevedere, nell’ambito dell’organo di indirizzo, una “prevalente e qualificata” rappresentanza dei comuni, delle province, delle regioni, mentre il D.Lgs. n. 153/1999 si limitava a prevedere una “adeguata e qualificata” rappresentanza del territorio, con particolare riguardo agli enti locali[44].
L’articolo 11, comma 4, manteneva invece la particolare disciplina della composizione dell’organo di indirizzo delle fondazioni di origine associativa, prevedendo la possibilità di mantenere l'assemblea dei soci e di attribuire a quest’ultima la designazione di una quota comunque non superiore alla metà del totale dei componenti dell'organo di indirizzo.
Al tempo stesso le novelle introdotte dalla legge finanziaria 2002 hanno soppresso la nomina per cooptazione di componenti dell’organo di indirizzo.
La previsione di una prevalenza, nella composizione dell’organo di indirizzo, dei rappresentanti degli enti locali e delle regioni risultava coerente con la finalità generale, perseguita dalla riforma delineata dall’articolo 11, di rafforzare il rapporto tra le fondazioni e il territorio in cui sono insediate.
Nello stesso senso si indirizzavano sia la previsione, già ricordata, per la quale le fondazioni devono individuare i propri settori di intervento “in rapporto prevalente con il territorio”, sia la disposizione secondo cui le fondazioni, nel diversificare il rischio di investimento del patrimonio, devono comunque assicurare il collegamento funzionale con le loro finalità istituzionali ed in particolare con lo sviluppo del territorio.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 301 del 29 settembre 2003 ha dichiarato, peraltro, l’illegittimità costituzionale della disposizione che attribuisce agli enti locali e alle regioni una rappresentanza prevalente. Al riguardo, infatti, la Corte osserva che la censura di irragionevolezza della norma risulta fondata, in quanto essa limita la presenza degli enti rappresentativi delle diverse realtà locali ai soli enti territoriali senza ricomprendervi quelle diverse realtà locali, pubbliche e private, radicate sul territorio ed espressive di interessi meritevoli di essere rappresentati nell’organo di indirizzo.
Pertanto, la Corte dichiara incostituzionale la disposizione in questione nella parte in cui prevede la prevalente e qualificata rappresentanza di enti territoriali, e non anche di enti, pubblici o privati, comunque espressivi della realtà locale.
Il terzo elemento qualificante della riforma recata dalla legge finanziaria per il 2002 è rappresentato dal rafforzamento della separazione tra le fondazioni e le banche. Al riguardo, le disposizioni contenute nell’articolo 11 intervenivano su tre distinti aspetti:
- il regime di incompatibilità relativo al cumulo delle cariche nella fondazione e nella società bancaria conferitaria;
- la definizione delle fattispecie che configurano un rapporto di controllo della fondazione sulla società bancaria;
- le modalità e i tempi di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle banche.
Le modifiche introdotte dalla legge finanziaria per il 2002 hanno ampliato il regime di incompatibilità tra cariche nella fondazione e nella società bancaria conferitaria previsto dall’articolo 4, comma 3, del D.Lgs. n. 153/99.
Nel testo originario, infatti, si prevedeva soltanto l’incompatibilità tra le funzioni di amministratore della fondazione e quelle di consigliere di amministrazione della società bancaria conferitaria.
Il nuovo regime introdotto dalla legge n. 448 ha, in primo luogo, ampliato le tipologie di funzioni incompatibili: si è infatti disposto che i soggetti che svolgono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione e controllo presso le fondazioni non possano svolgere funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria.
In secondo luogo ha esteso l’incompatibilità non solo alle cariche ricoperte nella società bancaria conferitaria, ma anche a quelle ricoperte in “altre società operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo”[45].
Sulla materia è intervenuta, successivamente, la legge finanziaria per il 2003 (articolo 80, comma 20, lettera a), della legge n 289/02) la quale ha precisato che le incompatibilità sussistono nei confronti, oltre che della conferitaria, di altre società operanti nel settore bancario, finanziario o assicurativo in rapporto di partecipazione azionaria o di controllo con la conferitaria medesima[46].
Intervenendo sulla questione, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 301/2003, ha dichiarato infondata la richiesta di illegittimità della disciplina delle incompatibilità dettata dall’articolo 11, comma 7, della legge n. 448/2001, ma ne ha fornito un’interpretazione restrittiva, che sostanzialmente viene a coincidere con le specificazioni presenti nella nuova formulazione dettata dalla legge finanziaria successiva.
La Corte ha, infatti, osservato che lo scopo della norma in questione è quello di recidere i legami tra la banca conferitaria e le fondazioni. Per raggiungere tale scopo risulta necessario includere nel regime di incompatibilità le società, operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo in rapporto di partecipazione o di controllo con la banca conferitaria. Il riferimento contenuto nell’articolo 11, comma 7, della legge n. 448/2001, ad “altre società operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo”, pur essendo privo di precisazioni, non deve, pertanto, secondo la Corte, essere riferito, in senso generico, ad ogni altra società operante nei settori indicati, ma deve essere inteso, in senso restrittivo, solo con riguardo alle società in rapporto di controllo o partecipazione azionaria con la conferitaria, come poi è stato espressamente chiarito dall’articolo 80, comma 20, della legge n. 289/2002.
Una più articolata e circoscritta definizione delle incompatibilità è stata, infine, introdotta con la legge finanziaria per il 2004 (articolo 2, comma 26, della legge n. 350/2003). Il testo vigente prevede, infatti, che i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso una fondazione bancaria non possono ricoprire analoghe funzioni, oltre che presso la società bancaria conferitaria, anche presso le sue controllate e partecipate.
