Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 15,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente.)
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva inerente l'esame dei progetti di legge C. 27 Stefani, C. 291 Massidda, C. 498 Bono, C. 1417 Onnis, C. 1418 Onnis, C. 2016 Benedetti Valentini, C. 2314 Serena, C. 3533 Pezzella e C. 3761 Bellillo, recanti «Modifiche alla legge n. 157 del 1992, protezione della fauna selvatica e prelievo venatorio», l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole Confagricoltura, CIA, Copagri e Coldiretti.
Sono presenti: per la Confagricoltura, il dottor Andreotto Gaetani, rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale, e l'avvocato Giorgio Buso, capo dell'area legislativa; per la Coldiretti, il dottor Stefano Masini, responsabile dell'area territorio e ambiente; per la CIA, il dottor Marino Berton.
Rivolgo un saluto ai nostri ospiti e do loro la parola.
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Desidero anzitutto ringraziare la Commissione per averci invitato a questa audizione, che per noi è molto importante in quanto il rapporto tra il mondo venatorio e l'attività agricola è determinante, anche in considerazione del tema della multifunzionalità previsto dalla politica agricola comune.
In linea generale, concordiamo sull'esigenza, manifestata dall'onorevole Onnis e da altri deputati, di riconsiderare la legge n. 157 del 1992. Si tratta infatti di una legge che risale a undici anni fa, è nata in un particolare momento storico ed è frutto di lunghissime mediazioni e di una profonda dialettica. Ritengo, pertanto, che al fine di rivedere tale legge occorra riaprire un ampio confronto: l'incontro di oggi è uno dei momenti principali di tale confronto, ma non l'unico.
Va sottolineato che, ferma restando la disponibilità a modificare la legge n. 157 del 1992, una serie di principi sui quali si è raggiunta molto faticosamente un'intesa non debbono essere abbandonati. Mi riferisco al principio della concertazione, al principio della pariteticità del mondo agricolo e dei cacciatori negli organismi di gestione, al principio della gestione comune, al principio dell'attualità di coltivazione, al principio dei fondi chiusi con una recinzione di un metro e venti. Non riteniamo sia oggi il momento di riparlare dell'articolo 842 del codice civile, ma crediamo che consentire agli imprenditori agricoli che desiderano svolgere adeguatamente
il proprio mestiere di realizzare recinzioni dell'altezza di un metro e venti dimostri la sensibilità del legislatore nei confronti delle imprese agricole. Altrimenti - lo diciamo con molta chiarezza - meglio sarebbe non toccare nulla.
È inoltre molto importante considerare quello che sta accadendo negli altri paesi europei, nei quali la caccia è gestita in modo completamente diverso, come emerge dalla documentazione predisposta dagli uffici, della cui competenza e serietà desidero dare atto. Occorre ragionare sull'attività venatoria in modo equilibrato, corretto e sereno, con il consenso di tutti, affinché essa sia veramente una risorsa della multifunzionalità a favore delle aziende agricole, del mondo venatorio e, per quanto riguarda il ripopolamento e la presenza faunistica, del mondo ambientalista.
Riteniamo, dunque, che occorra fare riferimento ai principi europei e alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo del 29 aprile 1999, relativa all'inviolabilità del diritto di proprietà: non è il caso di impugnarla, ma è il caso di ricordarla. Si tratta di un argomento molto rilevante, al pari dell'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, anche esso relativo al diritto di proprietà.
Passo ora alle considerazioni tecniche, sulle quali è altresì opportuno confrontarsi. Per quanto riguarda le date e le specie, non si tratta di un problema agricolo. Esiste però il problema della difesa delle colture in atto, che nel periodo in questione sono particolarmente presenti. Su questo c'è poco da discutere, non occorre attendere che intervenga la regione: se c'è una coltura in atto, c'è una coltura in atto!
Non entro nel merito dei problemi giuridici relativi alle competenze regionali, al Titolo V della Costituzione, alle competenze comunitarie, alle date di anticipo della chiusura del periodo venatorio: quello che ci preme è che sia prevista una difesa efficace. Al riguardo, nel documento che consegneremo alla Commissione ci siamo permessi di suggerire specifiche proposte di modifica.
Un analogo ragionamento va fatto per quanto riguarda le specie. Non intendiamo entrare nel contenzioso relativo alle singole specie, ma bisogna dire chiaramente che le specie dannose dal nostro punto di vista sono solamente - forse ne dimentico qualcuna - lo storno, il piccione e il cormorano nonché, tra i mammiferi, la nutria. In tali casi più che di caccia si può parlare di prelievo effettuato da soggetti autorizzati, senz'altro anche da cacciatori o da agricoltori, purché autorizzati. Non vorremmo si pensasse che l'allargamento delle specie viene attuato con il consenso di agricoltori che considerano tutte le specie dannose (il fringuello, ad esempio, non lo è).
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Le gazze potrebbero esserlo: quando, a seguito di un censimento, ciò sarà indicato dall'Istituto nazionale della fauna selvatica, anche l'agricoltore potrà prelevarle.
Tutto ciò anticipa un importante ragionamento, per il quale può essere opportuno modificare la legge n. 157 del 1992. Dopo dieci anni la situazione faunistica è profondamente mutata, in particolare per quanto riguarda il problema della gestione degli ungulati (cinghiali, cervi, caprioli, e via dicendo). A nostro avviso, la gestione del patrimonio faunistico deve essere migliorata - considerando che la gestione del controllo delle specie in eccesso non può essere, di fatto, affidata ai cacciatori, che, come gli agricoltori, sono degli strumenti operativi - attraverso un'intesa e con strumenti di concertazione e tecnico-scientifici.
LUIGINO VASCON. E i censimenti chi li fa?
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale
della Confagricoltura. L'Istituto nazionale della fauna selvatica, d'intesa con gli operatori locali.
LUIGINO VASCON. Sa quante riserve di caccia ci sono in Italia?
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Mi sembra siano 987.
LUIGINO VASCON. Pensi quanti tecnici servono solamente per effettuare i censimenti!
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. La riserva di caccia è un altro istituto.
Per quanto riguarda alcune aree ad alta intensità agricola, come i vigneti del Chianti ed altre colture particolari, alcune specie faunistiche, d'intesa con la regione, non possono essere accettate (quest'anno in Toscana sono stati già abbattuti 50.000 cinghiali).
