Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto per il credito sportivo.
Sono presenti il dottor Andrea Valentini e il dottor Francesco Savini Nicci, rispettivamente presidente e direttore generale dell'Istituto per il credito sportivo, che ringrazio per aver accettato il nostro invito. Conoscete i motivi che hanno spinto la Commissione a deliberare questo ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva; quindi, vorremmo conoscere la vostra analisi sul vistoso malessere presente nel mondo del calcio ed eventuali suggerimenti, sia nel vostro campo sia più in generale, per sanare nel tempo questa situazione.
Do ora la parola al dottor Valentini per la sua relazione.
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Il compito istituzionale del credito sportivo non è quello di parlare e di fare analisi sul sistema calcio, ma di finanziare soprattutto l'impiantistica sportiva. Circa un anno fa, avendo avuto moltissime richieste di impiantistica sportiva da parte delle società calcistiche professionistiche, come banca abbiamo ritenuto doveroso capire bene l'evoluzione del sistema calcio. Infatti, una banca che ha richieste di centinaia di milioni di finanziamenti, soprattutto per gli stadi, ha il dovere di sapere se le società e il sistema possono reggere.
Il consiglio deliberò uno studio sul sistema calcio per questo motivo e per poter dare un supporto agli organi istituzionali del sistema e, quindi, alla Federazione e alla Lega. Lo studio è di circa 800 pagine e, quindi, sarebbe complicato fare una sintesi. Comunque, la questione a noi più consona è di capire, al di là dei problemi del calcio, dove e come il credito sportivo possa intervenire. Si è passati da un'impresa calcistica di mecenatismo degli anni '50 e '60 ad un'impresa calcistica SpA quotata in borsa: quindi, è avvenuto un cambiamento, formale e sostanziale, straordinario, ma non c'è stato un adeguamento organizzativo e strutturale dell'azienda.
Di conseguenza, l'organizzazione è rimasta quella dell'imprenditore mecenate, mentre occorreva un'impresa calcistica che seguisse criteri aziendalistici. Tutto ciò ha comportato problemi di costi, soprattutto di una percentuale dei cosiddetti salari perché ormai i calciatori sono lavoratori dipendenti, e di ricavi assolutamente fuori norma, anche perché se c'è un'azienda che avrebbe bisogno di correlare i costi ai ricavi è proprio quella
calcistica. Pensate che la differenza di ricavi tra una società calcistica che non partecipa alla Coppa dei campioni e una che la vince è di 60 milioni di euro. Quindi, avendo costi del personale fissi e ricavi così variabili, il fatto di non rapportarli comporta degli squilibri di bilancio.
Questo vale per le società che non vanno in Coppa dei campioni, ma anche per quelle che retrocedono dalla serie A in serie B o dalla serie B in serie C: quindi, è fondamentale rapportare i risultati sportivi al costo. Inoltre, i ricavi del conto economico evidenziano una rigidità assoluta perché derivano quasi per l'80 per cento da pay-tv, mentre quelli da botteghino o di altro tipo sono del 10 e, in qualche caso, del 30 per cento; tutto ciò rapportato a sistemi dove le cose funzionano meglio e dove nel conto economico i ricavi da botteghino, da pay-tv e di altro tipo (ricavi commerciali da merchandising e da sponsorizzazioni) sono divisi rispettivamente al 33 per cento. Chiaramente, quando sui ricavi del conto economico non si ha possibilità di manovra, è come se un'azienda avesse un cliente unico. In questo caso la leva per potere agire sui ricavi sarebbe limitatissima ed esisterebbe un rischio altissimo perché, nel momento in cui il cliente andasse in crisi, le conseguenze ricadrebbero su tutta l'azienda.
Tutto ciò è successo al calcio perché il fatto di dividere i corrispettivi delle pay-tv in maniera diversa ha messo in crisi il sistema.
Mentre sui costi il ragionamento è abbastanza semplice, perché una volta conclusi i contratti si può parlare con i giocatori e con i loro procuratori per mettersi d'accordo, sui ricavi l'unica possibilità per poter riequilibrare il conto economico è quello di diversificarli. Anche in questo caso, l'unica opportunità che si può dare al sistema calcio è quello degli stadi polivalenti che possono risolvere tutta una serie di problemi.
Uno dei problemi esistenti in Italia riguarda gli stadi: non esiste uno stadio che possa ospitare una finale di coppa europea, nonostante gli sforzi compiuti negli anni novanta. Neanche lo stadio Meazza di Milano o l'Olimpico di Roma sono adeguati.
GIOVANNI LOLLI. Esiste uno studio sugli stadi italiani?
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Di che tipo?
GIOVANNI LOLLI. Uno studio finalizzato all'adeguamento degli stadi in modo da poter rispettare i parametri previsti dalla normativa UEFA?
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Lo studio che abbiamo compiuto noi contiene dati sulla capacità di riempimento, ma non suggerimenti o analisi sugli adeguamenti architettonici. Tenete conto che la capacità di riempimento degli stadi italiani nel 2003 è stata del 48 per cento, mentre in Inghilterra è stata del 91 per cento. In questo paese dagli anni novanta ad oggi i biglietti sono aumentati del 53 per cento e la capienza del 48 per cento. Ciò significa che se gli stadi sono sicuri e serviti la gente è invogliata a recarvisi. Tutti noi spesso preferiamo vedere la partita davanti la televisione piuttosto che rischiare di prendere, quando va bene, l'acqua e il freddo e, quando va male, anche qualcosa di peggio. La sicurezza e l'aumento delle presenze allo stadio camminano insieme: più è sicuro lo stadio e più aumentano gli spettatori.
Come credito sportivo riteniamo di poter fornire un grande supporto a livello di conoscenza del problema o a livello di consulenza riguardo la realizzazione degli stadi; è evidente, però, che occorre una serie di supporti a livello istituzionale. Attualmente stiamo sviluppando un esperimento pilota sullo stadio di Perugia, dove esiste una convenzione tra il comune e l'Associazione calcio Perugia. Tale struttura è assolutamente non sicura e non servita bene e rispecchia molti dei difetti delle altre strutture italiane. Ci siamo subito accorti che gli ostacoli burocratici
creano diversi problemi. In Inghilterra in dieci anni sono stati realizzati venti stadi privati, mentre in Italia la Juventus per ottenere il diritto di superficie dal comune di Torino ha dovuto attendere più di dieci anni; per costruire lo stadio occorreranno altri cinque anni, il che significa che sono serviti quindici anni per terminare uno stadio. Penso che sia necessaria una via preferenziale per favorire la privatizzazione degli stadi; si potrebbe seguire l'esempio della cosiddetta legge obiettivo nel campo delle infrastrutture per accelerare questo tipo di operazioni.
Come credito sportivo abbiamo un fondo contributi che serve ad agevolare alcuni tipi di operazioni, tuttavia esso si sta assottigliando sempre di più in quanto la fonte di approvvigionamento è il Totocalcio, che, purtroppo per noi, non garantisce più le entrate di alcuni anni fa. Anche un intervento per accrescere il fondo finalizzato alla realizzazione di operazioni agevolate potrebbe essere utile. Allo stesso modo potrebbero essere utili operazioni di crediti di imposta per chi realizza stadi sicuri attraverso ristrutturazioni, anche perché abbiamo la grande opportunità di poter organizzare gli Europei di calcio del 2012; tuttavia, per pensare di ottenere l'autorizzazione a livello europeo dobbiamo avere almeno otto stadi con la licenza UEFA. A tutt'oggi, però, non ne abbiamo neanche uno che possa servire a tale scopo, come ricordavo prima.
Attualmente, come credito sportivo possiamo concedere soltanto finanziamenti di scopo, il che significa finanziamenti di medio termine per impiantistica sportiva. È in corso una ridefinizione del nostro statuto e nel momento in cui il credito sportivo dovesse allargare le proprie competenze non si esclude che l'istituto possa fare tutte le operazioni di un banca normale. Naturalmente, per banca normale intendo operazioni di liquidità, operazioni fideiussorie e di altro tipo. È evidente che, nel momento in cui l'Istituto per il credito sportivo dovesse diventare banca a tutti gli effetti, il presupposto principale per migliorare la propria azione dovrebbe essere rappresentato dal potere avere come interlocutore una azienda a tutti gli effetti, perché l'obiettivo della banca non può che essere quello di chiudere i propri bilanci con un utile che possa permettere di supportare non solo il calcio, ma tutto lo sport italiano.
Un ulteriore elemento emerso dalla nostra analisi è che non si comprende come mai non possa essere utilizzata l'amministrazione controllata per le società calcistiche in difficoltà. In questo periodo si sente parlare molto del lodo Petrucci che dovrebbe risolvere questo tipo di situazioni salvando il titolo sportivo e la città, garantendo la retrocessione della società calcistica in crisi alla serie immediatamente inferiore. A parte il fatto che il lodo Petrucci interverrebbe nel momento in cui l'azienda è fallita, mentre invece noi dovremmo evitare quantomeno che essa fallisca, ritengo che oggi moltissime società calcistiche si trovino nelle condizioni di poter essere ammesse alla procedura di amministrazione controllata; è il tribunale poi che stabilirà se esse sono nelle condizioni di poter essere ammesse. Una volta ammesse avranno due anni di tempo per rimettersi in sesto; al termine di questo periodo, se l'azienda sarà a posto ritornerà in bonis, altrimenti fallirà. Tutto ciò avviene regolarmente in Inghilterra ed è la decisione più semplice e lineare che oggi si possa adottare. Certo, nel momento in cui l'azienda è tecnicamente fallita si può anche pensare ad altre soluzioni.
All'interno del nostro studio vi sono anche altri elementi interessanti, ma forse sarebbe troppo lungo anche il sintetizzarli. Se voi ritenete che possa essere utile, possiamo farvelo avere nei prossimi giorni. Noi lo abbiamo realizzato con uno spirito di assoluta collaborazione con tutte le istituzioni, a cominciare da quelle calcistiche.
PRESIDENTE. Certamente, a noi interessa acquisire materiali utili per il nostro lavoro. Passiamo ora alle domande dei commissari.
GIOVANNI LOLLI. Signor presidente, la ringrazio per la sua interessante relazione;
tra l'altro, personalmente, trovo molto condivisibile quanto da lei riferito. Le rivolgerei, però, alcune domande per un ulteriore approfondimento degli aspetti trattati.
L'analisi è chiara e ribadisco di condividerla; si tratta di un sistema di imprese che non può più sopravvivere con il vecchio atteggiamento, perfino culturale, integrato da quel modello da lei definito mecenatistico. Scopo dell'indagine condotta dalla nostra Commissione è accertare quali proposte si possano formulare affinché detto sistema diventi sano, efficiente e prospero; dunque, non vi è, da parte nostra, alcun atteggiamento punitivo e inquisitorio. Piuttosto, si tratta di una intenzione esattamente opposta; si mira a trovare il modo di portare in equilibrio costi e ricavi e, soprattutto, ad offrire un ventaglio diversificato di possibilità per quanto riguarda i ricavi, anche guardando ad altri modelli, come lei ha precisato benissimo. Non vi è dubbio, al riguardo, che uno dei nodi centrali è rappresentato dallo stadio polivalente.
Le ho poc'anzi chiesto se esista uno studio in proposito; ebbene, quanto al ruolo che potete svolgere, non so se siate già, per così dire, attrezzati, ma mi sembrerebbe logico che una importante struttura come la vostra (in definitiva, una struttura dello sport) si organizzi per offrire una serie di consulenze in questo processo. A mio avviso, avremmo, ad esempio, bisogno di una consulenza sulle strutture; se, infatti, la Juventus costruisce un nuovo stadio, tuttavia non saprei quante attualmente siano le società in grado di affrontare un investimento del genere. Mi sembrerebbe, invece, interessante verificare se siano trasformabili gli stadi italiani; siccome sono quasi tutti, tranne uno, di proprietà dei comuni, si tratterebbe di capire attraverso quali procedure ciò possa compiersi. La cessione in proprietà mi sembrerebbe un iter impossibile da seguire in Italia; non a caso, ad esempio, la Juventus ha scelto il diritto di superficie.
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Per tale via, infatti, patrimonializza.
GIOVANNI LOLLI. Patrimonializza, e perciò non si tratta solo di un ricavo cash; si tratta anche di un patrimonio su cui la società quotata possa fare affidamento. Quindi, bisogna cercare di capire quanti stadi siano trasformabili e con quante e quali eventuali spese. È ovvio che sarebbe meglio costruirne di nuovi, ma va considerato l'aspetto ora ricordato.
Poi si deve capire quali politiche agevolative seguire; al riguardo, lei ha dato due o tre indicazioni circa le quali, se possibile, la pregherei di farci pervenire maggiori ragguagli, anche al fine di assumere eventuali iniziative legislative, naturalmente in accordo con i comuni e con gli enti locali. Gradiremmo, perciò, ricevere suggerimenti in proposito; veniamo da un'esperienza infelicissima: gli stadi versano nelle attuali condizioni pur essendo stati spesi, nel 1990, per la loro costruzione, mille miliardi di vecchie lire. Un capitale che, anziché finire nelle forme che tutti ben conosciamo, poteva rappresentare l'investimento atto a dotare il paese di un sistema di stadi moderni.
Quanto al vostro ruolo, so che incontrate un limite, e vorrei capire, al riguardo, se tale limite sussista ancora - come denunciano il dottor Giraudo ed altri -, se sia superabile o se, in ipotesi, sia stato già superato. Infatti, quando concedete prestiti alle società sportive - ma anche ai comuni e agli enti locali -, non siete in condizioni di accettare, a garanzia del prestito, il bene, tant'è che chiedete altre garanzie, fideiussorie. Naturalmente, ciò complica molto la vicenda, al punto che il dottor Giraudo chiarì, in quel convegno in cui io e lei, presidente Valentini, eravamo presenti, che il vantaggio da voi reso in termini di tasso viene poi annullato dal costo della fideiussione. Le domando se sia così e come si possa eventualmente superare questo aspetto; mi sembrerebbe logico che, invece, si possa porre a garanzia
del mutuo ipotecario il bene senza dover fare affidamento su patrimoni personali o su altre operazioni bancarie.
Infine, le rivolgerei ancora alcune domande. Lei ha fatto un cenno ad una questione che per me riveste molta importanza. Vorrei chiarire definitivamente che nessuno, in questa sede, sta chiedendo che l'Istituto per il credito sportivo presti fideiussioni per società in fallimento; operazioni che credo, tra l'altro, non vi sarebbero neanche consentite, neppure se lo voleste. Personalmente, ad ogni modo, sarei contrario se lo faceste; perciò, scartiamo le ipotesi che sarebbero alquanto irreali e concentriamoci sugli aspetti seri.
Ebbene, sono d'accordo con lei quando suggerisce di intervenire prima che la società fallisca; la gran parte di queste società in difficoltà si trovano, a mio avviso, in una sorta di limbo, nel quale, pur in gravissime difficoltà finanziarie, tuttavia, con opportune iniziative, potrebbero ancora essere salvate. Ciò sarebbe molto meglio, consentendo di evitare che si arrivi ai vari lodi, con tutte le difficoltà conseguenti. Perciò, mi domando se, per tali specifiche società, siate «attrezzati», o potreste esserlo con opportune iniziative, per condurvi quasi come una merchant bank. Si tratterebbe di studiare i bilanci di queste società e, nel caso si registri che alcune possano essere salvate, intervenire, anche eventualmente attraverso l'utilizzo dell'istituto dell'amministrazione controllata. Voi potreste assumere un ruolo diretto di supporto a questo tipo di operazione?
Ricordo la previsione di cui all'articolo 90 della legge finanziaria per il 2003 sull'accesso al credito sportivo; previsione che adesso, tramite l'adozione di un regolamento, potrà acquisire effettività.
PRESIDENTE. Siamo già riusciti in ciò.
