COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di luned́ 19 dicembre 2005


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante la trasmissione attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di strutture sanitarie dove si praticano le interruzioni volontarie di gravidanza (Ospedale Mangiagalli e Regina Elena di Milano, Ospedale San Camillo di Roma, Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, Ospedale Maggiore di Parma, Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, Ospedale civile Bernabeo di Ortona e Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti di strutture sanitarie dove si praticano le interruzioni volontarie di gravidanza (Ospedale Mangiagalli e Regina Elena di Milano, Ospedale San Camillo di Roma, Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, Ospedale Maggiore di Parma, Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, Ospedale civile Bernabeo di Ortona e Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS).
Sono presenti, per il presidio ospedaliero Mangiagalli e Regina Elena di Milano, il direttore sanitario dottor Basilio Tiso; per l'Ospedale San Camillo di Roma, il dottor Diamante Pacchiarini e la dottoressa Giovanna Scassellati; per l'Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, la dottoressa Giovanna Volo e la dottoressa Laura Giambanco; per l'Azienda ospedaliera universitaria di Parma, il dottor Pietro Vitali, il professor Luigi Benassi e la dottoressa Paola Salvini; per l'Ospedale civile Bernabeo di Ortona, la dottoressa Manuela Mucci; per l'Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, il dottor Donato Aloia e il dottor Franco Tamburrino.
Avverto che i rappresentanti dell'Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS hanno comunicato di non poter partecipare all'audizione.
Abbiamo convocato in queste audizioni sia i rappresentanti di ospedali molto grandi, in cui il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza e delle attività legate a questo campo è sicuramente notevole, sia i rappresentanti di ospedali di minori dimensioni, per cercare di conoscere le due realtà anche grazie al loro confronto e per tentare di capire quali siano le possibilità, in entrambi i casi, per eventuali aiuti o miglioramenti da apportare.
Premetto brevemente che il fine dell'indagine, richiesta da alcuni parlamentari


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e successivamente deliberata, è quello di comprendere, dopo circa 30 anni, come viene attuata la legge n. 194 del 1978 sia negli ospedali che nelle strutture autorizzate - in particolar modo negli ospedali, perché mi pare che in Italia siano pochissime le strutture private autorizzate -, e se vi siano problemi dal punto di vista medico e clinico nell'attuazione di questa legge.
Inoltre, si intende appurare, dal punto di vista «sociale», come viene applicato - in queste strutture, nei consultori e via dicendo - ciò che la stessa legge n. 194 in teoria prevede.
Ognuno di voi potrà intervenire per riferire quello che riterrà opportuno, per esprimere dei suggerimenti ed eventualmente lasciare degli atti alla Commissione.
Infatti, al di là delle statistiche e dei numeri - di cui, bene o male, siamo a conoscenza tramite la relazione annuale che ci invia il Ministero della salute -, vorremmo riuscire a comprendere come viene attuata questa legge e se può essere migliorata in favore degli utenti e delle donne che ne hanno necessità e che ne richiedono l'applicazione.
Vi chiediamo di riferire sull'adeguatezza degli organici, sul rapporto tra i consultori e i servizi nei luoghi dove vengono attuate le interruzioni di gravidanza e su eventuali cambiamenti nell'utenza che si rivolge ai consultori (ad esempio, abbiamo rilevato di recente un aumento del numero delle immigrate e delle extracomunitarie).
Una domanda specifica che è stata posta - mi riferisco in particolare alle strutture ospedaliere dove si effettuano le interruzioni di gravidanza o anche ai consultori - riguarda l'eventualità o meno che siano state avanzate richieste di partecipazione, vale a dire se vi sono state associazioni che hanno chiesto di poter intervenire e di poter essere presenti anch'esse nel servizio che l'ospedale offre e, nel caso in cui questo sia accaduto, se tali richieste siano state respinte o accolte.
Avere un quadro più completo della situazione attuale, dopo tanto tempo, ci serve per individuare gli aspetti che possono essere migliorati.
Un'altra domanda concerne la percentuale - che in realtà già conosciamo - dei casi di interruzione volontaria di gravidanza che coinvolgono direttamente i consultori rispetto alle altre strutture sanitarie: molte donne si rivolgono direttamente alla struttura sanitaria, saltando completamente i consultori. Stando alle statistiche di cui abbiamo notizia, solo un terzo di esse si rivolge ai consultori; molte altre si rivolgono al medico di fiducia o direttamente alla struttura ospedaliera.
È chiaro che i parlamentari potranno aggiungere ulteriori quesiti, ma mi premeva sottolineare queste riflessioni perché sono finalizzate soprattutto all'applicazione della legge n. 194 del 1978. Dico questo - non mi riferisco tanto a voi, che rappresentate le strutture che svolgono questo servizio - perché, se cominciassimo a parlare di tutte le funzioni che dovrebbero svolgere i consultori secondo la legge, discuteremmo di tante altre questioni. Ciò che interessa alla Commissione, in questo caso, è l'indirizzo e la finalizzazione riguardo all'applicazione della legge n. 194.
Do quindi la parola ai nostri ospiti, ringraziandoli per la loro presenza.

BASILIO TISO, Direttore sanitario dell'Ospedale Mangiagalli di Milano. Al Mangiagalli rileviamo una statistica lievemente diversa rispetto alla regione Lombardia. Infatti, mentre nella regione si calcola che nel 2004 circa il 37 per cento delle donne che sono ricorse all'interruzione volontaria della gravidanza sono extracomunitarie, al Mangiagalli la percentuale è leggermente più alta, si attesta intorno al 50 per cento. Questi sono i dati dell'anno scorso.
I problemi che viviamo noi sono gli stessi delle altre strutture. Vi è una grande difficoltà nel reperire i medici perché gli obiettori sono la stragrande maggioranza. Peraltro, il Mangiagalli è un ospedale in cui nascono 7 mila bambini all'anno, di cui tantissimi sotto il chilo e mezzo di peso. È l'ospedale più importante d'Italia


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da questo punto di vista e, quindi, l'impegno è rivolto fondamentalmente alla nascita. Nello stesso tempo, tuttavia, ci impegniamo anche per l'applicazione della legge n. 194.
Chi applica tale legge incontra qualche difficoltà, in quanto il numero delle richieste è tale da rendere i turni abbastanza stressanti, con problemi sia per gli infermieri sia per i medici.
Da noi è presente anche il Movimento per la vita, che ha un consultorio in ospedale e con il quale è in corso una collaborazione: stiamo portando avanti dei progetti comuni per cercare di aiutare, nei limiti del possibile, le donne.
Il problema di fondo - su questo punto penso che siamo tutti d'accordo - è che la donna che abortisce soffre comunque, perché il dramma più grande lo vive lei. Per questo motivo stiamo cercando, in tutte le maniere, di metterla nelle condizioni ideali per operare una scelta corretta.
Il rapporto con i consultori è ottimo, tuttavia dovrebbero essere più numerosi; comunque, a Milano ne esistono anche di privati.
La difficoltà consiste nell'avvicinare le donne non italiane perché hanno culture diverse dalle nostre e bisogni economici probabilmente differenti da quelli delle donne italiane. Il problema, da questo punto di vista, è di natura sociale.
Per quanto riguarda l'applicazione della legge, quello che ci manda in crisi è l'aspetto tecnico, cioè la diminuzione del numero di medici che non sono obiettori. Essendo direttore sanitario, parlo dal punto di vista organizzativo.
Si potrebbero portare avanti tutta una serie di proposte di carattere sociale. Quando parliamo con le donne, infatti, queste ci testimoniano che le loro principali difficoltà derivano dalla carenza di case, di appoggi, di aiuti per le ragazze madri. Il Movimento per la vita e noi, come ospedale, stiamo cercando di intervenire per aiutarle anche economicamente e, ripeto, i consultori si impegnano.
Vi riferisco un suggerimento che viene da alcuni dei medici che sono nel servizio e che si trovano in difficoltà perché, oltre ad essere stressati, subiscono anche attacchi da ogni parte: in questo momento non è neanche facile vivere questo tipo di problematiche. Secondo tali medici, quando la donna si rivolge direttamente al servizio o proviene da un medico privato, sarebbe opportuno trovare il modo di farla tornare - comunque - in consultorio durante i sette giorni, per valutare meglio tutte le possibilità e per compiere una scelta adeguata. Infatti, la libertà di scelta implica un'informazione più completa possibile e questo potrebbe essere un suggerimento.
L'altra proposta, ovviamente, è di carattere generale: si potrebbero dare più case popolari alle ragazze madri. Il fatto che le donne che abortiscono - almeno quelle che vengono da noi - non sono molto ricche, dimostra che i problemi economici sono importanti.
Inoltre, i consultori dovrebbero essere utilizzati anche per un appoggio successivo all'esperienza dell'interruzione di gravidanza, perché spesso abbandoniamo queste ragazze a loro stesse, con il loro dramma, e prima o poi questo tipo di problema lo rivivranno. Con il passare degli anni è difficile non ricordarsi di un'esperienza di questo tipo e quindi l'aiuto che offriamo deve essere presente prima, durante e dopo questa esperienza.
Da noi si praticano tanti aborti, anche se rispetto a prima si è verificato un calo: da 2.100 a circa 1.800, contro 7.000 parti. Come dicevo prima, si tratta per lo più di donne extracomunitarie e questo dato la dice lunga sulle problematiche connesse: l'anno scorso erano il 51 per cento, mentre in Lombardia la percentuale è del 37 per cento.
I consultori ci sono e il rapporto con le strutture diverse - nel caso specifico, il Movimento per la vita, con il quale collaboriamo - si sostanzia in ospedale; anzi, per quanto mi riguarda, sono contento che vi siano opinioni diverse. L'ideale sarebbe di poter contare anche su altri mediatori culturali, su persone che possano parlare con queste donne, anche perché ogni tanto si leggono notizie gravi a tal proposito.


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L'anno scorso, ad esempio, ci hanno portato cinque o sei ragazze in emorragia ed hanno scoperto una clinica clandestina cinese in via Sarpi.
La prevenzione deve essere - a mio parere - molto più efficace, prevedendo eventualmente anche la realizzazione di spot pubblicitari. Il consultorio è solo un aspetto della situazione.
Il fatto che esistano diverse situazioni va benissimo perché l'obiettivo è che la donna venga rispettata dall'inizio alla fine, soprattutto quando sceglie di interrompere la gravidanza, perché si tratta di una scelta che prima o poi ricorderà. Questa è l'esperienza che hanno avuto i miei colleghi e che riporto in maniera equilibrata. Come sapete, anche al Mangiagalli, come dappertutto, le opinioni sono diverse ed io mi sto facendo carico della sintesi di quelle di tutti i miei colleghi.

DIAMANTE PACCHIARINI, Direttore sanitario di presidio dell'Ospedale San Camillo di Roma. Prendo la parola molto brevemente, perché vorrei che fosse la dottoressa Scassellati a comunicare analiticamente i dati di attività, per due ordini di ragioni: innanzitutto, la dottoressa Scassellati si occupa di tale argomento da molti anni; in secondo luogo, svolgo tale funzione solamente da due mesi e mezzo. È evidente, pertanto, che incontrerei qualche difficoltà nell'entrare nel merito della questione, che avrei dovuto studiare in maniera particolare.
Tuttavia, vorrei associarmi a quello che ha detto il collega precedentemente, in quanto i problemi, in sostanza, sono identici. Questa è l'impressione che ho avuto, avendo visitato diversi ospedali in tutta Italia.
Per quando mi riguarda, vorrei sottolineare innanzitutto che l'Ospedale San Camillo presenta problemi di tipo strutturale, cioè l'edificio è abbastanza fatiscente e la sezione in questione lo è in maniera particolare. Ci siamo accorti di questa situazione appena arrivati e stiamo già cercando il modo di sopperire a questa emergenza. Si tratta di una vera e propria emergenza perché la sezione si trova in un sotterraneo, con la fatiscenza che potete immaginare e che si rende evidente anche attraverso aspetti banali, quelli che colpiscono l'attenzione non appena si entra in quei locali: dalle finestre rotte ai tubi sul soffitto e così via. Siamo a fine anno, quindi non abbiamo molto tempo per affrontare tecnicamente questa situazione. Quindi, trovandoci a fine anno ed essendo stati nominati da pochissimo tempo, sostanzialmente non avevamo fondi a disposizione. Pertanto, stiamo preparando e ultimando il progetto di «lifting» dei locali e, nei primi mesi del prossimo anno, sistemeremo le cose.
Per entrare nel merito della questione, evidenzio due aspetti che mi hanno colpito, esaminando i dati di attività. È stata una delle prime cose che ho fatto, indipendentemente dall'indagine conoscitiva che è stata deliberata ed avviata qualche giorno fa dalla Commissione. Ho ascoltato anche io le notizie riportate dai telegiornali, ho letto i giornali e ho conosciuto la dottoressa Scassellati, ma, lo ripeto, mi sono interessato alla questione fin da prima. Ciò che mi ha colpito è stata la costante diminuzione degli aborti delle residenti - per residenti intendo le donne che abitano non solo a Roma, ma in tutta la regione, le italiane, per così dire - e la sistematica compensazione di questa diminuzione da parte delle extracomunitarie: di conseguenza, i numeri sono rimasti invariati negli ultimi 5-6 anni.
Effettivamente esiste una differenza di percorso tra le donne che si rivolgono al consultorio e quelle che seguono altre strade, peraltro tutte previste dalla legge: in sostanza, mi riferisco al primo medico a cui si rivolgono per la certificazione. Non so se la soluzione migliore sia quella di transitare attraverso un consultorio in quei sette giorni di intervallo, ma certamente tutte le strutture dovrebbero offrire le stesse opportunità, vale a dire la presenza dello psicologo, del sociologo e di quant'altro occorre.
Dico questo basandomi soprattutto sull'esperienza vissuta sul campo come medico, non tanto come organizzatore. A tutti noi è capitato di imbattersi in situazioni


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del genere e, a mio giudizio, tutti i pazienti - non solo queste donne, che non ritengo debbano essere in qualche modo ghettizzate - dovrebbero ricevere la stessa risposta, dovunque rivolgano una determinata domanda per la prima volta. Pertanto, il problema non è - non voglio contraddirvi, mi permetto solo di dare un suggerimento - la deviazione del percorso, quanto quello di fare in modo che dovunque si rivolga una domanda si riceva la medesima risposta corretta.

