INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,45.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'industria dell'automobile, l'audizione di rappresentanti di FIAT Spa. Sono presenti l'avvocato Paolo Fresco, presidente ed amministratore delegato della FIAT Spa, il dottor Giancarlo Boschetti, amministratore delegato della FIAT auto Spa, il dottore Pierluigi Fattori, responsabile risorse umane della FIAT Spa, il dottor Maurizio Beretta, responsabile relazioni esterne della FIAT Spa, il dottor Vincenzo Ruocco, responsabile direzione ambiente e relazioni istituzionali della FIAT auto Spa, il dottor Simone Migliarino, responsabile ufficio stampa della FIAT Spa e il dottor Mario Spetia, responsabile dell'ufficio stampa della FIAT Spa di Roma.
PAOLO FRESCO, Presidente e amministratore delegato della FIAT Spa. Vorrei ringraziare le Commissioni attività produttive di Camera e Senato per l'invito che ci è stato rivolto, che ci offre l'occasione di illustrare la situazione nella quale si trova la FIAT, in particolare FIAT auto, i problemi che stiamo affrontando, le strategie che stiamo perseguendo. Come il presidente Tabacci ha indicato, l'indagine conoscitiva verte sul settore automobilistico e, dunque, l'argomento principale sarà trattato dal dottor Boschetti, amministratore delegato di FIAT auto.
le previsioni più recenti, anche se bisogna tenere conto del fatto che si tratta di situazioni che risentono di una grande «fluidità». Ci troviamo, dunque, all'interno del ciclo negativo.
esistendo un calo di fiducia radicale, che coinvolge aziende buone o meno buone in maniera paritetica.
il 51 per cento delle attività di servizi finanziari di FIAT Auto, permettendoci di abbattere l'indebitamento lordo di oltre 8 miliardi di euro; ricordo che ciò non è solo un loro interesse, in quanto altri istituti bancari e finanziari mondiali si sono mostrati interessati a rilevare tale attività. Noi saremmo favorevoli a forme di collaborazione, per cui il partner bancario si assume l'onere della provvista del denaro, eliminando il peso del nostro debito ed il suo costo (la nostra provvista è più cara di quella che potrebbe avere una banca con una double o triple A), mantenendo a noi, tuttavia, il controllo del rapporto con il cliente.
PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Paolo Fresco per l'illustrazione delle questioni principali relative al gruppo FIAT. Do ora la parola al dottor Giancarlo Boschetti, amministratore delegato di FIAT Auto Spa.
GIANCARLO BOSCHETTI, Amministratore delegato di FIAT Auto spa. Mi ripropongo - ricorrendo anche ad una serie di slides - di illustrare l'attuale stato del gruppo FIAT, collegandomi a quanto riferito dall'avvocato Fresco circa la situazione del mercato, l'andamento della domanda e tutte le conseguenze possibili sulla attività automobilistica, sino a passare alla diagnosi fatta sulla situazione di FIAT Auto, ed ai provvedimenti correttivi che intendiamo adottare, secondo un piano industriale diretto a raggiungere il pareggio di bilancio già nel 2003 e un risultato positivo nel 2004. Il piano comporterà, nel periodo 2002-2004, investimenti per circa 2,4 miliardi di euro annui. Risultati più apprezzabili si registreranno nel 2005.
mesi, ancora a livello europeo, vi è stata una riduzione della domanda intorno al 2, 3 per cento.
di marketing; abbiamo un mix di canali totalmente negativo, una rete di concessionari molto frammentata e una pressione sui prezzi imputabile alla scarsa capacità di vendita aziendale. Sulle strutture dei costi, stiamo avviando un processo diretto al raggiungimento di livelli produttivi ottimali. Utilizzare la capacità installata al 65-70 per cento, come avviene attualmente, vuol dire sostenere costi eccessivi legati a qualità non eccelsa. Inoltre, riteniamo che un problema specifico sia rappresentato dalla eccessiva dipendenza della FIAT Auto dal mercato italiano (circa il 60 per cento).
all'interno degli stabilimenti esistenti, di tutte quelle capacità che non fossero indispensabili.
General Motors. Le piattaforme che abbiamo in comune con GM sono la premium, la large e la small. Quest'ultima si traduce nella nuova Punto-Corsa per GM, mentre la large rappresenta un segmento dove noi eravamo con la Croma ma che poi abbiamo sostanzialmente abbandonato (è il segmento dai grandi volumi e ad altissima redditività, non comparabile con il segmento delle vetture piccole). Infine, vi è la piattaforma premium, che consiste nel rinnovo della 156 Alfa Romeo. Tale piattaforma viene gestita con il rinnovo dei prodotti Saab e dei prodotti Opel di alta gamma.
cento rispetto ai motori attuali. In questo modo, sarà corretto l'elemento di debolezza, rappresentato dai consumi e dalle potenze limitate dei motori.
futuro immediato, poiché il numero di consumatori è soltanto di pochi milioni di persone. In India, per il 2002 possiamo considerare circa 50 mila automobili, essendo stati accolti molto bene i prodotti. Il Brasile rappresenta un'area centrale della nostra presenza in Sudamerica con 800 milioni circa di euro. Non mi soffermo sulla Polonia, mentre in Turchia abbiamo attualmente una situazione drammatica, ma confidiamo che, al di là dell'ingresso nell'Unione europea, trattandosi di una nazione con un potenziale (per popolazione e per capacità) molto elevato, si potrà determinare un cambiamento di situazione, per cui continueremo a investire.
azionisti quest'anno ci forniscono un miliardo di euro - di poter realizzare il nostro sviluppo autonomamente dal punto di vista finanziario: non ci indebiteremo in misura maggiore per poter finanziare quel progetto di investimenti che abbiamo definito.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Boschetti per la sua relazione. Do la parola ai colleghi che vogliono intervenire per porre domande e formulare osservazioni.
STEFANO SAGLIA. Vorrei ringraziare i rappresentanti del gruppo FIAT che ci hanno offerto un quadro sintetico ma molto chiaro.
PIERO FASSINO. Ringrazio il dottor Fresco e l'ingegner Boschetti per le informazioni fornite, che consentono al Parlamento di avere conoscenze dettagliate ed esaurienti.
ed il rapporto di carattere finanziario e azionario esistente tra i due gruppi. Si tratta di un'integrazione produttiva che allude e prelude ad un processo di maggiore ed organica integrazione tra i due gruppi?
LORIS GIUSEPPE MACONI. Desidero fare due domande brevissime. Ascoltando ieri gli amministratori locali, fra gli interventi di sostegno pubblico a favore del settore auto ne venivano indicati alcuni in direzione della compatibilità ambientale e della produzione di auto ecologiche.
GIANFRANCO MORGANDO. Mi limiterò a tre domande. Dapprima vorrei comprendere se negli inevitabili processi di riorganizzazione e di concentrazione dell'industria automobilistica mondiale la strada degli accordi industriali di riduzione dei costi, sperimentata dalla FIAT e da General Motors, sia in grado di sostituire quella delle integrazioni societarie e delle acquisizioni; vorrei conoscere, inoltre, la vostra valutazione sulle ricadute riguardanti l'attività produttiva italiana per l'accordo tra FIAT e General Motors. Mi riferisco alle modalità con cui si sceglie la localizzazione delle produzioni comuni sia delle piattaforme sia delle produzioni motoristiche, che potrebbe comportare il rischio di un depauperamento dell'attività produttiva nazionale in un settore importante a causa degli accordi industriali.
sul mercato; e quando mi riferisco ad interventi sul mercato parlo, sicuramente, di rottamazione, ma non uso tale termine perché tutti abbiamo deciso che di rottamazione non si deve più parlare. Può esistere, allora, un'opportunità, da valutare con attenzione, di interventi sul mercato, laterali ai processi inevitabili e centrali di riorganizzazione finanziare l'industriale? Mi hanno colpito, infatti, le affermazioni dell'ingegner Boschetti, quando ha citato la dimensione gigantesca dell'usato, anche di qualità: potrebbe la flessibilizzazione del mercato dell'usato avere effetti per la crescita del mercato del nuovo?
LORENA MILANATO. Ringrazio innanzitutto l'avvocato Fresco e il dottor Boschetti per loro relazione. Mi limiterò a formulare soltanto alcune domande dato che molte considerazioni sono state già svolte dagli altri colleghi.
GIORGIO BENVENUTO. Intervengo brevemente per svolgere una considerazione e per formulare alcune domande.
produttrici di automobili come ad esempio la BMW o la Mercedes e così via. Secondo voi, questo mio ragionamento deriva da una preoccupazione eccessiva oppure ha una sua validità?
RENATO CAMBURSANO. Si è fatto riferimento alle iniziative FIAT, all'usato, ai chilometri zero, all'autoregistrazione: credo che il dottor Fresco sia stato convincente, almeno nell'illustrare, nel tempo limitato a sua disposizione, il piano industriale FIAT.
lo Stato - non solo sul piano fiscale - per accelerare il cambio di rotta e attivare il mercato dell'auto? E le autonomie locali come potrebbero agire, per esempio sulla questione delle flotte? E come dovrebbe intervenire il sistema finanziario, per sostenere la FIAT, e in particolare la FIAT Auto, e arrivare così a gennaio 2004, evitando troppo facili cessioni aziendali, senza che una presenza italiana non sufficientemente forte agevoli l'imposizione di regole ad opera del partner più forte? Un eventuale accadimento penalizzerebbe l'Italia proprio mentre sappiamo che il settore auto resta, ora e in futuro, determinante, dal punto di vista industriale, per il nostro paese. Vorrei, inoltre, ricevere delucidazioni, ad esempio, sul contenuto dell'accordo FIAT - General Motors, a proposito della produzione dei motori: è vero che dovrebbe rimanere in Italia soltanto la produzione di motori diesel, spettando alla Germania quella di motori a benzina?
GIANNI VERNETTI. Ringrazio i vertici FIAT per la loro presenza e disponibilità. Le relazioni sono state, a mio parere, interessanti ed anche convincenti.
NERIO NESI. Gran parte del paese e dei commentatore europei è convinta che le dinamiche aziendali in atto siano dirette semplicemente ad agevolare la vendita totale della FIAT, da parte della famiglia Agnelli, alla General Motors.
FIAT ha certamente natura finanziaria. Consenta a me, uomo di lunga esperienza in questa materia, per la sua età, di dire che le banche, intervenute anche con il consenso della Banca d'Italia, hanno agito per salvare i loro crediti. Ed è naturale che gli istituti bancari si comportino così.
VALTER ZANETTA. Ho ascoltato con piacere l'illustrazione svolta dal dottor Boschetti (soprattutto nella parte del piano industriale) dalla quale traspaiono comunque un ritrovato orgoglio, una spinta ed una forza per affrontare i difficili temi che si pongono.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla dottor Boschetti e all'avvocato Fresco per la loro replica, desidero anzitutto ringraziarli per la cortesia dimostrata nel partecipare all'incontro di oggi e per la documentazione che ci hanno fornito così come per quella che eventualmente intenderanno farci pervenire, anche alla luce delle osservazioni loro rivolte da diversi colleghi, per le quali, ovviamente, si immagina qualche risposta ma non tutte le risposte.
GIANCARLO BOSCHETTI, Amministratore delegato della FIAT auto Spa. Si è parlato molto di rottamazione; tra l'altro, è stata detto che il Governo sta esaminando la possibilità di adottare i relativi provvedimenti. Un fenomeno dirompente, come la precedente rottamazione (con tutte le finalità positive che poteva avere), non ha avvantaggiato il leader del mercato perché ha fornito un'occasione ai concorrenti. È evidente che anche il leader del mercato ne abbia beneficiato, ma in misura minore ma la concorrenza ne ha approfittato per impiantarsi stabilmente
(anche se ciò sarebbe ugualmente avvenuto, con tempi maggiori, data l'importanza del mercato italiano).
e leggendolo oggi vi dico che non esistono regole chiare per la definizione della localizzazione. Abbiamo lavorato con i nostri partner definendo una modalità operativa basata sulla competitività, l'unico criterio valido nel tempo. La competitività globale tiene conto della struttura dei costi nel paese, di ciò che comporta il posizionamento logistico dell'unità rispetto al proprio mercato di distribuzione e del livello di infrastruttura dell'area. Quando mi occupavo della Iveco, ho dato un piccolo contributo personale partecipando alla redazione di uno studio: a livello di infrastrutture siamo un disastro.
fondamentale. Sta nascendo, con un piano dettagliato, una fabbrica per creare concessionari. A Genova, ad esempio, non esisteva un concessionario per l'Alfa Romeo (ne esistevano tre che hanno chiuso); si può parlare di quote, ma senza concessionarie è difficile riuscire a vendere. In tre anni vogliamo riuscire ad ottenere una copertura dell'80 per cento dei territori commerciali europei.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegner Boschetti. Do ora la parola alla presidente Paolo Fresco per le sue considerazioni conclusive.
PAOLO FRESCO, Presidente ed amministratore delegato della FIAT Spa. L'ingegner Boschetti ha parlato di rottamazione, e concordo con lui: la ripetizione della rottamazione com'era non sarebbe particolarmente attraente né opportuna. Provvedimenti mirati a stabilizzare il ciclo negativo attuale, a ridurre il parco inquinante del paese (che da noi è il più elevato d'Europa), ed a favorire simultaneamente lo smaltimento dell'usato, e dell'usato nuovo, rappresentano, invece, provvedimenti molto benvenuti. E se è vero che, per le norme comunitarie, di tali misure fruirebbero tutti, la FIAT ne sarebbe più avvantaggiata: in primo luogo, perché di solito in una situazione del genere le auto più piccole sono maggiormente coinvolte nell'operazione (noi possediamo quote di mercato superiori al 30 per cento del totale della gamma citata dall'ingegner Boschetti, includendo Mercedes, BMW, e così via); in secondo luogo, perché la FIAT ha un parco spropositato di usato nuovo non inquinante.
parte degli accordi iniziali; si comincia con dei motori in comune, con acquisti comuni, poi si passa alle piattaforme. Abbiamo sempre ritenuto compatibili tali convergenze con il mantenimento di una separazione e di una autonomia. È certo che soltanto l'esperienza può dimostrare se le stesse consentono i medesimi benefici di una integrazione tramite una fusione, oppure no: riteniamo, comunque, che queste convergenze permettano una buona parte di tali benefici.
registriamo come tale, ed un bene in utile; ma, appartenendo gli stessi a due enti diversi, sul bene in utile paghiamo le tasse, mente su quello in perdita non abbiamo alcuna deduzione.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di FIAT Spa e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 12,05, è ripresa alle 12,10.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Bianchi e del professor Guerci. Mi scuso con i nostri ospiti per il ritardo; d'altro canto, l'audizione svolta con i rappresentanti di FIAT Spa, come era facile immaginare, costituiva un passaggio importante nell'ambito dell'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo sull'industria dell'automobile. Personalmente, comunque, attribuisco una grande importanza all'audizione che ora andiamo a svolgere, data la competenza dei nostri ospiti in materia; competenza a cui faremo senz'altro ricorso per la elaborazione, al termine dell'indagine conoscitiva, dello schema di documento conclusivo.
materiale documentale, utile per lo svolgimento dell'indagine conoscitiva, che avessero deciso di consegnare.
CARLO MARIA GUERCI, Ordinario di economia politica all'Università degli studi di Milano - Facoltà di scienze politiche. La situazione è difficile, tuttavia il fenomeno non è inedito, lo vengo sostenendo da tempo: questa è una crisi di origini remote.
soprattutto negli Stati Uniti, in Germania, in Giappone, ovvero i maggiori mercati mondiali.
cambia vettura perché è uscito il modello nuovo e il figlio, la signora, noi stessi, ci innamoriamo di questo o quel modello: non si cambia la macchina perché questa non ne può più (questo accade semmai solo a chi la usa per motivi di lavoro facendo 150 mila e più chilometri l'anno).
Adesso, finalmente, il marketing è stato radicalmente cambiato, utilizzando anche Totti per realizzare gli spot pubblicitari (naturalmente, prima della partita della nazionale italiana contro la Corea del sud!).
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Guerci per la sua relazione e do la parola al professor Bianchi.
PATRIZIO BIANCHI, Preside della facoltà di economia dell'università di Ferrara. Grazie, presidente. Il professor Guerci ha concentrato il proprio intervento sui problemi relativi all'azienda, mentre io vorrei parlare dei problemi dell'industria: che cosa sta succedendo e cosa è successo nel mondo negli ultimi anni.
ha acquistato in Giappone, negli Stati Uniti, ed in Europa; il gruppo Ford ha comprato in Europa ed ha fatto accordi in Giappone; infine, c'è il gruppo FIAT, e rimane fuori il gruppo BMW, che ha comprato il marchio Mini, posizionandosi però sul mercato in un ambito specifico. La posizione del gruppo FIAT è molto diversa dal passato.
due gruppi possano gestire autonomamente due processi di ristrutturazione che per loro natura non possono che essere convergenti. Pertanto, mi sembra difficile immaginare che lo sviluppo dell'accordo con General Motors non passi tramite un forte raccordo dei due processi di coordinamento in termini di ristrutturazione.
grandi imprese, cioè per rendere appetibile l'investimento nel nostro paese, non solo nel settore dell'auto ma anche in altri settori. Ciò che vedo, e di cui sono molto preoccupato, è che negli ultimi tre anni in Europa vi sono stati dei processi di fortissima concentrazione, non tutti profittevoli, in cui l'industria italiana è stata sostanzialmente assente. Cito soltanto alcuni casi. Tra il 1999 e il 2001 si sono registrate delle grandi operazioni nel settore farmaceutico con la creazione ad esempio di Aventis. Altre importanti operazioni hanno riguardato Vodafone, entrata nel gruppo Mannesmann; la creazione di Eads; la razionalizzazione dell'intero settore petrolifero avviato da BP-Amoco; Vivendi-Seagram. In tutte queste operazioni non abbiamo visto la presenza di imprese italiane, le quali sono state straordinariamente assenti. Se dovessi immaginare il perché di ciò, direi che la nostra è una struttura industriale in cui le grandi imprese continuano ancora ad essere fortemente legate a strutture proprietarie familiari; struttura industriale la quale si adegua molto male ad un processo di concentrazione a livello mondiale in cui bisogna avere la capacità di creare imprese più grandi mescolando e anche diluendo il controllo.
PRESIDENTE. Do la parola ai collegi che desiderano rivolgere quesiti.
GIORGIO BENVENUTO. Ringrazio gli ospiti per le esposizioni rese, di grande interesse e attualità.
allora, gli interlocutori sociali dal problema di una ristrutturazione industriale e di un'integrazione di mercato.
PRESIDENTE. Con riferimento alle quote di mercato coperte dal gruppo FIAT in Italia (il 31 per cento) la mia impressione è che questo dato in realtà celi un grave squilibrio di collocazione tra le diverse aree del paese: temo che il marchio FIAT e quelli collegati abbiano al nord una presa ancora più bassa, nettamente inferiore. E ovviamente questo non sarebbe privo di implicazioni. Vorrei chiedere se vi siano elementi cognitivi utili in tal senso.
