XIV Legislatura - Dossier di documentazione | |||
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||
Titolo: | 10^ Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici - Buenos Aires 14-18 dicembre 2004 | ||
Serie: | Missioni di studio Numero: 34 | ||
Data: | 10/12/04 | ||
Abstract: | Schede su: la convenzione sui cambiamenti climatici e il protocollo di Kyoto; l’attuazione del Protocollo nell’Unione europea; ulteriori iniziative dell’Unione europea sul cambiamento climatico; l’attuazione del Protocollo in Italia; le prospettive di azione dell’UE. | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici |
Servizio studi |
missioni di studio |
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10^ Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici Buenos Aires 14-18 dicembre 2004 |
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n. 34 |
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10 dicembre 2004 |
Camera dei deputati
Dipartimento Ambiente
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle
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File: Am0555
INDICE
§
1. La convenzione sui
cambiamenti climatici e il protocollo di Kyoto
-
1.2. L’attuazione del
Protocollo nell’Unione europea
1.2.1. Ulteriori iniziative
dell’Unione europea sul cambiamento climatico
-
1.3. L’attuazione del
Protocollo in Italia
§
2. Verso la COP10 - Le
prospettive di azione dell’UE
La
convenzione quadro delle Nazioni Unite
sui cambiamenti climatici (UNFCC) e il protocollo
di Kyoto ad essa collegato costituiscono, ad oggi, il quadro internazionale
più incisivo per contrastare le emissioni di gas serra, ritenute responsabili –
insieme ad altri fattori – del cambiamento climatico.
L’UNFCCC,
firmata nel maggio 1992 ed in vigore dal marzo 1994, impone ai 189 paesi i firmatari di:
§
definire programmi nazionali per la riduzione
delle emissioni di gas serra;
§
presentare relazioni periodiche in merito.
I
189 Paesi dovranno raggiungere gli obiettivi previsti dalla convenzione a
seconda del livello di sviluppo economico raggiunto. La convenzione stessa
classifica infatti tali paesi, cui corrispondono diverse responsabilità, a
seconda dello sviluppo economico, includendoli in Annessi diversi.
L’Annesso I raccoglie, infatti, 41 paesi industrializzati, inclusa
l’UE, ed i paesi con economie in
transizione (EIT Parties), inclusa la federazione russa, i paesi baltici, e
numerosi stati dell’Europa centrale ed orientale. Tali paesi dovevano
stabilizzare, entro il 2000, le rispettive emissioni di gas serra ai livelli
del 1990, in quanto maggiormente responsabili nella produzione di gran parte
delle emissioni globali di gas serra. La Convenzione garantisce invece ai paesi
EIT “a certain degree of flexibility”
negli obiettivi da raggiungere strettamente connesso con lo sviluppo politico
economico dei paesi stessi.
L’Annesso II include, invece, 24 paesi
altamente industrializzati che fanno parte anche dell’Annesso I, ma esclude i
paesi EIT. Essi, oltre a dover ridurre le proprie emissioni, sono tenuti anche
a sostenere finanziariamente gli sforzi dei paesi in via di sviluppo in tal
senso.
Tutti i paesi si riuniscono ogni anno nella Conferenza delle parti (COP), l’organo supremo che esamina i
progressi compiuti dalla Convenzione e decide in merito alle ulteriori misure
da adottare.
Di seguito si ricordano le conferenze delle parti
contraenti finora svolte:
§
Berlino, 28
marzo-7 aprile 1995, prima conferenza;
§
Ginevra, 8-9
luglio 1996, seconda conferenza;
§
Kyoto, 1-10
dicembre 1997, terza conferenza;
§
Buenos Aires,
2-13 novembre 1998, quarta conferenza;
§
Bonn, 25
ottobre-5 novembre 1999, quinta conferenza;
§
L’Aja, 13-24
novembre 2000, sesta conferenza;
§
Marrakech, 29
ottobre-9 novembre 2001, settima conferenza;
§
Nuova Delhi, 23
ottobre-1° novembre 2002, ottava conferenza;
§
Milano, 1-12
dicembre 2003, nona conferenza.
In
occasione della terza conferenza, gli Stati parte della Convenzione, non
ritenendo gli impegni iniziali fissati dalla stessa sufficienti ad arrestare
l'aumento delle emissioni a livello mondiale, l'11 dicembre 1997 hanno
adottato, a Kyoto, un protocollo alla convenzione che definisce limiti
giuridicamente vincolanti per le emissioni di gas serra nei paesi
industrializzati e prevede meccanismi innovativi di adempimento, orientati al
mercato, tesi a contenere i costi di abbattimento delle emissioni.
Il
Protocollo firmato a Kyoto nel 1997 impegna i Paesi
industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre le emissioni
di gas in grado di alterare l’effetto serra del pianeta entro il 2012.
Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale
sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza
sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti
climatici (UNFCCC). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti delle azioni in materia di cambiamento climatico:
la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle
emissioni di gas serra.
I paesi industrializzati (elencati nell’Allegato I del Protocollo) si
impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Il protocollo di Kyoto non
prevede vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre
160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Allegato I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e
quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata
operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata”
secondo il quale, nel controllo delle emissioni i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità,
in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.
Obiettivo
del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas,
ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta:
anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto
(N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi
(HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:
- il
miglioramento dell’efficienza energetica
- la correzione
delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi)
- la promozione
dell’agricoltura sostenibile
- la riduzione
delle emissioni nel settore dei trasporti
- l’informazione
a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”)
La misura complessiva di riduzione
deve essere del 5,2% rispetto ai
livelli di emissione del 1990.
L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Allegato I in maniera non uniforme, in
considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di
efficienza energetica.
Per
garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi
gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo
sono previsti i seguenti meccanismi flessibili:
§
L’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[1], in base al quale i paesi soggetti ai vincolo
che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono
“vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che – al contrario –
non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;
§
La joint implementation (attuazione congiunta degli obblighi
individuali)[2], secondo cui gruppi di paesi soggetti a
vincolo, fra quelli indicati dall’Allegato I, possono collaborare per
raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione
degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga
rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o
acquistare da, ogni altro Paese “emission
reduction units”(ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di
riduzione delle emissioni;
§
I clean development mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito) [3], il cui fine è quello di fornire assistenza
alle Parti non incluse nell’Allegato I negli sforzi per la riduzione delle
emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Allegato I che forniscono tale
assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via
di sviluppo grazie ai progetti, “certified
emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del
raggiungimento del target.