PRESIDENTE. Ognuno può esprimere liberamente le proprie opinioni, non dobbiamo essere necessariamente tutti d'accordo, nel modo più assoluto.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Dirigo questo modulo dal 2000, esattamente da quando è stata chiusa la clinica Villa Gina, l'unica clinica privata autorizzata nel Lazio.
Da un giorno all'altro, l'unico collega che non era obiettore strutturato è andato via, in quanto, evidentemente, aveva un doppio ruolo che lo impegnava sia all'interno dell'ospedale sia fuori. Di conseguenza mi sono trovata, come unica non obiettrice strutturata, a dirigere questo modulo. Gli altri due colleghi che sono strutturati come me hanno un contratto particolare che viene rinnovato ogni due anni (articolo 15-septies). Tale contratto prevede che eseguano l'interruzione di gravidanza ma anche che si occupino dei turni di guardia all'interno dell'ospedale. Comunque, al San Camillo siamo 30 ginecologi, compreso il primario, di cui solo 3 non obiettori. Oltre al reparto di day hospital, dal 2002 abbiamo anche un posto letto di degenza per la ginecologia, riservato agli aborti effettuati dopo il novantesimo giorno. Questo è uno dei motivi per cui non ho tolto l'obiezione.
In questi quattro anni siamo stati continuamente attaccati. Noi siamo gli operatori che hanno scelto di difendere una legge dello Stato. Quindi, a mio parere, l'aspetto più grave della questione è rappresentato dall'obiezione di coscienza. Bisognerebbe parlarne, dal momento che coloro che effettuano l'interruzione di gravidanza sono sempre di meno e devono continuamente giustificare il proprio lavoro. Nell'ultimo anno, il mio reparto è stato visitato tre volte dai NAS: non so se abbia richiesto il loro intervento il ministro Storace, o chi per lui.
Ho combattuto una grande battaglia negli ultimi quattro anni nella giunta regionale, in quanto ero la persona che coordinava tutti gli operatori che applicavano la legge n. 194 nel Lazio. Tra le altre cose, abbiamo creato delle linee guida, affinché tutti quanti avessero le stesse analisi. In questi anni è stato portato avanti un lavoro capillare in questa parte della ginecologia, una parte da sempre dimenticata e che, in realtà, rappresenta il 40 per cento della ginecologia: si tratta, quindi, di un enorme intervento da parte della nostra specializzazione di ostetricia e ginecologia. Questo argomento era tenuto nascosto prima del 1978, dal momento che si trattava di aborti clandestini, ma quegli interventi riempivano comunque le tasche dei miei colleghi ginecologi. Quello che mi preme sottolineare è che noi abbiamo accettato di fare questo lavoro gratuitamente.
Faccio notare, ad esempio, che un aborto terapeutico che io stimolo la mattina, si compie di notte; quindi, se non sono di guardia è un problema. Spesso la donna che deve affrontare l'interruzione mi chiede di rimanere e dichiara di volermi pagare, ma ciò non è possibile in base all'attuale legislazione e non è mai stato fatto. L'intra moenia, ad esempio, è possibile per tutto il resto, ma non per la legge n. 194.
Nel 2004 sono stati effettuati 3.318 interventi, di cui 1.740 su donne residenti, 129 su donne di altre regioni e 1.449 su donne straniere. C'è da dire che con la legge Bossi-Fini si è verificata una riduzione. Prima al nostro ospedale arrivavano molte donne che provenivano dalla tratta o che, comunque, stavano sulla strada, come loro stesse hanno affermato durante il colloquio iniziale con il medico. Dal momento che non si capiva bene la richiesta


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di queste donne, abbiamo cercato di realizzare dei progetti e siamo riusciti ad ottenere, dal dipartimento del comune di Roma, un piccolo finanziamento annuale per i mediatori culturali. Quindi, dal 2001, presso la struttura operano alcuni mediatori culturali - tra questi anche uno cinese -, dedicati esclusivamente alla legge n. 194, i quali hanno tenuto dei corsi a proposito della contraccezione e di tutta una serie di problematiche.
Il problema è che l'azienda non può farsi carico di tutto. Tuttavia, la nostra difficoltà è che il 30 per cento delle richieste è certificato dal consultorio, mentre il restante 70 per cento viene certificato da medici ginecologi privati o da noi.

PRESIDENTE. Medici di famiglia?

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Pochi. Devo dire, tra l'altro, che spesso i loro certificati devono essere controllati attentamente perché possono essere fittizi. Noi accettiamo quasi sempre il certificato di uno specialista.
Un altro aspetto importante è quello dell'ecografia. Tale esame non è necessario per effettuare l'interruzione di gravidanza, ma a volte arrivano al reparto delle ecografie fatiscenti, a seconda dell'ambulatorio in cui sono state eseguite: comunque, vengono tutte confermate, perché abbiamo un ecografo. Soprattutto allo scadere dei 90 giorni, però, possono verificarsi problemi.
Abbiamo avuto dei problemi anche con le minori perché non possiamo visitarle. In ogni caso, dobbiamo fare la certificazione sulla richiesta della minore per mandarla dal giudice e, comunque, dobbiamo rispettare il limite dei 90 giorni. Pertanto, è sempre meglio visitare con una sonda e controllare che la ragazza rientri nei 90 giorni. Se, infatti, questa si rivolge al giudice, ottenendo l'autorizzazione, e i termini temporali non sono rispettati, si creano delle difficoltà.
Il problema grosso è che la richiesta delle donne va sempre vagliata. Devo dire che da noi la donna può decidere di scendere dal lettino fino all'ultimo momento, perché non la forziamo ad affrontare l'aborto e le vengono offerti tutti i supporti possibili. Con grande difficoltà ci siamo attrezzati ed ora presso l'ospedale lavorano con noi due assistenti sociali, due psicologi che si alternano - se una donna ha bisogno di un supporto psicologico, sia prima sia dopo, lo ottiene - e i mediatori culturali.
Mi sembra di poter dire, dunque, che siamo in grado di rispondere a questo tipo di richiesta. Nel corso degli anni, ci sono stati anche casi di donne che hanno chiesto di portare avanti la gravidanza e che sono state seguite ed aiutate. Non abbiamo una casistica molto numerosa in questo senso, ma circostanze simili si sono verificate.
Il fatto di essere presente oggi in Commissione mi dà la sensazione di essere indagata e questo, a mio parere, può infastidire. Nei 2-3 giorni precedenti all'audizione mi sono chiesta continuamente quali domande mi avreste rivolto. In realtà, noi non dobbiamo giustificare il nostro lavoro. Questa vicenda era completamente sommersa. Come ha ricordato prima il direttore sanitario, anche a Roma, lo scorso Natale, è stata scoperta una clinica di cinesi. Il problema è lavorare sulle comunità di appartenenza con l'aiuto dei mediatori culturali e fare in modo che le donne possano avvalersi di questo servizio, che sia effettivamente sicuro e che garantisca i loro diritti. Credo che questo sia assolutamente fondamentale.

PRESIDENTE. Non stiamo indagando nessuno. La nostra è un'indagine conoscitiva, non un'inchiesta. Il nostro intendimento è quello di migliorare l'applicazione della legge. Come è stato dichiarato tante altre volte, anche dal ministro, la nostra non è un'inchiesta sulla legge che, secondo il mio parere, viene applicata bene, ma, probabilmente, potrebbe essere applicata meglio.
Sono un ginecologo e in 46 anni di attività ho accumulato una certa esperienza. Tuttavia, qualcuno ha fatto rilevare i motivi per cui è stata avviata: probabilmente


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vi sono dei motivi. Lei ha sottolineato che è necessario un maggior numero di medici, di strutture e di mediatori culturali: ebbene, qualche aspetto può essere sicuramente migliorato. Questo è il senso dell'indagine conoscitiva. Nessuno vi sta mettendo sotto inchiesta; anzi, a mio parere, i medici che svolgono questo tipo di lavoro...

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Sembra quasi che ci considerino senza cuore...

PRESIDENTE. Vi capisco.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. ...secondo uno che parla di 4 milioni di morti. È una cosa grave!

PRESIDENTE. Ognuno può dire quello che vuole. Lei poco fa ha parlato di medici che, oltre a questo tipo di servizio, si occupano anche dei turni di guardia. A mio avviso questo problema è abbastanza importante, altrimenti chi si occupa solo di IVG rischia di essere ghettizzato, come se quella fosse la sua unica attività all'interno della struttura sanitaria, della clinica o dell'ospedale in cui lavora.
Questo - è la mia opinione personale - non è neanche giusto. È normale che esistano branche diverse di specializzazione e che alcuni medici si concentrino sul problema della sterilità, dell'oncologia e via elencando. Tuttavia, a mio parere, quello è un ginecologo con gli stessi diritti e doveri degli altri ginecologi.

MAURA COSSUTTA. Non sono solo gli obiettori a fare carriera.

PRESIDENTE. La mia speranza è che in tutti gli ospedali si comportino in questa maniera.

MAURA COSSUTTA. Ho precisato.

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Credo che da parte nostra, sul piano organizzativo, non sia stato ghettizzato nessuno, per fortuna.
Applico il principio secondo cui questo è un aspetto che fa integralmente parte dell'attività di uno specialista di ginecologia e ostetricia. Pertanto, presso di noi non esiste assolutamente un'attività limitata a questo.
Devo, tuttavia, sottolineare un aspetto. Non credo che i nostri siano problemi organizzativi dell'ospedale, nel senso che la struttura risponde, comunque, alla domanda che a noi afferisce. Tutto il resto - e mi sembra di capire che lo stesso discorso valga anche per gli altri - è legato a problemi di natura più generale. Intendo dire che in Sicilia in particolare - il presidente ne sa qualcosa -, sicuramente i consultori non sono una presenza significativa, tanto che l'attività che si svolge in questi luoghi è limitata. In particolar modo, trattandosi di un aspetto culturale - nulla da addebitare ai colleghi e al personale che lavora nei consultori -, certamente c'è una quota culturale della nostra popolazione che non rende facile il lavoro sul territorio.
L'ospedale rimane il riferimento sanitario preferito e, di conseguenza, l'approccio a noi è esclusivamente diretto. Forse, neanche nella settimana di riflessione esiste la voglia da parte delle donne di avvicinarsi alle realtà consultoriali. Per questo motivo credo che, se la riunione di oggi vuole essere propositiva nei confronti di alcuni miglioramenti che possono essere apportati alla legge stessa, rispetto alle diverse realtà del nostro Stato, forse bisogna analizzare in maniera differenziata la realtà e il contesto nel quale la legge si trova ad essere applicata, relativamente alle popolazioni di riferimento.
Abbiamo un indicatore di tutto ciò ed è il fatto che il numero delle recidive è piuttosto alto, vale a dire che donne pluripare tornano da noi, benché siano state consigliate nell'utilizzo di strumenti contraccettivi. È evidente che qualche aspetto è carente nell'ambito dell'informazione e


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della formazione del personale da una parte e dell'utenza dall'altra, relativamente al territorio. Per quanto attiene all'attività delle nostre unità operative di ostetricia e ginecologia, la dottoressa Giambanco può senz'altro fornire dei dati molto dettagliati.

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Sono uno dei tre medici non obiettori dell'Ospedale civico.
Vi espongo i dati relativi al 2004: abbiamo avuto 2.200 parti e 600 interruzioni volontarie di gravidanza, con un 30 per cento di utenza extracomunitaria o in ogni caso non italiana. Analizzando i nostri dati, abbiamo notato due picchi di fasce d'età come utenza. Un picco si riferisce ad una fascia d'età tra i 23 e i 25 anni, composta da grandi pluripare, vale a dire che hanno già tre o quattro figli.
Quello di iniziare la procreazione in giovane età è un nostro problema sociale...

PRESIDENTE. Sono donne italiane?

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Sì, sono italiane, locali, nostre residenti.
Un altro picco di richiesta si registra nella fascia di età intorno ai 35 anni di donne nullipare, ossia senza figli, le classiche donne in carriera.
Abbiamo anche notato che la maggior parte delle recidive, in media un 20 per cento - non poco, anzi è un grande fallimento della professione sanitaria in genere - fa parte delle grandi pluripare giovani, appartenenti ad un ceto medio-basso dal punto di vista economico e culturale che, forse, non ha neanche idea dell'esistenza dei consultori, e non per pecca del relativo personale.

PRESIDENTE. Quanto alla contraccezione?

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Della contraccezione ne sanno ancora meno, o perlomeno, l'unica forma di contraccezione che conoscono è il coito interrotto, che le porta da noi a richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza.
Anche per la fascia di età dei 35 anni - quella delle donne senza figli, le cosiddette donne in carriera - si riscontra una mancanza di responsabilità, nel senso che la contraccezione spesso non viene considerata utile o indispensabile e queste donne ritornano da noi.
Evidentemente esiste un gap di comunicazione sociosanitaria.

PRESIDENTE. Vorrei far notare che sta già emergendo un aspetto. Abbiamo invitato tutti gli ospedali e non solo i consultori perché, secondo i dati che si rilevano dalle statistiche che ci inviano, si evince che la maggior parte di queste donne non passano per i consultori.
Allora, se le donne evitano il consultorio e si recano direttamente in ospedale, ricevono ugualmente i servizi di tipo consultoriale, informativo, sociale e assistenziale? A me premeva verificare se negli ospedali viene svolta questa attività: se può essere svolta, se è necessario incrementarla, se occorre del personale, se non può essere svolta negli ospedali perché queste strutture non possono praticare attività di tipo consultoriale (riguardo alla legge n. 194), dal momento che sarebbe necessario un maggior numero di mediatori culturali, assistenti sociali, psicologi e via dicendo.
Ovviamente, è il consultorio ad avere quella finalità, ma saltando questo passaggio, una parte della legge sembrerebbe non attuata in maniera integrale.
Il direttore sanitario dell'Ospedale Mangiagalli suggeriva giustamente di rimandare queste donne ai consultori. Tuttavia, probabilmente, se riuscissimo ad avvicinarle direttamente mentre vengono in ospedale, sarebbe ancora meglio.
Non so valutare la presenza delle associazioni, degli obiettori o dei non obiettori, ma anche chi è obiettore di coscienza potrebbe svolgere il suo lavoro all'interno


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di un consultorio; anzi, lo dovrebbe fare a maggior ragione.

MAURA COSSUTTA. Fanno obiezione anche sulla contraccezione!