CARLO MARIA GUERCI, Ordinario di economia politica Università degli studi di Milano. Ciò avviene perché, evidentemente, i redditi al nord sono più alti.
NERIO NESI. Legandomi a quanto illustrato dal professor Guerci, non pare contraddittorio il fatto che, in presenza di un'Alfa Romeo capace di immettere sul mercato prodotti di alto livello, di fascia alta, collocati molto bene, la FIAT insista in analoghi progetti FIAT o Lancia, potenzialmente capaci di fare concorrenza ai primi?
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per le risposte.
CARLO MARIA GUERCI, Ordinario di economia politica Università degli studi di
Milano - Facoltà di scienze politiche. L'onorevole Benvenuto ha posto tre domande. La prima è sull'evoluzione dei gusti dei consumatori e credo questo sia il problema più difficile da risolvere per un produttore di auto, oggi, perché, come ha dimostrato bene il dottor Bianchi, le tradizionali segmentazione del mercato sono completamente saltate.
PATRIZIO BIANCHI, Preside della facoltà di economia dell'università di Ferrara. Per quanto riguarda i marchi, ricordo bene che ne abbiamo discusso moltissimo con il capo programmazione e ricerca della Daimler Chrysler. L'abbiamo fatto in Cina, a Canton, dove ogni anno ha luogo un'importante riunione di grandissime imprese con tre o quattro esperti ciascuno ma dove non vi è mai rigorosamente nessuna impresa italiana: in altre parole, nessuna impresa italiana viene invitata! Nel corso di questa riunione, il rappresentante della Daimler Chrysler mi spiegava come, secondo la logica della Daimler Chrysler, in realtà, loro siano diventati non solo un produttore globale ma anche un gestore di un portafoglio di marchi.
italiano, dove certamente abbiamo dei modelli Alfa molto belli, ma è pur sempre il mercato italiano!
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Guerci ed il professor Bianchi per il valido contributo, di cui terremo conto in fase di stesura del documento conclusivo. Dichiaro conclusa l'audizione.
(Così rimane stabilito).
Ringrazio i rappresentanti di FIAT Spa per aver accolto il nostro invito. Presumo che successivamente al dottor Paolo Fresco dovrà intervenire, per approfondire gli aspetti specifici, il dottor Giancarlo Boschetti; sulle loro comunicazioni e sui documenti che ci forniranno apriremo la discussione.
Do la parola all'avvocato Paolo Fresco per la relazione introduttiva.
Vorrei svolgere qualche considerazione introduttiva, di carattere generale, sul gruppo FIAT, che credo riflettano l'interesse dei presenti. Noto una presenza qualificata, di deputati e senatori che conoscono bene la situazione attuale e che sanno che abbiamo attraversato un momento negativo, nel quale alcune nostre debolezze originarie si sono combinate ad un deterioramento della congiuntura economica internazionale, che dura tuttora e si è riflesso sui nostri principali mercati.
Vorrei citare alcuni dati: la domanda automobilistica complessiva in Europa nei primi cinque mesi del 2002 è scesa di circa il 4 per cento e, purtroppo, di quasi il 13 per cento in Italia; per l'anno in corso prevediamo una flessione del 5 per cento a livello europeo e del 15 per cento in Italia. Sono particolarmente pesanti le situazioni di altri mercati importanti per il gruppo, come la Polonia (20 per cento in meno), la Turchia (57 per cento in meno), il Brasile (12,5 per cento in meno), secondo
Per quanto riguarda i veicoli industriali, e cioè i camion, il calo in Europa è stato del 10 per cento finora e prevediamo che sarà di oltre l'11 per cento a fine anno, condizionato soprattutto dall'andamento della domanda nei segmenti dei veicoli medi e pesanti. Siamo riusciti a sfuggire al ciclo negativo del settore, o almeno ci siamo sottratti in buona parte dalle sue conseguenze, a causa dell'alta qualità dei nostri prodotti, ma anche per la fortuna di non trovarci negli Stati Uniti, dove la crisi è stata particolarmente forte.
Per quanto riguarda la macchine agricole (si tratta delle uniche buone notizie) il mercato ha sostanzialmente tenuto in Europa e in Nord America.
Continua, invece, la pesante caduta della domanda di macchine per le costruzioni in entrambi i continenti (in Europa il 18 per cento in meno, in Nord America il 7 per cento in meno) e non ci aspettiamo sostanziali inversioni di tendenza nella restante parte dell'anno.
Le nostre attività automotoristiche sono di tipo ciclico: ci troviamo in una situazione analoga a quella descritta dal film The Perfect storm, in cui tutti i cicli negativi avvengono nello stesso momento; noi li stiamo affrontando da diverse posizioni di forza, in alcuni casi bene ed in altri casi meno.
Come è intuibile, questi andamenti coinvolgono, a monte, anche la componentistica automotoristica (ad esempio la Magneti Marelli ed altre industrie).
Avevamo previsto, almeno in parte, questa situazione, che è in parte peggiorata dal momento in cui abbiamo cominciato ad affrontarla. Alla fine dello scorso anno abbiamo preso una serie di importanti provvedimenti sul piano industriale e finanziario: ricordo che, quando il 10 dicembre scorso presentammo questi provvedimenti al nostro consiglio d'amministrazione, le nostre previsioni erano sostanzialmente peggiori di quelle fornite dalle statistiche ufficiali, ma migliori rispetto a quanto sta succedendo adesso.
Con gli interventi del dicembre scorso ci siamo proposti di risolvere due problemi di fondo che pesano sulla nostra velocità di marcia: il primo è l'indebitamento ed il secondo la redditività di FIAT auto. Vorrei soffermarmi sul problema dell'indebitamento, che credo costituisca interesse comune, anche se non si tratta dell'argomento sul quale verte l'indagine conoscitiva. L'indebitamento netto del gruppo FIAT, alla fine del primo trimestre di quest'anno ammontava a circa 6,6 miliardi di euro. Questa cifra corrisponde all'incirca alla differenza tra il valore delle acquisizioni che abbiamo fatto in questi ultimi tre anni, per portare i nostri settori su posizione di leadership globale, e quanto abbiamo incassato dalle dismissioni con cui abbiamo in parte finanziato questo sforzo. Un livello di indebitamento netto di questa dimensione non è eccessivo per un gruppo come il nostro e non è stato giudicato tale fino a settembre del 2001.
Ciò nonostante era nostra intenzione ridurlo drasticamente, ed a tale fine avevamo programmato per il 2001 la cessione dell'attività di Magneti Marelli per un importo di circa 2,5 miliardi di euro. Come è noto il clima di crescente incertezza, che lo scorso anno ha finito per congelare le decisioni di investimento (basti pensare che le operazione di merger and acquisition in Europa sono diminuite del 55 per cento rispetto all'anno precedente), ha reso impossibile raggiungere tale obbiettivo.
All'incertezza si è aggiunto un brusco cambiamento nell'atteggiamento dei mercati finanziari, scottati dagli scandali della Enron e di altre aziende americane. Dal punto di vista industriale, i danni creati dal caso Enron sono superiori a quelli provocati dall'11 settembre 2001, minando fondamentalmente il livello di fiducia dei risparmiatori nell'industria; essendo, inoltre, l'andamento dei mercati finanziari basato sulla fiducia dei consumatori, è comprensibile che tutto ciò abbia avuto conseguenze gravi; tant'è che alcuni parlano di crisi sistemica e non congiunturale,
Ho molti contatti con l'ambiente americano per il lavoro svolto quattro anni fa, ed ho notato un ambiente cambiato completamente, in cui si dubita di tutto e di tutti. Comunque, le preoccupazioni sollevate da tali vicende hanno indotto il mondo finanziario a guardare con molta cautela a qualsiasi posizione debitoria, accomunando e sommando debiti industriali e debiti contratti dalle società finanziarie di un gruppo industriale nelle normali e redditizie attività di credito ai clienti.
In realtà, le società automobilistiche hanno una specie di banca interna, che fa credito ai consumatori, alla rete ed ai fornitori; le banche interne fanno parte integrante di ogni società automobilistica. Quando lavoravo in General Electric ho visto casi in cui tale attività era affidata a banche esterne con successo, ma la stragrande maggioranza di produttori di automobili, di camion e di macchine agricole ama avere la sua attività bancaria.
Fino alle recenti vicende, tali attività erano considerate completamente diverse, e non erano assommate nella valutazione degli analisti delle società di rating al debito industriale. La situazione è cambiata negli ultimi mesi, ed è inutile polemizzare sul valore di tale cambiamento, piuttosto dobbiamo prenderne atto. Abbiamo, allora, deciso di muoverci lungo due direttrici: da un lato, fare un maggior ricorso al mercato; in tal senso abbiamo compiuto l'aumento di capitale di FIAT Spa, deliberato a dicembre, e quello di CNH, per la quale raccogliamo dal mercato soltanto il 16 per cento del capitale, in quanto il resto ci appartiene, avendo convertito un nostro credito nei confronti della CNH con un aumento di capitale. Infine, abbiamo deciso la quotazione in borsa della Ferrari, prevista per la fine dell'anno, di cui si continuerà a mantenere più del 50 per cento (abbiamo avuto già innumerevoli offerte di collaborazione da parte di istituti bancari, ci sono chiamate quotidiane dallo stock exchange di New York, essendo un «boccone» prelibato che tutti vorrebbero assaggiare); pensiamo, comunque, che le azioni della Ferrari saranno di gran lunga vendute sul mercato italiano, e la società sarà quotata nella borsa di Milano. Il rafforzamento del nostro programma di dismissioni è comunque continuato, e vi abbiamo incluso un maggior numero di attività industriali e no (anche quelle piccole, sconosciute e di scarso significato, che non sono identificate dal pubblico, sebbene la loro dimensione renda più facile la vendita).
Ad ulteriore sostegno della nostra strategia di rafforzamento finanziario, sono intervenute nelle ultime settimane due importanti intese. La prima è stata raggiunta con Banca di Roma, Intesa BCI, San Paolo IMI, Unicredito, BNL, Monte dei Paschi e con altri istituti, anche stranieri, che probabilmente aderiranno; tale accordo complessivo, a fronte del nostro impegno ad accelerare la già prevista ristrutturazione del portafoglio di business, è volto a ridurre l'indebitamento netto della nostra attività, e prevede l'impegno da parte delle banche a garantire per tre anni un eventuale aumento di capitale della FIAT, mediante l'emissione di opzioni di azioni ordinarie (3 miliardi di euro); la garanzia prende la forma di un finanziamento di pari importo immediatamente erogato alla FIAT, prevalentemente attraverso la sostituzione di linee di credito a breve, che verrà convertito in azioni, offerte, successivamente, dalle banche in opzione agli azionisti. Per l'esattezza, attualmente, abbiamo obbligazioni convertibili, che diventano azioni al termine di tre anni, per le quali le banche non possono chiedere il rimborso, in quanto la loro unica facoltà è di convertirle in azioni. La FIAT, invece, può ripagare, anche parzialmente, tale finanziamento, senza lanciare l'aumento di capitale qualora l'indebitamento finanziario del periodo si sia ridotto in materia stabile ai livelli previsti dai nostri piani.
Banca di Roma, Intesa BCI, San Paolo IMI ed Unicredito, inoltre, si sono offerte di acquistare, fatti salvi i nostri obblighi sulla base degli accordi con General Motors,
Sono in corso diverse discussioni; ma il fatto è che abbiamo un obbligo con la General Motors, sulla base degli accordi generali esistenti, di una loro priorità nel caso di joint ventures o di vendite di nostre attività interne alla FIAT Auto: è probabile, quindi, che la stessa General Motors intenda partecipare a tale operazione.
In secondo luogo, nell'ambito degli accordi tra i soci di Italenergia, alla fine della settimana scorsa, abbiamo ceduto una quota del 14 per cento delle società alle banche partner, riducendo direttamente e indirettamente la nostra posizione debitoria.
Ciò permette di evitare che, secondo i criteri di valutazione sui grandi rischi adottati dalle banche centrali europee, ai nostri debiti possano venire sommati quelli di Italenergia, che è un fatto escluso dal punto di vista civilistico e borsistico (la Consob ha affermato che, avendo in nostro possesso solamente il 38 per cento di Italenergia, non dovevamo consolidare). Comunque, esistendo criteri più stringenti, che si prestano ad interpretazioni, per cui l'attività di Italenergia con il 38 per cento potrebbe essere considerata parte di un complesso economico più unitario, abbiamo evitato con l'operazione citata di correre tale rischio: scendiamo al 24 per cento, ed Italenergia non sarà più considerata, neanche ai fini delle banche centrali, come parte del gruppo FIAT.
Inoltre abbiamo ottenuto da un consorzio bancario guidato da Citigroup un finanziamento per circa un miliardo e 200 milioni di euro assistito da una put option su EdF da esercitare nel marzo del 2005 per quel che riguarda la nostra restante quota del 24,6 per cento di Italenergia-bis. In realtà, abbiamo operato una divisione in due tronconi; uno è stato ceduto alle banche ed è pari al 14 per cento, mentre l'altro, che rimane di nostra proprietà, è scontato presso una banca e, come tale, ci consente di generare cassa per un importo totale di un 1,6-1,7 miliardi di euro; ciò rappresenta un importante contributo per i nostri bilanci.
Desidero sottolineare che con questo accordo ci siamo voluti garantire la libertà di poter contare in futuro sulle più ampie possibilità di scelta, compresa quella di crescere nel capitale di Italenergia utilizzando i nostri diritti di prelazione (infatti, a prescindere dalle decisione dei soci finanziari - Tassara e banche -, i soci industriali hanno un diritto di prelazione su tali azioni nel caso in cui esse venissero poste in vendita). Pertanto, con le azioni in nostro possesso siamo sempre in grado di poter crescere in maniera sproporzionata e superiore alla potenziale crescita del socio industriale francese.
Inoltre, abbiamo condiviso, in questa occasione, con tutti gli azionisti (inclusi i soci francesi) l'obiettivo che il controllo di Italenergia - che costituisce una grande realtà industriale del paese - rimanga in mani italiane; peraltro la stessa EdF ha dichiarato esplicitamente che di Italenergia intende essere socio strategico e tecnologico e non più di questo, accettando che la maggioranza del capitale rimanga in mani italiane. Gli obiettivi nostri e di EdF, a questo riguardo, sono del tutto compatibili e condivisibili.
Con queste operazioni il gruppo è ora in grado di lavorare più tranquillamente alla realizzazione dei sui piani industriali; questo non è solo un giudizio nostro, ma anche delle principali agenzie internazionali di rating, che, pur mantenendo una comprensibile prudenza per il futuro, hanno dimostrato di apprezzare le nostre iniziative di riequilibrio e di rafforzamento finanziario.
L'altro aspetto, di cui parlerà più diffusamente il dottor Boschetti, è quello della redditività di FIAT-Auto. In questi anni FIAT-Auto ha compiuto sensibili progressi sul terreno dell'innovazione dei prodotti, dell'offerta di servizi ai clienti; le sue capacità tecnologiche e produttive sono di tutto rilievo, i sui marchi hanno un'immagine solida, la sua presenza nei nuovi mercati è articolata e bilanciata: tutto ciò, tuttavia, non si è tradotto nei frutti che speravamo. Una delle ragioni principali era, quando abbiamo deciso la riorganizzazione, di natura organizzativa e stava nella struttura eccessivamente centralizzata della società FIAT-Auto; da qui la decisione di riorganizzare la società in una serie di business units autonome, ciascuna con piena responsabilità della propria gestione economica e ciascuna concentrata sulle aree chiave della competitività (la creatività dei prodotti, la qualità e l'efficienza delle reti commerciali). Con questa nuova organizzazione FIAT-Auto si è data tre aree principali di intervento: innalzare l'efficienza e la qualità delle vendite; aggredire la struttura dei costi; il rinnovo della gamma dei modelli.
Certo è che lo sforzo di rilancio che FIAT-Auto ha messo in cantiere e che sta realizzando a ritmo sostenuto deve confrontarsi con la situazione di mercato che, come ho detto prima, va deteriorandosi. La domanda in Italia si sta rivelando ancora più debole di quanto lasciassero pensare le previsioni pessimistiche di inizio anno; ma soprattutto quello che sembrava un caso isolato nel contesto europeo ora non lo è più. Segnali di cedimento paragonabili a quelli dell'Italia stanno avvenendo, negli ultimi mesi, con l'eccezione della Gran Bretagna e di qualche paese minore, pressoché dappertutto in Europa.
È inevitabile che un tale sfavorevole andamento dei mercati si rifletta sull'occupazione. Per quel che riguarda il nostro gruppo, abbiamo scelto la strada di avviare le procedure di mobilità per 2.900 persone di FIAT-Auto e delle società di servizi Ges.co e FIAT Se.p.in.
Riteniamo che la nostra scelta di accompagnare alla pensione gli ultracinquantenni piuttosto che costringere i più giovani al disagio di doversi trovare una nuova collocazione nel mondo del lavoro permetta di ridurre al minimo possibile gli impatti sociali di questo momento difficile (anche di questo vi parlerà il dottor Boschetti, e per quanto attiene ai rapporti con i sindacati il dottor Fattori).
Se questi sono i problemi e le azioni che abbiamo intrapreso per superarli, c'è anche l'altra faccia della medaglia, che mi rammarico che non siamo riusciti a comunicare abbastanza bene o che, non essendo attraente, non viene sufficientemente recepita dai media. In questi anni abbiamo fatto moltissimo per costruire basi solide e durature per la nostra crescita (di FIAT group); abbiamo selezionato il nostro portafoglio di business, uscendo da quelle aree in cui non eravamo oggettivamente in grado di conquistare posizioni di eccellenza competitiva per concentrarci solo nei settori in cui avevamo la possibilità di essere fra i protagonisti mondiali dei mercati. In tal senso, l'esempio più importante è l'acquisizione della Case Corporation da parte di New Holland: la CNH è infatti oggi co-leader tra i produttori mondiali (insieme con la John Deer) di macchine per l'agricoltura e al terzo posto in quelle per le costruzioni (dietro due giganti mondiali come Caterpillar e Comazu) e sta rapidamente migliorando - dopo gli ovvi problemi di integrazione - il suo contributo ai nostri risultati economici.
L'Iveco, che ha completamente rinnovato la sua gamma di prodotti, si colloca ormai al vertice europeo nei veicoli industriali leggeri e medi, sta crescendo nei pesanti e si colloca al secondo posto in Europa per la redditività operativa. Iveco, oltre alla buona qualità dei prodotti, ha avuto anche il privilegio di essere guidata in maniera efficace, fino qualche mese fa, dal dottor Boschetti. Fra l'altro, Iveco è stata riorganizzata per business units - come adesso avviene per l'auto - proprio dal dottor Boschetti; ciò ha consentito un miglioramento dei risultati economici conseguiti.
