COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 19 febbraio 2003


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro della salute, professor Girolamo Sirchia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della normativa sull'esercizio della libera professione medica intramuraria, l'audizione del ministro della salute, professor Girolamo Sirchia.
Prima di dare la parola al ministro, che ringrazio per la disponibilità, ricordo che la Commissione ha sino ad oggi svolto su tale argomento sette audizioni, ascoltando ben quarantasette soggetti interessati alla finalità dell'indagine conoscitiva; quella odierna è l'ultima delle audizioni previste dal programma.
Invito pertanto i deputati che successivamente all'intervento del ministro vorranno porre quesiti e richieste di chiarimento ad attenersi strettamente all'oggetto dell'indagine conoscitiva e a contenere il tempo dei rispettivi interventi, in considerazione del previsto inizio dei lavori dell'Assemblea alle ore 15. Do la parola al ministro.

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. Per la dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale la materia dell'attività libero professionale è in genere disciplinata dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal decreto legislativo n. 229 del 1999, e, per alcuni aspetti, dalle successive leggi finanziarie.
Per attività libero professionale intramuraria si intende l'attività che il dirigente sanitario, individualmente o in équipe, fuori dall'orario di lavoro e dalle attività previste dall'impegno di servizio, esercita nelle strutture (dell'azienda e con l'azienda convenzionate), sia ospedaliere sia territoriali, in regime ambulatoriale, di day hospital, o di ricovero, a favore e su libera scelta dell'assistito e con oneri a carico dello stesso o di assicurazioni o di fondi sanitari integrativi.
È considerata, altresì, attività libero professionale intramuraria anche la possibilità di partecipare ai proventi di attività richieste a pagamento da singoli utenti, in strutture di altre aziende o in altra struttura sanitaria non accreditata o nella stessa azienda di appartenenza. Sono assimilate, infine, all'attività libero professionale le prestazioni richieste ad integrazione di quelle istituzionali dalle aziende ai propri dipendenti allo scopo di ridurre le liste di attesa.
L'attività libero professionale intramuraria è configurata dalla legge come un diritto del sanitario, il quale fa sorgere a carico dell'azienda sanitaria di appartenenza un obbligo giuridico di attivare le strutture e gli spazi per l'esercizio di tale diritto. Conseguentemente, il direttore generale,


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ai sensi della legge n. 448 del 1999, articolo 72 «fino alla realizzazione di proprie strutture e spazi distinti per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria in regime di ricovero e ambulatoriale, è tenuto ad assumere le specifiche iniziative per reperire, fuori dell'azienda, spazi sostitutivi in strutture non accreditate, nonché ad autorizzare l'utilizzazione di studi professionali privati».
Il richiamato obbligo del direttore generale è sanzionato. Infatti, come dispone l'atto di indirizzo e coordinamento sull'attività libero professionale, emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 marzo 2000, e come ribadisce la legge dello Stato, «la mancata assunzione da parte del direttore generale di tutte le iniziative per consentire il pieno esercizio della libera professione intramuraria costituisce causa impeditiva per il rinnovo dell'incarico e, nei casi più gravi, motivazione per la decisione di revoca dell'incarico di direttore generale». È previsto, altresì, che «le regioni tengono conto dell'attivazione dell'organizzazione dell'attività libero professionale intramuraria, in sede di verifica dei risultati amministrativi e di gestione ottenuti dai direttori generali... ai fini della corresponsione della quota integrativa del trattamento economico».
L'atto di indirizzo e coordinamento del 27 marzo 2000, emanato di intesa con la Conferenza Stato-regioni ha disciplinato compiutamente le modalità di esercizio dell'attività libero professionale intramuraria, accogliendo la quasi totalità delle richieste delle organizzazioni sindacali della dirigenza sanitaria, tra cui anche la possibilità, in caso di carenze di strutture e spazi idonei aziendali, dentro o fuori le strutture, di utilizzare per l'attività libero professionale intramuraria ambulatoriale studi professionali privati, ivi compreso quello proprio (possibilità quest'ultima espressamente prevista dalla legge, all'articolo 3 del decreto legislativo n. 204 del 2000, limitata al 31 luglio 2003).
Inoltre, per consentire la realizzazione delle strutture in cui esercitare l'attività libero professionale intramuraria, il decreto legislativo n. 254 del 2000 ha autorizzato investimenti in conto capitale prevedendo la possibilità che le regioni utilizzino complessivamente sino a 930 milioni di euro nell'ambito delle risorse disponibili, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 67 del 1988. Le somme sono state ripartite con il decreto 8 giugno 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 2001. L'ammissione al finanziamento e l'erogazione dei finanziamenti stessi avviene secondo le procedure per l'attuazione del programma di investimenti ex articolo 20. Finora sono stati ammessi al finanziamento trentacinque interventi, per un valore di 104.722 euro, pari a 202 milioni di lire circa.
Il limitato numero di finanziamenti è dovuto alla stretta correlazione strategica ed attuativa dello specifico programma di investimenti per la libera professione con il più generale programma di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie ex articolo 20, che ha determinato l'esigenza espressa da molte regioni di unificare l'attività progettuale per ottenere economie di scala e coerenze qualitative e quantitative, maggiormente evidenti per gli interventi riferiti alla stessa struttura ospedaliera o ambulatoriale. Ciò ha imposto lo slittamento della presentazione delle richieste di finanziamento dovuto alle necessarie verifiche progettuali.
Nella consapevolezza che la carenza di personale di supporto è, in molti casi, una criticità del sistema, il richiamato atto di indirizzo e coordinamento del 2000, per agevolare il coinvolgimento del personale di supporto nell'attività libero professionale, ha infine previsto che una quota dei proventi fosse ripartita tra il personale stesso (infermieri, tecnici ed altro).
In conclusione, almeno da parte del Parlamento e del Governo, è stato fatto tutto il possibile per la realizzazione del nuovo istituto.
Qual è la situazione a fronte di questo sforzo?
Nonostante l'incentivo delle indennità di esclusività di rapporto, l'interpretazione «estensiva» delle previsioni di legge sui limiti dell'attività libero professionale (non