Quanto al risarcimento dei danni, ritengo che non sia questa la soluzione del problema dell'eccesso delle specie. Ringrazio, comunque, l'onorevole Onnis e gli altri presentatori della proposta di legge che prevede la costituzione di un fondo ad hoc, che, se venisse finanziato, sarebbe senz'altro auspicabile. Le regioni non hanno fondi disponibili e non li preleveranno autonomamente dalle tasse: quindi, proponiamo una percentuale specifica del 20 o del 30 per cento.
Inoltre, riteniamo che i fondi chiusi - ricollegandosi ad una volontà dell'impresa agricola di carattere privato, non avendo creato problemi ai cacciatori ed essendo superfici obiettivamente ridotte sotto il profilo dei costi - non possano essere computati nella percentuale di area protetta. In alcune regioni, come la Puglia, è vietata la costituzione di fondi chiusi (ad esempio, un agricoltore che recinta la sua casa): questo non ci sembra equo.
In attuazione della normativa comunitaria, è cambiata la gestione di alcune aziende agricole, con la costituzione di aziende biologiche e agrituristiche. Le prime, che non hanno grandi dimensioni ma sono molto presenti sul territorio e con elevata intensità agricola, per principio svolgono un'operazione agricola ambientale e, tra l'altro, sono sottoposte ad una certificazione per controllare se il territorio sia contaminato da altre situazioni. Non mi soffermo sul problema del piombo e del saturnismo, ma riteniamo che nelle aziende biologiche si possa consentire il ripopolamento a favore dei cacciatori. Le aziende agrituristiche, che negli ultimi dieci anni hanno avuto un'enorme crescita, offrono ristoro e riposo a moltissimi turisti: non credo sia di buon senso che questi passeggino in campagna mentre sono in corso attività venatorie. Anche in questo caso potrebbe essere consentita un'attività di ripopolamento a favore del mondo venatorio, ma in tali aree bisogna creare condizioni di maggiore serenità.
Negli anni in cui fu approvata la legge sulla caccia, anche con l'aiuto del compianto onorevole Rosini, si discusse a lungo sulla questione degli ambiti territoriali. Sulla base del parere dei tecnici e degli esperti, quello territoriale di caccia era considerato un ambito di gestione tecnica della fauna e dell'ambiente. Senza entrare nel merito del problema della mobilità del cacciatore, che per quanto ci riguarda può essere amplissima, se si creasse un istituto di gestione del territorio, questo dovrebbe essere vicino al territorio stesso, altrimenti si tratterebbe di una commissione. Peraltro, sull'ambito territoriale di caccia a carattere provinciale esprimiamo un parere nettamente contrario, così come sul fatto di non prevedere una gestione paritetica con il mondo agricolo: questo, infatti, è uno dei principi per il quale ci battemmo dieci anni fa.
Infine, non vorrei dare l'impressione che gli agricoltori intendano «staccare» un ticket dall'attività venatoria: non è questo il problema. Non abbiamo parlato di proprietà della selvaggina, ma riteniamo che la fauna sia in funzione della modifica del territorio. Infatti, tutte le volte che si
interviene sul territorio con attività di coltivazione, si verifica un aumento o una diminuzione della fauna selvatica. Riteniamo debba essere approfondita la proposta delle aree convenzionate (come in Francia), dove agricoltori e cacciatori si mettono d'accordo su quali colture ed aree migliorare per l'ambiente. Tutto ciò va fatto sulla base di un'intesa, attraverso strumenti di carattere convenzionale o contrattuale, con il mondo venatorio, il quale deciderà chi dovrà essere o meno presente.
STEFANO MASINI, Responsabile aria territorio e ambiente della Coldiretti. Per formulare alcune osservazioni ho recuperato l'accordo del 1984 sulla riforma della caccia, dal quale è scaturito il grande progetto di gestione del governo del territorio e delle risorse faunistiche tra le confederazioni agricole e le associazioni venatorie, sul quale sarebbe opportuno riflettere in relazione alle parti non attuate.
Dopo la legge n. 157 del 1992, infatti, ci impegnammo a parlare di caccia responsabile, che si svolgesse cioè all'interno di un grande progetto di gestione dell'ambiente, del territorio e delle sue risorse: quindi, di una caccia intesa come forma di gestione estensiva del territorio. Dall'esame delle proposte di legge presentate, pur interessanti ed apprezzabili, emerge l'omissione di un rinnovato legame tra agricoltura e caccia come forma di gestione delle risorse. Vengono trattati alcuni argomenti che non corrispondono alla necessità odierna di ricomporre un quadro normativo in un tessuto coerente con il decreto legislativo n. 226 del 1991 (la cosiddetta legge di orientamento in materia agricola), che potrebbe dotare gli ATC dei contratti territoriali, una volta chiariti alcuni elementi normativi dell'istituto (ente pubblico o privato) nelle varie leggi regionali, e potrebbe fornire una lettura territoriale della caccia in uno scenario di riforma della politica agricola comune. Mancano infatti elementi di sostegno alla multifunzionalità, la definizione di una politica di accordi negoziali, una disciplina diversa in materia di risarcimento dei danni e di sviluppo di alcuni elementi volti a valorizzare la tipicità della fauna.
Se vogliamo realizzare una modifica, dovremo considerare il cinghiale come un prodotto tipico della campagna toscana, un prodotto che, essendo allevato, diverrebbe proprietà dell'agricoltore, e non fauna selvatica. Se intendiamo incrementare il circuito della ristorazione e delle sagre, dovremo valorizzare la risorsa come prodotto.
Poiché le proposte di legge presentate hanno diversi orientamenti, apprezzabili sul piano della sistemazione dei reati, ma non hanno prestato l'attenzione da noi richiesta al fenomeno agricoltura, non formuleremo suggerimenti in quanto siamo favorevoli ad una riconsiderazione complessiva e, in questa fase, ad una applicazione più attenta della legge n. 157 del 1992. Auspichiamo, inoltre, che si giunga ad una sospensione dell'esame delle proposte di legge e si approfondiscano, attraverso un'attività conoscitiva, alcuni aspetti che sul piano giuridico rischierebbero di creare conflitti. Mi riferisco sostanzialmente a tre aspetti: i parchi, i calendari e le forme di caccia.