GIOVANNI LOLLI. In realtà, il Senato deve ancora votare il provvedimento; lo voterà martedì prossimo, ma siamo in dirittura d'arrivo. Ebbene, abbiamo dato la possibilità alle società sportive, persino a quelle non costituite in forma di SpA, di accedere al credito sportivo. Abbiamo anche inserito, in quel caso, la previsione di una misura specifica; mi chiedo, al riguardo, se lei la ritenga sufficiente, interessante e se essa già operi o, in ipotesi, come fare per renderla operante. Si tratterebbe di istituire un fondo di garanzia per quelle società che non avendo a disposizione, ovviamente, garanzie personali o proprietarie hanno però un progetto particolarmente interessante. Tale fondo di garanzia sarebbe alimentato con i premi non riscossi del gioco del Totocalcio.
Tale strumento sta funzionando? Può funzionare? A vostro avviso, ha bisogno di qualche ritocco?
PRESIDENTE. Darei, dunque, la parola al dottor Valentini per le repliche.
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Ho sentito spesso affermare che il sistema del calcio sarebbe un settore in crisi; l'aspetto principale da chiarire è che questo non è assolutamente vero. Ho con me i dati raccolti nella parte iniziale del nostro studio i quali ci danno una fotografia di ciò che oggi significa il settore. Una fotografia che dimostra con evidenza come esso non sia un settore in crisi: 4.200 milioni di euro di volume d'affari; 1.200 milioni di euro di contributi versati; 44 milioni di italiani interessati al calcio; 8 milioni frequentano abitualmente gli stadi; 20 milioni seguono il calcio sui giornali; 5,7 milioni leggono ogni giorno tre quotidiani sportivi; 25 milioni seguono il calcio in televisione o alla radio; 2,6 milioni assistono in media ad oltre 340 ore di telecronache calcistiche; le 25 trasmissioni televisive più viste nella storia dell'Auditel sono tutti incontri di calcio. Ciò significa che non si tratta di un settore in crisi; sono in crisi, probabilmente, l'organizzazione ed il sistema, il che costituisce un diverso aspetto.
Sulla base di tali premesse, si può approfondire il tema in quanto, se non è un settore in crisi, si può intervenire per risanare le situazioni.
Rispondendo, dunque, all'onorevole Lolli, noi già stiamo effettuando consulenze circa gli stadi in quanto siamo partiti dal campione Perugia per provare a elaborare una metodologia. Molto spesso succede che anche la buona volontà di enti locali e società calcistiche non basti. Abbiamo spesso verificato che gli enti locali ricorrono a convenzioni, concessioni o alla cessione dei diritti di superficie e come contropartita si chiedono delle superfici commerciali; ma questo non significa assolutamente niente. È necessario comprendere quali sono le superfici commerciali che in quel territorio, in quella parte della città, più interessano. Pertanto, in vista del progetto di Perugia abbiamo svolto un'indagine - tramite l'Abacus - simile a quella realizzata in Inghilterra prima della privatizzazione di 20 stadi. L'obiettivo è quello di intervenire negli altri giorni della settimana, prima dell'incontro, prevedendo delle attività che creino le condizioni per un maggior afflusso di spettatori. È inutile una licenza per una multisala in un'area dove, invece, sarebbe più utile, ad esempio, un centro congressi.
Nella realizzazione degli stadi sono quindi fondamentali sia la giusta metodologia sia il giusto approccio. In tal senso abbiamo sottolineato proprio la necessità di investimenti che diano alle società di calcio la possibilità di rimborsare le rate del finanziamento e conseguire un arricchimento economico. È opportuno quindi un investimento equilibrato, con la giusta metodologia e il giusto approccio ed avendo ben presenti alcuni elementi, come ad esempio la polivalenza degli stadi. Comunque di tutto ciò ci stiamo occupando tramite i nostri ingegneri, architetti e le società di consulenza.
Abbiamo introdotto queste modalità operative partendo da Perugia, ma sono già molti i comuni e le città che ci chiedono lo stesso tipo di supporto, proprio per evitare certi errori iniziali. Saprete benissimo, infatti, che per un comune è molto più complicato tornare indietro una volta che le licenze sono state concesse.
Sul meccanismo delle agevolazioni ribadisco quanto ho affermato prima. Forse per comprendere le dimensioni del problema è utile ricordare le cifre interessate: solo per l'impiantistica sportiva dello stadio Delle Alpi di Torino si parla di richieste pari a 130 milioni di euro. È chiaro che se, oltre alle richieste giunte da Torino, dovessero pervenirne di ulteriori - come in effetti sta avvenendo - il fondo contributi non sarà più sufficiente.
PRESIDENTE. Da dove provengono queste richieste?
ANDREA VALENTINI, Presidente dell'Istituto per il credito sportivo. Ad esempio dalla stessa città di Torino, e riguardano due stadi, poi da Empoli, Catania, e così via (stiamo verificando per Bologna e Messina); quindi non sono interessate soltanto società di serie A. Si è compreso, infatti, che l'unico modo per abbandonare il vecchio sistema del mecenate che si occupa di calcio e consentire l'ingresso di nuovi interlocutori economici nel settore è proprio questo: eseguire tali operazioni in modo trasparente. È chiaro poi che a supporto di tutto ciò appare indispensabile uno strumento quale un fondo contributi.
Sempre all'onorevole Lolli rispondo che forse il vero problema riscontrato negli anni '90 in occasione della realizzazione degli stadi è rappresentato dal non aver fatto ricorso ad agevolazioni sugli interessi, magari anche a tasso zero, bensì ad agevolazioni a fondo perduto. È chiaro che quando si ricorre a questo genere di operazioni è maggiore la tentazione, sia pur legittima, di realizzare comunque un impianto, senza tener conto delle conseguenze in termini di costi di gestione. Se invece si compie un'operazione agevolata, che sia anche a tasso zero (e in qualche caso ciò è possibile), si dà vita ad un meccanismo molto più solido di quello delle agevolazioni a fondo perduto. È proprio per questo motivo che concediamo agevolazioni laddove troviamo un interlocutore locale attento che si assume il compito di partecipare all'operazione; penso a regioni e province che intervengono
insieme al credito sportivo. È quindi possibile ottenere certi risultati anche senza fondi consistenti. È chiaro però che un intervento del legislatore nei confronti di questo meccanismo potrebbe risultare molto utile.
Sono amico del dottor Giraudo ed ogni qualvolta affrontiamo l'argomento del sistema delle garanzie ci scontriamo. Il credito sportivo non richiede fideiussioni, il credito sportivo è una banca, e come tale è sottoposto alla vigilanza della Banca d'Italia e non può concedere finanziamenti in assenza di adeguate garanzie. Quindi non è vero che non è possibile realizzare operazioni ipotecarie su uno stadio. Prima è necessario comprendere se quell'impianto sia di proprietà di chi chiede il finanziamento o se questi goda del diritto di superficie; in entrambi i casi si può ricorrere all'ipoteca, altrimenti è necessario l'intervento dell'ente proprietario dello stadio. Qualora il richiedente sia il proprietario dell'immobile, chiediamo - come garanzia - il valore commerciale. Nel caso, ad esempio, dello stadio Delle Alpi, potremmo concedere 130 milioni di euro, ma nel momento in cui la Juventus, per qualsiasi motivo, non dovesse più pagare le rate ci troveremmo nelle condizioni di dover vendere il Delle Alpi. Ma il valore commerciale del Delle Alpi non è adeguato a coprire i costi di questa operazione.
Chiediamo pertanto delle garanzie adeguate al tipo di finanziamento concesso, anche perché la nostra è l'unica banca che finanzia il cento per cento dell'operazione, compresa l'IVA. È evidente allora che le garanzie devono essere adeguate. Nel caso specifico, che - ricordo - interessa la Juventus, stiamo cercando una soluzione e la società probabilmente non dovrà ricorre ad una fideiussione bensì fornire come garanzia il suo piano commerciale in via di realizzazione.
Questo è il quadro generale del sistema delle garanzie; non va dimenticato che se una società chiede lo stesso finanziamento ad un'altra banca non credo possa ottenere le stesse cifre che otterrebbe dal credito sportivo, senza garanzie immobiliari che non siano lo stadio o il centro sportivo; in questo caso è necessario presentare garanzie immobiliari di altro tipo o magari altre garanzie reali. Il problema quindi riguarda il sistema nel suo complesso. Finché saremo una banca e finché vorremo che il patrimonio di questa rimanga intatto o sia incrementato dovremo agire secondo prudenza. Nel caso specifico del Delle Alpi una soluzione è possibile proprio perché la Juventus fornirà delle garanzie reali rappresentate dal centro commerciale ampliato. Grazie al nuovo statuto potremmo e vorremmo finanziare non soltanto l'impiantistica sportiva ma anche le attività di contorno, anche perché sono quelle che danno la possibilità di rimborsare le rate del finanziamento.
Vorrei ora rispondere alle osservazioni sulla condizione di limbo in cui ci troveremmo e sull'ipotesi di una nostra attività comparabile con quella di una merchant bank. Attualmente possiamo concedere soltanto finanziamenti di scopo, ma nel momento in cui il nostro statuto dovesse cambiare e la nostra diventerà una banca a tutti gli effetti, allora valuteremo il nostro interlocutore, il suo merito creditizio e se questi si è dotato di un progetto industriale - anche di risanamento - credibile. Allora anche questo soggetto - perché no - potrà intervenire; dipende dalla capacità dell'azienda banca di valutare il progetto e dalla capacità dell'interlocutore azienda calcistica di essere credibile.
Il fondo di garanzia non è stato ancora attivato; manca il relativo regolamento e quindi non siamo nelle condizioni di poterlo gestire. Ritengo che tale strumento sarà importante e utilissimo, non tanto per le società professionistiche quanto e soprattutto per le società dilettantistiche. Juventus, Milan, Inter, Lazio e Roma possono benissimo fornire garanzie di altro genere, le piccole società dilettantistiche invece incontrano molte più difficoltà. Quindi un fondo di garanzia di questo tipo diventa quasi indispensabile per realizzare determinate operazioni.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro interessante intervento e rinnovo
loro l'invito a fornirci ulteriore materiale documentale, importante per il prosieguo del nostro lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione. Sospendo la seduta, in attesa dell'inizio della prossima audizione, prevista per le ore 12.
La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle 12,10.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, l'audizione di rappresentanti della Juventus F.C., dell'A.C. ChievoVerona e dell'U.S. Lecce, che ringrazio per aver accettato l'invito.
Con la presenza dei diretti protagonisti, entriamo nel vivo dell'indagine conoscitiva. Esporrò brevemente i criteri seguiti per selezionare la presenza delle società di calcio. Abbiamo deciso di audire la Juventus, il ChievoVerona, il Lecce ed il Bologna (oggi assente per impegni del presidente Gazzoni, che sarà presente la prossima settimana) in quanto, non potendo ascoltare tutte le squadre di calcio professionistiche, abbiamo scelto la società più «blasonata», la più antica nella tifoseria italiana, quella più giovane, una società meridionale ed in buona salute sotto diversi punti di vista ed il presidente del Bologna che in tempi recenti si è reso, per così dire, visibile sul tema. Crediamo di aver compiuto una scelta che consenta di avere rappresentatività, un campione utile per l'indagine conoscitiva.
Mi preme di chiarire, anche in seguito a notizie circolate attraverso la stampa, che la sede attuale non è una Commissione di inchiesta, come qualcuno erroneamente ancora continua a definirla, ma un'indagine conoscitiva. Si tratta di uno strumento ordinario a disposizione delle Commissioni parlamentari per focalizzare un tema e, dopo aver audito i soggetti ad esso legati, concludere i lavori con un documento contenente anche indicazioni e raccomandazioni che possono essere fornite sia al legislatore sia ai soggetti interessati all'argomento.
Riteniamo possibile uscire da una logica di provvedimenti di emergenza soltanto se si riesce a delineare un quadro generale di riflessione. Non si tratta di svolgere un processo al mondo del calcio, ma, come ho ripetutamente detto, di formulare una richiesta di aiuto da parte del Parlamento al mondo del calcio per chiarire la situazione e ricambiare con il nostro lavoro l'ausilio che ci fornite nell'individuare gli aspetti più importanti.
Saluto il dottor Giraudo, amministratore delegato della Juventus F.C., il ragionier Campedelli, presidente dell'A.C. ChievoVerona, accompagnato dal dottor Bendoni, il dottor Fenucci, amministratore delegato dell'U.S. Lecce, e l'avvocato Moroni, vicepresidente dello stesso. Vi chiediamo di fornire suggerimenti sulle radici del malessere del settore calcistico, che per primi avvertite, e su eventuali interventi che possano essere presi in considerazione dal Parlamento o che voi autonomamente possiate mettere in essere. Vi do quindi la parola.
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. In primo luogo, ringrazio particolarmente il presidente della Commissione per un invito che ci rende orgogliosi sia come società sia personalmente sia come esponenti del mondo del calcio. Per noi, come per qualsiasi settore del paese, è particolarmente importante che la politica analizzi certe situazioni. Il nostro mondo è cresciuto moltissimo e merita particolare attenzione e riteniamo che la politica possa svolgere un ruolo importante per creare le condizioni di sviluppo del settore.
È noto che il calcio negli ultimi anni ha conosciuto trasformazioni fortissime, senza precedenti, a livello economico, legislativo, organizzativo e sociale. La prima è rappresentata dalla sentenza Bosman che ha cambiato completamente le nostre aziende, in quanto le ha di fatto private del patrimonio e, d'altra parte, ha spostato i valori di forza tra imprese ed atleti
dando maggior forza contrattuale a questi ultimi. Tutto ciò, con la concorrenza che si sviluppa a livello europeo, ma anche nazionale, e con la pressione dei media, ha portato ad una esplosione dei costi.
Vi è stata quindi la possibilità di trasformare le società calcistiche in società commerciali quotate in borsa. Permettetemi una parentesi. In questo periodo ho partecipato a convegni e letto molto sull'argomento e credo vi sia un aspetto da chiarire. La borsa non è un obbligo, ma un'opportunità, un modo di finanziare un progetto. In borsa in Europa vi sono circa ottanta società calcistiche e non sono tutte uguali. Poche tra queste hanno un progetto industriale vero e proprio e si sono rivolte al mercato per cercare finanziamenti e sviluppare il proprio progetto industriale. Hanno ottenuto risultati a livello di mercato, malgrado si tratti di periodi economici e finanziari estremamente particolari (derivati dai noti fatti, come gli attentati alle torri a New York, la SARS, la guerra in Iraq), subendo meno di altre società tali criticità.
Non saremmo mai entrati in borsa soltanto per quotare una società sportiva, perché ciò significherebbe vendere un pezzo di società o acquisire capitali per investimenti che potrebbero non avere un ritorno o averlo difficilmente. L'entrata in borsa ha rappresentato per la nostra società un aspetto molto importante perché ci ha permesso di avere capitali per sviluppare i nostri progetti. Inoltre, ci troviamo nel segmento Star, molto rigido dal punto di vista dei controlli, e ciò ha permesso un grosso salto di qualità a tutta la struttura aziendale. Oggi, chiunque lavora nella Juventus (in particolare nel settore amministrativo-finanziario) ha fatto un grosso salto di qualità comportamentale rispetto al momento precedente all'entrata in borsa nel modo di gestire l'azienda e nella trasparenza.
In questi anni vi è stata anche l'esplosione della televisione digitale, dei telefonini e dei computer e la grossa crisi dei concorsi pronostici. Nella nota inviataci dalla Commissione per la convocazione si scrive di «una progressiva flessione cui non sembrano estranee le nuove modalità di svolgimento frazionate nel tempo dei campionati professionistici». Non sono d'accordo. Penso che la crisi del settore dei giochi sia dovuta essenzialmente alla concorrenza che lo Stato ha realizzato attraverso lo sviluppo del Superenalotto, che non ha messo in crisi soltanto il Totocalcio, il Totogol ed altro ma anche la Tris, le scommesse su cui si basava il mondo dell'ippica. Un altro fatto importante è rappresentato dalla cosiddetta legge Melandri sulla riforma del CONI e delle federazioni.
Per riassumere, le trasformazioni importanti riguardanti il mondo del calcio sono state la sentenza Bosman, il passaggio a società a scopo di lucro, l'esplosione della televisione, la crisi dei concorsi pronostici e la legge di riforma del CONI e delle federazioni.