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solo l'attività nei propri studi, ma anche molte altre disposizioni dell'atto di indirizzo e coordinamento che hanno poi legittimato interpretazioni ancora più permissive a livello regionale), le sanzioni della revoca dell'incarico e della riduzione degli emolumenti previsti nei confronti dei direttori generali inadempienti, la messa a disposizione di specifiche risorse in conto capitale per le strutture, si deve constatare che l'istituto dell'attività libero professionale intramuraria è stato realizzato relativamente in poche aziende ed in modo molto differenziato da regione a regione, in alcuni casi con palese illegittima elusione delle limitazioni previste dalle disposizioni di legge.
L'attività libero professionale, in quasi tutte le regioni, è prevalentemente limitata all'attività ambulatoriale, svolta sia in ambito aziendale (assorbendo una parte di quella istituzionale già svolta dalle aziende) sia negli studi ed ambulatori esterni autorizzati.
L'attività libero professionale in regime di ricovero è svolta quasi per intero in strutture esterne all'azienda, convenzionate con l'azienda stessa. Si deve, pertanto, prendere atto che non è stato attuato il principale obiettivo degli istituti dell'esclusività del rapporto e dell'attività intramuraria da parte del personale a rapporto esclusivo: favorire l'effettiva libertà di scelta della prestazione e del medico da parte del malato attraverso una offerta di prestazioni sanitarie più adeguata alle esigenze dei cittadini, una più completa gamma di prestazioni e servizi a tariffe calmierate ed una risposta più tempestiva ed articolata al bisogno di salute. Parimenti, non è stato raggiunto lo specifico obiettivo di concorrere alla progressiva riduzione delle liste di attesa attraverso un aumento quali-quantitativo delle prestazioni istituzionali.
In materia di riduzione di liste di attesa, già il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2000 aveva previsto una dettagliata disciplina, indicando le iniziative che i direttori generali dovevano a tal fine assumere; successivamente, il decreto-legge n. 402 del 2001, convertito nella legge n. 1 del 2002, ha previsto la possibilità di ottenere prestazioni aggiuntive, libero professionali, da parte degli infermieri e dei tecnici sanitari di radiologia, da destinare anche a prestazioni finalizzate alla riduzione delle liste di attesa; infine, tale possibilità è stata espressamente prevista dall'accordo fra il Governo e le regioni, sancito dalla Conferenza Stato-regioni in data 14 febbraio 2002.
Nonostante le richiamate disposizioni, l'esigenza di una progressiva riduzione delle liste di attesa è stata generalmente disattesa. Le iniziative, assunte al riguardo dalle regioni, utilizzando l'istituto della libera attività professionale intramuraria, hanno dato solo in parte i frutti sperati, anche in considerazione delle limitate risorse finanziarie disponibili.
Passo adesso ad elencare gli aspetti positivi di questo istituto. È indubbio che l'attività libero professionale intramuraria consenta ad una limitata percentuale di sanitari di incrementare i propri introiti professionali. Come evidenzia il documento dell'Agenzia per i servizi regionali, i proventi dei sanitari si attestano, per l'anno 2001, su 710 milioni di euro, pari a 1.375 miliardi di vecchie lire. Tale somma, contrariamente alla indennità di esclusività del rapporto (che ormai è corrisposta a circa il 93 per cento dei medici), viene ripartita prevalentemente tra poche migliaia di sanitari che effettivamente esercitano l'attività libero professionali in ambito aziendale, ed in quota minima anche al restante personale. L'attività libero professionale, dunque, costituisce per alcuni una sostanziale fonte aggiuntiva di proventi professionali.
Un ulteriore aspetto positivo è la possibilità, laddove l'istituto è stato correttamente realizzato, di offrire al cittadino prestazioni più tempestive ed un trattamento alberghiero migliore e personalizzato, nonché soprattutto la facoltà di scelta del sanitario di fiducia. L'attività libero professionale, inoltre, se bene organizzata, consente un più adeguato utilizzo delle strutture, delle attrezzature e delle


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apparecchiature (per esempio, nei giorni festivi e di sera), con riduzione degli oneri di ammortamento.
Vorrei illustrare adesso gli aspetti negativi. Per quanto concerne i costi aggiuntivi per le aziende, la legge sancisce espressamente che nessun onere aggiuntivo può ricadere sulle aziende per l'attività libero professionale intramuraria e che a tutti gli oneri connessi alla predetta attività si debba far fronte con i proventi dell'attività stessa.
Su questa problematica, il direttore dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali ha fornito, nell'audizione del 28 novembre 2002, elementi di valutazione alla Commissione, specificando che i corrispettivi complessivi pagati dai cittadini ammontano a 710 milioni di euro (circa 1.375 miliardi di vecchie lire) e che alle aziende residuano, a compensazione dei costi sostenuti, solo 93 milioni di euro (180 miliardi di vecchie lire).
Gli elementi di valutazione forniti dall'Agenzia sono molto significativi. Comunque i dati forniti, desunti dai consuntivi delle aziende, necessitano di ulteriori approfondimenti. Infatti, la somma di 93 milioni di euro (180 miliardi di vecchie lire), a fronte di ricavi complessivi di 710 milioni di euro (1.375 miliardi di vecchie lire) sembra, a prima vista, incongrua. Tale somma, infatti, corrisponde al 13 per cento dei proventi complessivi, mentre la sola IRAP (che deve essere detratta dai proventi professionali) ammonta al 4 per cento dei proventi (ed in alcuni casi all'8,5 per cento per l'attività aziendale) e la quota da devolvere all'azienda è del 5 per cento dei proventi. Si deve considerare, altresì, che per l'attività di ricovero la regione contribuisce solo con una quota del DRG, che sul cittadino dovrebbero gravare le tariffe professionali e le spese alberghiere e che il costo delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio sono, specie per alcune prestazioni, mediamente elevate.
La tariffa dell'attività libero professionale in regime di ricovero, in particolare, dovrebbe comprendere, oltre all'onorario dell'operatore o degli operatori, la percentuale del DRG (dal 30 al 50 per cento) che la regione non corrisponde, il costo dei materiali protesici non utilizzati nelle attività istituzionali, eventuali consulenze ed esami speciali, eventuale costo alberghiero, il costo del personale di supporto non componente l'équipe che presta attività fuori dall'orario di lavoro, una quota di costi generali sostenuti dall'azienda, ivi compreso l'ammortamento delle attrezzature, e via dicendo. Analoghe considerazioni si possono fare per l'attività libero professionale in regime ambulatoriale.
Dai dati complessivi forniti dall'Agenzia non è dato desumere se il vincolo, sancito dalla legge, di far fronte a tutti gli oneri connessi all'attività libero professionale con i proventi della predetta attività sia stato effettivamente rispettato da tutte le aziende. La questione dovrà, quindi, essere oggetto delle necessarie verifiche. In ogni caso, sembra già difficilmente contestabile che dall'attività libero professionale intramuraria le aziende ricavano limitate risorse aggiuntive, e che nelle aziende che applicano le disposizioni di legge in modo non corretto tale attività è, almeno in parte, finanziata indebitamente con risorse pubbliche.
Ulteriori costi, inoltre, derivano alle aziende dagli investimenti in conto capitale che devono sostenere per adeguare le strutture alle esigenze dell'attività libero professionale intramuraria. Come già detto, i fondi messi a disposizione in conto capitale ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988 sono stati finora utilizzati in minima parte, anche perché è emersa la giusta esigenza di unificare l'attività progettuale di tutti gli investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie ai sensi del citato articolo 20.
Il problema più grave è forse rappresentato dalla doppia corsia di accesso alle prestazioni. A fronte dell'impianto normativo teorico, la realtà attuativa ha dimostrato, in tutte le regioni, anche se con diverse accentuazioni, che il nuovo sistema della libera professione intramuraria ed il connesso rapporto di lavoro esclusivo non sono riusciti a legare maggiormente il medico alla sua azienda e ad aumentare il