Per quanto riguarda il primo aspetto, quello relativo ai parchi, sarebbe necessario tenere conto dell'orientamento della Corte costituzionale in merito al principio di destinazione differenziata del territorio agrosilvopastorale. È chiaro che - condividiamo l'assunto di base - l'aumento dell'estensione complessiva del territorio destinato a parco non è sufficiente a realizzare un sistema durevole di conservazione. I parchi - ne siamo convinti - hanno interpretato una stagione di difesa vincolistica dell'ambiente che non è più sostenibile per gli agricoltori. Oggi dobbiamo introdurre un concetto di gestione flessibile del territorio nel suo complesso, che consenta anche alle regioni di tenere conto di istituti di programmazione e di tutela del territorio, diversi da quelli funzionalmente, per legge, legati all'esclusione della caccia. Bisogna introdurre il concetto di parco rurale.
Se si dovesse modificare la legge n. 157 del 1992, non si potrebbe omettere di riconsiderare la legge n. 394 del 1991, altrimenti si rischierebbe di frantumare la gestione del territorio. Questo è il vero valore che i principi cardine della pianificazione agrosilvopastorale e della programmazione delle risorse faunistiche introducono e che attraverso gli ATC dobbiamo valorizzare, anche sperimentando istituti amministrativi nuovi, come gli accordi di programma, che dovrebbero risolvere il contenzioso tra ATC ed ente parco. Attualmente le aree contigue sono «terra di nessuno» e penalizzano una gestione della fauna che non conosce limiti di territorio.
Sarebbe quindi necessario riconsiderare anche alcune norme della legge n. 394 del 1991, con riferimento al controllo e al contenimento numerico delle popolazioni presenti. In quest'aula si affrontano problemi estremamente «nobili» dell'agricoltura, ma spesso gli agricoltori affrontano problemi riguardanti i danni provocati da cinghiali, caprioli e ungulati vari, che sono molto più gravi, per le economie individuali di molti imprenditori, della questione precedentemente esaminata.
Per quanto riguarda le forme di caccia, sarebbe necessario «leggere» la riforma del Titolo V della Costituzione attraverso il rovesciamento dell'elencazione delle competenze. Riteniamo che un cambiamento nelle competenze sia avvenuto; si può considerare la caccia appartenente alla competenza regionale, ad esempio per quanto riguarda la distribuzione delle forme e delle modalità di accesso agli appostamenti.
Infine, in relazione alle stagioni di caccia (a parte fare salve le forme di coltivazione in atto, in particolare nel periodo di cosiddetta preapertura), la sentenza n. 536 del 2002 è chiarissima e dovrebbe costituire un'utile chiave di lettura. In essa è espressamente riportato che «se può ritenersi che gli aspetti più strettamente connessi alla regolamentazione dell'esercizio venatorio rientrino nella competenza regionale (...), non potrebbe comunque dubitarsi che la competenza attribuita allo Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema costituisca limite alla potestà regionale nella materia». Al di là della condanna della regione Sardegna, il discorso riguardante la competenza risulta attratto da una dimensione europea, conseguentemente alla disciplina concorrente di fonte comunitaria, che costituisce un principio per la regione e per lo Stato.
È a livello comunitario che si stabilisce il limite di tutela della fauna legato al periodo di nidificazione delle varie fasi di riproduzione e di dipendenza.
Riteniamo che, evitando di sollevare problemi legati alla mancanza di un quadro di concertazione del tessuto delle associazioni che hanno contribuito al progetto culturale alla base della legge n. 157 del 1992, sia necessario ridefinire la stagione venatoria, in quanto la competenza è radicata nella fonte comunitaria, nella direttiva. Richiediamo, quindi, attività conoscitive di approfondimento anche con le istituzioni comunitarie, al fine di trovare una maggiore intesa. Tanto più che nel provvedimento di delega in materia ambientale vi sono aspetti strettamente connessi a quello del territorio su cui si esercita la caccia che sembrerebbero sfuggire ad una rimodulazione coerente ed organica con questa legge, che tuttora costituisce un elemento portante dell'attività di programmazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Masini.
Mi preme evidenziare che un eventuale intervento sulla legge quadro per le aree protette, la legge n. 394 del 1991, coinvolgerebbe le competenze della Commissione ambiente.
MARINO BERTON, Rappresentante della CIA. Ringrazio il presidente della Commissione per l'invito a partecipare all'audizione odierna.
La nostra confederazione non intende entrare nel merito dell'articolato dei nove progetti di legge presentati, ma svolgere alcune considerazioni sul tema della protezione
della fauna selvatica e dell'esercizio venatorio che, dal nostro punto di vista (quello di una associazione che rappresenta gli imprenditori agricoli), resta comunque correlato a due aspetti, uno dei quali di carattere generale, cioè il fatto di considerare le politiche venatorie parte delle più generali politiche di governo e di gestione del territorio che hanno nell'approccio al tema venatorio specificità di particolare interesse.
Ciò premesso, le nostre considerazioni sul tema possono essere così sintetizzate. Noi confermiamo una posizione di collaborazione con il mondo venatorio, in un rapporto di reciproco rispetto e senza pregiudizi. In altre parole, continuiamo a pensare che si possa ancora costruire un rapporto costruttivo e positivo, ma la legge quadro nazionale - la n.157 del 1992 - rappresenta un riferimento imprescindibile, soprattutto per alcuni principi in essa espressi.
Ci permettiamo di sottolineare l'articolo 1, che tutti voi conoscete benissimo, per la portata dei principi che in esso si esprimono rispetto al patrimonio indisponibile dello Stato. Ci è sembrata quasi una provocazione, in alcuni progetti di legge, parlare di res nullius, ma ci permettiamo di sottolineare anche la portata dell'articolo 14 nella gestione programmata della caccia per ambiti territoriali definiti.
Per noi agricoltori rapportarci con un cacciatore che è legato ad un territorio significa conoscerlo, relazionarsi con esso, costruire intese, accordi e anche una giusta azione di controllo rispetto all'attività venatoria. Per noi, un cacciatore che si aggira negli ambiti con un numero identificativo (e che quindi può essere segnalato alla gestione dell'ambito nel caso in cui commetta delle infrazioni o rovini le nostre coltivazioni) è un elemento importante (magari, poi, si tratterà di un cacciatore che, una volta conosciuto, apprezzeremo, con cui collaboreremo, con il quale proveremo a costruire intese e modalità per migliorare i nostri reciproci interessi).