Abbiamo avuto altri ulteriori radicali cambiamenti, situazioni stravolgenti per il nostro mondo, come le nuove regole della FIFA sui trasferimenti internazionali dei calciatori, la fusione tra Stream e Telepiù e una riduzione - secondo noi molto particolare - degli investimenti della RAI nel mondo del calcio, che pur in assenza di un calo delle entrate complessivamente derivanti da canone e pubblicità ha tagliato in maniera forte gli investimenti nel settore.
Per quanto riguarda i business plan di Telepiù e Stream, il calcio si è fidato perché dietro vi erano una multinazionale francese, l'ex Generale des Eaux e quindi il gruppo Vivendi, azionista di controllo di Canal Plus, una delle più grosse televisioni a pagamento del mondo, e Telecom e Murdoch, il più grosso gruppo italiano di telecomunicazioni ed il numero uno al mondo nel settore dei media. È vero, loro hanno elaborato dei business plan che in seguito si sono rivelati sbagliati per una serie di motivi. Evidentemente hanno commesso errori gestionali; inoltre sono stati costretti ad operare in un paese in cui la pirateria risulta essere completamente fuori controllo, perlomeno per quanto riguarda gli anni passati.
Mi ha fatto molto piacere notare in alcuni convegni - ai quali ha partecipato anche l'onorevole Lolli - l'approccio rispettoso che si è tenuto nei confronti del mondo del calcio. Ciò è in contrasto con il comportamento tenuto dai media nei nostri confronti: infatti, a volte si parla di questo settore senza conoscerlo, o senza approfondirne i temi.
Vi è stato poi un momento di recessione causato dalla crisi di tutti i principali mercati di riferimento (concorsi pronostici, diritti TV e new media colpiti dalla bolla Internet). Si è anche verificato un calo del mercato della pubblicità non legato solamente al mondo del calcio; inoltre per quanto riguarda le biglietterie l'Italia è il paese europeo che ha gli stadi più obsoleti. Ciò non solo genera violenza, ma sostanzialmente non permette l'acquisizione di quei ricavi che hanno rilanciato gli altri mercati europei. Inoltre, esiste il cosiddetto trading dei calciatori, una voce che fa parte della caratteristica gestione del bilancio di una società di calcio.
Quando nelle altre aziende, negli altri settori di attività si muovono degli asset creando delle plusvalenze, sostanzialmente si tratta di partite straordinarie. Al contrario, nell'ambito del settore calcio, tali plusvalenze - secondo me - fanno parte della gestione caratteristica e ciò perché tutti gli anni le rose vengono modificate di cinque o sei giocatori; è questa la storia del calcio, a conoscenza di tutti coloro che seguono questo mondo. Con lo spostamento di cinque o sei giocatori si creano, inevitabilmente, delle plusvalenze e delle minusvalenze: non vi è dubbio. Inoltre, è certo anche che negli ultimi anni, a seguito della rincorsa forsennata alla competitività, si sono create delle plusvalenze attraverso lo scambio di giocatori a prezzi eccessivamente alti. Tali manovre però si sono pagate; infatti, incrementati i patrimoni, sono aumentati anche gli ammortamenti e, di conseguenza, si è arrivati all'approvazione da parte del Governo del provvedimento «spalma ammortamenti».
La crisi a livello europeo dei principali mercati di riferimento ha causato la diminuzione dei ricavi relativi alla Champions league perché, nel complesso, le televisioni europee in difficoltà hanno dato meno soldi alla UEFA e, di conseguenza, alle squadre di calcio.
Inoltre, secondo me, questa grande trasformazione avvenuta in pochissimi anni ha trovato in gran parte impreparata la classe dirigente facente capo alle società di calcio professionistiche, composta prevalentemente da appartenenti al mondo dello sport. Quindi, nonostante vi sia stato un ricambio generazionale, bisogna tenere conto del fatto che è ancora molto complicato gestire un'azienda calcistica nel suo complesso.
Vi è da dire inoltre che tempo fa, per quanto riguarda le scommesse, potevamo contare su un minimo garantito da parte del CONI, che però in seguito non ha mantenuto il suo impegno, tra l'altro non escutendo delle fideiussioni che avrebbe dovuto escutere. In questo modo ci è venuto a mancare del denaro che, per certi versi, faceva già parte del nostro budget, e tutto questo senza il venir meno di quella tassa di mutualità, di solidarietà che è la più alta in Europa e forse nel mondo.
Al riguardo, al termine del mio intervento consegnerò alla Commissione una tabella che servirà a chiarire, una volta per tutte, il problema della mutualità e dell'assistenzialismo che caratterizzano il mondo del calcio.
In ogni caso, noi rappresentiamo un settore molto importante: alcuni studi, infatti, ci dicono che il giro di affari si attesta attorno ai 6 miliardi di euro. Inoltre, i concorsi pronostici, in oltre cinquant'anni di storia, hanno permesso allo Stato di percepire, a valori attualizzati, circa 13 miliardi e mezzo di euro e al CONI (comprese tutte le federazioni sportive) 12 miliardi di euro.
Parte di queste cifre sono state ottenute utilizzando «gratuitamente» i nostri marchi; in questa ottica, si è creato un patrimonio del credito sportivo - che, ad oggi, vale circa un miliardo di euro - al quale, stranamente, noi non possiamo attingere. Ad esempio, se io come amministratore delegato della Juventus sto per iniziare la costruzione di un centro sportivo e di un
nuovo stadio, debbo sperare di trovare un accordo con la società per concludere un contratto di leasing. Se una società come la Juventus si rivolge al credito sportivo per costruire un nuovo stadio da 130-150 milioni di euro, deve rilasciare una fideiussione pari al valore dell'intero importo finanziato. Siccome però la nostra società ha dei bilanci che, più o meno, rispecchiano quei valori, non credo si sia in grado di rilasciare una fideiussione di importo pari al fatturato che riusciamo ad ottenere: credo che ciò non sia alla portata di nessuna azienda al mondo. Tutto ciò si verifica nonostante il gratuito contributo che noi abbiamo dato alla formazione di questo patrimonio e nonostante il credito sportivo si occupi dello sviluppo delle attrezzature sportive in Italia.
Oltretutto, in altri paesi (Inghilterra, Germania, Portogallo) lo sviluppo degli stadi e delle attività connesse ha permesso da un lato di ottenere dei fondamentali ricavi diversificati e dall'altro di combattere la violenza.
PRESIDENTE. Mi perdoni se la interrompo, ma poco fa il presidente dell'Istituto per il credito sportivo ci ha detto che avevate raggiunto un accordo.
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. No, non abbiamo raggiunto nessun accordo e a questo punto penso che dovremmo rivolgere la nostra attenzione verso un classico mutuo ipotecario.
La battaglia che sto portando avanti è importantissima, soprattutto perché l'Italia sta promuovendo la costruzione di grandi opere e conta di dar lavoro a molte persone attraverso, ad esempio, la candidatura - promossa dalla Federazione - del nostro paese per gli europei del 2012.
Non voglio parlare delle tasse che abbiamo dovuto pagare in tutti questi anni ed è chiaro che, ad oggi, qualche società sia in ritardo con i pagamenti. Questo non è giusto, anche se credo che il nostro settore debba essere sottoposto alle stesse identiche condizioni degli altri comparti produttivi italiani. Coloro che hanno sbagliato debbono pagare poiché, in caso contrario, si creerebbe una doppia disparità nei confronti degli altri settori e di coloro che hanno correttamente operato.
Il problema principale, che pesa sul risanamento, è dato dal costo dei calciatori; in ogni caso, il nostro settore si differenzia dagli altri proprio per quanto concerne i costi. I costi del mondo del calcio durano la media dei contratti che sono in essere e tale media è di circa tre anni. Per quanto riguarda la serie A, 24 mesi fa i contratti ammontavano a circa 900 milioni di euro, 12 mesi fa a 750 milioni di euro ed oggi siamo a 670 milioni di euro. Quindi, da un lato, il monte ingaggi della serie A sta diminuendo e, dall'altro, sono venuti meno certi valori di mercato di qualche anno fa.
GIOVANNI LOLLI. Invece, per completezza, purtroppo la serie B...
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. Purtroppo, la serie B è un problema, nel senso che è passata da 180 a 235 milioni di euro. Tuttavia, credo di poter parlare di una società di vertice e, quindi, soprattutto della serie A. Il fatto che il mercato si sia fermato ci ha creato dei problemi di trading ma, dall'altro lato, i valori sono crollati e in quest'ottica anche per il futuro avremo un abbassamento degli ammortamenti. La nostra società non ha usufruito dello «spalma ammortamenti» e, quindi, avremo sicuramente due o tre anni «difficili». Comunque, avremo un crollo degli ammortamenti e, se non reinvestiremo a determinate cifre, avremo abbassato, da un lato, gli ammortamenti e, dall'altro, gli stipendi: quindi, nel giro di tre anni il costo dei calciatori migliorerà significativamente.
La diversificazione dei ricavi è stata fondamentale per gli altri paesi e, quindi, deve esserlo anche per noi. Per quanto riguarda la ristrutturazione degli stadi attraverso il credito sportivo, forse non esiste una cultura ad analizzare certi investimenti al di là del mondo del calcio e in tutto ciò la classe dirigente può essere
aiutata in un discorso di progettualità. Inoltre, sussiste il recupero di competitività per quanto riguarda il regime fiscale, che in Italia è sicuramente tra i più pesanti. Il nostro calcio professionistico vuole essere competitivo a livello europeo, ma rispetto ai club inglesi abbiamo il 34 per cento in più di tasse ed è tantissimo. Uno studio promosso da Ernst & Young e dalla FIFPRO, cioè l'associazione dei calciatori a livello europeo, rivela che su 13 paesi siamo i terz'ultimi: quindi siamo in una situazione fiscale tra le più pesanti che ci siano.
Con un documento che vorrei distribuire cercherò di spiegare la questione tasse-mutualità per il calcio di vertice, discorso che vale per tutte le squadre di vertice. Il nostro compito è di eccellere in Italia, ma anche di essere competitivi a livello europeo. Voglio partire dal sistema fiscale italiano perché oggi il dibattito sui diritti televisivi è diventato quasi demagogico e, quindi, bisogna capire bene la situazione. Le nostre società producono una serie di ricavi; ma quale quota viene destinata ad un sistema assistenziale, tanto dello sport quanto del calcio? Si tratta della tassa di solidarietà più alta in termini assoluti in Europa. Per quanto riguarda i giochi delle scommesse, si utilizzano i nostri marchi ma non prendiamo una lira. Infatti, i ricavati dovrebbero essere di due tipi: uno per l'utilizzo del marchio, che è zero, e l'altro delle quote da ripartire, che vanno a finanziare la Federazione.
Oggi in Germania e in Inghilterra ai club che danno i giocatori alla nazionale viene riconosciuta una quota, ma comunque la nazionale - che ha il vantaggio di avere tutti i ricavi di un club dal punto di vista pubblicistico (sponsorizzazioni, ricavi televisivi e quant'altro) - non ha costi perché questi sono sostenuti dalle squadre di vertice. Quindi, dalla nazionale, che produce una delle due voci su cui si fonda il bilancio della Federazione, alle squadre di vertice vengono date zero lire. Dopodiché, dalla partecipazione alla Champions league, al campionato europeo, al campionato mondiale e alla Toyota cup - cui, normalmente, prendono parte le squadre di vertice - vengono ristornate delle quote che vanno a finire alla Federazione e alla Lega: questi soldi non vanno mai alle squadre di vertice, cioè quelle che producono questi tipi di ricavi.
Il nostro campionato ha uno sponsor e mi pare che la TIM paghi 10-12 milioni di euro l'anno: anche di questi soldi non arriva nulla alle squadre di vertice. Inoltre, per quanto riguarda lo stadio, sul ricavato della biglietteria si dà il 18 per cento alla squadra ospite, mentre sulla televisione c'è un discorso in chiaro e in criptato, cioè in pay. Il discorso in chiaro lo vendiamo collettivamente (coppa Italia, gli highligt, Novantesimo minuto, Quelli che il calcio) e di questi soldi dati dalla RAI non arriva nulla alle squadre di vertice. Invece, dei contratti televisivi che facciamo in maniera soggettiva, cioè quelli pay-tv, diamo alle squadre ospiti il 18 per cento. Tutto ciò per dire che i diritti televisivi sono uno degli assets che tutte le squadre hanno a livello europeo. Il dibattito svoltosi in questo periodo riguardava se fosse giusto venderli collettivamente o soggettivamente. Molte volte si fa riferimento al modello inglese. Sono d'accordo con tale modello, ma significa recuperare tutti questi ricavi e, poi, dividere i diritti televisivi al 50 per cento in parti uguali, al 25 per cento in funzione della meritocrazia in classifica e al 25 per cento in funzione del numero di partite disputate in notturna (ad esempio, la nostra squadra è quella che ne gioca di più e non si è avvantaggiati da tutto ciò).
La situazione italiana è, comunque, molto anomala perché abbiamo la Lega di serie A e B insieme e tale configurazione esiste solo da noi. In Spagna le squadre, pur essendo nella stessa Lega, sono abbastanza autonome; comunque, ognuno si tiene tutto perché non si dà il 18 per cento alla squadra ospite e neanche una lira alla serie B. Quindi, nel mondo vi sono vari modelli e bisogna ragionare su quello più conveniente. In questi anni abbiamo venduto collettivamente i diritti in chiaro, il cui importo è passato da 100 milioni di euro a circa 65 milioni di euro.
Infatti, con 42 squadre è molto difficile ragionare perché le idee sono diverse e, a volte, al fatto puramente economico della vendita subentra quello politico, come è successo negli anni passati: a mio avviso, la vendita collettiva ha prodotto dei disastri da un punto di vista economico. La vendita soggettiva ha portato dei vantaggi perché abbiamo perlomeno aumentato o mantenuto i ricavi degli ultimi anni, malgrado le televisioni siano andate in crisi.
Inoltre, vorrei sfatare alcuni concetti. Sembra che in Italia il delta del fatturato tra la squadra più piccola e quella più grande sia più accentuato. Sostanzialmente, nel campionato 1989-90, prima dell'avvento delle televisioni e della trasformazione in società a scopo di lucro, il rapporto fra il Milan e l'Ascoli, la società di serie A con il fatturato minore, era di 8 a 1. Nel campionato 2001-2002 il rapporto fra la Juventus ed il Piacenza è stato di circa 10 a 1, mentre lo scorso anno il rapporto tra società con il fatturato maggiore e società con il fatturato minore è stato di 12 a 1. Tale confronto va però sfrondato dai ricavi della Champions league, visto che la Juventus lo scorso anno è giunta sino alla finale: togliendo tali ricavi, il rapporto scende a 9 a 1. In Inghilterra, dove vi è il rapporto più basso tra il fatturato della prima società e quello dell'ultima, il delta è di circa 6 a 1.
GIOVANNI LOLLI. I dati dell'Inghilterra sono comprensivi dei ricavi della Champions league?
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. Sono al netto dei ricavi della Champions league. In Spagna tra il Real Madrid e l'Osasuna il delta è di circa 17 a 1, mentre in Germania fra il Bayer Monaco ed il San Pauli il delta è di 26 a 1. Questo per dire che pur avendo una mutualità assurda, assente invece in tutti questi paesi, noi siamo un paese in cui non vi è grande differenza tra piccoli e grandi.
Il ragionamento, però, non va limitato soltanto ai diritti televisivi, perché prima della televisione esistevano già gli stadi. In questo momento, a livello di entrate da botteghino, la Roma incassa più di tutti, tre volte gli incassi della Juventus e dodici volte gli incassi della società di serie A con il minor pubblico. Se confrontiamo gli incassi da stadio al netto della quota del 18 per cento dovuta alla squadra ospite e gli incassi netti da televisione, possiamo constatare come la Juventus sia la squadra che ricava i maggiori introiti dalla televisione, nove volte gli incassi del Piacenza, mentre a livello di stadio è la Roma, che rispetto al Piacenza ha incassi dieci volte superiori. Se mettiamo insieme i ricavi da televisione e da stadio vediamo che la squadra ad incassare di più è l'Inter, con un rapporto nei confronti del Piacenza di circa 8 a 1. Se poi inseriamo il discorso della mutualità vediamo che il rapporto tra i vari introiti netti si riduce a 5 a 1. Questi dati, presi dai bilanci e raffrontati tra loro, possono essere tranquillamente forniti dalla Lega calcio. Vi prego di tenerli presente, altrimenti si parla sempre di una singola entrata perdendo di vista il risultato globale.