FIAT-Avio, società che si occupa della componentistica aeronautica, è per redditività al primo posto tra i produttori mondiali (con un fatturato che si aggira intorno a 1,5-2 miliardi di euro); società riconosciuta ed apprezzata a livello mondiale.
Toro, anche grazie alla alleanza con Banca di Roma, è la compagnia assicurativa italiana con il più alto tasso di crescita della raccolta premi negli ultimi tre anni; negli ultimi cinque anni in pratica ha quadruplicato il volume della raccolta premi conseguendo eccellenti risultati sul piano reddituale.
Naturalmente, un ruolo fondamentale è svolto dall'alleanza industriale con General Motors, che ha posto FIAT-Auto nelle condizioni di competere con vantaggi di costo che altrimenti non avrebbe potuto ottenere e di accedere alle risorse globali del principale costruttore mondiale. I frutti di questa alleanza nei nostri conti sono già percepibili, grazie alle sinergie che stiamo realizzando; comunque i frutti più importanti li vedremo col tempo, grazie alle collaborazioni in atto nello sviluppo di componenti e sistemi comuni.
Nell'impegno che ha caratterizzato la trasformazione della FIAT in questi anni, un ruolo molto importante l'hanno svolto gli investimenti effettuati sulle nostre persone. Mi limiterò, anche in questo caso, a poche cifre. In particolare, abbiamo rinnovato il 25 per cento dei ranghi direttivi e dirigenziali del gruppo, con l'ingresso di molte giovani leve; abbiamo assunto più di 2.300 giovani neolaureati dal 1999 ad oggi; abbiamo speso in formazione una media di circa 140 milioni di euro l'anno.
Concludendo, la FIAT sta attraversando un momento delicato e complesso di transizione per adeguarsi ai tempi nuovi della competizione globale. Ma oggi siamo più snelli, siamo più concentrati sulle cose che sappiamo fare meglio, siamo più presenti in aree di business ad alta redditività, siamo più in grado di valorizzare l'apporto di creatività, di iniziativa, di professionalità delle nostre persone. Sappiamo quali sono i problemi, li stiamo affrontando. Siamo determinati a risolverli al più presto, perché abbiamo tutte le capacità per farlo e vogliamo farlo; non abbiamo nessuna intenzione di venire meno al nostro ruolo di fondamentale asset per l'Italia nell'economia globale.
Di andamento della domanda dell'auto ha già trattato, nel corso del suo intervento, l'avvocato Fresco. Sicuramente vi è il problema della capacità produttiva, però il suo sovradimensionamento non è un fenomeno che riguarda solo la FIAT ma tutti i costruttori di automobili. A livello mondiale vi è un utilizzo della capacità intorno al 70 per cento, valore andato a scendere negli ultimi anni, che probabilmente, tra il 2002 ed il 2003, calerà ancora intorno al 65 per cento.
Questo risultato subirà delle differenziazioni a seconda del paese di riferimento. Se dovessimo esaminare l'Europa di questo periodo, ci collocheremo intorno al 65-70 per cento, quanto a capacità produttiva complessiva. Il secondo tema che intendo affrontare riguarda l'andamento della domanda. Nei primi cinque
Il calo dell'Italia è particolarmente significativo, con una flessione media del -12,7 per cento. La Germania si qualifica, invece, con un -5 per cento, la Francia un -2,7 per cento: questi sono i dati disponibili fino a maggio dell'anno corrente, ma dal mese di giugno si prevede che la tendenza alla riduzione del mercato sarà ancora maggiore, con l'unica eccezione di quello britannico (+ 8,2 per cento).
Siamo di fronte ad una domanda che si presenta negativa di rispetto al 2001, e riteniamo che la seconda parte del 2002 non smentisca questa tendenza. Il trend, del resto, affonda le sue radici nella fase temporale precedente. Esaminando l'andamento del mercato italiano dell'auto nel 2001, complessivamente, il dato finale si attesta ad un volume di immatricolazioni pari a 2 milioni 426 mila, ma se analizziamo la tendenza nella prima parte dell'anno (i primi cinque, sei mesi) notiamo che lo stesso mercato toccava livelli annui di oltre 2 milioni e 600 mila immatricolazioni, ma poi si è ridotto pesantemente nel secondo semestre.
La migliore stima che noi siamo in grado di fare oggi prevede che il livello di auto immatricolate si attesti a circa due milioni di automobili, con una contrazione del 15-18 per cento.
Questo andamento del mercato è risultato di due componenti, la prima delle quali è certamente quella europea, che rispecchia una flessione dei consumi generalizzata in tutti paesi, in un clima non esattamente adeguato a favorire il mercato dell'auto. Il secondo elemento, molto importante per l'Italia, è rappresentato dal ciclo di sostituzione delle vetture acquistate negli anni 1993-1996, fenomeno che inizia appunto nel 2002: e ciò che si deve evidenziare in proposito è che il livello della domanda in quegli anni, rispetto al periodo precedente, era nettamente più basso. Quindi l'immissione nel mercato di una quota della domanda rappresentata dai possessori di quelle auto significa spinta del mercato medesimo verso un livello più basso.
E la componente macroeconomica sicuramente non è favorevole all'incremento del consumo. La preoccupazione generalizzata che ci tocca da vicino - non credo, però, relativa soltanto a FIAT Auto - si radica nell'importanza rivestita dal settore in Italia.
Secondo stime dell'Anfia, la produzione di veicoli e componenti auto impiega 190 mila addetti, la distribuzione e assistenza post vendita 380 mila: se a questi dati aggiungiamo i numeri di coloro che si collocano a monte dell'attività produttiva, i fornitori delle materie prime, sfioriamo il milione e mezzo di addetti. Il valore aggiunto dell'industria manifatturiera è pari a 150 miliardi di euro, vetture e componenti costituiscono circa il 5 per cento di questo valore. Credo siano numeri che i presenti conoscono molto bene, su cui non vale la pena di soffermarsi ulteriormente.
Intendo ora parlare della vicenda FIAT Auto, soffermandomi sulle la modalità con cui abbiamo proceduto nel fare le diagnosi dei possibili mali di questa società. Dobbiamo tener conto, innanzitutto, che nel primo trimestre del 2002 abbiamo perso, a livello operativo, 430 milioni di euro: se vi aggiungiamo gli interessi passivi maturati, superiamo il mezzo miliardo di euro.
Ci siamo domandati se fosse un fenomeno temporaneo oppure di maggior gravità; abbiamo analizzato l'ultimo trimestre del 200, che presentava già una netta flessione del mercato, siamo giunti alla conclusione che il rallentamento non sia di breve durata, ma fisiologico, dopo il quinquennio positivo 1997-2001. Abbiamo, quindi, deciso di avviare un processo di trasformazione aziendale a partire dagli inizi di marzo, per passare da azienda funzionale ad azienda per processi. Ciò significa ridefinire le responsabilità ed individuare gli uomini a tempo di record, in due mesi e mezzo. Da marzo abbiamo iniziato a lavorare sulle diagnosi della vicenda. Riconosciamo certamente le nostre debolezze operative, di distribuzione,
Sono evidenti le implicazioni che questo produrrà in un paese ove la caduta della domanda è di circa il 13 per cento.
Varrebbe forse la pena di spendere una parola sul tema delle caduta della quota di mercato della FIAT Auto, di cui hanno parlato i giornali come sintomo di una crisi aziendale profonda, che non neghiamo esista: sicuramente, un elemento di criticità è riconducibile anche ad un peso crescente del mix dei canali delle vendite a redditività marginale ed elevato rischio, e ad una rete concessionaria troppo frammentata e con volumi di fatturato decrescenti. Dopo vengono le flotte aziendali, i rent a car, poi ci sono i chilometri zero, le autoregistrazioni.
La vicenda dei rent a car ha determinato un enorme mercato di usato in concorrenza diretta con i prezzi dei veicoli nuovi, conseguentemente si è determinato un mix dei canali che ha pesato fortemente sulla qualità delle vendite e, in ultima analisi, sul livello dei prezzi netti dei prodotti. Quindi abbiamo preso la decisione di intervenire per concorrere al risanamento delle quote di mercato. Vista questa situazione, abbiamo deciso di rivedere strutture e processi di funzionamento, riequilibrando il sistema dei costi, mettendo mano agli investimenti per assicurare lo sviluppo di una gamma di prodotto capace di rendere questa azienda più competitiva di quanto oggi sia, con pesanti interventi a livello della qualità della vendita, intendendosi per qualità della vendita fare investimenti significativi sulle reti distributive, sulla formazione dei venditori, di cui abbiamo grandemente bisogno. In assenza di ciò diviene difficile valorizzare il prodotto e gli investimenti che intenderemo promuovere. La chart che abbiamo mostrato credo possa rendere compiutamente l'idea del cambiamento nei funzionamenti dell'azienda.
Non è sufficiente fare delle business units, per cambiare le modalità di funzionamento aziendale, è necessario lavorare sui processi per poter avere veramente tutta l'attività che sia fatta solo di valore aggiunto e in direzione dei clienti, evitando tutto ciò che è irrilevante per gli stessi. Significa passare dall'area di funzione alla gestione dei processi. Ciò significa ricevere l'ordine di un cliente, seguirlo fino in fondo, garantire nei tempi promessi la vettura desiderata e della qualità giusta.
Quindi, ciò vuol dire passare da una pura azione di contenimento dei costi ad un discorso che valorizzi le opportunità. Contenere i costi è indispensabile, ma per quanto riguarda le opportunità che il mercato offre, queste devono essere colte governando la catena del valore, poiché questo comporta dei contributi che non sono comparabili con la pura riduzione dei costi.
Uno dei risultati è che, anziché avere un conto economico in capo soltanto all'azienda, le responsabilità vengono diffuse anche per quanto riguarda il conto economico, il capitale investito e via dicendo. Ciò significa avere molta più efficacia negli interventi attraverso, appunto, una distribuzione delle le responsabilità.
Inoltre, dobbiamo, nel breve, adattare la capacità produttiva (con il riequilibrio della struttura dei costi) alle nostre capacità di vendita. Stiamo utilizzando tale capacità - come ho già detto - solo al 70 per cento, ma l'obiettivo è quello di raggiungere l'85-90 per cento nel 2003.
Avremmo potuto, a fronte di un provvedimento di questo tipo, immaginare la chiusura di uno stabilimento ma non è ciò che abbiamo fatto. Ci siamo invece dati da fare per trovare quelle modalità di riduzione dei costi equivalenti alla chiusura di uno stabilimento attraverso l'eliminazione,
Faccio un esempio banale: se abbiamo tre linee di verniciatura ma ne servono solo due (la terza risultando scarsamente utilizzata), compattiamo la produzione su due linee, ne chiudiamo una, evitiamo quasi completamente i costi di gestione e gestiamo il tutto senza per questo dovere ricorrere alla chiusura dello stabilimento. L'esempio dell'impianto di verniciatura è solo uno fra tanti. Possiamo infatti pensare a moltissimi altri casi del genere, nel senso che la segregazione di alcune capacità all'interno delle fabbriche, pur non essendo funzionalmente equivalente alla chiusura di uno stabilimento - almeno in termini di capacità di gestione, non così, ovviamente, in termini di altre conseguenze - tuttavia ci si avvicina. Pertanto abbiamo scelto di seguire questa strada.
Naturalmente, in seguito all'adeguamento della capacità produttiva, secondo quanto il mercato ci ha imposto, siamo stati costretti a ridurre gli organici. Si tratta - come ricordato - di 2.442 persone di cui 1.831 operai e 611 impiegati, per un totale del 7 per cento degli organici in forza. Bisogna però aggiungere a tale cifra la riduzione dell'organico operata nel primo quadrimestre dell'anno - non incluso -, per cui la riduzione degli organici in Italia è dell'ordine del 14 per cento.
Prevediamo, tuttavia, di assumere 200 ingegneri l'anno, da introdurre nei centri di progettazione di Torino e di Elasis a Pomigliano. Facciamo ciò in seguito alla forte opera di terziarizzazione cui abbiamo proceduto negli anni passati (abbiamo infatti terziarizzato molte attività, e fin qui tutto è andato bene). Qualche volta abbiamo terziarizzato anche alcune competenze che servivano per gestire tali operazioni di terziarizzazione.
Adesso ci stiamo riappropriando delle competenze indispensabili per far sì che la terziarizzazione sia gestita e controllata. Così, ci portiamo dentro 200 ingegneri l'anno per rinforzare i centri di progettazione e - la cosa può sembrare più banale ma è ancora più difficile - circa 200 venditori esperti, proprio perché una delle attività che l'azienda non ha mai svolto in modo articolato è stata la vendita alle flotte. Queste ultime rappresentano ormai il 30 per cento del mercato europeo. Il canale dei concessionari gestisce anche le flotte ma buona parte di esse desidera avere un rapporto, per così dire, diretto con il costruttore: non lo faccio io e non lo fanno gli enti di relazione, per cui bisogna avere i rivenditori (può sembrare banale ma è così).
In proposito, abbiamo un programma per fare entrare in casa 200 venditori (da cercare soprattutto sul mercato e dislocati sui vari mercati) con il compito di attivare la vendita alle grandi flotte. Lo ripeto, può sembrare un po' banale ma è così: senza questi venditori non si effettuano vendite alle flotte.
Quindi, diciamo che a fianco del programma di riduzione dell'occupazione per l'adattamento, prevediamo assunzioni di personale molto qualificato per coprire la gestione della terziarizzazione in termini progettativi. Questi 200 venditori sono l'inizio di un programma - a mio avviso molto importante - da portare avanti nel tempo per gestire, appunto, le flotte. Lo ripeto, si tratta del 30 per cento del mercato e, non dico l'assenza, ma anche solo una presenza molto modesta esercita comunque un impatto molto rilevante in termini di vendite.
A fronte di ciò, rimane comunque una criticità dell'unità di Arese, la quale nella serie di attività, peraltro neanche collegate fra loro, ne ha una che sta diventando critica: l'unità di produzione delle Multipla Bipower, perché il mercato è quello che è.
La saturazione degli impianti è dell'ordine del 25-30 per cento. Credo inoltre che all'inizio dell'anno prossimo si esaurisca tutta la Cassa integrazione possibile, per cui ritengo che si tratti di un problema di cui dovremo occuparci rapidamente, affrontando la discussione nelle sedi competenti, in un futuro che non sia troppo lontano.
Un altro elemento, sempre riguardante il tema del riequilibrio della struttura dei costi, è dato dall'alleanza industriale con
Perché riteniamo che queste piattaforme con GM rappresentino un potenziale importante per produrre a costi estremamente competitivi? Perché, se consideriamo la fascia small, che sarebbe quella della nuova Punto del 2005, vediamo che, mettendo insieme FIAT e GM, arriviamo ad un volume che supera il milione di unità. Nessuno dei nostri concorrenti europei (neppure Renault insieme con Nissan) ha un volume di attività simile al nostro nel settore congiunto detto.
Ciò vuol dire che tutti i costi di investimento per lo sviluppo delle componenti di queste automobili sarà diviso in due. Gli investimenti di capitale fisso per la parte comune saranno quindi divisi per due mentre, a livello di contratti di fornitura, con volumi di questo tipo, siamo convinti che la somma delle tre cose rappresenti un'enorme potenziale.
Il rapporto con GM, al di là dei calcoli che riguardano gli azionisti, dal nostro punto di vista, è di fondamentale importanza perché fornisce le scale produttive in un settore dove siamo forti.
Se consideriamo il settore medium, cioè quello della nuova Stilo, si può facilmente constatare che si lavorerà su un volume simile a quello di tutto il gruppo Volkswagen (comprese Audi, Skoda, Seat e via dicendo).
Quindi, nei settori che contano, ci assicuriamo dimensioni che ci consentono di essere competitivi. Anche nel settore premium (cioè la nuova 156 e altre) abbiamo scale produttive paragonabili a quelle di BMW o Mercedes; Volkswagen con Audi, in questo settore, è un'altra cosa, tuttavia, anche in questo caso, il meno favorevole, abbiamo comunque una dimensione di scala ed un'enorme potenziale per poter incidere sulla struttura dei costi. Lo ripeto: abbiamo un obiettivo di riduzione dei costi di prodotto del 5 per cento (il 10 per cento è l'obiettivo operativo per tutti quelli che lavorano a questo).
Parliamo adesso di gamma di prodotto. Nel 2002 investiamo 2,2 miliardi di euro mentre, per il 2003 e il 2004, la cifra sale a 2,4 miliardi di euro.
Si tratta di investimenti finalizzati allo sviluppo dei prodotti, al capitale fisso necessario a ciò ed alla rete distributiva. Come ho già detto, la rete distributiva è uno degli elementi centrali del nostro intervento e vi abbiamo investito 500 milioni di euro; siamo convinti, infatti, di realizzare questi prodotti in maniera competitiva per gli anni 2004-2005-2006, ma se dovesse mancare la capacità di vendita che possa valorizzarli potremmo avere un insuccesso.
Per quanto riguarda il piano prodotto FIAT, è prevista la produzione, per il 2003, del nuovo modello della Mini, la vettura che sostituisce i modelli Panda e Seicento, e per il 2004 del modello Mini 3 porte B-MPV. Si tratta di una monovolume, appartenente alla categoria del segmento B, prodotto che la FIAT Auto non ha mai sviluppato e siamo fiduciosi di poterlo presentare già verso la fine del 2003. Infine, nel 2005 sono previsti tre nuovi modelli, la Nuova Punto, che nasce dall'effetto sinergico con la General Motors, di cui ho già parlato, la Large (che si situa nel segmento interessato dalla Croma), che nasce su una piattaforma condivisa con la General Motors, e la SUV, in collaborazione con la Suzuki. È un grosso passo in avanti, dato che in tre anni avremo tre prodotti interamente nuovi.
Per quanto riguarda i nuovi motori, a partire dal 2003 avremo una nuova generazione di motori frutto della convergenza con la General Motors. Essi sono mediamente, in termini di prestazioni e consumi, migliorativi tra il 20 ed il 25 per
I veicoli commerciali sono un settore estremamente importante per la FIAT Auto, perché si tratta di un volume di attività importante e perché hanno una redditività non comparabile con quella delle automobili. Anche in questo settore abbiamo effettuato investimenti molto importanti, perché è nostra intenzione valorizzare tale gamma di prodotto.