A più di dieci anni dalla promulgazione della legge quadro nazionale sulla caccia e mentre la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha avviato l'esame di nove proposte di modifica, sottolineiamo un elemento: mai, se non parzialmente, è stata presentata in Parlamento la prevista relazione annuale sullo stato di attuazione della suddetta legge (salvo il documento presentato alla Commissione e riferito al periodo fino al 1997, peraltro piuttosto parziale). Risulta quindi difficile esprimere un giudizio compiuto sulla legge in materia se non si parte da un'analisi di quanto è avvenuto in questi dieci anni.
Riteniamo che il principio «conoscere per deliberare» rimanga sempre molto attuale e che nel corso degli anni non sia stato scalfito. Quindi, ci piacerebbe avere un quadro completo su come effettivamente stanno andando le cose. Per esempio, ci interesserebbe sapere in quante regioni siano stati istituiti gli ambiti territoriali di caccia, come funzionino, quale sia il tasso di partecipazione, oltre ad ulteriori aspetti legati all'applicazione della legge n. 157 del 1992. Ciò nonostante, riteniamo opportuno tenere conto delle modificazioni del patrimonio faunistico nazionale che si verificano nel corso degli anni, in particolare per i cinghiali e i cervidi, la cui proliferazione, in assenza di predatori naturali, provoca problemi alle aree agricole e forestali, rendendo necessaria una riconsiderazione dell'opportunità del prelievo faunistico.
Anche a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale e della modifica del titolo V della Costituzione, risulta ancora più evidente che in materia venatoria bisogna tenere conto del fatto che vi sono competenze legislative articolate a livello europeo, nazionale e regionale. Riteniamo che il quadro legislativo debba necessariamente tenere conto di questo.
La nostra confederazione è interessata alle politiche venatorie per i riflessi che queste hanno su tre fondamentali elementi. Innanzitutto, sulle politiche di gestione del territorio agricolo e forestale. In secondo luogo, sulle opportunità offerte alla multifunzionalità delle imprese agricole, anche alla luce degli indirizzi - che qui sono stati ricordati - della politica
agricola comunitaria e della legge di orientamento. Infine, sul mantenimento della biodiversità, sulle politiche agroambientali legate alle direttive dell'Unione europea e sulla protezione degli uccelli.
In particolare, siamo interessati alla partecipazione attiva dei rappresentanti delle categorie agricole, alla gestione degli ambiti territoriali di caccia, a sviluppare e promuovere le opportunità che l'esercizio e la gestione della fauna cacciabile può offrire alle imprese agricole (mi riferisco alle aziende faunistico-venatorie, alle aziende agrituristico-venatorie, agli allevamenti di fauna selvatica, ai campi di addestramento cani, ai centri di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, così come previsto dall'articolo 10 della legge nazionale, alle azioni di ripristino ambientale a scopo di ripopolamento).
Siamo preoccupati per i ritardi che, da più parti, ci vengono segnalati nella liquidazione dei danni causati dalla fauna selvatica alle colture agrarie. Anche le modalità ed i criteri di accertamento del danno evidenziano problemi e sperequazioni. Chiediamo con forza che tali danni vengano risarciti integralmente e non, come ora accade, laddove ciò avviene, con contributi irrisori del danno reale.
Infine, auspichiamo criteri e regole che possano concretamente attivare azioni di prevenzione del danno: vorremmo, cioè, che fossero attivate iniziative atte a prevenire i danni. In presenza di popolazioni che, presumibilmente, potranno causare danni importanti a colture specializzate, si possono e si devono attivare iniziative in tal senso.
Riteniamo che vada intrapresa un'iniziativa più efficace per la riduzione del danno conseguente alla proliferazione incontrollata di talune specie (mi riferisco agli ungulati e ai volatili), che arrecano danni alle colture agrarie e alle produzioni ittiche (per esempio, ai cormorani), incentivando la prevenzione e l'autodifesa, peraltro già prevista dall'articolo 19 della legge nazionale.
Abbiamo rispetto per l'autonomia delle associazioni venatorie, e quindi siamo dell'avviso che talune questioni specifiche, legate ad aspetti particolari dell'esercizio sportivo e ricreativo della caccia, debbano essere oggetto di un confronto diretto tra le stesse associazioni venatorie e le istituzioni nazionali, regionali e provinciali. In altre parole, non vorremmo essere coinvolti in una discussione sui cani, sui colpi, sui numeri, insomma su aspetti molto particolari, ma vorremmo affrontare i temi fondamentali che ci vedono coinvolti, salvaguardando comunque il lavoro delle imprese agricole e la corretta gestione del territorio.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Berton.
Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
LUIGINO VASCON. Mi dispiace che solamente i rappresentanti presenti oggi abbiano risposto all'invito rivolto dalla Commissione, per nome e per conto delle rispettive associazioni di categoria. Ogni occasione è comunque utile per un confronto e, se pure le posizioni possono essere diverse ed alcuni possono vantare una maggiore esperienza, il confronto costituisce la base democratica per qualsiasi tipo di azione, in particolare da parte del Parlamento.
Prima di entrare nel merito, vorrei premettere che sono un cacciatore e caccio in tutta l'Italia e l'Europa, tempo permettendo. La legge n. 157 del 1992, pur avendo una visione venatoria europea, è una legge nata male, zoppa, vecchia. Essa è il frutto di un orrendo compromesso tra la Democrazia cristiana e i Verdi di allora, e - aggiungo -, se nel giro di soli undici anni è già considerata da «rottamare», possiamo immaginare quali devastanti effetti abbia prodotto nel mondo venatorio, in quello agricolo e in quello ambientale!
Vi è una visione - ed una gestione - purtroppo estremamente limitata a livello nazionale, perché ogni regione ha la proprie tipicità, ambientali, faunistiche e tradizionali. Vi sono diversità addirittura all'interno delle regioni medesime. Pertanto, ci troviamo di fronte a situazioni specifiche,
rappresentate ad esempio, in alcune parti d'Italia, da una presenza eccessiva di ungulati o di determinate specie di volatili che definirei nocive, tant'è che in alcune province ne è previsto l'abbattimento per 365 giorni l'anno. Ciò nonostante, alcune specie sono addirittura inserite tra quelle cacciabili: sono cose dell'altro mondo!