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Per inquadrare rapidamente la struttura, sottolineo che il nostro policlinico ospita 1.410 posti letto: l'ostetricia registra 32 posti letto, 15 di ginecologia e 5 di day hospital. All'interno del presidio lavorano 20 medici universitari e 33 ostetriche ospedaliere. Inoltre, la struttura è sede di una scuola di specializzazione di ostetricia (con 8 ostetriche universitarie, 70 allieve di ostetricia, 5 caposala) e di una scuola di ostetricia e ginecologia.
Per quanto riguarda l'attività svolta, una prima valutazione porta a prendere atto del fatto che nella nostra realtà il numero delle interruzioni di gravidanza si è drasticamente ridotto, passando da 1.219 nel 1990 a circa 500-510 nel 2003, a fronte di un incremento sostanziale dei parti da 2.171 nel 1990 a 2.473.
Credo che i buoni risultati ottenuti siano dovuti al successo di una integrazione di tre strutture di altissimo livello, che sono l'università, l'ASL e l'azienda ospedaliera. È per questo che oggi mi sono permesso di farmi accompagnare dalla responsabile del progetto salute donna, che ha alle sue dipendenze 30 consultori, 20 medici ostetrici e 33 ostetriche.
Questo è stato fatto sia attraverso percorsi condivisi tra territorio ed ospedale, sia attraverso il volontariato. Vorrei ricordare le numerose procedure che abbiamo attivato per l'interruzione volontaria della gravidanza - tre, l'ultima delle quali nel 2004 -, ma anche percorsi accessori, quali il percorso nascita e quello della contraccezione di emergenza, che hanno permesso di contenere il numero di aborti, coinvolgere ed integrare le strutture, in un percorso unico a tutela della donna.

LUIGI BENASSI, Direttore dell'unità operativa ostetricia e ginecologia dell'Azienda ospedaliera di Parma. Sono responsabile di questa struttura da un anno, ma lavoro da trent'anni nello stesso ospedale, che è l'unico della nostra città; vi è poi un'unica casa di cura privata convenzionata, che comunque svolge un'attività estremamente ridotta rispetto alla nostra. Pertanto, la maggior parte delle donne che si rivolgono ad una struttura sanitaria per la gravidanza o per la sua interruzione vengono da noi.
Avete già appreso le cifre relative alla diminuzione del numero delle interruzioni di gravidanza: la novità è rappresentata dalla percentuale di pazienti extracomunitarie che sale esponenzialmente (siamo al 30-35 per cento). Le fasce di età mi sembrano le stesse indicate dalla collega siciliana: in pratica, si tratta di donne giovani.
Siamo 20 medici. Siamo partiti con un 50 per cento di obiettori e un 50 per cento di non obiettori, ma adesso siamo arrivati a 15 medici obiettori e 5 non obiettori, attualmente senza alcun problema di convivenza. I medici non obiettori ruotano nel day surgery, dove abbiamo 5 letti, di cui in genere 1 o 2 destinati alle interruzioni di gravidanza e i restanti a patologie ginecologiche, per cui si alternano in questo ruolo. Ad ogni modo, lo ripeto, non abbiamo problemi. I medici obiettori, ovviamente, partecipano a tutte le altre attività di assistenza, anche delle pazienti che affluiscono per interruzione di gravidanza, senza alcun problema.
Questo discorso riguarda anche il percorso della contraccezione di emergenza, che abbiamo chiarito di recente per tutti i nostri medici e anche per la cittadinanza, dal momento che registriamo una forte affluenza di questo genere. La pillola del giorno dopo viene molto richiesta alla nostra struttura, di giorno e di notte, soprattutto nei giorni festivi, e siamo noi che diamo questo tipo di risposta. Dopo valutazioni anche con i medici legali, abbiamo convenuto che anche gli obiettori possono fornire regolarmente questo tipo di prestazione.


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Il rapporto con i consultori è stato da noi ritenuto sempre molto importante, tant'è vero che, adesso che i consultori sono un po' in difficoltà a livello di personale, abbiamo offerto nostro personale a contratto, sia per l'attività consultoriale, quindi anche per l'interruzione di gravidanza, sia per lo spazio immigrati, che ha un ruolo importante nella nostra città perché si registrano cospicue quote di immigrazione.
Il rapporto con i consultori ha riguardato anche l'aspetto della prevenzione. I consultori hanno istituzionalmente il compito di occuparsi dell'educazione sanitaria e sessuale nelle scuole; per noi che lavoriamo in ospedale è un compito che non riusciamo a svolgere, a parte qualche iniziativa che ci ha spinto ad entrare nelle scuole. Insieme, azienda ospedaliera e azienda ASL, abbiamo preparato un dépliant sulla contraccezione, che noi offriamo alle nostre pazienti in day surgery e loro nei consultori, in cui sono indicati i luoghi di accesso e le modalità di intervento che possono essere offerte.
Proprio di recente, l'assessore della regione Emilia-Romagna ci ha convocato per parlare della possibilità di aprirci anche alla pillola RU486: insieme abbiamo valutato un percorso che attueremo, credo, al più presto.
Per quanto riguarda le strutture di volontariato, io stesso sono sostenitore del Centro di aiuto alla vita, per cui le gravidanze che dai consultori vengono appoggiate alle stesse vengono seguite direttamente da loro o da noi, attraverso un gruppo di medici che, all'interno della nostra struttura, offre questo tipo di volontariato: direi che si è trattato di un'integrazione finora soddisfacente.
Lascerei adesso la parola alla dottoressa Salvini, che ha la quota maggiore di attività, nel senso che il 70 per cento delle pazienti che richiedono l'interruzione di gravidanza viene a noi dai consultori. In pratica, abbiamo diviso la nostra attività nel modo seguente: ai consultori dovrebbero andare le pazienti residenti in città e da noi dovrebbero venire quelle della provincia. Abbiamo, quindi, una quota minima di affluenza. In realtà, ci sono anche alcuni liberi professionisti, molto pochi, che ci mandano i loro pazienti. Considerata l'alta percentuale - circa il 70 per cento - delle pazienti che provengono dai consultori, credo che sia interessante ascoltare la dottoressa Salvini.

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Prima che intervenga la dottoressa Salvini, mi preme rilevare che abbiamo forzato un po' la mano: non siamo venuti come azienda ospedaliera - me ne assumo personalmente la responsabilità -, ma per trovare un'integrazione abbiamo chiamato l'azienda «sorella», altrimenti non si capisce come poter sviluppare il discorso.

PRESIDENTE. Abbiamo voluto ascoltare varie realtà proprio per cercare di capire se esistano diversità nell'organizzazione. Può darsi, ad esempio, che la vostra organizzazione renda meglio di un'altra. Ben vengano, dunque, queste integrazioni.

PAOLA SALVINI, Responsabile del programma salute donna e dirigente medico di ostetricia e ginecologia dell'Azienda sanitaria locale di Parma. Ringrazio i colleghi, perché quella che ci viene offerta rappresenta per noi l'opportunità di presentare il lavoro che da anni svolgiamo insieme, che è stato produttivo ed è cresciuto nel tempo. Riguardavamo proprio in questi giorni i primi protocolli di percorsi integrati, che risalgono al 1998-1999.
Come hanno già anticipato i colleghi, la scelta che abbiamo portato avanti è la seguente: i consultori sono i luoghi deputati alla contraccezione, alla promozione della salute e alla tutela della maternità, quindi cerchiamo di far arrivare a queste strutture la maggioranza delle donne. Anche quelle che si rivolgono direttamente alla clinica, se sono residenti nel nostro territorio vengono dirottate verso i consultori. La clinica, dunque, si fa carico


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delle pazienti che magari si trovano solo occasionalmente a Parma e che provengono da altre zone.
Questo naturalmente significa che noi abbiamo scelto di incontrare le donne il più rapidamente possibile. Il percorso che abbiamo individuato prevede che la prenotazione avvenga direttamente in azienda ospedaliera. Le donne, però, fanno da noi il colloquio, che avviene in due tempi. Una prima accoglienza viene sempre curata dall'ostetrica, come del resto succede anche per le altre pazienti, in modo che ci sia un momento di conoscenza del servizio e di quello che possiamo fare. Dopodiché, se la donna conferma la propria scelta, passa al ginecologo per la compilazione e la certificazione. Naturalmente, se si intravedono delle perplessità, la procedura prevede che si contatti il servizio sociale dei comuni (non abbiamo l'assistente sociale nel territorio) oppure le associazioni di volontariato, i Centri di aiuto alla vita in modo particolare. In questo caso, siamo noi a prendere l'appuntamento per la donna.
Se la donna decide, comunque, di interrompere la gravidanza, prima di uscire dal consultorio le viene prenotata una visita di controllo e, quindi, la consulenza. La visita, anziché nel punto ospedaliero, come sarebbe previsto dal DRG, viene effettuata direttamente dal consultorio, che è in effetti il luogo della consulenza e dispone di spazio e tempo maggiori.
Per quanto riguarda la popolazione che riceviamo, anche da noi si registra un aumento delle donne immigrate, la cui percentuale raggiunge ormai il 35 per cento. È evidente che queste sono le pazienti più problematiche, per questioni di lingua, di cultura e di percorsi diversi.
Altro aspetto da considerare è quello della popolazione che afferisce, invece, allo spazio giovani, ossia alla struttura pubblica per adolescenti sotto i 21 anni, che naturalmente devono essere maggiormente protette e seguite. Anche in questo caso, ci occupiamo noi delle certificazioni per le adolescenti che chiedono di non consultare i genitori e, quindi, le accompagniamo dal giudice tutelare. Questo avviene solo nella nostra struttura pubblica.
Un'altra attività dei consultori, a cui teniamo in maniera particolare e sulla quale insistiamo molto, è quella della prevenzione di gravidanze indesiderate, che si rivolge in generale alle donne e non solo a quelle che vengono a chiedere informazioni sulla legge n. 194. Svolgiamo, altresì, attività di promozione della salute nelle scuole e attività di prevenzione di gravidanze indesiderate durante i corsi di preparazione alla nascita. Va considerato, infatti, il problema delle pluripare o della contraccezione durante il puerperio, e sappiamo che questo è un tema piuttosto «caldo». Dal punto di vista dell'attività di promozione della salute, cito ad esempio gli screening del carcinoma del collo dell'utero; le donne dai 25 anni in su afferiscono con chiamata attiva.
È da sottolineare che, negli anni, il percorso integrato con l'azienda ospedaliera è stata una delle iniziative principali che abbiamo sperimentato e che, naturalmente, continueremo a sperimentare.

PRESIDENTE. Permettetemi di sottolineare un aspetto che è stato da più parti richiamato.
Qualcuno ha sostenuto che alcune donne, pur avendo chiesto di abortire, hanno cambiato idea e non hanno portato a termine l'interruzione di gravidanza perché hanno fatto una scelta diversa. I dati che abbiamo ricevuto dall'ISTAT, se non sbaglio la settimana scorsa, indicano che, al massimo, questo incide nella misura del 5 per cento e, quindi, non più di tanto. Vorrei sapere da voi, comunque, se questo sia un dato riscontrabile sia nelle strutture più grandi sia in quelle più piccole.
Inoltre, poiché si notano, nell'organizzazione del servizio, differenze abbastanza importanti tra Parma ed altre città - quale ad esempio Palermo, la mia terra -, vorrei capire se ci siano differenze anche in questo senso.

PAOLA SALVINI, Responsabile del programma salute donna e dirigente medico di


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ostetricia e ginecologia dell'Azienda sanitaria locale di Parma. È difficile raccogliere questi dati, ma sarebbe davvero importante riuscire a rilevarli, per capire quante sono le prime richieste e quante le certificazioni effettive.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Sono una ginecologa e opero in un piccolo ospedale, che dunque rappresenta una realtà più contenuta rispetto ai grandi ospedali dei quali abbiamo sentito parlare sinora.
Provengo da una formazione consultoriale. In Abruzzo sono stata una delle prime ginecologhe in un gruppo di amici che hanno scelto di lavorare nei consultori nel 1976, 1977, 1978. Ricordo che, all'inizio, nessuno voleva svolgere il lavoro consultoriale. A quel tempo, dunque, hanno mandato noi ragazze a lavorare in quelle strutture e devo dire che è stata una grossa palestra di vita, davvero importante per la mia formazione come donna, come medico e come ginecologo. È stato un luogo di apertura nei confronti della società.
Non siamo rimasti chiusi al nostro interno, ma siamo andati a cercare nella società le fasce di rischio: a quell'epoca, abbiamo fatto veramente tanta, tanta prevenzione.
È evidente che la nostra formazione culturale ce la siamo portata dietro nel nostro lavoro ospedaliero e siamo rimasti in contatto con le persone che attualmente lavorano nei consultori. Il nostro ospedale è integrato strettamente con la rete consultoriale. Il collega responsabile dei servizi consultoriali della nostra ASL si confronta mensilmente con l'ospedale, perché svolgiamo riunioni sulle problematiche che possono afferire ad entrambe le strutture. Il servizio è rimasto chiuso per un paio di anni per mancanza di personale.
Mi occupo di questo modulo ormai da tanti anni e posso dire che abbiamo notevoli difficoltà organizzative. La ghettizzazione, a volte, non è soltanto nella progressione di carriera (a volte c'è, a volte no, è inutile nasconderselo). Sicuramente io non mi sento ghettizzata nello svolgere un servizio che rientra nella nostra competenza. La nostra è una scelta, ma è soprattutto un aiuto che offriamo per risolvere disagi davvero notevoli.
Il problema è organizzativo e riguarda il personale parasanitario. Credetemi, noi non abbiamo personale e siamo costretti a inseguire le persone per chiedere loro di lavorare con noi. Quando ho riaperto il servizio sono scappati tutti. Nessuno, tra il personale parasanitario, voleva collaborare con me poiché si tratta di un impegno lavorativo notevole, che richiede tempo, sacrifici, pazienza, comporta che si debba riportare la paziente a letto, parlare con lei, metterle la flebo e quant'altro. Noi facciamo di tutto, ma lo facciamo volentieri perché queste donne hanno bisogno della nostra pazienza, del nostro impegno e di avere vicino qualcuno che le capisca in questa scelta difficile. Hanno bisogno di non essere né condannate, né lasciate da sole.
Il momento consultoriale è già un gran passo perché in quella sede le donne vengono seguite dalla psicologa e dall'assistente sociale, hanno un colloquio con loro e, se necessario, anche con la nostra psicologa e assistente sociale dell'ospedale. Questi servizi, che offriamo noi in ospedale ma che vengono offerti anche fuori, si integrano a vicenda. Appena la donna ha bisogno di qualcosa, basta una telefonata e arriva qualcuno che la aiuta. Il problema vero è l'intervento chirurgico, il momento in cui la donna, a volte, non riesce a sentirsi compresa, tutelata, seguita. Noi viviamo questo momento anche da un punto di vista medico e non dovremmo perdere una sensibilità che è necessario mantenere. È questo che costa tanto sacrificio, per cui il personale manca.
Non credo che la legge possa essere applicata meglio di come già avviene. Almeno dalle mie parti - non conosco le altre realtà, ma faccio riferimento ai dati contenuti nelle relazioni dell'ISTAT - c'è stata una netta diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza: è un fatto lampante. Tale diminuzione si è verificata


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grazie anche a una grossa informazione sulla procreazione responsabile: da questo punto di vista, si è svolto un lavoro importante sul territorio, nelle scuole, sulle famiglie, sulla sessualità, sulle donne. Va citato, altresì, il lavoro svolto sia da noi ginecologi, che dovremmo essere considerati i medici della donna, sia anche dal consultorio, dalle assistenti sociali, dalle psicologhe. Il consultorio non è stato soltanto un luogo fisico, ma un luogo di incontro, di collaborazione e di multidisciplina. Sarebbe davvero importante, dunque, incrementare le piante organiche.
Se venisse applicato il progetto obiettivo materno-infantile del 1998-2000, avremmo una sicurezza non solo dell'applicazione della legge n. 194, ma anche dei punti nascita che sono altamente insicuri. Questo è già un altro dato su cui forse bisognerà aprire un contenzioso...