Per quanto riguarda l'Alfa Romeo, nel 2002 introdurremo soltanto la versione GTA sul modello 147, che, però, per quanto apprezzato dalla clientela, non comporta vendite elevate. Nel 2003 avremo l'Alfa Sprint e soprattutto, verso la fine del 2004, è prevista la nuova 156, che nasce da quella piattaforma premium fatta a Goteborg con Saab ed altre aziende. Si tratta della vettura «chiave» dell'Alfa Romeo, un lavoro estremamente promettente, e sono sicuro che sarà una vettura di successo. Sarà prodotta anche la 156 station wagon, verso il 2005 la nuova Spider e, negli anni successivi, il Cross Over e la Nuova 147 (attorno al 2007-2008). Produrre il Cross Over significa che non si cerca più di costruire un modello che si presenti come l'erede della 166, per passare a modelli nuovi che non sono né berline né fuoristrada, ma una via di mezzo che gli esperti di marketing considerano essere l'orientamento del futuro (come, peraltro, vediamo negli Stati Uniti). Inoltre, a partire dall'anno prossimo, faremo un'estesa introduzione delle versioni 4X4 sulle vetture Alfa Romeo, che sono di particolare appeal (molto usate dai nostri concorrenti come la Audi).
Nell'ambito dei veicoli a metano, la gamma attuale di modelli prevede la Multipla bipower e blupower, la Punto bipower, il Ducato bipower e il Doblò bipower, un programma di veicoli cosiddetti ecologici che ci permette di essere all'avanguardia. Relativamente, invece, alla fuel cell, (la tecnologia dell'idrogeno che, a detta di tutti gli esperti, troverà applicazione sul mercato tra dieci anni, ed anche più e che, quindi, non può rappresentare una soluzione a nessun problema di tipo ecologico) abbiamo un accordo con General Motors, che ha il consorzio di ricerca più avanzato su questa tecnologia. Spenderemo 25 milioni di euro a partire dal prossimo anno e, per alcuni anni, saremo soci aventi diritto all'utilizzo di quelle tecnologie, così come altri costruttori giapponesi. Esistono due consorzi nel mondo che stanno effettuando tali investimenti, perché nessuno, per quanto grande, può sostenerli da solo.
Per quanto riguarda la distribuzione, 50 aree strategiche d'Europa rappresentano il 40 per cento di tutto il mercato europeo (si tratta delle aree metropolitane) ed in sette di queste, per quanto ci riguarda, la copertura è inadeguata. Abbiamo affrontato con uno spirito nuovo la situazione relativa alla rete distributiva, interrompendo un clima di latente conflittualità che ha caratterizzato il rapporto di FIAT Auto con la propria rete, aprendo una collaborazione con questo settore.
Nell'ambito dei programmi di sviluppo internazionale, abbiamo effettuato una ampia selezione delle iniziative previste per i prossimi anni nelle varie aree, ed abbiamo chiuso alcune trattative in corso, per cui erano previsti investimenti importanti con un futuro incerto. Conseguentemente, chiuderemo determinate attività che abbiamo in molti mercati, caratterizzate da impianti di assemblaggio di poca portata ma che determinano forti debiti. Ci concentreremo, invece, su alcune realtà geografiche, in primo luogo la Cina. Quest'anno è iniziata la produzione in Cina con 25 mila automobili; a livello economico subiamo una perdita di circa 20 milioni di euro, ma si tratta del primo anno di attività e per l'anno prossimo prevediamo già di raggiungere il pareggio. Comunque, non riteniamo che la Cina e l'India insieme, nonostante abbiano complessivamente una popolazione di circa due miliardi e mezzo di persone, possano rappresentare nei prossimi cinque anni il «bilanciatore» di attività europee o sudamericane che attraversano forti periodi di alti e bassi. Si tratta, infatti, di mercati estremamente promettenti, ma non in un
Considerata la situazione che abbiamo trovato, al di là della revisione organizzativa, stiamo operando su diversi livelli. Stiamo investendo in modo ingente sui nuovi prodotti, secondo un piano che si fonda, beneficiando delle piattaforme stipulate con General Motors, su due punti. Il primo è costituito dal carry over: nel progettare un nuovo prodotto bisogna mantenere almeno il 50 per cento dei componenti positivi del prodotto esistente ed aggiungere soltanto la parte rilevante per il cliente. Si tratta di una tecnica che i giapponesi utilizzano da trent'anni, mentre noi l'abbiamo adottata molto poco, con l'esito di investimenti pesanti e rischi sul piano della qualità ogni volta che si crea un nuovo prodotto. In secondo luogo, sommiamo il 40 - 50 per cento del carry over ad un restante 50 per cento di «comunizzazione» con General Motors dei vari pezzi per ottenere i benefici di cui abbiamo parlato. Si tratta di un piano di ingenti investimenti sul prodotto; non ricerchiamo un'articolazione della gamma molto spiccata, con versioni che non vengono vendute, ma ne limitiamo il numero per non creare una complessità all'interno del sistema, che richiederebbe un costo per essere amministrata. La gestione dei costi di prodotto e del ciclo di sviluppo è ferrea, nel senso che potremo spostare i lanci ma non faremo più compromessi sulla qualità del prodotto.
Possiedo un'esperienza professionale (mi scuso se la cito) presso l'Iveco, dove applicando queste formule abbiamo ottenuto dopo dieci anni (spero di impiegare un tempo minore nel settore automobilistico) risultati che hanno valorizzato il prodotto.
È necessario un forte investimento sulle reti distributive per favorire il lancio dei prodotti.
Tutti si domandano se la Stilo sia un auto di successo o meno: la Stilo non è né l'uno né l'altro, è stata un prodotto formidabile (la Stilo è un prodotto formidabile, comparata, ad esempio, alla Golf ), ma con contenuti che la nostra rete non sa vendere. La nostra rete ha venduto il prezzo: avendo venduto il prezzo, certamente non abbiamo i rivenditori capaci di valorizzare il prodotto. Bisogna essere coerenti tra i contenuti e la capacità di valorizzare: stiamo lavorando su entrambi per ottenere alcuni risultati.
Come «sbarcheremo il lunario» nei prossimi due o tre anni che, visto il livello delle perdite, non saranno tanto semplici? Siamo intervenuti in modo molto pesante su tutti i costi di funzionamento (non mi riferisco alle 2.400 persone a cui abbiamo chiesto la mobilità) con programmi specifici in base ai quali abbiamo certificato risparmi per 5 o 600 milioni di euro, in modo tale che non soffrirà né lo sviluppo dei prodotti né la capacità di realizzare concessionari.
Abbiamo definito un'organizzazione che lavora sui prodotti correnti risolvendo i problemi di qualità e riducendo i costi. Esiste un responsabile della Punto sia per quanto riguarda i costi sia per quanto riguarda la qualità, e lo stesso accade nel caso della Stilo. Non è facile realizzare questi programmi perché la struttura dell'azienda è parcellizzata per funzioni e, dunque, mal si presta a questo tipo di attività che riguarda processi complessivi.
Tutti gli esperti sanno che sono necessari molti anni, ma che questa è la strada da seguire: noi l'abbiamo imboccata. Non ci illudiamo di ottenere risultati mirabolanti in breve termine, ma è la strada giusta. Abbiamo definito un piano (anche se conosco la FIAT auto solo da pochi mesi) ed intravediamo la possibilità - gli
Potrebbe sembrare poco verosimile, ma una delle enormi riserve che possediamo è il grande stock di vetture (sia nuove presso la rete di distribuzione o presso di noi, sia auto a chilometraggio zero o usate), che ammontano ad un valore di circa 3 miliardi di euro di investimenti, dei quali un miliardo e mezzo di euro è sicuramente non utile. Lo dobbiamo recuperare rapidamente perché i prodotti sui mercati si sviliscono. Una parte del finanziamento della nuova gamma la otterremo disinvestendo dagli stock, che peraltro sono inutili.
Prima di rivolgere alcune domande, vorrei svolgere una considerazione di carattere generale. Abbiamo avviato questa indagine per riuscire a conoscere meglio la situazione del mercato dell'auto in generale, ma non possiamo non considerare l'attuale congiuntura.
Ritengo che ipotetici interventi che possono essere attuati dal Governo non devono creare equivoci o disorientare il mercato, in modo tale che essi possano essere realizzati con una certa rapidità. Credo che sia utile capire qual è il giudizio del gruppo FIAT rispetto ad interventi che sono stati promossi in passato.
L'esperienza del dottor Boschetti mi suggerisce una questione particolare: riguardo al livello occupazionale, si è detto che più che applicare misure mirate e di una certa consistenza, si tende a diversificare la possibilità agli strumenti tradizionali della mobilità. I dati che ci sono stati forniti su Iveco e sulla capacità di questa azienda di competere sul mercato, escludono interventi sul piano occupazionale?
Vorrei porre una domanda sul tema di Italenergia. La X Commissione della Camera ha avviato una riflessione per capire quali interventi EDF (in particolare) intende promuovere nel mercato italiano. Da parte dei rappresentanti di FIAT si esclude che si possano prevedere, nei prossimi anni, ulteriori partner all'interno di Italenergia, quindi gruppi industriali che possano collaborare alla realizzazione di questa importante impresa? A fronte di una difficoltà di comprensione, anche da parte della politica, di un ingresso così massiccio del monopolista francese, domando se vi è la possibilità di attuare partnership anche con altri soggetti all'interno del capitale di Italenergia.
Credo che questa situazione richieda un intervento, da parte della politica e del Governo, il più possibile strutturale, non sporadico, e che dia nel tempo una risposta positiva alla crescita della domanda.
In primo luogo, vorrei sapere dell'integrazione con la General Motors; se ho ben capito l'illustrazione dell'ingegner Boschetti, la linea di riorganizzazione produttiva evolve fino al 2004 nella direzione di costruire piattaforme comuni con altri produttori, segnatamente con General Motors.
In alcune interviste ha significativamente parlato del 2004 come di una dead line: sembra, osservando i grafici, che in qualche modo da qui al 2004 si consoliderà il processo di maggiore integrazione di tipo produttivo e di piattaforme con altri produttori. L'integrazione con la General Motors avviene con un gruppo con cui si ha una relazione di tipo azionario e finanziario, mentre ciò non accade, per esempio, con PSA.
Vorrei capire, allora, quale relazione leghi il processo di integrazione produttivo su piattaforme comuni con General Motors
Dal punto di vista della produzione lo sviluppo di piattaforme comuni di tali dimensioni, superata una certa soglia, consente in ogni caso alla FIAT, qualora ciò risponda alle esigenze dell'azienda, di tornare indietro, o piuttosto è un fatto irreversibile dal punto di vista dell'integrazione produttiva, essendoci dei corollari evidenti nell'integrazione di tipo societario?
In secondo luogo, nella sua esposizione non ha parlato di margini di contribuzione, che appaiono negativi nell'attuale situazione di mercato. Il processo di riorganizzazione descritto, in quale misura incide sui margini di contribuzione? E quali sono le vostre previsioni?
Da più parti si afferma che l'esperienza della rottamazione non è più praticabile e ripetibile; vorrei sapere se ritenete che un provvedimento per avviare la sostituzione di auto tradizionali con mezzi più compatibili con l'ambiente (senza compiere un intervento generalizzato, bensì mirato e preciso) possa essere utile, ed anche favorevole per lo sviluppo del traffico compatibile.
Sui giornali dei giorni scorsi è apparsa la notizia della chiusura della fabbrica di Arese; l'ingegner Boschetti ha accennato ad una situazione particolare, che a breve dovrà essere affrontata. Durante l'ultima crisi dell'auto, Arese è stata individuata come la sede in cui doveva essere concentrata la costruzione di auto ecologiche ed, in particolare, elettriche; per tale progetto sono state destinate alcune risorse pubbliche sia dello Stato sia delle istituzioni locali. Mi chiedo, quindi, se Arese rimarrà il luogo di produzione dell'auto ecologica ed elettrica, oppure se si prevedono progetti diversi.
Ad Arese esistono ancora 2 mila lavoratori, e la cassa integrazione scadrà a breve: che intenzioni ha la FIAT per evitare un'ennesima precipitazione occupazionale dell'area?
La seconda domanda concerne l'esistenza di un forte impegno della FIAT nel mantenere la sua caratterizzazione industriale automobilistica, che è un interesse importante per il paese. Vorrei conoscere, allora, il tipo di rapporto esistente tra le cessioni nel processo di risanamento finanziario anche di assett industriali significativi, ed importanti per garantire la coerenza con il disegno finale, e lo stesso progetto finale: non mi sto riferendo al debutto in borsa della Ferrari, bensì all'ipotesi di vendita di COMAU, per cui si sono fatte anche operazioni di acquisizione internazionale importanti, che, evidentemente, erano strategiche, mentre ora sui giornali se ne discute la vendita.
La terza domanda ha come argomento una questione ovvia: i problemi di FIAT attengono ad aspetti finanziari ed industriali del gruppo, e soprattutto dell'auto; la situazione è relativamente di difficile risoluzione dal punto di vista degli interventi
Considerando che uno degli aspetti principali per il rilancio di FIAT-Auto è dato dal rafforzamento della rete commerciale europea, chiedo se, in questa fase, sia possibile ottenere qualche dettaglio in più in ordine alle misure ipotizzate e sulla loro coerenza con le direttive dell'Unione europea.
Dato che quello ambientale è uno dei principali problemi da affrontare e, tenuto conto dell'accordo di programma sottoscritto da FIAT-Auto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e con l'Unione petrolifera, domando quali sono le strategie e i risultati ottenuti per il lancio di veicoli a metano ecocompatibili; si tratta di strategie che richiedono, fra l'altro, una parallela volontà attuativa da parte degli enti locali.
Infine, poiché ritengo sia chiara a tutti la centralità del ruolo svolto dalla ricerca, desidero conoscere se gli investimenti destinati alla ricerca, data la ristrutturazione del gruppo, subiranno una diminuzione.
Ritengo particolarmente importante lo scenario delineato dall'avvocato Fresco, il quale ricordava i problemi di instabilità esistenti a livello mondiale e, soprattutto, le conseguenze che sul mercato finanziario derivano dalla vicenda Enron nei confronti della quale il professor Spaventa, nel corso di una audizione svolta alla Camera dei deputati, ebbe a dire: «Il 2001 passerà alla storia, più che per l'attentato alle torri gemelli di New York, per quello che è avvenuto alla Enron». Vicenda che negli Stati Uniti d'America, a causa dell'effetto domino che ha innescato, non costituisce un caso isolato; tutto ciò ha finito per scuotere profondamente la fiducia dell'opinione pubblica. Per questo motivo negli USA si sta procedendo ad adottare misure che consentano una maggiore trasparenza.
La mia preoccupazione deriva dal fatto che un problema di questo genere potrebbe manifestarsi in forma più grave qualora accadesse in Europa per via del ritardo accumulato nel prendere coscienza della gravità della situazione. In particolare, in Europa si tende a trascurare l'effetto-Argentina e le conseguenze che esso ha avuto sui risparmiatori; al riguardo, temo moltissimo la mancanza di controlli e la presenza sul mercato di titoli spazzatura. In questo senso, chiedo ai nostri ospiti se ritengano opportuno che siano adottate delle misure più severe - come sta avvenendo negli Stati Uniti d'America - per ottenere una maggiore trasparenza nelle Borse in termini di controlli e di affidabilità.
Inoltre, domando se la politica fiscale, particolarmente punitiva in Italia, debba essere, a parere dei nostri ospiti, modificata; al riguardo non ritengo utili soluzioni di carattere provvisorio come ad esempio la rottamazione. In questo senso, una diversa politica fiscale potrebbe concernere una tassazione e un regime diverso della RC-auto; nel nostro paese potrebbe per esempio riguardare l'imposta provinciale di trascrizione che rende difficoltosa la mobilità del mercato dell'usato.
La legge Tremonti-bis, utile per il mercato dei veicoli industriali, non ha favorito la cessione di quote di mercato concernenti le fasce medio-alte ad altre case
Domando inoltre se esistono dati che indicano un'inversione di tendenza degli investimenti effettuati dalla FIAT-Auto, in particolar modo, degli investimenti sul processo e quelli sul prodotto; in passato gli investimenti maggiori sono stati effettuati sul processo piuttosto che sul prodotto. Dalle indicazioni fornite, ho potuto osservare come oggi costituisca per un gruppo automobilistico una debolezza disporre di diversi prodotti appartenenti alla fascia bassa, dato che si tratta dei prodotti meno redditizi. Non mi identifico con coloro che sostengono che la tipologia di prodotti oggi disponibili non sia costituita dai buoni prodotti; anzi, un tale atteggiamento lo trovo autolesionista. Tuttavia, chiedo se è in atto un cambiamento di strategia che preveda maggiori investimenti sul prodotto facendo particolare attenzione alla fascia media e medio-alta; strategia che corrisponda anche all'evoluzione che sta vivendo il paese (i prodotti della fascia bassa rientrano nell'ottica di una strategia adatta per i nuovi mercati; per l'Italia, considerando l'età media piuttosto alta e l'alto tenore di vita della popolazione, si addice una strategia che comprenda prodotti di fascia media e medio-alta).
Desidero inoltre avere delle ulteriori indicazioni sui problemi che riguardano l'occupazione. Un primo delicato problema concerne la trattativa in corso con le organizzazioni sindacali (appoggiata anche dalle amministrazioni locali) ed iniziata prima che fosse raggiunto l'accordo della FIAT con le banche. Tale trattativa, a mio parere, deve soddisfare un'esigenza fondamentale, e cioè, non deve essere svolta a spizzichi e bocconi ma deve comprendere tutti gli aspetti coinvolti, altrimenti essa corre il rischio di essere controproducente. In particolare, con riferimento al power-train e ad Arese, chiedo ai rappresentanti di FIAT Spa quale, a loro parere, debba essere la strategia da adottare al riguardo, in modo tale che anche il sindacato possa avere una visione di medio-lungo periodo evitando così che i problemi si ripresentino, di volta in volta, a distanza di qualche mese.
Desidererei infine alcuni dati in merito all'incidenza negli ultimi anni della cassa integrazione guadagni; in particolare, a quanto ammonta l'onere in termini di cassa integrazione sostenuto dallo Stato e a quanto ammontino i contributi che, a tale scopo, sono stati versati dal gruppo FIAT.
Tuttavia, ritengo non si sia prestata attenzione ad un fattore determinante e non in vendita, indipendente da tutti noi, il tempo, di cui non siamo provvisti a sufficienza. Se è vero, come sembra desumibile anche dai diagrammi illustrati, che le difficoltà maggiori si mostreranno nel 2003, sia in ragione delle difficoltà nell'economia mondiale, sia a causa di situazioni più squisitamente nostrane, dovremo affrontare un biennio terribile (ed io mi auguro lo sia il meno possibile). E non mi pare vi sia sufficiente presenza di nuovi modelli capaci di «far sfondare», cioè rendere più appetibile il prodotto FIAT, concorrendo ad un inversione definitiva di tendenza.
In base all'accordo del marzo del 2000 con General Motors, sono state stabilite alcune condizioni determinanti, per esempio che le iniezioni di denaro fresco, tramite ulteriori aumenti di capitale, possano avvenire solo previa autorizzazione del partner, il quale potrebbe valutare di dover provvedere diversamente, in momenti in cui si verificassero difficoltà, anticipando alcuni «passaggi di mano».