Desidero ricordare a quanti hanno parlato di piccioni, cormorani, e quant'altro, che è stato sempre possibile cacciare tali specie: è sufficiente un provvedimento comunale (nei comuni amministrati dal partito di cui faccio parte è stata adottata una delibera ad hoc). Sappiamo che il piccione costituisce un problema per l'agricoltura. Cito come esempio l'area dalla quale provengo, la zona di produzione del mais da seme del Veneto: per un piccione il mais è un invito a nozze! Voi tutti sapete quanto sia delicata la selezione del seme e quanti danni arrecano la tortora dal collare, il piccione torraiolo, e via dicendo.
In quest'area siamo intervenuti a livello amministrativo locale, ma ora, grazie alle deroghe consentite in virtù di una legge (da me proposta quale primo firmatario) approvata il 17 settembre scorso, sono state inserite a livello regionale tra le specie nocive il piccione, il cormorano, lo storno e il passero. Per alcune specie nocive che non sono cacciabili, come la nutria, la regione ha comunque provveduto prevedendo un abbattimento che sarebbe erroneo considerare un prelievo, perché si tratta di un abbattimento per motivi igienico-sanitari (peraltro previsto dalla legge, in particolar modo per gli ungulati). Tale abbattimento viene effettuato dai cacciatori: di solito si tratta di pensionati, ai quali l'ambito territoriale fornisce gratuitamente le munizioni e quant'altro serve loro. Pertanto, c'è già un'azione di cooperazione.
Ciò che mi spaventa - lo dico con molta franchezza - è che vengono rivendicate - a torto o a ragione, questo è da stabilire - norme che andrebbero a condizionare l'impianto della legge sull'esercizio venatorio. Perché, piaccia o non piaccia, al di là della buona volontà di chi si attiva per promuovere iniziative in tema agrario, agricolo e venatorio, dobbiamo renderci conto del fatto che la caccia è di competenza regionale. Lo Stato ha il compito di adottare una legge quadro nazionale che preveda le linee generali per l'esercizio dell'attività venatoria; spetta poi alla regione la formulazione della propria legge regionale. In tal modo si tiene conto delle specificità di cui non si può tenere conto a livello nazionale. Pertanto, una volta imbastito il palinsesto, che deve raccogliere principalmente le norme di testo unico per l'esercizio venatorio, il resto è di espressa competenza delle regioni.
Considerate la regione dalla quale provengo, il Veneto: quale altra regione d'Italia ha la laguna, e quindi le zone umide, e contemporaneamente i laghi, le montagne, le colline e le pianure? Emergono dunque diversità gestionali, ambientali e faunistiche. La fauna è una cosa delicatissima: il dottor Gaetani ha parlato dei censimenti. Sono un appassionato di censimenti: è meraviglioso andare a censire i cervi al bramito, è un momento fantastico! Sapete quante persone sono necessarie per censire i cervi in una montagna? Sappiate che il bramito è un brevissimo lasso di tempo durante il quale i cervi sono in amore, e quindi fanno rumore e si possono vedere, cosa che altrimenti non è possibile: ciò avviene, infatti, durante brevissimi spazi di tempo nell'arco della giornata, all'alba e al tramonto. In una montagna, per quanto piccola possa essere, sono necessarie tra le cinquanta e le sessanta persone: non si può infatti essere dappertutto, bisogna appostarsi in silenzio, altrimenti i cervi non si fanno vedere. Quindi, o si lascia il censimento alle riserve alpine - e abbiamo censimenti certificati, in quanto in Italia per fortuna è cresciuta di gran lunga la cultura dell'attività venatoria nei confronti di quello che io chiamo l'ungulato nobile, perché un conto è il cinghiale e un conto è il cervo -, o si va incontro a difficoltà. La mia interruzione nei confronti del dottor Gaetano mirava ad introdurre una riflessione di questo tipo.
C'è poi un tipo di fauna che, credo anche per la sua specificità, non è stata
citata. Il dottor Masini ha parlato di cinghiali da recinto: a quel punto si tratta di un allevamento di suini, anche dal punto di vista della proprietà; non possiamo inserire l'allevamento di animali selvatici e metterlo in carico alla gestione faunistica! La stessa cosa vale per i recinti di lepri, utilizzate a fini riproduttivi, e per volatili quali il fagiano, la starna o la quaglia, la quale è addirittura allevata per la macellazione: in alcune zone dell'Italia settentrionale vi sono capannoni che ospitano milioni di esemplari che ogni venti o al massimo trenta giorni vengono macellati; la stessa quaglia viene inoltre utilizzata per le prove cinofile. In buona sostanza, non possiamo confondere l'attività di allevamento, per quanto rurale ed agricola, con la gestione del patrimonio faunistico nazionale.
C'è un insieme di passaggi che, a mio avviso, meritano considerazione e approfondimento. Quando il dottor Gaetani ha detto che ci dobbiamo fermare qui perché dobbiamo lavorarci sopra, ha ragione: dobbiamo confrontarci e lavorarci sopra!
Il problema relativo alla recinzione di un metro e venti è a mio avviso discutibile: in alcuni casi, infatti, la recinzione dovrebbe essere più alta, in altri più bassa oppure sollevata rispetto al terreno.
Concordo con le osservazioni del dottor Gaetani sulle colture in atto, ma, come egli sa bene, la tutela delle colture in atto è già prevista dalla legge n. 157 del 1992: non si può entrare nei campi sfalciati, per un determinato periodo di tempo dopo la sfalciatura; non si può entrare all'interno di colture quali gli uliveti (l'uliveto è sempre una coltura in atto, non occorre l'oliva appesa, c'è una giurisprudenza al riguardo).
C'è pertanto una serie di questioni sulle quali dobbiamo trovare un punto di incontro e tessere una tela, che però non sia quella di Penelope, perché altrimenti è meglio che ciascuno segua la propria strada!
Credo che il mondo agricolo debba assolutamente essere coinvolto, ma deve esserlo in maniera propositiva, come ad esempio accade in Francia. Conosco bene la realtà francese, nella quale non è possibile accedere in aree di proprietà privata senza il consenso del proprietario o del conduttore del fondo. Se c'è tale consenso, si accede senza pagare nulla, contrariamente a quanto accade in Austria, dove si paga (conosco e frequento tali realtà). La Francia è molto ligia per quanto riguarda il passaggio del cacciatore, che non deve lasciare traccia di sé, ma dobbiamo considerare che in quel paese l'attività venatoria riguarda al 99 per cento gli ungulati. Quindi, il relativo prelievo viene fatto in maniera codificata, attraverso la vigilanza gestita dalla guardia forestale, che non ha nulla a che vedere con quella italiana perché è pagata dai proprietari dei terreni. Esiste, dunque, un monitoraggio diverso.