In base all’accordo le riduzioni dovranno essere conseguite nelle seguenti misure percentuali:
Protocollo
di Kyoto Impegni assunti[4] |
Obiettivi di riduzione (dal 1990[5] ed entro il 2008-2012) |
15 Stati UE, Bulgaria, repubblica Ceca, Estonia,
Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Monaco, Romania, Slovacchia, Slovenia e
Svizzera |
- 8% |
USA[6] |
- 7% |
Canada, Ungheria, Giappone e Polonia |
- 6% |
Croazia |
- 5 % |
Nuova Zelanda, federazione russa, Ucraina |
0 |
Norvegia |
+ 1% |
Australia |
+ 8% |
Islanda |
+ 10 % |
Totale paesi Allegato I (industrializzati) |
5,2%[7] |
Il
Protocollo riconosce all’UE (che ha
ratificato il Protocollo stesso il 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli
obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri
(raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:
Austria |
-13% |
-6,5% |
|
Belgio |
-7,5% |
Lussemburgo |
-28% |
Danimarca |
-21% |
Paesi
Bassi |
-6% |
Finlandia |
0% |
Portogallo |
+27% |
Francia |
0% |
Regno
Unito |
-12,5% |
Germania |
-21% |
Spagna |
+15% |
Grecia |
+25% |
Svezia |
+4% |
Irlanda |
+13% |
|
|
I
dieci nuovi paesi membri che sono
entrati a far parte dell'UE nel maggio
2004 hanno ratificato il protocollo e hanno i loro propri obiettivi: riduzione delle emissioni pari all’8% per tutti i paesi
tranne che per l’Ungheria, e la Polonia, che hanno come obiettivo di riduzione
il 6%; Malta e Cipro non hanno obiettivi definiti.
Ai
sensi dell’art. 24 del Protocollo, le sue disposizioni entreranno in vigore 90
giorni dopo la ratifica da parte di almeno
55 paesi firmatari della Convenzione, fra i quali dovranno però essere
compresi un numero di paesi dell’Annex I
a cui sia riferibile almeno il 55% delle
emissioni calcolate al 1990.
Nel
36° paragrafo del Plan of implementation adottato a conclusione del Summit sullo
sviluppo sostenibile tenutosi a Johannesburg nell’agosto 2002 (cd. WSSD) i paesi partecipanti esortano con forza gli Stati che non lo
hanno già fatto a ratificare in modo tempestivo il Protocollo di Kyoto.
L'uscita dal Protocollo degli USA[8], che rappresentano da soli il 36,1% delle emissioni dei Paesi
industrializzati, ha infatti aumentato
le difficoltà di entrata in vigore del Protocollo, in quanto essendo
necessaria la ratifica dei Paesi che rappresentano almeno il 55% delle
emissioni di CO2, essa rende necessaria la ratifica di tutti gli
altri Paesi industrializzati[9].
Il Protocollo di Kyoto diventerà dunque
vincolante a livello internazionale il 16
febbraio 2005, a seguito della ratifica
della Russia (le cui emissioni rappresentano il 17,4% del totale dei Paesi
industrializzati).
In proposito si ricorda che in data 4 novembre 2004 il
Presidente Vladimir Putin ha firmato la legge federale di ratifica del
Protocollo approvata dal Parlamento russo il 22 ottobre 2004 e dal Consiglio
federale il 27 ottobre 2004. Il Protocollo di Kyoto entrerà quindi in vigore il
16 febbraio 2005, vale a dire decorsi 90 giorni dal deposito della ratifica
russa presso il Segretariato generale delle Nazioni Unite avvenuto il 18
novembre 2004.
L’importanza dell’adesione russa al Protocollo di
Kyoto va sottolineata anche con riferimento al sistema di "emission trading" per l’enorme ammontare
dei permessi di emissione russi, che si calcola possano valere fino a 10
miliardi di dollari. In seguito alla crisi dell’industria pesante, la Russia ha
visto le proprie emissioni di gas serra precipitare di un quarto sotto i
livelli del 1990 (che sono il riferimento per gli impegni di riduzione di
Kyoto), venendo così in possesso di un elevato ammontare di "crediti"
da immettere sul mercato dell'anidride carbonica.
Gli obiettivi di riduzione definiti dal
Protocollo di Kyoto, anche se rispettati, non sono sufficienti, comunque, a determinare uno scenario di emissione "sostenibile":
condizione necessaria perché ciò avvenga è, infatti, che si possa conseguire una stabilizzazione delle concentrazioni di
gas-serra.
Secondo
il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC[10]), questo obiettivo comporta riduzioni a lungo
termine delle emissioni annuali globali al di sotto del 50% dei livelli
attuali, in termini di emissioni pro-capite o per unità di PIL. Nei Paesi in
via di sviluppo, per i quali il Protocollo di Kyoto non prevede obiettivi di
riduzione, la crescita delle emissioni di anidride carbonica e degli altri
gas-serra sta attualmente avvenendo con ritmo che è circa triplo (25% nel
periodo 1990-1995) di quello dei Paesi sviluppati (8% nel periodo 1990-95). Ciò
vuol dire che attorno al 2010 non solo questo impegno dei Paesi
industrializzati verrà vanificato, ma anche che le emissioni mondiali di
gas-serra saranno cresciute complessivamente di circa il 30% rispetto ai
livelli del 1990. Dunque, il Protocollo
di Kyoto rischia di essere
vanificato se non si trovano soluzioni che garantiscano la crescita dei Paesi in via di sviluppo assicurando nel contempo che gli obiettivi stabiliti nel Protocollo vengano effettivamente raggiunti a livello mondiale[11].
Nella
stessa direzione si muove un recente
rapporto della Commissione europea[12] che delinea uno scenario di riferimento del
futuro sistema energetico[13] al 2030. Entro tale data si prevede che la
domanda mondiale di energia aumenterà di circa l'1,8% rispetto ai livelli del
2000. In particolare, mentre nei paesi industrializzati si prevede un
rallentamento della crescita della domanda di energia pari, nell'UE, allo 0,4%
l'anno, viceversa, la domanda di energia dei paesi in via di sviluppo aumenterà
rapidamente, tanto che si prevede che nel 2030 oltre la metà della domanda di
energia verrà dai paesi in via di sviluppo, rispetto al 40% attuale.
Lo
stesso rapporto fotografa un sistema energetico mondiale che nel 2030
continuerà ad essere dominato dai combustibili fossili, per cui si prevede che
le emissioni mondiali di CO2 aumenteranno più rapidamente del
consumo energetico (2,1% l'anno in media) fino a raddoppiare, nel 2030,
rispetto ai livelli del 1990. Nell'UE, entro il 2030, le emissioni di CO2
dovrebbero aumentare del 18% rispetto ai livelli del 1990; negli Stati Uniti
l'aumento sarà pari a circa il 50%. Le emissioni dei paesi in via di sviluppo
rappresentavano nel 1990 il 30% del totale, ma questi paesi saranno
responsabili di oltre la metà delle emissioni di CO2 nel 2030.