PRESIDENTE. Poi avvieremo un'altra indagine.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Comunque, nella realtà locale abruzzese si è verificata una notevolissima diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza. Per quanto ci riguarda, abbiamo attivato tutto quello che può essere attivato, con molta attenzione all'autodeterminazione della donna, come del resto il legislatore ha previsto in maniera ben chiara nella stesura della legge.
Nel momento che precede l'intervento chirurgico, incontro personalmente le donne per capire se sono determinate ad affrontare l'intervento o se intendono recedere dalla loro decisione. Credo che la percentuale delle donne che a livello nazionale rinunciano all'aborto sia del 5 per cento.
Sicuramente insistiamo molto sulla necessità di controlli successivi all'intervento e insistiamo che tali controlli avvengano nei consultori, che rappresentano il punto di riferimento che può evitare il ripetersi dell'intervento chirurgico. Considerando la nostra stretta collaborazione con i consultori, non è tanto importante il luogo, quanto il fatto che la donna torni e trovi la persona con la quale confrontarsi.
Anche noi abbiamo riscontrato un aumento delle donne immigrate nella popolazione che si rivolge alle nostre strutture. Per queste donne, grazie alla cultura del loro paese di origine, farsi visitare da un uomo può essere un problema. Se il collega del consultorio è un uomo, allora ci si confronta e si preferisce far tornare queste donne da noi. Certo, anche questo è un sacrificio, che richiede tempo e pazienza. Nell'ospedale di Pescara è stata introdotta la figura del mediatore culturale, ma nell'ambito del volontariato, in quanto non sono stati reperiti i fondi necessari. Sicuramente si sta lavorando affinché questa figura possa essere disponibile non solo nell'ospedale di riferimento, ma anche per altre strutture. Non è detto che debba spostarsi la donna, potrebbero anche spostarsi le persone che si offrono per la mediazione culturale.
Queste donne immigrate, oltre ad avere problemi di comunicazione per la lingua, hanno difficoltà ad accettare la contraccezione. In molti paesi la procreazione responsabile non esiste, non è prevista nella loro cultura. Fanno i figli, ma in Italia, pur volendoli fare, non hanno le strutture, un lavoro, una casa: non hanno nulla. Pertanto, il nostro aiuto è anche nel seguirle successivamente; per questo collaboriamo con molti servizi di volontariato sociale nel territorio, ad esempio con la Caritas. Le seguiamo sulla presenza dei minori e a casa.
In definitiva, il lavoro è tanto, noi siamo pochi e i fondi sono sempre più scarsi. Sicuramente le leggi ci sono, basta applicarle. Spero che continuino ad essere applicate, così come il nostro lavoro ha dimostrato negli anni.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Sono dirigente medico della direzione sanitaria e sono affiancato dal dottor Tamburrino, dirigente medico ginecologo. La nostra è una piccola realtà, forse la più piccola di quelle descritte finora: abbiamo un piccolo ospedale,


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sebbene nuovissimo, con 400 posti letto e registriamo circa 1.100 parti ogni anno.
Dico subito che la nostra integrazione con il consultorio è ottimale. Abbiamo trovato una sintonia eccezionale, in quanto già nei progetti obiettivo presentati dalla nostra ginecologa, che dirige i due consultori, abbiamo attuato pienamente i suggerimenti e ottimizzato questo rapporto. Dei 13 medici della struttura complessa di ostetricia solo il dottor Tamburrino non è obiettore. Specifico che precedentemente ci appoggiavamo alla realtà barese e non avevamo questa possibilità. Il dottor Tamburrino, che fa parte della ASL, è passato da poco tempo alla struttura ospedaliera come medico non obiettore.
Il lavoro svolto con i consultori è stato proficuo perché il progetto obiettivo presentato dall'azienda è stato attuato in pieno: su 226 richieste di interruzione volontarie di gravidanza - parlo del 2004 - solo 143 sono state eseguite.

PRESIDENTE. Scusi, non ho capito.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Su 226 richieste, sono stati eseguiti 143 aborti.

PRESIDENTE. E le altre richieste?

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Le richieste rientrate di sicuro sono 19. La nostra è una piccola realtà che, forse, ci consegna dei dati di facile lettura, sebbene vadano confrontati con il resto della realtà nazionale.
Per tornare ai numeri, abbiamo avuto 23 immigrate e per 28 c'è stato solo un passaggio di informazione. Come provenienza, abbiamo avuto 17 casi dalle altre regioni, 53 dalle altre ASL della regione, 78 da Matera e 38 dalla provincia.
Per quanto riguarda le fasce di età, il 25 per cento delle richieste riguarda donne di età compresa tra 30 e 34 anni, l'8 per cento donne tra 15 e 19 anni, il 22 per cento donne tra 25 e 29 anni. Il trend degli ultimi anni non è in completa flessione, ma si è più o meno stabilizzato (negli anni precedenti siamo intorno ai 120, ma siamo anche arrivati a 143).
In ciascuno dei due consultori presenti in città operano una ginecologa, uno psicologo, un'ostetrica, due assistenti sociali e un assistente sanitario. In più, abbiamo un gruppo di circa dieci volontari della famiglia-risorsa, che collaborano a stretto contatto con gli assistenti sociali nelle accoglienze.
Il progetto a cui facevo riferimento ha prodotto risultati, in quanto è stata fatta molta prevenzione nelle scuole. Abbiamo sostenuto la maternità/paternità responsabile e questo ci ha dato risultati importanti perché tutti si rivolgono al consultorio. I medici di famiglia hanno svolto una funzione di informazione e direi che solo in pochissimi casi i soggetti si sono rivolti direttamente all'ospedale. I consultori, dunque, hanno avuto quella funzione di filtro che si richiedeva loro.
Certo, si potrebbe fare ancora di più ma, considerando che tale realtà partiva svantaggiata dalla presenza predominante di medici obiettori, devo dire che è un ottimo risultato.
Per quanto riguarda l'accoglienza, la presenza dei volontari ci è stata d'aiuto, mentre il ginecologo e le ostetriche hanno svolto tutti i passaggi di loro competenza nei tempi dovuti, assicurando la necessaria serenità per compiere la scelta.
La famiglia-risorsa, che deriva da una delibera regionale, è composta da operatori selezionati e formati. I relativi corsi di formazione sono stati molto seguiti perché a livello del volontariato questa partecipazione è molto sentita.
Per quello che va oltre i 90 giorni, a Potenza il punto di riferimento è l'IPAI, una realtà che esula dal controllo della nostra ASL.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Non ho molto da aggiungere, ma vorrei riferire quello che siamo riusciti a fare insieme alla collega del consultorio.


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Innanzitutto, sono io che mi sposto dall'ospedale al consultorio e mi sembra che questa sia una scelta efficace, in quanto in quell'ambiente la donna, probabilmente, si sente più tranquilla. Credo che possa contribuire a tranquillizzarla il fatto di trovarsi di fronte due medici, un'ostetrica e una psicologa, che non sono lì per interrogarla con tono inquisitorio, ma per accoglierla e ascoltare le sue necessità. Ad ogni richiesta viene prontamente data risposta. Inoltre, se manca parecchio al termine dei 90 giorni, ci si incontra più spesso, per verificare se la donna è seriamente motivata oppure se presenta qualche problema che potrebbe essere risolto in qualche maniera.
Qualche esperienza positiva c'è stata.

PRESIDENTE. Prima si è parlato di 19 casi su 226. Siamo al di sopra della media...

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Insomma, è una buona media, abbiamo un'esperienza positiva. A questo aggiungo che la direzione dell'azienda sanitaria è abbastanza sensibile al problema, tant'è che, proprio per evitare che si verifichino casi di recidive, ha accolto la richiesta della collega ginecologa del consultorio di approvvigionarsi di dispositivi intrauterini da proporre in contemporanea all'intervento.
Insomma, svolgendo questo servizio ed adoperandoci affinché la legge sia applicata al meglio, non mi sembra che sia necessario intervenire per demolirla.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per le relazioni svolte.
Ho notato qualche discrepanza nell'attività tra i grandi e i piccoli ospedali. Sicuramente, è emersa la necessità di un'integrazione tra il territorio, il consultorio, il medico di famiglia e gli ospedali. Forse la parte più assente, in questo tipo di interventi, è quella dei medici di famiglia (comunque, li ascolteremo, ed è probabile che questa impressione cambi). Maggiore è l'integrazione con i consultori - ma anche con le associazioni, che evidentemente possono aiutare a svolgere meglio questa funzione -, meglio viene attuato il servizio. Questa è la mia personale opinione.
Ben venga, naturalmente, il dato di rinuncia all'interruzione volontaria di gravidanza. Nell'ultimo intervento si è parlato di 19 casi su 226, che è un dato superiore alla media precedentemente riferita, ossia del 5 per cento. Il discorso, tuttavia, va approfondito, perché molti di questi casi sfuggono o non vengono seguiti fino in fondo. Sicuramente, in tutti i grandi ospedali c'è una percentuale di donne che non si recano all'appuntamento, ma può anche succedere che per qualsiasi motivo preferiscano rivolgersi ad altre strutture.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

GRAZIA LABATE. Vorrei rivolgere un ringraziamento sincero, non formale, ai medici che sono intervenuti, ancorché da realtà molto diverse. Le loro parole, al di là del lavoro che stiamo svolgendo con le audizioni dell'indagine conoscitiva, confermano ciò che sapevamo. Intendo dire che questa legge viene applicata interamente sul nostro territorio nazionale, quindi quella italiana non è una realtà di «abortifici». Lo dico perché sarà bene far sapere ai presenti che questa indagine è stata contrastata, perlomeno da diverse forze politiche, non già per ragioni ideologiche, ma perché eravamo convinti che le relazioni presentate al Parlamento, i numerosi convegni che si svolgono nel nostro paese su questi temi e la realtà territoriale dalla quale ognuno dei parlamentari proviene bastassero per confermare che in Italia il fenomeno dell'aborto è in costante diminuzione, al di là del dato riguardante le donne immigrate.
Ritenevamo, insomma, che ci fosse stato un grandissimo salto culturale nell'applicazione di questa legge, e voi oggi me lo confermate. La legge è applicata in tutte le sue parti.
Ho molto apprezzato questo lavoro di integrazione tra ospedale e territorio. Posto


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che nessuno di noi ha come concezione culturale quella della «non vita» o della morte, nel rispetto della volontà degli individui, quello che ho molto apprezzato è che questo lavoro di integrazione produce un risultato, per certi aspetti, straordinario, se si eccettua il fenomeno - lo abbiamo sentito per la Sicilia, ma avviene anche in altre parti del paese - della recidività dell'aborto, che, però, chiama in causa una serie di fattori culturali più generali, sui quali bisogna insistere. Credo, infatti, che il vero problema del nostro paese, nel quale si stenta ancora molto, sia una cultura della contraccezione per una paternità e una maternità responsabili.
Fatta questa premessa, passo alle domande. La prima la rivolgo al dottor Tiso, del presidio ospedaliero Mangiagalli, che ci riporta un'esperienza molto interessante, quella di una realtà ospedaliera grande, nella quale opera un consultorio del Movimento per la vita. Dal punto di vista quantitativo o statistico, anche nella struttura nella quale opera si registra un 5 per cento di recupero delle decisioni di aborto? Inoltre, lei sottolineava l'incidenza del numero delle ragazze madri, poiché il vero problema che lei ha riscontrato è quello della casa. Ebbene, mi piacerebbe conoscere meglio il modo di operare di questa organizzazione del volontariato. Vorrei sapere se si connetta con il comune di Milano, con le strutture istituzionali deputate a fornire una risposta, o se abbia un'autonomia per provvedere economicamente e socialmente alle problematiche che sono a monte di una decisione non del tutto consapevole.
La dottoressa Scassellati ci ha parlato delle difficoltà con cui lavora al San Camillo. In che senso per chi è ginecologo strutturato in quell'ospedale è impossibile lavorare in regime di libera professione? La legge dello Stato non fa una discriminazione dell'applicazione dell'istituto dell'intra moenia per il personale strutturato nei servizi. Vorrei capirlo, perché, se ci fosse un'applicazione non corretta, e, pertanto, una discriminazione, avremmo molte ragioni, attraverso i nostri strumenti di sindacato ispettivo, per capire come avvenga in quell'azienda ospedaliera l'applicazione delle nostre leggi. Naturalmente, mi rendo conto che applicare la libera professione per l'interruzione volontaria della gravidanza vorrebbe dire averne una richiesta in tale sovrannumero che l'ospedale dovrebbe strutturarsi...

PRESIDENTE. Può darsi che diminuiscano gli obiettori!

