VI COMMISSIONE
FINANZE

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 5 dicembre 2001


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La seduta comincia alle 15.05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di esperti e studiosi della materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'audizione di esperti e studiosi della materia. L'importanza di tali audizioni risiede nell'avere la possibilità, sia attraverso i testi scritti che verranno consegnati, sia attraverso il resoconto stenografico, di mettere a disposizione dei parlamentari e, più in generale, del mondo degli studiosi e delle professioni, i contenuti degli interventi svolti. Siamo pertanto grati per avere accettato la nostra richiesta di prendere parte ai lavori di questa Commissione per aiutarci a svolgere l'indagine conoscitiva sull'attuazione del testo unico sull'intermediazione finanziaria a tre anni di distanza dalla sua emanazione.
Nella lettera con la quale vi abbiamo invitato abbiamo indicato che l'interesse di questo Commissione non è l'esame di tutto il testo unico ma solamente di alcuni problemi relativi agli aspetti più innovativi o più interessanti di tale disciplina, citando tra gli altri (senza un'ordine di importanza) la tematica delle OPA, quella dei patti sociali, il problema della tutela delle minoranze ed il funzionamento dell'autorità principale, la Consob. Su alcuni di tali argomenti vogliamo mettere a punto una valutazione basata da un lato sulle considerazioni degli studiosi, dall'altra su quella associazioni che seguono professionalmente queste materie (dall'Assonime, solo per citarne una, all'ABI e via discorrendo).
Al riguardo, non è in programma un intervento legislativo, dal momento che questa indagine conoscitiva non si svolge nel corso di un procedimento legislativo. Molti di coloro che vi hanno preceduto, per esempio, hanno dato un giudizio sul TUF nel suo complesso come un testo che sostanzialmente regge bene e che non presenta, quindi, la necessità di cambiamento (un inglese lo definirebbe come un major of the whole) ma, semmai, quella di una manutenzione in qualche punto specifico. Quindi, la nostra indagine non si svolge nell'ambito di un procedimento legislativo ma può indurci, nella valutazione che faremo alla fine, ad ipotizzare - come Commissione o come singoli parlamentari - qualche intervento su qualche punto specifico, se sarà ritenuto necessario. Quindi, si tratta di un'audizione ad ampio raggio nel nostro interesse.
Ringrazio pertanto i professori Ferro Luzzi, Costi e Rossi per aver accettato il nostro invito. Tra l'altro, saremo grati al professor Rossi, per la sua posizione nell'ambito della commissione di esperti europei che dovrebbe riprendere il cammino dell'OPA europea, se volesse aggiungere qualche considerazione sullo stadio di tali lavori, anche perché l'ufficio di presidenza


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della Commissione ha in programma un viaggio a Bruxelles all'inizio di gennaio per incontrare Bulkenstein e altri che si occupano di tale problema; quindi quello che il professor Rossi potrà comunicarci risulterà molto utile. Do ora la parola al professor Ferro Luzzi.

PAOLO FERRO LUZZI, Professore ordinario di diritto bancario presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. Ringrazio il presidente La Malfa per averci invitato a partecipare a questa audizione. Anche se non ho molta competenza di queste riunioni, tuttavia ho esperienza sui temi che verranno affrontati.
Vorrei fare innanzitutto tre osservazioni di vertice che possono sembrare non strettamente attinenti ma che «tagliano» gli argomenti esaminati. A mio avviso, l'integrazione molto spinta tra banche, assicurazioni ed altro (il professor Costi direbbe la «despecializzazione») suggerisce quantomeno di studiare una forma di unificazione dei testi. Intendo dire che, a mio avviso, prima o poi occorrerà un'unificazione fra il TUF (testo unico della finanza) e il testo unico del leggi bancarie, perché vedo una grande, ingiustificata disparità di trattamento riguardo alla disciplina dei prodotti finanziari - che nella sostanza sono concorrenti - che ritengo ingiustificata e distorcente, vale dire proprio la disciplina del prodotto e soprattutto della distribuzione. Con ciò intendo dire che chi si rivolge ad un prodotto finanziario offerto dalle assicurazioni gode di minore tutela ed ha meno conoscenza e meno capacità di capire rispetto a chi si rivolge ad una banca per un'obbligazione. Invece, chi si rivolge ad un prodotto finanziario proposto da intermediari, trova molta o maggiore (buona o cattiva, non lo so) informazione. In questo quadro, allora, sono perfettamente d'accordo sul fatto che i soggetti debbano rimanere distinti (banche, assicurazioni, intermediari). Per quanto concerne la ripartizione dei compiti tra le autorità, vi accennerò dopo; tuttavia, giudicherei un elemento essenziale quanto meno l'uniformità della disciplina sul mercato agli effetti di una piena concorrenzialità.
Il secondo aspetto (sempre un po' di vertice, ma che tuttavia «taglia» questi argomenti) riguarda la disciplina del comportamento delle banche e degli intermediari presso il pubblico che, a mio avviso, è carente perché nell'area dominata dalla Consob sappiamo che esiste un eccesso di informazione scarsamente comprensibile. Inoltre, vi è un eccesso di disciplina prevalentemente secondaria, minuziosissima. Il compito dei promotori è sostanzialmente il compito di un confessore che, secondo me, produce un effetto deresponsabilizzate, perché il promotore quando ha messo «la crocetta» (intenzioni, grado, categoria di rischio) pensa di aver finito la sua attività. In altre parole, quello che si voleva, vale a dire la protezione del cliente, diventa una mera formula burocratica.
Se passiamo invece alla disciplina del prodotto finanziario delle banche, a mio avviso esiste un altro fattore molto distorsivo della concorrenza: alludo a quell'argomento che mi sta antipatico (non so come la pensi al riguardo il professor Costi) relativo alle norme bancarie uniformi, perché, a mio giudizio, sfugge (perlomeno all'autorità di vigilanza) il fatto che, se nel commercio delle automobili riesco a distinguere molto bene le condizioni di vendita dall'automobile, nel settore finanziario il contratto è il prodotto stesso. A mio avviso, la standardizzazione del prodotto offerto, indotta dalle norme bancarie uniformi, è gravemente lesiva della concorrenza, perché alla fine è questo il risultato che si ottiene. Al riguardo, quando l'autorità garante afferma, rispetto alle norme bancarie uniformi, che solo le clausole che hanno un contenuto economico... mi viene da sorridere: a parte il fatto che tutto il contratto ha un contenuto economico, mi sembra che le sfugga l'attività di limitazione, di standardizzazione pressoché in fatto obbligata del prodotto, a parte l'incomprensibilità.
Per quanto attiene al terzo aspetto di carattere generale, a mio avviso, o ignoro ciò che si scrive o mi sembra un punto non esaminato. Infatti, la commissione per