Al
momento della firma del protocollo, la Comunità e i suoi Stati membri
hanno dichiarato che avrebbero adempiuto
congiuntamente agli obblighi previsti dal protocollo.
Con la decisione 2002/358/CE del 25 aprile
2002, la Comunità ha proceduto
all'approvazione del protocollo stesso.
L'allegato
III alla decisione contiene altresì la dichiarazione che la Comunità europea ha
effettuato a norma dell'articolo 24, paragrafo 3 del protocollo di Kyoto[14],
nella quale afferma la sua competenza a stipulare accordi internazionali - e ad
attuare gli obblighi che ne derivano - che contribuiscano a perseguire i
seguenti obiettivi:
Lo
strumento principale della strategia europea per l'attuazione del protocollo di
Kyoto è costituito dal Programma europeo per il cambiamento climatico
(ECCP), presentato dalla Commissione l'8 marzo 2000 (COM(2000)88).
La Commissione sottolinea che, per
rispettare gli impegni assunti dall'UE a Kyoto, è necessario rafforzare gli
interventi sia a livello degli Stati membri sia della Comunità. Intende
pertanto operare su due fronti: da un lato rendere più incisive le politiche e
le misure della Comunità; dall'altro mettere in campo nell'UE un sistema di
scambio dei diritti di emissione. Il documento presenta un elenco non
esaustivo di iniziative prioritarie in materia di cambiamento climatico,
nei settori dell'energia, dei trasporti e dell'industria. A tali misure
verranno ad aggiungersi i "meccanismi di flessibilità". L'ambito
iniziale di operatività del programma si limita alle misure di abbattimento
delle emissioni, in modo da realizzare l'obiettivo della riduzione dell'8%
fissato a Kyoto. La Commissione preannuncia che il programma amplierà il suo
raggio di azione per affrontare questioni quali la cooperazione internazionale
attraverso l'aumento delle capacità e i trasferimenti di tecnologie, la
ricerca/osservazione, le attività di dimostrazione relative a tecnologie pulite
ed efficienti, nonché l'istruzione e la formazione. La Commissione intende
inoltre considerare il programma in connessione con le altre iniziative già
avviate in altri settori (come la qualità dell'aria, l'energia e i trasporti)
che hanno un impatto sul cambiamento climatico.
La
Commissione sottolinea che agli Stati membri incombe la responsabilità di
definire le proprie politiche e di individuare gli interventi adeguati per
ridurre le emissioni. L'efficacia di tali misure sarà oggetto di controllo
permanente.
Con
l’emanazione della direttiva 2003/87/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un
sistema per lo scambio di quote di
emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità al fine di promuovere la
riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed
efficienza economica, si è data una prima attuazione al Programma europeo sul
cambiamento climatico.
La
direttiva prevede l’istituzione di un
mercato delle emissioni su scala europea che verrà inaugurato nel 2005 e
che dovrebbe affiancarsi all’emission
trading previsto su scala globale dal Protocollo (il cui varo è invece
previsto per il 2008).
Si ricorda che
l’emission trading, nelle sue
finalità, è uno strumento per raggiungere gli obiettivi del Protocollo a costi
più vantaggiosi attraverso il ricorso a meccanismi di mercato. Il presupposto
su cui si basa la previsione di riduzione dei costi globali è fondato sulle
forti variazioni nei costi di riduzione delle emissioni fra i vari paesi e fra
i vari processi industriali. Attraverso la commercializzazione dei permessi di
emissione, lo stesso mercato provvederà ad allocarli nel modo più efficiente,
riducendo i costi globali rispetto a meccanismi più rigidi quali la tassazione
o la semplice definizione di limiti.
La piena entrata
in vigore a livello internazionale dell'emission
trading è prevista nel 2008 (oggi sono ancora da definire le regole[15]), ma molti
governi, organizzazioni governative e società stanno conducendo prove e
sperimentazioni per verificarne le modalità di funzionamento.
La
direttiva 2003/87/CE si applica alle emissioni provenienti dalle attività
indicate nell'allegato I e ai gas a effetto serra elencati nell'allegato II. In
particolare alle emissioni di anidride carbonica provenienti da attività di
combustione energetica, produzione e trasformazione dei metalli ferrosi,
lavorazione di prodotti minerari, produzione di pasta per carta, carta e
cartoni.
Gli
obblighi previsti per gli impianti
da essa regolati sono:
1)
possedere un permesso all’emissione in atmosfera
di gas serra[16];
2)
rendere alla fine dell’anno un numero di quote
(o diritti) d’emissione pare alle emissioni di gas serra rilasciate durante
l’anno[17].
Le
quote d’emissioni vengono rilasciate dalle autorità competenti all’operatore di
ciascun impianto regolato dalla direttiva sulla base di un piano di allocazione nazionale; ogni quota dà diritto al rilascio
di una tonnellata di biossido di carbonio equivalente.
Il piano di allocazione nazionale prevede l’assegnazione di quote a
livello d’impianto per periodi di tempo predeterminati. Esso, inoltre, deve
essere coerente con gli obiettivi di riduzione nazionale, con le previsioni di
crescita delle emissioni, con il potenziale di abbattimento e con i principi di
tutela della concorrenza; il piano di allocazione
Una
volta rilasciate, le quote possono essere vendute o acquistate. Tali
transazioni devono poi essere registrate nell’ambito di un registro nazionale.
Nell'aprile
del 2003 la Commissione ha presentato la seconda relazione sull'attuazione
del programma europeo per il cambiamento climatico "Can we meet our
Kyoto targets?", nella quale presenta una panoramica dei risultati
delle misure individuate nella prima fase del programma e sottolinea la necessità
di adottare ulteriori misure per raggiungere gli obiettivi di Kyoto.
La
relazione evidenzia che il programma in oggetto non va considerato come
un'iniziativa isolata, ma va posto in connessione con la strategia comunitaria
per uno sviluppo sostenibile (approvata dal Consiglio europeo di Goteborg nel
2001), con il sesto programma d'azione comunitario in materia di ambiente (adottato con decisione 1600/2002/CE) e con
la strategia europea per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico (vedi paragrafo 1.2.1.)