GRAZIA LABATE. Colgo la battuta di spirito, ma credo che questo sia un argomento molto importante, che non ammette ironia. Mi piacerebbe, insomma, capirne di più su questa vicenda.
Inoltre, va rilevato che è stato unanime il discorso relativo alle donne immigrate extracomunitarie. Il dato che le riguarda, in qualche modo, compensa la riduzione che, invece, si è registrata per le donne italiane, grazie all'opera ospedaliera e territoriale, merito soprattutto delle stesse donne. Non lo dico perché sono intervenute alcune ginecologhe, ma perché, fin dal 1975, da consigliera comunale, mi sono battuta per l'istituzione dei consultori ed ho visto con quanta abnegazione in particolare le ginecologhe donne si sono dedicate a questa materia. Ricordo che si trattava di un servizio di frontiera nel nostro paese; non eravamo abituati a counseling di tipo contraccettivo o sessuale. Del resto, anche oggi, avendo figli di una certa età, mi rendo conto che nelle scuole non è andata avanti un'opera di informazione e di educazione sessuale, e che, nonostante l'età moderna e la liberalizzazione dei costumi, intorno a questa materia spesso c'è tantissima ignoranza.
Se voi rilevate questo dato di incidenza, mi piacerebbe conoscere se anche rispetto alle donne extracomunitarie vi sia un'azione da parte delle organizzazioni di volontariato, nel caso di decisioni non troppo consapevoli. Avete parlato di extracomunitarie che, spesso, non hanno lavoro e vivono in condizioni disagiate. Questo sarebbe utile all'indagine conoscitiva e permetterebbe a noi parlamentari della Repubblica di avanzare proposte molto più serie.


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Infine, mi pare di capire che il massimo dell'esperienza positiva si abbia laddove c'è l'integrazione tra l'ospedale e il territorio. Chiedo, allora, ai rappresentanti delle regioni che ne hanno parlato meno se i loro piani sanitari regionali abbiano previsto i dipartimenti integrati tra ospedale e territorio, oppure se ci sia ancora una carenza di indirizzo programmatico al livello più generale della regione che, in qualche modo, consente di fare esperienze buone, ma parallele, che rischiano di non incontrarsi e di non ottenere il massimo del risultato.

MAURA COSSUTTA. Anch'io ringrazio in modo non formale tutti gli intervenuti, anche per averci offerto elementi seri di riflessione. Abbiamo già detto, tra l'altro, che le situazioni sarebbero ben diverse se avessimo ascoltato, ad esempio utilizzando lo strumento della relazione annuale del ministro della salute, prevista dalla legge, quello che, da tempo, tutti gli operatori ci dicono. Oggi non si inventa nulla. Sono decenni che gli operatori dei consultori denunciano le criticità che abbiamo ascoltato.

PRESIDENTE. Non è mai troppo tardi.

MAURA COSSUTTA. La politica non ha ascoltato questo grido di allarme. Mi allarma, invece, che proprio adesso si avvii un'indagine conoscitiva, si dice, per difendere una legge, ma, io ritengo, per scardinarla dall'interno.
Mi rivolgo al collega del presidio ospedaliero Mangiagalli, che, giustamente, ha riferito l'impegno coerente di trovare sintesi, quindi la difficoltà insita in questo impegno, ma anche la ricchezza di figure e di esperienze diverse. Il Movimento per la vita che gestisce questo consultorio, come lei ben sa, probabilmente è lo stesso che, davanti al policlinico di Modena, si è reso protagonista di quell'episodio che abbiamo più volte richiamato (Commenti)... Mi dice che non è lo stesso, ma il discorso non cambia. Allora, più che individuare che cosa serve, diciamo innanzitutto cosa non serve oggi per difendere la legge. Innanzitutto, non serve l'approccio ideologico.

CARMELO PORCU. Appunto, non serve.

MAURA COSSUTTA. Ho chiesto al ministro Storace di pronunciare una parola di condanna di questi movimenti - chiamiamoli sanfedisti o integralisti islamici, scegliete voi - che, davanti al policlinico di Modena, con una croce gigantesca, distribuivano alle donne depliant con le immagini a colori dei feti. Se qualcuno pensa che questo sia il modo di aiutare le donne e gli operatori, credo che in questa Commissione una parola chiara debba essere pronunciata. È necessario, allora, specificare quali sono le associazioni di volontariato. Attorno alla legge n. 194, con il cavallo di Troia della presenza delle associazioni di volontariato, si vuole reintrodurre la cultura della colpa che, a parte l'approccio ideologico, non funziona per l'applicazione della legge.
Cosa pensate - mi rivolgo agli operatori - che potrebbe succedere se venissero potenziati questi aspetti ideologici? Il ministro Storace sostiene che bisogna aggiungere i questionari: a mio avviso questi questionari, atti a verificare il famoso 5 per cento delle donne che recedono, potrebbero essere distribuiti dal Movimento per la vita. Voi non considerate che ci sia un rischio reale dell'aumento degli aborti clandestini? Non considerate che ci sia un rischio reale soprattutto per le donne immigrate, che non hanno legami sociali, non hanno sicurezze affettive, non hanno reti di protezione? Per queste donne l'accesso al consultorio era ed è l'unica e ultima spiaggia. Che cosa può comportare la presenza, in queste strutture, di movimenti integralisti che, più che aiutare, giudicano le donne? Tra l'altro, dobbiamo ricordare che la maggior parte di queste donne è irregolare e il timore dell'approccio sicuramente favorirà l'aumento degli aborti clandestini.
Sono d'accordo sull'importanza dell'integrazione con il territorio. Tuttavia, a mio


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parere, la presenza del Movimento per la vita e delle associazioni di volontariato negli ospedali, anziché potenziare i consultori rischia di depotenziarli. Noi dobbiamo dire con chiarezza, al di là delle differenze di posizione, che oltre l'approccio all'ospedale, previsto dalla legge, con la certificazione, l'approccio al consultorio, dal punto di vista scientifico e della sperimentazione, è indispensabile perché non ci siano le recidive e perché la donna ritorni al consultorio per sottoporsi ad altre prestazioni indispensabili per la sua salute riproduttiva e per la sua salute in generale. E può chiamarsi consultorio solo quello che può lavorare come servizio di prevenzione attiva.
Giustamente la collega - sono anch'io medico - riferiva che al consultorio si rivolge direttamente l'utenza, ma quello che dobbiamo fare è esattamente il contrario! É il consultorio che deve andare verso l'utenza che ad esso non si rivolge spontaneamente. E per popolazione a rischio non mi riferisco solo alle donne immigrate ed ai relativi servizi di strada (tra l'altro, vorrei vedere in quale città si svolgono i servizi di strada per aiutare le donne immigrate, ad esempio le prostitute). Occorre un'azione anche verso le donne pluripare. La collega ci ha riferito che sono soprattutto le pluripare ad avere recidive ed ha ragione a chiedere quando applichiamo questo benedetto progetto obiettivo. È lì che dobbiamo contattare le donne. Questa è la complessità del consultorio.
Signor presidente, lei ci chiede di parlare solo dell'interruzione volontaria di gravidanza e di questo aspetto specifico del consultorio, ma questo significa che non abbiamo capito come devono funzionare i consultori. Solo se i consultori funzionano anche quando la donna vi si reca per partorire, potranno adeguatamente funzionare per l'IVG. Questa è l'esperienza degli operatori.
Innanzitutto, servono risorse. Oggi pomeriggio andrò in Aula a difendere un mio ordine del giorno - avete posto la fiducia sulla legge finanziaria, quindi ci rimangono gli ordini del giorno - che chiede di stanziare risorse per i consultori. In questa finanziaria non è prevista una lira per i consultori, per assumere personale, per le politiche sociali, per le politiche occupazionali delle donne, per aumentare le indennità di maternità per le lavoratrici precarie. Allora, che cosa vogliamo dire quando parliamo di tutela della maternità? A cosa serve, dunque, questa indagine conoscitiva sulla legge n. 194? Credo che gli operatori abbiano denunciato da tempo gli elementi di criticità e, ancora oggi, con grande chiarezza - di questo li ringrazio ancora -, li hanno ribaditi in questa audizione. Ora, però, serve coerenza e impegno.
Temo, lo ripeto, una risoluzione dell'indagine conoscitiva che, di fatto, metterà sotto attacco la legge. Se l'obiettivo, come ha detto il ministro Storace, è di sottolineare la centralità di quell'aspetto della prevenzione, che significa salvare i 4 milioni 500 mila bambini non nati, significa che non si è capito nulla di cosa sia l'attività preminente di prevenzione delle IVG svolta dai consultori, vale a dire l'uso adeguato e consapevole dei contraccettivi.

CARLA CASTELLANI. Il ministro non ha detto questo.

MAURA COSSUTTA. Questa è esattamente l'attività di prevenzione, ma il ministro Storace non ha detto una sola parola sulla contraccezione. Proporrei che i medici obiettori almeno svolgessero obbligatoriamente i corsi sulla contraccezione nelle scuole e sul territorio, in difesa della vita. Sappiamo, invece, che esistono obiettori che fanno obiezione anche sui metodi contraccettivi.
Si tratta di fare un passo avanti e di garantire l'accesso gratuito agli anticoncezionali ai giovani e agli adolescenti, perché così si costruiscono una paternità e una maternità responsabile, visto che la sessualità, fino a prova contraria, anche le ragazze e le donne hanno diritto ad averla...

CARLA CASTELLANI. Ci sono anche altri modi.


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MAURA COSSUTTA. Diciamo che la contraccezione è un metodo che le donne hanno scelto. Lasciamoglielo, quindi, se non vogliamo tornare all'Iran degli islamici e dei fondamentalisti.

CARMELO PORCU. Che ci sono adesso!

MAURA COSSUTTA. Credo che le proposte di questi operatori segnino una linea importante. Non possiamo procedere in un'indagine conoscitiva che, invece di tener conto di queste proposte e di questi suggerimenti, temo voglia indirizzarsi su una strada ideologica.

LUANA ZANELLA. Innanzitutto, per quanto riguarda la Basilicata, nella relazione che ci è stata consegnata qualche settimana fa dal ministro della salute si legge che, con riferimento al 2003, la situazione della Basilicata è assai particolare, in quanto poco meno della metà delle IVG riguardanti donne residenti viene effettuata fuori regione. È dal 2004, dunque, che le cose sono cambiate? Da quello che abbiamo sentito, è un dato molto recente.
Questo discorso mi serve per svolgere un ragionamento sull'obiezione di coscienza. So bene che alcuni obiettori lo sono anche per stanchezza, dopo anni e anni di attività in questo settore, e per le ragioni che abbiamo ascoltato. Credo che nei progetti obiettivo - dalla nostra indagine potrebbe emergere anche questo - dovrebbe essere riconosciuta, invece, una sorta di indennità speciale a coloro che svolgono questo tipo di attività, anche per la complessità e la delicatezza della materia. A mio giudizio, si dovrebbe prevedere una sorta di riconoscimento, naturalmente all'interno di una progettazione complessiva (Commenti del deputato Porcu). Non sarà mica possibile che in un ospedale ci siano venti ginecologi, dei quali, magari, solo tre o quattro non obiettori (Commenti del deputato Porcu).
Non dico di prevedere un incentivo per ogni aborto. Se vogliamo che la legge venga applicata e che ci sia un'organizzazione coerente di uno dei settori più delicati, non dico di riconoscere un tot in più per ogni aborto ai medici che li praticano - non sono stupida -, ma di rendere più appetibile questo tipo di attività anche a coloro che, strumentalmente, non la svolgono, e non già perché sono cattolici, ma perché è un'attività penalizzante, e questo è un problema! Sappiamo che questa è la vera ragione. Conosco medici che non praticano più aborti, perché sono stanchi di fare solo quello.
È chiaro che farlo per tutta la vita diventa stressante e non credo che sia un'azione gradevole dal punto di vista psicologico. Se fossi ginecologa o ostetrica, avrei difficoltà a svolgere per tutta la vita questo lavoro.

CARLA CASTELLANI. Dove sta scritto che si fa tutta la vita!

LUANA ZANELLA. Ma se a Matera ci sono solo due o tre medici che non sono obiettori e le donne di quella regione vanno in Puglia per abortire! Abbi pazienza! È anche una questione di coscienza. È chiaro che ci si trova dentro un meccanismo da cui è difficile uscire! Comunque, la polemica è sintomatica del fatto che il problema esiste.
A mio avviso, non emerge abbastanza chiaramente - perlomeno io non l'ho capito - quali siano, a livello nazionale, i luoghi dove effettivamente si sviluppa questa campagna informativa, ad esempio, attraverso le scuole. In secondo luogo, vorrei sapere quanti consultori che funzionano in maniera adeguata esistano in Sicilia. Infine, ho l'impressione che esista ancora - in Veneto sicuramente - una percentuale non trascurabile di aborti clandestini. Avete idea di quale possa essere la dimensione del fenomeno?
A livello delle varie realtà, quali sono gli ostacoli alla piena applicazione del progetto obiettivo materno-infantile e dei livelli essenziali di assistenza (LEA)?