Se noi dovessimo ragionare sul numero dei tifosi o sulle quote di mercato, allora dovremmo stipulare un contratto televisivo completamente diverso. La Juventus ha 14 milioni di tifosi in Italia, la Roma ne ha 3, mentre il Lecce non raggiunge il milione, quindi noi dovremmo avere un contratto televisivo pari a 4 volte quello della Roma e a 14 volte quello del Lecce.
Ciò che auspico è la definizione, come Lega calcio, di un nuovo accordo collettivo di lavoro. Non vanno però dimenticati i calciatori dilettanti; mi auguro che la proposta di legge attualmente in discussione in Parlamento possa essere varata al più presto.
PRESIDENTE. La Camera l'ha già licenziata e martedì dovrebbe essere votata in Senato.
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. Nell'ambito di questo accordo collettivo qualcuno vuole mettere insieme le situazioni delle serie A, B e C. Ora, è diversa la situazione di un
giocatore che guadagna 50 o 100 mila euro all'anno rispetto a quella di coloro che guadagnano 4 o 5 milioni di euro netti. Tenete presente che in Italia il numero delle squadre professionistiche è la somma delle squadre professionistiche di Spagna, Francia e Germania. In Italia le squadre professionistiche sono 142, mentre in Germania sono 36, sulla stessa base dilettantistica. In Inghilterra le squadre professionistiche sono 90, poco più della metà delle nostre. Qualcosa non funziona.
Per rimettere in sesto il nostro sistema calcistico occorrerebbe implementare le regole amministrative, finanziarie e gestionali; partiti quest'anno con l'applicazione delle direttive UEFA, è fondamentale introdurre normative di questo genere e farle rispettare, qualsiasi squadra si tocchi, senza cadere nel ricatto sociale, anche perché si è già visto tante volte che squadre importanti sono state penalizzate senza che nulla accadesse. In Inghilterra una squadra che dovesse ritrovarsi sotto amministrazione controllata viene penalizzata con nove punti in meno, proprio perché non ha rispettato le regole finanziarie ed amministrative.
Vi è poi la necessità di valorizzare ulteriormente i marchi; la contraffazione e la pirateria devono essere combattute applicando le leggi esistenti. Dobbiamo rilanciare i concorsi pronostici rivitalizzandoli.
Mi auguro che il Governo intervenga non in maniera assistenziale, ma fornendo incentivi allo sviluppo, imponendo l'applicazione delle corrette regole gestionali. Per diventare competitivi a livello europeo occorre una armonizzazione del regime fiscale, in particolare eliminando l'IRAP che per le squadre di calcio è disastrosa in quanto il costo del lavoro per noi incide in maniera molto più alta che per le altre società. Auspico inoltre che il Governo ci fornisca un aiuto nell'adottare un quadro finanziario normativo nuovo per lo sviluppo dell'impiantistica sportiva.
Un altro punto è rappresentato da una decisa lotta alla contraffazione, alla pirateria e al toto nero e, complessivamente, dal rilancio dei giochi; credo che in questo senso debba intervenire il Governo, con attenzione verso le audizioni e il documento finale che produrrete e senza prendere misure di emergenza. Misure che noi non vogliamo; chiediamo, piuttosto, politiche di sostegno allo sviluppo e chiediamo che si vigili affinché gli operatori rispettino le regole. Il mondo del calcio deve rispettarle per quanto ad esso compete; la legge n. 91 del 1981 stabilisce che la Covisoc ha il solo compito di verificare che una squadra inizi e finisca il campionato nel senso che deve garantire che i campionati inizino e finiscano. Fino ad oggi, ciò è accaduto nel mondo del calcio; mi auguro, perciò, che per fare rispettare le regole che riguardano le società calcistiche, come quelle commerciali in genere, intervengano le istituzioni preposte in tutta Italia: la Consob, la Guardia di finanza, le procure della Repubblica, i tribunali, tutte le autorità preposte ad assicurare il rispetto del codice civile.
LUCA CAMPEDELLI, Presidente dell'A. C. ChievoVerona. Signor presidente, desidero innanzitutto ringraziare la Commissione per aver chiesto anche il nostro contributo. Devo riconoscere che il dottor Giraudo ha già espresso molte importanti considerazioni. L'unico aspetto che vorrei evidenziare è il seguente. Nel campionato di serie A, per quanto riguarda i giochi-scommesse, oltre alle società di prima fascia, non ricevono introiti neppure quelle di seconda e terza (giustamente, a mio avviso, essi vanno destinati in toto alla serie B per ragioni di mutualità). Analogamente avviene per la nazionale: ho la fortuna di poter dare un giocatore alla nazionale e ne sono orgoglioso; ma anche in ciò non abbiamo alcun guadagno.
Fatta questa breve premessa, vengo al tema concernente i diritti televisivi; quest'anno veniamo da un'esperienza imprenditoriale un po' particolare, Gioco Calcio. La legge n. 78 del 1999 stabilisce tetti del 60 e del 40 per cento; è una legge giusta pur se, a mio avviso, sicuramente perfezionabile. Nel caso di un unico operatore, la previsione normativa consente che questi possa prendere tutti i diritti ma, nell'eventualità
ve ne fossero due - penso, infatti, a Sky -, la possibilità che uno possa avere il 60 per cento in esclusiva ed il restante 40 per cento non in esclusiva metterebbe in difficoltà qualunque altro operatore. Non ha senso che, ad esempio, Gioco Calcio prenda il 40 per cento delle società di calcio di serie A, ma non in esclusiva. Ciò equivarrebbe a distruggere una pay TV; quindi, il 60 per cento dev'essere un vincolo perentorio: il 60 per cento e basta. Non possono, per così dire, esserci scappatoie; nella interpretazione «peggiorativa» della disposizione, infatti, una piattaforma può prendere il 60 per cento in esclusiva ed il 40 per cento non in esclusiva. Al riguardo, noi attualmente siamo in fase di trattativa con l'operatore Sky e, stranamente, pur avendo la possibilità di ottenere l'esclusiva, tuttavia ci hanno proposto un contratto non in esclusiva, con l'eventuale pagamento dell'esclusiva di fatto a fine anno. Ciò, per quanto riguarda i bilanci della mia società, comporta un problema non indifferente.
Dovrebbero essere recati dalla normativa termini più precisi per l'intervento dell'Antitrust, dell'Agicom e di tutte le strutture atte ad operare nel settore; altrimenti, ad esempio, se l'Antitrust fosse interpellata oggi circa una decisione, atteso che il campionato ha inizio in agosto, l'autorità, non avendo termini per pronunciarsi, potrebbe farlo a fine anno, quando ormai non sarebbe più di alcuna utilità il suo intervento. Dovrebbero essere previsti termini precisi, possibilmente anche assai stringenti; infatti, vi è una data che non è oltrepassabile, il 30 giugno. L'eventuale nuova televisione, dovendo impostare una campagna pubblicitaria, avrebbe 15 giorni di tempo; atteso che gran parte degli abbonamenti si stipulano nei mesi di luglio, agosto e settembre, se l'Antitrust o l'Agicom non intervengono tempestivamente, creano problemi non indifferenti alle società.
Ciò per quanto riguarda il fronte televisivo. Per quanto concerne poi il discorso IRPEF, noi - parlo a nome del Chievo - veniamo da un paio d'anni piuttosto tribolati, dovuti non tanto, a mio avviso, ad una scarsa capacità imprenditoriale, quanto alla conduzione non professionistica dei bilanci da parte di altre società. Penso ai disastrosi rapporti del ChievoVerona con la Lazio nei contratti Luciano (ex Eriberto) e Manfredini. A fronte di 46 miliardi di lire di introiti persi, l'equo indennizzo è stato stabilito in un milione di euro; di contro, abbiamo dovuto pagare 6 milioni di euro al Bologna. Mi risulta che la Lazio stia ancora giocando in serie A e, quindi, è venuta meno una sorta di controllo reale da parte della Covisoc o di chi doveva controllare.
Ciò ha fatto sì che prendessimo una decisione a tutti nota; è iscritta a bilancio. Quest'anno stiamo pagando regolarmente l'IRPEF senza alcun problema e tuttavia abbiamo l'onere di questo vecchio debito. Ciò è dovuto ad un comportamento non virtuoso da parte delle altre squadre; di conseguenza, ci troviamo in una difficoltà oggettiva determinata da altre attività. Poi, si può anche cercare di ridurre al minimo gli stipendi; però, ad un certo punto, se si fa affidamento su un certo tipo di budget da accessioni - e noi siamo una società che tipicamente deve vendere i propri giocatori -, ci si trova in seria difficoltà. In più, so che il Parma calcio ha ottenuto l'amministrazione controllata; non so, però, come si applicherà la legge Prodi-bis perché, se non sbaglio, tale normativa (di recente modificata dalla cosiddetta legge Prodi-ter) prevede la cancellazione di tutti i debiti della società. A questo punto, affronterò il prossimo campionato dovendo onorare tutti i miei debiti mentre un'altra società non dovrà farlo. Dunque, poiché una società è quotata in borsa, io, che non ho possibilità di quotarmi a mia volta, non godo di tali vantaggi? Ritengo che ciò non sia né equilibrato né giusto. Spero di sbagliarmi; in merito la Lega non ha ancora risposto. Devo anche dire che quelli di Milan, Juve e Inter dal punto di vista televisivo sono dei contratti straordinari ed avrei piacere di poterli visionare e studiare. Anzi, approfitto per chiedere ufficialmente al dottor Giraudo di fornircene copia, magari senza le cifre.
ANTONIO GIRAUDO. Amministratore delegato della Juventus F.C. Certo, anche con le cifre. Colgo l'occasione per precisare che purtroppo non si tratta di contratti eccezionali, le cifre che comportano sono ridotte rispetto al precedente accordo, quello sì effettivamente definibile «eccezionale». Credo dovremo resistere nelle condizioni attuali per altri due o tre anni; la verità è che se Sky si consolida, superando i tre milioni di abbonati, se il sistema a banda larga continua a rafforzarsi e se il digitale terrestre e il sistema di telefonia mobile daranno i risultati sperati, il nostro settore avrà a disposizione svariati canali di distribuzione; e se allora si realizzerà un prodotto di qualità tutti ne gioveranno.
LUCA CAMPEDELLI, Presidente dell'A.C. ChievoVerona. Sul tema della valorizzazione dell'attività sportiva giovanile, sottolineo che il ChievoVerona svolge un'attività di tipo prettamente sociale, senza finalità agonistiche. Questo avviene grazie a 52 società affiliate, alle quali forniamo tra l'altro un servizio che prevede l'addestramento degli allenatori, dello staff medico e dei massaggiatori, nonché una consulenza assicurativa, fiscale e organizzativa. Come unica contropartita chiediamo che i bambini vestano la nostra divisa; inoltre, ogni anno organizziamo degli eventi a carattere festoso. Sottolineo che pretendiamo non vi sia alcun elemento agonistico, che quindi non avvenga alcuna selezione. Sono attività aperte a ragazzi di entrambi i sessi, ma purtroppo ciò non sempre è possibile a causa di limiti riguardanti la mancanza di strutture adeguate, in particolare di spogliatoi distinti.
Svolgiamo questa attività sportiva giovanile, che definirei sociale, sostituendoci per certi versi allo Stato. Riteniamo sia giusto farlo, è un qualcosa di dovuto, soprattutto nell'ambito del territorio. Le società a noi affiliate, oltre che in quella di Verona, sono distribuite nelle provincie di Brescia, Trento, Napoli ed in Sicilia. Ad esse, lo ripeto, forniamo un supporto reale, non ci limitiamo a cedere semplicemente il nostro marchio. Cerchiamo di essere all'altezza di questo servizio anche se, purtroppo, non otteniamo aiuti da parte dello Stato. Sarebbe opportuno valorizzare queste società e fornire loro degli aiuti, anche in considerazione della loro attività prettamente sociale, senza alcun scopo di lucro. Ritengo che il calcio debba fare anche questo.
Per quanto riguarda le modalità di intervento per la prevenzione degli episodi di violenza, ritengo opportuno ricordare che i nostri stadi ormai sono vecchi e scomodi e ciò purtroppo favorisce tali episodi. L'unico intervento che ritengo possibile è il rifacimento degli impianti; per questo sarebbe opportuna una maggiore velocità di approvazione dei relativi progetti rispetto a quelli di altre opere (sempre che il piano regolatore lo consenta). Per far rendere economicamente uno stadio occorre costruire un piccolo centro commerciale, piuttosto che unità abitative o servizi, magari con altre attività di contorno, come ad esempio un parco ricreativo, da cedere possibilmente alla collettività. Ritengo che ciò sia fondamentale per chi opera nell'ambito calcistico.
Auspico al contempo una maggior facilità nell'accesso a fondi o a finanziamenti, magari con un percorso privilegiato rispetto ad altri operatori. Nessuno chiede delle forme di assistenzialismo, ma quantomeno delle agevolazioni nell'accesso ai finanziamenti, creando le condizioni per poterli poi restituire. Nessuno pretende finanziamenti a fondo perduto. Certo è difficile operare in presenza sia di un regime autorizzatorio particolarmente lungo, sia di difficoltà nell'accesso a forme di credito particolari. Queste oggettivamente sono condizioni di difficoltà per le nostre società.
Il Chievo non è destinato a restare in serie A in eterno; né so se fra dieci o quindici anni le società di calcio di Verona saranno ancora a certi livelli. Forse è più facile che ciò avvenga a Torino; oggettivamente nella nostra città si riscontrano maggiori difficoltà. Se riusciremo ad intervenire subito forse contribuiremo a realizzare nuove strutture.
Un altro aspetto su cui si deve intervenire nella gestione degli stadi sono le barriere. Nonostante le preveda una legge dello Stato, a mio avviso la situazione attuale è un qualcosa di illogico, direi quasi da paese barbaro. In Inghilterra, in occasione di un derby tra Birmingham City ed Aston Villa, dopo che il portiere del Birmingham ha subito un goal in modo un po' sciocco, un tifoso è entrato in campo scavalcando i cartelloni pubblicitari (l'unica barriera presente), ha sbeffeggiato il portiere ed è tornato indietro. In Italia magari questo episodio sarebbe stato considerato simpatico; in Inghilterra quel tifoso è stato condannato a quattro mesi di reclusione (senza poter usufruire di sconti) e a sette anni di interdizione dagli stadi.
Sarebbe auspicabile in Italia un intervento politico che magari conceda maggior forza agli organi di polizia, che negli stadi operano ogni volta in situazioni di tensione e rischio continui. Forse la tifoseria della nostra squadra non crea particolari problemi, a parte i normali cori di derisione. Certo, è allucinante che chi danneggia una macchina venga arrestato e chi, invece, lo fa insieme ad altri tifosi non subisca alcuna misura. Ho vissuto personalmente questa esperienza sulla mia vettura. Equiparare questi due reati sarebbe anche un modo per ridurre la violenza, magari unitamente alla realizzazione di stadi più comodi.
Ricordo un esempio: i servizi igienici dello stadio «Bentegodi» erano praticamente distrutti; da quando li abbiamo fatti risistemare i tifosi non li hanno più danneggiati, forse perché hanno capito che quelle strutture rappresentavano una comodità per loro stessi. Più gli stadi sono comodi e dotati di servizi, minore è la possibilità che insorgano dei problemi. Certo, alcuni striscioni o bandiere, i fumogeni e i petardi devono sparire dagli stadi. Effettivamente è difficile realizzare controlli persona per persona, come verificatosi in occasione dell'incontro Milan-Roma, dove è stato necessario controllare settemila tifosi romanisti. Bisogna però fare in modo che non si possano più portare all'interno degli stadi certi oggetti. In Inghilterra ci sono riusciti e non penso che in Italia siamo meno bravi degli inglesi. In Spagna non si vede più un fumogeno da qualche anno. Le bandiere sono certamente belle e fanno folclore, però le aste creano problemi. In Inghilterra riescono a fare un tifo eccezionale anche senza bandiere, fumogeni e tamburi. Dovremo, inoltre, arrivare ad una risistemazione degli stadi. Non è possibile avere stadi così obsoleti; alcuni di nuova costruzione sono già vecchi.