Uno specifico e meno ampio regime di incompatibilità è stato introdotto per i componenti dell’organo di indirizzo della fondazione, per i quali l’incompatibilità interessa le funzioni di amministrazione, direzione o controllo soltanto presso la banca conferitaria, senza estendersi anche alle controllate e partecipate di quest’ultima.
La legge finanziaria per il 2002, oltre ad estendere il regime di incompatibilità, ha anche ampliato la definizione delle situazioni in cui sussiste un rapporto di controllo tra fondazioni e banche conferitarie, includendo il caso di un controllo esercitato da più fondazioni, che partecipino al capitale di una società bancaria.
L’articolo 11, comma 10, ha infatti individuato una nuova fattispecie di controllo, stabilendo che una società bancaria si considera controllata da una fondazione anche quando il controllo sia “riconducibile, direttamente o indirettamente, a più fondazioni, in qualunque modo o comunque esso sia determinato”.
L’ampliamento, così operato, della definizione di controllo ha rilevanti conseguenza in ordine all’obbligo di dismissione delle partecipazioni detenute, che, nella fattispecie introdotta dall’articolo 11, comma 10, verrebbe a ricadere su tutte le fondazioni partecipanti al capitale della società bancaria interessata.
Il regolamento successivamente adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze (D.M. n. 217/2002) ha ulteriormente esteso i casi in cui si configura un rapporto di controllo tra fondazioni e banche conferitarie.
In primo luogo, in merito al controllo esercitato congiuntamente da più fondazioni, introdotto dall’articolo 11, il regolamento ha integrato la disposizione di legge precisando che tale controllo sussiste anche se le fondazioni interessate non siano legate da accordi.
Ha previsto, inoltre, l’applicazione, in aggiunta a quanto già disposto dall’articolo 6 del D.Lgs. n. 153/1999, degli articoli 22 e 23 del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario), che prevedono ulteriori fattispecie di controllo, nella forma dell’influenza dominante, rispetto a quelle contenute nella c.d. legge Ciampi[47].
Il regolamento, inoltre, ha attribuito alla Banca d’Italia il compito di individuare l'esistenza di situazioni di controllo e di darne comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze.
Anche per quanto riguarda la definizione dei casi di controllo delle fondazioni sulle società bancarie conferitarie, la Corte costituzionale ha ritenuto le disposizioni dell’articolo 11, comma 10, conformi al dettato della Costituzione, a condizione, tuttavia, di precisarne e restringerne la portata.
La Corte, infatti, ha rilevato che la norma in questione deve essere intesa nel senso che essa estende la nozione di controllo, come definita dall’articolo 6 del D.Lgs n. 15371999, anche all’ipotesi in cui esso sia esercitato, congiuntamente, da una pluralità di fondazioni che siano comunque legate da appositi accordi finalizzati al controllo bancario; tali accordi, inoltre, devono essere oggetto di specifica prova.
Le disposizioni dell’articolo 11, comma 10, sono legittime sotto il profilo costituzionale soltanto se si intende che esse si riferiscano ad un effettivo controllo congiunto da parte di più fondazioni. La sussistenza di tale controllo deve essere accertata con riferimento ai parametri previsti dall’ordinamento vigente e non può essere dedotta dal semplice possesso di partecipazioni nella medesima società bancaria da parte di più fondazioni.
Pertanto, conclude la Corte, la portata della norma è solo quella di ricomprendere nella nozione di controllo l’esistenza di accordi di sindacato tra più fondazioni.
Le modifiche introdotte dalla legge finanziaria per il 2002 hanno, infine, interessato anche la procedura relativa alla dismissione della partecipazione di controllo nelle società bancarie.
Da un lato è stata introdotta una modalità alternativa alle dismissioni e, dall’altro lato è stata ridefinita la durata del periodo transitorio durante il quale le fondazioni hanno l’obbligo di dismettere le richiamate partecipazioni.
Il testo originario fissava come termine ultimo per la dismissione delle partecipazioni di controllo il 15 giugno 2003, prevedendo la possibilità di una proroga di altri due anni, che, tuttavia, avrebbe comportato la perdita delle agevolazioni fiscali.
L’articolo 11, comma 13, della legge n. 448/01, per quanto concerne le modalità di dismissione delle partecipazioni, ha previsto che esse possano affidare le partecipazioni ad una società di gestione del risparmio (SGR), da scegliere con procedure competitive. La SGR provvede a gestire le partecipazioni secondo criteri di professionalità e indipendenza rispetto alla fondazione.
Per escludere la possibilità di influenza delle fondazioni sulla SGR, il regolamento ministeriale, di cui al D.M. n.217/2002 (articolo 5, comma 1), ha precisato che il regime di incompatibilità tra le funzioni ricoperte presso la fondazione e quelle ricoperte presso la banca conferitaria si estende comunque alla società di gestione del risparmio.
In caso di affidamento delle partecipazioni ad una SGR, l’articolo 11, comma 13, ha prorogato di tre anni il termine per la cessione delle quote di controllo, senza che la proroga comporti la perdita delle agevolazioni fiscali.
Il regolamento ministeriale, nel ribadire quanto già disposto dalla legge, precisava altresì che la decisione da parte della fondazione di affidare le partecipazioni nella società bancaria ad una SGR avrebbe dovuto essere assunta entro il mese di marzo 2003, in modo da poter perfezionare l’operazione entro il termine del 15 giugno 2003. In questa ipotesi, il termine ultimo per la dismissione delle partecipazioni di controllo sarebbe stato prorogato al 15 giugno 2006. Alla scadenza di quest’ultima data sarebbe intervenuta in via sostitutiva, per effettuare la dismissione, l’Autorità di vigilanza.