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livello quali-quantitativo delle prestazioni, incidendo sostanzialmente sulle liste di attesa.
Al contrario si è progressivamente finito per legalizzare la sostanziale elusione dei vincoli della legge e per istituzionalizzare in molti casi abusi più o meno palesi e una doppia corsia di accesso alle prestazioni con disfunzioni a danno del cittadino, cui spesso viene chiesto di pagare di tasca propria una seconda volta per ottenere in tempi ragionevoli la prestazione sanitaria che egli ha già pagato e il Servizio sanitario nazionale è tenuto ad erogare.
La doppia corsia è una intollerabile degenerazione favorita dall'attuale impianto normativo, iniqua per il cittadino, che si vede discriminato nell'erogazione delle prestazioni a seconda se sia disposto a pagare o meno la prestazione in regime libero professionale.
Inoltre per le attività ambulatoriali si è assistito, in alcuni casi, alla progressiva contrazione e al prolungamento dei tempi di attesa delle prestazioni istituzionali (ossia delle prestazioni che le aziende erogano a titolo proprio) a tutto vantaggio delle stesse prestazioni erogate in regime libero professionale.
Per quanto concerne, poi, l'ammontare delle tariffe, i cittadini non hanno usufruito di particolari benefici in quanto si è verificata, in molte regioni, una generalizzata lievitazione delle tariffe stesse.
Per quanto riguarda l'intra moenia allargata, gli istituti disciplinati dalle leggi e dall'atto di indirizzo e coordinamento, diretti a favorire l'attività libero professionale attraverso una interpretazione estensiva delle disposizioni, hanno agevolato, in assenza di effettivi controlli da parte delle regioni e delle aziende, interpretazioni permissive con un uso distorto delle varie opportunità messe a disposizione del sanitario.
In conseguenza delle numerose, e spesso confuse e contraddittorie, disposizioni della legge nazionale e regionale, dei contratti, degli atti amministrativi regionali e delle singole aziende, in molte regioni vige una sostanziale anarchia per cui è spesso difficile individuare le prestazioni che il medico a rapporto esclusivo può o non può erogare in regime libero professionale all'esterno delle strutture aziendali (salvo ovviamente le attività in strutture accreditate anche se questo divieto in alcune regioni, di fatto, viene sostanzialmente eluso).
Si è così consolidata, in alcune realtà, la doppia corsia di accesso alle prestazioni ed ai servizi, contribuendo ad aggravare l'iniquità di sistema.
Tale situazione complessiva, che fortunatamente non è generalizzata, si supera solo attraverso una revisione degli istituti introdotti con la riforma del 1999.
Alcune disposizioni di quella riforma se, da una parte, determinano disfunzioni e iniquità a danno del cittadino, mettendo in dubbio l'eticità del sistema, dall'altro finiscono anche per mortificare il ruolo e la dignità professionale del medico. Infatti, la difficoltà di conciliare le nuove regole con l'esigenza di continuare il rapporto fiduciario con i propri assistiti, le molteplici limitazioni ed i burocratici adempimenti imposti dalla regolamentazione attuativa (nazionale, regionale e aziendale) all'esercizio dell'attività libero professionale all'interno dell'azienda ed all'esterno della stessa (la cosiddetta attività libero professionale allargata), hanno determinato scontento verso il nuovo sistema da parte della dirigenza sanitaria; scontento in parte mitigato dai benefici previsti dal contratto di lavoro che ha gratificato il rapporto esclusivo.
Per quanto riguarda l'indennità di esclusività, per finire, non si può non rilevare che, a fronte della non molto soddisfacente situazione illustrata, i costi sostenuti dal Servizio sanitario nazionale per realizzare l'attività intramuraria sono particolarmente rilevanti. Infatti, l'esclusività del rapporto, e la relativa indennità, è il presupposto necessario per poter esercitare l'attività libero professionale intramuraria. Si deve constatare che i costi sostenuti dalle aziende per corrispondere l'indennità di esclusività di rapporto ammontano, secondo i dati dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, a circa 1.129


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milioni di euro (2.180 miliardi di vecchie lire), ai quali è necessario aggiungere gli oneri riflessi a carico delle aziende. In concreto il costo complessivo per le aziende dell'indennità di esclusività può essere calcolato per l'anno 2000, in circa 1.480 milioni di euro (circa tremila miliardi di lire).
Tale situazione comporta il rischio concreto che le regioni, in presenza di un risposta deludente (liste di attesa che non si riducono; disfunzioni e violazioni palesi della normativa; oneri aggiuntivi a carico delle aziende, eccetera), possano ridiscutere nel contratto gli istituti normativi relativi alla libera professione intramuraria, chiedendo, fra l'altro, al personale a fronte della corresponsione dell'indennità di rapporto esclusivo una maggiore attività istituzionale che consenta di aumentare le prestazioni riducendo concretamente le liste di attesa.
In conclusione bisogna prendere atto che l'attuale normativa sul rapporto esclusivo della dirigenza sanitaria e sull'attività libero professionale deve essere riordinata e semplificata, in quanto le disfunzioni e gli abusi finiscono per mettere in discussione non solo trattamenti economici ormai acquisiti, ma istituti le cui finalità sono da tutti condivise perché diretti a garantire al cittadino la libertà di scegliere il professionista di fiducia e di ricevere la prestazione in regime istituzionale o in regime libero professionale.
È necessario, in particolare, semplificare la normativa e le procedure sull'attività libero professionale intramuraria, allargando, se necessario, le possibilità di esercizio professionale, ma con chiare e non eludibili limitazioni, in modo da consentire al sanitario maggiori spazi per l'esercizio professionale ed al cittadino un'offerta di prestazioni e servizi a tariffe calmierate e trasparenti ed una risposta più tempestiva e più articolata al bisogno di salute.
Infine un breve cenno all'Osservatorio per l'attività libero professionale. L'articolo 15 quattordecies del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni prevede la costituzione, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, dell'Osservatorio per l'attività libero professionale. Il costituendo organismo dovrà, fra l'altro, acquisire, tramite le regioni, le valutazioni e le proposte in ordine: alla riduzione delle liste d'attesa; allo stato di attivazione e realizzazione delle strutture; al rapporto fra attività istituzionale e attività libero professionale; all'ammontare dei proventi per l'attività libero professionale, della partecipazione regionale, della quota a favore dell'azienda ed infine alle iniziative per assicurare il corretto equilibrio fra attività istituzionale attività libero professionale.
Il testo del provvedimento è stato definito a livello tecnico (Ministero e regioni) alla fine del 2002 e la prescritta intesa con le regioni sul documento sarà realizzata presumibilmente in una delle prossime sedute della Conferenza Stato-regioni.
L'Osservatorio potrà probabilmente costituire uno strumento utile per il monitoraggio complessivo del fenomeno, anche se le criticità della attuazione dell'istituto suggeriscono la necessità di più efficaci correttivi.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua relazione introduttiva, il cui testo è stato consegnato alla Commissione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre questione e chiedere chiarimenti.

ROSY BINDI. La relazione del ministro Sirchia ha sostanzialmente messo in evidenza come sia disponibile un impianto normativo pressoché completo e ispirato anche ad una sua coerenza e razionalità. Devo dare atto al ministro che dalla sua illustrazione non è giunta alcuna critica a tale impianto.
Infatti, il ministro nel suo intervento ne ripercorre l'iter per dimostrare che, a livello nazionale, è stato fatto tutto il possibile affinché l'istituto funzionasse. Poiché il riferimento riguarda, nella quasi totalità, un impianto normativo realizzato negli anni dal 1999 al 2001, è evidente che ciò rappresenta un implicito riconoscimento dell'opera compiuta dai precedenti Governi.