CARMELO PORCU. Signor presidente, anch'io vorrei aggiungere un ringraziamento non formale agli amici intervenuti,


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non soltanto per loro presenza in Commissione, ma anche per altri motivi, secondo me fondamentali.
Anzitutto, i nostri ospiti ci hanno fornito un quadro, comunque, tranquillizzante e positivo dell'azione che essi svolgono, e questa è già una cosa importante, perché la professionalità e anche l'umanità che hanno dimostrato oggi nei loro interventi ci dicono quanta fatica comporti la loro attività e quanto degno di rispetto sia il loro lavoro nelle frontiere dove operano quotidianamente.
Proprio dal complesso dei loro interventi emerge l'utilità della nostra indagine conoscitiva, un'utilità che non può essere messa in discussione da alcuno, perché è assolutamente interessante conoscere tutte le realtà che ruotano attorno alla legge n. 194, ed è significativo che lo facciamo in maniera solenne, non attraverso una banale discussione periodica, la burocratica relazione ministeriale, ma con un'operazione conoscitiva molto più importante, penetrante ed impegnativa come quella che stiamo svolgendo. Il mio ringraziamento, quindi, va in questo senso.
Per quanto mi riguarda, mi approccio a queste problematiche con molto timore e partecipazione al dramma che coinvolge la nascita responsabile di una vita, nonché con grande rispetto per tutti quelli che vi sono coinvolti. Penso, inoltre, che anche l'esperienza personale che ho maturato mi abbia fortificato, nel senso che in queste cose non ci può essere alcun pregiudizio, alcun atteggiamento pregiudiziale di condanna o di presa di posizione ideologica. Lungi da me, quindi, qualsiasi valutazione di questo tipo.
La maternità è un valore importante per la donna e per l'uomo, e sarebbe veramente criminale ridurlo ad una dimensione contestativa, ideologica, che non appartiene alla natura umana. Dunque, non ho idee precostituite; ho certamente delle convinzioni personali, che, come tutte le convinzioni personali, sono disposto a mettere alla prova, e sono sicuro che le mie convinzioni sarebbero messe alla prova in maniera molto faticosa, se trascorressi una giornata nei consultori, o negli ospedali, o nei reparti che questi signori dirigono con grande autorevolezza professionale, con grande umanità, dove, senz'altro, immagino vivano quotidianamente drammi di ogni genere. Questo è un fatto da tener presente.
Tuttavia, vorrei che, con lo stesso criterio di umanità, non si criminalizzasse, o meglio ancora, che non si guardasse con sospetto alla figura dei cosiddetti obiettori di coscienza, dei medici obiettori le cui motivazioni - come già diceva la collega Zanella, e mi scuso per l'interruzione di poco fa -, possono essere le più varie, tutte quante degne di rispetto. Come senz'altro degne di rispetto sono le posizioni dei medici non obiettori e anche dei medici non obiettori che, a maggior ragione, sono criticati, frustrati nelle loro qualità professionali per questa loro condizione di non obiezione: questo deve essere ben chiaro. Tutte le posizioni, in questo campo, meritano il massimo rispetto.
Devo, poi, sottolineare che mi sembra assai importante il fatto, che emerge con una certa chiarezza, che sull'azione di scoraggiamento dell'aborto da parte delle strutture oggi qui chiamate esistano dei riferimenti statistici abbastanza incerti, quasi nulli. Da quanto ci è stato detto, comunque, l'incidenza di questo ritorno alla decisione di abortire, confrontata con quanto succede nei consultori, mi sembra possa essere considerata pressoché uguale, anche in riferimento alle statistiche dell'ISTAT. A me sembra che sia assolutamente necessaria una maggiore presa di coscienza di questa seconda parte della legge n. 194 (o prima parte: chiamiamola come vogliamo), che prevede questo tipo di incoraggiamento a non arrivare all'aborto. Questo è un fatto importante.
Io sono sicuro che le audizioni di oggi siano utili per noi, ma anche per gli illustri professionisti, che ci hanno fatto l'onore di essere qui, affinché possano portare avanti questo tipo di tematica in maniera molto più importante.
In conclusione, mi sembra di cogliere - magari, negli interventi successivi me lo confermeranno i nostri ospiti - il fatto che


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si lavori meglio nei piccoli centri, rispetto alle grandi metropoli. Bisognerebbe capire, però, se anche in queste grandi metropoli, cessati i motivi di conflittualità, che possono essere superati, ed anche i momenti organizzativi deficitari, non si possa umanizzare il tipo di approccio sanitario. A me sembra che in questa demonizzazione della sanità, che va al di là del problema specifico della legge n. 194, ciò possa essere la causa per un'azione fruttifera finalizzata alla cultura della vita. Anche nel 1981, quando c'è stato il referendum che ha portato alla conferma della legge n. 194, ci fu una grande battaglia, da parte di tutti quanti, anche dalla parte abortista, sostenendo il fatto che quella legge era un inno alla cultura della vita.
Facciamo bene, acriticamente e periodicamente, a confrontarci su questo tema per vedere come stanno andando le cose, se questa cultura della vita viene presa sempre come punto di riferimento dell'azione di tutti quanti. Questo, lo ripeto, senza criminalizzare nessuno, senza voler essere inquisitori di niente, ma soltanto rispondendo alla nostra coscienza.

CARLA CASTELLANI. Anch'io ringrazio tutti gli intervenuti e mi scuso di non aver potuto ascoltare i primi interventi. Le mie domande saranno necessariamente limitate agli interventi che ho avuto modo di ascoltare.
Prima, però, di procedere alle domande, credo sia intanto doveroso dire che il ministro della salute, onorevole Storace, non ha apertamente espresso i giudizi cui testé faceva riferimento l'onorevole Cossutta. Anzi, come tutti noi, di fronte a questo tipo di problematica, si pone con grande serenità, con grande disponibilità ad ascoltare. Signor presidente, questa indagine conoscitiva, fortemente contrastata dai colleghi del centrosinistra, pur limitata nel tempo, credo, invece, ci stia accompagnando a valutazioni estremamente importanti che molti di noi, magari, presupponevano, senza avere la consapevolezza di quello che, oggettivamente, accade nelle nostre strutture.
Mi creda, onorevole Zanella - e, tra l'altro, le percentuali relative all'obiezione di coscienza sono intorno al 50 per cento, quindi ci sono professionisti in grado di svolgere questa tipologia di lavoro -, prima di andare ad incentivare professionisti per effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza, credo che la nostra sanità abbia bisogno di incentivare anestesisti, radiologi, chirurghi per evitare che vi siano, nel nostro paese, liste di attesa così sconfortanti.
Parliamo tanto dell'autodeterminazione delle donne, ma vogliamo costringere i ginecologi a non essere obiettori. Insomma, mi sembrano forzature che non hanno nulla a che vedere con l'indagine che stiamo eseguendo.
Proprio in virtù di questa indagine, invece, ho trovato estremamente interessante quanto riferito dai colleghi di Matera. Se non ho capito male, loro hanno iniziato da poco, dal 2004, a praticare nel loro ospedale le interruzioni volontarie di gravidanza, prima questa possibilità non c'era.

PRESIDENTE. Quest'anno?

CARLA CASTELLANI. Nel 2004. Quindi, in base a questi dati mi pare di aver capito che su 226 richieste ne siano state effettuate 143. Mi pare di aver capito che 19 donne hanno ripensato la scelta.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Perché sono state seguite in gravidanza, mentre le altre non le abbiamo seguite in gravidanza e, quindi, non sappiamo che fine abbiano fatto...

CARLA CASTELLANI. Questi dati sono molto interessanti al fine di procedere con la nostra indagine.
Vorrei chiedere sia ai colleghi di Matera, sia alla collega di Ortona (collega in tutti i sensi, oltre che come medico anche come conterranea), visto che le loro aziende ospedaliere hanno una buona sinergia con il territorio e con i consultori,


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come abbiano organizzato questi servizi, quali siano le figure professionali presenti all'interno dei consultori, o che, perlomeno, sono strutturati o convenzionati per svolgere questo lavoro, se ci siano associazioni di volontariato e con quale tipologia. Inoltre, visto che mi pare che sia difficile per tutti stabilire, in relazione alle richieste, quale sia la percentuale di donne che, poi, scelgono di non abortire più, vorrei sapere quali percorsi queste strutture mettono in atto e come vengano accompagnate queste donne successivamente.
Vi è un altro elemento estremamente interessante. Negli interventi delle colleghe ho sentito alcuni riferimenti sulla recidività, ma io non la vorrei riferire alle donne extracomunitarie, non perché voglia fare discriminazioni, ma perché capisco benissimo che hanno una cultura diversa, e quant'altro. Personalmente, ho vissuto l'esperienza dell'obiezione di coscienza, dopo due anni che non avevo fatto obiezione di coscienza, proprio perché nella mia struttura avevo visto tornare sempre le stesse persone. Quali strumenti, allora, si possono mettere in atto? E anche questo è un criterio di reale funzionamento dei consultori, perché se la recidività è molto alta, evidentemente qualcosa non funziona all'interno dei consultori.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio i colleghi medici intervenuti. Sono un medico pediatra e neonatologo, per cui riusciamo a capirci meglio; abbiamo parlato il nostro linguaggio, quello dei medici. È emerso che, soprattutto in questo campo, in questa materia così difficile, da parte del medico ci debba essere un supplemento di generosità, qualcosa di più, una corrispondenza di amorosi sensi tra la professione medica e la sofferenza e la malattia.
Questo è un campo particolare, quindi non è un caso che vogliamo svolgere questa indagine per verificare non solo l'applicazione della legge (questa legge affronta la tutela della maternità e l'interruzione volontaria di gravidanza; non dobbiamo dimenticare che si tratta di due aspetti dello stesso problema), ma anche e soprattutto le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari. Mi pare che oggi sia emerso che la problematica dei consultori familiari sia veramente della massima importanza. Abbiamo visto che nelle varie realtà territoriali, dalle grandi alle piccole, si registra una situazione completamente diversa, fino ad arrivare al miracolo di Maometto compiuto dal dottor Tamburrino, andando dall'ospedale verso il consultorio, e non viceversa. Anche questo mi pare significativo.
Ho apprezzato, poi, quello che ha qui sintetizzato per tutti la dottoressa Manuela Mucci, che ha fatto riferimento alla passione che ci vuole per lavorare in questo campo, cominciando dai consultori per finire all'ospedale.
Credo che alla fine di questa audizione ne sapremo di più anche noi medici, rispetto alla realtà italiana. Come penso ne saprà di più anche la dottoressa Scassellati, che, all'inizio, era piuttosto critica nei confronti di questa audizione, perché non sapeva se riguardasse una indagine particolare. Anche lei adesso sarà contenta, perché ne saprà di più rispetto a prima. E mi pare che non ci dobbiamo preoccupare se, eventualmente, qualche volta possono arrivare i NAS. Quando uno fa il proprio dovere - ma, naturalmente, è una battuta -, anche se arrivano i NAS, non c'è da preoccuparsi.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. È la verità. In campagna elettorale. Li mandasse!

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Lei ha individuato un mandante, che mi pare non sia il caso di individuare.
Fatta questa considerazione di ordine generale, credo sia emerso che, un po' in tutta Italia, sono aumentate le IVG. Sono aumentate perché ci sono le donne straniere. Se non ci fossero le straniere, le immigrate, la situazione sarebbe diversa.
Se non ho capito male, mi sembra che a Matera e a Ortona il fenomeno sia meno acuto, ci sono meno IVG, non so se perché


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in quella zona ci sono meno immigrate rispetto ad altre. A Matera, in particolare, mi pare di aver capito che erano solo 28 le immigrate che hanno fatto ricorso alla IVG.
Per quanto riguarda il rapporto fra le grandi e le piccole città con i consultori, ho ascoltato quanto raccontato dalle dottoresse Volo e Giambanco con riferimento alla Sicilia. In effetti, in Sicilia nei confronti dei consultori c'è un atteggiamento un po' particolare, per cui manca quella collaborazione che esiste altrove, come avviene a Parma, ad Ortona, a Matera, che sono centri più piccoli. In Sicilia c'è un certo distacco, anche perché i consultori non sono sufficienti, lo abbiamo visto attraverso un'indagine statistica dell'ISTAT. A Parma, ad esempio, hanno i consultori, ma questi in provincia mancano. Voi avete il rapporto con i consultori di Parma, ma non con quelli esterni. Il consultorio, dove esiste, crea un rapporto di collaborazione.
Vorrei porre, ora, qualche domanda specifica. Per quanto riguarda il presidio ospedaliero Mangiagalli, il dottor Tiso - questa è una curiosità - ha detto che nascono bambini al di sotto di 1,5 chilogrammi di peso, forse perché c'è un centro di terapia intensiva neonatale che determina questa assistenza particolare.
Per quanto riguarda la figura del mediatore culturale, alla quale faceva riferimento la dottoressa Scassellati, istituita e finanziata dal comune, credo sia un segno della mancanza di collaborazione con il consultorio. Non essendoci i consultori, occorrono questi mediatori culturali all'interno delle strutture pubbliche degli ospedali, perché, in effetti, il consultorio viene meno ad una certa funzione - a me pare di interpretarlo in questo modo.
Per quanto riguarda l'ospedale di Palermo e la Sicilia, vorrei un chiarimento. È preoccupante che queste recidive si verifichino tra le donne appartenenti alla classe di età più giovane; è inquietante. Questo fatto, come siciliano, mi preoccupa moltissimo, non perché non ci sia la prevenzione, ma perché le recidive riguardano donne molto giovani, donne giovani e pluripare. Io non lo sapevo e per me è stata una sorpresa. Tra l'altro, è stata una sorpresa anche sapere che fanno ricorso all'IVG le nullipare, le donne nella fascia dei 35 anni di età che non hanno mai avuto un figlio, che si presume non siano sposate, le cosiddette donne in carriera, che non hanno una famiglia, le singles (Commenti). Mi chiedo se oltre ad essere nullipare, ad avere 35 anni di età, siano anche nubili.

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Non chiediamo queste formalità!

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Questa collaborazione con i consultori è riuscita ad Ortona e a Matera.
Hanno detto che si tratta di un piccolo centro. A me pare, però, che un ospedale con 400 posti letto al sud sia un ospedale di tutto rispetto.
Concludendo le mie considerazioni, vorrei evidenziare un dato: la situazione cambia da regione a regione e ciononostante occorre un miglior funzionamento dei consultori ed una corrispondenza fra consultori ed ospedali, che, in certo senso, per ora manca. A ciò bisognerebbe dedicare maggiore attenzione.

DONATO RENATO MOSELLA. Intanto, mi associo ai ringraziamenti. Com'è noto, noi abbiamo fatto di necessità virtù. Abbiamo pensato, fin dall'inizio, che un'indagine di questo tipo sarebbe stato preferibile svolgerla in un clima di maggiore serenità, per poter affrontare i problemi anche con coerenza con tutto ciò che si fa - si veda la finanziaria in corso -, oppure avere il tempo per riflettere, visto che dalle testimonianze degli auditi emergono problemi molto drammatici. Alcuni richiederebbero un interesse immediato, ma con un Governo di fine legislatura, con un Parlamento che sta per chiudere i battenti, francamente, non è facile.
Come considerazione di carattere generale, mi sembra di vedere un paese coerente con le difficoltà che noi, in generale,


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già conosciamo. Vedo alcune diversità fra nord e sud, vedo alcune diversità fra i piccoli e i grandi centri, vedo focalizzati alcuni temi che, molto coerentemente, andrebbero posti all'attenzione del Parlamento ed affrontati in termini risolutivi.
Io mi rendo conto della mancanza di tempo, quindi vorrei semplicemente chiedere alcuni piccoli flash di approfondimento. Il primo riguarda la realtà di Milano, per la quale si è accennato ai consultori privati. Sarebbe interessante, anche facendo pervenire alla Commissione alcuni atti, capire meglio alcune di queste realtà. Per quanto riguarda il trauma di ritorno, è una considerazione che avete fatto rispetto ad un progetto o c'è qualcosa che è già stato iniziato e che potrebbe essere utile ai fini della Commissione?
L'altra riflessione - vi accennava già la collega Labate - che mi ha colpito riguarda l'intra moenia. Mi piacerebbe capire se esista un vuoto legislativo, o se, invece, sia possibile conoscere le modalità che portano a quel tipo di esperienza, perché mi sembra una cosa abbastanza insolita e grave.
Un altro elemento riguarda l'esperienza di Parma che ci è stata ben rappresentata. I protocolli e i percorsi integrati sono iniziati nel 1998. Se ci fossero, anche qui, dei protocolli esemplificativi che possano tornare utili all'approfondimento, sarebbe bene.
Concludo dicendo che noi facciamo di necessità virtù, nel senso che ormai questa indagine è avviata, ci assumiamo le nostre responsabilità, ma manteniamo questo atteggiamento critico perché riteniamo che, in una stagione come quella che stiamo vivendo, il paese abbia bisogno di maggiore serenità anche nell'affrontare temi così delicati e complessi che hanno una ripercussione enorme sulla vita delle donne, sia quelle che abortiscono sia quelle che decidono di non abortire.