Il documento ricorda che la prima fase del
programma europeo per il cambiamento climatico è stata focalizzata nei settori
energia, trasporti e industria e che a tal fine sono stati creati, a partire
dall'estate 2000, dei gruppi di lavoro settoriali (fra i quali: meccanismi
flessibili; approvvigionamento energetico; consumo di energia; trasporti;
industria e ricerca). La seconda fase del programma ha come obiettivo quello di
sostenere l'attuazione delle priorità identificate nella prima fase. Nel corso
del 2002 nuovi gruppi di lavoro sono stati istituiti (in particolare:
agricoltura e suolo agricolo in relazione all'assorbimento del carbonio;
foreste e assorbimento del carbonio).
La
relazione evidenzia che, benché il sistema di scambio delle quote sia la misura
potenzialmente più valida, sono state adottate, a livello comunitario, diverse
altre iniziative:
§
la
direttiva sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili (direttiva 2001/77/CE);
§
la
direttiva sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti
rinnovabili nei trasporti (direttiva 2003/30);
§
la
direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (direttiva 2002/91).
Il 7
gennaio 2004 la Commissione ha presentato una comunicazione sugli orientamenti
per assistere gli Stati membri nell’applicazione ai rispettivi piani nazionali
dei criteri indicati dalla direttiva 2003/87/CE relativi all’assegnazione delle quote di gas a effetto
serra (COM(2003)830).
La comunicazione mira a meglio precisare i criteri fissati dalla
direttiva: gli impegni di Kyoto; le valutazioni dei progressi rispetto alle
emissioni; il potenziale di riduzione delle emissioni; la coerenza con la
legislazione comunitaria; la non discriminazione tra imprese o settori di
attività; le informazioni che permettono ai nuovi paesi membri di partecipare
al sistema; le misure intraprese in fasi precoci; la considerazione delle
tecnologie pulite; la considerazione delle osservazioni del pubblico; l’elenco
degli impianti coperti; la concorrenza da parte di paesi terzi o entità esterne
all’Unione.
Con
la Decisione della Commissione n. 156
del 29 gennaio 2004 sono state fissate le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di
gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE.
Cambiamento climatico e cooperazione allo sviluppo
Con la comunicazione dell'11 marzo 2003 su "I cambiamenti
climatici nel contesto della cooperazione allo sviluppo" (COM(2003)85)
la Commissione ha inteso proporre una strategia per assistere i paesi partner
dell'UE nel processo di risposta alle sfide poste dal cambiamento climatico,
sostenendo in particolare l'attuazione in tali paesi della convenzione quadro
delle NU sui cambiamenti climatici e del protocollo di Kyoto.
Sorveglianza delle emissioni CO2
La
Commissione ha presentato, il 28 novembre 2003, la quarta relazione[18] sul meccanismo
di sorveglianza delle emissioni di CO2 e degli altri gas a effetto serra
nella Comunità (COM(2003)735). Presentata conformemente alla decisione 93/389/CE, modificata dalla decisione 99/296/CE relativa a un
meccanismo di sorveglianza delle emissioni di CO2 e degli altri gas a effetto
serra nella Comunità, la relazione è intesa a valutare i progressi compiuti
dagli Stati membri e dalla Comunità europea per rispettare gli impegni assunti
in materia di emissioni ei gas serra nell'ambito della convenzione quadro sui
cambiamenti climatici e del protocollo di Kyoto.
Gas fluorurati
L’11 agosto 2003 la Commissione ha presentato la proposta
di regolamento su taluni gas fluorurati ad effetto
serra (COM(2003)492), intesa ad istituire un quadro normativo per la riduzione
delle emissioni di idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed
esafluoruro di zolfo, potenti gas ad effetto serra contemplati dal protocollo
di Kyoto.
La proposta riguarda il contenimento, l’uso, il recupero e la
distruzione dei gas fluorurati ad effetto serra elencati nell’allegato A del
protocollo di Kyoto. Inoltre disciplina l’etichettatura e lo smaltimento di
prodotti e apparecchiature contenenti tali gas, la comunicazione di
informazioni su questi gas, l’uso di esafluoruro di zolfo, l’immissione in
commercio dei prodotti e apparecchiature contenenti, o che funzionano, mediante
tali gas, nonché la formazione e certificazione del personale addetto alle
attività contemplate dalla presente proposta.
La
proposta di regolamento è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima
lettura il 31 marzo 2004. Il Consiglio ha raggiunto, il 14 ottobre 2004,
l’accordo politico sulla posizione comune, secondo la procedura di codecisione.
Pacchetto energia
La Commissione ha presentato un pacchetto di
proposte in materia di energia (COM(2002)488) che comprende:
§
una comunicazione dal titolo “Il mercato interno dell’energia:
misure coordinate in materia di sicurezza dell’approvvigionamento energetico”;
§
una proposta di direttiva, procedura di
codecisione, relativa al
riavvicinamento delle misure in materia di sicurezza degli approvvigionamenti
di prodotti petroliferi (ritirata dalla
Commissione il 20 ottobre 2004 dopo il parere sfavorevole espresso in prima
lettura dal Parlamento europeo il 19 novembre 2003);
§
una proposta di direttiva, procedura di
codecisione, concernente misure volte a garantire la sicurezza
dell’approvvigionamento di gas naturale (Direttiva
2004/67/CE);
§
una proposta di direttiva, procedura di
consultazione, che abroga le direttive 68/414/CEE e 98/93/CE che stabiliscono
l'obbligo per gli Stati membri della CEE di mantenere un livello minimo di
scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi, come pure la direttiva
73/238/CEE concernente le misure destinate ad attenuare le conseguenze delle
difficoltà di approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi (ritirata dalla Commissione il 20 ottobre
2004 dopo il parere sfavorevole espresso in prima lettura dal Parlamento
europeo il 19 novembre 2003);
§
una proposta di decisione che abroga la
decisione 68/416/CEE concernente la conclusione e l'applicazione degli accordi
intergovernativi particolari relativi all'obbligo per gli Stati membri di
mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti
petroliferi, e la decisione 77/706/CEE che fissa un obiettivo comunitario di
riduzione del consumo di energia primaria in caso di difficoltà di
approvvigionamento di petrolio greggio e prodotti petroliferi.
La Commissione, il 10 dicembre 2003, ha presentato
un nuovo pacchetto di misure in
materia:
§
comunicazione sulle infrastrutture
energetiche e la sicurezza degli approvvigionamenti (COM(2003) 743);
§
proposta di direttiva relativa all'efficienza
energetica nelle utilizzazioni finali e ai servizi energetici (COM(2003)739);
§
proposta di direttiva relativa alle misure volte
a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di elettricità e gli
investimenti nelle infrastrutture (COM(2003) 740);
§
proposta di regolamento relativo alle condizioni
di accesso alle reti di trasporto di gas (COM(2003)741);
§
proposta di decisione relativa agli orientamenti
delle reti transeuropee dell'energia e che abroga le decisioni 96/391/CEE e
1229/2003/CE.
