INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 15,45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza, anche con riferimento alla questione dei farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri (FNOM).
Saluto il dottor Pasquale Macrì, presidente dell'ordine dei medici di Siena e il dottor Enzo Del Monaco, dirigente della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri.
L'indagine conoscitiva trae spunto dai problemi - fortunatamente non gravissimi in Italia, più gravi all'estero - causati dai farmaci a base di cerivastatina, ed è finalizzata, in un'ottica più ampia, ad una valutazione sullo stato attuale e sulle prospettive della farmacovigilanza in Italia. L'apporto dei rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri ci è sembrato fondamentale a questi fini.
Do senz'altro la parola ai nostri ospiti.
PASQUALE MACRÌ, Presidente dell'ordine dei medici di Siena. Su questo tema penso sia possibile agire su due fronti. Un primo fronte si colloca a monte, nella fase della sperimentazione dei farmaci, che dovrebbe essere condotta su grande scala, utilizzando un maggior numero di soggetti rispetto a quelli utilizzati finora. A tale scopo viene in nostro aiuto il decreto del ministro della sanità del 10 maggio 2001 che, proprio al fine di allargare la sperimentazione, prevede che la fase 4 di tale sperimentazione possa essere svolta anche da medici di medicina generale che operano sul territorio e dai pediatri di libera scelta i quali, proprio per la loro specifica professionalità, hanno la possibilità di farlo. Il decreto prevede, ovviamente, che questi medici seguano degli appositi corsi di perfezionamento per poter meglio affrontare questo compito. Credo sia un punto da tenere in considerazione e a questo proposito penso possa prevedersi, se necessario, un apporto della nostra Federazione al fine di garantire l'efficienza dei corsi di perfezionamento e la preparazione professionale, finalizzata alla sperimentazione, dei medici che li hanno seguiti.
Il secondo fronte riguarda, una volta concluse le fasi di sperimentazione, l'utilizzazione dei farmaci su larga scala. A questo punto sorge il problema dell'effettiva farmacovigilanza e dell'effettiva segnalazione, tramite apposita scheda tecnica, degli effetti collaterali avversi. Questa segnalazione è già, in parte, in vigore; tuttavia, la procedura utilizzata è un po' tortuosa e, dunque, non sempre efficace. Al di là del fatto che bisognerebbe, a mio avviso, modificare, in parte, la scheda tecnica di segnalazione degli effetti collaterali avversi, sarebbe auspicabile che queste segnalazioni potessero pervenire ad un unico centro di raccolta con i mezzi più rapidi attualmente a nostra disposizione. Dunque, il modulo dovrebbe essere modificato.
Altra iniziativa importante sarebbe un'opera di educazione e informazione sanitaria - cosa che, purtroppo, non avviene
regolarmente - oltre che tra i professionisti, anche nei riguardi del pubblico, al fine di sensibilizzarlo, utilizzando anche gli studi dei medici di medicina generale, diffusi su tutto il territorio, e i mezzi audiovisivi, sugli effetti collaterali più avversi.
PRESIDENTE. Vorrei fare una precisazione. È sicuramente valido il discorso del coinvolgimento nella fase 4 della sperimentazione, mentre non mi è chiaro il punto in cui lei parla di procedura complicata per la notificazione degli eventuali effetti collaterali. Poiché proprio ieri abbiamo ascoltato un rappresentante del Ministero della salute e ci è stato detto che vi sono delle schede per la notificazione e che si è proceduto alla informatizzazione, mi chiedo cosa si intenda per complicata, e se potete dare, eventualmente, dei suggerimenti.
In secondo luogo, con riferimento ad un centro unico di raccolta delle schede tecniche, credo che, già ora, le schede debbano essere tutte inviate al Ministero della salute.
PASQUALE MACRÌ, Presidente dell'Ordine dei medici di Siena. Credo che dopo il caso cerivastatina qualcosa sia cambiato; tuttavia ciò non è espressamente stabilito perché le segnalazioni, in buona parte, vengono presentate prima alle ASL (mi riferisco al territorio e alle aziende ospedaliere che fanno riferimento alle ASL). Il meccanismo attualmente in vigore potrebbe creare, oltre che ritardi, anche il rischio di non far giungere affatto le segnalazioni a destinazione.
PRESIDENTE. Praticamente, lei suggerisce che la segnalazione passi dal medico direttamente, tramite un collegamento anche informatico, al Ministero della salute.
ENZO DEL MONACO, Dirigente della FNOM. Dovrebbe costituirsi, presso il Ministero della salute, un organismo specifico che possa monitorare.
ENZO DEL MONACO, Dirigente della FNOM. Sì, tuttavia il meccanismo in vigore è un po' tortuoso.
PRESIDENTE. Era soltanto per un chiarimento, perché credo che attualmente non sia obbligatorio inviare una segnalazione alle ASL.
PASQUALE MACRÌ, Presidente dell'ordine dei medici di Siena. Tuttavia - può essere anche che questo sia dovuto a scarsa informazione - tutto ciò fa sì che le vie di comunicazione siano diverse.
PRESIDENTE. Al termine dell'indagine conoscitiva occorrerà tirare le fila ed eventualmente proporre qualcosa per migliorare la situazione. L'informazione e l'educazione sono aspetti che tutti hanno affrontato e sui quali tutti siamo d'accordo, mentre questo altro argomento va approfondito.
Do ora la parola ai colleghi che intendono formulare domande o richieste di chiarimento.
GIACOMO BAIAMONTE. Ho ascoltato le parole del dottor Macrì, presidente dell'ordine dei medici di Siena, ma resto un po' perplesso, perché, se non ho capito male, egli ha detto che i medici di base devono essere coinvolti nella fase 4 della sperimentazione e quindi entrare come operatori, in prima persona, nella organizzazione della farmacovigilanza. Tutto ciò mi lascia perplesso perché mi chiedo cosa dobbiamo far fare, per prima cosa, ai medici di base?