PRESIDENTE. Vi inviterei a svolgere interventi brevi; d'altronde ognuno di voi ha esplicitato quello che doveva dire. Ormai abbiamo le idee molto più chiare di prima. Certo, si tratta di un argomento di non facile trattazione.
Le dottoresse Volo e Giambanco mi avevano chiesto di poter rispondere per prime, dovendo ripartire in aereo per Palermo.

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Scusate ancora, ma la distanza e la nostra condizione di isolani ci obbligano ad avanzare questo genere di richieste quando veniamo a Roma.
Io credo che le domande rivolte a me come rappresentante dell'azienda ospedaliera più grande della Sicilia riguardino, fondamentalmente, il mancato rapporto di collaborazione forte fra territorio ed ospedale, che non si riesce ad evidenziare.
Innanzitutto, vorrei ribadire un concetto, che ho già rilevato prima: c'è un grande, rilevante elemento culturale che rende difficile il lavoro dei consultori. Io non vorrei assolutamente che, dal mio intervento, fosse emersa una situazione tale per cui in Sicilia i consultori non svolgono il proprio lavoro. Devo dire la verità, non ho una grande esperienza in materia di azienda territoriale, se non per una piccolissima attività svolta in un'azienda territoriale di provincia. Il problema a Palermo, grande metropoli della regione, è legato al fatto che dentro la città ci sono cinque ospedali con strutture di unità operative di ostetricia e di ginecologia.
Il lavoro di collaborazione con i numerosi consultori presenti, ma che sono di competenza dell'azienda territoriale, è sicuramente un problema di tipo anche organizzativo. Bisognerebbe istituire convenzioni, scegliere quali reparti vadano convenzionati, individuare i consultori e le competenze, se territoriali o meno. Credo, pertanto, che il problema sia molto legato a questo aspetto.
Sostanzialmente, però, rimane il problema culturale. L'onorevole chiedeva una cosa che, personalmente, assolutamente non condivido, e cioè perché una fascia di età, che è quella maggiore, viene in ospedale per fare ricorso all'interruzione volontaria


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di gravidanza, e se queste donne, che evidentemente appartengono ad una classe sociale e culturale più avanzata, siano o no sposate. Credo che questi siano problemi che neppure per gioco ci possiamo porre. Non lo chiediamo alle pluripare, figuriamoci se lo chiediamo alle nullipare!
Il problema fondamentale è che, così come nella fascia socioculturale alta la richiesta di interventi in questo senso riguarda soggetti in età più avanzata, è estremamente significativo che in una fascia socio-economica e culturale molto bassa il tutto avvenga da parte di persone così giovani. Manca, di conseguenza, un intervento nelle scuole; manca, ovviamente, un intervento sui medici di famiglia, che, comunque, sono quelli che hanno un rapporto più costante e continuo. Devo dire che i pediatri - visto che l'onorevole fa parte della categoria professionale - per noi sicuramente non sono un grande sostegno, un grande supporto.
Il problema, per quel che riguarda la Sicilia, è dato allora da un aspetto che rilevo per tanti altri settori dell'assistenza sanitaria regionale, non solo per quanto attiene l'applicazione della legge n. 194: si tratta di un problema di mancanza di collegamento nei vari nodi della rete assistenziale.
Se ciascuno di noi svolgesse pienamente il proprio compito, probabilmente la connessione sarebbe molto più efficace e i risultati sarebbero visibili e di grande efficienza.

CARLA CASTELLANI. E in merito alla recidività?

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Il problema è fondamentalmente culturale. Per richiamare un esempio, in queste fasce sociali è la parte maschile che rifiuta la contraccezione nelle donne, perché fondamentalmente il rischio mentale a cui questi soggetti vanno incontro è che, se la loro moglie - perché in quel caso è moglie - è protetta, può non avere rapporti solo con loro.

BASILIO TISO, Direttore sanitario dell'Ospedale Mangiagalli di Milano. Vorrei chiarire meglio il mio pensiero. A tal fine, ho portato alcuni dati che adesso preciso meglio. Al Mangiagalli c'è tutta una serie esperienze, probabilmente all'avanguardia, per alcuni aspetti: ad esempio, il servizio di tutela della violenza sessuale sui minori. Abbiamo più di 220 casi denunciati in un anno, tra bambini e donne, e le persone più attive sono le stesse che - e parlo della responsabile, la dottoressa Kustermann - difendono la donna, per quanto riguarda il diritto derivante dall'applicazione della legge n. 194.
Ma ci sono anche altre esperienze. Sicuramente, il rapporto principale è con i consultori pubblici, un rapporto stretto. Anche per quanto riguarda la violenza sui minori e sulle donne il rapporto è con i consultori. Comunque, sono esperienze forti sul territorio che hanno portato, anche da noi, ad una diminuzione dei casi, ad un certo rientro, anche se è difficile da quantificare, e vi spiego il motivo.
Si rilascia il certificato, e dopo una settimana, si viene da noi, dove occorrono altri 7-8 giorni perché si proceda. L'ospedale è grande, la richiesta è alta, anche da parte di persone che vengono da fuori Milano. In questi giorni, è facile che qualcuno si perda e, per ragioni diverse, magari si rivolga da qualche altra parte. Per quanto riguarda la rinuncia, il valore è di molto superiore al 5 per cento, però il nostro dato è falsato da questo aspetto.
Al Mangiagalli, però, dagli anni ottanta vi è anche un altro aspetto. Opera infatti il Centro di aiuto alla vita, che è un po' diverso dagli altri, almeno da come mi raccontano. Anche noi abbiamo avuto i nostri problemi. Ad esempio, c'è stato un aborto su di una minorenne e siamo finiti su tutti giornali: denunce da destra, da centro, da sinistra, da tutti. Quella stessa mattina sono venuti da me rappresentanti del Centro di aiuto alla vita per dire che non c'entravano. Insomma, abbiamo un buon rapporto con questi signori, che sono volontari - lo ripeto - e sono espressione del mondo cattolico, che molti sanno essere, soprattutto a Milano, particolarmente


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eterogeneo (la Caritas, le Acli, le parrocchie e così via). Ci sono poi anche altre realtà non cattoliche (il servizio «Madre segreta», la provincia).
L'idea in atto nel Mangiagalli è un progetto complessivo che privilegia, ovviamente, i consultori pubblici, perché quelli sono il nostro retroterra culturale ed un punto di riferimento continuo, dalla mattina alla sera, anche per situazioni diverse. Vorremmo essere molto più presenti, più potenziati, anche perché, ripeto, in Lombardia, forse perché ci sono più extracomunitari, si è registrato negli ultimi anni un leggero aumento degli aborti. Dal 1996 sono passati da 22 mila a 25 mila; gli extracomunitari sono passati dal 12 per cento al 35 per cento: probabilmente è questa la causa.
L'idea, però, è che ci sia principalmente il servizio pubblico, fortemente finanziato, a tutti i livelli, e poi, sussidiariamente, il volontariato privato, che aiuti a trovar fondi e che dia una mano.
Noi abbiamo avuto delle esperienze di collaborazione, a mio avviso, molto buone, fermo restando che non ci sono solo i cattolici, ma anche i laici. Il problema è quello di difendere un bambino e la sua mamma, è un problema serio, a trecentosessanta gradi. Tutto ciò fermo restando - lo ripeto - il finanziamento al settore pubblico che, anche a Milano, non è completo, ma è deficitario.

DIAMANTE PACCHIARINI, Direttore sanitario di presidio dell'Ospedale San Camillo di Roma. Sono state sollevate alcune questioni. Sulla libera professione, vorrei dire che non è un problema del San Camillo. Chi ha posto la domanda ha interpretato male, oppure non si è spiegata bene la dottoressa Scassellati.
La norma, non ricordo se si riferisca a 2 o 3 contratti fa (ai contratti dei medici, sostanzialmente), credo sia il decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2000, e prevede che alcune prestazioni di carattere sanitario non possano essere effettuate in regime di libera professione, e queste sono un servizio previsto nella legge n. 194 (la dialisi, il pronto soccorso e la rianimazione). Forse ci può essere altro, ma non rammento.
Al di là della libera professione, è necessaria una breve considerazione circa l'incentivo. Finora abbiamo parlato di numeri, di valutazioni, qualche volta con passione, anche in maniera ideologica, anche se tutti hanno voluto sgombrare il campo da queste questioni. Tutti quanti noi, bene o male, siamo presi da queste cose.
Alcuni aspetti meramente organizzativi non sono stati sollevati, ma, a mio giudizio, costituiscono, comunque, un condizionamento nell'applicazione di questa norma. Io ho diretto ospedali da 100, da 200, da 450 e da 1500 posti letto, per cui ho visto tutte le situazioni. Ho assistito a realtà incredibili: abbiamo allontanato infermieri perché, in ospedali piccoli, si appuntavano i nomi delle ragazze e poi andavano a cercarle nei paesi vicini, perché, evidentemente, erano «facili». Questo per farvi capire l'entità della questione. Comunque, i dati a nostra disposizione indicano il 10 per cento, il 20 per cento o il 5 per cento di rinunce.
In realtà, la maggioranza degli ospedali italiani ha 200, 300 o 400 posti letto. Quando si va in ospedale si scopre che il portantino che ti porta in sala operatoria è il figlio del garzone del barista sotto casa. In Italia, non c'è soltanto il San Camillo, e non voglio fare il provinciale. Vengo dall'Umbria, ma questo può succedere nei piccoli centri, come nei grandi, anche nell'ospedale di Matera (che ha 60 mila abitanti e un hinterland da 127 a 150 mila abitanti, che ha 400 posti letto; quando scoprono che vi lavora quel determinato operatore, le persone se ne vanno in un altro ospedale, addirittura fuori regione. Ecco perché poi non ci sono discrepanze tra i numeri. Questo non perché non siano attenti e non ci sia la sensibilità di approfondire il problema, ma perché magari una rinuncia è compensata da uno che viene da fuori, non c'è un incrocio diretto tra il dato e la certificazione della zona o dell'ospedale stesso.
Un'ultima questione: un centro di 400 posti letto e un hinterland di 130 mila


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persone, probabilmente fa una, massimo due sedute di interruzioni in una settimana, per sei ore, con 4 o 5 interventi. In queste condizioni nessuna azienda è in grado di avere personale dedicato a quella determinata attività, anche perché lavorerebbe un giorno e gli altri quattro si girerebbe i pollici. Allora, si prende personale in prestito da altri reparti, magari offrendo un gettone oppure prevedendo lo straordinario o altre formule.
Non vorrei assolutamente mancare di rispetto a qualcuno; rispetto profondamente le convinzioni di ognuno e l'obiezione di coscienza, per un verso o per l'altro; non è questo il ragionamento. Tuttavia, ci sentiamo dire dall'operatore: quella cosa non mi compete, per cui, se volete che io la faccia, mi pagate, altrimenti sono obiettore.
Il problema è che molto spesso ci pongono questioni di questo genere, come quando una seduta operatoria va oltre il consentito, quando c'è un intervento in più o quando si complica. Il problema è che lì, lo strumento non ce l'hanno, fa parte del loro dovere (potrebbero anche darsi malati, ma non si può stare male tutto l'anno); qui, invece, ce l'hanno.
Ripeto, non voglio mancare di rispetto ad alcuno, ma questi casi esistono. Quando qualcuno dice che il problema sono i fondi, oppure la finanziaria, e così via, il problema esiste, assolutamente, e quindi i provvedimenti organizzativi non sono scevri dalle questioni di principio, che, di norma, vengono inserite ai primi articoli di una legge.