Successivi interventi normativi hanno prorogato il termine per la cessione delle partecipazioni di controllo e hanno esentato dall’obbligo della cessione medesima alcune categorie di fondazioni.
In particolare l'articolo 4 del D.L. n. 143/03, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 212/03, modificando l’articolo 25 del D.Lgs. n. 153/1999, ha fissato il termine per effettuare la dismissione delle partecipazioni di controllo detenute dalle fondazioni al 31 dicembre 2005.
Di conseguenza viene prorogato fino a quest’ultima data anche il termine entro il quale le fondazioni possono affidare le partecipazioni ad una società di gestione del risparmio. Nel caso in cui ciò avvenga, dal 31 dicembre 2005 decorrono gli ulteriori tre anni di proroga per la dismissione delle partecipazioni di controllo.
Il medesimo articolo 4 del D.L. 143/2003, modificando il comma 3-bis[48] dell’articolo 25 del decreto n. 153/1999, ha altresì eliminato l’obbligo di cessione delle partecipazioni di controllo per le fondazioni con patrimonio netto contabile non superiore a 200 milioni di euro (c.d. piccole fondazioni), nonché per quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale.
A seguito delle sentenze della Corte costituzionale, con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 maggio 2004, n. 150, è stato adottato il nuovo regolamento che, ai sensi dell’articolo 11, comma 14, della legge n. 448/2001 reca la disciplina attuativa in materia di fondazioni bancarie.
Il regolamento di cui al D.M. 18 maggio 2004, n. 150, abroga e sostituisce il precedente regolamento adottato con D.M. 2 agosto 2002, n. 217.
Per quanto concerne l’attività delle fondazioni, il nuovo regolamento demanda allo statuto di ciascuna fondazione la facoltà di definire specifici ambiti territoriali di intervento, con riferimento al luogo di insediamento, alle tradizioni storiche e alle dimensioni della fondazione medesima.
Ciascuna fondazione è tenuta a scegliere, nell'ambito dei settori ammessi, un massimo di cinque settori rilevanti, anche appartenenti a più di una delle categorie di settori ammessi, in cui la fondazione opera in via prevalente, destinando a tali settori il reddito residuo, detratte le spese di funzionamento, gli oneri fiscali e la riserva obbligatoria.
E’ peraltro ammessa la destinazione di una quota del reddito anche a uno o più dei settori ammessi, diversi dai settori rilevanti.
In ordine alla composizione degli organi delle fondazioni, il nuovo regolamento stabilisce che l'organo di indirizzo sia composto da una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, pubblici e privati, espressivi delle realtà locali. Tali enti sono individuati nello statuto, che disciplina la composizione dell’organo di indirizzo in modo da garantire che nessun singolo ente possa designare o nominare la maggioranza dei componenti.
Oltre ai rappresentanti degli enti pubblici e privati espressivi delle realtà locali, l’organo di indirizzo è costituito da personalità che per professionalità, competenza ed esperienza, in particolare nei settori cui è rivolta l'attività della fondazione, possano efficacemente contribuire al perseguimento dei fini istituzionali. Tali personalità sono designate o nominate da soggetti, persone fisiche o giuridiche, di riconosciuta indipendenza e qualificazione, che operano nei settori di intervento della fondazione.
Allo statuto è demandata la possibilità di disciplinare eventuali ipotesi di nomina per cooptazione, che comunque sono ammesse soltanto nei casi in cui si tratti di personalità di chiara ed indiscussa fama.
Nelle fondazioni di origine associativa lo statuto può attribuire alle assemblee il potere di designare fino alla metà dei membri dell'organo di indirizzo. Per la restante parte l’organo di indirizzo è composto in base alla disciplina generale.
Riguardo alla disciplina delle incompatibilità, il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, prevede che i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione non possono ricoprire analoghe funzioni presso la società bancaria conferitaria o presso sue controllate o partecipate.
I soggetti che svolgono funzioni di indirizzo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria.
Al riguardo è intervenuta la circolare dell’ACRI (Associazione delle Casse di Risparmio Italiane), in base alla quale le società partecipate dalla banca conferitaria, per le quali si determina la situazione di incompatibilità devono essere individuate con riferimento alle società collegate individuate dall’articolo 2359 del codice civile, ai sensi del quale “sono considerate collegate, le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa”.
Sulla base della circolare richiamata, pertanto, l’incompatibilità si verifica soltanto con riferimento alle società nelle quali la banca conferitaria detenga una partecipazione pari ad almeno il 20% o, se si tratta di società quotate, il 10%, dei voti nell’assemblea ordinaria.
Il nuovo regolamento, infine, precisa la definizione delle situazioni di controllo esercitato congiuntamente da più fondazioni, che, in base alle innovazioni introdotte nel decreto legislativo n. 153/1999 dall’articolo 11 della legge n. 448/2001, comportano, al pari del controllo esercitato da una singola fondazione, il divieto di acquisire nuove partecipazioni di controllo e l’obbligo di dismettere quelle già detenute.
Al riguardo, il nuovo regolamento stabilisce che una società bancaria o capogruppo bancario si considera sottoposta a controllo congiunto di due o più fondazioni, quando tali fondazioni, mediante accordi di sindacato, si trovano in una posizione di controllo, come disciplinata dall’articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, ovvero si determinano le condizioni di influenza dominante individuate dall’articolo 6, comma 3, del D.Lgs. n. 153/1999.
L’esistenza dell’accordo tra due o più fondazioni deve essere provata in forma scritta.
Nel caso in cui venga accertata la sussistenza di una situazione di controllo esercitato in forma congiunta, le fondazioni interessate devono sciogliere l’accordo di sindacato o recedere da esso entro il termine di 90 giorni dalla data di comunicazione da parte dell’autorità di vigilanza.