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l'attuazione della legge Mirone (ieri abbiamo avuto una seduta plenaria durata quattro ore) sta riformando la normativa relativa alle società, comprese quelle di capitali; tuttavia, nel sistema fino adesso vigente (mi riferisco alla seconda parte del TUF, quella recante le disposizioni sulle società) essa è fondata sull'attuale disciplina delle società di capitali. Allora, mi sfugge come si possa modificare la base di tale normativa senza toccare, come si suol dire, la torre (l'espressione di questi tempi non è felice) costruita in un angolo di questa disciplina. Al riguardo, vorrei fare l'esempio più banale: se emetto azioni senza valore nominale, la disciplina delle azioni di risparmio dovrà un po' cambiare. In altre parole, mi sembra che ci troviamo in presenza di un mancato coordinamento normativo grave, perché la riforma di base delle società per azioni dovrebbe riguardare determinati aspetti. Per quanto riguarda i poteri «normativi» attribuiti alle autorità indipendenti (mi ha fatto piacere l'espressione), tali poteri costituiscono un «mistero buffo» perché, quanto ad efficacia, se si potesse dare la qualifica di norma ad una disposizione efficace, esse hanno un'efficacia maggiore rispetto alla legge stessa: su questo punto non c'è dubbio. Tuttavia, tali poteri sono collocati malissimo nel sistema della gradazione delle fonti. Ma la cosa più buffa è che il ricorso avverso questi poteri nel settore economico va a finire dinanzi al TAR. Per carità, il TAR conosce tutto, ma se nella cosiddetta riforma Mirone, rispetto alla magistratura ordinaria, si stava addirittura pensando di ricostituire i tribunali di commercio, ha senso portare dinanzi al TAR problemi squisitamente commerciali? Oltre all'estensione ed ai criteri, ritengo che vada aggiustato, regolato e precisato tale potere, di fatto enorme, perché, se la Banca d'Italia si mette «di traverso» rispetto ad un'operazione, è difficile «scollarla».
Per quanto concerne i poteri della minoranza, su questo punto credo che litigherò con il professor Costi, perché - mi consenta - sostengo sempre che la minoranza mi è antipaticissima...

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. Ti senti un uomo di maggioranza?

PAOLO FERRO LUZZI, Professore ordinario di diritto bancario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. La verità è un'altra: credo che la cosiddette legge Draghi abbia fatto un'opera egregia, spostando, tuttavia, il potere dalla minoranza oppure dal socio di maggioranza o dal socio con una sola azione (il mitico Balilla che lancia il sasso) a quote qualificate di capitale. Per questo, forse, occorre solo rapportare i poteri al reale interesse. Intendo dire che oggi, avendo eliminato il blocco in Borsa, un soggetto con pochi soldi «si fa» tutti i titoli del MIB30 e partecipa all'assemblea di una società, spendendo meno di quanto si spende per andare ad una partita di calcio, per fare il suo show o altro.
Per quanto riguarda, infine, la tutela con mezzi specifici, vale a dire la convocazione o peggio l'azione di responsabilità - che a mio avviso è uscita costruita piuttosto «storta» dalla legge Mirone - mi consta che non abbia funzionato: al riguardo, il professor Costi ha esperienze, io non ne ho nessuna.
Per quanto concerne l'OPA, non sono molto competente (esiste chi è molto più competente di me); tuttavia, avverto l'esigenza di avere una sicurezza assoluta e aprioristica dei presupposti sul punto se scatti o meno l'OPA, soprattutto quando vi sono le «catene», perché non si tratta di problemi che possano essere risolti dinanzi al TAR, anche se in questi casi il TAR stesso procede velocemente. Al riguardo, è indispensabile conseguire una omogeneità a livello comunitario; però (qui entro forse in un profilo di riflessione scientifica) non ho mai compreso la coerenza tra l'OPA che risparmia il premio di maggioranza e il trattamento penalizzante del controllo: l'OPA è il prezzo del controllo, ma in seguito bisogna esercitarlo (questo attiene alla disciplina dei gruppi, che affronteremo successivamente).


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Un ulteriore punto sul quale mi è stata richiesta un'opinione riguarda la disciplina del voto per delega e della partecipazione assembleare delle associazioni. In tal caso, non vedo ben rappresentata nella legge Draghi una distinzione di fondo tra le società in cui vi sia un controllo e le società dove tale controllo non esista, perché, se tale controllo esiste, allora le deleghe fanno un po' paura, perché servono a «blindarlo» ancora di più senza un'eccessiva responsabilità o un eccessivo impegno patrimoniale; se invece non esiste (ma non so se in Italia vi siano grandi società quotate dove non vi sia il controllo), allora hanno un'importanza fondamentale. Le piccole associazioni di piccoli azionisti o i dipendenti azionisti, a mio avviso, vanno bene, occorre però tenere presente che esse possono costituire o occultare sindacati di voto: al riguardo, la storia della Banca popolare di Milano è esemplare.
Per quanto riguarda la tutela della minoranza, sarei favorevole ad attribuire maggiori poteri di controllo e di «reazione» a quote di capitale non elevate piuttosto che al potere di veto. Sul piano generale, vedo l'evoluzione delle società quotate in una distinzione tra l'interesse alla gestione e l'interesse finanziario (tale aspetto nella legge Draghi è abbastanza presente) con questa attenzione: per il momento, i grandi investitori, i fondi comuni (nella mia esperienza, pochissime volte in società quotate) hanno ancora un atteggiamento psicologico «acchiappa e fuggi». Forse i fondi pensione, i quali hanno una prospettiva di investimento più lunga, potrebbero garantire investimenti interessati non alla gestione, ma alla valorizzazione della partecipazione, senza fare il gioco «del prendere o lasciare» che destabilizza ulteriormente il mercato.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Ferro Luzzi per il contributo fornito. Do ora la parola al professor Costi.

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. Signor presidente, mi sembra che il giudizio sul testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria debba essere positivo: infatti, ritengo che tale testo unico abbia accompagnato bene lo sviluppo del mercato mobiliare nel nostro paese, che esso sia sostanzialmente concorrenziale con gli ordinamenti degli altri paesi dell'Unione europea e che si ponga, dunque, al massimo l'opportunità di apportare qualche piccolo ritocco.
Nell'affrontare la prima delle questioni sulle quali la Commissione intende concentrare la propria attenzione, vale a dire il problema delle autorità indipendenti, credo di poter riprendere, senza ripeterle, alcune delle considerazioni fatte dal professor Ferro Luzzi che condivido. Al riguardo, mi sembra che la presenza di una autorità indipendente con poteri normativi e di vigilanza sia coerente con un tipo di ordinamento dei mercati che respinge una vigilanza strutturale e funzionale e pretende soltanto di imporre regole in qualche misura tecniche. Naturalmente, affinché il potere normativo e di vigilanza delle autorità indipendenti sia conforme al dettato costituzionale, è necessario che vi sia ricorribilità nei confronti dei loro provvedimenti: su questo aspetto, sottolineo il mio consenso alle considerazioni fatte del professor Ferro Luzzi sulla necessità di pensare ad una autorità specializzata, vale a dire quella prospettata in qualche modo nella vecchia commissione Mirone e che, successivamente, è caduta.
In secondo luogo, esiste un problema di responsabilità per i danni eventualmente causati. Mi riferisco all'esercizio della loro funzione da parte di tale autorità: riguardo a tale aspetto, la giurisprudenza si è ormai allineata, e quindi credo che sotto questo profilo non dobbiamo nutrire preoccupazioni. Ciò però non basta: ritengo necessario che le linee guida alle quali si attiene la Consob debbano essere conoscibili da parte degli operatori. Infatti, a mio avviso non si può attendere con ansia il responso dell'ultimo momento da parte dell'autorità ed avere, dunque, un grado di incertezza assolutamente intollerabile con la esigenza di certezza che gli affari pretendono. Pertanto, questo è un