Io sono professore universitario di chirurgia e dico che il medico deve essere coinvolto in prima persona, ma deve essere coinvolto, direttamente, nel contatto con l'ammalato, per poi poter riferire quanto accade alla farmacovigilanza, sia essa ministeriale o di altro genere: ma non si deve coinvolgere il povero medico di base. Il medico di base deve fare, lo ripeto, il medico; deve avere il rapporto, principalmente, con il paziente. Semmai, allora, se c'è un problema di questo genere, credo debba essere coinvolta la Federazione nazionale
degli ordini dei medici, ordini che devono partecipare ed, eventualmente, poi, invitare i medici di base o gli altri medici (perché, per carità, noi tutti dipendiamo, dal punto di vista professionale, dall'ordine dei medici) a compiere certe operazioni. Ho sempre sostenuto che l'ordine dei medici ha perduto specificità delle sue funzioni il giorno in cui è diventato un apparato sindacale ed ha smesso di essere organo di difesa, da una parte, dei cittadini dagli errori dei medici, e dall'altra, dei medici nella loro attività professionale. Oggi siamo al punto in cui il cittadino attacca il medico su tutti i fronti e in tutte le maniere.
Inoltre, quanto lei ha dichiarato mi ha lasciato perplesso perché la farmacovigilanza non dipende soltanto dal medico di base ma anche dal medico ospedaliero, dal libero professionista e dagli specialisti. Il problema non deve essere addossato soltanto ai medici di base che, poveretti, sono già in una posizione difficile.
Consideriamo infatti che i medici di base sono molto spesso costretti a lavorare nella guardia medica o in altri posti poco felici, senza strutture accoglienti, costretti molto spesso a portarsi le proprie attrezzature perché non hanno nulla per operare, spesso neanche i farmaci. Caricarli, quindi, di ulteriori responsabilità, coinvolgendoli in un qualcosa che, a mio parere, non li dovrebbe coinvolgere, non mi sembra che sia la giusta strada da percorrere. Semmai, essi devono essere coinvolti nel denunciare - lo dico nel senso buono, forse la parola che ho utilizzato è un po' forte - e nel comunicare eventuali reazioni abnormi nei cittadini legate all'uso del farmaco, senza che vi siano stati errori nella somministrazione del farmaco stesso né da parte del medico nel determinare il dosaggio né da parte del cittadino nel seguire il dosaggio prescritto. Dico questo perché sentiamo dire, a proposito del Lipobay, che il dosaggio ideale o consigliato dalla casa come punto di base era lo 0,2, mentre poi si è arrivati allo 0,4, allo 0,6 e, addirittura, allo 0,8; è ovvio che in tal caso sono stati commessi degli errori. Non mi sembra - ripeto - che caricare i poveri medici di base di altre responsabilità sia la via giusta da seguire.
PRESIDENTE. Faccio presente che con la riforma in senso federale dello Stato la sanità dovrebbe essere, giustamente, controllata dalle regioni. In ogni regione vi dovrebbe essere, quindi, un ufficio di farmacovigilanza. Anche se tutti i dati vengono poi raccolti dal ministero, come opportunamente sembra si stia facendo da novembre, ogni regione dovrebbe organizzarsi in tal senso. Do la parola al dottor Macrì per una precisazione.
PASQUALE MACRÌ, Presidente dell'ordine dei medici di Siena. La questione è la seguente: occorre capire se le sperimentazioni debbano essere condotte su grandi numeri (per poter evidenziare al massimo e a priori gli effetti indesiderati dei farmaci), oppure se debbano essere strettamente limitate in ambito universitario, come si è fatto fino ad ora, o in ambiti in ogni caso meno estesi di quelli che potrebbero essere coinvolti qualora si estendesse la sperimentazione a coloro che, medici di base, hanno un contatto più diretto con il territorio. Mi riferisco ad un decreto del ministro della salute - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - con cui si chiede, proprio per estendere la sperimentazione su grandi numeri e migliorare la qualità dei dati raccolti, la collaborazione e l'intervento dei medici di base e dei pediatri di libera scelta.
È chiaro che tutta la parte sperimentale a monte deve far capo ad altri centri. Non si caricherebbero comunque di responsabilità tutti i medici generali ed i pediatri di libera scelta. Certo, questi hanno importanti e numerosi compiti cui assolvere, ma, ripeto, non si aggraverebbe la posizione di tutti, in quanto si fa riferimento a soggetti selezionati che hanno seguito opportuni corsi (tra l'altro la federazione si è riservata di intervenire per renderli maggiormente idonei a svolgere tale compito).
Ho parlato della scheda tecnica: la segnalazione degli effetti collaterali e delle
reazioni avverse ai farmaci compete a tutti i medici. Ci sono però quelli che «vedono» più materiale umano e che, per questo, «vedono» maggiormente gli effetti legati all'impiego dei farmaci, ed altri che hanno meno contatti con il territorio; ebbene, i primi possono cogliere più rapidamente, penso anche in modo più precoce, alcuni effetti collaterali.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Del Monaco, dirigente della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri.
ENZO DEL MONACO, Dirigente della FNOM. Non ho altro da aggiungere rispetto a ciò che ha detto il presidente dell'ordine dei medici di Siena, dottor Macrì, se non una precisazione. Come dirigente della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri ritengo che sarebbe opportuno incentivare quanto previsto nel decreto ministeriale del 10 maggio 2001 in merito alla partecipazione ad appositi corsi per prendere parte alla sperimentazione clinica. Bene si è fatto nel decreto a stabilire che la partecipazione a questi corsi può essere riconosciuta ai fini dei crediti formativi di cui al decreto legislativo n. 229 del 1999. Siccome siamo in una fase di preparazione per l'ECM - educazione medica continua (il Ministero della salute è già al lavoro con una commissione nazionale per definire il programma nazionale dei crediti formativi, ormai obbligatori) - sarà opportuno dare incentivi ai crediti formativi affinché i medici, sempre più numerosi, partecipino a questi corsi per la sperimentazione. Considerato che stiamo chiedendo al ministero di essere, diciamo così, attori nella terzietà rispetto alle regioni e al ministero stesso nella gestione dei crediti formativi, ritengo che questo discorso, allargato anche alla sperimentazione ed alla farmacovigilanza, possa costituire un elemento di qualificazione non solo per i medici di famiglia, come diceva l'onorevole Baiamonte, ma anche per tutte le altre componenti mediche, siano esse dipendenti o convenzionate.
CESARE ERCOLE. Come medico di base condivido la richiesta formulata dai colleghi, perché rappresenterebbe un momento qualificante per la professione del medico il fatto di inserirsi, addirittura in fase 3 o in fase 4, nella sperimentazione dei farmaci. Saranno necessari appositi corsi preparatori, magari rivolti maggiormente alle fasce più giovani dei medici - che hanno, forse, quella vigoria che manca agli anziani (senza nulla togliere a loro ed alla loro esperienza) - ma credo che tale inserimento gioverebbe di sicuro a tutti.