Le proposte, presentate secondo la procedura di codecisione, sono state
trasmesse al Parlamento europeo che ha esaminato in prima lettura, il 20 aprile
2004, la proposta di regolamento relativo alle condizioni di accesso alle
reti di trasporto di gas, sulla quale il Consiglio ha raggiunto un accordo
politico nella sessione del 10 giugno 2004, in vista della posizione comune che
sarà adottata in una delle prossime sessioni. In quell’occasione il Consiglio
ha inoltre adottato un orientamento generale, in vista della posizione comune,
sulla proposta di decisione relativa agli orientamenti per la rete transeuropea
dell’energia; il Consiglio, in particolare, ha deciso di eliminare dal
testo della proposta gli articoli relativi all’attribuzione della dichiarazione
di interesse europeo ad alcuni progetti particolarmente rilevanti per
l’integrazione delle reti e alla nomina di coordinatori europei per progetti
prioritari specifici. Le proposte saranno esaminate dal Parlamento europeo
presumibilmente l’11 aprile 2005.
Per
quanto riguarda l’Italia, si ricorda che la ratifica del protocollo di Kyoto da parte dell’Italia è avvenuta
con la legge 1° giugno 2002, n. 120,
la quale, tuttavia, non si è limitata alla mera ratifica del Protocollo, ma ha
recato una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi
di riduzione delle emissioni di gas serra.
In
particolare, dando attuazione al disposto dell’art. 1, comma 1, della citata
legge n. 120 del 2002[19], il Ministero dell'Ambiente e della tutela del
territorio ha provveduto ad elaborare il Piano
nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto
serra: 2003-2010 (che permetterà all'Italia di rispettare gli obiettivi di
riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012, come
prevede il Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera
CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e
misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.
Tali documenti, approvati
con la delibera CIPE 19 dicembre 2002,
n. 123[20], contengono, secondo quanto previsto dalla legge di ratifica,
l'individuazione delle politiche e delle misure finalizzate al contenimento ed
alla riduzione delle emissioni di gas serra[21].
Nel Piano nazionale viene
sottolineato che poiché le emissioni tendenziali al 2010 corrispondono a 580 Mt
di CO2 equivalenti, l’“emission gap” da colmare a quella data sarà pari a 93 Mt di CO2
equivalenti, dato che l’obbligo imposto dal Protocollo di Kyoto della riduzione del 6,5% (entro il
2008-2012 e rispetto al 1990), implica
che le emissioni non potranno superare i 487 Mt CO2 equivalenti.
Per raggiungere tale livello l’Italia può
ricorrere anche ai cosiddetti meccanismi di flessibilità:
·
comperare "diritti a inquinare" da
Paesi che hanno superato gli obiettivi di Kyoto;
·
compensare le proprie emissioni di CO2
con crediti di carbonio ottenuti realizzando;
·
finanziare progetti a basse emissioni in Paesi
in via di sviluppo.
L'Enea stima che
l'Italia riesca a coprire il proprio “emission gap” solo per metà,
nella migliore delle ipotesi, con la riduzione delle emissioni (e
"truccando" un poco con l'aumento della forestazione) e che per il
resto debba ricorrere ai meccanismi di flessibilità. Le fonti rinnovabili
(eolico e solare) contribuiscono in Italia per circa lo 0,1 per cento. Tuttavia
il massimo contributo da queste fonti potrebbe arrivare al 5%, e certamente non
entro il 2010.
Secondo alcuni
osservatori i costi prevedibili dell’attuazione del Protocollo, per l’Italia, potrebbero
raggiungere un punto di PIL (recente stima dell'economista Margo Thorning, in
un paper dell'Istituto Bruno Leoni) [22]. Tali costi
sono riconducibili a varie voci: per acquistare diritti, per dare impianti non
inquinanti ai Paesi in via di sviluppo, per pagare le eventuali e prevedibili
sanzioni. E’ prevedibile, inoltre, uno spostamento di risorse produttive da un
settore a un altro, e quindi un conseguente rischio di diminuzione di
produttività. Anche i tempi di riassestamento dell’economia su specializzazioni
produttive diverse dalle attuali sono difficili da prevedere, ma in ogni caso
sembrerebbe certo un periodo di caduta complessiva di produttività.
Si ricorda, inoltre, che l’Italia ha varato
recentemente una disciplina provvisoria per lo scambio dei diritti di emissioni
di “gas serra” che riguarda le imprese giudicate inquinanti[23]
attraverso l’emanazione del decreto
legge 12 novembre 2004, n. 273, recante disposizioni urgenti per
l’applicazione della direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di
emissione dei gas ad effetto serra nella Comunità europea.
Infatti, la direttiva 2003/87/CE nel disciplinare l’istituzione di un mercato
delle emissioni su scala europea, ha disposto che, a partire dal 1° gennaio 2005[24], tutti
gli impianti ad alto consumo energetico che solitamente generano le emissioni
dei sei gas serra indicati nell’allegato II della direttiva stessa[25]
potranno esercitare la loro attività solo se muniti di apposita autorizzazione, rilasciata dalle
autorità nazionali competenti (art. 4 della direttiva). A tali impianti verrà poi assegnato un certo numero di quote
(permessi) di emissione, sulla base di un piano nazionale di
assegnazione.
Tale Piano Nazionale di Assegnazione delle quote
di emissione di anidride carbonica (PNA) per il triennio 2005-2008, che è
stato elaborato dai Ministeri delle attività produttive e dell'ambiente, è
stato trasmesso agli organi comunitari in data 15 luglio 2004. Ai sensi della
direttiva la Commissione potrebbe, infatti, con decisione motivata ed entro i
tre mesi successivi alla notificazione, valutare l’opportunità di respingerlo,
in tutto o in parte. Ad oggi, nonostante il termine di tre mesi sia scaduto in
data 15 ottobre 2004, sembrerebbe che il Piano inviato alla Commissione non sia
stato ancora valutato[26]. Il Piano
illustra i principi per l'applicazione della direttiva stessa nel contesto
energetico e industriale dell'Italia ed il metodo da utilizzare per
l'assegnazione delle quote a livello di attività e di impianto.