La domanda che le pongo è questa: cosa possono fare (e mi richiamo gli altri colleghi intervenuti precedentemente) i tre livelli istituzionali? Come dovrebbe intervenire
In particolare, apprezzo le sfide che FIAT ha deciso di intraprendere, lanciando nuovi modelli in segmenti del mercato laddove non vi era forte presenza aziendale. Detto ciò, vengo alla formulazione di tre domande.
Innanzitutto, come valuta l'azienda i possibili interventi statali, cosiddetti «ecoincentivi», ipotesi che il Governo sta vagliando, al fine di alleggerire, con misure di accompagnamento, la crisi dell'auto nel paese? Molte sono le questioni aperte, vi è il problema di un parco auto circolanti irrisolto, 9 milioni di veicoli non catalizzati: aspetti su cui poter intervenire. In particolare, l'altra delle ipotesi governative è costituita dagli interventi di defiscalizzazione (si veda l'eliminazione del bollo auto per alcune tipologie di veicoli, ad esempio quelli con propulsione a metano, sulla quale FIAT non solo è ben posizionata, ma anzi ha elaborato programmi importanti e condivisibili di ampliamento). Si potrebbe ancora optare per una riduzione, magari temporanea, se non giungere all'abolizione, della tassa di voltura per incentivare il rinnovo del parco auto e dell'usato.
Quanto alla seconda questione, mi premerebbe conoscere la vostra valutazione sull'impatto occupazionale, sull'indotto, in conseguenza delle attuate e previste riduzioni di organico.
La terza domanda, anticipata dall'onorevole Morgando, è diretta a verificare se Comau, presente nel campo dell'automazione, senz'altro attività industriale in corso di valorizzazione da parte del gruppo, costituisca un ramo aziendale su cui vi è intenzione di dismissione.
L'ultima questione riguarda Italenergia, benché questo esorbiti dall'oggetto della nostra indagine: sono convinto che, a differenza di quanto sostengono alcuni commentatori, il gruppo FIAT possa contemporaneamente operare nel mercato dell'auto e dell'energia senza dover scegliere. Ritengo strategico sostenere positivamente la scommessa dell'ingresso FIAT nel mondo energetico, non solo per la rilevanza e redditività dell'ambito, ma anche per la necessità di avere nel paese soggetti industriali attivi.
La stessa sostituzione prima dell'ingegner Testore, poi dell'ingegner Cantarella, sarebbe una dimostrazione di ciò. Ritengo questa sia la questione politicamente rilevante.
Il silenzio del Presidente del Consiglio e del ministro dell'industria sono segnali gravi in proposito. Credo che il mio malinconico pessimismo derivi anche dal fatto di avere vissuto la crisi di un'altra grande famiglia del capitalismo italiano, la Olivetti, molti anni fa. E vedo, in quello che sta avvenendo, una ripetizione di quegli eventi. Spero di sbagliarmi, naturalmente. Vede, avvocato Fresco, la crisi della
Tuttavia, mi pare che ciò che è mancato nell'intervento di queste banche (ovviamente, per ciò che mi risulta) sia l'intervento di un gruppo di esse che fossero, più di altre, interessate ad un cambiamento strutturale che mantenesse la FIAT in mani italiane, intendendo con ciò nelle mani della famiglia Agnelli, la quale, per la sua storia, è strettamente legata, da oltre cento anni all'automobile.
Recentemente, nel corso della annuale riunione dei cavalieri del lavoro della mia città (Torino), ho percepito un pessimismo ad oltranza in questo senso (premetto che i cavalieri del lavoro sono i grandi industriali di Torino, compresa la FIAT), essendo dato ormai per scontato che la sua stessa permanenza - lei vorrà scusarmi se mi permetto di dire queste cose - nella sua altissima posizione, contrapposta all'allontanamento dell'amministratore delegato del gruppo, dava appunto un segnale preciso in questa direzione, ed esprimo queste osservazioni con un senso di malessere personale perché provo stima nei suoi confronti (per quanto fatto in passato e via dicendo).
Manca, nel rapporto descritto con il sistema bancario, una parte importante: manca Mediobanca, manca la Banca europea degli investimenti, mancano cioè quelle banche che più strutturalmente sono destinate a fare proposte non solo di ordine finanziario ma anche industriale. Certo, tutti confidiamo molto in lei; non la conosco personalmente ma è diventato adesso quasi speranza, avendo fatto benissimo nell'IVECO, e speriamo continui su questa via.
Tuttavia ci sono aspetti che sono più in alto - mi scuserà, dottor Boschetti, se le dico questo - perché riguardano proprio la struttura del capitale. La domanda quindi è una ed una sola: si riuscirà a mantenere l'automobile nelle mani italiane - e quando dico italiane mi riferisco alla famiglia Agnelli - oppure quest'ultima ha già deciso?
Occorrono orgoglio, forza ed una spinta che, alla fine, può risultare determinante per raggiungere gli obiettivi illustrati. Rivolgo una sola a domanda, anticipata dal collega Vernetti, che si riferisce all'indotto. Quest'ultimo rappresenta un grande problema essendo in uno stato di sofferenza.
Qual è dunque l'atteggiamento nei confronti dell'indotto, a proposito del quale, peraltro, abbiamo ricevuto numerose sollecitazioni per cercare (magari anche verso quest'ultimo) di attivare delle provvidenze particolari fra quelle a cui pensiamo? Se è chiara l'importanza dell'aspetto occupazionale all'interno del gruppo FIAT - così come illustrato -, sull'indotto aleggiano invece grandi ombre.
Al contempo, però, l'indotto fornisce delle speranze, che consistono nel caratterizzarlo - come peraltro è già stato fatto nel torinese - quale indotto al servizio del concetto stesso di automobile, anche oltre la stessa azienda FIAT, e questo è un dato assolutamente positivo.
Vorrei quindi ricevere delle precisazioni in merito al disagio che questo comparto soffre, legato com'è anche alle situazioni - che ci sono state rappresentate - di ritardati pagamenti e che destano grande preoccupazione.
Mi corre l'obbligo di dire che i documenti presentati, così come le osservazioni svolte, meriteranno un approfondimento molto serio da parte della Commissione.
In particolare, la testimonianza resa dal dottor Boschetti dà conto di un'impresa difficile e delicata.
Da parte nostra non possiamo non augurare a tale impresa il successo che certamente merita, avendo presente il quadro generale, di grande allarme, dato che non so dire quanto possano valere indicatori come quelli di capitalizzazione di borsa.
Gli andamenti della FIAT non sono gli stessi che hanno riguardato negli ultimi otto anni competitori come per esempio Renault e Volkswagen, perché la FIAT ha lasciato sul campo circa l'80 per cento del valore di capitalizzazione di borsa.
Ciò mi spinge ad affermare - o meglio, ci fa affermare - e pensare che all'interno di una crisi, inevitabilmente ciclica del settore dell'auto, vi sia una pesante crisi della FIAT. È evidente che questo aspetto non può non essere tenuto in considerazione quando si invocano manovre che riguardano la tenuta del settore, siano esse di natura fiscale o di altra natura (che sono certamente auspicabili); si deve tenere presente che si tratta pur sempre di sostenere il settore. Il fatto, per esempio, che a Torino l'indotto non è tutto dipendente da FIAT, vuol dire che vi è un'ala del paese che ha alzato il suo livello di professionalità, la sua capacità di competere anche nel mondo; tuttavia, così com'è accaduto nel corso dell'esperienza precedente - la cosiddetta rottamazione -, si deve sapere che in una fase nella quale vi sono quote di mercato cedenti, un provvedimento di questa natura, fatalmente, rischia di avvantaggiare i competitori.
Devo dire che, stando a dati che sono stati riferiti nel corso delle audizioni iniziali, è emersa una forte caduta nel settore auto della quota FIAT, la quale ha avuto risvolti assolutamente pesanti e negativi soprattutto al nord, cioè nella parte più sviluppata del paese. Non è vero che la posizione della FIAT è uguale in tutte le parti del paese: al nord vi è stata una caduta più rilevante (penso a regioni come la Lombardia o il Veneto).
Questi elementi vanno tenuti in grande evidenza e su di essi la Commissione non potrà che svolgere - come ha fatto nel settore dell'energia - in maniera precisa e puntuale quegli approfondimenti che dovranno poi condurre di un documento finale equilibrato.
Certamente, l'interesse del paese vuole che non solo la FIAT ma l'Italia stessa rimanga una protagonista importante nel settore, per il peso che esso esercita sul PIL e sulla struttura industriale nazionale.
Tuttavia, deve essere chiaro a tutti che l'impresa di fronte alla quale ci troviamo è molto difficile e complessa anche perché, come ha ricordato il dottor Boschetti, si tratta di una vicenda che non è emersa nel giro degli ultimi mesi, ma che viene da lontano. Di questo abbiamo una conoscenza abbastanza precisa (tra l'altro, le vostre osservazioni ci hanno in qualche modo confortato in merito alla giustezza e all'equilibrio di tale giudizio).
Do ora la parola al dottor Boschetti per la replica relativa alle questioni del settore, riservando l'intervento di chiusura, con le considerazioni che attengono più complessivamente alle questioni del gruppo FIAT (con le connessioni, ricordate nel corso di alcuni interventi, tra sistema bancario, sistema dell'energia e via dicendo) all'avvocato Fresco.
Molti interventi hanno ricordato l'esistenza, in Italia, di più di 10 milioni di automobili non catalizzate, che - al di là della FIAT Auto - rappresentano un serio problema. Qualsiasi provvedimento che non abbia carattere contingente, ma sia diretto a risolvere questa situazione, sarebbe indubbiamente positivo per il paese e rappresenterebbe un aiuto per il settore dell'automobile (rappresentato non soltanto dalla FIAT, che - purtroppo - ha soltanto il 31 per cento della quota di mercato), soprattutto se strutturato in funzione dell'usato.
Qualche intervento ha evidenziato la situazione di flessibilità e le spinte relative all'usato; ricordo che il ciclo è fatto in modo che si passa da un usato ad un altro e così via. La ricaduta di un provvedimento che prenda in considerazione questa situazione avrebbe risultati positivi e assolverebbe ad una funzione di stabilizzatore, in un periodo particolare. Sta iniziando, infatti, una fase caratterizzata dalla sostituzione di un ciclo precedente molto basso (gli anni intorno al 1994); siamo, strutturalmente, in una fase negativa del ciclo e un provvedimento di questa natura ne attenuerebbe la profondità.
L'onorevole Fassino ha parlato delle piattaforme. Vorrei innanzitutto precisare che quando parlo di piattaforme non considero la produzione, ma lo sviluppo: la piattaforma riguarda lo sviluppo. La produzione degli oggetti del pianale comune può essere realizzata sia da uno per tutti sia lasciando ad ognuno la realizzazione delle proprie parti, a seconda della dimensione del prodotto. Comunque la piattaforma riguarda lo sviluppo dei componenti e la dimensione degli investimenti presso i fornitori, la scelta dei partner. La produzione non è prevista, anche se ciò non significa che nel futuro non si possa modificare la situazione. Stiamo cercando di gestire il sistema e non tutto ciò che si trova a valle: quindi, l'unicità nella gestione del sistema significa individuare fornitori che sono cosviluppatori e codisegnatori. Per quanto riguarda gli acquisti, volumi notevoli di componenti uguali comportano minori costi.
È un tipo di collaborazione non diversa da quella realizzata con la Peugeot: si tratta di avere una piattaforma comune su alcuni oggetti (è anche ciò che fanno i nostri concorrenti). La Peugeot, azienda oggi di maggior successo sul mercato, è molto flessibile e la definizione di piattaforme comuni non comporta la scelta di un partner di riferimento come noi. Se realizziamo insieme la piattaforma per produrre la Punto, essa rappresenterà il protocollo, fino a che questo modello avrà vita. Per quanto riguarda i motori la situazione sarebbe molto più complicata, perché in quel caso la convergenza sarebbe industriale e non più soltanto progettuale.
Un'altra domanda riguardava i margini di contribuzione e la misura in cui il processo di riorganizzazione incide su di essi. Abbiamo diversi settori di attività con diversi livelli di margini. I ricambi e le finanziarie per il finanziamento vendite forniscono margini - come a tutti i costruttori -; il settore dei veicoli commerciali va molto bene; l'Alfa Romeo sta iniziando ad andare bene ed il marchio FIAT rappresenta un problema di dimensioni importanti. Con questo tipo di attività prevediamo una possibilità di riduzione di due o tre punti percentuali l'anno dei costi, a parità di volume. È un obiettivo minimo, fattibile, che stiamo perseguendo, insieme a quelli relativi alla qualità, ai difetti ed alla garanzia. Si tratta di questioni che hanno rilevanza per il cliente e che possono determinare una sua maggiore fedeltà, ma lavoreremo soprattutto sui costi e sulla qualità: questo è il miglioramento dei margini che ipotizziamo. Se il livello del mercato stimato in maniera prudente non dovesse cambiare ed avremo la capacità di realizzare tutte gli obiettivi descritti, l'anno prossimo dovremmo essere vicini al pareggio.
Le regole per la scelta delle localizzazioni sono «cablate» all'interno del master agreement, che è l'accordo quadro firmato con la General Motors. Non vi ho partecipato
Addirittura, in molte aree soffriamo di delocalizzazione, non a causa dei costi dei fattori ma dell'aspetto logistico globale che, ricordo, ammonta al 18 per cento del PIL.
La localizzazione dipende da tutti questi fattori, che vengono soppesati correttamente: FIAT auto è totalmente autonoma e non abbiamo nessun vincolo. Avanziamo le nostre ragioni, i colleghi di General Motors le loro e nascono le decisioni che, ovviamente, sono sempre complicate. Esiste, però, un criterio oggettivo di riferimento.
Una domanda verteva sull'importante aspetto degli investimenti in R&D: questi investimenti equivalgono ad investimenti per realizzare prodotti (più che compiere ricerche, produciamo applicazioni concrete). Nel triennio, la dimensione degli investimenti è aumentata del 25 per cento rispetto alle medie dei periodi precedenti; in questo settore, se confrontiamo questo arco temporale rispetto ad un periodo precedente equivalente, troviamo complessivamente il 25 per cento in più. Si tratta di uno sforzo rilevante, coerente con il piano di sviluppo del prodotto.
Per quanto riguarda l'innovazione, abbiamo selezionato alcuni temi: ho citato prima le fuel cell, su cui abbiamo investito 25 milioni di euro, perché partecipiamo al consorzio General Motors, Toyota (dunque siamo protetti). Spendiamo circa 300 milioni di euro l'anno per progetti di innovazione (si definiscono road map): oggi le tecniche dell'alimentazione sono tali per cui si arriverà fino ad un certo punto. Recentemente, abbiamo compiuto le nostre scelte in un panorama di possibili percorsi per giungere agli obiettivi: investiamo le risorse che riteniamo necessarie, in collaborazione con i fornitori (oggi i sottosistemi sono esterni, non solo per noi ma per tutti) e riteniamo di aver compiuto il nostro dovere. Investiamo molto sul prodotto, oltre che sul processo: riteniamo il piano un elemento qualificante.
Ci è stata rivolta la critica di esserci attestati sulla parte bassa della gamma, senza raggiungere quella alta, che è importante perché in Europa il reddito pro capite è salito, la popolazione invecchia e preferisce vetture più capaci e comode, che costano di più e che producono maggiore redditività. Abbiamo in programma tre prodotti rilevanti da questo punto di vista. Quello fondamentale è la new large, sul modello della Croma (che però non sarà una Croma). Si tratta di un segmento essenziale dal quale eravamo assenti; nel 2004 produrremo questa nuova vettura, che sicuramente ci fornirà un grandissimo vantaggio. Riguardo al segmento più basso, produrremo i rifacimenti dell'Alfa Romeo attraverso un grande programma. In questo modo otterremo dei delta positivi di vetture aggiuntive e non «cannibalizzanti» rispetto a quanto si sta producendo. In virtù di questa decisione, la vettura media, invece di valere 12.350 euro, ne varrà 15 mila, poi 18 mila, 20 mila anche se non vogliamo realizzare le cosiddette vetture premium, imitando BMW, Audi, case che hanno una propria traiettoria, un proprio passato coerente ed il loro mercato.
Ci è stato richiesto di rendere noto il piano commerciale: stiamo mettendo a punto un piano di sviluppo a rete, mercato per mercato, non soltanto dove insistono le concentrazione dei clienti. Stiamo definendo quella che chiamiamo una fabbrica di concessionari: la stessa attenzione che concediamo alle fabbriche quando realizziamo o progettiamo prodotti, deve essere prestata alla rete per uscire dalla situazione, che ci ha caratterizzato per tanti anni, di conflittualità e di interesse limitato rispetto alla crescita di uno strumento
È stata avanzata una considerazione relativa all'impatto sull'indotto; la dipendenza dell'indotto dalla FIAT è cambiata in modo crescente. Le aziende della componentistica hanno colto nella crescita della FIAT l'opportunità di svilupparsi e acquisire competenze e tecnologie; in seguito, hanno cominciato guardarsi intorno, gli stessi operatori tedeschi e francesi, giunti pesantemente in Italia a causa di vantaggi competitivi innegabili, li hanno stimolati. Chi ha lavorato, ha creato un parco di clienti, in base al quale può suddividere i rischi e cogliere le opportunità. Questi signori, che si trovano in questa situazione, soffrono e soffriranno, secondo me, molto: all'interno di un ciclo tutti i costruttori hanno ottenuto delle grandi riduzione di prezzo da parte dei fornitori sull'altare della crescita dei volumi (il volume, evidentemente, li aiutava ad andare incontro alle esigenze dei costruttori). Adesso ci troviamo in una fase di inversione di tendenza, i volumi scendono ed i fornitori vorrebbero ottenere prezzi più alti: purtroppo, si tratta di un doppio effetto che i costruttori non tollerano e stanno nascendo conflitti piuttosto pesanti. È una situazione generalizzata a tutto il settore dell'automobile, non solo relativa alla FIAT auto. Siamo molto vicini alle situazioni più delicate, alcune delle quali non hanno nulla a che vedere con la FIAT auto, perché sono imputabili a cattiva gestione o management povero. Magari ci troviamo in una situazione di dipendenza da questi signori: cercheremo di cogestire la situazione per evitare di non produrre più automobili e, al tempo stesso, risolverla; si tratta, però, di casi un po' speciali. Ci occupiamo, secondo una nostra modalità, del settore della componentistica per superare questo momento. È evidente che, se vogliamo risanare la qualità delle vendite, sarà necessario perdere dei volumi.
Da qui nasce il tema della cassa integrazione: è chiaro che tentiamo di ottenere un adeguamento delle forze in campo ed abbiamo ricorso pesantemente alla cassa integrazione (spero di non utilizzarla in modo così massiccio nel prossimo futuro). Dal 1992, per dieci anni si è utilizzata la cassa integrazione INPS e, nello stesso periodo, i contributi dell'azienda: si è trattato di una spesa pari a 1,2 miliardi di euro di utilizzi e 1,3 miliardi di euro di versamenti; ci siamo suddivisi i compiti in modo paritetico.