PRESIDENTE. Ritengo che vi siano due questioni distinte. Una cosa è la sperimentazione dei farmaci: secondo me, è giusto che venga allargata, in quanto se sperimentiamo, anziché su diecimila persone, su un milione di persone, è ovvio che si ottengono risultati più attendibili (anche se c'è poi il problema delle associazioni farmacologiche, che rimane da vedere). Su ciò sono pienamente d'accordo. Intendevo porre l'attenzione su una seconda questione, riguardante il problema della farmacovigilanza quando il farmaco è ormai in commercio.
Questo è il punto da cui siamo partiti per quanto riguarda la cerivastatina e la relativa indagine in questo campo: gli obblighi, i doveri e le modalità che tutti quanti devono seguire per segnalare eventuali effetti indesiderati del farmaco, effetti che in precedenza, in una sperimentazione più o meno allargata, non sono stati magari evidenziati in quanto il farmaco stesso non può essere messo a confronto ed a contatto con tutti gli altri medicinali presenti in commercio. È ovvio, quindi, che possono presentarsi anche effetti indesiderati del tutto inaspettati.
L'indagine che questa Commissione ha voluto svolgere è finalizzata a tale scopo e non tanto al solo aspetto della sperimentazione, che può essere più o meno allargata. I problemi si possono porre, infatti, anche quando il farmaco è entrato in commercio e la sua distribuzione è attivata: a questo punto è necessario che, con quell'educazione che avete ricordato, tutti, dal malato all'utente, dal medico di base
allo specialista, facciano il proprio dovere per segnalare alla ditta, al ministero e così via gli eventuali effetti collaterali indesiderati affinché possano essere eliminati al più presto prima di creare danni.
Come abbiamo constatato, a volte vi sono stati tempi lunghi e intralci in ordine alla comunicazione degli effetti collaterali indicati nel «bugiardino». Senz'altro possono essere apportati alcuni miglioramenti, peraltro già suggeriti in questa sede. Una cosa è la fase di sperimentazione - chiamiamola fase 3 o 4 -, un'altra è l'immissione in commercio del farmaco. Ciò è quello che volevo aggiungere, riferendomi a due fasi distinte.
GIACOMO BAIAMONTE. Signor presidente, la mia non è una replica, ma un'ulteriore precisazione. Il dottor Macrì afferma che la ricerca non deve essere limitata all'università o a chi si occupa di tale settore, ma io sostengo che i compiti istituzionali debbano essere conservati. Non mi riferisco solo all'università, dal momento che sono un professore universitario, e non voglio difendere gli universitari. Tuttavia, ritengo che oggi la ricerca debba essere affidata a determinati organismi, altrimenti in questo paese si creerebbe il caos. Infatti, si occupano di ricerca le università, gli IRCCS (gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) e il CNR. Pertanto, la ricerca deve essere affidata istituzionalmente a chi ne assume la responsabilità ed il compito, altrimenti - ripeto - si determina un caos.
Il collega della Lega, onorevole Ercole, diceva poc'anzi di essere d'accordo al riguardo. Io non mi riferisco solo ai medici anziani (anzi, a maggior ragione, l'esperienza degli anziani può essere valida dal punto di vista della ricerca): se il giovane medico vuole dedicarsi alla ricerca (per carità, lo spirito e l'entusiasmo del giovane medico ci devono essere!), allora non potrà svolgere la professione di medico di base perché, in quel caso, dovrà stare a contatto con gli ammalati e non potrà occuparsi di altro. Il giovane medico potrà svolgere l'attività di ricercatore all'università, presso il CNR o in un IRCCS, ma non potrà rivestire il ruolo di medico di base. In caso contrario, se consentissimo ciò, secondo il mio punto di vista, si verificherebbe un bailamme peggiore di quello attuale.
PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza anche con riferimento alla questione dei farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti del Coordinamento associazioni consumatori (CODACONS) e dell'Associazione nazionale ipercolesterolemia familiare (ANIF).
Sono presenti per il CODACONS l'avvocato Carlo Rienzi, l'avvocato Nicola Sanitate e il professor Emilio De Lipsis e per l'ANIF il dottor Claudio Stefanutti.
Do ora la parola ai rappresentanti del CODACONS.
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Signor presidente, la tematica è estremamente vasta, pertanto ci siamo divisi gli argomenti da trattare e saranno le vostre domande ad indirizzare le nostre risposte. Comunque, abbiamo redatto un piccolo documento che vi lasceremo e di cui abbiamo predisposto addirittura 46 copie, perché tale è il numero dei componenti della Commissione.
Il problema della farmacovigilanza e dell'informazione è un disastro, tanto per essere chiari. Ci occupiamo di questi argomenti sostanzialmente da un decennio e, quindi, dai tempi dei primi prezzi medi europei, dell'immissione in commercio dei vari farmaci e così via. In fondo, ci auguriamo che la vicenda del Lipobay (ci dispiace per coloro che sono morti e siamo consapevoli che si sia trattato di fatti gravi) sia considerata dal Parlamento come un'occasione per rimuovere questi problemi.
Siamo contenti che si svolga questa indagine conoscitiva, perché abbiamo compreso che, sostanzialmente, in Italia la farmacovigilanza non esiste e, se fosse esistita, sarebbe stata una finzione. Al riguardo, non si è mai fatto nulla né si è reso alcun servizio al cittadino consumatore di farmaci. Naturalmente, anche i consumatori di farmaci dovrebbero essere controllati, perché anche essi - intendiamoci bene - sono responsabili dell'eccesso nel loro consumo; in merito a ciò, il professor De Lipsis potrà svolgere qualche ulteriore considerazione.
Nel periodo di Ferragosto abbiamo svolto, sulla nostra pelle, un importantissimo servizio, coordinato dal professor De Lipsis. Addirittura, il Ministero della sanità rinviava coloro che chiamavano il numero verde al nostro telefono di emergenza. Alla luce di tale esperienza, abbiamo compreso che esiste un problema di responsabilità difficile da risolvere, nel senso che i responsabili di questa situazione di disastro sono moltissimi e la ricerca delle responsabilità non è facile. Abbiamo addirittura istituito un gruppo di studio - dal momento che ci sono stati conferiti oltre 230 mandati da parte di familiari di persone danneggiate dalla Bayer - e stiamo lavorando anche in pool con gli avvocati tedeschi, i quali stanno esercitando una importante azione nei confronti di tale società (sempre che la Bayer sia più responsabile di chi doveva svolgere le funzioni di controllo: anche questo aspetto dovrebbe essere analizzato con molta attenzione).