Per quanto riguarda la connessione tra le attività della Federazione italiana gioco calcio ed il Comitato olimpico nazionale, la situazione è difficile perché la legge Melandri ci ha creato problemi.
In merito agli anticipi ed ai posticipi ed al settore dei giochi, ritengo che il Totocalcio abbia aiutato lo sviluppo del Superenalotto abituando l'italiano medio a giocare. Dobbiamo cercare di dare nuovo vigore ai giochi e non credo che il problema sia solo quello degli anticipi e dei posticipi.
CLAUDIO FENUCCI, Amministratore delegato dell'U.S. Lecce. Anche da parte nostra vi ringraziamo per l'invito. Pensiamo che l'interesse al mondo del calcio da parte della politica possa aiutarci a trovare risposte e soluzioni che al nostro interno abbiamo faticato a ricercare, perché - come ha già detto il dottor Giraudo - il mondo del calcio professionistico è variegato, composto da società che hanno problematiche ed interessi diversi, solo in parte comuni.
La situazione del nostro club è in parte emblematica. Siamo da circa otto anni alla guida della società; abbiamo vissuto il periodo il cui la squadra si trovava in serie C e siamo diventati una cosiddetta squadra ascensore (il prossimo sarà il sesto campionato in serie A). Ci sono note le problematiche che il club può incontrare nelle retrocessioni e promozioni. Abbiamo dovuto far fronte con ingenti risorse finanziarie a perdite di esercizio generate dalla totale assenza di una visione economica nell'organizzazione del calcio.
È indubbio che questo settore sia in crisi. Il dottor Giraudo ha svolto un'esposizione perfetta e brillante indicando le cause e le situazioni che hanno originato tale crisi, compresi passaggi normativi e fattori economici. È sufficiente pensare che nel 1996, prima della rivoluzione dei diritti televisivi, il calcio aveva un margine operativo positivo intorno ai 30 milioni di euro, mentre dopo l'incremento dei ricavi avvenuto oggi ha una perdita operativa di circa 350 milioni. Ciò per effetto di un principale dato (oltre a quelli macroeconomici indicati dal dottor Giraudo) cioè il fatto che il calcio non è stato in grado di controllare le proprie spese. L'errore è stato questo.
Abbiamo speso troppo perché le società di calcio sono particolari. La mission di queste società non sempre è produrre valori per gli azionisti (come potrebbe essere per una società quotata in borsa che deve ottimizzare i risultati sportivi alla produzione di valore per gli azionisti), ma produrre risultati sportivi, essere competitivi in campo. Ciò in un mondo privo di regole, dove le regole preesistenti sono state progressivamente smontate anche per effetto di interventi normativi, ha creato conseguenze devastanti.
La mancata organizzazione economica del calcio a livello centrale, l'eccesso di liberismo, ha comportato soprattutto nei piccoli e medi club conseguenze gravose in termini economici. Talune regole proposte, come ad esempio la limitazione alla spesa salariale in percentuale al fatturato, non nascevano soltanto dall'esigenza di contenere il costo del lavoro, ma dall'evitare che eccessi di spesa potessero influenzare in generale il mercato.
Il calcio è strutturato in maniera verticistica, soprattutto per quanto riguarda la divisione dei ricavi. È una strutturazione in parte giusta. Il fatto che la Juventus abbia sei o sette volte i ricavi del Lecce è motivato dai problemi di competizione europea che la portano a confrontarsi su un terreno diverso con un mercato diverso. Sono, però, anormali i gap esistenti tra serie A e B che minano la sopravvivenza di una società. Una retrocessione (come si evince dalle statistiche della Lega) determina in media una caduta dei ricavi del 40 per cento. Negli ultimi anni le società retrocesse hanno addirittura aumentato i costi di circa il 6 per cento. L'impatto sui conti economici è devastante. Nessuna azienda può permettersi un calo del fatturato da un anno all'altro del 50 per cento con una struttura di costi rigidi. Una volta si compensava la diminuzione dei ricavi attraverso i cosiddetti trasferimenti dei calciatori, la cessione dei diritti delle prestazioni dei calciatori, che finanziava mediamente il 40 per cento del deficit finanziario della serie B. La serie A, cioè, trasferiva alla serie B, con una sorta di mutualità indiretta, risorse che servivano a coprire quasi la metà del deficit finanziario. Oggi questa voce è scomparsa per effetto del cambiamento delle politiche dei grandi club conseguente ad una maggiore attenzione ai conti economici. Per la serie B si aprono prospettive finanziarie incerte, considerando che si tratta di una categoria con ricavi per circa 200 milioni di euro e costi aziendali per 350 milioni. Il problema deve essere affrontato globalmente.
Per quanto riguarda la distribuzione dei ricavi in serie A, tutti saremmo favorevoli a raggiungere una maggiore uniformità. Competere con club che hanno risorse troppo elevate rispetto alle nostre sarebbe difficile. Dovrebbe essere interesse generale avere un campionato il più possibile competitivo. Il Lecce non potrà aspirare ad arrivare in Champions league né a vincere il campionato. Vi sono però molti club che da una strutturazione dei diritti televisivi così diversa possono essere spostati a margine, come dimostra la crisi delle società romane. Anche squadre come la Fiorentina, il Palermo possono essere sfavorite dall'attuale distribuzione dei ricavi nella serie A.
Quello italiano è certamente uno dei sistemi mutualistici più importanti, ma bisogna fare alcune considerazioni sul danno prodotto dalla vendita soggettiva, in primo luogo se danno vi è stato. Il dottor Giraudo ha dimostrato che con la vendita collettiva dei diritti in chiaro abbiamo
incassato di meno - è un fatto -, però dobbiamo considerare il dato che la domanda dei consumatori si sta spostando per avere il calcio criptato e non acquistare i diritti in chiaro, che hanno perso valore. Per questo motivo sono diminuiti, non per la vendita collettiva. Consideriamo sport strutturalmente diversi dal nostro - e quindi da prendere con il beneficio dell'inventario - come quelli americani: la vendita è collettiva, la distribuzione mutualistica particolarmente marcata e le società con una distribuzione dei proventi più omogenea riescono a produrre interessanti «ritorni». Esistono anche negli Stati Uniti società quotate, come il Boston Celtics. Non vi sono correlazioni tra essere proprietari dei propri diritti ed essere quotati in borsa.
La vendita soggettiva non incide solo sui ricavi ma anche sul format. Abbiamo venduto tutto il calcio in televisione. Sono l'ultimo a poterne parlare, ma secondo me è stato un errore madornale. Consideriamo, ad esempio, l'Inghilterra: in questo paese non si trasmettono partite in diretta con eventi nello stadio.
Questo significa aver massacrato tutto il calcio di serie B, ormai ghettizzato, confinato. Inoltre, anche noi veniamo aggrediti dallo spettacolo televisivo che fa concorrenza al nostro bacino d'utenza; ad esempio, se in televisione viene trasmesso il match tra Juventus e Milan, probabilmente gli stadi rimangono più vuoti. Quindi, se è vero che lo stadio rappresenta l'ultima frontiera alla quale ci dobbiamo rivolgere per espandere dei ricavi in un settore che ormai sembra maturo, credo che dovremmo recuperare un po' di capacità propositiva in questo senso.
Intendo dire che non si tratta solo di un problema di ricavi - la distribuzione in serie A può essere migliorata -, ma può esistere anche una difficoltà legata al format dell'offerta che è stata lasciata alla libera negoziazione delle parti: si è venduto tutto quello che si poteva vendere.
È ovvio, quindi, che in questo sistema le squadre medio-piccole hanno pagato un prezzo derivante dalla mancanza di progettualità che non può essere espressa per un difetto di democrazia. Infatti, è difficile mettere d'accordo società tanto diverse tra loro; riguardo a ciò, concordo anche con il dottor Giraudo che ha parlato di non adeguatezza del management che gestisce il settore calcio, nonostante si siano registrati negli ultimi anni dei segnali di miglioramento.
Probabilmente, l'assenza totale di regole, o comunque il loro parziale smembramento, ha causato alle nostre società dei danni economici. Prima della riforma, qualsiasi indebitamento delle società di calcio doveva essere autorizzato dalla Covisoc: noi non potevamo ottenere una linea di fido senza la sua autorizzazione. Avendo già operato nel settore bancario e possedendo un po' di dimestichezza relativamente alle questioni finanziarie, siamo stati tra i primi club ad emettere un prestito obbligazionario convertibile. Ci siamo trovati a discutere per un anno con la Covisoc circa l'opportunità, la possibilità di addivenire a questa emissione poiché vi era un controllo molto vincolante.
Il passaggio da un sistema misto (civilistico e sportivo) ad un sistema nell'ambito del quale l'aspetto civilistico ha preso il sopravvento, ovviamente ha creato molti problemi. Ad esempio, la Covisoc si è trovata a dover garantire la regolarità dei vari tornei solo in base al campionato; ciò è da considerarsi un errore, perché una società può avere le risorse per portare avanti un campionato ma, allo stesso tempo, è in grado di prendere impegni che non può mantenere in futuro. In molti casi, ad esempio, si sono fatte delle scommesse azzardate o si è sperato che il cosiddetto trading players risolvesse i problemi a fine anno. Quest'ultimo è un altro errore visto che, effettivamente, questa voce ha assunto una dimensione troppo rilevante rispetto al fatturato strutturale delle società.
Nel settore calcio è mancata una progettualità a livello centrale; non so se ciò, in parte, sia stato voluto o se si sia trattato di una necessità, una conseguenza degli eventi esterni succedutisi in questi anni.
La situazione della serie B è drammatica; inoltre, poiché non si riesce a coprire
parte dei deficit attraverso la cessione dei calciatori a causa del blocco relativo al mercato dei trasferimenti, a fine anno emergeranno all'interno di questa categoria delle situazioni veramente preoccupanti. Va quindi ridisegnato il ruolo della serie B, ad esempio facendo in modo che quest'ultima possa vendere i propri diritti, magari evitando che le partite vengano trasmesse in contemporanea con quelle della serie A.
Inoltre, va ridisegnato anche il ruolo della serie A rispettando, al contempo, le esigenze dei grandi club. Ovviamente, noi in serie A soffriamo di una redistribuzione dell'onere della mutualità che, secondo noi, è inefficiente. Considerate, infatti, che la responsabilità circa i soldi destinati alla serie B è da dividere in parti uguali tra le squadre di serie A. È vero tutto ciò che il dottor Giraudo ha detto circa la mutualità complessiva generata dal settore calcio, soprattutto attraverso le società di vertice. Sicuramente vi è la possibilità di distribuire in modo più efficiente le risorse a disposizione; probabilmente si dovranno ridurre i flussi di trasferimento dalla serie B, attribuendo però a quest'ultima categoria una maggiore visibilità.
Il settore del calcio sembra ormai essere maturo al taglio del costo del lavoro; tra l'altro, uno dei provvedimenti contemplati nel progetto di riforma riguardava le rose fisse e mirava a creare un eccesso di offerta.
In questo momento sembra che gli stadi rappresentino ormai la soluzione di tutti i problemi. In alcuni contesti - in questo il sud verrà penalizzato rispetto al nord - la costruzione di uno stadio polifunzionale legato al tessuto industriale del territorio può rappresentare, effettivamente, un motore di sviluppo; in ogni caso, al sud ciò è difficile da realizzare. Noi siamo stati fra i primi a rivolgerci ai Loyd's di Londra - che, tra l'altro, si sono occupati anche della ristrutturazione dello stadio di Wembley -, i cui rappresentanti ci hanno già detto che la costruzione di uno stadio a Lecce, data la sua condizione socio-economica, sarebbe poco profittevole. Infatti, se non si trovano aziende disposte ad investire nello stadio, quest'ultimo è destinato a divenire una bellissima cattedrale nel deserto.
I progetti inglesi relativi agli stadi hanno ad oggetto l'ampliamento della capienza: in Inghilterra, infatti, vi è un tasso di presenza del pubblico alle partite del 92-93 per cento circa. In Italia, invece, le capacità degli stadi dovrebbero essere ridotte, perché il nostro tasso di occupazione sfiora appena il 60 per cento.
MARIO MORONI, Vicepresidente dell'U.S Lecce. Ormai seguo il mondo del calcio da dieci anni e debbo dire che il nostro è un prototipo di società - totalmente rivisto - che nasce dalla serie C. Siccome abbiamo una deformazione professionale a seguire e rispettare le regole, gestiamo il calcio seguendo gli stessi criteri vigenti nelle altre società.
Tuttavia, essendo cresciuti nel mondo del calcio, abbiamo constatato che quella di rispettare le regole non è una prerogativa di tutte le società e ciò ha conseguenze rilevanti, perché se una società paga l'IRPEF e l'altra no si altera la competizione sportiva. Ringrazio, comunque, dell'opportunità che ci date, perché il paese aveva bisogno di questa indagine conoscitiva anche prima ed ora essa è stata avviata nel momento più critico della storia del calcio. A volte, il calcio viene trattato in modo superficiale, quasi disinformando l'utenza: probabilmente, il Parlamento è lo specchio della superficialità con cui, a volte, vengono trattati tali temi.
Per la verità, anche in Lega siamo stati superficiali o colpevoli nel non avere affrontato radicalmente la crisi di questi anni. Condivido la diagnosi del dottor Giraudo sulle cause del malessere del nostro calcio ma, quando la progettualità si è manifestata, non è stata presa in considerazione perché probabilmente al nostro interno ci sono delle eterogeneità. Queste ultime non ci hanno consentito di affrontare e di risolvere i grandi mali del calcio, non per l'assenza di professionalità in grado di individuare i problemi ma perché in una situazione di deregulation si tende ad analizzare il proprio problema e
non quello del sistema. Non dobbiamo evidenziare i nostri problemi di Lega, ma dobbiamo fornirvi gli elementi per poter comprendere a fondo i punti su cui potete meglio intervenire non in modo assistenziale, in un settore che, comunque, coinvolge occupazione ed interessi di milioni e milioni di cittadini italiani.
Lo scorso anno avevamo realizzato un progetto di riforma consapevoli che, ormai, si stava per toccare il fondo e il consiglio di Lega aveva deliberato all'unanimità che alcuni grandi temi venissero risolti in via negoziale dall'esterno, perché sono questioni che, il più delle volte, competono al Parlamento e al credito sportivo. Tali argomenti sono già stati illustrati da Antonio Giraudo. Si tratta innanzitutto della definizione del nuovo accordo collettivo di lavoro professionistico (lo stiamo negoziando in questi mesi con l'AIC) e della riforma dell'Istituto per il credito sportivo, con il suo coinvolgimento nel processo di privatizzazione degli stadi. Questo è un problema importante perché abbiamo contribuito a creare delle fonti di ricavo per il credito sportivo e, quindi, riteniamo giusto che il calcio possa avere dallo stesso delle sovvenzioni e degli aiuti sulla realizzazione degli stadi, che possono esser anche non grandissimi come quello Delle Alpi, ma più adeguati ai nostri giorni. Si tratta altresì dell'inasprimento delle norme sulla violenza negli stadi (materia che rientra maggiormente nella vostra competenza) e del varo di un pacchetto di riforme fiscali in grado di ridare competitività al sistema. Si tratta, infine, della modernizzazione dei concorsi pronostici, dell'ampliamento del mercato delle scommesse sportive - che dovrebbero dare fonti di ricavo al calcio - e della tutela dei marchi, un problema che avvertiamo perché, al di là delle diverse fonti di ricavo, sulle bancarelle dello stadio vediamo contraffazioni incredibili senza che nessuno mai si preoccupi di applicare le leggi.