Per quanto riguarda la convergenza con la General Motors, sono stati fatti vari commenti sull'argomento: affermo che le convergenze progrediscono. Esse facevano
Certo è che, proseguendo le integrazioni, diventa sempre più difficile poter lavorare con altri partner; ed è uno dei motivi per cui ci siamo cautelati con l'opzione put: le nostre alternative strategiche, infatti, tendono a ridursi con l'integrazione nella General Motors. Attualmente, ciò che dobbiamo fare è risanare l'azienda per avere la possibilità di gestire le nostre alternative strategiche, controllando il nostro destino.
La vendita di COMAU, o di altre attività componentistiche del gruppo, è compatibile con la nostra strategia automobilistica di permanenza nel settore automobilistico? La mia risposta è affermativa: noi eravamo una eccezione alla regola. I nostri concorrenti non hanno la componentistica, e quando l'hanno avuta l'hanno venduta (General Motors e Ford insegnano). La COMAU è un fatto puramente FIAT. È vero che abbiamo fatto un acquisto importante, la PICO, per rafforzare la COMAU, ma in ogni caso, se si dovesse ricorrere a dismissioni ulteriori rispetto a quelle iniziali, la COMAU sarebbe la prima a presentarsi possibile, in quanto non è così strategica come tutto il resto: è un'azienda che sarebbe un peccato perdere, però non è strategica come l'Iveco, la CNH, o anche la stessa FIAT Avio.
Su Italenergia credo di aver esposto la nostra posizione. Abbiamo in complesso cercato di contemperare vari obiettivi: uno era quello di creare dei flussi di cassa (lo abbiamo fatto per un ammontare di 1,6 miliardi); l'altro era quello di eliminare la probabilità di una concentrazione dei grandi rischi di Italenergia e FIAT (lo abbiamo ottenuto cedendo parte delle nostre azioni alle banche); infine, il terzo obiettivo era quello di avere tutte le opzioni strategiche per poter rimanere nel business, avendo la capacità da qui al 2005 di mantenerci maggioritari. È chiaro che abbiamo preso tempo e, se tutto va bene, è possibile agire su entrambi i fronti; se avviene il contrario, ci sono le alternative disponibili.
Per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, vorrei soltanto dire che l'intero gruppo rappresenta il 28 per cento del totale della ricerca industriale in Italia: sembra essere una cifra sconvolgente, ma per la ricerca operiamo alla pari con i nostri concorrenti; il che significa che la ricerca e lo sviluppo in Italia hanno una modesta dimensione, e non siamo noi a contribuire a mantenere in basso tale livello. Il nostro centro ricerche FIAT e la Elasis, che è il centro di ricerca per il sud, hanno collaborazioni con tutte le università italiane, e svolgono un'attività intensa che non intendiamo ridurre.
Sull'esigenza di una maggiore trasparenza, sostenuta dall'onorevole Benvenuto, sono d'accordo: l'ideale di un industriale sarebbe che i progressi fossero la conseguenza di autoregolazioni, che le aziende operassero in tal modo senza essere spinte. È chiaro che, come le autorità pubbliche si avvedono che ciò non avviene, devono intervenire.
L'anno scorso la FIAT ha vinto l'oscar del bilancio, dimostrando che su tali temi siamo all'avanguardia; tuttavia, non ci si può fermare: è necessario proseguire. Le recenti vicende della Enron sono state importantissime per i mercati finanziari di tutto il mondo, perché hanno indotto a riflettere e ad accelerare gli sforzi per la trasparenza.
Sulla politica finanziaria abbiamo affermato la necessità di provvedimenti mirati per il settore dell'auto; ma è il Governo che deve decidere. Aggiungo che, se si potesse avere un consolidato fiscale, di gruppo, come si accenna per il futuro, sarebbe un notevolissimo progresso. Ci troviamo, infatti, nella disgraziata situazione di un consolidato in perdita, pagando fior di tasse: vendiamo un bene in perdita, che naturalmente
È da quando sono in Italia che promuovo l'idea di un consolidato fiscale per le aziende serie, per quelle che pagano le tasse; naturalmente, se qualcuno ha il suo paradiso fiscale il discorso è diverso, ma per le aziende serie sarebbe un grosso vantaggio.
Sulla cassa integrazione ripeto ciò che ha detto l'ingegner Boschetti: deve essere chiaro che negli ultimi dieci anni la FIAT ha dato più di quanto ha ricevuto; alcune volte è stato detto che la FIAT avrebbe fruito dei fondi dello Stato; in realtà, noi abbiamo anche contribuito, dando 1,3 miliardi, e ricevendo 1, 2 miliardi.
Mi dispiacerebbe molto se si ritenesse la mia permanenza alla presidenza della FIAT Spa equivalente ad un'idea di smobilizzo, di vendita dell'investitore (cioè, dell'Ifi della famiglia Agnelli); rimango sia perché è un mio dovere (quando c'è la procella il comandante deve rimanere a bordo) sia perché credo che il gruppo possa superare - anche bene - questo momento di crisi. Come dissi quattro anni fa - quando sono entrato a far parte del gruppo e già allora si diceva che fossi arrivato per liquidare la FIAT - se fosse stato questo il mio compito, di certo avrebbero sbagliato a scegliere la persona. Sono entrato a fare parte del gruppo FIAT Spa perché ritenevo di poter dare un contributo, data la mia esperienza di costruttore maturata in una società americana, in una società italiana. Da allora le cose hanno registrato tante evoluzioni, tuttavia, finché sarò utile ritengo mio dovere continuare ad apportare il mio contributo all'azienda, ma sicuramente non voglio essere identificato con la qualifica di liquidatore della FIAT.
Per quello che riguarda l'intervento delle banche, posso dire che abbiamo fatto ricorso a quasi tutte le banche italiane e ad alcune banche straniere; banche venute tutte in nostro soccorso. Inoltre, non esiste più un monopolio degli interventi ad adiuvandum di un'azienda ad una banca d'affari; ormai le banche fanno riferimento a numerose banche d'affari. Pertanto, l'assenza di Mediobanca, che potrebbe essere anche transitoria dato che i rapporti sono sempre buoni, non è limitativa del tipo di accordo che abbiamo raggiunto; anzi, ritengo che questo accordo sia quasi di tipo plebiscitario: tutte le banche che avevano instaurato dei rapporti con il gruppo hanno dato vita ad un consorzio, con una rincorsa ad unirsi dopo l'iniziativa presa dalle prime tre. Di ciò sono felice e do atto al sistema italiano di essere maturato e di essere diventato capace di fornire risposte di questo tipo. Tuttavia, tengo molto far cadere (a prescindere dal discorso su quali banche sì e quali banche no) l'apparenza che mi vede nella veste di disboscatore o di liquidatore dell'azienda.
Invito inoltre i nostri ospiti a mettere a disposizione delle Commissioni l'eventuale
Do quindi la parola al professor Carlo Maria Guerci.
Ho prestato attenzione all'audizione del dottor Paolo Fresco e dell'amico Giancarlo Boschetti, di cui apprezzo la determinatezza e la lucidità di analisi. Vengo, ora, all'illustrazione di alcuni dati per poi tentare di fornirne un'analisi, partendo innanzitutto dall'esame del contesto europeo. È dal 1990 che, con una interruzione dal 1994 al 1997, perdiamo quote di mercato: il marchio FIAT è passato in Europa dal 10,1 percentuale, nel 1990, ad un 7,2 nel 2001, fino a toccare il 6,8 nei primi quattro mesi del 2002, con un'inversione di tendenza (da 8,5, a 8,6, 8,9, sino a 9,6) nel 1997, per poi ricadere nuovamente.
Il marchio Lancia è drammaticamente scomparso in Europa, poiché l'83 per cento delle relative vetture è destinato al mercato italiano mentre solo il 17 per cento a quello estero. Le quote, da un 2,3 per cento nel 1990, sono scese a uno nel 2001 e 0,8 nel 2002.
E vorrei sottolineare che collocare sul mercato di riferimento una quota pari a 0,8 per cento significa vendere 149 mila macchine in Europa, di cui però - si badi bene - 90 mila sono auto Y, cioè la gamma più bassa del marchio Lancia.
Alfa Romeo, invece, ha recentemente creato modelli a mio parere splendidi; la 156, in particolare, e la 147, sono vetture eccellenti (dopo aver fatto provare al capo collaudatore di un grande marchio tedesco, la 156 GTA, non solo ne ho ricevuto il plauso ma anche la confessione di desiderare che un modello tale provenisse dalla scuderia tedesca).
Ciononostante, convengo ugualmente che i numeri non siano molto favorevoli: Alfa Romeo vendeva 201 mila autovetture nel 1990 per arrivare a piazzarne sul mercato 202 mila, cioè soltanto mille in più, nel 2001. Le cifre, nel corso di un decennio, sono rimaste pressoché identiche, con una lieve caduta nella quota di mercato, dall'1,5 all'1,3 percentuale. Non parlo degli altri marchi come Maserati o Ferrari, poichè in ragione del mercato ristretto che li interessa incidono minimamente su volumi e ricavi di vendita.
Quanto al mercato in Italia, di cui ognuno di noi ha certo conoscenza, (fosse solo per gli ampi spazi ad esso dedicati dalla stampa), la quota FIAT è scesa anch'essa da un 36 ad un 24 per cento nei primi quattro mesi dell'anno corrente, la quota Lancia dal 9,9 per cento del 1990 - ho volutamente scelto un periodo lungo di riferimento, proprio per dimostrare la mia tesi sulla derivazione temporale della crisi -, al 4,4 nei primi quattro mesi del 2002.
Alfa Romeo, invece, da 5,6 ha subito una flessione sino a toccare il 3,7 percentuale. In Italia, dunque, la caduta è stata particolarmente massiccia, mentre la nostra presenza in Europa è veramente molto esigua: eccetto una minima quota di mercato coperta dal marchio FIAT, la prestazione italiana rimane molto scadente.
La matrice generalmente adottata per effettuare le valutazioni di mercato è quella «attrattività-notorietà». Le indagini a campione si basano sulla verifica della familiarità del consumatori con il marchio Lancia (si ritiene sia un detersivo, un lavastoviglie, un giocattolo della Lego?). In ragione dei risultati percentuali si definisce la notorietà del marchio sul mercato. Quanto al secondo parametro, l'attrattività, la si calcola in relazione alla disponibilità ad acquistare una vettura di quel marchio medesimo. Ebbene, in base a ciò, dobbiamo ritenere che il marchio Lancia, oggi, non sia né notorio né attrattivo fuori dal paese. Alfa Romeo, invece, a mio parere, possiede potenzialità formidabili. Ha, infatti, fortissima notorietà - benché non sia ancora attrattivo all'estero -
Perché questa perdita di quote? La collocazione dell'automobile nel mercato dipende da quattro componenti: qualità, modelli (i quali condizionano la notorietà), costi, distribuzione. Non vi è null'altro.
In ordine ai costi, occorre ricordare che FIAT ha lavorato molto su produttività e impianti. Quanto a questi ultimi, FIAT ne possiede alcuni tra i migliori del mondo (si veda Melfi), ed altri che destano invece notevoli preoccupazioni (si pensi a Termini Imerese), uno, infine, fortemente da risanare, quello di Cassino, per il quale, sicuramente, è stato fatto già un ottimo lavoro: sono state ridotte a due le linee di assemblaggio - in precedenza erano quattro -, per semplificare il processo produttivo, si è conseguito un forte incremento di efficienza, è stata decisa l'eliminazione dell'automazione in lastratura, eccessiva, in favore di robot più snelli, più piccoli, più flessibili, con miglioramento di qualità e affidabilità, e massiccio intervento sul processo.
Ciononostante, anche nel caso degli impianti migliori, resta pesante la minaccia della concorrenza internazionale: lo stesso Melfi, quanto a produttività (intesa come numero di automobili per addetto) è attualmente al sesto posto - dietro impianti di Toyota, Nissan, Opel - mentre in passato si collocava in seconda, terza posizione. La media FIAT si aggira intorno alle 55 vetture annue per addetto, contro le 78 di Melfi e le cento di Nissan.
Tuttavia, ritengo che FIAT, in termini di valutazione costi-efficienza, sia in condizioni sicuramente migliori di Volkswagen, la cui prestazione, dal punto di vista dell'efficienza, quanto meno esprimendo un giudizio soggettivo, non pare toccare un livello soddisfacente. Per processi produttivi e produzione, intesa come efficienza e numero di vetture in corso di produzione, FIAT mantiene comunque buona reputazione, in Europa e nel resto del mondo.
Per avere successo nell'industria dell'auto (parlo di volume, cioè quella che fa due, tre o quattro milioni di automobili per anno) bisogna avere almeno due modelli di grande volume vincenti.
Peugeot vuol dire 206 e 307; Volkswagen vuol dire Golf e Passat; Renault vuol dire Megan, Scenic e via dicendo; la FIAT ha sempre avuto successo su un solo modello. Il modello che tirava era uno ed è uscita da una crisi con la Uno, forse la più bella vettura che la FIAT abbia mai fatto (non so se vi siete guardati intorno ma in giro ci sono ancora delle Uno perfettamente tenute).
Sulla Palio c'è una forte eredità della Uno. Essa era anche un'automobile di qualità, che ha venduto e ha contribuito a fare uscire la casa dalla crisi.
La Punto è un'automobile di grande successo che fin dal primo anno di vita ha conseguito risultati importanti. La nuova Punto, nel 2000, ha contato 543 mila pezzi in un anno solo, però era una. Quindi, Panda, Uno, Punto e così via: è per questo che si aspettava la Stilo. Sono insomma mancati i modelli di accostamento a quello di maggior volume.
A questo proposito, vorrei smentire quanto sentito - e sento continuamente ripetere - da alcuni interlocutori. Si tratta dell'affermazione per cui si devono fare macchine di alta cilindrata: togliamocelo dalla testa! Sulle auto di alta cilindrata, in Europa, tutti hanno fallito. Tutti i produttori di grande volume che hanno provato ad inseguire i due leader - che sono in realtà due mezzo, cioè BMW, Mercedes e, un pochino, ma di straforo, Volvo - sono finiti miseramente.
La Peugeot fa la 607 perché deve mandarci sopra il Presidente della Repubblica e qualche ministro; la Renault ha fatto la stessa cosa; Ford e Opel hanno incassato fallimenti terribili con la Scorpio e con la Vectra, insomma, nessuno è riuscito a salire di gamma. Quindi, sulle vetture di lusso, se si fanno 20 o 30 mila pezzi, si va in perdinta. Vi ricordo che la BMW, su una macchina come la Serie 3, vende quasi 400 mila unità e ne vende 200 mila della Serie 5: sono numeri inattaccabili, inarrivabili! È come se io volessi fare la fotomodella: non credo che avrei successo...!
Invece, al contrario, i produttori di qualità, di lusso, sono scesi di gamma e ci danno fastidio. Qualche volta sbagliano anche loro: la Audi, per esempio, ha fatto una vettura che proprio non vende - la A2 -, però è scesa di gamma con la A3. La BMW sta scendendo di gamma anche lei, facendo questo splendido oggetto del desiderio che è la Mini, con un marketing molto sapiente. La Mercedes ha fatto la classe A, la classe C, insomma, tutti sono scesi di gamma, dandoci fastidio, ma nessuno è salito, ripeto.
Si guadagna facendo vetture anche di piccolissima cilindrata se il rapporto prezzo/costo è ottimale e se ci sono i volumi, tant'è che le vetture FIAT che oggi sono in utile - nel senso che guadagnano -, sono proprio alcune vetture di piccola cilindrata come la Panda e, sicuramente, la Punto.
Quindi, per quanto riguarda i modelli, lo ripeto: la crisi viene da lontano. Ho l'impressione che la FIAT si sia un po' seduta sui modelli, già a partire dalla metà degli anni '70 e poi sicuramente - a parte il caso della Uno - negli anni '80, ed abbia compiuto scelte che, in mano a più sapienti gestioni, potevano riscuotere successi rilevanti. Cito la Bravo. Quest'ultima, quando è uscita, era un'automobile - purtroppo - con gravi problemi di qualità, ma sul piano della freschezza del prodotto, dello stile e di quello che si chiama concept di vettura, era stupenda (a mio parere, soggettivo e personale, era addirittura più bella della Golf, che vendeva 900 mila pezzi) ma è stata lasciata andare, non è stata curata, non la si è sostenuta, riabilitata: non si è venduta, non si è, in altre parole, fatto marketing!
Quindi, la FIAT ha bisogno di freschezza, di modelli nuovi e di accorciare un po' il ciclo di vita dei modelli. Sapete che la nuova Punto uscirà nel 2005: questa data appare un po' lontana. Insisto molto con i miei amici della FIAT, dicendo loro che devono accelerare l'uscita di nuovi modelli ma molti ingegneri mi rispondono che ciò non è possibile.
Personalmente, ritengo che, quando viene data tale risposta in un'azienda in crisi - si afferma cioè che non è possibile accelerare l'uscita dei modelli - si debba accelerare - ma si tratta di una mia battuta - la dismissione di quei dirigenti responsabili di tali affermazioni, perché in un'azienda in crisi tutto deve essere possibile! Certo, non domani mattina, ma, per esempio, la Punto nel 2005 è un po' tardi.
Comunque, certamente non considererei modelli alti di gamma (anzi, personalmente, li lascerei proprio perdere). Possiamo essere d'accordo o meno sul volere fare la Thesis, se con essa si pensa di potere contribuire a dare una lucidata significativa al marchio Lancia, ma non aspettiamoci gli utili da vetture di questo tipo. Gli utili vengono facendo vetture di grande volume. Alcune delle vetture nuove sono sicuramente nella giusta direzione: per esempio la New Small, una vettura, tra l'altro, molto bella e così anche la nuova Panda, una vettura destinata ad un grande successo poiché è anche un'auto di alta qualità; stesso discorso vale per la New Large, che dovrebbe esser un misto tra la Marea e la Croma, e che si trova nel segmento giusto, tipico di un marchio quale quello FIAT.
Devo ammettere che - l'ho scritto anche in un rapporto che feci per l'avvocato Agnelli, per Romiti ed altri nel 1992 - non credo al marchio Lancia. Nel 1992 suggerii di vendere tale marchio perché vi erano le condizioni. Oggi credo che sia più difficile, ma ritengo comunque che non si possano tenere - non ne abbiamo la forza - tre marchi simili. Il marchio Alfa invece - Giancarlo Boschetti è molto bravo nel marketing - in due o tre anni potrà fare molto di più di quanto non accada oggi.