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Mi aspettavo che il ministro fornisse l'anticipazione di un progetto normativo con cui il Governo avrebbe dovuto «onorare» un ordine del giorno, votato sia alla Camera sia al Senato dalla maggioranza - certamente non dall'opposizione - in occasione dell'approvazione del disegno di legge finanziaria, ma dalle parole dette sull'impianto normativo precedente deduco che la realizzazione di modifiche normative non sia ritenuta necessaria. Ciò che, invece, traspare con evidenza è la necessità di rendere operative le norme ed i provvedimenti di carattere finanziario - mi riferisco in maniera particolare agli investimenti - precedentemente previsti.
Passando alle domande, vorrei sapere cosa intenda fare il Governo affinché la legge, il contratto e l'atto di indirizzo e coordinamento sull'applicazione delle norme per l'attività libero professionale dei medici siano effettivamente applicati e, in particolare, cosa intenda fare entro fine luglio, data di scadenza della possibilità di un'attività libero professionale cosiddetta allargata, che come abbiamo ascoltato nel corso dell'indagine conoscitiva - e come lo stesso ministro ha ripetuto oggi -, rappresenta in alcune realtà regionali il modo ordinario con cui è stata applicata l'attività libero professionale (tanto che l'eccezione ha rischiato di divenire la regola).
Vorrei sapere, inoltre, cosa intenda fare il Governo, affinché i miliardi stanziati siano effettivamente spesi dalle regioni. Con il provvedimento del ministro Veronesi - è presente in Commissione l'allora sottosegretario per il Ministero della salute, che potrà meglio di me illustrare la razionalità e la finalità dell'intervento - si fissò un termine, non previsto dal decreto legislativo n. 229 del 1999, né dal contratto, né dall'atto di indirizzo e coordinamento, riguardante le possibili deroghe al principio ed al funzionamento della normativa, a fronte del quale furono stanziati circa 3.000 miliardi di lire, cifra consistente anche rispetto alla disponibilità prevista dall'articolo 20, nei confronti della quale - peraltro - non fu mossa alcuna obiezione, né da parte delle regioni, né da parte delle organizzazioni sindacali.
Mi preme sottolineare che, da quanto abbiamo ascoltato nel corso dell'indagine conoscitiva - ed anche dall'intervento odierno del ministro -, si evidenzia che, laddove la legge è stata applicata, l'istituto funziona sia per i cittadini sia per i professionisti sia per la moralizzazione e la qualità del sistema.
Questa riforma, naturalmente, ha avuto un costo per il sistema. Se si riesaminassero gli atti di indirizzo del Consiglio dei ministri, relativi al periodo in cui si approvava il contratto successivo al decreto legislativo n. 229, si troverebbe un esplicito riferimento all'ARAN ed anche una risposta all'obiezione mossa dalla Corte dei conti. In essi, il Consiglio dei ministri affermava che il contratto avrebbe avuto un costo di gran lunga superiore agli altri contratti del pubblico impiego (come, peraltro, quello riguardante il settore della scuola). Si tratta però di un costo da sostenere a fronte di un investimento: il consistente costo aggiuntivo del contratto, infatti, ha una sua giustificazione, perché la riforma dell'esclusività di rapporto e dell'attività libero professionale intramuraria rappresenta una riforma strutturale del sistema.
Questa riforma non può essere valutata, nel breve periodo, in relazione al costo. Sia lo Stato sia le regioni hanno consapevolezza precisa di questo aspetto, su cui il ministro, nella sua esposizione, non è stato completo. Le regioni non hanno mai minacciato la revisione del costo del contratto, se non a fronte della riforma dell'istituto dell'esclusività dei rapporti. Le regioni hanno sempre esplicitamente dichiarato di non essere disponibili a sostenere il costo del contratto e neanche il costo aggiuntivo, in questa prima fase dell'attività libero professionale intramuraria (non quella allargata, in deroga, ma quella istituzionale, secondo legge), se fosse cambiata la norma. Vi sono state ampie prese di posizione da parte della intera Conferenza Stato-regioni - non soltanto da parte delle regioni governate dal centrosinistra -, la quale ha esplicitamente affermato che se il Parlamento modificasse l'esclusività di rapporto,


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le regioni non sarebbero state più disponibili a pagare l'indennità di esclusività di rapporto a tutti i medici, perché la riforma di sistema sarebbe divenuta convenienza del singolo professionista. Le regioni - ripeto - non si sono mai lamentate, perché ben consapevoli, avendo firmato il contratto in sede di ARAN, del costo aggiuntivo della riforma, in quanto si trattava di una riforma di sistema. Aggiungo che le regioni che la hanno pienamente applicata - ad esempio l'Emilia Romagna - iniziano ad avere vantaggi, anche di carattere economico, dall'applicazione dell'attività professionale intramuraria.
Oggi, la maggioranza dei medici e delle organizzazioni sindacali non intendono modificare il sistema, ma, viceversa, invocano il rispetto delle regole, un controllo effettivo sull'applicazione dell'istituto e chiedono che si spendano i soldi stanziati e che, eventualmente, si investa ancora. Lo sciopero del 19 dicembre non è stato realizzato per modificare il decreto legislativo n. 229, ma per difenderlo.
Quindi, prendendo spunto dalla «bontà» - se ben applicata - della riforma e dalla disponibilità degli attori interessati, intendiamo sapere dal ministro, a parte l'interessante lettura - peraltro positiva - dell'impianto normativo, come intenda far applicare la legge, correggere alcuni aspetti che possano costituire elemento di rigidità di carattere finanziario, accelerare l'applicazione dell'attività libero professionale ed aziendale (che potrebbe fornire un vantaggio a molti medici, come ad esempio gli anestesisti) e prevedere ulteriori investimenti per una riforma che - ripeto, anche a detta dello stesso ministro -, laddove è stata applicata, funziona sia per i professionisti sia per i pazienti.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Mi sembra che i dati forniti dal ministro descrivano una situazione negativa, e penso che oggi dobbiamo prenderne atto.
Ricordo che il decreto legislativo n. 229 del 1999 aveva finalità ancora oggi condivise, quali il miglioramento qualitativo e quantitativo dell'assistenza sanitaria e la riduzione delle liste d'attesa (che stavano diventando sempre più preoccupanti), senza creare oneri per le aziende sanitarie, aumentando le entrate ed offrendo un servizio qualitativamente superiore, tale da portare i pazienti, nell'ambito della loro libera scelta, ad optare per le strutture pubbliche e non per quelle convenzionate esterne. Vorrei distinguere bene tra le strutture convenzionate esterne e quelle private, perché intendo spiegare successivamente ciò che è accaduto.
I dati riportati dal ministro - che credo nascano non dalla sua mente perversa, ma da una situazione oggettiva, conosciuta da tutti e facilmente interpretabile - affermano che il miglioramento del livello quantitativo e qualitativo non è stato ancora raggiunto, poiché in Italia si registra una situazione «a macchia di leopardo», e probabilmente la situazione non ha tratto giovamento dalla riforma, ma è peggiorata. Le liste di attesa, inoltre, sono notevolmente aumentate, gli oneri per le aziende - che, invece, avrebbero dovuto avere dei benefici - sono aumentati, e dai dati forniti, i 1.280 milioni di euro spesi, sappiamo quanti ne rientrano. Le aziende sanitarie, infatti, hanno addirittura dovuto «premere» per utilizzare a pieno la normativa sull'intra moenia allargata, interpretandola anche in maniera distorta, finendo addirittura per affittare, sostenendo consistenti oneri, le strutture private non accreditate (perché allora non avevano i titoli) al fine di far fronte alle esigenze dei medici, in quanto, giustamente, coloro che avevano optato per l'intra moenia avevano il diritto di poterla esercitare con mezzi adeguati. Anche se non ho ritrovato tale questione nella relazione, signor ministro, vorrei aggiungere che in numerose regioni, compresa l'Emilia-Romagna, sono state fatte cose poco corrette, e per praticare l'attività libero professionale intra moenia, i pochi locali disponibili sono stati distribuiti sicuramente in maniera non equa tra tutti i professionisti.
Qual è, allora, il problema? Il 19 dicembre i medici sono scesi in sciopero per difendere non il decreto legislativo n. 229 del 1999, ma quell'aumento del contratto