Non dobbiamo evidenziare i motivi dei nostri contrasti e le divergenze delle nostre opinioni, ma, oltre che avervi fornito degli argomenti importanti per il vostro lavoro, vi chiediamo di venirci incontro con ciò che è di vostra pertinenza. Dopodiché, al nostro interno dovremmo trovare una difficile unità di intenti, perché non è possibile che in questa sede si possano affrontare questi argomenti e, invece, nella Lega non si possa discutere dell'introduzione di principi per un progetto di riforma, che è stato varato all'unanimità dal suo consiglio. Infatti, si disse di rappresentare i problemi per grandi linee, in modo da stimolare la conversazione e il dibattito, ma ciò non è stato possibile perché, probabilmente, i tempi non erano maturi. Adesso auspichiamo che tale dibattito all'interno della Lega si svolga e a voi spetterà la realizzazione di politiche per lo sviluppo, perché si tragga linfa da un'istituzione che non può non essere presente attivamente nel nostro mondo.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.
ANTONIO RUSCONI. Innanzitutto, ringrazio per l'autorevolezza degli interventi ed inoltre apprezzo il taglio del discorso, cioè la negazione di nuove sanatorie. Si è parlato della sentenza Bosman, ma probabilmente la sua portata rivoluzionaria è stata sottovalutata, soprattutto per il futuro aspetto patrimoniale delle società. Comunque, in questo paese il calcio è una realtà troppo importante e, quindi, occorre trovare delle soluzioni. Ho molta simpatia per il Chievo, per come ha gestito il parco giocatori negli ultimi anni e per le sue capacità manageriali; tuttavia, i dati riportati dalla stampa parlavano per il Chievo di 24 milioni di euro di entrate per il 2003 e di 21 milioni di euro di ingaggi; per il Lecce il rapporto era 14/15 e per la Sampdoria addirittura 13/25: quindi, il monte ingaggi era il 170 per cento delle entrate.
Mi chiedo se non sia opportuno, allora, pensare ad un sistema simile al salary cap già introdotto nella NBA americana, dove il limite massimo è del 60 per cento, obbligando le squadre a far rientrare il monte degli ingaggi all'interno di questo limite in tempi certi.
Durante le audizioni svolte ci siamo soffermati anche sullo stato giuridico dei calciatori, innescando tra l'altro una piccola polemica con l'AIC. Soprattutto in riferimento alla serie A ci è sembrato che la presenza costante di procuratori non consenta più di parlare di lavoro dipendente riguardo l'impiego dei calciatori, che a tutti gli effetti sembrano ormai dei lavoratori autonomi. Ciò aiuterebbe anche a risolvere in parte il problema dell'IRPEF; infatti una delle stranezze del calcio è che per i calciatori si continua a parlare di stipendi netti, cosa che riteniamo una anomalia fuori luogo, poiché qualsiasi prestazione, autonoma o dipendente che sia, riceve un compenso che viene poi assoggettato alle ritenute previdenziali e fiscali. Abbiamo sollevato il problema se non sia il caso ormai di parlare di rapporto professionistico di lavoro autonomo per certe categorie di calciatori, il che comporterebbe anche una ridefinizione degli oneri delle società calcistiche.
Sono d'accordo sul fatto che occorrano norme rigide e serie, per cui sarebbe bene che alcune squadre al prossimo mercato possano soltanto vendere i giocatori e non acquistarli. Sono un tifoso della Fiorentina e la situazione debitoria di questa squadra nel 2002 non mi sembrava peggiore di quella della Lazio, ma sappiamo tutti come poi è andata a finire.
Ho valutato negativamente l'accordo raggiunto la scorsa settimana dalle principali squadre di serie A sui diritti televisivi, perché impoverisce notevolmente la capacità contrattuale di tutte le altre società. Si tratta di un problema che secondo noi meritava maggiore attenzione soprattutto da parte della presidenza della Lega calcio.
Sono d'accordo anche sul fatto che le società professionistiche di calcio in Italia siano troppe: bisogna ridurle ripristinando la vecchia logica dei semiprofessionisti con l'obbligo di impiego dei giocatori italiani.
Anche noi siamo perplessi sulla funzione dell'Istituto per il credito sportivo, perché se chiede garanzie come tutte le altre banche non comprendiamo cosa lo differenzi da esse, a cosa serva e perché le società sportive debbano rivolgersi esclusivamente a questo istituto.
A mio parere sulla gestione diretta degli stadi potrebbe essere opportuna una iniziativa legislativa con un finanziamento finalizzato anche ad una diversa gestione delle società sportive.
GIOVANNI LOLLI. Ringrazio anch'io gli auditi per aver ben compreso lo spirito del nostro incontro: cercare di contribuire a determinare le condizioni affinché questo sistema torni in equilibrio e, soprattutto, si possa sviluppare. Auspichiamo che questo sistema di imprese, con tutto ciò che consegue in termini culturali, di spettacolo e di immagine, possa ampliarsi senza essere penalizzato. Dobbiamo stabilire una serie di misure che proporremo al Parlamento per quanto riguarda la parte legislativa, ma anche a voi per quanto riguarda la parte operativa sotto la vostra responsabilità.
Quanto da voi detto sul sistema di regole, di controllo e sul sistema delle sanzioni ha rafforzato convinzioni che in parte noi già avevamo maturato. Sono d'accordo con il dottor Giraudo sul fatto che la sanzione più pesante sia sicuramente quella in termini di punteggio.
Ascolto sempre con grande piacere ed arricchimento personale le argomentazioni del dottor Giraudo; debbo dire però che alcune di esse non mi hanno convinto. In maniera molto brillante ci è stato spiegato che in questa situazione occorre ragionare in termini progettuali. Ritengo che lo sforzo che tutti voi dovreste fare è di realizzare un progetto del sistema calcio; ognuno di voi in seguito potrà farsi il progetto per la sua azienda, ma le due cose debbono avere una relazione tra di loro, perché solo se funziona tutto il sistema vi è un vantaggio per le singole aziende. Non bisogna pensare alla collaborazione tra grandi e piccole società come ad una forma di assistenza, ma come ad una forma di equilibrio che consenta di vendere meglio il sistema. Le possibilità di vendere meglio i diritti di una grande società dipendono anche dal
fatto che l'intero pacchetto del campionato sia appetibile.
A mio parere, anche la partecipazione dei giocatori alle partite della nazionale rappresenta un volano per gli interessi delle singole società, perché immagino che un giocatore convocato in nazionale possa aumentare il proprio valore.
La vendita collettiva dei diritti è auspicabile, perché con questa voce si creano degli squilibri notevoli. Nelle affermazioni del dottor Giraudo vedo una contraddizione al riguardo che gradirei mi venisse chiarita. Da una parte, infatti, ci è stato spiegato che in realtà questo squilibrio non dipende dai diritti televisivi, dall'altra ci viene detto che esiste l'esigenza di diversificare le entrate in quanto la quota maggiore proviene proprio da questi ultimi.
Nell'audizione che abbiamo avuto con i rappresentanti di Sky ci è stato comunicato che il budget stanziato per il calcio rimarrà nei prossimi anni intorno ai 400 milioni di euro. Se 240 milioni di euro sono stati promessi soltanto a tre squadre (Inter, Milan e Juventus) a partire dal 2005, ciò vuol dire che a tutte le altre restano all'incirca 150 milioni di euro. Obiettivamente, questo mi sembra uno squilibrio molto forte.
Il dottor Giraudo ci ha ricordato come la vendita collettiva dei diritti per le trasmissioni in chiaro sia stata un disastro per le squadre di calcio. Tuttavia a noi ci è stata riferita una cosa diversa dalla RAI, nella persona del dottor Maffei, il quale ci ha detto che i diritti per le trasmissioni in chiaro sono calati e caleranno ancora di più, perché, non essendo regolato correttamente l'intero sistema, oggi i diritti in chiaro valgono pochissimo in quanto sono stati svalutati dal modo in cui sono stati venduti i diritti delle trasmissioni criptate. Le chiedo, quindi, se non si debba riconsiderare tale sistema nel suo insieme al fine di rimetterlo in equilibrio.
Il dottor Fenucci ha poi portato un argomento che condivido molto. Peraltro, l'assenza di regolamentazione finisce per incidere negativamente sulla possibilità di diversificare i ricavi, per esempio i guadagni derivanti dagli ingressi agli stadi; quindi, vi è un problema di quanto e quando si debbano vendere questi diritti, e solo una vendita collettiva, a mio avviso, li può adeguatamente regolare. Inoltre, la vendita collettiva può fare quanto si fa in altri paesi, dove, essendo limitato il numero di eventi che si vendono, si lascia spazio per esempio alla possibilità che la serie B non debba vivere solo della solidarietà della serie A, ma possa avere una propria autonoma rete.
Un'altra questione concerne il Totocalcio e gli altri ricavi; al riguardo, vi è una responsabilità che si pone a livello di chi, come voi, partecipa autorevolmente al sistema sportivo italiano. Il Superenalotto, cui giustamente addebitate parte della responsabilità della crisi del settore, era del CONI, che lo ha mantenuto per tanti anni senza saperlo gestire. Dopo, si è dovuta bandire una gara europea; spero che, come imprenditori, riconosciate che le gare si fanno: è arrivato un privato che ha fatto un'offerta tre volte migliore; ma perché il CONI non ha saputo gestirlo? Come il sistema sportivo gestisce tali vicende? D'altro canto, all'esempio da lei menzionato posso rispondere con un altro esempio; il sistema sportivo italiano è stata messo da anni in condizioni di poter effettuare l'offerta on line delle schedine, un altro dei sistemi con cui si poteva intervenire. Sapete che, proprio questa mattina, sono in corso ispezioni all'interno di alcune società da parte dei carabinieri; infatti, sta ripetendosi il problema del totoscommesse. Quindi, anche tale ambito andrebbe regolato con il contributo di tutti. Suggeriteci, dunque, qualche indicazione su come si potrebbe disciplinare meglio la materia, anziché limitarsi all'acredine verso un imprenditore che, semplicemente vincendo una gara, ha potuto meglio utilizzare un prodotto dello sport. Quando abbiamo tali strumenti, utilizziamoli meglio.
Quanto allo stadio, il dottor Valentini nel corso della precedente audizione ha riferito che non è vero che l'Istituto per il credito sportivo non possa effettuare mutui ipotecari; possono essere concessi ma,
siccome il bene sul quale si iscrive l'ipoteca - ha fatto proprio l'esempio dello stadio Delle Alpi perché è l'unico esistente al momento - non copre il valore dei 130 milioni di euro, lo si può accettare come bene ipotecario nuovo ma occorrono comunque altre garanzie. Egli ha aggiunto di non poter fare diversamente. Quindi, vi invito a formulare proposte di riforma di questo strumento.
Tra l'altro, è stata avanzata una proposta dal dottor Valentini: si potrebbe adottare una legge sulla falsariga di quella varata, in altri settori, per i progetti obiettivo. Come Parlamento, possiamo introdurre disposizioni agevolative per permettere la privatizzazione o, più semplicemente, come ha fatto la Juventus, la cessione del diritto di superficie degli stadi; in tal senso, sarebbe gradito un vostro contributo.
Abbiamo svolto un'audizione durante la quale si è sostenuto che il modo nel quale la Juventus ha prodotto alcune plusvalenze di carattere immobiliare sarebbe stato certamente poco trasparente, anche se non illegittimo (nessuno, francamente, ha potuto sostenere quest'ultima tesi). Le è certamente noto l'episodio cui mi riferisco; un'operazione che ritengo dovremmo conoscere bene in quanto potrebbe, forse, essere ripetuta. Mi riferisco alla società Campi di Vinovo, che avete venduto a 37 milioni di euro avendola acquistata due anni prima al prezzo, invece, di 4 milioni 800 mila euro. Gradirei ricevere da lei taluni chiarimenti in proposito.
Abbiamo audito anche la Consob, la quale ha riferito che l'esperienza della quotazione in borsa delle tre società è stata negativa. Ci riferisca qualcosa in merito.
Infine - e vorrei in questa sede utilizzare anche la presenza del dottor Bendoni -, avanzate qualche proposta. Personalmente, sono d'accordo sul discorso circa la legge n. 78 del 1999 che stabilisce i limiti del 60 e del 40 per cento. La ritengo una legge che non ha funzionato bene; introdotta per apprestare l'antitrust, ha finito per determinare una situazione di monopolio assoluto. Quali eventuali modifiche ritenete si debbano introdurre per migliorare la situazione?
PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri ospiti per le repliche, vorrei svolgere anch'io qualche considerazione e rivolgere agli auditi alcune domande. Anzitutto, però, desidero fare una premessa, anche sulla base di quanto ora riferiva l'onorevole Lolli. La Commissione gradirebbe - e sarebbe assai utile per i nostri lavori - se da parte vostra pervenissero alcuni paper contenenti specifiche proposte. Ovviamente, proposte pensate dal vostro punto di vista e tenendo presente l'insieme del sistema; ciò ci aiuterebbe nello stesura del documento finale. Siete i primi interlocutori ai quali chiediamo un tale aiuto in questa forma; infatti, siete i protagonisti delle vicende in esame ed acquisire il vostro contributo gioverebbe notevolmente al nostro lavoro.
Vorrei poi rivolgere una domanda al dottor Giraudo, che ha riferito di non avere nulla contro il sistema inglese; ma, allora, il ragionamento deve essere esteso anche ad altre voci, specificate nella tabella consegnataci. Questa è forse una risposta alle obiezioni circa i diritti soggettivi; al riguardo, lei indicherebbe, in grandi linee (non pretendo ovviamente uno studio accurato), come potrebbe verificarsi un ampliamento di un sistema collettivo o misto (quello inglese, ad esempio, è un sistema misto) alle voci delle quali in questa sede lei ha precisato come concorrano per un ammontare pari a zero ai ricavi dei club?
Mi rivolgo poi a tutti i nostri ospiti con la seguente questione. So bene che l'eterna discussione sui probabili o possibili o eventuali play off è inficiata dalla circostanza che già, in base ai calendari, si gioca un numero di partite spropositato. Ma - domanda forse un po' naif -, nell'ipotesi vi fosse una riforma di tale tipo, non si potrebbe pensare a diritti televisivi collettivi per la fase del campionato e soggettivi per la fase dei play off ?
Inoltre, per voi, collocare le partite di serie B in un altro orario potrebbe favorire
- circostanza richiamata soprattutto dal dottor Fenucci - lo sviluppo di quel campionato e, quindi, lo sviluppo societario?
Un'ultima suggestione, che manifesto per conoscere la vostra opinione in merito, specie se qualcuno dovesse avere condotto particolari studi al riguardo o se, comunque, l'idea dovesse apparirvi meritevole, è la seguente. Intervengo sulle voci di ricavo, venendo all'argomento della crisi delle scommesse e tralasciando, invece, il tema degli stadi. Tema, quest'ultimo, per affrontare il quale confidiamo anche nelle vostre proposte; il Parlamento, infatti, potrebbe effettivamente varare provvedimenti che favoriscano il raggiungimento dell'obbiettivo di stadi polifunzionali e, peraltro, più sicuri, come ricordava il ragionier Campedelli. Quanto alle scommesse, in nessuna delle audizioni sinora svolte abbiamo ricevuto alcuna indicazione su come rivitalizzare tale settore. A mio modo di vedere, invece, si tratta di un aspetto essenziale per ottenere nuovi ricavi. La crisi nasce da diversi fattori; è stato richiamato l'Enalotto; a tale riguardo, sicuramente condivido quanto detto dal dottor Giraudo. A mio avviso, si tratta di una componente essenziale della crisi delle scommesse; però incidono anche gli orari delle partite e la disaffezione al vecchio sistema. Quest'ultimo, infatti, con la televisione è mutato, sicché anche l'avvento della TV ha rappresentato uno degli elementi di crisi indiretta del sistema delle scommesse: è mutato il rapporto del singolo con l'evento.