Vi è, quindi, un problema di responsabilità, nonché un problema di disinformazione dei medici, e ciò è gravissimo; in altri termini, i medici non sono informati. In fondo, l'informazione scientifica si sostanzia in spinte, rivolte ai medici, a prescrivere determinati farmaci, spinte che vengono compiute da soggetti che - guarda caso - sono dipendenti delle case farmaceutiche.
Come si può pensare che un dipendente di una casa farmaceutica - parlo dell'informatore scientifico - faccia l'informazione così come la legge prevederebbe? Le leggi sull'informazione scientifica non sono sbagliate. Esse segnalano su cosa deve essere basata l'informazione: sulla qualità, sulle controindicazioni, sui pericoli. Tuttavia, nella pratica, tutto ciò non avviene: anche in questo caso, dunque, vi è una differenza sostanziale tra realtà ed apparenza.
Vi è poi il problema, per il quale ci battiamo da anni, dei medici di famiglia. I medici di famiglia - che ci hanno querelato più volte perché non accettano le nostre critiche - non informano i pazienti. Il professor De Lipsis vi racconterà i risultati del monitoraggio di Ferragosto: tra i 600 pazienti che hanno telefonato quasi nessuno aveva saputo dal suo medico a cosa doveva stare attento prima di assumere i farmaci. Moltissimi non erano stati nemmeno visitati dal medico di famiglia. Il medico di famiglia, infatti, ha un numero eccessivo di ammalati da curare. Non proponiamo di pagare di meno i medici di famiglia, anzi, essi vanno riqualificati e pagati di più. Per ogni malato devono essere pagati di più, ma devono avere un massimale molto inferiore. A nostro avviso sarebbe ideale pagare soltanto la visita effettiva del malato, non la ricetta.
Vi abbiamo portato un documento - a noi arrivano molti documenti anche da «talpe» all'interno delle industrie farmaceutiche - impressionante. Si tratta di un elenco di farmaci con il volume di vendita del 2000, e le previsioni per il 2001. Tale documento mostra come sia florida l'industria farmaceutica, quanto aumenterà la spesa farmaceutica (molto più delle previsioni) e come i farmaci abbiano prezzi eccessivi perché i brevetti sono troppo lunghi. A tale proposito, noi proponiamo il dimezzamento da venti a dieci anni della durata dei brevetti.
Da ultimo, mi chiedo come mai non si pensi di inserire i consumatori negli organismi competenti. Vi sono quattro ricorsi pendenti al TAR (abbiamo eccepito l'incostituzionalità della legge) sui provvedimenti di nomina della Commissione unica del farmaco iniziati nei primi anni novanta. Come è possibile che non vi sia
una componente dell'utente del farmaco (anche qualificata, come un farmacologo) che sia espressione degli interessi del cittadino? Bisognerebbe inserire nella farmacovigilanza e nella CUF alcuni rappresentanti di tali interessi, al limite senza diritto di voto o come osservatori.
NICOLA SANITATE, Rappresentante del CODACONS. Come diceva l'avvocato Rienzi, il gruppo di studio istituito per verificare cosa sia successo nel caso Lipobay era partito con l'idea che avesse sbagliato la Bayer. In realtà, la risposta non è così semplice: una serie di situazioni ci spinge a credere che, forse, si sarebbe potuto evitare quello che in realtà è successo.
Lascerò l'aspetto più strettamente medico al professor De Lipsis, sicuramente più esperto della materia, e mi limiterò a parlare dei problemi verificatisi a livello legislativo. Inizierò da quello che rischia di diventare il problema più importante se non si interviene in maniera drastica, non con leggi che cerchino di limitare gli effetti negativi, ma con leggi che cerchino di ripensare lo strumento informativo predisposto dal Servizio sanitario nazionale. Infatti, esso si è affidato alle case farmaceutiche dando loro una delle più importanti funzioni che avrebbe dovuto assolvere il ministero: quella di tenere informati ed aggiornati i medici di famiglia, i primi interlocutori dei pazienti, su tutte le novità scientifiche e le interazioni che i farmaci hanno tra di loro.
Nelle ultime legislazioni, dal 1990 in poi, si può notare come il legislatore avverta questo problema, tant'è vero che tutti i decreti ministeriali su tale argomento sono volti ad indicare cosa l'informatore scientifico non deve fare. Si capisce che, effettivamente, vi è una sorta di ricatto psicologico degli informatori nei confronti delle case farmaceutiche. L'informazione scientifica avviene tramite persone che dovrebbero essere qualificate ai massimi livelli ma che finiscono per arrivare, sempre e comunque, negli studi dei medici con casse di medicinali, con valigette, con medicinali scaduti.
GIACOMO BAIAMONTE. Questo non è vero!
NICOLA SANITATE, Rappresentante del CODACONS. Sì, scaduti, perché sono conservati malissimo. Alcune situazioni che interrompono la catena del freddo non vengono segnalate. I medicinali vengono portati dentro le automobili: è la realtà. La legge prevede che il medico richieda alla casa farmaceutica la spedizione dei campioni e che la casa farmaceutica, utilizzando strumenti volti ad evitare che si interrompa la catena del freddo, consegni i campioni direttamente, non attraverso gli informatori scientifici. Anche la legge più recente è chiarissima su questo punto. La realtà dei fatti non dice questo: continua la pratica degli informatori che portano le medicine. I nostri dati e la nostra esperienza, anche quella presso gli studi medici, dicono questo.
PRESIDENTE. Prima succedeva. Da qualche anno non succede più.
NICOLA SANITATE, Rappresentante del CODACONS. Conosco alcune persone che potrebbero testimoniare il contrario.