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che avrebbe consentito loro di ottenere un trattamento economico comunque al di sotto della media mondiale della retribuzione del personale medico e parasanitario, e tale richiesta ha ricevuto una risposta dal decreto legislativo n. 229 del 1999 esclusivamente in quanto ritenuta un investimento dello Stato, che ne avrebbe tratto giovamento, perché avrebbe indirizzato le scelte del cittadino sempre più verso la struttura pubblica.
Così non è stato, ed allora non possiamo oggi accusarci reciprocamente per le nostre responsabilità passate; in questi giorni, tra l'altro, la maggioranza viene accusata di essere arrogante, di non avere ascoltato l'opposizione e di avere sempre respinto le proposte emendative da essa presentate, ma ricordo che la stessa sorte ebbero i nostri emendamenti, che probabilmente avrebbero condotto ad una situazione meno difficile rispetto a quella attuale. Il principio che ispirò il decreto legislativo n. 229 del 1999 è condivisibile, e ci mancherebbe che il ministro, o altri, affermi che si tratta di un principio sbagliato; il problema, invece, è rappresentato dai mezzi, e dunque oggi, al di là degli schieramenti di maggioranza e di opposizione, dobbiamo riconoscere che lo strumento adottato per raggiungere tale finalità non ha funzionato, poiché i dati hanno dimostrato questo, e perché sappiamo anche che, tra poco, la famosa intra moenia allargata cesserà. Pertanto, occorre scegliere se e come continuare su questa strada, se «tamponare» o scegliere altre soluzioni.
La collega Bindi ha detto, intelligentemente - ma ricordo che ciò era presente in un emendamento da me proposto -, che di fronte ad una carenza di professionisti, come ad esempio l'anestesista, non era possibile non prendere in considerazione una certa elasticità nell'esercizio della libera professione, capace di permettere, a chi avesse capacità e professionalità, di mettersi a disposizione per ovviare a numerose carenze; è stato portato l'esempio degli anestesisti, perché è il caso più clamoroso, ma vorrei ricordare anche tutti i problemi legati alla professione del radiologo.
Pertanto, metterei da parte le critiche sugli errori commessi, e penso che la conclusione della nostra indagine conoscitiva (che ritengo costruttiva e utile per tutti) debba servire, per quanto possibile, a prendere atto che occorre elaborare una proposta correttiva, soprattutto in un momento in cui tutti discutiamo, e ormai da molto tempo, del federalismo, con i suoi pregi e difetti.
Ciò non vuol dire cambiare il mondo, perché nessuno dispone della bacchetta magica, ma credo che in questo momento, per raziocinio, debbano essere messe da parte sia una posizione estremamente rigida, a difesa di un istituto che mostra alcune pecche, sia una posizione eccessivamente dirompente, volta a distruggere l'esistente per poter ricostruire dal principio, ed occorra discutere, invece, sulla base dei dati statistici, i quali dimostrano ancora la totale mancanza di attuazione del decreto legislativo n. 229 del 1999, le cui finalità ancor oggi non sono state realizzate.
Dal momento che non sono state ancora attuate alcune delle deleghe previste e che sono state riscontrate inadempienze da parte delle regioni, dobbiamo trovare al più presto dei correttivi. Occorre pertanto cercare di collaborare, e di non frenare una elaborazione politica che deve procurare un beneficio a tutti i cittadini, e se ciò non avviene sotto una bandiera, è ancora meglio.
In conclusione, desidero ringraziare il ministro, poiché ci ha fornito dei dati ed ha fatto una sintesi della situazione, non ponendosi, giustamente, nella posizione di chi vuole criticare con eccessiva facilità, ma assumendosi la responsabilità di affermare che certe cose non vanno bene, ponendo tale problema anche alla Commissione affari sociali.
Quando fa comodo, infatti, ad operare deve essere il Governo, mentre in caso contrario deve fare tutto la Commissione: allora, chiedo sia al ministro, sia alla Commissione, di trovare un punto di in


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contro ed una elaborazione comune, che non rappresenti uno scontro ideologico su un problema che ritengo così toccante e rilevante per il nostro paese da andare anche al di là degli interessi dei partiti.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor presidente, l'audizione odierna conclude l'indagine conoscitiva avviata l'anno scorso da questa Commissione, e chi l'ha seguita constata che la relazione del signor ministro sintetizza quanto è emerso nel corso di tale indagine, confermando ciò che è stato riportato dai soggetti auditi.
I dati forniti, infatti, corrispondono con quelli forniti sia dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali, sia dal Ministero della salute, sia da tutti coloro che sono intervenuti in questa Commissione per fornire il loro contributo sull'attuazione dell'istituto della libera professione medica intramuraria in Italia, nei diversi istituti e nei luoghi dove è stata attuata.
Il signor ministro, comunque, ha puntualmente confermato che il precedente Governo ha posto in essere tutti gli atti necessari per dare attuazione a tale istituto, ma che si riscontra qualcosa che non funziona, come noi abbiamo affermato, del resto, nella scorsa legislatura, quando è stato varato il decreto legislativo n. 229 del 1999.
Infatti, allora mancavano le strutture, e tutti i soggetti auditi nel corso dell'indagine hanno puntualmente confermato che una delle difficoltà maggiori è stata rappresentata dalla mancanza di strutture adeguate sia per l'attività ambulatoriale, sia soprattutto per l'attività di ricovero.
Questo è un dato di fatto e, come ricorderà la collega Bindi, questa era la nostra critica di fondo, ora puntualmente concretizzatasi. Devo anche ricordare che l'istituzione dell'intra moenia non è certo stata introdotta per arrecare danni, bensì a fin di bene; quindi auspichiamo che tale strumento funzioni e consenta di eliminare le liste d'attesa. Ovviamente l'intenzione del precedente Governo era di dare maggiore funzionalità e razionalità all'assistenza sanitaria, ma quello che mi meraviglia è il dato fornito dal ministro relativo allo scarso utilizzo dei fondi per gli interventi di cui al decreto legislativo n. 254 del 2000: appena 200 milioni di lire. È un dato assolutamente irrisorio che fa ritenere che le strutture periferiche non credano molto in questi interventi; bisognerebbe allora appurarne le ragioni.
Nel bilancio tra aspetti positivi e negativi di questo istituto, accentrerei maggiormente l'attenzione sui lati positivi, anche in vista dei futuri correttivi già annunciati dal signor ministro. Valuto positivamente l'eliminazione delle liste di attesa, le prestazioni più tempestive, la scelta del segretario di fiducia, l'utilizzazione delle apparecchiature, eccetera. Non darei invece molto peso agli aspetti negativi, come ad esempio il fatto che nella prima fase sia aumentata la spesa; di fronte ad un servizio che potrebbe essere migliorato questo certo non rappresenta un aspetto negativo anche perché, come ricordato dall'ex ministro Bindi, un investimento può dare dei risultati anche in seguito. La revisione dell'istituto dovrebbe tendere poi proprio ad una maggiore efficienza ed alla necessità di ottenere un ritorno a fronte degli investimenti compiuti, tra i quali ad esempio ricordo i tremila miliardi l'anno di vecchie lire spesi per l'istituto dell'esclusività di rapporto.
Bisogna inoltre rilevare che quasi tutti coloro che sono intervenuti in questa sede nel corso dell'indagine conoscitiva, anche sotto mio personale stimolo, non hanno fornito alcuna ipotesi di soluzione.
Quando poi si sostiene che in alcuni casi l'istituto abbia funzionato - come afferma l'ex ministro Bindi - si deve anche ricordare che ciò è avvenuto in quegli istituti specializzati su una singola patologia, come ad esempio l'istituto tumori di Milano.
Pertanto dalla serie di audizioni da noi svolte si evince - a mio avviso - come l'istituto in realtà non abbia funzionato e necessiti di una generale e completa revisione in vista della quale invitiamo il ministro a trovare le opportune soluzioni, anche approfondendo il lavoro svolto sia nella nostra Commissione sia presso il suo dicastero.