Dunque, se la mia analisi fosse vera, occorrerebbe realizzare un sistema di scommesse legato alle televisioni; per esemplificare, si potrebbe avere come modello quello offerto da trasmissioni a scopo di beneficenza come Telethon. Con lo stesso sistema - quindi, in un sistema mediale rinnovato -, si potrebbe così scommettere anche solo un euro sul risultato della partita cui si sta assistendo. Su questa base - vi chiedo ancora perdono per l'ingenuità del suggerimento, ma altri più esperti di me potrebbero poi perfezionarlo -, ad un sistema legato ad una schedina giocata il venerdì o il sabato in attesa del risultato domenicale si potrebbe affiancare un sistema immediato di scommesse legato alla interattività dell'evento. Per esempio questo ragionamento sarebbe più in linea con l'attuale tipologia di utente televisivo. Inoltre, abbassando i costi si può ottenere a mio avviso un incremento dei risultati. È soltanto una possibilità ma è necessario, anche per noi, iniziare a vagliare queste proposte.
La nostra indagine si concluderà entro 20 giorni circa; è quindi ancora possibile, sia per i nostri ospiti sia per gli esperti del settore, avanzare dei suggerimenti in tal senso, che costituirebbero un utile apporto al nostro lavoro. Credo che la rivitalizzazione del settore delle scommesse rappresenti sicuramente una fonte possibile di ricavi.
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus. F.C. Ha ragione l'onorevole Rusconi quando sostiene che il calcio nel suo complesso ha sottovalutato la sentenza Bosman e, aggiungo, non ha saputo gestirne le conseguenze. Non aver saputo affrontare quella novità ha comportato, negli anni tra il 1993 ed il 1996, una notevole perdita di patrimonio. Ciò non è dipeso solo dalla perdita di potere contrattuale. Né l'intervento o meno di un procuratore sposta di molto la sostanza della questione. La verità è che oggi comanda il calciatore, non la società. Questo è fuori di dubbio; e tutto ciò è stato sicuramente sottovalutato.
Rispondo ora all'ipotesi di un monte ingaggi, da fissare nel 60 per cento del totale degli introiti. Preciso anzitutto che ho fatto parte di una apposita commissione per lo studio di possibili soluzioni, e tra le proposte esaminate c'era anche quella di un tetto al monte ingaggi. Ma una tale misura dovrebbe essere l'obiettivo comune di tutti gli amministratori, senza che lo imponga qualcuno. La Juventus, ad esempio, si è data l'obiettivo di raggiungere entro tre anni un valore del 60 per cento del monte ingaggi, compresi gli ammortamenti. Certo, il Manchester ha raggiunto un valore intorno al 42-43 per
cento, ma paga circa il 35 per cento in meno di tasse! Sarebbe quindi necessaria un'armonizzazione fiscale; certamente vanno posti degli obiettivi, ma si deve anche tentare di rientrare nei parametri europei.
Sulla vicenda dello status dei calciatori, aggiungo che non so se la formula giusta sia il ricorso alla figura di lavoratore autonomo. Forse sarebbe più adeguato istituire una nuova figura. È però difficile ipotizzare di conseguire un risparmio da tali misure. Il problema poi non va affrontato solo in Italia ma anche a livello europeo. In tutta Europa i calciatori sono dei lavoratori dipendenti, certo con situazioni diverse. Ad esempio, in Olanda o in Spagna il regime fiscale è diverso ed oltretutto è anche differenziato per i calciatori stranieri, il cui ingaggio comporta un minor aggravio fiscale. Un dirigente di una società olandese mi ha ricordato che se ingaggia un giocatore non olandese paga il 25 per cento in tasse, se invece ingaggia un giocatore olandese paga il 50 per cento. Non so se sia giusto o sbagliato, ma è con ciò che dobbiamo confrontarci.
Tutti auspichiamo norme più rigide e serie; sarebbe opportuno che oltre alle penalizzazioni economiche vi fossero anche penalizzazioni sportive, perché sono le uniche che danno dei risultati. Alcuni presidenti continuano ad investire dissennatamente, senza ottenere ricavi e con scarse possibilità di vittoria; non so, forse sono impazziti per la pressione della piazza, della stampa oppure per amor proprio e orgoglio, chissà... Certo è che se sapessero di rischiare anche delle penalizzazioni economiche forse oggi avremmo qualche imprenditore fallito in meno e delle società più sane. E aggiungo che, forse, le altre società non si sarebbero dovute sbilanciare altrettanto, in nome di una concorrenza sportiva inverosimile. Sono quindi necessarie norme rigide, serie e puntuali, e che vengano fatte rispettare. Noi auspichiamo che vi sia un controllo rigidissimo di questi aspetti, non solo da parte delle autorità sportive.
Sul numero delle squadre professionistiche credo sia inopportuno intervenire dirigisticamente e stabilire d'ufficio quale sia il numero ottimale di squadre professionistiche. Ricordo che le società professionistiche in Germania sono 36 a fronte delle 140 circa in Italia. In precedenza sono stati citati gli Stati Uniti. Va ricordato che in America vi sono 4 sport principali: basket, baseball, hockey su ghiaccio e football americano. In tutti gli Stati Uniti, includendo alcune squadre di hockey su ghiaccio canadesi che partecipano ai campionati statunitensi, le squadre professionistiche sono 100. Da noi solo per il calcio se ne contano circa 140! Non è quindi possibile stabilire il loro numero a priori. Credo sarebbe sufficiente far rispettare delle norme precise: se qualcuno fallisce, è giusto che sia così allora, deve fallire e basta! Forse in Italia lo sport vive a un livello che non può permettersi: mancano adeguate forze economiche, non vi è un numero sufficiente di imprenditori, di ricchezza, di televisioni in grado di pagare certe cifre e di sponsorizzazioni tali da consentire un così alto numero di società professionistiche! Allora forse il loro numero si ridurrà fisiologicamente, ma ciò deve avvenire facendo rispettare le regole, non prestabilendo un numero fisso di società professionistiche, che sia 30, 40 o 50 non importa.
In materia di credito sportivo ritengo vi sia una situazione assurda. È chiaro che se acquistiamo dai comuni degli stadi obsoleti, sotto forma di diritti di superficie o con altre modalità, poi dovremo anche ristrutturarli. Per la cessione del diritto di superficie dello stadio di Torino abbiamo pagato al comune 25 milioni di euro, per ristrutturarlo ne spenderemo altri 130; ma è improponibile dover ricorrere ad una fideiussione per tali lavori. E se lo è per la Juventus, che ha un certo fatturato, figuriamoci per le altre società.
Siccome si cita sempre l'esempio inglese, ricordo che in Inghilterra, di fronte al problema di stadi fatiscenti come i nostri e di diversi episodi di violenza, si è deciso di intervenire con delle leggi. In Inghilterra chi commette un atto criminoso subisce pene severe e queste vengono fatte rispettare. Non dimentichiamo che in
Italia si sa sempre chi sono gli autori di questi atti di violenza. Per la ristrutturazione degli stadi poi, sempre in Inghilterra venne predisposta la nota legge Taylor ed è stato concesso un finanziamento a fondo perduto per il 30 per cento della spesa mentre il resto veniva coperto da un mutuo ventennale ad un tasso dell'1 per cento. In questo modo si è rilanciato il calcio in Inghilterra ed analoghe misure sono state adottate sia in Germania in occasione dei mondiali del 2006, sia in Portogallo per gli europei di quest'anno. Per far ciò da noi si dovrebbe attingere al credito sportivo, che - lo preciso - è stato creato attraverso l'utilizzo di nostri marchi!
L'accordo a tre per la cessione dei diritti televisivi, raggiunto da Juventus, Milan ed Inter, può essere considerato giusto o sbagliato: noi non potevamo fare altrimenti! Come azienda abbiamo delle responsabilità. So che è in corso un dibattito sulla vendita soggettiva dei diritti televisivi; personalmente non sono d'accordo per diversi motivi. Insieme all'avvocato Moroni abbiamo pensato una serie di regole per questo settore, passate al vaglio del consiglio di Lega ma che non siamo neanche riusciti a far discutere in ambito Lega. Pensate allora quali discussioni sarebbero necessarie per stabilire come ripartire tra le varie società i fondi incamerati a seguito di una vendita collettiva dei diritti televisivi. Era quindi doveroso per noi concludere quel contratto, anche per la prevista anticipazione di parte del pagamento. Se così non fosse avvenuto, nel mese di giugno ci saremmo trovati con una gravissima situazione finanziaria, dovendo decidere immediatamente un aumento di capitale. Il rischio era di non poter più pagare stipendi e versamenti IRPEF. Siamo abituati ad effettuare questi pagamenti mensili puntualmente, e l'unica possibilità per continuare a farlo era stipulare quel contratto. Il fatto che il primo anno abbiamo stipulato un contratto leggermente inferiore a quello dell'anno successivo, con ricavi quasi piatti nei prossimi tre, ma non in diminuzione di circa il 30 per cento, come inizialmente aveva proposto Sky, fa sì che anche le altre squadre possano migliorare la loro posizione.
Onorevole Lolli, ci siamo incontrati diverse volte in convegni e so che lei la pensa in questo modo, ma non credo sia giusto. Quando voi analizzate il mondo del calcio dovete guardare innanzitutto al risultato operativo. Il 72 per cento delle perdite operative nel mondo del calcio di serie A è delle prime sei squadre. Sono le grandi squadre ad avere il conto economico peggiore, quello su cui intervenire. La vendita collettiva vuol dire abbassare i ricavi e peggiorare la situazione. Le squadre importanti sono quelle che determinano la competitività a livello europeo, il valore del prodotto ed hanno cinque volte i ricavi delle altre ma anche fino a dieci e venti volte i costi delle altre; ciò è dovuto ad ingaggi sbagliati ma vuol dire anche avere dei campioni. Non si può guardare solo la voce dei ricavi. Tutti hanno sposato questa tesi. È facile, anche un po' demagogico, forse perché collettivo è più bello di soggettivo.
La questione è un'altra. La Juventus partecipa quasi sempre alla Champions league, dove la vendita è collettiva e nessuna squadra ha protestato, nonostante l'antitrust europeo stia contestando la vendita collettiva. Se domani decollasse il campionato europeo, la Juventus farebbe parte del G 14, delle squadre più importanti d'Europa, e la vendita sarebbe collettiva, perché le società sono omogenee. In Italia vi sono 42 squadre, prive di omogeneità. Siamo i più vicini al modello spagnolo (come in tante altre cose, forse per la comunanza mediterranea), nel quale le dodici squadre della serie A più forti, che chiamano poderosos, vendono soggettivamente, mentre le altre otto della serie A più tutte le squadre della serie B vendono collettivamente. Questa è una formula. La società PMT è nata perché alcune squadre si sentono omogenee ed hanno creato un consorzio, una società commerciale. La Juventus non ha fatto una società ma è omogenea con Milan ed Inter; potrebbe essere anche omogenea con la Roma. Poi si fanno scelte territoriali,
esiste la competitività sportiva, ma il dato di fondo è che bisogna ragionare per gruppi omogenei.
Se volessimo fare una vendita collettiva dovremmo realizzare una serie A secondo le indicazioni della UEFA a sedici squadre, non dare più soldi alla serie B, come in Inghilterra, o al sistema del calcio dilettantistico o al sistema del CONI ed allo sport sociale, del quale - come avviene in tutti i paesi del mondo - lo Stato dovrebbe occuparsi. Così potrebbe andare bene. Ma se vorremo imitare il sistema inglese, dovremo cambiare tutto e non soltanto un aspetto che fa comodo e va di moda. Sarebbe sbagliato perché - vi ripeto - i peggiori conti economici sono quelli delle grandi squadre e la vendita collettiva peggiorerebbe ciò.
Al nostro interno è in corso una discussione se la Lega possa continuare ad essere così. Vi sono nove squadre che sono andate da studi legali per distaccarsi e costituire una lega di serie A ed altre squadre che vogliono continuare così. Si prendono in considerazione statuti diversi. Nella Lega abbiamo votato una distribuzione di soldi alla serie B, composta da 24 squadre a fronte delle 20 che compongono la serie A, e naturalmente la votazione è stata caratterizzata da un voto compatto della serie B. Non è giusto, anche perché in Europa non è così e soprattutto con il sistema di vendita soggettiva la Juventus, che ha il più grande fatturato d'Italia, è la quarta squadra in Europa come fatturato. Poiché siamo primi a livello di diritti televisivi e secondi per le sponsorizzazioni, ci mancano due voci, i ricavi da stadio, per cui abbiamo fatto il progetto, e la mutualità. Lo Stato deve pensare a questo. Ma lo Stato per anni ha utilizzato il CONI come fosse un ministero.
I funzionari del CONI, da Pescante all'attuale Petrucci, hanno gestito il Totocalcio, su cui la Lega di serie A non aveva potere. Da mesi ci stiamo lamentando perché non hanno escusso fideiussioni, immaginate se potevamo incidere sul marketing dei giochi. Al nostro interno abbiamo un progetto pronto sui giochi. In Inghilterra negli stadi si scommette su tutto, su chi batte il primo corner, il primo rigore, chi vince il primo tempo. Da noi ciò non esiste. Voi politici dovete creare queste condizioni.
In merito al credito sportivo, penso vada copiato il modello inglese della legge Taylor.
Sulla plusvalenza della Juventus ho potuto leggere quanto scritto dalla Consob, che ha ritenuto estremamente corretta l'operazione. Abbiamo acquisito un terreno, su cui abbiamo lavorato per anni come fa qualsiasi promotore immobiliare. Forse siamo stati favoriti dal fatto che prima di occuparmi di calcio mi interessavo di immobili. Vi è stato un iter burocratico con un cambio di destinazione e di valore con una plusvalenza insita e abbiamo venduto una parte del terreno ad una società di costruzioni interessata ad acquisirlo. Da parte loro vi è un put, perché siamo ancora nella fase finale dell'iter burocratico ed amministrativo, e qualora ciò non avvenisse il terreno varrebbe meno e loro avrebbero la possibilità di fare un put come capita in tutte le transizioni immobiliari di questa portata. La Consob - ripeto - ha riconosciuto come perfettamente corretta l'iniziativa.
Alla Consob sono bravissimi, ma non conoscono il mondo del calcio a livello europeo e i suoi rapporti con la borsa. Non dico che sia obbligatorio essere quotati in borsa, ma si tratta di un'opportunità che può essere o meno colta. Però in borsa bisogna andarci con un progetto industriale serio. Non avrei mai proposto agli azionisti di quotare la Juventus solo a livello sportivo.
Passando alle domande del presidente, vi ringrazio della possibilità di formulare proposte. Ci lavoreremo; ne dovremo parlare nella Lega e formulare proposte nel rispetto dell'organismo cui apparteniamo.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, sono d'accordo ma non devono essere più fatte mutualità a nessun sistema, calcistico o sportivo in senso lato; devono essere recuperate al nostro interno le voci che produciamo e che oggi rendono zero e stabilite regole di divisione dei proventi uguali a quelle della Premier league.
Per quanto riguarda i play off e i play out, stiamo studiando una soluzione in questo senso. Infatti, con l'aumento delle squadre partecipanti aumenta anche la possibilità che le ultime giornate di campionato siano caratterizzate da un minor interesse e da cali di tensione non necessariamente legati alla corruzione.
Sia in Lega che in Federazione sono stati costituiti gruppi di lavoro per far sì che ogni segmento abbia una propria missione. Con ciò voglio dire che la serie B, ad esempio - come d'altronde la serie C o la C1 -, non può «scimmiottare» la serie A: è sbagliato. Ogni categoria deve darsi una missione: le serie B e C possono avere, ad esempio, una missione di formazione. Le regole debbono stabilire che la mutualità va riconosciuta a chi si comporta in modo virtuoso. In ogni caso, come sanno anche i miei colleghi, non vi sono proposte nell'ambito della lega di serie B, tant'è vero che, a differenza di ciò che è avvenuto in serie A, i costi sono aumentati. Infatti, la serie B per 100 milioni di euro prodotti ne chiede altrettanti in mutualità, anzi se potesse ne vorrebbe altri 200; è questa, purtroppo, l'unica battaglia che le squadre della serie cadetta riescono a portare avanti.