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primo punto sul quale mi pare sarebbe opportuno un intervento, vale a l'obbligo di rendere conto non solo delle linee seguite ma anche di quelle che ci si propone di seguire.
Sotto il profilo dell'impugnabilità credo che, al di là della giurisdizione esclusiva, introdotta dall'ultima legge, si debba anche riconoscere che si possono impugnare non solo i provvedimenti ma anche gli orientamenti, perché sono questi che alla fine incidono sui comportamenti. Certo, esiste un problema di coordinamento delle autorità legato al fatto che molti settori della finanza (bancario, assicurativo, di mercato immobiliare) sono in qualche misura «amalgamati». La formazione dei conglomerati finanziari pone tale problema, e pone quindi un problema di coordinamento tra le autorità.
Credo tuttavia che sia necessario stabilire un punto fermo, e cioè che il coordinamento non può comportare l'attribuzione all'autorità politica del potere di realizzare tale coordinamento, perché ciò significherebbe la fine delle autorità indipendenti. Sotto questo profilo, credo che alcune proposte - come per esempio quella di riconsegnare al CICR il coordinamento - siano pericolosissime. Ad esempio, sulla stampa è apparsa qualche dichiarazione in tal senso: c'era la vecchia commissione Sarcinelli ed alcuni validi studiosi l'hanno riproposta. Quindi, sono d'accordo sul coordinamento, ma una coordinamento lasciato da un lato alla legge e dall'altro alla capacità delle autorità indipendenti di restare nell'ambito dei loro poteri. Certo, se qualcuno, come spesso accade, «deborda» e svolge non più il ruolo di custode delle regole tecniche ma di regolatore del mercato, allora è chiaro che ha segnato la propria fine perché, a questo punto; si tratta di attività politica e quindi è giusto che la politica riprenda il controllo su tali autorità.
Vorrei quindi sottolineare solamente un punto, cioè che uno dei momenti più importanti oggi (quello che in fondo incide «sulla carne» dei soggetti), è il potere sanzionatorio, cioè le sanzioni pecuniarie. Le sanzioni amministrative sono uno strumento molto importante e ritengo che avranno un'importanza crescente al posto della sanzione penale; credo anche che i tentativi dei Chicago boys di impostare tutto il sistema in termini privatistici e contrattualistici non abbiano veramente spazio, ed allora il ruolo delle sanzioni amministrative è molto importante. Ma se si legge l'articolo 190 del testo unico, che prevede le sanzioni amministrative, si capisce che non c'è nessuna certezza, perché sono tutte norme «in bianco» il cui contenuto, per di più, è lasciato a provvedimenti della Consob. Quindi, si tratta di un punto sul quale, secondo me, si impone veramente chiarezza; vale a dire che occorre individuare con precisione le fattispecie che comportano l'applicazione delle sanzioni amministrative e non lasciare tutto in questo clima incerto.
Per quanto riguarda la tutela della minoranza, ho un lungo e simpatico contrasto con il professor Paolo Ferro Luzzi nelle nostre attività di «garzoni» del legislatore. Faccio una premessa rapidissima: fino a metà degli anni sessanta (penso agli «Amici del Mondo», a Vascarelli) si puntava al potenziamento delle minoranze, vale a dire alla loro protezione quale strumento di corretta gestione delle imprese. In seguito, negli anni settanta è arrivato il mercato e si sosteneva: è inutile utilizzare gli strumenti di tutela della minoranza, che nessuno utilizza: le regole del mercato sono sufficienti. Quindi, vi era una riduzione dell'azionista di minoranza al consumatore di prodotti finanziari.
Il testo unico, alla luce dell'esperienza, si è adeguato a quello che è l'orientamento di tutti gli ordinamenti moderni: infatti, tutti gli ordinamenti moderni (sono inutili i richiami comparatistici a tutti noti) perseguono l'efficienza delle gestioni non solo attraverso gli strumenti di mercato, ma anche attraverso gli strumenti di tutela delle minoranze. Naturalmente, ritengo giustissima l'osservazione avanzata un attimo fa dal professor Ferro Luzzi: nell'ambito del testo unico della finanza non si è pensato al piccolo azionista, ma agli investitori. Ciò ha funzionato, perché si sono resi attivi gli investitori istituzionali


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(quelli esistenti), ma solo parzialmente, poiché non partecipano attivamente alle assemblee; tuttavia, credo che vi sia stata una sorta di conseguenza indiretta (di prevenzione), vale a dire che i contatti con gli investitori avvengono anche perché si sa che una certa opacità nei confronti degli investitori potrebbe trovare una camera di risonanza nell'ambito delle assemblee.
Quindi, ritengo che in parte sia vero che non vi è stata una piena utilizzazione, tuttavia mi sembra che tale incompleta utilizzazione non giustifichi un ritorno all'indietro: bisogna conservare questi strumenti di tutela delle minoranze (anche perché, appunto, esiste un consenso unanime degli ordinamenti in questa direzione) e quindi si possono immaginare piccole cose come, per esempio, il potere della minoranza di integrare l'ordine del giorno. Si tratta di un aspetto molto più semplice che potrebbe condurre l'assemblea a riflettere e a deliberare anche sugli argomenti posti all'ordine del giorno non soltanto dalla maggioranza.
Per quanto concerne il problema dell'OPA, il primo problema è costituito dal fatto se sia opportuna o meno una OPA obbligatoria totalitaria; stranamente, molti sostengono che le norme sull'OPA facilitano la contendibilità: l'ho letto anche in un resoconto di queste audizioni. A mio avviso, è esattamente il contrario: essa rende più difficile la contendibilità perché rende maggiormente difficoltosi i passaggi dei pacchetti di controllo e li rende più onerosi. Quindi, a mio avviso, l'OPA non è uno strumento che favorisce la contendibilità.
A che cosa serve allora l'OPA? In un sistema come il nostro, in cui esiste un mercato mobiliare ancora non sufficientemente «spesso», e dove la opacità c'era e forse ci sarà ancora di più in futuro, essa costituisce uno strumento di tutela delle minoranze che se ne vogliono andare (il diritto di recesso) o che si spartiscono il premio di maggioranza. Tutto questo, però, è un costo, non uno strumento che favorisce la contendibilità. Allora, ritengo che sia opportuno mantenere l'obbligo dell'offerta pubblica totalitaria perché nel nostro mercato vi sono queste condizioni; tuttavia, in un mercato che funzionasse, personalmente la abolirei perché evidentemente non serve a favorire la contendibilità, anzi, la ostacola.
In merito al problema se sia preferibile la soglia o il controllo, è chiaro che la ragione porterebbe a scegliere il controllo, ma l'esperienza del passato e l'incertezza portano probabilmente a utilizzare il problema della soglia con tutti i caratteri «grezzi» che tale strumento presenta. Alzare o abbassare la soglia? Se la innalziamo di poco, non credo che abbia una grossa incidenza e per di più creerebbe delle condizioni di disparità. Fino a ieri, infatti, si pensava al 30 per cento; se adesso la innalziamo al 35 per cento, in tal modo «sconvolgiamo» una serie di scelte di impresa. Se invece la portiamo al 45 per cento, tanto vale eliminarla: quindi, credo che non sia il caso di pensare ad un ritocco della soglia. Invece, si può tentare di incidere rendendo meno oneroso l'obbligo dell'offerta totalitaria, vale a dire snellendo e valorizzando quella OPA preventiva dell'articolo 107 del TUF che consente l'esonero dall'OPA totalitaria successiva. Come snellire? Probabilmente, le tendenze comunitarie vanno forse in senso non perfettamente conforme con quello che sto affermando: non il 60 per cento, ma forse anche il 50 per cento; eliminare le previsioni di decadenza dall'esonero previste dall'ultimo comma dell'articolo 107 del TUF. Insomma, mi sembra che si debba operare per rendere meno onerosa l'OPA obbligatoria.
Per quanto concerne le misure difensive, credo che la scelta del testo unico sia giusta: sono i soci che devono decidere; cercherei di immaginare che i quorum necessari per deliberare le misure difensive possano essere diversi a seconda dell'ampiezza del capitale e quindi della maggiore o minore facilità con la quale si possono raggiungere. Per quanto riguarda, invece, il problema dell'acquisto di concerto, se la Consob delineasse con precisione gli orientamenti su questo punto, così come anche sulle esenzioni, allora