In Austria la guardia forestale controlla la salubrità dei boschi, la presenza di infestanti e, quindi, esiste una considerazione del patrimonio completamente diversa. Le proposte di legge presentate sono nelle mani di un ottimo relatore, ma il collega Onnis sa che dobbiamo approvare un testo che abbia dei riferimenti precisi e non interpretabili; in caso contrario, non faremmo un ottimo servizio né all'agricoltura né ai cacciatori, ma complicheremmo un esercizio venatorio già tanto conteso e spesso anche ingiustamente diffamato.
Esistono delle giuste aspettative per quanto riguarda la rifusione dei danni procurati dagli animali selvatici, ma non dobbiamo attingere ancora una volta alle risorse versate dal mondo venatorio. Nessuno vorrebbe la nutria perché, quando se ne insedia una colonia, crea dei danni enormi, non solo alle colture, ma anche all'ambiente (perfora ed indebolisce incessantemente gli argini, provocando straripamenti ed allagamenti di strade e case). Pertanto, ritengo sia giusta e motivata la richiesta di creare un fondo per il risarcimento di danni causati da animali selvatici, inseriti o meno nel calendario venatorio, ma bisogna prendere in considerazione le questioni serie per rispondere alle richieste oggettivamente riscontrabili.
SAURO SEDIOLI. Ringrazio le organizzazioni intervenute per il contributo fornito
alla nostra discussione. Abbiamo insistito molto sulle audizioni delle parti interessate ed abbiamo ritenuto che non si potesse procedere alla discussione di nuove proposte di legge senza questo contributo di idee, di proposte e, soprattutto, senza conoscere l'iter applicativo della legge n. 157 del 1992 (la relazione a nostra disposizione risale al 1997, cioè agli anni meno significativi). Riteniamo, inoltre, che il Governo debba riferire sugli esiti dell'incontro della commissione ministeriale a Bruxelles: ci risulta che non siano stati così positivi da sostenere le proposte di legge avanzate e rischiamo di illudere i cacciatori con provvedimenti irrealizzabili.
Riteniamo che in questa discussione sia necessario conoscere la posizione del Governo, che - attraverso l'incaricato del ministro Alemanno, Berlato - ha annunciato in più occasioni la presentazione di un suo provvedimento (mi è stato riferito che questo avverrà sicuramente a Venezia), il quale andrà valutato anche rispetto alla riforma del titolo V della Costituzione e alle competenze regionali.
Siamo partiti con la presentazione di nove proposte di legge che contengono posizioni estreme e pericolose. Crediamo che, tutto sommato, la legge n. 157 del 1992 abbia consentito di raggiungere un equilibrio e che, romperlo senza un supporto scientifico adeguato, rischierebbe di peggiorare la situazione. Per tali motivi, non siamo disponibili a stravolgere la normativa contenuta in tale legge; il percorso prospettato, invece, potrebbe creare le condizioni per un confronto capace di dimostrare che alcune questioni possono essere risolte senza attendere la riforma.
Credo che la prima preoccupazione delle organizzazioni agricole sia quella di non dimenticare il comparto agricolo, il territorio rurale e i coltivatori: su questo siamo perfettamente d'accordo e dovremo rispondere alle preoccupazioni e alle attese dei coltivatori.
ORLANDO RUGGIERI. Ringrazio anch'io le associazioni presenti per l'apporto fornito alla Commissione, anche se ciò non mi impedisce di esprimere una nota di delusione per gli interventi, che, a mio parere, hanno interpretato in modo corporativo la legge n. 157 del 1992, che ha valenze decisamente più ampie e apre spazi di lavoro più vasti tra associazioni venatorie, ambientaliste e mondo agricolo.
Tali interpretazioni sono state anche inframmezzate da considerazioni che evidenziano un approccio eccessivamente ideologico e non sufficientemente costruttivo. Ad esempio, il passaggio riguardante la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157 mi fa pensare che vi sia un fine dilatorio, mentre la questione dovrebbe essere posta in termini più costruttivi.
Bisogna uscire dal «pantano» della discussione generale sulla legge n. 157: è innegabile che si tratta di una buona normativa, che apre spazi per tutte le associazioni, ambientaliste, venatorie ed agricole. Non è intenzione di nessuno smantellare tale legge, ma ritenerla scritta sulla pietra, come si trattasse di una tavola di Mosè, è una concezione incompatibile con i lavori parlamentari. Debbono essere prese in considerazione alcune modifiche, pur mantenendo l'impalcatura della normativa, che coinvolge tutti nella gestione del territorio, ma senza ottiche ideologiche o, peggio ancora, corporative, che invece mi sembra di avere colto nel dibattito odierno.
FRANCESCO ONNIS. In primo luogo, intendo ringraziare anch'io gli autorevoli rappresentanti delle organizzazioni agricole, non solo in quanto ci hanno onorato della loro presenza, ma perché hanno fornito un contributo puntuale e costruttivo all'indagine che la Commissione sta svolgendo nell'ambito dell'esame delle proposte di legge di modifica (e sottolineo il termine modifica) della legge n. 157 del 1992.
Credo vi sia un consenso unanime sullo snodo della questione parlamentare, che è anche una questione giuridica: nessuno intende - è stato ripetuto da più parti - fare «carta straccia» di tale legge, né stravolgere o modificare radicalmente l'impianto di questo corpo giuridico riguardante
l'esercizio venatorio. Tutti i presentatori delle proposte di legge hanno preso spunto dall'esigenza - che mi sembra sia stata condivisa dalle associazioni presenti - di migliorare lo spessore e la portata della legge quadro vigente.
Posso assicurare ai rappresentanti delle organizzazioni agricole presenti che la Commissione, ed in particolare il sottoscritto, si muoverà tenendo presente una «stella polare» assolutamente irrinunciabile ed obbligatoria: il prelievo venatorio, quale sarà regolamentato a seguito delle modifiche apportate alla legge n. 157, sarà sempre, e soprattutto, compatibile con l'attività agricola. Su tale aspetto non possono esservi dubbi di sorta: dovrà essere una regolamentazione totalmente rispettosa dell'attività agricola.