Resta il fatto che l'informazione non viene data in maniera oggettiva. La legge prevede che per prima cosa vadano indicati le controindicazioni, gli effetti secondari e le possibili interazioni con patologie preesistenti del soggetto. Queste, al contrario, non risultano essere le prime cose dette al medico. In realtà, prima si compie la magnificazione del prodotto e dei suoi effetti, e poi si parla delle controindicazioni che, come al solito, vengono scritte in piccolo per evitare che si leggano bene. Il medico, alla fine, ha un'informazione distorta e viene da sé che non pone l'attenzione necessaria al suo compito fondamentale: informare il paziente, che non deve essere tenuto a leggere il foglietto informativo per conoscere cosa può prendere.
Il paziente fa affidamento sul medico che gli ha fornito la prescrizione, ma
questo non fa l'anamnesi della situazione patologica. Ad esempio, a persone con determinati problemi fisici, per cui l'uso del Lipobay doveva essere sconsigliato, tale farmaco è stato ugualmente prescritto dal medico senza tenere conto dell'interazione che probabilmente si sarebbe verificata.
La seconda cosa che ci preme segnalare è che il medico ha un compito importantissimo nella farmacovigilanza: è la persona che, sostanzialmente, tiene le fila della sperimentazione diretta. A lui la legge prescrive di segnalare alla casa farmaceutica tutti gli effetti indesiderati che si verificano, oltre a quanto previsto dai foglietti illustrativi.
Il problema è che non sembra che questo sia avvenuto. Non crediamo che gli effetti delle statine si siano verificati tutti nello stesso periodo (cioè a cavallo del mese di agosto) e, probabilmente, i medici, informati dai loro pazienti degli effetti secondari, hanno sottovalutato il problema, non indicando o segnalando alla farmacovigilanza o alla Bayer che il prodotto dava più effetti collaterali rispetto a quello che si prevedeva e che, forse, era il caso o di ripensare il foglietto illustrativo - che, molte volte, per alcuni farmaci era fermo al 1996 - o, addirittura, - come, poi, è successo - di ritirare momentaneamente il farmaco dal mercato per studiare meglio la situazione.
Crediamo che tutto ciò non sia avvenuto; se poi fosse avvenuto e la Bayer o la farmacovigilanza fossero venute meno alle segnalazioni e al compito di ritirare dal mercato il farmaco, ciò costituirebbe un fatto ancora più grave, perché significherebbe che il meccanismo funzionava e non si sa per quale motivo non sia stato utilizzato.
Per la parte più strettamente sanitaria è meglio che intervenga il professor De Lipsis.
EMILIO DE LIPSIS, Rappresentante del CODACONS. La nostra esperienza di questa situazione, per certi versi, drammatica - anche se, tutto sommato, non lo era molto - e comunque importante per il timore sviluppatosi tra la gente, che aveva impressionato noi medici che pure, attraverso la stampa internazionale, cerchiamo di seguire gli effetti collaterali o le problematiche che pongono certi farmaci, soprattutto quando sono molto consumati e diffusi, era che in Italia, almeno da parte delle istituzioni ufficiali, non c'era nessun avvertimento.
Uso questo termine perché la farmacovigilanza non sapeva che le statine - farmaco importante, un pilastro della battaglia contro l'aterosclerosi - stavano provocando, soprattutto in questi nuovi prodotti, cioè la cerivastatina associata con altri farmaci, situazioni particolarmente pericolose (negli Stati Uniti erano già stati segnalati dal 1999 ben cinquantadue casi ed era stata investita la Food and drug administration che aveva già preso dei provvedimenti, avvertendo la Bayer di modificare certe cose e di segnalare il pericolo, soprattutto quando vi era l'associazione con altri farmaci).
Dall'inizio del 2000 già si era a conoscenza di tale fatto ed è impressionante che sia invece esploso in modo clamoroso dopo la morte di due persone a Bologna e a Roma, prendendo tutti di sorpresa; tali fatti erano già conosciuti, così come si sapeva che in Spagna era stati segnalati cinque casi di mortalità e in Germania tre.
Certamente, si trattava di casi limitati come numero rispetto all'entità delle persone che prendevano il farmaco ma costituivano un segnale per una maggiore accortezza nel somministrare certi farmaci a persone che già ne assumevano un altro. Tra i medici esisteva la prassi per cui quando il colesterolo era alto si somministrava la statina e quando lo erano i trigliceridi si interveniva con i fibrati, sapendo, poi, che l'associazione dei due farmaci poteva anche essere prescritta ma con un'attenzione particolare e segnalando l'evento.
La prima esperienza è stata l'esplosione improvvisa di timore tra la gente, ai limiti del panico, che derivava non tanto da una particolare sensibilità emotiva ma dal fatto che le persone che ci telefonavano non avevano notizie, non erano informate e non avevano alcun punto di riferimento su
cui basarsi, nell'assenza completa per tanti mesi (malgrado vi fossero un dibattito e una preoccupazione a livello internazionale) della nostra farmacovigilanza, che avrebbe dovuto agire ed intervenire informando i medici, segnalando le varie possibilità e i relativi pericoli.
L'altra sensazione è che a livello europeo non sia ancora chiaro chi debba stabilire la modalità di farmacovigilanza, cioè il come controllare.
La farmacovigilanza dovrebbe controllare ciò che avviene una volta che il farmaco viene immesso in commercio, segnalare gli effetti collaterali e le tendenze generali che portano a delle distorsioni nell'uso di un dato farmaco. A livello europeo non è ancora chiaro quale sia l'organismo che deve valutare; si deve operare paese per paese, ma negli Stati Uniti sono riusciti ad avere immediatamente le notizie dei cinquantadue morti segnalati in rapporto all'uso di questo farmaco perché, evidentemente, c'è un'organizzazione che funziona: tutto ciò non è avvenuto in Europa.
Anche l'esperienza relativa alla pressione delle persone che a centinaia ci telefonavano nel periodo a cavallo del ferragosto è stata importante perché, attraverso un'organizzazione anche regionale, abbiamo stabilito una rete di telefonate che dovevano essere vagliate da un comitato di medici, in modo da poter fornire delle risposte rassicuranti o, comunque, risolvere i problemi che la gente poneva. Il fatto più importante che è emerso da questa nostra inchiesta (le telefonate sono state oltre seicento) è che la stragrande maggioranza della gente - cioè il 75 per cento, oltre cinquecento persone - assumeva il farmaco inutilmente, unicamente sulla base di una valutazione del numero relativo al colesterolo: se quest'ultimo arrivava a 260 si prendeva immediatamente la statina.