Dall’ottavo Rapporto sulle fondazioni bancarie, curato dall’ACRI nell’autunno 2003, risulta che, nel 2002, l’incidenza delle partecipazioni detenute dalle fondazioni nelle società conferitarie rispetto al totale attivo delle fondazioni medesime è diminuita al 33,9%, con una riduzione di circa 7 punti rispetto all’anno precedente (nel 2000 l’incidenza era del 43%, e nel 2001 era del 41,3%).
Viene, tra l’altro, precisato che, sulla base dei dati aggiornati a settembre 2003, le fondazioni che detengono ancora una quota superiore al 50% del capitale della banca conferitaria sono 15 (su un totale di 89), e che le stesse rappresentano meno del 4% del patrimonio complessivo detenuto dal sistema delle fondazioni.
In particolare, le fondazioni che detengono ancora il controllo hanno tutte un patrimonio inferiore a 200 milioni di euro.
Nel corso del 2002 e nei primi mesi del 2003, sette fondazioni, tra cui il Monte dei Paschi di Siena, hanno ridotto la quota di partecipazione nel capitale della banca conferitaria al di sotto del 50% (2 nel 2002 e 5 nel 2003).
La tabella esposta di seguito reca la serie storica dei dati a partire dal 1990, anno in cui le fondazioni bancarie detenevano il controllo totale delle banche conferitarie, e offre un quadro completo dell’evoluzione del processo delle dismissioni delle partecipazioni nelle banche medesime.
Assetti partecipativi nelle banche conferitarie delle fondazioni bancarie
Anni |
1990 |
1995 |
1996 |
1998 |
1999 |
2000 |
2001 |
2002(sett.) |
2003(sett.) |
|
Numero fondazioni |
||||||||
A) Partecipazione > 50% |
88 |
62 |
56 |
47 |
44 |
23 |
22 |
20 |
15 |
B) Partecipazioni < 50% |
0 |
26 |
30 |
36 |
36 |
57 |
57 |
59 |
63 |
C) Nessuna partecipazione |
0 |
1 |
3 |
6 |
9 |
9 |
10 |
10 |
11 |
TOTALE |
88 |
89 |
89 |
89 |
89 |
89 |
89 |
89 |
89 |
La situazione rilevata al 31 dicembre 2002 evidenzia che sono otto le fondazioni con patrimonio superiore a un miliardo di euro.
Nella seguente tabella si riportano i dati relativi alle richiamate otto fondazioni, evidenziando le quote di partecipazione sul capitale ordinario e sul complesso del capitale votante detenute nelle banche conferitarie.
Situazione al 31 dicembre 2002
(importi
in miliardi di euro)
Fondazione |
Patrimonio |
Banca conferitaria |
% |
% |
Fond. Monte Paschi Siena |
4,8 |
Monte Paschi Siena |
49,00 |
58,57 |
Ente Ca. Ri. Firenze |
1,1 |
Cassa Risparmio Firenze |
41,80 |
41,80 |
Fond. Ca. Ri. Cuneo |
1,1 |
BRE Banca |
11,40 (*) |
n.d. |
CARIPLO |
5,6 |
Banca Intesa |
9,92 |
9,92 |
Fond. Ca. Ri. Torino |
1,2 |
Unicredito |
8,74 |
8,74 |
Compagnia San Paolo |
4,8 |
San Paolo IMI |
7,50 |
14,48 |
Fond. Ca. Ri. Verona |
1,6 |
Unicredito |
7,22 |
7,22 |
Fond. Ca. Ri. Roma |
1,4 |
Capitalia |
7,19 |
7,19 |
(*) Poiché la banca conferitaria non è quotata in borsa, la percentuale indicata è quella posseduta a settembre 2002 e comunicata dall’ACRI.
Fonte: Consob
Per quanto riguarda, più in generale, il patrimonio delle fondazioni, l’ottavo Rapporto ACRI, sottolineando la marcata concentrazione territoriale e dimensionale delle fondazioni bancarie, evidenzia che, per quanto concerne la distribuzione geografica rilevata al 31 dicembre 2002, il 64,7% del patrimonio complessivo è detenuto dalle fondazioni che hanno sede nel Nord dell’Italia. In particolare, il 41,8% è concentrato nelle aree del Nord-ovest, il 22,8% nelle aree nel Nord-est, 30,4% nel Centro Italia e il restante 5% nelle Sud del paese.
Per quanto concerne l’aspetto dimensionale, dal Rapporto ACRI risulta, alla medesima data del 31 dicembre 2002, che il 75% del patrimonio complessivo appartiene a 18 fondazioni di grandi dimensioni. Tra queste ultime, 12 hanno sede nel Nord e detengono circa il 66% del patrimonio complessivo delle grandi fondazioni, 5 hanno sede al Centro e detengono circa il 31% del medesimo patrimonio e, infine, l’unica fondazione di grandi dimensioni che ha sede al Sud detiene il restante 3% del patrimonio delle grandi fondazioni.
Al 31 dicembre 2002, circa il 50% del patrimonio complessivamente detenuto dalle fondazioni risulta concentrato nelle seguenti cinque fondazioni:
- Fondazione Cariplo;
- Fondazione Monte dei Paschi di Siena;
- Compagnia di San Paolo;
- Fondazione Cassa di Risparmio di Roma;
- Fondazione Cassa di Risparmio di Verona.