Di contro, bisognerebbe invece cogliere l'occasione che la legge Veltroni rappresenta sia per le grandi sia per le piccole squadre dislocate nei centri minori. La progettualità che sta dietro la costruzione di uno stadio e la valorizzazione del territorio sono due obiettivi alla portata di qualsiasi squadra: Juventus, Torino, Livorno o Acireale. Ogni progetto può essere diverso dall'altro; se si ha a riferimento la Sardegna si può pensare ad un progetto turistico, mentre si può immaginare qualcosa di diverso a seconda che si abbia a riferimento Torino, Milano o Lecce. Indubbiamente, poiché i progetti non possono esser tutti uguali, ognuno ha la possibilità di trovare nuove soluzioni rendendo molto grandi delle realtà piccole. A tale scopo servono degli investimenti che anche una piccola squadra di serie A, B o C è in grado di progettare, addirittura superando squadre come la Juventus. Così facendo si riesce ad evitare la logica del mecenatismo dalla quale, personalmente, rifuggo.
Il calcio rappresenta un settore sempre più globale con un'audience in continuo aumento, malgrado il momento che stiamo vivendo. Inoltre, attraverso l'evoluzione tecnologica, nei prossimi anni vi sarà la possibilità di distribuire sempre meglio il prodotto. Dobbiamo cercare di stare in piedi con le nostre gambe, impiegando gli eventuali utili di bilancio per promuovere l'attività sportiva giovanile.
Per quanto riguarda la crisi delle scommesse, abbiamo bisogno di aiuto per promuovere questa attività in Italia. Oggi, ad esempio, è vietato posizionare cartelloni a bordo campo per fare pubblicità a società di scommesse inglesi. Al contrario, questa soluzione va sviluppata poiché, oltre ad essere legale ed a rimpinguare le casse dello Stato, farebbe impallidire il fenomeno del totonero.
LUCA CAMPEDELLI, Presidente dell'A.C. ChievoVerona. Il fatto che, giustamente, la Juventus si faccia anticipare i contratti un anno prima del ChievoVerona - che non ha questa possibilità - crea uno squilibrio; ciò è dovuto innegabilmente alla bravura della Juventus, ma anche ad una scelta unilaterale dell'unico operatore televisivo. Di conseguenza, si verifica una pericolosa disparità di trattamento. Infatti, il sottoscritto - contrariamente alla Juventus - non ha la possibilità di pianificare la presenza della propria squadra in serie A per un certo numero di anni.
La sola trattativa di cui mi sono occupato non più tardi di due mesi fa e non ancora conclusa ha dimostrato che la legge n. 78 del 1999 è perfettibile poiché, in presenza di due operatori, non riesce ad evitare un monopolio di fatto.
L'antitrust e l'Agicom debbono, per forza di cose, snellire i loro procedimenti interni perché non è possibile rimanere per nove, dieci, undici mesi in attesa della sentenza a causa della ordinarietà dei termini per la sua presentazione.
Riguardo ai play out in serie A, sarei d'accordo con la loro introduzione se
venissero introdotti anche i play off; in caso contrario, si verrebbe a creare un sistema zoppo di difficile attuazione. Alla fine non credo vi sia una grossa differenza tra la vendita collettiva e la vendita soggettiva dei diritti televisivi: i litigi che si verrebbero a creare più o meno sarebbero gli stessi.
Inoltre, bisognerebbe capire se il calcio sia da considerarsi un'attività meramente privatistica o con una funzione sociale da adempiere. Se fosse un'attività privatistica, nonostante la previsione della Covisoc, sinceramente debbo dire che come rappresentante della Paluani non sono soggetto a nessun tipo di controllo.
Gli altri miei concorrenti ritengono di fare la politica commerciale più opportuna e magari mettono a repentaglio la mia azienda per altri motivi. Ritengo che la Covisoc non abbia dei criteri corretti di giudizio perché non ascolta le società. Non è possibile che ogni anno debba litigare con la Covisoc dopo aver specificato che tutti i miei debiti sono controgarantiti da fideiussioni personali - tra l'altro, coperte - e, di conseguenza, non esiste un debito reale: tutto ciò comporta una discriminazione da parte della Covisoc.
Il Chievo non è stato ammesso alle licenze UEFA perché la Covisoc - o, perlomeno, l'ente che doveva decidere in merito - ha stabilito che dovevamo presentare la domanda di condono entro il 31 marzo. Invece, per aderire al condono avevamo deciso di attendere il 16 aprile, termine previsto da una legge dello Stato. Quindi, l'ordinamento sportivo ha prevalso sull'ordinamento statale e mi risulta che sia la prima volta che succede un fatto del genere. Adesso la licenza UEFA non mi interessa più ma si è trattato di un atto non corretto da parte dell'ente giudicante.
Per quanto riguarda il rifacimento degli stadi, il fatto di ottenere un 30 per cento a fondo perduto va bene, ma il problema è di avere anche una «via privilegiata» - sempre se il piano regolatore comunale lo consenta - per poter attuare tutto ciò. Non voglio avere un qualcosa che leda i diritti degli altri cittadini ma, se una società di calcio riesce ad ottenere e ad abbinare ad un progetto commerciale un progetto sociale, non vedo perché non possa avere una «via preferenziale». Tale discorso vale per qualsiasi società privata che decida di costruire uno stadio ed abbinare un'attività sociale.
ENRICO BENDONI, Consulente del presidente dell'A.C. ChievoVerona. Il tema della legge n. 78 del 1999 è molto importante perché essa è entrata nel campo calcistico con un forte impatto, con degli scopi chiarissimi e positivi da parte del legislatore; comunque, è abbastanza recente ed ha avuto alcune conseguenze. Il campionato di calcio dura 9 mesi e, poi, si ripropone la fase della vendita. È evidente che, per esempio, tanti fattori segnalati anche da Bruxelles sono di difficile attuazione, come pensare che il recesso del fornitore dei diritti - quindi, di una società calcistica - possa essere tranquillamente accettato da un soggetto che oggi, ad esempio, agisce in monopolio e con tutta la relativa consistenza.
Il presidente Campedelli ha parlato di contratti in forma non esclusiva: è evidente che una volta in possesso dei principali contratti in forma esclusiva, i contratti imposti al mercato in forma non esclusiva creano una situazione difficile da disciplinare. Infatti, è vero che la società può recedere, ma ci può essere un'opposizione o un'attività giudiziaria che, comunque, una società calcistica, con tutti i suoi problemi, non è in grado di sopportare.
Questa legge crea delle condizioni che penalizzano, per esempio, chi si affaccia nel mercato di un monopolista, come una società di serie B che deve negoziare da sola o, al massimo, con due o tre società la sua condizione di neo promossa in serie A. Credo che chi stabilisce un budget sia in grado di valutare sostanzialmente cosa stia facendo e deve riconoscere il valore della prima come dell'ultima società. L'aver fissato l'attività svolta dalla Juventus, dal Milan e dall'Inter non era sacrosanto ma obbligatorio. In questa fase tale situazione - tra l'altro, con un monopolista che tra un anno avrebbe consolidato la sua posizione
- può allarmare una società quotata, ma anche le altre grandi. È evidente che oggi altre società sono in difficoltà: magari non avevano la corresponsione anticipata del corrispettivo e, quindi, rispetto agli altri sono nelle condizioni di avere situazioni che possono ritardare.
Il problema dei diritti televisivi nel calcio è molto delicato e tocca gli interessi di tutti. Giustamente Giraudo si è domandato come mai rispetto ad un consumo pubblicitario analogo degli ascolti, ad esempio, il valore del diritto in chiaro debba diminuire: questo fatto non funziona. Probabilmente, la mutualità rende anche meno attente le grandi società al problema perché, pur essendo quelle che hanno una maggiore immagine, siccome questo aspetto alla fine non produce loro degli utili, non combattono per eliminare questo discorso. Ad esempio, sul chiaro la Champions league e i diritti del campionato sono in qualche modo diminuiti di valore, senza che ci sia stata né una motivazione né una vera competizione sul mercato.
Questi aspetti, alla fine, coinvolgono anche l'operatore della televisione a pagamento, perché oggi il vero dibattito è che l'operatore vede il prodotto impoverirsi. I contratti fatti con la Juventus, con il Milan e con l'Inter non porteranno un beneficio nel futuro se il budget rimane invariato. Anzi, porteranno una minore competitività del nostro prodotto e una minore affezione perché, chiaramente, alcuni grandi bacini cominceranno a diventare meno significativi e automaticamente il fattore televisivo perderà consistenza. In questo senso, il discorso del diritto di cronaca non è mai stato rivisto. La responsabilità del sistema è stata quella di essere stato molto tollerante, cioè abbiamo considerato il valore pubblicitario e di sponsorizzazione, ma oggi questo diritto - che in Italia viene interpretato in un modo quando arriva la Formula 1 e in un altro se si svolge una partita di Champions league - si apre totalmente quando giocano le nostre squadre in ambito nazionale. Questo penalizza tutti quanti e crea minori opportunità. È vero che la serie B prende dei soldi di mutualità, però vive anche una transizione micidiale. Nel momento in cui è entrata la pay, in Italia si è abbandonato il sistema di non competizione con il botteghino. In Italia non c'era una partita di calcio in televisione, in chiaro e in ambito regionale che potesse ledere i diritti degli altri sport o, comunque, delle altre squadre calcistiche.
Questo aspetto è scomparso perché è di attualità la richiesta di Sky di avere un campionato su momenti orari completamenti diversi (sabato due partite, domenica una alle 13, cinque alle 15 e una alle 20,30, il lunedì sera un'altra alle 20,30). Tali fatti chiaramente investono la serie B e la penalizzano. Probabilmente, la serie B è anacronistica e va totalmente ripensata: bisogna pensare ai vivai, ai giovani e ad incentivare questo aspetto, ma si tratta di passaggi lunghi e delicati. Pensate che, se oggi si ponesse un limite di 25 giocatori, chi ha una rosa di 35 giocatori dovrebbe ammortizzare i dieci contratti in uscita.
Per quel che ci riguarda, riteniamo che occorrerebbe un ripensamento della legge n. 78 del 1999, anche se i garanti sono fuori discussione, hanno i loro tempi e decine di situazioni in discussione: quindi, non possiamo pensare che risolvano i problemi in 30, 40 o 50 giorni. È evidente, però, che di fronte ai problemi del nostro campionato servirebbe una commissione che aiuti in tal senso, oppure un ripensamento della legge n. 78 del 1999, che disciplina il campionato italiano di calcio di serie A, ma non le coppe europee, la serie B o altri fattori che hanno la loro importanza. Non è un caso che noi abbiamo tentato di lanciare una piattaforma concorrente del monopolista e che questo tentativo sia ancora in atto. Lo stesso Giraudo, prima di sottoscrivere il nuovo contratto la settimana scorsa, ha studiato delle alternative per non trovarsi nel 2005 completamente nelle mani del monopolista. Chi si affaccia sul mercato deve poter contare sulla quota del 40 per cento, così come previsto dalla legge. Chi oggi si trova a dover subire una offerta non esclusiva, con riconoscimenti economici posteriori, di fatto viene penalizzato in termini di
cash flow della propria società. Tutto questo è inaccettabile, deve esserci un meccanismo che porti tutti sullo stesso piano.
CLAUDIO FENUCCI, Amministratore delegato dell'U.S. Lecce. Vorrei riallacciarmi a quanto è appena stato detto. Effettivamente bisognerebbe considerare che i diritti televisivi, che rappresentano più del 50 per cento dei nostri ricavi, incidono pesantemente sui conti economici. Il rischio che qualche squadra all'inizio del prossimo campionato possa non avere venduto i propri diritti o li debba svendere in presenza di un unico acquirente costituisce una grave difficoltà per questi club. Probabilmente si può arrivare a formare un consorzio, anche se, come sa bene il dottor Giraudo, è sempre difficile riuscire a convogliare interessi diversi di società, ma potrebbe essere forse l'unica strada per i club di serie A.
Ritengo che il mondo del calcio dovrebbe essere in grado di presentare delle proposte alla Commissione almeno su due aspetti. Il primo di questi è sicuramente il contratto di lavoro dei giocatori. Considerate però che non è facile dialogare con l'AIC, in quanto ha delle posizioni molto rigide e difende dei contratti che sono più tutelanti di molti altri contratti di lavoro dipendente. Talvolta ci si scontra però anche con le rigidità del diritto del lavoro. In passato tentammo di inserire degli automatismi contrattuali legati alla retrocessione dei club; ci venne detto però che tale modifica non era compatibile con la normativa vigente. Una riforma complessa del ruolo del calciatore dovrebbe tenere conto anche di alcuni aspetti che oggi magari sono meno evidenti.
Anche sugli stadi ovviamente starà a noi portare avanti delle proposte. Non dico che la ristrutturazione degli stadi non sia un passo obbligato. Sicuramente il Taylor Report del 1996 ha segnato la svolta in Inghilterra, a riprova che noi siamo indietro di un decennio. Dico soltanto che ci possono essere, come insegna la Juventus, anche altre iniziative di carattere immobiliare che non riguardino esclusivamente lo stadio e che in alcuni contesti socio-economici potrebbero rivelarsi interessanti.
Riguardo ai play out o ai play off, sono d'accordo sul fatto che arricchiscano l'incertezza del campionato e, quindi, dello spettacolo. Occorre considerare, però, che il risultato migliore lo si ottiene allargando molto i play off, perché i play out, rappresentando un rischio negativo che incide pesantemente sui conti di una società, possono portare ad eccessi di spesa. In serie A il discorso è naturalmente un po' più complesso, per cui tendenzialmente sarei piuttosto scettico sull'introduzione di questi strumenti.
MARIO MORONI, Vicepresidente dell'U.S. Lecce. Condivido le risposte fornite dal dottor Giraudo, nonostante noi rappresentiamo due club diametralmente opposti dal punto di vista dimensionale. Ciò dimostra che quando si dialoga e si ragiona sui problemi si può arrivare a condividere parecchie opinioni.
Anche noi riteniamo di poterci ispirare al modello inglese; certo è che la mutualità, così come è oggi, va rivista. Nel 1999, mentre le società di serie A vendevano i diritti a cifre stratosferiche e tutti sembravamo in preda ad un boom che si sarebbe poi ampliato nel corso degli anni successivi, assicurando alla serie B attraverso una delibera quella mutualità pari a 100 milioni di euro abbiamo fatto soltanto il suo male, perché da quel momento in poi ha speso molto di più di quanto la serie A assicurava in mutualità. Quanto avvenuto è la «prova provata» che la mutualità non risolve i problemi. La socialità nel calcio è fondamentale ed il risultato sportivo è importante, ma anche noi pensiamo che quel mecenatismo sia morto e sepolto. Bisogna sapere interpretare il calcio da imprenditori che guardando al proprio bilancio rispettano le regole e pretendendo che anche gli altri le rispettino.
La richiesta formulata dal presidente Adornato di presentare proposte che possano essere utilizzate dalla Commissione per il prosieguo del proprio lavoro rappresenta una grande opportunità per noi.
Rimane da vedere se all'interno della Lega calcio sapremo sfruttare questa opportunità, perché penso che questo sia il momento ultimo nel quale noi dobbiamo trovare una condivisione e una coerenza, almeno sui punti che riguardano il lavoro del Parlamento.
PRESIDENTE. Anche la Lega calcio verrà audita, ma nulla toglie che i singoli possano farci avere proprie proposte.
ANTONIO GIRAUDO, Amministratore delegato della Juventus F.C. Presidente, vorrei esprimere un'ultima osservazione per chiudere in allegria. Qualche tempo fa, durante una riunione in consiglio di Lega, tra i documenti che il presidente Galliani ci ha fatto avere vi era anche la fotocopia di un giornale, Tuttosport, che in prima pagina titolava: «Ecco come il calcio è caduto dentro un buco di 120 miliardi». Vi erano poi le pagine di altri giornali come il Corriere dello sport che avevano un po' lo stesso tono. Si trattava di giornali del 1982, quindi di 22 anni fa. Ci sono dirigenti, come Matarrese, che dicono le stesse cose di venti anni fa e questi giornali ne sono la riprova.
PRESIDENTE. Ringrazio molto gli intervenuti, le cui considerazioni risulteranno utili per la nostra Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,50.