È nota la simbiosi naturale esistente tra mondo agricolo e venatorio; la solidarietà, la vicinanza, la compattezza e l'interscambio tra i due mondi sono assolutamente cruciali per un possibile prelievo venatorio, come è sempre stato da quando si è ritenuto necessario regolamentare l'attività venatoria con legge. Per questo motivo, penso di poter obiettare al dottor Masini, il quale si è lamentato del fatto che le proposte di legge non prevedono innovazioni in riferimento alle tematiche agricole, che quanto è previsto dalla legge n. 157 in materia rimane assolutamente immodificato. I principi cui si faceva riferimento richiamando l'accordo del 1984, recepiti nella legge con piena soddisfazione del mondo agricolo, rimarranno inalterati.
Intendo anche rimarcare che, se nel corso dell'esame delle proposte di legge emergessero ulteriori esigenze del mondo agricolo, da parte nostra vi sarà la massima disponibilità a prenderle in considerazione ed, eventualmente, a trasfonderle in modifiche del testo normativo.
Non intendiamo stravolgere la legge perché siamo convinti della valenza dell'innovazione legislativa nel mondo venatorio ed agricolo italiano. La legge n. 157 del 1992 ha introdotto principi che non intendiamo affatto sovvertire. Concetti come la fauna della collettività hanno rappresentato un momento di responsabilità, di civilizzazione e di crescita anche del mondo venatorio: una cosa è sostenere che la fauna selvatica sia di proprietà dell'inventore o una res nullius, come sostenevano gli antichi; altra cosa è valutare, e quindi orientare la propria condotta sul dato giuridico che la fauna è proprietà della collettività. Colui che si impossessa della fauna si impossessa di un bene della collettività ed è, quindi, consapevole che può fare ciò soltanto in quanto da essa ha ricevuto l'autorizzazione, o meglio, la concessione, quale è la licenza di caccia. Tale principio cardine della legge n. 157 deve essere assolutamente rispettato: se continuerò ad essere relatore sulle proposte di legge in materia, eventuali tentativi di modificarlo non troveranno presso di me alcuna udienza.
Allo stesso modo, deve essere rispettato un altro principio di civiltà, il recepimento delle direttive comunitarie e l'allineamento doveroso alla normativa comunitaria. Nessuno intende metterlo in discussione. Però, dal momento che la lettura di questi principi e la portata dei testi normativi può influire sul prelievo venatorio, non debbono discenderne per i cittadini italiani regole di condotta più penalizzanti, che comportino sacrifici maggiori rispetto a quelli che debbono essere affrontati da altri Stati europei.
Non sempre da queste normative discendono regole puntualmente fissate: non è espresso da alcun principio comunitario, ad esempio, che il prelievo venatorio debba cessare il 31 gennaio. È noto che molti Stati europei sono andati al di là della interpretazione del principio comunitario, certamente errata, secondo cui il prelievo dovrebbe cessare il 31 gennaio: la Francia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna hanno consentito il prelievo venatorio sino a periodi molto successivi, comprendenti anche il mese di febbraio.
Ecco perché, alla luce del discorso sulle date - del quale prendo atto -, fermo restando il rispetto delle regole comunitarie, bisognerà consentire anche in Italia quanto già previsto altrove. Soprattutto, bisognerà consentire una lettura delle
norme comunitarie non nel senso voluto da coloro che si oppongono per principio ad una dilatazione dei tempi del prelievo venatorio ma, al contrario, nel senso consentito dalle norme comunitarie suddette.
Per quanto riguarda poi il discorso sulle specie, non vi è l'intendimento - neppure è scritto - di modificare tali specie (in più o in meno). Semmai, l'intervento potrà riguardare due o tre specie al massimo (forse neppure quelle). Potrà, invece, essere presa in seria considerazione - questo è un messaggio che ritengo si possa responsabilmente lanciare al mondo ambientalista - l'ipotesi di ridurle. In effetti, esiste la possibilità del prelievo di specie che, dal punto di vista venatorio, non hanno alcuna rilevanza.
Per quanto concerne i problemi e i temi che più specificamente riguardano il mondo agricolo, oltre a ringraziarvi, aggiungo che sarà potenziato il rispetto delle colture in atto (che pure è già nella legge). Sappiamo, infatti, che la caccia non può essere esercitata nei terreni in attualità di coltivazione (per la verità, non si tratta di un principio molto nuovo, perché risale ai primi del '900, quando, regolamentata la caccia, si disse che in quei fondi essa non poteva essere praticata).
Infine, trovo particolarmente penetrante il rilievo da voi mosso con riferimento alla esigenza di ricompensare il mondo agricolo dei danni che possono derivare da un esercizio non sempre corretto del prelievo venatorio. Ritengo che, qualora si arrivasse all'elaborazione di un testo unificato, si potrà introdurre una norma per la costituzione di un fondo da destinare al risarcimento dei pregiudizi economici eventualmente subiti dagli agricoltori a causa dell'esercizio dell'attività venatoria.
Tuttavia, si tratterebbe di un versante sul quale la legge dello Stato potrebbe intervenire soltanto per stabilire i principi, poiché l'esercizio effettivo dei poteri derivanti spetterebbe alle regioni. Per quanto riguarda, per esempio, il cinghiale, trovo interessante l'ipotesi di impedire la presenza di questo selvatico laddove produce danni gravissimi: esamineremo questa possibilità (cioè, se sia possibile, in certe situazioni agricole di particolare delicatezza, intervenire per evitare la presenza di tale animale).
Dedicheremo molta attenzione anche alle esigenze delle aziende biologiche (anche se ritengo che l'attività di prelievo venatorio possa essere compatibile con la presenza e la gestione di tali aziende) e prenderemo in esame lo stesso problema anche con riferimento alle aziende agrituristiche.
Certamente, gli interventi dovranno andare nella direzione di stabilire delle regole-principio - si tratta sempre di una legge quadro -, consentendo alle regioni l'esercizio di quei poteri e di quelle facoltà che sono ad esse già stati assegnati, anche a seguito della modifica della Costituzione. Per esempio, con riferimento alla dimensione degli ambiti di caccia, comprendo che bisogna salvaguardare il legame tra cacciatore e territorio, ma ritengo altresì opportuno che la determinazione delle dimensioni dei territori all'interno dei quali tale legame dovrà essere attuato venga rimessa alle regioni. In altre parole, saranno esse, e non lo Stato, a stabilire se vogliono un ambito di un chilometro quadrato o di mille chilometri quadrati. Lo Stato, infatti, non ha una coscienza del territorio altrettanto approfondita, anzi, nella maggior parte dei casi, si trova in una posizione di reale distanza da esso. Per questo motivo non è in grado di gestirlo nel migliore dei modi.