Il
decreto legge n. 273 – che non ha quindi lo scopo di rendere interamente
operativo il sistema dello scambio di emissioni, ma solo di avviarne
l’attuazione, consentendo ai soggetti gestori degli impianti di operare in
conformità con le norme comunitarie vigenti - è riassumibile nei seguenti
punti:
·
individuazione (provvisoria) della autorità nazionale competente: fino al
recepimento della direttiva tale autorità viene individuata nel Ministero
dell’ambiente – Direzione per la ricerca ambientale e lo sviluppo;
·
introduzione, per i gestori degli impianti che
ricadono nel campo di applicazione della direttiva, dell’obbligo di presentare la richiesta di autorizzazione ad emettere
gas serra entro il 5 dicembre 2004 e
di presentare le informazioni necessarie
per permettere all’autorità nazionale competente di procedere all’assegnazione
delle quote di emissione di CO2 entro il 30 dicembre 2004;
·
definizione di altri aspetti della procedura di autorizzazione e degli
adempimenti necessari alla sua effettiva introduzione.
Sostanzialmente, se sono in esercizio, gli
impianti interessati dovranno trasmettere la loro "radiografia"
industriale entro il 30 dicembre 2004, altrimenti almeno un mese prima del via
operativo. In tal modo le imprese potranno avere la loro certificazione, con
relativo vincolo a mantenere un livello imposto d'inquinamento, con
l'opportunità di negoziare anche con l'estero appositi certificati, comprando
il diritto a inquinare di più o vendendo il "risparmio" realizzato
rispetto ai limiti per loro fissati. Vengono quindi indicate le modalità e le
scadenze della prima certificazione da presentare agli uffici ministeriali, in
previsione dell'assegnazione delle quote che dovrà avvenire entro il mese di
febbraio 2005, distribuendo così gli oneri necessari a rispettare i limiti
"globali" assegnati all'Italia con il protocollo di Kyoto.
Si
segnala, infine, che anche la Banca
mondiale ha intrapreso un programma di emission
trading attraverso l’istituzione del Community Development Carbon Fund,
con il quale verranno acquistati - nei Paesi in via di sviluppo – certificati
legati alla riduzione delle emissioni di gas serra generate da progetti
selezionati e monitorati dalla Banca stessa. Secondo alcuni, con questa
operazione la Banca Mondiale “si candida a giocare un ruolo centrale nel futuro
commercio mondiale dei certificati di emissione della CO2”[27].
Tale
iniziativa si affianca ad altre analoghe[28] tra cui quella che nell’ottobre 2003 ha
portato alla stipula di un accordo tra il Ministero dell’ambiente e la Banca
Mondiale volto ad istituire l’Italian Carbon Fund[29] per l’acquisto di crediti di emissione da
progetti che generino riduzioni di emissioni di gas serra (compatibili con i
meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e con il nuovo sistema
europeo di emission trading) ed
apportino benefici all’ambiente globale, promuovendo nel contempo la diffusione
di tecnologie moderne ed energia pulita in paesi in via di sviluppo e con
economie in transizione.
Il
Protocollo di Kyoto prevede che la comunità internazionale avvii la discussione sulla risposta globale al cambiamento climatico dopo il primo periodo di
impegni fissati dal Protocollo (2008 -
2012), al più tardi entro la fine del 2005.
Quale
contributo all’impegno a livello mondiale, il Consiglio europeo che si è svolto a Bruxelles nel marzo 2004 ha annunciato di voler
prendere in esame le future strategie di
riduzione delle emissioni a medio e lungo termine, inclusi gli obiettivi,
che verranno presentate dalla Commissione in occasione del Consiglio europeo di
primavera del 2005. In vista di tale
discussione, ha invitato la Commissione a elaborare un’analisi costi-beneficî
che tenga conto degli aspetti connessi sia all’ambiente sia alla competitività.
Le conclusioni del Consiglio di primavera costituiranno un contributo al
dibattito internazionale sul cambiamento climatico globale dopo il primo
periodo di impegno del protocollo di Kyoto (2008-2012).
Tra il 13 settembre ed il 31 ottobre 2004 la
Commissione ha avviato una consultazione[30] per identificare i temi rilevanti in vista
della relazione dal presentare al Consiglio europeo di primavera 2005.
In vista della Conferenza di Buenos Aires,
il Consiglio ambiente ha adottato,
il 14 ottobre 2004, conclusioni sui
cambiamenti climatici, nelle quali, fra l’altro:
§
ribadisce di attendere con interesse l’esame, in
sede di Consiglio europeo della primavera 2005, delle strategie di riduzione delle emissioni a medio e lungo termine, ivi
compresi gli obiettivi, quale contributo agli sforzi compiuti a livello
mondiale, nel contesto dell’obiettivo final della convenzione;
§
si compiace della richiesta della Norvegia di collegare il suo regime al
regime per lo scambio di quote di emissioni dell’UE a decorrere dal 2005;
§
ribadisce che è necessario operare a favore di
una economia che comporti basse
emissioni di carbonio;
§
attende con interesse la Conferenza mondiale sull’energia per lo sviluppo che si terrà nei
Paesi Bassi nel dicembre 2004 e sarà incentrata sulle politiche energetiche per
lo sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo;
§
rammenta la necessità di un’azione urgente per
ridurre le emissioni di gas a effetto
serra derivanti dai combustibili per uso bordo impiegati nei trasporti internazionali, ribadisce
l’invito rivolto alla Commissione ad esaminare questo tipo di azione e a
presentare proposte nel 2005;
§
attende con interesse lo studio della Commissione su come affrontare l’impatto del trasporto
aereo sui cambiamenti climatici mediante il regime comunitario di scambio
di quote di emissione;
§
sottolinea la necessità di iniziare
tempestivamente, nel contesto del processo delle Nazioni Unite in materia di
cambiamenti climatici, l’analisi del
quadro post 2012;
§
attende con interesse la partecipazione ai dibattiti tra esperti del segmento ad alto
livello della decima sessione della conferenza delle parti di Buenos Aires, al fine di uno scambio di
opinioni sui risultati ottenuti e sulle sfide future.
Il Consiglio ambiente che si svolgerà a
Bruxelles il 20 dicembre 2004, adotterà conclusioni sulle future strategie di
riduzione delle emissioni, anche sulla base dei risultati dei lavori della
Conferenza di Buenos Aires.