La redditività del patrimonio delle fondazioni, al netto dei proventi straordinari, è rimasta inalterata: infatti si attesta, nel 2002, al 5% rispetto al 4,9% del 2001. Tuttavia, da una analisi delle principali componenti dei proventi, si può osservare che l’incremento dei dividendi corrisposti dalle banche (che nel 2002 rappresentano oltre il 64% del totale dei proventi rispetto al 57% del 2001) ha sostanzialmente compensato il calo di rendimento delle attività finanziarie.
Nel corso del 2002 le fondazioni hanno effettuato erogazioni per complessivi 1.076,6 milioni di euro, attraverso 20.438 interventi. Rispetto al 2001, l’importo erogato è aumentato dell’11%, mentre il numero delle iniziative è diminuito del 5%. Secondo quanto indicato nell’ottavo Rapporto sulle fondazioni, “le fondazioni tendono a concentrare le loro risorse su iniziative ritenute importanti e di maggiore impatto sociale per i territori di riferimento”. In particolare, l’importo medio per iniziativa è passato da 45.329 euro nel 2001 a 52.681 euro nel 2002.
Per quanto concerne i settori che hanno beneficiato delle erogazioni, le rilevazioni effettuate con riferimento al 2002 confermano, sostanzialmente, la distribuzione settoriale già rilevata nel 2001. La quota prevalente è andata al settore delle attività culturali e artistiche al quale sono state erogati 311 milioni di euro, pari al 28,9% del totale delle somme erogate; rispetto al 2001 si registra, peraltro, una riduzione di circa 5 punti percentuali. Gli altri settori ai quali sono destinate erogazioni in misura consistente sono rappresentati dall’istruzione (16,4%), l’assistenza sociale (12,5%), la filantropia e volontariato (12%), la sanità (10,4%), la ricerca (8,9%) e la promozione delle comunità locale (6,8%).
[1] Il decreto-legge n. 386/1991 reiterava il decreto-legge 3 ottobre 1991, n. 309, di contenuto pressoché analogo, che non era stato convertito per decorrenza dei termini previsti dalla Costituzione. Gli effetti del D.L. 309/1991 erano fatti salvi ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 386/1991.
[2] Ai fini dell’individuazione dei beni immobili di proprietà dello Stato appartenenti al patrimonio indisponibile e disponibile, in data 19 luglio 2002 è stato emanato il decreto dell’Agenzia del demaniopredisposto ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 410/2001.
[3] Un’analoga disposizione è contenuta nell’articolo 3, comma 1-bis, del D.L. n. 351/2001, con riferimento ai beni di particolare valore artistico e storico da trasferire a società veicolo in vista della loro dismissione attraverso operazioni di cartolarizzazione.
[4] Si tratta, in particolare, della KFW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) in Germania, della OKB (Österreichischer Kameradschaftsbund) in Austria e della ICO (Instituto de Crédito Oficial) in Spagna.
La KFW è una banca pubblica, costituita dal 1948, e posseduta per l’80% dal Governo federale tedesco e per il 20% dai Länder. La sua attività si concentra nella garanzia di prestiti per investimenti di lungo periodo (relativi, in particolare, al settore dei trasporti), nei crediti all’esportazione e nella finanza di progetto.
La OKB, fondata nel 1946, ha forma di società per azioni ed è posseduta da alcune delle principali banche tedesche e dalla Banca d’Austria. L’attività da essa svolta riguarda i finanziamenti all’esportazione. E’ sottoposta alla vigilanza della Banca centrale.
La ICO, in Spagna, è stata istituita nel 1971, con personalità giuridica privata per quanto sia controllata dal Ministero dell’economia. Persegue compiti di favorire la nascita di nuove imprese e di sostenere lo sviluppo di settori ad alta tecnologia, della ricerca nel campo delle energie alternative e di attività quali il cinema e i media. Anche in questo caso la vigilanza viene esercitata dalla Banca centrale.
[5] Il pagamento degli interessi è dovuto dal Ministero dell’economia e delle finanze alla Cassa depositi e prestiti in misura identica agli interessi riconosciuti sul conto corrente “Cassa depositi e prestiti – Gestione principale” ed è posto a carico della U.P.B. 4.1.1.1 “interessi sul risparmio postale e altri conti di tesoreria” cap. 3100 dello stato di previsione del ministero dell’economia e delle finanze
[6] Nell’audizione tenuta presso le Commissioni riunite VIII e IX della Camera dei deputati in data 26 febbraio 2003, il Presidente di Infrastrutture S.p.a., Prof. Andrea Monorchio, ha precisato – in proposito – che: “costituirà condizione imprescindibile per l’intervento di Infrastrutture S.p.a. la capacità dei soggetti finanziati di rispettare puntualmente le scadenze stabilite per il pagamento degli interessi e per il rimborso integrale dei finanziamenti”.
[7] Cfr. sempre l’Audizione del Prof. Andrea Monorchio svoltasi alla Commissione 8° del Senato nella seduta del 17 dicembre 2003.
[8] Secondo i dati riportati nello studio di M.MALGARINI, Le privatizzazioni in Italia negli anni Novanta: una quantificazione, in S. DE NARDIS, (a cura di), Le privatizzazioni italiane, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 110., le procedure utilizzate per le vendita delle partecipazioni pubbliche tra il 1991 e il 1999:
- per il 64,3% delle dismissioni si è fatto ricorso ad una procedura mista, secondo la quale la maggior parte delle azioni è stata collocata sui mercati mediante l’offerta pubblica di vendita, mentre le partecipazioni di controllo sono stati ceduto tramite trattativa privata ad un nucleo selezionato di operativo, previo il pagamento di un premio di controllo sul prezzo delle azioni cedute;
- il 10,7% delle partecipazioni sono state cedute mediante il ricorso a offerte pubbliche di vendita o di acquisto;
- il 10,5% mediante la trattativa diretta;
- il 14,5% con altre modalità di vendita (essenzialmente in contanti).