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usciremo un po' dall'incertezza assoluta nella quale queste ipotesi sono ancora collocate.
Per quanto attiene al voto per delega, forse esiste qualche complicazione di carattere burocratico, ma non credo che siano queste le complicazioni (come lo sono, ad esempio, per il voto per corrispondenza, assolutamente inutilizzato). Probabilmente, ciò è legato a quanto si diceva all'inizio, cioè da un lato la struttura proprietaria delle imprese (come giustamente sosteneva un attimo fa il professor Paolo Ferro Luzzi) e dall'altro lato questa capacità degli investitori istituzionali di farsi soggetti attivi e non spettatori.
Concludo con un accenno ai patti di sindacato. Al di là delle critiche di ordine dogmatico (cioè la nullità o la inefficacia), ritengo la disciplina dettata dal testo unico condivisibile. Cambierei invece idea rispetto a quella che avevo qualche anno fa in ordine alle funzioni di vigilanza sui mercati regolamentati; cioè il fatto che le società di borsa di gestione del mercato pensino di quotarsi e che vi possano essere conflitti di interesse probabilmente suggerisce di restituire alla Consob qualche potere che il testo unico ha attribuito alla società di gestione del mercato.

MAURO AGOSTINI. I poteri di listing?

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. Sì, forse qualcosa in più.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Renzo Costi per la sua relazione e do ora la parola al professor Guido Rossi.

GUIDO ROSSI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università «Bocconi» di Milano. Prima di esaminare i punti che sono stati indicati vorrei fare due premesse. La prima riguarda Bruxelles, perché in effetti faccio parte della commissione dei sette nominati dal commissario Bolkestein per presentare entro la fine del corrente mese una articolata memoria sui problemi che riguardano le offerte pubbliche di acquisto perché, come è noto, il Parlamento europeo ha bocciato la precedente proposta legislativa della Commissione europea. Purtroppo, siamo legati ad una stretta riservatezza per ovvie ragioni: forse non rivelo nessun segreto se dico che in questo momento i rapporti tra la Commissione europea, che è l'unico organo comunitario titolare dell'iniziativa legislativa, ed il Parlamento europeo, soprattutto sotto il profilo legislativo, non sono poi così «rosei» così come lo sono stati un tempo, e dunque non si vorrebbe che qualche dichiarazione prematura da parte di componenti di questo gruppo di esperti potesse poi mettere in imbarazzo la Commissione davanti al Parlamento. Una cosa però è certa, e vorrei dirlo anche con riferimento alla la visita a Bruxelles che il presidente ha proposto in calendario: ritengo che ciò sia molto importante, tuttavia occorre attenzione, perché credo che sia ferma intenzione della Commissione presentare la nuova proposta, sull'OPA entro il mese di gennaio, probabilmente durante una delle prime sedute.
Al riguardo, vi saranno forti modifiche e, da quanto appare, non dovrebbero esserci più così tanti ostacoli come si erano presentati alla prima votazione: probabilmente, la Commissione proporrà anche un'applicazione della direttiva sull'OPA molto più celere di quanto non avesse invece previsto prima, vale a dire un termine di quattro-cinque anni. Ecco, quindi, che proprio in relazione al testo unico la modifica legislativa sull'OPA sarà probabilmente, anche se non voluta, necessitata dall'intervento della direttiva comunitaria.
La seconda premessa è che mi rincresce di essere forse la solita (peraltro) voce fuori dal coro, ma la mia opinione sul testo unico non è così positiva e ottimistica come mi è sembrato di capire dalle precedenti audizioni e anche da quanto sentito dai colleghi oggi. D'altra parte, se è vero che ancora dopo tre anni il professor Costi afferma che la prassi delle società italiane quotate è caratterizzata da una grande opacità (che forse vi sarà ancora di più in futuro), vuol dire, allora, che questo testo unico non ha funzionato come doveva.


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Dico ciò per due semplici ragioni: da un lato, perché non ha toccato i due problemi che ci differenziano rispetto agli altri paesi europei nella struttura del mercato finanziario italiano che riguarda le società quotate (che sono soprattutto le strutture piramidali) e dall'altro perché, bene o male, i patti di sindacato costituiscono uno strumento di controllo perché, non dimentichiamolo, nelle statistiche siamo il paese - la percentuale è stata indicata nella relazione del presidente della Consob, - che presenta tra l'80 e l'85 per cento di società quotate eterodirette, vale a dire controllate o di diritto o di fatto attraverso i sindacati azionari.
Si tratta di una situazione assolutamente anomala in Europa e credo che sarà estremamente difficile arrivare alla creazione di un mercato europeo dei capitali che funzioni e che veda anche l'Italia inserita in questo mercato se non si tocca questo punto dolente che ci differenzia da tutti gli altri paesi. Come, non è il caso di stare qui ad indicarlo adesso.
Vengo pertanto all'altro problema che mi fa dare una valutazione negativa, a tre anni di distanza, sul testo unico. Il mercato del controllo, che sembrava essere la ragione principale, non è stato in realtà creato perché gli sporadici casi che sono avvenuti sono del tutto anomali e non hanno certo favorito il mercato del controllo delle società quotate (proprio per quella ragione che ho detto prima); inoltre, secondo l'ultima dichiarazione della Consob (e mi sembra anche nella relazione che mi è stata consegnata dall'Assonime), le norme introdotte a tutela delle minoranze non hanno funzionato.
Passiamo allora ai problemi che sono stati indicati da questa Commissione. Riguardo al potere regolamentare della Consob, ritengo anch'io che sia stato eccessivo e che, a volte, si presenti eccessivamente rigido: la dimostrazione è data, per esempio, in occasione dell'interpretazione data dalla Consob al famoso articolo 104 (la passivity rule) per la quale è dovuto in seguito intervenire pesantemente il giudice amministrativo. C'è un altro aspetto che mi inquieta abbastanza nell'esercizio di questi poteri della Consob, che non sono regolamentari ma diventano invece addirittura «condizionanti» delle operazioni che avvengono in borsa: si tratta del rilascio dei famosi pareri della Consob che arrivano sempre in ritardo, vengono richiesti dalla stessa autorità che domanda un parere scritto (perché oralmente non si può) e fino a quando non viene fornita la risposta al parere scritto invita a restare fermi. È quanto affermato anche dall'Assonime, e ciò provoca anche un ritardo gravissimo sui mercati: allora, o non chiedono che si ponga il quesito scritto oppure rispondono e non dicono, invece, che in fondo i pareri sono le cose meno importanti che devono trattare. Invece, sono importantissimi proprio per quelle ragioni di trasparenza di cui parlavano prima sia il professor Ferro Luzzi sia il professor Costi. Si tratta di ragioni di trasparenza che, a mio avviso, dovrebbero governare tutto il comportamento della Consob e tutte le decisioni che si prendono. In verità, esiste una certa opacità anche all'interno del sistema di vigilanza, proprio perché non si conoscono neanche i meccanismi di giudizio che conducono a certe decisioni da parte dello stesso organo di vigilanza.
Per quanto concerne la tutela delle minoranze non sono d'accordo sul testo unico, perché non mi sembra che le norme a tutela delle minoranze abbiano apportato qualche beneficio. L'autonomia statutaria, che sembra ormai l'argomento di moda anche nella riforma generale del diritto societario, non mi sembra sia stata mai attuata da nessuna società: che io sappia, con l'autonomia statutaria, tutte le società quotate si sono ben guardate dall'introdurre norme che potessero tutelare maggiormente le minoranze. L'azione di responsabilità al 5 per cento non ha mai avuto nessuna applicazione: è un assurdo, è una brutta copia delle derivative souds americane; mi sembra del tutto inutile e, a mio avviso, costituisce una norma che non avrà nessuna possibilità di applicazione neppure in futuro. Inoltre, nessuna convocazione dell'organo assembleare, a quanto mi risulta, è avvenuta e nessuna