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GRAZIA LABATE. Ringrazio il ministro Sirchia perché con la sua relazione ha evidenziato in sintesi tutto il lavoro sinora svolto dalla Commissione nel corso di questa indagine.
Si tratta di un lavoro approfondito durante il quale sono state ascoltate le diverse categorie, dalle associazioni sindacali mediche, all'Agenzia per i servizi sanitari regionali, al tribunale dei diritti dei malati, ai rappresentanti degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. La ringrazio quindi, signor ministro, anche perché la fotografia che lei ci ha esposto corrisponde esattamente a quanto emerso in tutto questo lungo lavoro da noi portato avanti con le audizioni di questa indagine conoscitiva.
Non perché milito nell'opposizione, bensì perché ritengo che lei sia in possesso di dati maggiormente disarticolati, mi sarei aspettata da parte sua, signor ministro, delle affermazioni diverse. Si dovrebbe, infatti, riflettere su questo istituto e capire come meglio adeguarlo alla risposta che i cittadini italiani chiedono in termini di prestazioni e servizi; forse un'analisi dei dati disaggregati ci consentirebbe di capire perché in alcune realtà del paese questo istituto funzioni meglio ed in altre no. Perché in certe realtà si è avuto un maggior rapporto anche di tipo remunerativo, con maggiori entrate, se si è esercitato in un certo modo, ed in altre invece, come lei giustamente ha ricordato, il rapporto costi-benefici dell'operazione non porta a quei traguardi ambiziosi che gli istituti normativi o contrattuali avevano prefigurato.
In considerazione di tutto il lavoro fin qui svolto (non accomuno il lavoro parlamentare con quello del Governo) ed in considerazione di tutto il lavoro che lei ha valutato attraverso la commissione paritetica Stato-regioni per l'osservazione sull'andamento della spesa sanitaria (da cui provengono i dati sull'applicazione dell'istituto fino ad ora), mi chiedo se lei avesse avvertito l'esigenza di comparare questi dati con quelli sull'andamento delle liste d'attesa che alla fine della periodo di Governo del ministro Veronesi furono lasciati al suo ministero. Perché avevamo un'incidenza molto elevata in alcune parti del paese, in altre una incidenza media e in altre ancora una incidenza assolutamente accettabile secondo i criteri dell'appropriatezza della prestazione?
Se si attuasse quella comparazione anche la sua affermazione per la quale, in realtà, l'istituto concepito per abbattere le liste di attesa non ha funzionato, andrebbe disarticolata perché non è proprio così. Non ha funzionato per il massimo della generalità dei casi? A mio avviso no. Del resto lei potrebbe dedurre altri elementi dall'andamento dell'applicazione degli istituti per contratto, per verificare come in alcune parti del centro-nord gli istituti contrattuali, uso un termine poco tecnico ma il ministro mi comprenderà, abbiano reso meglio rispetto al centro o al centro sud del paese.
Dico ciò, signor ministro, per farle sapere che concordo con la sua fotografia della realtà. Però se disarticoliamo questa analisi e cerchiamo di comprendere le motivazioni di tale situazione, probabilmente anche i correttivi da mettere in campo saranno più adeguati alle esigenze.
È vero, lei ha affermato che dal punto di vista istituzionale, normativo e delle politiche economiche in questo campo sono stati ottenuti tutti i risultati possibili. A fronte di questi esiti, però, dobbiamo sempre domandarci - sia maggioranza sia opposizione - quale sia il rapporto costo-beneficio dei possibili risultati. Concordo anche con il collega Massidda quando egli afferma la necessità di svolgere su questa materia una discussione senza divisioni ideologiche.
Credo che ci debba accomunare tutti la visione della tutela degli interessi del cittadino nel campo della salute; sono d'accordo. Mi permetto però di fare un'osservazione, senza alcuna presunzione di conoscenza ma sulla base delle affermazioni del ministro e dei dati in nostro possesso. Non so se sia opportuno creare un altro osservatorio per il monitoraggio; lei signor ministro dispone già dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali che ha svolto un ottimo lavoro: consenta allora a questa


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struttura di lavorare in accordo con le regioni, ed evitare così per ogni materia la creazione di strumenti che alla fine non pongono neanche il ministro nelle condizioni di ottenere degli elementi di sintesi e far funzionare al meglio le strutture del suo dicastero.
La prima questione che mi permetto di sottoporle, in tutta umiltà, è se lei, insieme ai rappresentanti delle regioni, abbia pensato a come attivare più efficaci strumenti di controllo: questo è il vero problema. Non esiste un serio servizio ispettivo, dal centro alla periferia, che sia in grado di svolgere indagini, anche a campione, incrociate con gli studi sulla famosa intra moenia allargata, sulla quale personalmente nutro grandi preoccupazioni. È in quel campo che non riusciamo a controllare il fenomeno.
Il rapporto costo-beneficio, perciò, diviene non rilevante anche dal punto di vista economico, perché si controllano un certo numero di fatture, ma le successive sfuggono al controllo (come è affermato nella relazione presentata dal tribunale dei diritti del malato). È necessario creare strumenti di controllo dal centro alla periferia, usare tecniche di campionamento, per capire come funzionano le cose. Bisogna rivedere l'istituto anche dal punto di vista contrattuale per legarlo alla «missione», altrimenti l'indennità non è equilibrata in rapporto all'esercizio.
A differenza dell'onorevole Bindi non ho avuto la certezza, signor ministro, che, quando lei ha affermato che l'ordinamento e gli istituti contrattuali hanno realizzato tutto il possibile, abbia riconosciuto che non fosse necessario proseguire oltre; anzi un passaggio della sua relazione afferma che occorre rivedere alcuni principi e norme. Su ciò, signor ministro, con tutto il rispetto per la sua funzione, la invito ad essere molto cauto, ad evitare di intaccare il principio dell'esclusività inserito nel nostro ordinamento in seguito alla complessa situazione precedente.
La conosco da tempo, signor ministro, e la invito quindi a ricordare quale fosse la situazione del rapporto tra medico, strutture del servizio sanitario nazionale e strutture private. Sul principio rifletta attentamente, perché «toccarlo» condurrebbe il paese a periodi molto oscuri. Già oggi le indagini realizzate dalla Guardia di finanza stanno mettendo in luce che nonostante i principi esiste una «cancrena» difficile da estirpare.
Dovrebbe, invece, rivedere - come ha affermato l'onorevole Bindi - determinate rigidità dell'ordinamento ed anche della normazione contrattualistica e dei comportamenti delle regioni e delle aziende.
In conclusione, se davvero verificheremo i punti critici e troveremo le soluzioni migliori, l'opposizione farà la propria parte e offrirà proposte. Mi preme comunque sottolineare che siamo assolutamente lontani dall'assumere una posizione di «barricate» e di difesa, non disposta a confrontarsi con il momento storico e con la realtà del nostro paese.