[9] La Relazione della CONSOB per l’anno 2002, nel rilevare che la concentrazione proprietaria del complesso delle società quotate italiane sarebbe elevata, sottolinea che le privatizzazioni hanno prodotto un effetto positivo sul grado di concentrazione proprietaria, in misura significativa essenzialmente negli anni 1997 e 1998. Successivamente l’aumento della diffusione proprietaria è stato riassorbito, a causa, da un lato, della natura parziale di privatizzazioni e, dall’altro, del fatto che la maggior parte delle principali società privatizzate ad azionariato diffuso sono state oggetto di successive acquisizioni che hanno portato in alcuni casi al loro delisting o alla determinazione di un assetto di controllo fortemente concentrato.
[10] Le società nei cui statuti finora sono stati previsti poteri speciali sono ENI, Stet e Telecom, Finmeccanica, ENEL e controllate di quest'ultima (ENEL Produzione spa, ENEL Distribuzione spa e TERNA spa).
[11] Comunicazione della Commissione relativa ad alcuni aspetti giuridici attinenti agli investimenti intracomunitari (97/C 220/06), pubblicata nella Gazzetta ufficiale CE n. C 220 del 19 luglio 1997.
[12] Sentenza della Corte di Giustizia del 23 maggio 2000 nella causa C-58/99, Commissione contro Italia.
[13] L’articolo 3 del D.L. n. 332/1994 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 474/1994) faceva riferimento alla definizione dei patti sociali contenuta nell’articolo 10, comma 4, della L. n. 149/1992; tale disposizione è stata successivamente sostituita dall’articolo 122 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria, di cui al D.Lgs. n. 58/1998.
[14] L’articolo 2359-ter del codice civile demanda all’assemblea l’individuazione delle modalità con le quali devono essere alienate le azioni o quote della società controllante acquistate dalla società controllata in violazione dei limiti stabiliti dall’articolo 2359-bis. L’individuazione delle modalità di alienazione deve avvenire entro un anno dall’acquisto delle azioni.
[15] Secondo quanto previsto dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 122 del D.Lgs. n. 58/1998 (Testo unico in materia di intermediazione finanziaria), i patti parasociali, individuati dall’articolo medesimo, in qualunque forma stipulati, sono:
a) comunicati alla CONSOB entro cinque giorni dalla stipulazione;
b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro dieci giorni dalla stipulazione;
c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sede legale entro quindici giorni dalla stipulazione.
La CONSOB stabilisce con regolamento le modalità e i contenuti della comunicazione, dell'estratto e della pubblicazione. In caso di inosservanza degli obblighi previsti, i patti sono nulli.
[16] Le modalità di intervento della Cassa, da effettuarsi anche in collaborazione con altre istituzioni finanziarie, erano individuate nella concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, anche di finanza di progetto, nella prestazione di garanzie e nella assunzione di nuove partecipazioni (tali da non essere di maggioranza né comunque di controllo). Destinatari dei finanziamenti avrebbero potuto essere i soggetti pubblici e privati impegnati negli studi, nella progettazione, nella realizzazione e nella gestione delle opere.
[17] Già il D.Lgs. n. 284/1999 prevedeva che la Cassa depositi e prestiti, oltre disporre del risparmio postale, potesse emettere altri prodotti finanziari, avvalendosi, per il collocamento, di banche, di intermediari finanziari vigilati e di imprese di investimento (articolo 2, commi 1 e 2). Su tali prodotti finanziari si prevedeva la garanzia dello Stato.
La formulazione del D.L. n. 269/2003 sembra invece implicare che l’assistenza della garanzia dello Stato possa essere soltanto eventuale. Non vengono, peraltro, precisate le modalità con cui verrà deciso se porre o meno la garanzia.
[18] In base alla normativa previgente (art. 2, commi 2 e 4 del D.Lgs. n. 284/1999) le condizioni relative agli strumenti di raccolta e agli impieghi erano fissate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato su proposta del direttore generale della Cassa depositi e prestiti. Con la trasformazione in società per azioni sembra doversi ritenere che il Ministro detti linee di indirizzo (i criteri). La definizione delle condizioni in questione, in conformità ai criteri impartiti, per quanto non esplicitamente previsto, dovrebbe essere rimessa all’organo amministrativo e, eventualmente all’amministratore delegato;
[19] I soggetti indicati erano membri del consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti in base a quanto previsto dall'articolo 7 della legge 13 maggio 1983, n. 197.
[20] Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
[21] L’articolo 2362 del codice civile, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (“Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366”), che entrerà in vigore il 1° gennaio 2004, prevede che, in caso di unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio. Analoga dichiarazione deve essere depositata dagli amministratori per l'iscrizione nel registro delle imprese quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci. All’iscrizione può provvedere anche l’unico socio. Le dichiarazioni degli amministratori devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
[22] Decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, “Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356 , e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 dicembre 1998, n. 461”.
[23] Ai sensi del D.Lgs. n. 1/1999, alle successive sottoscrizioni di capitale sociale della società possono partecipare anche le regioni, gli enti locali e funzionali, le loro associazioni o enti associativi, per un importo complessivamente non superiore ad 1/4 della sua entità.
[24] Per quanto riguarda ENISUD, si ricorda che inizialmente, la direttiva del 26 gennaio 1999 prevedeva la eventuale acquisizione della società da parte di Sviluppo Italia, successivamente peraltro alla valutazione della convenienza economica. Non è stato dato, tuttavia, ulteriore seguito all’acquisizione di ENISUD.
[25] Al fine di accelerare l’operazione di fusione, Sviluppo Italia ha acquisito il controllo totalitario di tutte le Società destinate a fondersi.