Non è questo il criterio; ormai si sa che tali farmaci sono un pilastro fondamentale nella lotta contro l'aterosclerosi, non soltanto per il tasso del colesterolo elevato, ma perché vi sono dei fattori che predispongono la persona a tale patologia; quindi, non si tratta soltanto del colesterolo che, poi, può essere controllato con uno stile di vita diverso (il fumo, la dieta e via dicendo).
In definitiva, si prescrive il farmaco ad una miriade di persone senza fare una selezione seria, cioè individuando persone che hanno avuto già una storia di aterosclerosi (infarto, ictus ed altre manifestazioni), attuando prevenzione secondaria. Nella coscienza dei medici italiani - forse anche di quelli stranieri - non c'era ancora e non c'è la sensazione della sicurezza e dell'efficacia di questo farmaco nella prevenzione primaria; sussiste nella prevenzione secondaria ma in quella primaria tutto è molto incerto mentre, invece, noi avemmo l'impressione che si curavano i numeri e non le persone.
Per esempio, una delle telefonate delle persone che ci hanno contattato era di un capitano dell'Alitalia che sosteneva di non poter volare perché l'abituale check up aveva evidenziato un tasso di 260 di colesterolo e, di conseguenza, gli era stato imposto di non volare finché il suo colesterolo non fosse sceso a 220; egli assumeva il Lipobay e, in quel mare di persone tutte preoccupate, mi domandava se poteva prenderne il doppio: questo modo di somministrare farmaci non c'entrava nulla.
L'altra cosa importante era che nella stragrande maggioranza dei casi - nella relazione vi sono anche i numeri di questa inchiesta - le persone che prendevano tale farmaco non erano avvertite, anche se accadeva piuttosto infrequentemente, dei disturbi collaterali più importanti, tant'è vero che nei sei casi gravi o, comunque, rilevanti (tra cui una persona morta all'ospedale sant'Eugenio e l'altra che si è aggravata per una malattia che, poi, l'ha costretta su una sedia a rotelle), nessuno aveva detto ai pazienti che se avessero preso un altro farmaco - come la signora poi deceduta che prendeva una ciclosporina perché aveva la psoriasi - avrebbero dovuto stare attenti perché tale combinazione era pericolosa.
Quella signora è stata male per alcuni mesi e la diagnosi è stata fatta, in pratica,
dopo diversi mesi, quando ormai la situazione era molto compromessa; è poi deceduta per una rabdomiolisi con insufficienza renale. Ci ha colpito anche la scarsa conoscenza tra la gente; vi sono anche episodi particolari che lasciano veramente sgomenti perché erano i familiari che segnalavano ai medici il male e i dolori del degente e a loro veniva risposto di non preoccuparsi perché il colesterolo era sceso e tutto andava bene: insomma, questa nostra inchiesta ha evidenziato una situazione di scarsa conoscenza che ci ha colpito.
Mi preme sottolineare che la funzione della farmacovigilanza non dovrebbe essere soltanto quella di segnalare in maniera burocratica o di recepire gli effetti collaterali, ma anche di studiare i comportamenti in generale. Il fatto che, nella stragrande maggioranza, le statine - un farmaco fondamentale nella lotta contro l'aterosclerosi - fossero prese inutilmente, costituisce un elemento che deve essere avvertito dalla farmacovigilanza, prima ancora che compaiano certi effetti collaterali, così come occorre sensibilizzare sull'associazione con altri farmaci.
Il mercato dei farmaci è divenuto così esteso, sotto la pressione dei mass media, delle industrie farmaceutiche, del guadagno che si deve raggiungere, che vi sono delle spinte che vanno al di là degli interessi particolari delle malattie o dei malati. Ritengo che la farmacovigilanza debba avere anche la funzione di intravedere l'esistenza di eventuali distorsioni nei comportamenti per, poi, segnalarle e combatterle adeguatamente.
Ribadisco l'idea - già espressa dai miei colleghi del CODACONS - che, forse, la presenza di rappresentanti dei consumatori nelle organizzazioni che si occupano di tale attività potrebbe essere utile, proprio al fine di evitare inconvenienti di questo tipo.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Stefanutti, rappresentante dell'ANIF.
CLAUDIO STEFANUTTI, Rappresentante dell'ANIF. Sono un medico universitario e, in questa sede, rappresento l'ANIF, una giovane associazione che intende tutelare, allo stesso modo di altre società già al pubblico molto note (la Lega italiana per la lotta alle leucemie, quella per la lotta alla distrofia muscolare e quella per la fibrosi cistica), dal punto di vista del paziente e non da quello di noi medici - che, spesso, riusciamo a lottare per partecipare ai consigli direttivi o di presidenza delle nostre società scientifiche in modo talora grossolano -, non pochi italiani. Infatti, l'ipercolesterolemia familiare è la malattia, geneticamente determinata da ricambio, più frequente: un italiano ogni cinquecento e, in alcune regioni, un italiano ogni trecento è affetto dalla forma eterozigote della ipercolesterolemia familiare, mentre un italiano ogni milione - questa è una situazione più rara - è affetto dalla forma omozigote.
Tuttavia, in entrambi i casi, questa forma geneticamente determinata è fortemente predittiva di un rischio di aterosclerosi molto precoce. Nella forma omozigote si può avere l'infarto anche a 18 mesi e a 3 anni di età i bambini possono avere una malattia trivascolare. I provvedimenti vanno addirittura oltre le statine, in quanto sono provvedimenti di aferesi terapeutica, cioè di lavaggio del sangue per la rimozione delle lipoproteine aterogene.
Naturalmente, visto il vasto numero di italiani interessati da questa patologia - che, spesso, non sanno neanche di esserne affetti - e dato che questo problema si interseca fortemente con quello finora esposto, vorrei sottolineare che, prima di affermare ciò che non ha funzionato e ciò che ha funzionato, occorre ricordarsi che l'organismo che garantisce l'utilizzabilità del farmaco nel territorio americano, la Food and drug administration, aveva autorizzato l'uso della cerivastatina, così come delle altre statine che, ricordo, sono prodotte nel 90 per cento dei casi da multinazionali americane: Pfizer, Merck, Squibb e Astra Zenica per quanto riguarda una nuova statina che si sta affacciando sul territorio nazionale, la Rosuvastatina.