GIULIO CONTI. Avrei preferito che la relazione del ministro fosse stata distribuita precedentemente, perché sarebbe stato necessario esaminare i dati con molta attenzione.
Non mi convince, comunque, il fatto che in alcune zone - è stato affermato a «macchia di leopardo» - sia stata riscontrata una positività in termini di costi-benefici, mentre in altre ciò non è avvenuto. Vorrei sapere se, a parte le dichiarazioni rilasciate dagli auditi, il dato sia stato verificato. Spesso, infatti, ciò può dipendere da come una ASL ha controllato il rapporto costo-beneficio delle prestazioni, perché non è possibile che due aziende confinanti forniscano risultati diversi, se non addirittura opposti.
Il secondo aspetto che mi interessa affrontare è la disparità (la «solita» disparità) tra nord e sud del paese, relativa anche ai costi-benefici. Secondo me, al sud il costo-beneficio dovrebbe essere maggiore (considerato come utile), perché vi sono meno servizi, meno soldi e liste di attesa più lunghe. Viceversa, il dato offerto è estremamente contraddittorio, con una valutazione preventiva dei risultati. Ritengo, quindi, si tratti di un altro elemento da controllare, perché mi sembra estremamente


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difficile ed illogico che le lunghe liste di attesa al sud siano diventate ancora più lunghe.
Non considererei la divisione ideologica, se intendiamo fare un discorso unitario che abbia una valenza scientifica. Vorrei riferirmi, invece, a quanto affermato precedentemente dall'onorevole Lucchese, il quale ha osservato con molta intelligenza ed attenzione che nelle strutture monotematiche l'istituto in questione ha avuto una maggiore funzionalità dal punto di vista economico nonché della funzionalità ed organizzativo. È naturale che ciò avvenga: il mondo si dirige verso la «monotematicità» del servizio sanitario. Le grandi strutture ospedaliere creano confusione e mi chiedo come possa funzionare meglio la libera professione intramuraria in un ambiente complicato, in cui i controlli - peraltro essenziali - sono più confusi.
La invito, signor ministro, a valutare se la richiesta di esclusività e reversibilità del rapporto da parte dei medici sia aumentata o diminuita. Si tratta di una domanda importante per una riforma della pluralità di riforme che abbiamo realizzato.
Inoltre, molti interventi si sono incentrati sul fatto che le spese sono aumentate, mentre la riforma sanitaria - la cosiddetta riforma Bindi - avrebbe dovuto alleviare, attraverso maggiori introiti, le spese sanitarie. Vorrei sapere, quindi, se sia da affrontare la questione delle piante organiche, perché non è possibile risolvere il problema della spesa sanitaria attraverso l'intramoenia e l'extramoenia, che hanno comunque un costo.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor presidente, intendo innanzitutto ringraziare il signor ministro per aver partecipato ai nostri lavori ed aver offerto il suo punto di vista nell'ambito di un'indagine conoscitiva che ritengo sia risultata opportuna, perché ha offerto, al di là di tante polemiche sull'intra moenia e sull'esclusività del rapporto, la possibilità di avere un quadro di quanto realmente è accaduto nel paese.
Sinceramente, mi sarei aspettato dal ministro un'analisi un po' più approfondita, volta a comprendere in quali aspetti la riforma ha funzionato ed in quali ha fallito; infatti, avendo ascoltato i diversi partecipanti alle audizioni, abbiamo riscontrato sia situazioni che hanno evidenziato risultati positivi rispetto all'abbattimento delle liste d'attesa, agli introiti ed alla soddisfazione dell'utenza e degli operatori, sia situazioni critiche. Ritengo pertanto che prima di rivedere un istituto così importante e determinante per la caratterizzazione del Servizio sanitario nazionale, occorra sciogliere tutti i nodi ed approfondire la tematica, perché solo in questo modo potremmo capire se sia necessario apportare correzioni a quell'istituto e cosa bisogna potenziare e migliorare ulteriormente.
Ho apprezzato, se non ho compreso male, la maggiore prudenza da parte del ministro rispetto alle posizioni espresse nel corso dell'esame del disegno di legge finanziaria, quando proponeva un provvedimento per cambiare tutto. Oggi si registra una posizione più moderata e dialogante con le regioni e - credo - anche con l'opposizione, ed esprimiamo il nostro apprezzamento verso tale atteggiamento.

DOMENICO DI VIRGILIO. Desidero ringraziare anch'io il signor ministro per la sua relazione indubbiamente obiettiva, chiara e documentata, da cui non potevano non emergere luci e ombre rispetto ad un istituto verso il quale non esiste una contrarietà preconcetta, ma che, indubbiamente, occorre migliorare e, se necessario, modificare affinché sia più efficiente.
Per quanto concerne le ombre, il ministro ha detto chiaramente che sussistono costi eccessivi e non ulteriormente sostenibili dalle aziende; non si tratta di cifre inventate, bensì di dati forniti dall'Agenzia ufficiale (l'ARAN). Mi spiace che l'onorevole Bindi sia andata via, ma ciò non può essere considerato un investimento dopo tutti questi anni, poiché, ad un certo punto, si devono produrre risultati. In assenza di un beneficio minimo sia dal punto di vista sia economico, sia sul versante


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dell'efficienza, è chiaro che tale sistema non può continuare.
Attualmente, infatti, si tratta di un privilegio per pochi, dal momento che il ministro Sirchia ha riferito che le somme connesse a tale attività vengono ripartite tra coloro che effettivamente esercitano l'attività libero professionale intramuraria. Si tratta, in realtà, di pochi medici, poiché il cittadino, nell'ambito della sua libertà di scelta, preferisce più il professionista che la struttura ospedaliera: la base dell'attività medica, infatti, risiede nel rapporto di fiducia che si instaura tra il paziente ed il medico, e non nella struttura! È chiaro che il paziente desidera anche una struttura alberghiera efficiente, ma preferisce andare in una meno bella nella quale, tuttavia, opera un professionista nel quale il paziente, in base alla sua competenza (vera o presunta), ripone la sua fiducia.
In secondo luogo, il doppio binario - se pago, il giorno dopo posso ottenere un elettrocardiogramma, altrimenti aspetto otto o dieci giorni, come riportato in questi giorni dagli organi di informazione - rappresenta una distorsione che non può essere ammessa in una struttura pubblica: le liste di attesa sono rimaste immutate proprio a dimostrazione di tale distorsione! Le tariffe, inoltre, non sono competitive; a tal proposito, conoscendo le tariffe di Roma, so che non c'è convenienza, dal punto di vista economico, tra rivolgersi ad uno studio privato oppure recarsi da un medico privato operante presso una struttura pubblica.
Devo ammettere, tuttavia, che vi sono state indubbiamente anche delle luci nella attuazione di questo istituto, anche se occorre assolutamente migliorarne gli aspetti positivi. La libera scelta del cittadino, infatti, viene mantenuta, ma ciò avviene a scapito delle classi meno abbienti, che non possono permettersi certe tariffe; a mio avviso, inoltre, in questo ambito è giusta la competizione tra pubblico e privato, poiché induce al miglioramento anche il servizio pubblico.
In conclusione del mio intervento, vorrei avanzare alcune proposte. In primo luogo, le regioni devono rispettare la normativa, poiché non è possibile accettare, signor ministro, che alcune si comportino in una maniera ed altre in modo difforme, andando anche al di là delle leggi. Mi permetto di dire, inoltre, che l'intra moenia allargata va assolutamente sostenuta e diffusa. Su questo punto non sono d'accordo con l'onorevole Labate, poiché tale istituto rispetta la libera scelta ed è sicuramente meno costoso non solo per le branche mediche, ma forse anche per quelle chirurgiche, dal momento che per effettuare un'operazione di questo genere è necessaria anche la partecipazione di altri professionisti.
Se fosse possibile, suggerirei di introdurre sia una riduzione del carico fiscale, una fiscalità differenziata a favore sia del medico, sia del paziente; ad esempio, potrebbe essere prevista una detrazione d'imposta maggiore rispetto a quella attuale per quanto il cittadino paga per una prestazione ricevuta intra moenia. Infine - e credo che il ministro lo abbia già detto qualche volta pubblicamente -, propongo che una parte rilevante del lavoro del medico esercitante l'attività libero professionale intra moenia venga destinata alla riduzione delle liste d'attesa.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti e do la parola al ministro per la replica.