In data 2 marzo 2000, le Assemblee straordinarie delle citate Società hanno deliberato l’approvazione della operazione di fusione per incorporazione nella capogruppo Sviluppo Italia Spa, sulla base delle rispettive situazioni patrimoniali al 30 settembre 1999.
La stipula dell’atto di fusione è avvenuta in data 30 maggio 2000, con effetti dal successivo 30 giugno.
La quota associativa in IPI è stata successivamente trasferita al Ministero dell’industria (art. 19, comma 2, legge n. 340/2000), mentre non è stato dato ulteriore seguito all’acquisizione di ENISUD.
[26] Si tratta delle risorse di cui alla Del. CIPE 4 agosto 2000, n. 90, nonché quelle previste al punto 2 della Del. CIPE 2 agosto 2002, n. 62, per gli interventi di cui all'articolo 3, comma 9, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135).
[27] Il Consiglio di amministrazione di Sviluppo Italia S.p.A., composto da cinque membri, è stato nominato il 22 gennaio 1999. Nel dicembre 1999 l’assemblea ordinaria della Società ha deliberato l’aumento del numero dei membri del Consiglio di amministrazione da cinque a sette, al fine di ampliarne le competenze in relazione ai nuovi compiti operativi che sarebbero stati attribuiti a Sviluppo Italia S.p.A., con le modifiche al D.Lgs. n. 1/1999, introdotte dal D.Lgs. n. 3/2000.
[28] In un primo momento, dopo l’operazione di fusione, Sviluppo Italia è stata articolata in due divisioni operative (Finanza per lo Sviluppo e Servizi per lo Sviluppo), che recepivano sostanzialmente la suddivisione tra le due tipologie di attività richiamate dal D.Lgs. n. 3/2000. Alle due divisioni, presiedute da due Amministratori Delegati, sono state sostanzialmente trasferite le missioni affidate inizialmente - nella struttura di holding - alle due società operative Progetto Italia e Investire Italia. Successivamente, nel febbraio 2001, è stata sancita l’articolazione in cinque aree operative, tra le quali sono state ripartite le missioni in precedenza attribuite alle due citate divisioni.
[29] Attualmente si applicano regole speciali per gli aiuti all'agricoltura, alla siderurgia, all'industria carboniera, alla costruzione navale, alle fibre sintetiche, all'industria automobilistica, alla pesca e ai trasporti, all’energia elettrica, al servizio pubblico di radiodiffusione, nonché per i prodotti di cui all'allegato I del Trattato che istituisce la comunità economica europea.
[30] Si tratta dei prodotti di cui all’articolo 32 del Trattato che definisce prodotti agricoli “i prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, come pure i prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti”.
a Come riportato nel Libro bianco sulle operazioni di privatizzazione 1996-2001, a seguito delle conversioni avvenute nel corso degli anni e per effetto dei diversi tassi di cambio vigenti al momento delle singole conversioni di azioni INA, al cap. 4055 dell’entrata del bilancio dello Stato, destinato al finanziamento Fondo ammortamento titoli di Stato, sono complessivamente affluiti 4.200 miliardi di lire (anziché i 3.260 miliardi previsti inizialmente).
b L’operazione complessiva di dismissione dell’Istituto San paolo di Torino effettuata nel maggio 1997 ha riguardato la vendita di 250 milioni di azioni (rispetto ad un capitale sociale costituito da 815.992.852 azioni), di cui 27 milioni circa detenute direttamente dal Tesoro e 23 milioni circa detenute dalle Ferrovie dello Stato (quest’ultima partecipata al 100% dal Tesoro). Ulteriori quote di azioni privatizzate erano detenute dal Gruppo Bancario San Paolo di Torino.
c L’importo della vendita del pacchetto azionario del Banco di Napoli è stato in parte destinato alla copertura delle eventuali perdite del Banco di Napoli per gli interventi a favore della società cessionaria dei crediti anomali del Banco.
d Le partecipazioni detenute dal Tesoro in SEAT sono state trasferite al Ministero del tesoro dall’IRI nel dicembre 1996.
e Le partecipazione detenute dal Tesoro in TELECOM sono state trasferite al Ministero del tesoro dall’IRI nel dicembre 1996.
f I proventi della dismissione delle partecipazioni del Mediocredito dell’Umbria non risultano affluiti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
[31] La modifica è stata introdotta per finanziare il trasferimento al Tesoro della partecipazione nella STET detenuta dall’IRI; a questa operazione ha fatto seguito la privatizzazione della TELECOM.
[32] Il comma 181 dell'articolo 2 della legge n. 662/1996 ha, infatti, modificato l'articolo 3, comma 1, lettera b) della legge n. 432/1993, nel senso di prevedere tra i conferimenti al Fondo i soli proventi relativi alla vendita di partecipazioni, siano esse regolate in titoli di Stato o in altro modo, escludendo quindi gli altri proventi costituenti il corrispettivo delle alienazioni di beni del patrimonio immobiliare dello Stato (come previsto invece dal testo originario della legge n. 432/1993).
[33] Il comma 4 dell'articolo 1 del D.L. n. 6/1996 ha soppresso le lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 432/1993, che includevano tra i conferimenti al Fondo di ammortamento i dividendi delle società per azioni derivate dalla trasformazione degli Enti pubblici di cui al capo III del D.L. n. 333/1992, convertito con modificazioni dalla legge n. 359/1992 (lettera c); e gli utili che gli Enti pubblici sono tenuti a versare al Tesoro in base a disposizioni normative o statutarie.
[34] Si tratta dei capitoli 3330 (UPB 6.2.2) e 4055 (UPB 6.3.2) dello stato di previsione dell'entrata.