Si è accennato anche al problema dei parchi, che è contiguo a quello del prelievo venatorio. Desidero tuttavia ricordare che esiste una legge quadro, la cui modifica è già oggetto di iniziative oggi all'esame del Parlamento. Non c'è dubbio che, ad un certo punto, bisognerà riequilibrare la situazione, ma sempre nel rispetto delle esigenze dell'agricoltura, anche all'interno di quei territori dove è, dovrà o potrà essere costituito un parco.
Vi ringrazio ancora per la vostra collaborazione, che ritengo debba continuare ed essere arricchita da ulteriori incontri e contributi, perché tutti noi sappiamo che il rapporto di collaborazione tra i due
mondi dei quali in questo momento stiamo discutendo è cruciale e ad esso nessuno di noi intende rinunciare.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
MARINO BERTON, Rappresentante della CIA. Signor presidente, per quindici anni ho calcato le aule della commissione agricoltura di un consiglio regionale che ci invitava ad esprimerci attraverso audizioni su provvedimenti in materia agricola. Quasi sempre ci trovavamo di fronte a commissioni distratte, quasi mai i relatori e i commissari interloquivano con noi.
Devo quindi darle atto e merito, signor presidente, della estrema attenzione con cui questa Commissione ci ha oggi ascoltato - lo abbiamo molto apprezzato - e della disponibilità al confronto da parte di tutti i commissari. Per l'esperienza passata, non posso che qualificare tutto ciò in termini molto positivi.
Ciò premesso, una battuta nel merito vorrei riservarla all'intervento dell'onorevole Onnis. Pur considerando in maniera molto positiva le sue argomentazioni, vorrei evidenziare il fatto che in una delle due proposte di legge da lui presentate vi è un riferimento alla dimensione degli ambiti (si prevede, infatti, che gli ATC debbano avere dimensioni non inferiori a quelle della provincia). Non vi è, quindi, un rinvio tout court alla decisione delle regioni ma una definizione esplicita, quanto meno nella dimensione della provincia. Questo, per noi, costituisce un problema perché fissando comunque un tetto (che non può essere inferiore a una certa soglia), non si rimette alle regioni la scelta delle dimensioni degli ambiti di caccia. Sarebbe invece più opportuno concedere ad esse tale facoltà in maniera completa.
FRANCESCO ONNIS. Ma infatti io ho parlato nella prospettiva dell'elaborazione di un testo unificato, che non sarebbe mai, comunque, il testo della mia proposta!
MARINO BERTON, Rappresentante della CIA. È chiaro, la ringrazio.
STEFANO MASINI, Responsabile area territorio e ambiente della Coldiretti. Ho molto apprezzato l'eleganza con cui l'onorevole Onnis ha recuperato un ragionamento sul valore della legge n. 157, ma ricordo che quei principi sono stati legati non ad un compromesso politico o partitico, bensì ad una profonda elaborazione culturale, alla base della quale il territorio torna ad essere un elemento centrale nella disciplina di una materia quale la caccia che, fino al 1992, era priva di strumenti di piano di concertazione nella gestione, così come di strumenti, quali gli ambiti, attraverso i quali poter far valere le politiche agricole all'interno di territori gestiti attraverso il principio di sussidiarietà. Quindi, quando parliamo di ambiti, dobbiamo sicuramente legarne le dimensioni alla caratterizzazione territoriale, ma attraverso procedure di concertazione tra le associazioni presenti.
Desidero tuttavia ribadire, qualora non fossi stato sufficientemente chiaro, che, non introducendo le proposte di legge in esame elementi di innovazione o di significativo scostamento rispetto alla legge n. 157 del 1992, non ne avvertiamo - forse le nostre parole saranno lette in termini corporativi - l'urgenza e la necessità, né esse soddisfano le esigenze delle nostre imprese, che vanno in tutt'altra direzione.
Possiamo parlare in termini diversi, non di risarcimento dei danni ma di gestione delle specie selvatiche che creano danni all'agricoltura, ovvero in termini di disponibilità di strumenti di controllo. Se i piani di abbattimento ex articolo 19 della legge n. 157 non sono sufficienti, andiamo a vedere quali sono gli strumenti amministrativi che ci consentono di intervenire in maniera più adeguata, per poi parlare di risarcimento, prevenzione, fondi assicurativi, eccetera. Si tratta di un capitolo che manca, così come manca....
PRESIDENTE. Mi dispiace interromperla, ma il tempo a nostra disposizione sta terminando. La prego di concludere.
STEFANO MASINI, Responsabile area territorio e ambiente della Coldiretti. Mi
consenta, signor presidente, solo una battuta: la mancanza di sufficiente considerazione per i problemi dell'agricoltura richiederebbe, ad avviso della Coldiretti, una più adeguata attenzione nell'organizzazione dei tempi dei lavori parlamentari, in modo da rendere possibili tutte le modifiche necessarie a far sì che le proposte di legge in esame non si limitino ad intervenire sulle norme in tema di caccia, ma intervengano anche sulle norme in materia di territorio, di agricoltura e di ambiente.
ANDREOTTO GAETANI, Rappresentante del servizio ambiente e sviluppo rurale della Confagricoltura. Desidero sottolineare l'intesa fra noi e il dottor Berton e il dottor Masini.
Ritengo che il tema in esame debba essere ulteriormente approfondito e che i principi della legge n. 157 del 1992 non debbano essere stravolti, in particolare quello della pariteticità nella gestione degli ambiti. Concordo inoltre con l'osservazione del dottor Masini relativa alla dimensione di tali ambiti.
Reputo pertanto opportuno un momento di riflessione e rinvio, per il resto, al documento che consegneremo alla Commissione. Vogliamo migliorare la situazione, non peggiorarla; se una delle componenti della triade che gestisce il territorio, costituita da agricoltori, cacciatori e ambientalisti, va nella direzione opposta rispetto alle altre, non realizzeremo nulla di buono.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole che sono intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,30.