PRESIDENTE. A proposito del problema degli aborti clandestini, vorrei esprimere una considerazione. Soprattutto in regioni piccole, qualcuno preferisce farlo privatamente, clandestinamente, perché ha paura di andare in ospedale, per non essere schedato, o teme che si scopra che ha avuto un'interruzione di gravidanza. Questo è, ancora oggi, uno dei problemi degli aborti clandestini.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. A questo proposito, vorrei specificare che la legge prevede l'anonimato. Ma la gente, forse non lo sa. In alcuni casi, vi è l'anonimato assoluto. Esiste questa possibilità prevista nella legge n. 194.
Intanto, mi dispiace che siano state fraintese alcune mie osservazioni. Noi siamo un'azienda ospedaliera. Io lavoro da otto anni al San Camillo, ma prima c'era il dipartimento materno infantile dove, addirittura, uno dei due primari della divisione di ostetricia e ginecologia dirigeva i consultori, che attualmente sono della ASL Roma «D».
Non è che non abbiamo rapporti con questi consultori. Ho detto che tutte le mattine arrivano telefonate da parte dei consultori. Facciamo delle riunioni e, almeno una o due volte l'anno, organizziamo incontri di aggiornamento. Esiste, pertanto, un rapporto stretto con i consultori, pur essendo di un'altra azienda, ossia della ASL. Non è che, come ospedale, non abbiamo rapporti con i consultori, ci conosciamo da anni ed ognuno, per qualsiasi problema, può chiamare in ospedale, e anche se c'è un caso difficile lo seguiamo insieme. Molti si fanno seguire dal consultorio e poi vengono a partorire in ospedale. Lo stesso vale per gli aborti. Quel 30 per cento di cui parlavo è certificato dal consultorio e poi torna al consultorio per il controllo.
Il problema è quando uno gestisce 1.400 donne straniere, come nel 2004. Dal 2001, portiamo avanti un progetto finanziato, definito «Progetto di mediazione linguistico-culturale a favore delle donne immigrate extracomunitarie per la prevenzione dell'IVG e tutela della maternità». All'inizio, ci siamo accorti che esistevano gravissimi problemi linguistici che non eravamo in grado di risolvere, e questo avviene anche per la maternità. Infatti, tantissime donne musulmane che partoriscono nel nostro ospedale hanno problemi in neonatologia o per la registrazione. Questo servizio, attualmente, è pagato dal comune, proprio perché l'azienda non ha risorse. A noi piacerebbe, ad esempio, che al San Camillo, che è un'azienda grande,


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ci fosse uno sportello di informazione, in più lingue, proprio perché abbiamo pazienti stranieri, ed è questa la causa di problemi organizzativi.
L'assessore Milano ci ha dato dei fondi con cui paghiamo i mediatori culturali, che sono stati utilissimi. Oggi, ad esempio, abbiamo consegnato l'ultima tranche del 2005: abbiamo visitato 306 donne e di queste posso dirvi i motivi che le hanno spinte all'aborto, qual era il loro grado istruttivo e quant'altro. Ad esempio, ci sono donne che hanno abortito e che hanno già tre o quattro figli. Comunque sia, la maggior parte di queste straniere appartengono al ceppo moldavo e rumeno, tanto è vero che abbiamo partecipato ad una ricerca nazionale assieme ad altri quattro ospedali sulle donne straniere, che verrà pubblicata dall'Istituto superiore di sanità.
Noi che abbiamo fatto questa scelta non è che rinunciamo al resto. Io ho lavorato due anni in Slovenia, presso la più grande clinica di ostetricia e di ginecologia di Lubiana; il professore dell'università mi mandò in quella clinica, anche se io sarei rimasta all'università, ma avendo un figlio grande avevo bisogno di lavorare. A me piace andare in sala operatoria, mi piace assistere ai parti. Facevo la preparazione al parto durante gli anni dell'università, non è che ho scelto «a spada tratta» di difendere la legge.
Tuttavia, credo che se c'è una legge dello Stato, questa debba essere finanziata. Se, ad, esempio la regione deve curare l'aggiornamento degli operatori, è suo compito farlo. Per tanti anni ciò non è stato fatto; nel Lazio, è stato fatto solo nel 1992, quando la ASL Roma «D» ottenne un finanziamento con cui si procedette all'aggiornamento degli operatori previsti nella legge n. 194. In merito a questo, c'è un articolo specifico, che dispone l'aggiornamento degli operatori.
L'altro problema è quello delle gravidanze. Se procediamo alla diagnosi prenatale, la facciamo in tutti gli ospedali (al Gemelli, al Fatebenefratelli). Abbiamo ecografi super attrezzati, ma il discorso è che queste donne, se hanno un feto malformato, vogliono interrompere la gravidanza. Ebbene, nella regione Lazio ci sono solo tre ospedali che fanno questo: il San Camillo, il Sandro Pertini (ogni tanto, perché c'è un unico operatore) e il San Filippo Neri. Queste donne, quando, attraverso un'amniocentesi, ricevono la notizia di un bambino non perfetto, automaticamente cominciano a girare come delle trottole ed è uno dei motivi per cui io non tolgo l'obiezione! Altrimenti, signori miei, l'avrei fatto tante volte anche per un problema di recidività, ma non solo.
Badate, io non ammetto che non si possa usare la contraccezione, perché ci sono mille modi per evitare una gravidanza, altrimenti, ci si vuole talmente male da sottoporsi all'aborto.
Vorrei parlare ora dei colleghi che effettuano i tagli cesarei e che non dicono alle loro pazienti che devono distanziare le gravidanze o che devono comunque utilizzare la contraccezione. In ospedale ho due colleghi obiettori, che fanno molti cesarei durante la guardia, le cui pazienti, guarda caso, regolarmente, dopo 4-5 mesi dal parto vengono a praticare l'aborto, perché il loro ginecologo aveva detto che la spirale non andava bene, poiché faceva sanguinare 7-8 giorni al mese, con il rischio dell'anemia.
Esiste, dunque, un problema di cultura. C'è, ad esempio, il ginecologo che fa sospendere la pillola dopo 6-7 mesi alla ragazza universitaria, perché sostiene che l'utero si deve riposare - non si capisce per quale teoria statistica -, quando la pillola si può usare per sette od otto anni - quelle di ultima generazione - e quella ragazza, non appena smette di usare la pillola, rimane incinta. Ci sono tantissimi casi del genere!
È, quindi, un problema di informazione e di evidenza scientifica e purtroppo i nostri colleghi non sempre svolgono un lavoro di questo tipo. Negli anni ho conosciuto tantissimi casi del genere.
L'ultimo aspetto riguarda le incentivazioni. L'obiezione di coscienza è centrale. Vorrei farvi notare che, laddove non si trovavano gli anestesisti - potete verificarlo


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al San Giovanni -, non si riuscivano a fare le due sedute settimanali. È stato deciso di dare un gettone di presenza e tutti gli anestesisti hanno tolto l'obiezione, perché in quella giornata percepiscono, se non ricordo male, 150 euro lordi l'ora.
Questa è una farsa! Se dobbiamo ridurre le liste d'attesa, dare l'incentivazione sulla riduzione delle liste d'attesa...

PRESIDENTE. La invito a concludere, altrimenti allarghiamo troppo il campo.

CARLA CASTELLANI. Non ci interessa!

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Scusi, a me interessa, invece! A me interessa capire come la produttività aggiuntiva venga riconosciuta nell'ospedale. È un problema per il personale che fa questo servizio, come l'infermiere, l'ostetrica! Il medico, badate, può svolgere la libera professione fuori e fare altre cose. Non è quello il problema.

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Non ho molto da aggiungere, se non ringraziare per averci invitato a questa audizione.
La nostra realtà, a confronto di tante altre, è certamente migliore. Abbiamo qualche problema di risorse, in particolare per quello che riguarda alcune ristrutturazioni in corso e che ci preoccupano, però i buoni rapporti e la dimensione umana della sanità permettono di trovare queste energie. Credo che la dottoressa Salvini abbia risposte più puntuali da dare ad alcune domande.

PAOLA SALVINI, Responsabile del programma salute donna e dirigente medico di ostetricia e ginecologia dell'azienda Sanitaria locale di Parma. L'onorevole Zanella ha citato l'attività nelle scuole. Credo sia fondamentale fare attività tra gli adolescenti, lo sappiamo tutti, per la promozione della salute in genere e per la prevenzione delle gravidanze indesiderate. Noi mandiamo tutti gli anni in tutte le scuole superiori di Parma una lettera, offrendo un pacchetto formativo, per poi decidere con gli insegnanti. Lo scorso anno, abbiamo dedicato 1.300 ore, che non sono sufficienti, ma ci sono dei costi che dobbiamo sostenere rispetto alla prevenzione.
Per quello che riguarda il counseling della contraccezione, credo che i consultori debbano dedicarsi a questa attività, ad una consulenza molto precisa e puntuale, proprio perché è cambiata la popolazione di riferimento e, quindi, dobbiamo riuscire ad entrare in sintonia con tutte quelle persone che abbiamo e, soprattutto, con le donne di recente immigrazione.
A proposito di questo, l'altra domanda riguardava il possibile sostegno dei Centri di aiuto alla vita e delle associazioni di volontariato. La risposta è che questo è possibile. Certo, noi privilegiamo il discorso istituzionale, quindi con i servizi sociali, ma loro hanno le mani legate. Con la Caritas e con i Centri di aiuto alla vita, invece, seguiamo un percorso attraverso il quale anche le donne che non sono in regola possono essere sostenute. Sicuramente, questo è un progetto di qualità che va perseguito.
Infine, esistono le politiche a sostegno della famiglia, che ci aiuteranno. Credo sia fondamentale ricordare, come è stato detto, che anche noi lavoriamo con le istituzioni di Parma, in particolare con il comune e la provincia. In mancanza di una politica per l'intero percorso nascita, in cui far rientrare queste consulenze volte ad evitare che la donna vada incontro all'interruzione, è difficile recedere dai problemi se le attività non cominciano prima, con un sostegno reale nel momento in cui la donna deve compiere la scelta.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Esiste un dipartimento funzionale, integrato tra territorio e ospedale, nel piano sanitario regionale della regione Abruzzo,


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per cui l'integrazione territorio-ospedale è funzionante, attiva nel tempo. Esiste un'integrazione tangibile, tanto che i nostri incontri, la produttività, la riduzione degli aborti ripetuti sono un dato di fatto nella nostra regione. Sicuramente, esiste anche una grande quota di immigrati. Da noi vi sono fasce di immigrazione proveniente da tutti i paesi dell'est, dal Marocco, dalla Tunisia, dai paesi musulmani. La loro presenza negli interventi previsti nella legge n. 194 credo che si aggiri intorno al 40-50 per cento. Non posso esporvi una cifra precisa, ma ho presentato al presidente un documento sulle interruzioni e su altri dati, ed anche un libro sui consultori familiari abruzzesi. La quota delle donne immigrate che accedono alla richiesta di un intervento ai sensi della legge n. 194 si aggira intorno al 40-50 per cento.
Venendo alla questione posta dall'onorevole Castellani, faccio presente che esistono le figure, già determinate, sia per una presenza attiva, sia in convenzione (assistenti sociali, psicologi, il pediatra, l'ostetrica e il ginecologo). Abbiamo anche delle convenzioni con il Tribunale per i minori, con le università di Chieti e dell'Aquila. Tra l'altro, abbiamo istituito un centro affido con le università di Ferrara e di Milano. Nel libro che ho presentato al presidente è citato un progetto finanziato dal comune di Pescara, insieme all'azienda e ai consultori familiari, al fine di seguire nel tempo e aiutare le persone che manifestano questa esigenza.
Intendo precisare che, nella nostra valutazione, molte delle donne che si rivolgono a noi per l'applicazione della legge n. 194 sono molto determinate. Si consideri che vengono seguite dalla nostra équipe: viene svolto un primo colloquio, su base consultoriale, al momento della certificazione; viene fatto un secondo colloquio nel momento in cui accedono alla prenotazione dell'intervento chirurgico. Prima parlavo del 5 per cento, riallacciandomi alla media nazionale, ma, nella mia realtà, sono anche di meno le donne che rinunciano.

PRESIDENTE. Il 5 per cento è un dato ISTAT. Non è un dato calcolato.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. I dati dell'ISTAT parlano di questo. I nostri dati indicano cifre anche inferiori rispetto alle rinunce. Una donna, quando si approccia all'intervento chirurgico, è molto determinata ed è difficile che receda da questa sua decisione, e soprattutto, come ho precisato prima, non vuole sentirsi punita e condannata. Certo, poi siamo noi stessi a farla sentire in maniera diversa; siamo noi stessi ad approcciarci male a questa difficile realtà. Già il solo termine «aborto» ci fa contornare di un'aura di peccato. Tuttavia, la nostra religiosità si vive anche quando ci si volta da un'altra parte mentre una ragazza viene stuprata a 100 metri di distanza. È difficile parlare di queste cose. L'importante è fare formazione e informazione, che rappresentano gli aspetti principali.
A livello consultoriale, negli anni dell'istituzione della legge, abbiamo fatto tanta informazione. Abbiamo passato periodi difficili, perché il consultorio ha cambiato regime di assistenza, passando dai comuni alle aziende sanitarie e ci sono stati anni in cui non rintrava nel dipartimento sanità, ma in un altro dipartimento che nulla aveva a che vedere con la prevenzione della salute, per cui non riceveva fondi. Negli ultimi anni, questa attività ha ripreso coscienza, rientrando nel dipartimento di prevenzione, ed è stato integrata tantissimo nelle realtà ospedaliere. Di questo siamo fieri, perché lavoriamo e lo facciamo bene con i consultori, con le figure consultoriali e con le nostre figure ospedaliere.
A livello nazionale - rispondo all'onorevole Zanella - spero che, come parlamentari, possiate far applicare il progetto obiettivo materno-infantile, perché si deve poter nascere in sicurezza in tutte le zone d'Italia. Non si può far nascere un bimbo in una situazione di insicurezza. Al nord, al centro e al sud si deve nascere alla stessa maniera, così come si devono applicare


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le leggi esistenti - e il progetto obiettivo materno-infantile lo dice chiaramente -. La legge n. 194 non è una legge per abortire, ma per prevenire, e soprattutto per stare vicino alla donna che ha deciso di accedere a questo intervento chirurgico.
Per quanto riguarda la libera professione intra moenia, l'interruzione di gravidanza non è prevista, però potrebbero essere previsti progetti obiettivo ospedalieri e interaziendali, che possono facilitare un percorso di integrazione, prevenzione e informazione sull'atto chirurgico e che potrebbero coinvolgere più operatori. Nella mia azienda non ho anestesisti. Ne ho uno solo. Gli anestesisti, nel momento in cui ho riaperto il servizio previsto dalla legge n. 194, hanno presentato tutti obiezione, non perché non venivano pagati, ma perché era una scocciatura. Su questo combatto da una vita: non bisogna considerare un intervento chirurgico di questo genere e una difficoltà della donna come una scocciatura! Bisogna considerarli come un'evenienza, una necessità e come una disponibilità da parte nostra, di medici, che, mi permetto di dire, non tutti la pensiamo alla stessa maniera.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Signor presidente, rispondo brevemente alle domande su Matera. Penso che possiamo accorpare le risposte. La nostra ASL comprende 127 mila abitanti, in una regione di 650 mila abitanti. Quando si parla di Basilicata, parliamo di ASL. La nostra è una situazione molto variegata. È una regione con varie differenze e con cinque ASL. I nostri dati sono verificabili e confermabili: abbiamo avuto 19 rientri su 226 casi. Poi, ci sono 60 altri casi di cui non conosciamo l'esito. Probabilmente, come ha detto lei, signor presidente, esistono situazioni che non possiamo conoscere. Il dato, comunque, rimane: ci sono stati 19 rientri.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Vorrei aggiungere soltanto una cosa, rispondendo all'onorevole Porcu. Lei ha fatto riferimento alla circostanza che, in quanto medici, dobbiamo salvaguardare la vita. Allora, io ho deciso di essere non obiettore al secondo anno di specializzazione quando, durante un turno di guardia, fummo chiamati in rianimazione a Bari, dove una ragazza di diciotto anni era in coma per aver assunto un infuso di prezzemolo... Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi ginecologi, i direttori sanitari e tutti gli altri intervenuti a questa audizione che, sicuramente, è stata motivo di arricchimento per tutti.

MAURA COSSUTTA. E chi vuol capire, capisca!

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,30.