Il 17 novembre 2004 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in vista della Conferenza di Buenos Aires, nella quale,
fra l’altro:
§
esorta l’UE a mantenere il suo ruolo guida nei
negoziati alla Conferenza;
§
sollecita l’UE e tutte le altre parti aderenti alla
Convenzione quadro a continuare le discussioni avviate a Milano[31] al fine di inserire le emissioni del trasporto aereo e marittimo internazionale negli
obiettivi di riduzione delle emissioni del secondo periodo di impegno a partire
dal 2012;
§
sollecita l’UE e le altre Parti aderenti alla
Convenzione a monitorare le emissioni derivanti dai trasporti ed eventualmente
ad elaborare un protocollo per esse;
§
invita il governo
statunitense a riconsiderare la propria decisione di non ratificare il
Protocollo di Kyoto;
§
conta sul fatto che i partecipanti del Parlamento
europeo facenti parte della delegazione UE possano avere accesso alle riunioni
di coordinamento dell’UE a Buenos Aires[32], almeno in qualità di osservatori, con o senza
diritto di parola;
§
chiede all’UE e agli Stati membri di mettere a
disposizione dei paesi in via di
sviluppo fondi sufficienti per finanziare il loro adeguamento;
§
invita gli Stati membri che non hanno ancora
elaborato i piani nazionali di
assegnazione, previsti dalla direttiva sullo scambio di quote di emissioni,
a provvedervi quanto prima;
§
insiste sulla necessità di non consentire che i
piani nazionali di assegnazione già approvati siano modificati dopo il 1°
gennaio 2005, data della loro applicazione.
Nel
vertice sul clima inaugurato lunedì 6
dicembre a Buenos Aires verranno affrontate nei prossimi giorni due
questioni:
§
un accordo contro gli effetti del riscaldamento
globale, da siglare il prima possibile;
§
l'agenda da stilare per il dopo Kyoto
(2008-2012).
L'avvio
dei lavori è stato contraddistinto da un intervento allarmante del delegato
olandese, Yvo de Boer, rappresentante della UE, che ha prefigurato uno scenario
poco rassicurante: se si dovesse realizzare l'aumento di 2 della temperatura
media del pianeta i rischi di un cambiamento climatico diverrebbero altissimi
per l'ecosistema e soprattutto per il livello dell'acqua.
Un
rapporto dell'Acia (Arctic climate impact
assesment) rileva che il surriscaldamento del pianeta è già avviato, ma gli
effetti più gravi si aspettano nei prossimi 15-20 anni. Non solo, diverrebbero
catastrofici se entro la fine del secolo fossero compresi tra 1,4 e 5,8 gradi.
Nell'ultimo
decennio i risultati raggiunti non sono stati confortanti: tra il 1990 e il
2000 le emissioni dei Paesi sviluppati sono cadute del 6,6% ma in realtà il
dato è solo apparentemente positivo. Questa riduzione, infatti, è costituita da
un calo delle emissioni, pari al 40%, delle economie in transizione, ovvero
quelle dei Paesi dell'ex blocco sovietico. Mentre i Paesi industrializzati
hanno registrato un aumento delle emissioni pari al 7 per cento. Si
tratterebbe, in altre parole, di una riduzione congiunturale e transitoria che
in pochi anni potrebbe rientrare. Inoltre, secondo la Commissione dell’UNFCC,
il risparmio registrato sinora si è realizzato nel settore energetico e in
quello dei processi industriali, ma l'inquinamento è aumentato nel settore dei
trasporti.
A
due giorni dall'inizio dei lavori del vertice di Buenos Aires si registrano le
seguenti posizioni:
§
gli USA hanno dichiarato di aver “adottato molte
misure di corto e medio periodo”;
§
l'UE ha rilevato la necessità di “accelerare il
processo di riduzione dei gas” e l'intenzione di assistere i Paesi in via di
sviluppo nell'obiettivo;
§
il Gruppo dei 77, di cui la Cina è membro
associato, ha chiesto ai Paesi industrializzati risorse finanziarie e
trasferimento di tecnologie per potersi adattare al cambiamento climatico,
aggiungendo però che, dato che la priorità del Gruppo dei 77 è proprio lo
sviluppo economico, sociale e lo sradicamento della povertà, non sono disposti
ad accettare compromessi;
§
il Giappone ha sottolineato l'importanza di
estendere la ratifica del Trattato alle nazioni che non l'hanno fatto.
L’India e la Cina hanno presentato due “Rapporti nazionali”: in quello dell’India viene sottolineato come il Paese non sia riuscito a svincolare la crescita dalle emissioni, mentre il rapporto Cina è sembrato leggermente più positivo riguardo alla situazione interna.
[1] Previsto dall’art. 3 del Protocollo.
[2] Prevista dall’art. 6 del Protocollo.
[3] Previsti dall’art. 12 del Protocollo.
[4] Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 24,3%, gli USA del 36,1%, il Giappone dell’8,5%, il Canada del 3,3%. Si ricorda, inoltre che la Russia, responsabile del 17,4% delle emissioni, non è tenuta ad alcun impegno di riduzione.
[5] L’anno base del 1990 è flessibile per i paesi EIT.
[6] Gli USA hanno dichiarato di non voler ratificare il Protocollo.
[7] La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti (su cui vedi i paragrafi successivi) - dal 5,2% al 3,8%.
[8] Nel marzo del 2001 l'amministrazione americana, riconoscendo l'improbabilità della ratifica del Protocollo di Kyoto da parte del Senato, ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi dal “processo di Kyoto” senza, tuttavia, scoraggiare gli altri paesi a portare avanti il Protocollo, affermando che ogni paese deve agire nel proprio interesse. Le obiezioni del governo statunitense alla ratifica del Protocollo riguardano l’esclusione dei paesi in via di sviluppo (le cui emissioni si prevede supereranno quelle dei paesi sviluppati entro il 2020), l’insufficienza delle conoscenze scientifiche e la non convenienza economica del Protocollo.
La politica energetica nazionale degli Stati Uniti, annunciata nel maggio del 2001, contiene oltre 40 raccomandazioni per promuovere l'efficienza e la conservazione dell'energia e per ridurre le emissioni di gas serra; viene incoraggiato l'uso di forme di energia alternativa, rinnovabile e pulita (biomasse, solare, eolica, ecc.), oltre allo sviluppo di tecnologie alternative di lungo periodo, quali l'energia a idrogeno e quella da fusione. Gli Stati Uniti, inoltre, si sono impegnati a spendere 2 miliardi di dollari in 10 anni nella ricerca di tecnologie pulite a carbone e a promuovere l'efficienza energetica, anche espandendo il programma Energy Star (una partnership pubblico-privata per promuovere l'efficienza energetica negli edifici e nei prodotti per il consumatore).
Le iniziative dell’amministrazione USA puntano in particolare sull'investimento volontario dell'industria in programmi per l'efficienza energetica e per un'energia pulita (l’amministrazione Bush ha destinato 4,6 miliardi di dollari di crediti fiscali in 5 anni per l'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili).
[9] Alla data del 25 novembre 2004 hanno ratificato il protocollo 129 paesi, tuttavia la percentuale in termini di emissioni è pari solo al 61,6%.