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associazione di azionisti si è fatta interprete di una proxy fight all'americana che avesse qualche opportunità di riuscita; quindi, sono del parere che queste norme sono state molto teoriche ma, in realtà, poco pratiche, perché hanno tenuto conto poco della struttura del sistema finanziario italiano.
Per quanto riguarda l'OPA, in questo ambito interverrà sicuramente il Parlamento europeo e dunque probabilmente molto dovrà essere rivisto. Sulla questione delle soglie, esprimo solo delle opinioni di carattere personale: sono anch'io d'accordo che il problema principale sia il controllo; la verità è che con la struttura esistente nel sistema italiano, con più del 80 per cento delle società eterodirette; a mio avviso in questo caso è avvenuta una cosa ridicola, perché tutti si sono appostati al 29,9 per cento. Allora, badiamo bene a queste soglie, perché, se volete, ho delle catene di alcune grosse società dove in mezzo ci sta un 29,9 per cento: si tratta di grossi gruppi e delle più importanti società italiane quotate in borsa.
Allora, guardiamo anche agli altri paesi: sono state richiamate la Francia e l'Inghilterra, rispettivamente con il 30 per cento ed il 35 per cento, ma hanno organi di vigilanza che, in qualche ipotesi, possono far saltare la soglia. Allora, non dico che bisogna dare alla Consob questa grande possibilità discrezionale di determinare essa stessa quando vi sia un controllo, tuttavia lasciamo pure la soglia, ma una soglia che, in alcuni casi, ben motivati - ed è per questo che allora il principio della trasparenza delle decisioni della Consob deve essere ancora enfatizzato - può essere «saltata».
Per quanto riguarda la possibilità di abolire l'OPA obbligatoria, come voi sapete, in alcuni sistemi non c'è ed in altri, come in Svezia, non è stata introdotta perché la commissione che doveva introdurla ha sostenuto che l'OPA obbligatoria, se il mercato è efficiente, non è affatto necessaria. Oppure, si può far decidere alla minoranza se l'OPA sia obbligatoria o meno, come ho letto recentemente in un bell'articolo. In questo caso, peraltro, esprimo un parere contrario, così come sull'articolo 104 del testo unico (la passivity rule), perché le assemblee vanno sempre deserte: quando occorre il 30 per cento per decidere se ci si difende o non ci si difende, le assemblee, caso strano, vanno deserte; tuttavia, non risulta un caso strano se si pensa a quella struttura tipicamente italiana del mercato del controllo.
Una cosa che, a mio avviso, sicuramente va eliminata è l'OPA «a cascata». Tale OPA, infatti, certamente non facilita nessun mercato del controllo, anzi, lo appesantisce in un modo assolutamente «balordo»: è la moltiplicazione esponenziale dell'OPA obbligatoria. Se è vero quello che suggeriva il professor Costi, vale a dire che l'OPA obbligatoria appesantisce in realtà il mercato del controllo, l'OPA «a cascata» addirittura lo polverizza, perché non ci sarà mai più se la si applica veramente, soprattutto con un'applicazione corretta del concerto nella acquisizione del controllo e via dicendo. L'OPA «a cascata», pertanto, va sicuramente abolita. Mi rendo conto che essa è stata introdotta per via delle strutture piramidali, ma occorre colpire quelle, non aggravarle attraverso strumenti che, invece di distruggerle, le fanno crescere ancora di più.
Per quanto concerne i patti di sindacato, la mia tesi è ampiamente nota così come le polemiche che hanno avuto luogo in ambito accademico. Sono contrario ai patti di sindacato nelle società quotate e ritengo che la scelta operata dal testo unico sia piuttosto corretta, cioè quella di farli saltare al momento in cui venga lanciata un'OPA sulla quale l'OPA preventiva volontaria (su questo punto concordo con i miei colleghi) non deve avere tutte queste condizioni, per cui non esiste: il 60 per cento più le due condizioni volute dal testo unico fanno sì che poi di OPA preventiva non ne viene lanciata neanche una se non sulla totalità.
Vorrei rilevare un'altra questione inerente ai patti di sindacato: è vero che si è scelta, invece della tesi di negarne l'efficacia e la nullità, quella, invece, della


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pubblicità, vale a dire della trasparenza. A favore di questa tesi vorrei inoltre aggiungere che, se si vuole perseguire la trasparenza, soprattutto nelle società quotate, essa non deve consistere solo nel fatto di dire che esiste un patto di sindacato, ma deve esserci la trasparenza nelle decisioni del patto di sindacato. Occorre conoscere ciò che il patto di sindacato decide prima di arrivare in assemblea, quando c'è il «buio» e lo sanno solo i partecipanti al predetto patto di sindacato. Quindi, sono d'accordo con la trasparenza, ma si deve trattare di una trasparenza vera, cioè sulle decisioni del patto di sindacato.
Riguardo al tema delle società quotate in borsa, anche in questo caso sono d'accordo sul fatto che il conflitto di interesse tra i soci della Società di borsa Spa esista. In fondo, non è un caso che in Inghilterra si sia ritornati ad affidare all'autorità preposta unificata (la FSE) i criteri per l'ammissione in borsa. Insomma, in un momento in cui si discute addirittura di istituire un'unica autorità per il mercato finanziario europeo sovranazionale, ritengo giusto che si vada verso l'unificazione anche da noi invece di continuare ad avere quattro agenzie che si occupano dei mercati finanziari: mi sembra che questa sia stata anche la conclusione della famosa commissione presieduta da Lamalfussy.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri interlocutori per questo gruppo di contributi assai stimolante. Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti.