[35] Secondo quanto disposto dall’art. 46, comma 2 del D.Lgs. n. 396/2003, tali operazioni sono esenti dalla tassa sui contratti di borsa di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278, e successive modificazioni. La disposizione appare finalizzata a garantire un'esenzione assoluta dalla tassa per i contratti di trasferimento di titoli o valori a tutti i contratti di acquisto di titoli di Stato, indipendentemente dal fatto che la transazione si svolga o meno in mercati regolamentati.
[36] Un’analoga assegnazione straordinaria a valere sulla quota detenuta in IRI pari a 2.107 miliardi, entrata al bilancio dello Stato nel dicembre 1999, sarà trasferita al Fondo nell’anno 2000.
[37] In particolare.
- rimborso di CCT in scadenza al 1° novembre 1999 per un valore di 1.832 miliardi di lire;
- rimborso di CTE in scadenza il 22 novembre 1999 per un valore di 2.894 miliardi di lire;
- rimborso di BTP quinquennali in scadenza il 1° dicembre 1999 per un importo di 12.663 miliardi;
- rimborso di CTZ biennali in scadenza al 15 dicembre 1999 per un importo 11.358 miliardi.
[38] Da un punto di vista contabile, sulla base di quanto deciso da Eurostat (l’ufficio statistico comunitario), la cessione delle licenze UMTS è stata considerata come vendita di attività non-finanziarie.
[39] Il corrispettivo ricavato dallo Stato dalla vendita delle licenze UMTS è stato pari complessivamente a 26.750 miliardi, di cui 23.550 equivalenti alla somma delle cinque offerte formulate dalle società aggiudicatarie e 3.200 miliardi relativi alle due ulteriori bande di frequenza riservate ai nuovi operatori.
[40] In attuazione di una specifica disposizione del decreto legislativo n. 153/1999, il Ministro del tesoro adottò l’atto di indirizzo 2 agosto 1999, che forniva indicazioni alle fondazioni per l’adeguamento degli statuti alle previsioni della legge Ciampi. L’atto di indirizzo fu impugnato e il TAR del Lazio stabilì che i suoi contenuti non dovevano ritenersi vincolanti per le fondazioni.
[41] Le Fondazioni avevano presentato ricorso contro il regolamento di attuazione dell’articolo 11 della legge n. 448/01 (DM n. 217/02) al TAR del Lazio, il quale alla fine del 2002 aveva trasmesso la questione alla Corte costituzionale.
[42] La specialità del regime giuridico delle fondazioni è stata ricondotta dal citato articolo 5 ai seguenti profili: a) nella loro particolare operatività, inclusa la possibilità di partecipare al capitale della Banca d'Italia; b) nella struttura organizzativa, basata sulla previsione di organi obbligatori e su uno specifico regime di requisiti di professionalità, di onorabilità e di incompatibilità; c) nei criteri obbligatori di gestione del patrimonio e di dismissione dei cespiti; d) nella facoltà di emettere titoli di debito convertibili o con opzioni di acquisto; e) nei vincoli di economicità della gestione e di separazione patrimoniale; f} nei vincoli di destinazione del reddito, delle riserve e degli accantonamenti; g) nelle speciali norme in materia di contabilità e di vigilanza; h) nel criterio secondo cui le norme del codice civile si applicano alle fondazioni bancarie solo in via residuale e in quanto compatibili.
[43] L’articolo 39, comma 14-nonies del DL n. 269/03, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/03, ha elevato da tre a cinque il numero massimo dei settori scelti ogni tre anni da ciascuna fondazione.
[44] Dai dati contenuti nel settimo rapporto dell’ACRI sulle fondazioni bancarie risulta che, relativamente all’anno 2000, il 30% dei soggetti designati è espressione dei enti territoriali (comuni, province, regioni e comunità montane) il 9,4% delle Camere di commercio, il 10,7% di organismi sanitari ed enti turistici, espressioni locali delle imprese e delle professione. “La quota restante, il 49,8%, ha invece dato spazio a personalità della società civile provenienti dal mondo della cultura, della scienza, del volontariato, dell’ambientalismo, dell’università, religioso”.
[45] Il testo dell’articolo 4, comma 3, del D.Lgs. 153/1999, come novellato dall’articolo 11, comma 7, della legge n. 448/2001, prima delle ulteriori modifiche, escludeva dall’incompatibilità le società di limitato rilievo economico o patrimoniale che non operassero nei confronti del pubblico.
[46] Al riguardo, il testo riformulato dall’articolo 80, comma 20, lettera a) della legge n. 289/2002, rinviava, per la definizione del controllo, all’articolo 6 del D.Lgs n. 153/1999 e ribadiva l’esclusione dall’incompatibilità per le società di limitato rilievo economico o patrimoniale che non operassero nei confronti del pubblico.
[47] Ai sensi dell’articolo 23, comma 2, del D.Lgs. n. 38571993, come da ultimo modificato dal D.Lgs. n. 37/2004, “ Il controllo si considera esistente nella forma dell'influenza dominante, salvo prova contraria, allorché ricorra una delle seguenti situazioni:
1) esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli articoli 2364 e 2364-bis del codice civile;
2) possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza;
3) sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti:
a) la trasmissione degli utili o delle perdite;
b) il coordinamento della gestione dell'impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune;
c) l'attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute;
d) l'attribuzione, a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese;
4) assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi.
[48] Il comma 3-bis era stato introdotto dall’articolo 80, comma 20 della legge n. 289/02 che aveva esteso da quattro a sette anni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 153/99, il termine entro il quale le piccole fondazioni dovevano dismettere le partecipazioni di controllo.