Cfr. http://unfccc.int/files/essential_background/kyoto_protocol/application/pdf/kpstats.pdf.
[10] Intergovernmental Panel on Climate
Change.
[11] La Dichiarazione di Marrakech (adottata nel corso della COP7, tenutasi nell’ottobre-novembre 2001) ribadisce tutti i punti costitutivi della Convenzione di Rio (1992) sui cambiamenti climatici, fra i quali l’affermazione che tutti i paesi, particolarmente quelli in via di sviluppo, dovranno farsi carico dei rischi crescenti del cambiamento climatico e quindi della adozione di politiche di sviluppo sostenibile.
[12] World energy, technology and climate policy outlook, 2003.
[13] Tale scenario presuppone una continuazione delle tendenze e dei cambiamenti strutturali mondiali in atto, in un contesto di evoluzione economica e tecnologica "normale".
[14] L'articolo 24, paragrafo 3 del protocollo di Kyoto stabilisce che, nei
loro strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, le
organizzazioni regionali di integrazione economica indicheranno il loro livello
di competenza rispetto alle questioni rette dal protocollo.
[15] Si ricorda, in proposito, che nel corso della COP7 di Marrakech (2001) si è stabilito che il commercio dei permessi di emissione tra i paesi industrializzati non sia soggetto a limiti quantitativi.
[16] Tale permesso è rilasciato dalle autorità competenti previa verifica da parte delle stesse della capacità dell’operatore dell’impianto di monitorare nel tempo le proprie emissioni di gas serra.
[17] La mancata resa di una quota d’emissione prevede una sanzione pecuniaria di 40 Euro nel periodo 2005-2007 e di 100 Euro nei periodi successivi; le emissioni oggetto di sanzione non sono esonerate dall’obbligo di resa di quote.
[18] Le precedenti relazioni sono state presentate nel 2000 (COM(2000) 749); nel 2001 (COM(2001)708) e nel 2002 (COM(2002)702).
[19] Il comma citato dispone che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 settembre 2002, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri ministri interessati, è tenuto a presentare al CIPE un piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimento ed una relazione contenente lo stato di attuazione e la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998. L’art. 1 della legge n. 120 del 2002 prevede, inoltre, che la suddetta relazione debba riguardare anche lo stato di attuazione dei programmi finanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in attuazione del decreto-legge 30 dicembre 1999, n. 500 e del D.M. ambiente 20 luglio 2000, n. 337, nonché dei programmi pilota previsti dalla medesima legge n. 120 all’art. 2, comma 3, in cui si prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, entro il 30 marzo di ogni anno, individui, con proprio decreto e di concerto con i ministri interessati e con la Conferenza unificata Stato-regioni-città, i programmi pilota da attuare a livello nazionale ed internazionale per la riduzione delle emissioni e l'impiego di piantagioni forestali per l'assorbimento del carbonio e che entro il 30 novembre di ogni anno il Ministro dell’ambiente trasmetta al Parlamento una relazione sulla loro attuazione.
[20] G.U. n. 68 del 22 marzo 2003.
[21] Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).
[22] Vedi Il Sole 24 ore dell’8 dicembre 2004.
[23]
Non solo le centrali elettriche o le industrie della raffinazione, ma anche
quelle della carta, dell'acciaio e dei materiali da costruzione come il vetro e
il cemento.
[24] Alla vigilia del termine del 1° gennaio 2005, non essendo stata recepita nel nostro paese la direttiva si è quindi ritenuto opportuno consentire alle imprese esercenti attività che producono gas serra, di conseguire l’autorizzazione richiesta dalle norme comunitarie. Si ricorda, infatti, che la delega al Governo per il recepimento della direttiva 2003/87/CE viene disposta dall’articolo 14 del disegno di legge comunitaria per l’anno 2004 – approvata alla Camera, in seconda lettura, nella seduta del 2 dicembre e ritrasmessa al Senato. I tempi dell’approvazione definitiva del Parlamento e di esercizio della delega sono tali per cui il termine del 1° gennaio 2005 non potrebbe comunque essere rispettato.
[25] Si tratta di anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
[26]
Nel sito internet dell’Unione europea, nella pagina intitolata “Domande e
risposte sullo scambio di quote di emissione e i piani nazionali di
assegnazione” (reperibile all’indirizzo http://europa.eu.int/rapid/pressReleasesAction.do?reference=MEMO/04/44&format=HTML&aged=1&language=IT&guiLanguage=en)
ed aggiornata al 20 ottobre 2004 si dà conto dei piani esaminati dalla
Commissione, tra i quali tuttavia non figura quello italiano. Vi si legge,
inoltre, che “Al 20 ottobre erano stati presentati 24 piani, 16 dei quali sono
stati sottoposti a valutazione. La Commissione concluderà la valutazione dei
piani rimanenti entro il 2004”.
[27] Si veda, ad esempio, L. De Simone, A. Nobili “Con i certificati verdi ed emission trading sviluppo economico sempre più sostenibile”, in Ambiente e sicurezza – Suppl. n. 4/2003.
[28] Una rassegna delle iniziative della Banca Mondiale è contenuta nel sito http://carbonfinance.org.
[29] Tale fondo è un partenariato pubblico-privato (dal 1° gennaio 2004 il Fondo è aperto alla partecipazione di aziende private ed agenzie pubbliche italiane) amministrato dalla Banca Mondiale e dotato di un capitale iniziale di 15 milioni di dollari messi a disposizione dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale impegno finanziario si affianca alla partecipazione dell’Italia al Community Development Carbon Fund per un importo di 7,7 milioni di dollari.
[30] Dopo la conclusione del
processo di consultazione, il 22
novembre 2004 si è svolta una conferenza delle parti interessate. Al fine di
stimolare e guidare la partecipazione alla conferenza, la Commissione ha
stilato un documento di lavoro “Future
Action on Climate change: A Stakeholder Consultation on the EU’s Contribution
to Shaping the Future Global Climate Change Regime”. A seconda del tipo di
problematica, le consultazioni offrono ai rappresentanti degli enti regionali e
locali, alle organizzazioni della società civile, alle imprese e associazioni
di categoria, ai singoli cittadini interessati, al mondo universitario e ai
tecnici del ramo, la possibilità di fornire un proprio contributo alla fase di
elaborazione delle norme europee.
[31] A Milano si è svolta la nona conferenza delle parti alla Convenzione
[32] Nella medesima risoluzione il Parlamento europeo critica il fatto che i deputati al Parlamento europeo facenti parte della delegazione UE non abbiano potuto partecipare alle riunioni di coordinamento dell’UE durante la precedente Conferenza delle Parti.