MAURO AGOSTINI. L'occasione mi sembra troppo interessante per non fare qualche rapidissima considerazione. In primo luogo, mi sembra che emerga ormai in maniera assai evidente un problema riferito alle autorità di vigilanza. Quando iniziammo la discussione sul testo unico, il problema era molto meno «maturo», perché lì si pose la questione - scusate se uso un termine troppo politico - in maniera «regressiva» piuttosto che «positiva» come la state ponendo voi oggi. Allora, infatti, si poneva la questione che il legislatore si «spogliava» troppo di alcuni poteri, delegandoli a livello amministrativo alle autorità di controllo, e dunque non c'era quella risposta in termini di controllo democratico che, invece, ci sarebbe stata se fossero rimasti in capo al legislatore o, comunque, al Governo.
Credo che allora quella soluzione di continuità rispetto al passato fu molto salutare, anche per la storia legislativa del nostro paese. Ritengo che oggi il problema si ponga su un terreno molto più avanzato non solo per l'esperienza di questi tre anni, ma anche per le questioni che si presentano. Mi sembra dunque che si vengano ad evidenziare due aspetti. Il primo è quello della ricorribilità degli atti, perché in questo clima in cui si vogliono addirittura ulteriormente restringere le autorità di controllo, non so quanto possa essere lungimirante parlare dell'istituzione di un'altra autorità che si esprima sulla ricorribilità degli atti della Consob. Tuttavia, questo sicuramente è un problema perché, trattandosi di atti amministrativi, ricadono sotto il controllo del TAR con tutte le conseguenze che ciò comporta, visto che comunque ci siamo interrogati in questi anni addirittura sulla necessità di creare delle sezioni specializzate. Ciò non è stato fatto, tuttavia, abbiamo discusso di sezioni specializzate per quanto concerne la giurisdizione. Pertanto, chiederei un ulteriore approfondimento rispetto alle vostre considerazioni su questo punto.
La seconda questione che si pone sempre a proposito della Consob riguarda, anche alla luce di quanto detto ieri, quella che è stata definita (non ricordo bene da quale dei nostri interlocutori) la necessità di una procedimentalizzazione dell'iter formativo dei regolamenti, in particolare della Consob, che vada esattamente nella direzione di quella trasparenza cui si faceva riferimento in maniera forte. Vorrei inoltre porre una ulteriore domanda: non avete trattato il tema dell'autoregolamentazione. Che giudizio date sui cosiddetti codici o comunque sulle regole di disciplina che emittenti o società di borsa si sono date in questi anni? È un'occasione


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mancata? Si tratta di una occasione che è stata colta? Hanno risposto alle opportunità che offriva la legislazione?
Infine, vorrei formulare un ultimo quesito. Gli investitori istituzionali non partecipano alle assemblee; al riguardo, mi sembra inutile fare un ragionamento ampio, perché abbiamo altre circostanze per affrontare queste questioni. Vorrei chiedere se abolire l'obbligo del deposito delle azioni per cinque giorni aiuti o no in questa direzione, cioè se possa servire o si tratti di una questione del tutto marginale che non incide assolutamente sulla partecipazione degli investitori istituzionali.
Un altro quesito riguarda l'OPA. Ricordate benissimo che la bozza di decreto delegato del Governo non conteneva la soglia vigente, bensì un soglia del 15 per cento, demandando alla Consob, nel caso di società ad alta capitalizzazione e ad azionariato diffuso, la possibilità di agire. Si è trattato, quindi, di una scelta parlamentare, nel senso che è stato il parere del Parlamento che ha poi indotto il Governo a intraprendere tale direzione. Non spetta a me dirlo, perché, tra l'altro, ero il relatore e quindi sono la persona meno indicata per esprimere un giudizio positivo o negativo. Adesso mi sembra che nelle vostre valutazioni, come ricordava anche il professor Rossi, sia stato dato uno sguardo di insieme e forse l'assetto più equilibrato fosse il 30 per cento. Al riguardo, il professor Rossi si è già espresso, quindi chiederei ai professori Ferro Luzzi e Costi la loro opinione su tale proposta, vale a dire mantenere la soglia con la possibilità, come diceva Rossi, che in alcuni casi molto ben motivati ed anche con particolari condizioni, la Consob possa essa stessa, con un suo provvedimento motivato, ritoccare questa soglia. Ed anche se il vostro parere fosse positivo, è possibile specificare meglio il termine «ritoccare», nel senso che adottiamo un range? Vorrei ulteriori delucidazioni al riguardo.
Per quanto concerne l'OPA preventiva volontaria, ritengo che si tratti di uno strumento valido e ricordo come fui l'unico sostenitore dell'OPA preventiva in un ambiente che, devo riconoscere, non era così favorevole come lo è finalmente oggi, a posteriori. Al riguardo, anch'io sono dell'opinione che essa, probabilmente, è gravata da alcuni pesi sotto il profilo procedurale che vanno alleggeriti. Forse, come è stato detto in questa sede, si potrebbe abbassare la soglia (qui è stato detto il 60 per cento) o introdurre altre procedure amministrative, ad esempio il referendum. Non credo sia questo il punto (come dicevo ieri a Gambino), ma nel momento in cui l'Unione europea si indirizzerà nella direzione indicata dal professor Rossi, forse potremmo intervenire nella legislazione nazionale come occasione per rivedere la questione dell'OPA volontaria con un intervento abbastanza limitato. Anch'io sono dell'opinione che in un mercato efficiente l'OPA sia inutile; è evidente che adottiamo questi strumenti soprattutto in considerazione di quella condizione storica del nostro mercato relativa agli assetti proprietari che è stata enunciata in questa sede.
L'ultima domanda riguarda i poteri di listing. Si tratta di una riflessione che si è aperta non solo in Italia, ma anche, come voi avete ricordato, un po' su tutto il continente. In questo ambito militano opinioni assai discordanti; ad esempio, ieri abbiamo ascoltato opinioni esattamente opposte a quelle che oggi avete esposto, perché, ad esempio, uno degli argomenti che viene avanzato a favore della sua conservazione nell'ordinamento italiano risiede nel fatto che in Italia vi sarebbe la possibilità - ancora sostanzialmente teorica - che ogni società di mercato svolga una funzione di listing, e quindi non vi sarebbe una condizione di monopolio così come potrebbe esserci altrove. Sarei interessato ad avere una vostra opinione anche su questo aspetto.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai professori Ferro Luzzi, Costi e Rossi per le repliche.

PAOLO FERRO LUZZI, Professore ordinario di diritto bancario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. Per quanto riguarda la


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questione della ricorribilità, ci troviamo in una situazione del tutto atipica in un cosiddetto mondo di diritto. Lei ha mai visto qualcuno che prima di fare qualcosa vada dal giudice penale per chiedergli un'opinione? Dopodiché, l'opinione del giudice penale, che evidentemente non era chiara nella legge, diventa l'ostacolo maggiore. A mio avviso, esiste un vizio nel contenuto, nelle modalità di esercizio di questi poteri sostanzialmente normativi che hanno un'efficacia terrificante. Ciò perché, in primo luogo, nel campo della finanza basta il tempo a rovinare ogni cosa; in secondo luogo, perché non vi è assolutamente certezza. Adesso si possono impugnare anche le comunicazioni in quanto influiscano sull'interpretazione di una norma, però credo di avere detto sin dall'origine che siamo al punto per cui si ricorre al giudice per chiedere se sia possibile intraprendere tale azione. Evidentemente, esiste qualcosa che non funziona nella incisività, nella trasparenza, nella procedimentalizzazione, perché è «buffa» un'autorità che funzioni così.
Per ciò che attiene ai codici di autotutela, a mio avviso l'occasione è un po' fallita: adesso, attraverso i reati penali della società travestiti da reati amministrativi perché si ha paura bisognerà riprovare se essa funziona; fino adesso, non mi sembra che abbia dato risultati. Gli investitori istituzionali partecipano: soprattutto quando vi è questa riunione dei voti di lista, i rappresentanti dei grandi fondi in consiglio si fanno sentire.
Riguardo al deposito nei cinque giorni precedenti, nutro molti dubbi sulla sua utilità. Non c'è tempo di rifare la storia: iscrizione, libro dei soci depositato, azioni al portatore, adesso abbiamo i certificati ed è tutto fatto. Se si obietta che determina un blocco, perché non si depositano i titoli temendo che rimangano bloccati, e quindi non siano negoziabili per cogliere l'occasione fuggente poco tempo prima, è possibile abolirlo conservando (se si riesce fare) più o meno l'idea di quanti verranno assemblea. In altre parole, il deposito è una cosa vecchissima. Per quanto riguarda le OPA, non mi pronuncio.