Tale marchio può arrivare, secondo me, a fare, imprenditorialmente, 350-400 mila pezzi. Ovviamente, per raggiungere tali livelli, ci vogliono almeno cinque anni ma, con una tendenza formidabile, il mercato americano, le Alfa Romeo di qualità le «divora» diventano degli status symbol, dei veri e propri oggetti del desiderio.
L'automobile, oggi, non è più soltanto uno strumento utile. I motori fanno 500-600 mila chilometri ma nessuno di noi cambia l'automobile perché va in pezzi. Si
Per quanto riguarda la distribuzione, liquiderò questo argomento rapidamente: la distribuzione FIAT richiederà molti sforzi da parte della nuova gestione, poiché manca di cultura, non ha missione, risulta troppo dispersa ed è stata abituata, nonostante tutto, a vivere riccamente. Si tratta quindi di una sfida molto difficile.
Per quanto riguarda la qualità, quest'ultima oggi è, nell'automobile, un presupposto veramente fondamentale: se non si ha qualità, non si vende. Tuttavia, mettere oggi qualità sulle automobili è sempre più difficile, perché tutti hanno alzato i rispettivi livelli di qualità e perché, nel bene o nel male, è entrata in gioco l'elettronica. L'elettronica, nell'automobile, è una bestia terribilmente difficile.
Non è come l'elettronica utilizzata sugli aeroplani, che sono guidati da professionisti. L'elettronica dell'automobile è utilizzata da dilettanti, i quali usano l'automobile in modi sconcertanti: vanno in montagna con temperature molto basse, lasciando l'automobile sotto la neve e d'estate vanno in giro con 50 gradi. Interfacciare l'elettronica è molto difficile e persino produttori di rango elevato, come ad esempio la BMW - il miglior produttore del mondo di automobili, secondo me -, hanno avuto problemi con l'elettronica.
Nel 1982 Ghidella, in un incontro, mi disse che non era possibile fare qualità nella FIAT, perché non esisteva la cultura della qualità nell'azienda. La cultura delle qualità è una cultura maniacale; bisogna essere «malati». Ad esempio, andare al ristorante con Mario Carraro, una persona nota nel mondo per avere un'azienda di alta qualità, è complicatissimo, perché come entra nel locale inizia ad esprimere critiche su tutto: chi porta avanti la qualità è fatto così. Ricordo, invece, che un giorno in cui mi ero lamentato che la portiera di un automobile faceva rumore, un ingegnere mi disse che ero un «seccatore» e che era sufficiente mettere un poco di olio. Quando raccontai ciò a Ghidella, mi rispose di avermi avvertito. Ghidella, affermando che l'azienda non aveva qualità, si rifugiò nell'automazione pesante e nei robot. Ottenne alcuni risultati ma buttò anche molti soldi. Cantarella cambiò completamente la linea di indirizzo dell'azienda. Diede più fiducia ai fornitori che si autocertificarono (diversamente da prima) e si ritornò all'uomo, ottenendo anche risultati positivi.
Ho con me un documento che illustra l'andamento della curva della qualità dal 1990 al 2001, da cui risulta che la qualità FIAT è migliorata, passando da 205 problemi sorti per ogni 100 vetture durante il primo anno di vita (con una media di 2,5 problemi ogni vettura), a 135 problemi. Ma il market minimo, cioè i peggiori, si trovano quasi allo stesso livello, mentre i migliori hanno circa 90 problemi per ogni 100 vetture.
Il gap da recuperare, comunque, riguarda anche l'immagine. I dati forniti rilevano la qualità oggettiva, a cui si arriva attraverso le schede fornite dalle officine di riparazione, ma quella importante è la qualità percepita. È lo stesso fenomeno che si ha con il caldo, in cui è necessario distinguere tra temperatura reale e temperatura percepita, in cui l'umidità gioca un ruolo importante. Il pubblico percepisce la qualità FIAT peggiore di quanto non sia: questo è il dramma. L'azienda deve porvi attenzione. Fra l'altro, il dottor Boschetti fa parte di quel club dei «maniaci» della qualità di cui ho parlato prima. Però, bisogna anche saper comunicare ed insistere sulla comunicazione. Ad esempio, il modo in cui è stata presentata la Stilo è stato totalmente errato. La Stilo è una macchina media, di buon livello, che è stata mal presentata, perché le sue caratteristiche di fondo - l'integrità, la serietà e, soprattutto, la spaziosità - non sono state adeguatamente considerate, mentre si è insistito sull'aspetto tecnologico. La tecnologia applicata a questo modello non interessa; inoltre, la tecnologia della FIAT non incontra la fiducia del consumatore.
Per riassumere, la qualità è un tema critico insieme a quello dei modelli innovativi. La sfida è difficile: è necessario avere - per così dire - un po' di ottimismo della volontà. Poiché - questa è la mia tesi - la crisi viene da lontano, mi rifiuto di dare la colpa a qualcuno: è una situazione oggettivamente difficile. La Peugeot, fino a qualche anno fa, attraversava una fase critica, che ora ha superato. Oggi vi è un grosso lavoro relativamente alle piattaforme; con Opel vi sono già piattaforme in comune ed i nuovi modelli avranno sempre più piattaforme in comune con il gruppo GM: è un modo per abbattere molto i costi. Nella motoristica si stanno producendo motori diesel di alto livello: a settembre od ottobre dovrà uscire una nuova formula di iniezione diretta, oltre il common rail, che si chiama multijet (sviluppato al centro ricerche FIAT a Torino), che ridurrà ulteriormente i consumi e l'inquinamento.
Sul piano tecnico occorre freschezza. Le quattro ruote motrici, ad esempio, interessano quattro gatti (quattro ruote per quattro gatti, si potrebbe dire...), però la Audi ha costruito su di esse il proprio successo mondiale. L'Audi è soltanto un fenomeno di marketing e per questa azienda le quattro ruote motrici hanno rappresentato un fenomeno di «attrattività», creando una «nicchietta» piccola, che la FIAT avrebbe dovuto avere.
Nuovi modelli, come la city car, sono assenti. Esiste la Seicento, ma è percepita come una macchina piccola e non una city car, come la Smart, in cui chi entra ha l'impressione di stare in un cockpit del Boeing 707: il consumatore ha speso 14 milioni di lire, ma si sente ben protetto. Questi sono modelli, versioni da produrre. Nel passato, la FIAT è stata la prima a realizzare, con la Campagnola, la prima fuoristrada del mondo. Ha realizzato innovazioni radicali, poi però non ne ha più avuto la capacità. Non si tratta di modelli di cui si vendano milioni di prodotti, ma servono a dare gusto. Ad esempio l'Alfa Romeo 156 GTA è un gioiello: ne possiedo una e quando la uso tutti la guardano esprimendo commenti positivi. Questo trascina le vendite della 156 familiare.
Credo che il dottor Boschetti sia la persona giusta per occuparsi di questo settore e che vi sia un grande lavoro da svolgere. Il Governo può aiutarlo in diversi modi: non parliamo di rottamazione tradizionale, ma ritengo validissime le considerazioni espresse dal dottor Boschetti, in particolare in riferimento al tema dell'ecologia.
Tra qualche mese ascolteremo nuovamente le idiozie sull'auto all'idrogeno, che verranno certamente realizzate ma non in tempi brevi: è necessario, infatti, risolvere il problema della produzione da idrogeno. Sono molto importanti gli incentivi, anche consistenti, per favorire la produzione di automobili a basso tasso d'inquinamento, perché è coinvolta la nostra salute.
Se per caso dovesse essere esercitata l'opzione di put, allora il Governo dovrebbe assumere un nuovo ruolo politico ed impegnativo nel contrattare le condizioni di investimento di inserimento del partner in Italia. Se giungesse nel nostro paese qualcuno da un altro paese, dovrebbe essere incentivato, sospinto, convinto di ciò che deve fare. In Italia, infatti, non esistono più grandi imprese: la FIAT è l'ultima grande impresa di produzione industriale. Esistono splendide aziende nel settore dei servizi (Telecom, ENEL, ENI) ma non esiste più neppure una azienda di produzione di alto livello, dove lavorano ingegneri che producono beni. Dobbiamo riconoscere che la FIAT è come la mamma: ti ricordi della sua importanza quando non c'è più. La questione non è affrontabile solo in termini quantitativi, di indotto, ma riguarda l'impatto micidiale del depauperamento sul paese. Credo che il Governo abbia un ruolo importante.
Compio un passo indietro: credo che si debba collocare nel 1980 il punto di svolta dell'industria dell'auto e del gruppo FIAT per comprendere anche questo momento di crisi che, a mia memoria, è la terza. Nel l980 il Governo promosse la stesura di due importanti documenti. Il ministro del bilancio, Nino Andreatta, preparò in febbraio un primo documento sulla crisi del settore, il secondo venne predisposto in autunno dal ministro dell'industria, Antonio Bisaglia. Vennero consegnati due documenti alla cui redazione parteciparono di fatto tutte le componenti (le imprese, i sindacati), che vi inviterei a rileggere perché contenevano una serie di riflessioni molto preveggenti. In quell'epoca era fortissima la pressione dei produttori giapponesi, così come l'idea che si dovesse procedere verso forme di mondializzazione (si parlava di world car): veniva avanzata la riflessione che il ciclo legato al mercato nazionale (che doveva essere vigilato da un leader nazionale, con una presenza di controllo sul territorio), doveva essere considerato finito. Nel 1980 era già chiaro che il ciclo lunghissimo che aveva dominato la produzione di massa era di fatto terminato. Il fenomeno più interessante che si stava rivelando era che, al di là dei giapponesi, che costituivano una minaccia più virtuale che sostanziale, la vera concorrenza nasceva dal fatto che il vecchio imcumbent, cioè il vecchio dominante sul mercato nazionale, per poter mantenere i volumi che risultavano dalla ristrutturazione degli impianti che erano stati costruiti, era costretto ad invadere il mercato del vicino: non doveva andare in Brasile o Argentina, ma il suo mercato era quello del vicino, cioè di chi era nella situazione simile.
In quella fase inizia la nuova forma di concorrenza, dove ognuno entra nel mercato dell'altro; la FIAT crea il modello nuovo, ma anche un nuovo modo di organizzare la sua produzione: è il momento della FIAT Uno. Concordo pienamente con il professor Guerci, quando egli sostiene che quest'auto ha rappresentato il momento di svolta nella storia del prodotto FIAT. Con la FIAT Uno si dà inizio all'operazione di riduzione dei gruppi propri a favore dei gruppi comuni tra più modelli e si passa, soprattutto, da un modello di innovazione, che fino ad allora era per serie successive (i più anziani ricorderanno la Millecento, che arrivò fino alla serie R: si realizzava un prodotto in cui le innovazioni venivano cumulate per serie successive), alla possibilità di ottenere una gamma, un portafoglio di variazioni su un prodotto base. Di fatto, la stessa concezione si applicò alla Punto, nel 1993. Dal 1993, però, sono avvenuti alcuni episodi fondamentale nel mondo: vi è stato un giro di concentrazione che si è espresso sia in termini di accordi strategici vincolanti sia in termini di scambi azionari. Il panorama che oggi abbiamo di fronte è molto diverso da quello del 1993.
Renault versava in una gravissima crisi e il suo recupero è avvenuto su due piani: da un lato, un forte investimento non soltanto su un modello nuovo ma anche su una innovazione sostanziale, che percepiva il cambiamento nella domanda. Si passa da una domanda di primo acquisto, sostanzialmente terminata negli anni '80, non solo di sostituzione, ma di variazione: l'acquirente ha una famiglia, all'interno della quale esistono diversi bisogni che vengono compenetrati, generalmente a redditi superiori, cosicché anche il problema della gamma deve essere letto in maniera completamente diverso dal passato. Il grande successo di Megane che, dal punto di vista del prodotto, ha costituito il perno del recupero di Renault, è avvenuto perché si era individuato un fabbisogno nuovo, che non verteva sulla familiare o sulla giardinetta, ma su un'auto berlina di grandi volumi e di grande capacità che interpretava un bisogno non descrivibile con i modelli precedenti. L'altro perno dell'operazione è stata l'acquisizione di Nissan.
Vorrei sottolineare l'importanza dell'accordo con Nissan: è vero che esiste una parte equity nel rapporto con Nissan, ma l'accordo che lega Renault a Nissan va molto al di là del power train e dell'organizzazione degli acquisti. Esso coinvolge in maniera sostanziale il controllo del mercato, cioè la distribuzione. Su questa questione vorrei essere molto chiaro: sono convinto che se FIAT proseguirà sulla strada intrapresa (condivido, con il professor Guerci la stima per il gruppo dirigente), vi sarà sicuramente un problema di riduzione di costi, di miglioramento della qualità intrinseca; FIAT, però, rimane una impresa sostanzialmente collocata su un mercato di cui è stata sempre, storicamente, leader, ed ha, in modo difensivo, dovuto reggere l'attacco di altri operatori straordinariamente aggressivi. Un operatore che ha diversificato gli investimenti all'estero, ma la gran parte di questi si sono riversati in paesi in via di sviluppo, in cui si è applicata la strategia che FIAT aveva impiegato in Italia, con macchine che non sono solo piccole ma anche utilitarie, come concezione. Sono auto per paesi di domanda di primo acquisto in crescita, come il Brasile, l'Argentina, e la Polonia.
Insisto su tale concetto, in quanto gli interventi proprietari e quelli sui prodotti e gli accordi, in realtà, sono tre elementi che devono essere analizzati insieme. Ma l'elemento assolutamente stravolgente della fine degli anni '90 è stato l'accordo fra Daimler e Chrysler, che dal punto di vista delle dinamiche industriali ha cambiato completamente gli scenari possibili esistenti oggi. Con l'acquisto di Chrysler, Daimler diventa da un operatore con un marchio che aveva un certo posizionamento nel mercato, un operatore globale che opera con 7 marchi diversi, di grande importanza come Mercedes: non sono, quindi, andati giù di segmento, bensì hanno costruito auto che, concettualmente, incontra una domanda diversa dal passato; la Smart non è in concorrenza con la Panda, ma è un modello che apre ed affronta una nicchia e la fa esplodere; quando si parla di Classe A, in realtà, si vende un'auto posizionata non sul mercato dell'utilitaria, bensì su quello di una famiglia ricca, che ha bisogno di una seconda macchina con caratteristiche di lusso, rispondente perciò a fabbisogni diversi da quelli tradizionali. Tutto ciò non è un passaggio da poco: l'impressione è che non si è cercato un modello sul quale fare volumi, ridisegnando strategie di sopravvivenza, ma hanno voluto aprire segmenti diversi dal passato.
L'acquisto di Chrysler ha permesso di utilizzare un marchio come Jeep, che oggi rappresenta un prodotto nuovo: era una nicchia, poi diventata un mercato distinto; con Chrysler, è stato acquistato il mercato dei grandi Van, aprendo e andando fino in fondo sull'apertura di mercato.
I grandi produttori hanno acquisito anche imprese di dimensione medio - alta, che non sono potute rimanere da sole sul mercato; la Ford ha acquistato la Volvo, la Jaguar, la Aston Martin; la General Motors ha acquistato la Saab. Nel panorama degli operatori europei nomi storici, come Volvo, Saab, le case automobilistiche inglesi, quelle spagnole confluite nell'area Volkswagen, comprendendo la Skoda, sono sostanzialmente ripartiti in gruppi, in cui la razionalizzazione non riguarda solamente la componentistica, ma anche le distribuzioni. Insisto sul punto perché il problema non è avere una distribuzione più o meno efficiente in un paese, bensì è avere una capacità di presenza su tutto il mercato.
L'altra questione è rappresentata dai giapponesi; un elemento sostanzialmente diverso dagli anni '80, dal 1993, è la loro scomparsa: i giapponesi sono entrati nell'orbita dei grandi produttori. La General Motors ha fatto accordi con Isuzu e Suzuki, e con Toyota e Honda; la Ford con Mazda: tutti i grandi operatori sono tornati in grandissimi gruppi; Mitsubishi ha compiuto accordi con Daimler Chrysler, e con la Hyundai, mentre Daewoo è nell'orbita General Motors.
Il mercato mondiale dell'auto è diverso dal passato: il gruppo General Motors ha comprato Saab in Europa, ed ha fatto accordi in Giappone; la Daimler Chrysler
Devo compiere una riflessione sul mercato dei paesi terzi. Bisogna ricordare che le quattro scelte compiute dal gruppo FIAT - Argentina, Brasile, Polonia, e Turchia - sono state scelte a diverso titolo a fortissimo rischio: paesi che hanno subito - tranne il Brasile - riduzioni della metà della domanda nel giro di due anni. Vorrei fare un breve inciso: gli anni '90 sono stati di profondissima crisi internazionale; ci sono state ondate di crisi finanziarie, diventate reali, che hanno colpito tutto il mondo; in Europa ce ne siamo accorti poco, in quanto le operazioni di convergenza sull'euro hanno vincolato i paesi a politiche di bilancio convergenti, che rendevano sostanzialmente, ancora prima dell'euro, non penetrabile il mercato europeo alla speculazione.
Tutta l'Asia, però, di cui si raccontavano i miracoli, tutta l'America latina, il Messico, negli anni '90 sono stati colpiti da instabilità e drammatica crisi: il caso Argentina è il risultato di situazioni estremamente pericolose verificatesi negli anni '90; in America latina, in particolare, il mancato coordinamento delle politiche fra il Brasile e l'Argentina, ha determinato un effetto devastante: un investimento in Brasile ed uno in Argentina in una logica Mercosur si giustificavano, perché sui mercati in crescita, seppure piccoli, potevano essere immaginate operazioni di coordinamento fra le produzioni, ma la crisi Argentina e la rivalutazione del real hanno reso qualsiasi operazione tra i due paesi impraticabile; in tali paesi ricordo che la General Motors è presente con proprie produzioni.
L'attuale momento di crisi di domanda in Europa attraverserà tutto il 2003 (non credo ad un nuovo boom e ad una ripresa dell'economia americana sulla domanda perduta); ebbene, in tale fase esiste un fortissimo consolidamento dell'industria mondiale dell'auto attorno a quattro gruppi; inoltre, l'industria dell'auto deve affrontare una situazione difficile nei paesi emergenti, (può darsi che la Cina sia una mercato in crescita; tuttavia, lì si ritrovano tutti i gruppi, e si tratta di una domanda non facilmente prevedibile). In questa situazione i principali problemi del gruppo FIAT sono: essere fortemente concentrati sul mercato italiano; avere una rete distributiva per l'Europa assolutamente inadeguata; avere una presenza negli Stati Uniti nulla, come anche nel Medio Oriente; avere una presenza fortemente concentrata in alcuni mercati specifici che hanno affrontato i problemi di crisi.
A me sembra difficile immaginare che si possa tornare indietro nell'accordo raggiunto con General Motors e, pertanto, ritengo, anche con riferimento alla domanda formulata dall'onorevole Fassino, che la soluzione stand alone non esista più; cioè, non esiste la possibilità per FIAT-Auto di immaginare un futuro da sola.