Dunque, il problema dei numeri è fondamentale, in quanto se si osservano le
ultime guide lines del 2001 dell'American health association e del NHBI, un incredibile organismo americano che si occupa di tutto ciò che ha significato sanitario negli Stati Uniti, si può notare che queste forniscono indicazioni di trattamento per un solo fattore di rischio, per più di un fattore di rischio cardiovascolare maggiore, con indicazioni di riduzione non del colesterolo totale di 260, ma del colesterolo LDL sotto 100 milligrammi per decilitro. Il numero ha un significato, come ha un significato anche il fatto che vi sia un corollario di fattori di rischio cardiovascolare, spesso poco noti anche a medici specialisti e non soltanto a quelli di medicina generale.
Mi chiedo quali sarebbero state le conseguenze se quanto è avvenuto negli Stati Uniti, che dispongono di un sistema incredibile, il continuing medical education - che in Italia sta cominciando ora a muovere i primi passi anche se deludenti -, fosse avvenuto nel nostro paese.
Quindi, il sistema è tale per cui non solo i medici di medicina generale, ma perfino i medici specialisti - ad esempio, i cardiologi - sono poco informati sull'uso di queste statine.
Dunque, il problema dei farmaci non può essere esorcizzato dicendo semplicemente che non si possono dare indiscriminatamente le statine a tutti. Occorre accrescere il livello di competenza dei medici a tutti i livelli, con sistemi di formazione continua gestiti da veri specialisti accreditati non solo - scusate l'espressione - politicamente, come purtroppo è sempre avvenuto nel nostro paese, ma attraverso la valutazione dei titoli scientifici di queste persone, verificando l'attinenza di tali titoli a ciò che tali soggetti insegnano.
Se pensate che l'NHBI stima che, proprio grazie a queste guide lines, si dovrebbe estendere l'uso delle statine nel territorio americano da 12 milioni di pazienti a 36 milioni, credo che tale problema ci toccherà molto da vicino nei prossimi anni, perché quanto avviene negli Stati Uniti è assolutamente destinato a ricadere, a cascata, in Europa e anche nel nostro paese.
Dunque, a mio avviso uno dei problemi fondamentali è l'informazione non solo sul colesterolo, ma sugli altri fattori di rischio cardiovascolare, sui farmaci e, comunque, tale problematica non può essere delegata solo alla responsabilità del medico di medicina generale, che ha certamente massimali elevati, ma anche un problema di formazione che, in questo momento, nessuno gli fornisce.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi per eventuali domande e richieste di chiarimento..
PIERGIORGIO MASSIDDA. Ho sempre apprezzato le battaglie a tutela del consumatore; tuttavia, permettetemi di dire che non posso condividere alcune di queste critiche.
Non vedo tutti i medici scatenati ad eseguire ciò che chiede l'informatore; come, allo stesso tempo, non credo che l'informazione medica venga portata avanti esclusivamente dagli informatori. Esistono, infatti, tutta una serie di sistemi gestiti dall'ordine dei medici e dalle associazioni scientifiche che possono agire validamente.
Quando chiedete che vi sia un rappresentante dei consumatori nella farmacovigilanza è perché state progettando un nuovo tipo di farmacovigilanza o si tratta di una scarsa fiducia nei confronti delle strutture preposte? Ad esempio, la CUF, a vostro avviso, rappresenta l'industria o il cittadino, visto che è designata dalle regioni che rappresentano i cittadini e, soprattutto, dal ministero su base scientifica? Dunque, oltre a questi problemi, probabilmente conoscete aspetti a noi ignoti.
GIACOMO BAIAMONTE. Ho ascoltato con estremo interesse quanto detto dagli avvocati Rienzi e Sanitate e, successivamente, dal professor De Lipsis.
Quanto affermato dall'avvocato Rienzi mi trova d'accordo al cento per cento, in
quanto ha sollevato problemi molto seri: ha detto che il medico di base deve lavorare perché ha il compito di dialogare con l'ammalato, di informarlo e di recepire quanto l'ammalato gli riferisce, dovendolo curare sotto tutti i punti di vista.
Mi trova meno d'accordo l'avvocato Sanitate quando afferma che gli informatori scientifici portano medicine scadute. A parte la serietà delle case farmaceutiche che si qualificano nel loro comportamento, non credo che possa esserci un medico che accetti una cosa di questo genere. Mi creda, avvocato Sanitate: in quarant'anni di carriera come medico, pur essendo chirurgo, non mi è mai capitato. Può darsi che sia capitato ad altri o a persone che lei conosce; personalmente, non mi è mai capitato, forse perché sapevano che li avrei mandati a quel paese, loro e le rispettive case farmaceutiche. Tutto questo mi convince sempre di più della bontà degli argomenti che sostengo.
Quando si è posto il problema della cerivastatina e, quindi, della farmacovigilanza, io che, come ripeto, sono un chirurgo e non ho un'esperienza particolare di questi farmaci, prima di ascoltare ho cercato di documentarmi. Come? Cercando le società scientifiche. Ho interpellato componenti della Società italiana di medicina cardiovascolare e della Società di medicina geriatrica per avere informazioni sulla bontà di questi farmaci, bontà che mi pare indiscutibile. D'altra parte, in questa sede, il collega medico universitario dottor Stefanutti è stato molto chiaro. Mi complimento con lui: si tratta del suo lavoro. Questo, però, cosa mi suggerisce? Sono convinto che oggi come oggi la strada da percorrere non è quella di accusare Tizio o Caio; dobbiamo tentare di mettere ordine in questa complessa materia, recuperando, da un lato, la sicurezza delle medicine e, dall'altro, il rapporto medico-paziente, che è alla base di tutto.
Dobbiamo raggiungere questo obiettivo, principalmente mettendo il medico nelle condizioni di essere aggiornato ed essere informato. La strada sarebbe quella dei crediti: il medico ha il dovere di frequentare i congressi e di aggiornarsi sistematicamente, e mi riferisco sia al medico di base sia agli specialisti. Certamente vi sono coloro che non lo fanno; tuttavia, se creiamo questi paletti, obtorto collo i medici saranno costretti ad aggiornarsi per poter proseguire nella carriera professionale con dignità, serietà e professionalità; diversamente, non saranno più al passo degli altri e perderanno la loro qualifica ed anche la loro dignità professionale. È necessario frequentare i congressi e disporre di una informazione corretta, per ripristinare il vecchio rapporto medico-paziente che, purtroppo, con le attuali abitudini, si è perso: non c'è più il medico di famiglia di una volta; oggi c'è lo «scribacchino». Scusate, ma lo dobbiamo dire fuori dai denti, in questi casi. Il medico deve invece riacquistare il suo ruolo, che è quello di curare l'ammalato, prendendo provvedimenti che poi, magari, saranno secondari; prima mettiamolo in questa condizione, riducendo il numero dei pazienti o pagandolo di più; per carità, chi lavora deve essere giustamente ricompensato. Però, dobbiamo recuperare un rapporto che oggi è diventato puramente formale.