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. In merito alla ricorribilità, per considerare questo potere che non rientra nella divisione alla Montesquieu, la ritengo una condizione necessaria affinché i provvedimenti delle autorità indipendenti siano conformi al nostro dettato costituzionale. Certo, esiste questa singolare richiesta dell'opinione preventiva, ma si tratta di ricorribilità dinanzi al giudice. Il problema sarebbe quello di individuare l'autorità giudiziaria competente e qui, sinceramente, diventa molto difficile, perché in teoria dovrebbe esserci un minimo di competenza; con tutto il rispetto nei confronti di alcuni organi giurisdizionali e di consulenza, spesso quando vengono richiesti pareri su questo punto, è come se ci si attendesse il lancio della monetina: potrebbe cadere da una parte o dall'altra, non c'è nessuna prevedibilità. Dunque, ritengo la ricorribilità assolutamente necessaria. Naturalmente, vi sono problemi sulle modalità con cui conciliare la ricorribilità con la tempestività.
Sulla domanda se i codici di autodisciplina abbiano «risposto», vorrei fare una prima considerazione: mentre negli altri paesi i codici di autodisciplina sono nati per iniziative delle industrie, in Italia sono nati per iniziative non delle imprese ma della borsa. Tutte le volte in cui si è cercato di fare qualche riforma (da qualche anno facciamo i «garzoni» del legislatore, anche se io da qualche anno ho cessato), le uniche proposte che venivano da coloro che avrebbero dovuto formulare i codici di disciplina non erano dirette a cambiare sostanzialmente le regole vigenti. Probabilmente, il codice di autodisciplina della borsa, come diciamo tutti noi, è un po' «timido»; tuttavia, credo che stia avendo qualche incidenza, anche se in maniera non uniforme: vi sono società quotate che lo ignorano completamente, mentre ve ne sono altre che lo utilizzano attentamente (ad esempio, la funzione dell'audit committee è particolarmente importante in alcune società, quindi non direi che sia privo di importanza). La norma degli illeciti amministrativi della legge


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n. 231 ha sicuramente valorizzato il ruolo dell'organizzazione e dunque dei codici.
Per quanto riguarda il deposito, a mio avviso è possibile eliminarlo: non so se sia importante per consentire la trasparenza del voto da parte di chi ha depositato cinque giorni prima, e quindi non corre a comprare le ultime azioni, ma queste sono le motivazioni lontane. A me sembra che l'autorevolezza di un grande investitore istituzionale che interviene in assemblea non è legata tanto al numero delle azioni, ma al sostegno e quindi basta depositare una azione. Personalmente, sono un amministratore indipendente in una grande società, nominato dagli investitori istituzionali: i governi non mi hanno mai nominato, né in passato, né nel presente e quindi, su questo profilo, l'indipendenza che è assicurata. Trovo quindi che i contatti che abbiamo speso con gli investitori istituzionali rappresentino uno strumento di informazione e siano importanti anche sotto il profilo del ruolo che gli investitori istituzionali svolgono.
Per quanto riguarda la soglia dell'OPA, sono un «non sospetto» sostenitore dell'opportunità di differenziare le soglie in considerazione del grado di capitalizzazione o di azionariato, perché credo di averlo scritto già alcuni anni or sono; quindi sono assolutamente d'accordo con la possibilità di apportare delle modifiche alle soglie in considerazione delle caratteristiche dell'azionariato. Per quanto riguarda l'OPA preventiva, credo che qualche alleggerimento, anche per quanto riguarda ad esempio l'entità (cioè il 50 per cento) probabilmente sarebbe utile.
Per quanto riguarda il listing, anche se non vi è stata una richiesta specifica, ho già espresso la mia valutazione: credo che, al di là del fatto che vi possano essere più mercati con regole diverse, con società di gestione diverse (in realtà, su questo punto il testo unico non ha consentito, come mi sembrava invece opportuno, di discriminare tra mercato e mercato), non mi sembra un argomento per negare l'opportunità di riatribuire alla Consob l'individuazione dei requisiti per la quotazione.

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. Sarò brevissimo perché mi trovo assolutamente d'accordo con alcune delle considerazioni già espresse. Per quanto riguarda la ricorribilità, sottoscrivo pienamente quanto ha già detto il professor Ferro Luzzi e pertanto non ho nulla da aggiungere. Vorrei invece dire qualcosa sui principi dell'autoregolamentazione e sulle cosiddette regole di autodisciplina, the codes of best practise. Abbiamo fatto un conto l'altro giorno: ormai sono più di quaranta, una diversa dall'altra. Tali codici hanno avuto una ragione di nascita che va considerata: essi nascono negli Stati Uniti nel momento in cui in finisce l'era dei take over perché si sono accorti che le scalate (le OPA varie) erano troppo costose e quindi gli investitori istituzionali hanno cercato un modo per controllare l'atteggiamento degli amministratori nel perseguimento dell'interesse sociale al fine di evitare che questi ed i manager delle società adottassero comportamenti egoistici.
Ed allora hanno inventato loro i codici best practise, come codici in realtà privati; è da qui che nasce poi tutto il concetto molto di voga del contrattualismo societario, della società concepita come insieme di contratti. Devo dire una cosa, però: questi codici, se hanno una qualche funzione, della quale peraltro si inizia a dubitare anche negli Stati Uniti, la hanno soltanto laddove vi siano delle public companies, perché là dove non esistano public companies fanno ridere: laddove c'è un sindacato di voto o il controllo dell'azionista al 50 più 1 per cento, il codice di autoregolamentazione fa assolutamente ridere ed è un imbroglio, è un tentativo per legittimare operazioni che altrimenti non dovrebbero essere legittimate.
La legge n. 231 sulla responsabilità penale delle società è diversa, perché questo non è un code of best practise, è un compliers program: essa, infatti, serve non ad organizzare meglio la struttura dell'organo amministrativo e del management della società, ma ad evitare il danno soltanto qualora mi sia attenuto a quel


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tipo di comportamento (che, tra l'altro, non mi detto io ma deve essere approvato da un organo pubblico - e qui è il Ministero che lo approva -). Quindi, è completamente differente, perché è diretto ad uno scopo che è tutt'affatto diverso: riguarda la responsabilità penale o amministrativa della società e non, invece, il controllo degli azionisti sui comportamenti degli amministratori.
Sulla Consob sono d'accordo e sull'OPA preventiva volontaria mi sono già espresso. Devo dire che in questo caso un'ulteriore indicazione sul testo unico è una trappola nella quale spesso cadiamo nell'ambito del diritto societario: esiste questo centralismo assembleare per cui i soci hanno il diritto non solo di vendere le loro azioni - come dovrebbero averlo - ed il diritto di essere liberi di vendere le loro azioni, come del resto è lo scopo fondamentale dell'OPA, ma anche quello di approvare prima se possano poi vendere le loro azioni o no. Questa mi sembra francamente una duplicazione eccessiva: lasciamo che decidano tranquillamente se stare nella società o uscire, ma non facciamoli deliberare se è giusto che si dia loro la facoltà di uscire e vendere le loro azioni.
Per quanto concerne i poteri di listing, sono assolutamente d'accordo sul fatto che vengano restituiti alla Consob perché la Società di borsa, ad imitazione della Consob stessa, si sta burocratizzando anche lei. In questo caso, il problema delle autorità è enorme: se si pensa che il mercato americano come quantità di capitalizzazione è esattamente il doppio di tutti i mercati europei messi insieme e negli Stati Uniti esiste un unico organo di vigilanza, la SEC (Security Exchange Commission) mentre in Europa ce ne sono quaranta di cui quattro soltanto in Italia, dico che questo è sistema che quantomeno va sfoltito e che, semmai, occorre caricare di più la trasparenza, come ho detto prima, delle attività della Consob ed anche la sua responsabilità, perché su questo punto sono assolutamente d'accordo. A mio avviso, anche la Consob deve essere responsabile e non deve restare assolutamente impunita anche nei pareri che fornisce: ritengo ciò assolutamente necessario.