Ritengo francamente molto difficile immaginare anche una strategia in cui l'accordo raggiunto con General Motors possa rimanere limitato a due aspetti - power-train e organizzazione di acquisto. Il caso Renault-Nissan infatti ci fa capire che gli accordi sono delle strutture evolutive e riguardano in modo particolare la presenza sul mercato; la capacità cioè di realizzare una razionalizzazione della rete di vendita, almeno in Europa (infatti, l'accordo Renault-Nissan prevede una joint distribution in Europa).
Il partner ovvio è rappresentato dal gruppo Opel; tuttavia, desidero evidenziare che il gruppo Opel ha chiuso il 2001 con 674 milioni di euro di perdite operative a fronte di 1.160 mila veicoli venduti denotando, nel complesso, una situazione che non è migliore di quella di FIAT-Auto. Il gruppo Opel sostiene di avere già avviato un fortissimo processo di riorganizzazione e di ristrutturazione; FIAT-auto, a sua volta, ha avviato un processo di ristrutturazione e pertanto mi sembra straordinariamente difficile immaginare che questi
Al riguardo viene in evidenza la domanda posta dall'onorevole Nesi, il quale chiedeva se era possibile mantenere accordi di questa natura senza un controllo proprietario da parte del gruppo di riferimento. La risposta da fornire a questa domanda, come si evince dal caso Renault, è molto difficile. Alla fine, qualsiasi convergenza che si estende così in profondità nella produzione, nella ricerca e sviluppo, nella rete distributiva e nelle strategia a medio termine, di fatto, viene a configurare un'implicazione nei comportamenti strategici futuri che difficilmente potranno essere attuati se non vi sono forme, più o meno esplicite, di scambio azionario; il problema che si pone è di vedere se si tratti di uno scambio azionario oppure di una cessione.
Non credo che l'unica soluzione possibile sia la cessione in toto di FIAT alla General Motors; condivido pienamente il ragionamento che faceva prima il professor Guerci quando sosteneva che un conto è un marchio come l'Alfa Romeo un altro conto è un marchio come Lancia. Tutti gli operatori del settore stanno iniziando ad operare su una data gamma di marchi; pertanto non credo che possa scomparire il marchio FIAT. Se infatti osserviamo la pagina web di General Motors, tra i suoi marchi compare già inserito quello della FIAT. Quindi, i marchi rimangono, però è anche vero che si andrà in futuro sempre di più verso una convergenza di investimenti che rende straordinariamente irreversibile quello che si sta facendo; personalmente credo che un aspetto importante, nella analisi delle strategie di tutti grandi i concorrenti, è di ricordare che questi sono gruppi essenzialmente a capitale più o meno diffuso: l'unico che non lo è, è Renault. Si tratta inoltre di operatori del settore auto per i quali non esiste l'alternativa se rimanere ad operare nel settore nell'auto oppure di diversificare. In tutto ciò la proprietà della famiglia Agnelli del gruppo auto ha introdotto di recente delle opzioni distinte da quelle fatte da altri operatori.
Personalmente non sono preoccupato della situazione di FIAT-Auto; ciò perché sono convinto che il marchio rimarrà, così come sono convinto che gli impianti del gruppo in Italia non sono tutti del livello che ci si potrebbe attendere, però ne esistono alcuni che sono assolutamente al di sopra della media europea (sicuramente al di sopra della media del gruppo Opel) come ad esempio quelli di Melfi. Sono anche convinto che negli anni futuri le strategie multiple sui diversi segmenti, sui diversi marchi, e le strategie congiunte con i diversi operatori e nell'ambito del gruppo General Motors implicheranno che l'auto venga trattata come un settore avente una sua fortissima autonomia (all'interno del gruppo Agnelli) o come un settore con una sua autonomia nel nuovo gruppo di riferimento. Però, si tratta di un settore in cui il fattore tempo è cruciale; personalmente non sono convinto che la tempistica data sia per l'inserimento dei nuovi modelli, sia per la revisione degli accordi operativi (non quelli azionari con General Motors), sia dell'intervento sulla rete distributiva, non solo in Italia ma anche all'estero, sia adeguata alla tempistica che altri operatori del settore si stanno dando nel mondo. Ho l'impressione che il posizionamento del nuovo modello nel 2005, il progetto di riorganizzazione della rete distributiva al 2005, l'idea di avanzare e di revisionare gli accordi al 2004-2005, lasci gli anni 2003 e 2004 molto scoperti. Questo costituisce un problema sul quale condivido l'idea di chi prevede che si possano effetuare interventi precisi e specifici che consentano una stabilizzazione del ciclo di domanda; questi però non cambiano minimamente la problematica di ordine industriale, di ordine strategico, che il problema pone.
Ciò però apre un'altra discussione in tema di politiche da adottare in Italia, non tanto e non solo per mantenere delle proprietà industriali, quanto per attrarre
Pertanto, il caso FIAT diviene il termine di riferimento di un malessere, prima evidenziato dal professor Guerci e che io condivido, dovuto al fatto che tutto il vertice delle grandi imprese italiane attualmente si è concentrato sul mercato interno - Pirelli, Olivetti, Telecom, FIAT e Montedison - rimanendo passivo a livello europeo. Questo credo sia un problema essenziale da risolvere.
Vengo, dunque, alla conclusione. Innanzitutto, come si è avuto modo di dichiarare ripetutamente nel corso di questa audizione, si tratta certamente di una questione di lunga data, vi sono state, però, anche delle discontinuità: prima fra tutte quella derivante dal cambiamento della dinamica del settore a livello mondiale. Data di riferimento può ben essere il 1998, con la strategia di Daimler e la nascita di Daimler-Chrysler, in seguito all'acquisizione dell'impresa statunitense ad opera della società tedesca. In proposito, ricordo che quella operazione ha coinciso, nell'ambito delle proprietà che fanno riferimento alla Deutsche Bank, anche con un fortissimo processo di razionalizzazione dei settori della produzione aeronautica - ne è emblema la creazione di DASA - e ferroviaria, sino a giungere alla creazione di una apposita società, DEBIS, a cui trasferire la cura dei servizi finanziari, logistici e informatici.
Nel 1998, questo grande gruppo, facente riferimento a Deutsche Bank, ha ristrutturato tutte le sue partecipazioni, creando grandissime alleanze a livello mondiale.
Il secondo fattore da considerare è la sparizione, o comunque la perdita di autonomia, dei concorrenti giapponesi e quindi la riduzione, a livello mondiale, di un gioco a quattro; in terzo luogo occorre soddisfare la necessità di essere presenti con reti distributive sul mercato, quantomeno continentale. Rispetto a ciò, rimane essenziale procedere rapidamente anche ad un approfondimento dell'accordo con General Motors.
Dinanzi al corso degli eventi, appare quanto mai opportuno lasciar parlare la memoria storica: mi riferisco alla data di svolta nel lungo processo di ristrutturazione del settore automobilistico, dopo la crisi degli ani settanta. Nel 1980, l'allora ministro del bilancio, Andreatta, promuoveva una Commissione di indagine nel settore, ripresa poi dal ministro dell'industria, Bisaglia: fu occasione per esaminare approfonditamente il panorama italiano e internazionale nel mercato dell'auto. Sarebbe utile rivedere gli esiti documentali di quei lavori. Il parallelismo con quegli ani pare ancora calzante, allorché si tenga a mente che il periodo considerato si caratterizzò per una vicenda capace di distrarre,
In quei dieci anni siamo stati paralizzati dalla discussione sulla scala mobile. Quando riscriveremo la storia del nostro paese, ricorderemo come quegli eventi siano stati dannosi: analogamente - trasferendo l'analisi al momento attuale -, potrebbe risultare nocivo discutere oltremodo sulla riforma dell'articolo 18, anziché affrontare i grandi problemi in questa sede evocati, i reali e forti dilemmi da sciogliere nel paese.
Dobbiamo tener presente che le conflittualità molteplici sollevatesi in Italia hanno più volte portato a sottovalutare i profili legati alla qualità produttiva. Ricordo, in proposito, un tentativo di affrontare il problema, anche attraverso il rapporto con le parti sindacali, che però è naufragato, costringendo i nostri grandi gruppi imprenditoriali e anche la FIAT ad investire enormemente ed in maniera - a mio parere - spesso affrettata sul processo, proprio per evitare tensioni pericolose tra le parti sociali, e risparmiare: il caso di Cassino - ricordato da Guerci - è il più clamoroso. In quel caso, a fronte della nuova realtà e dei problemi da affrontare, si agì nel peggiore dei modi: si utilizzarono dei robot che fornivano una produzione assolutamente di cattiva qualità.
Sono convinto vi siano questioni fondamentali da risolvere. La prima è, appunto, legata alla qualità: occorre uno studio approfondito, che sia capace di cogliere i cambiamenti della domanda interna al paese. Clienti meno giovani esprimono peraltro una domanda più precaria, le famiglie si formano più tardi, e vi è una fascia anziana che chiede auto non veloci, ma comode e pratiche. Anche la robusta introduzione della tecnologia nel sistema dell'automobile forse non tiene sufficientemente conto delle diversificazioni esistenti nella domanda medesima. Quindi, credo non vi sia da parte della FIAT una piena attenzione ai mutamenti del mercato.
Domando, inoltre: le scelte aziendali di assicurare presenze più decise, nuove iniziative in alcune realtà di mercato estero, la decisione di concentrare l'attenzione su Cina, Brasile, Polonia, avranno realmente un avvenire oppure no, dopo gli eventi in Argentina?
La seconda questione che vorrei porre è la seguente: mi sembra di aver capito che questo processo di integrazione con la General Motors sia irreversibile. È un processo che va accelerato, oppure può rispondere anche nei tempi indicati all'esigenza di lanciare sul mercato i futuri modelli?
Infine: è ipotizzabile che, in una accelerazione di questo processo di integrazione, l'Italia e Torino possano rimanere realtà in cui progettazione e ricerca abbiano ancora un proprio spazio e una funzione?
Poi, allargando i clusters di riferimento, possono determinarsi anche sovrapposizioni, le quali sono, però, relativamente marginali.
Il discorso da fare per il futuro è difficile, perché anche accorciando i tempi di progettazione e di produzione dell'auto, - e questo si può fare -, dal momento in cui si «tira la prima riga», con un cad o su un lavagna, per illustrarla ai collaboratori, da quel momento, nel quale il prototipo gira in mano al collaudatore, passano due anni e mezzo o tre (anche comprimendo i tempi!). Quindi, non bisogna soltanto guardare al consumatore di oggi ma anticipare il consumatore del futuro, così come egli sarà fra tre, quattro, o cinque anni.
Ritengo giusta la considerazione sulla popolazione anziana, ma avrei qualche riserva sul fatto o meno che la popolazione appartenente a tale categoria non desideri macchine potenti e veloci (anzi, probabilmente è vero il contrario). Le persone anziane sono sempre più spesso viste su spider o simili (normalmente, guardando a tali modelli vi si scorgono sopra signori anziani, magari in compagnia di una bella ragazza giovane): il signore anziano si è cioè comprato un modello spider molto costoso e ha attratto la ragazza giovane!
È pur vero che non è sempre così, ma se considera l'età media dei clienti di BMW o Mercedes essi non sono, per definizione, proprio dei bambini (anche perché il reddito progredisce, perlomeno fino ad una certa età, con il crescere di questa) ed è chiaro che, se un ragazzo non è figlio di un signore molto ricco, non si potrà permettere la Porsche!
Per quanto riguarda la reversibilità secondo me ve ne è poca. Per questo, la denuncia di un accordo con la GM sarebbe a mio avviso un disastro, perché lascerebbe la FIAT senza alcun paracadute (è quanto ci ha giustamente detto nel corso della sua esposizione Patrizio Bianchi). Si stanno configurando grandi raggruppamenti: non si può più stare al di fuori di essi. Non è come nel caso delle telecomunicazioni, dove alcuni che hanno fatti i furbi ora si ritrovano sull'orlo del baratro (come France Telecom, che, se non vedesse il 55 per cento dello Stato al suo interno, forse sarebbe davanti a qualcuno).
Qui siamo in un ambito diverso, in cui l'unica eccezione si chiama Peugeot, o meglio, gli unici al di fuori di grandi gruppi sono Peugeot e FIAT, con la differenza che quest'ultima ha accumulato gravi perdite negli ultimi cinque anni, mentre il primo oggi guadagna. Tuttavia, anche Peugeot, secondo me, dovrà entrare in qualche raggruppamento (come, inevitabilmente, la FIAT). Quindi, il discorso si riallaccia a quanto affermato prima dall'onorevole Nesi a proposito degli impianti e, sicuramente, General Motors dovrà - o dovrebbe - attuare una strategia formidabilmente integrata, anche perché i segmenti - anche nuovi - di mercato delle FIAT e della Opel, sono quasi completamente sovrapposti: sono tutte e due su automobili di tipo tradizionale, su cilindrate e prezzi identici. Per quanto riguarda l'anticipazione, non so rispondere, perché il termine del Put è molto vicino - stiamo parlando del 1 gennaio del 2004 - e credo che se ormai GM - la quale non credo arda dal desiderio di comprarsi la FIAT - è entrata in questa logica, l'integrazione ci sarà e semmai più corposa da oggi sino al 2004. Ho visto manager combinarne di tutti i colori, quindi la razionalità del management è un mito; altrimenti, se i manager fossero esseri razionali, non si sarebbero pagate le cifre che sono state sborsate per le licenze dell'UMTS! Tuttavia, ritengo che la razionalità di FIAT, di General Motors e di Opel voglia che un'anticipazione di fatto dell'integrazione ci sia, e ci sarà (nuovi modelli e via dicendo).
Per quanto riguarda il cannibalismo fra prodotti, la gestione fra i marchi è un'arte difficilissima. Chi ha fatto miracoli nella gestione dei marchi - mentre tutti eravamo ad attendere che cadesse - non è caduto affatto, anzi ne è uscito multimiliardario e padrone della Porsche: mister Piech ha fatto con la Volkswagen un miracolo nella gestione dei marchi. Infatti, ha posizionato il marchio dell'Audi, mediante un'operazione di marketing favolosa, sulla fascia alta, quella della persona un po' snob che vuole emergere, farsi vedere e essere pro-tecnologica, mostrando cioè di essere in grado di differenziarsi perché è - come dice Forrester - «favorevole alla tecnologia»: pro-tecnologico, appunto. Inoltre, ha fatto di Volkswagen l'auto del popolo, di quello più ricco ma sobrio, che vuole da un lato un'automobile di marchio, di immagine, di buon standing, ma non vuole, dall'altro, buttare via il proprio denaro. Ancora, ha fatto di Seat il concorrente più diretto di Alfa Romeo, attraverso una gestione ed un'immagine un po' più sportiva. Da ultimo, ha compiuto - a mio parere - il più grande miracolo dell'industria dell'auto degli ultimi cinquant'anni anni, prendendo una cosa dal nome Skoda - che era un rottame - e trasformandola in qualche cosa che adesso è diventato snob comprare: con una Skoda, sempre più gente penserà di trovarsi di fronte una persona raffinata, un economista marginalista, insomma qualcuno che ottimizza il proprio denaro acquistando un bene dal rapporto prezzo/qualità migliore del mondo. Bisogna essere bravi per fare queste cose, molto bravi.
Purtroppo, abbiamo anche distrutto qualche marchio: Autobianchi era un marchio e l'abbiamo perduto.
Abbiamo tre marchi che, secondo me, sono potenzialmente distinguibili (tra il marchio FIAT ed il marchio Alfa non vi è alcun contrasto). Il problema è rappresentato dal marchio Lancia, perché, non essendo stati finora capaci di fare svettare quest'ultima sulla fascia di desiderio più alta e rilevante, i miglioramenti registrati - e che sono inevitabili all'interno del gruppo FIAT - cannibalizzano la Lancia. Questo è il problema: la cannibalizzazione non si ha tanto tra Alfa e Lancia ma tra FIAT - che cresce - e Lancia. Fino adesso, la Libra si vende perché sul segmento tradizionale vi è la Marea. È chiaro quindi che la seconda è meglio della prima, ma quando si farà la New Large - che poi sarà la nuova Croma - si metterà in difficoltà la Lancia. Quindi - lo ripeto - secondo me, quello del marchio Lancia è un problema, non enorme (perché poi i volumi non è che siano enormi), ma è pur sempre un problema.
Occorre un numero sufficientemente alto di marchi, che devono essere mantenuti, differenziati, distinti (e questo perché il mercato, nel suo complesso, è globale). Non vi è alcun mercato interno, insomma, neanche negli Stati Uniti, che possa in qualche modo soddisfare le capacità di produzione di un singolo marchio. Il problema, quindi, è il rapporto tra l'organizzazione della produzione e l'estensione del mercato.
Il problema della FIAT, allora, è che quando ragioniamo in termini di mercato, lo facciamo sempre in termini di un mercato alla volta. Ragioniamo sul mercato italiano, dove necessariamente lo spiazzamento è dato dal rapporto Lancia-FIAT; ragioniamo su un mercato, sempre
Ci troviamo anche ad operare su mercati emergenti dove si opera con un modello (il caso Palio-Siena per quanto riguarda il mercato brasiliano, la Seicento per quanto riguarda il mercato polacco), ma non riusciamo a gestire una strategia di lungo periodo, giocando su diversi modelli pivot (famiglie di modelli), all'interno di una gestione strategica che si giochi su marchi distinti.
Si tratta di un punto importante, perché oggi la FIAT sta operando con tre marchi - diciamo due e mezzo - radicati in mercati specifici e non riesce a compiere questa operazione per un volume sufficientemente alto per ognuno di questi. Porsche è un marchio Volkswagen, ma è venduto in tutto il mondo, riuscendo, anche su un marchio di affezione, a raggiungere volumi adeguati. La questione di garantire volumi minimi è assolutamente cruciale e questi si garantiscono attraverso la rete distributiva. L'anticipo degli accordi con General Motors non deve riguardare nuovi modelli, perchè servirebbero tempi più lunghi, ma il controllo del mercato; quello che secondo me è irrilevante è l'accordo con Opel su come si rendono compatibili ed incrociano le reti in Europa.
Ma a ciò i vertici della FIAT, da quanto abbiamo ascoltato nella precedente audizione, non hanno fornito una risposta, né hanno affermato che esista un piano di cogestione delle due crisi FIAT ed Opel. L'operazione di put si basava su uno scambio azionario. La proprietà ha ceduto il 20 per cento di FIAT Auto ma in compenso ha avuto circa il 5 per cento di General Motors; non si tratta di un passaggio da poco, anche se finora non se ne è discusso. Una possibile vendita di FIAT Auto significa la vendita di un gruppo finanziario italiano che nel proprio portafoglio potrebbe avere anche un settore minoritario riguardante l'energia. Non credo che la FIAT preveda più l'accordo sulla parte di produzione robotica e probabilmente - altro argomento importante - vi saranno quote di General Motors.