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. Ringrazio gli intervenuti per l'interessante dibattito svoltosi in questa Commissione, e desidero esordire con una considerazione.
Credo che se ciascuno di noi dovesse organizzare, a casa propria, un servizio ospedaliero, sceglierebbe una via molto semplice. Innanzitutto, pagherebbe meglio i medici, poiché gli stipendi dei professionisti italiani sono largamente al di sotto della media europea. A fronte di un pagamento interessante, inoltre, chiederebbe degli impegni sulla gestione dell'ospedale, dunque rispetto ad un servizio pubblico che l'ospedale (trattandosi di una struttura pubblica) è tenuto a fornire. Credo che mai vincolerebbe tale aumento di stipendio


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all'esclusività del rapporto con l'ospedale, dunque a prescindere dalla resa che può offrire una persona vincolata (e sappiamo benissimo che può essere bassissima o alta, a seconda degli individui), cercando di mantenere un buon servizio per valorizzare l'ospedale ed evitando di attribuire un diritto a medici che non hanno mai svolto una libera professione (Commenti del deputato Di Virgilio).

GIACOMO BAIAMONTE. Bravo, signor ministro!

GIROLAMO SIRCHIA, Ministro della salute. Quanti sono i medici che hanno una vera libera professione? Il 10 per cento.
Immaginare, allora, che tutti abbiano il diritto alla libera professione - dunque il diritto di percepire uno stipendio, anche senza svolgerla - in assenza di un impegno che li vincoli veramente al servizio, ma semplicemente sulla base dell'opzione, non può funzionare. Detto ciò, è chiaro che nessuno di noi organizzerebbe il rapporto con il personale in questa maniera.
Ecco come è nato, allora, quello sfondo ideologico che non ha funzionato. Non ha funzionato perché le liste di attesa sono aumentate: si tratta di un fenomeno iniquo, poiché lede gravemente il diritto alla salute e l'impegno che il Servizio sanitario nazionale, a fronte delle tasse pagate dai cittadini, si è obbligato a prestare. Nell'attimo in cui la prestazione viene razionalizzata, allora, viene meno un obbligo contrattuale, e purtroppo le liste d'attesa sono cresciute.
Ma c'è di peggio: esiste l'ambiguità della doppia corsia, rispetto alla quale, vi sono persone che reagiscono anche violentemente. Chi vissuto negli ospedali, come il sottoscritto, ha visto cosa succede quando dicono ad un paziente: se vuole, questa è la strada, altrimenti aspetti: succede di tutto! Non parliamo poi del ricovero; per portare un esempio drammatico, ricordo che avevamo una stanza denominata «solventi» e che il cibo offerto al degente che vi era ospitato era largamente migliore rispetto a quello fornito ad un altro paziente, perché veniva preparato in una piccola cucina, e mentre l'infermiera si dedicava a cucinarlo, faceva le flebo ai pazienti vicini.
Non dico che l'intento, i principi seguiti dal legislatore fossero intesi a raggiungere cattivi risultati, ma questa è la realtà. Adesso le tariffe non sono affatto calmierate, abbiamo dei primari che chiedono mezzo milione di lire a visita: in pratica quanto viene richiesto all'esterno. Quindi, anche l'obiettivo delle tariffe calmierate, consentire cioè a tutti un accesso alla prestazione del primario, del medico di fiducia, in un ambiente più decoroso ma a tariffa calmierata, è fallito completamente. Il sistema, costruito con queste modalità, ha avuto costi elevatissimi.
Infatti, al diritto di esclusività si sono sommate tutte le altre spese senza un compenso nei guadagni. Per cui le strutture - chi più chi meno - non riescono ad andare in pareggio in questo settore, e ciò avviene in tutte le regioni, virtuose e non, sia di destra sia di sinistra.
Vi sono poi delle regioni virtuose che chiudono le liste d'attesa, che pertanto risultano essere sempre di 30 giorni. Ma quando si richiede una visita, in queste regioni così virtuose, al cittadino si risponde di non ripresentarsi perché nella lista non c'è posto.
Cerchiamo allora di guardare le cose con occhio diverso, non dico imparziale (in Parlamento è difficile): di questo dibattito accetto tutti gli spunti, soprattutto la volontà di realizzare dei contratti diversi, che diano veramente la possibilità di ridurre le liste d'attesa, che impegnino i medici a lavorare per il loro dovere istituzionale, che non è quello di esercitare la libera professione ma di smaltire le liste. Su questo aspetto sono disposto a concedere tutta la più ampia disponibilità a dialogare, anzi, colgo positivamente l'invito al dialogo giunto da più parti, ma il primo punto è la riduzione delle liste.
L'onorevole Labate ha sostenuto la necessità che da parte nostra si presti maggiore attenzione ai dati. Abbiamo svolto un anno di lavoro insieme alle regioni (più precisamente l'Agenzia per i servizi sanitari


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regionali e le regioni). Ebbene, quanto ne è scaturito è quasi una burla: o non vi sono i dati o non vengono forniti, oppure vengono forniti in maniera strana.
Vi farò allora pervenire il rapporto che mi è stato presentato: non è possibile, per buonsenso comune, che le liste in Calabria siano più brevi di quelle della Lombardia. Vi fornirò questi dati per permettervi di valutare proprio questi aspetti.
È stato poi sollevato il problema di un servizio ispettivo; sapete benissimo che su questo punto le regioni sono solidalmente contrarie. Al riguardo è in corso un dibattito aperto; andiamo verso una sanità che, al massimo, sarà condivisa con lo Stato, come minimo sarà un'esclusiva delle regioni (Commenti). Questo peraltro riguarda il titolo V della Costituzione, non la devoluzione.
Le regioni, solidalmente, hanno detto «no» ad un diverso rapporto con i medici. Non facciamo la guerra alle regioni, vediamo qual è la strada percorribile insieme. Qualcuno ha sostenuto che sarebbe saggio seguire dei percorsi unitariamente. Se questi non sono condivisi, non funzionano, non vengono applicati o si prestano addirittura ad abusi è inutile lottare contro i mulini a vento. Cerchiamo una strada che, nel buonsenso generale e nell'interesse del paese, porti a risultati migliori, svestendoci di ogni ideologia; il problema è che i pazienti non sono serviti adeguatamente o, quanto meno, non come vorremmo. Compiamo allora uno sforzo per attivarci in questo senso.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua disponibilità. Sono d'accordo con quanto egli ha sostenuto e spero avremo l'opportunità di confrontarci nuovamente in questa sede.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.