PRESIDENTE. Non intendo formulare altre domande, tuttavia vorrei fare un'osservazione. Si parte sempre dalla premessa che esiste una debolezza del capitalismo italiano che le leggi dovrebbero curare. Il professor Rossi sostiene che la malattia del capitalismo italiano è la sua stabilità (i patti di sindacato e via discorrendo) e la contendibilità rappresenta, pertanto, la medicina.
Personalmente, non ho questa opinione perché non sono un giurista. Osservo le questioni da un altro punto di vista, e non condivido tale opinione sotto due aspetti. Il primo è stato già formulato dal professor Ferro Luzzi nel suo primo intervento in cui ha già distinto (a mio avviso giustamente, con riferimento al modello anglosassone) tra i fondi di investimento e i fondi pensione. Ora, dal momento che in Italia non esistono i fondi pensione, rendiamo drammaticamente contendibile il controllo societario non avendo alcun elemento di stabilità come quello di lungo periodo dato proprio dai fondi pensione. In secondo luogo, la contendibilità va vista anche in rapporto al medio periodo: le società vanno considerate degli organismi che operano non solo per la massimizzazione del valore immediato di borsa, ma che servono, attraverso gli investimenti, a generare condizioni di crescita del progresso tecnologico e dell'occupazione. Siamo sicuri che una grande contendibilità, come quella che deriva dalla bontà di tutto il sistema dei patti di sindacato, ci dia un sistema capitalistico italiano - non anglosassone - più forte?
Infine, vengo alla questione italiana: siamo un piccolo paese dal punto di vista della dimensione capitalistica. È legittimo, prudente e ragionevole «smontare» ogni possibilità - per così dire - di una certa «difesa»? Questo è un argomento molto delicato ma che in campo bancario, ad esempio, il governatore della Banca d'Italia ha affrontato: non sempre gli si può dare ragione, qualche volta gli si dà torto,


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però, molto spesso, la preoccupazione che lo muove è la preoccupazione del controllo dal punto di vista dell'efficienza della società bancaria ma anche l'intestazione dal punto di vista del passaporto, del controllo. Allora, possiamo del tutto scartare questa preoccupazione di cui bisogna parlare con garbo, trattandosi di tema nazionalistico? Al riguardo, gradirei un ulteriore, breve commento.

RENZO COSTI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università di Bologna. Il commento vero verrà fatto da Guido Rossi, che mi sembra il destinatario di questa riflessione. Credo che, così come nel testo unico, si sia alla ricerca di un equilibrio tra stabilità e contendibilità: è inutile elencare adesso tutti gli istituti che possano essere funzionali all'uno o all'altro obiettivo, ma il testo unico sicuramente non sposa come unico valore la contendibilità. Vorrei fare, invece, una piccola osservazione per quanto concerne il sistema bancario: un conto, è infatti, la stabilità del sistema assicurata dalle regole di vigilanza prudenziale sulle banche le quali dovrebbero, pertanto, essere in grado di garantire la stabilità delle banche a prescindere dalla proprietà, laddove peraltro essa abbia presenti talune caratteristiche...Capisco che in realtà noi apriamo e gli altri chiudono e pertanto vi sono grandi problemi di politica concreta (ad esempio in materia di energia); tuttavia, almeno dal punto di vista dei principi, mi sembra che sia l'ordinamento a dettare regole che si preoccupano della stabilità delle banche.
Infine, per quanto riguarda gli assetti proprietari, esistono certe caratteristiche ma non c'è un piano regolatore del credito. Avevo esordito dicendo che l'epoca della vigilanza strutturale, in cui l'autorità stabilisce qual è la struttura ottima del mercato e decide quando e dove si devono aprire gli sportelli, chi deve avere e non deve avere le autorizzazioni perché siano corrispondenti al proprio piano regolatore del credito, almeno in teoria, dovrebbe risalire agli anni trenta, non al 2001.

PAOLO FERRO LUZZI, Professore ordinario di diritto bancario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma. Sono d'accordo con il professor Costi sul fatto che nel testo unico non vi fosse una scelta precisa. Devo dire, tuttavia, che all'epoca la contendibilità «accesa» era un po' una bandiera che il testo unico non ha recepito, perché oscilla. Ho la netta impressione (ho detto una bandiera, non una realizzazione) che nel testo unico non si sia realizzata ed adesso, anche a livello di bandiere, stia cambiando. Il testo unico di per sé non sposa direttamente la contendibilità.

PRESIDENTE. L'OPA non è un elemento che riduce la contendibilità, come lei ha detto: ne aumenta il costo ma è uno strumento per far crescere il mercato: essa nasce, quindi, per mobilitare il capitale e la vendita delle azioni. La ragione istitutiva dell'OPA è quella di abituare il piccolo azionista a non subire passivamente il controllo della maggioranza e quindi a tirar fuori dal cassetto le sue azioni e venderle. Quindi, il suo scopo è quello di impedire di poter controllare, con il 30 per cento o con il 20 per cento delle azioni, una società formidabile che poi, magari, così non risulta essere. Pertanto, il fatto che il testo unico preveda l'OPA non vuol dire che ciò dimostri che la stabilità era ritenuta uno degli elementi principali.

GUIDO ROSSI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università «Bocconi» di Milano. Si potrebbe discutere all'infinito sui temi posti dal presidente; tuttavia, debbo dire che in occasione di una polemica giornalistica tra il professor Draghi e il sottoscritto, egli ha sostenuto che, in realtà, il principio fondamentale del testo unico era la contendibilità: che poi sia riuscito o no, si tratta di un altro discorso, ma egli mi accusava, invece, di non averne tenuto conto.
Per quanto riguarda le osservazioni di base del presidente vorrei dire che, a mio avviso, vi sono soltanto due punti da tenere forse in considerazione. Il primo di questi riguarda il fatto che ormai in Europa stiamo parlando di un mercato integrato europeo unico e che la situazione


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degli altri paesi non presenta una stabilità che, invece, intendiamo sposare mediante questo schema. In secondo luogo, vorrei aggiungere che rispetto a quello degli altri paesi, il mercato finanziario italiano, forse proprio per avere voluto tutelare maggiormente questa stabilità, il valore del controllo ed il comportamento opportunistico dei gruppi di controllo, è certamente quello che in Europa ha garantito meno il consumatore. Personalmente, non vorrei finire come l'asino di Buridano: preferire la stabilità o la tutela del risparmiatore-investitore in una dimensione europea? Senza dubbio, vi sono rischi da entrambe le parti: il problema è quello di scegliere.

PRESIDENTE. Ringrazio anche a nome della Commissione gli esperti intervenuti a questa audizione estremamente interessante. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.25.