Avrei molto altro da dire, ma il tempo è tiranno.
DOMENICO DI VIRGILIO. Anch'io ringrazio i colleghi che hanno esposto le esigenze dei cittadini, in particolar modo. È chiaro che il cittadino è al centro del sistema e deve essere difeso: il suo ruolo non è quello dell'autoprescrizione; il cittadino ha diritto ad un rapporto di fiducia con il proprio medico. È quello che sta scadendo, e lo sappiamo bene. La problematica però è molto complessa perché ci sono fattori di ordine organizzativo, culturale, sociale, scientifico, economico e, forse, anche speculativo.
Su un aspetto sono totalmente d'accordo con quello che ha detto il collega, dottor Stefanutti, e parzialmente con quello che ha detto il collega De Lipsis: la storia degli ultimi decenni ci ha dimostrato che l'abbattimento dei fattori di
rischio ha salvato migliaia, centinaia di migliaia di vite da patologie gravi, come la cardiopatia ischemica o l'encefalopatia ischemica, e che il livello di colesterolo è correlato, secondo dati epidemiologici inoppugnabili, alla percentuale di incidenza di queste malattie. L'attuale tendenza a ridurre il colesterolo sotto il valore assoluto di 200 o meglio, come ha sostenuto giustamente il collega, sotto il livello di 100 per quanto riguarda il colesterolo LDL, implica, per forza di cose, dopo un assaggio con terapia dietetica, fisica e così via, l'uso di farmaci, che non vanno demonizzati: quello che è successo con la cerivastatina, probabilmente, si è già verificato in altri casi, ma è passato sotto silenzio. In queste audizioni, suggerisco sempre di pensare a cosa può combinare, in male ed in bene, l'aspirina. Dunque, non possiamo demonizzare i farmaci. È chiaro, tuttavia, che dobbiamo dare le massime garanzie ai cittadini, pur sapendo che la medicina non è una scienza assoluta. Mai e poi mai avremo un farmaco assolutamente noto: perlomeno, non al momento. Probabilmente ciò sarà possibile, quando disporremo dello studio genetico personale: lo stesso farmaco produce reazioni diverse anche in base alla situazione genetica personale.
Premesso questo, in modo molto rapido, credo non si debba demonizzare nemmeno il ruolo del medico di famiglia che è al centro di questa catena. Come sentiremo successivamente dai medici rappresentanti dell'ANAAO e dell'ANPO, il medico ospedaliero, curando il paziente soltanto per breve tempo, verifica gli effetti acuti ma non quelli collaterali ed a lungo termine, che sono i più frequenti ed anche i più gravi, come in questo caso.
Confermo quanto detto dai colleghi: vi è la necessità di una corretta informazione per i medici, in particolare per i medici di famiglia, e per i cittadini; ne abbiamo parlato tante volte e il presidente della Commissione insiste molto sull'uso del «bugiardino», che deve essere più chiaro, in quanto rivolto non ai medici, ma al cittadino. E il cittadino non può trovare scritto «reazioni rabdomiolitiche»: si tratta, certamente, di cognizioni non comuni.
In conclusione, qual è la filosofia? In questa vicenda, sicuramente si è verificata una carenza della farmacovigilanza a livello ministeriale: un responsabile del ministero ci ha detto che il 75 per cento delle segnalazioni di effetti collaterali dei farmaci, non solo della cerivastatina, per anni non sono state esaminate e sono rimaste nei cassetti. E questo per carenza di personale e per mancanza di informatizzazione: non parlo, quindi, di colpevolezza. Si tratta di una carenza che l'attuale ministro sta risolvendo.
In secondo luogo, ormai c'è l'Europa: i farmaci significano multinazionali e l'Europa deve funzionare con i propri organismi, con tempestività, andando al di là degli interessi delle industrie farmaceutiche, che sono giustamente rivendicati. Si tratta di coinvolgere tali industrie, come si è verificato nelle nostre audizioni, facendo leva sulla loro saggezza e sulla loro etica comportamentale e di ricerca: da questo punto di vista le case farmaceutiche, che pure cercano il guadagno, sarebbero disponibili ad uno studio globale sull'etica della ricerca e della diffusione del farmaco. Quindi, accanto alla necessità assoluta dell'informazione dei medici e dei cittadini, ribadisco anche ai presenti l'esigenza di una scheda di farmacovigilanza individuale che deve seguire il cittadino, passo per passo, dovunque si rechi, dal medico di famiglia fino al medico ospedaliero.
PRESIDENTE. Invito i nostri ospiti ad effettuare una sola, breve replica, perché siamo in notevole ritardo. Grazie.
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Presidente, più che una replica, vorrei fare alcune rapidissime battute collegate alle domande che sono state rivolte.
Mi rivolgo all'onorevole Massidda. Si tratta di una dura realtà: l'85 per cento degli ammalati non erano stati informati dal medico e non sapevano a cosa dovevano
fare attenzione nell'assumere il Lipobay. L'onorevole Massidda, con un'altra domanda, ci ha chiesto se proponiamo una nuova farmacovigilanza. Non siamo legati alla terminologia: come CODACONS abbiamo uno stile di vita, che è quello delle azioni concrete. Allora, che si tratti di scarsa fiducia o di nuova farmacovigilanza, la verità è che, attualmente, alcuni componenti della CUF sono illustri farmacologi ed illustri medici che intrattengono rapporti, più o meno visibili, con l'industria farmaceutica. Si tratta anche di persone degnissime che noi stessi abbiamo indicato in passato e che sono stati anche nominati dalle regioni: in realtà, se non sbaglio, uno solo è il componente della CUF indicato dalla Conferenza Stato-regioni. Pertanto, occorre tener presente che nel momento in cui si riuniscono 10 persone dell'Istituto Mario Negri o di altri istituti di farmacologia, questi probabilmente hanno avuto rapporti (o li hanno tuttora) con le case farmaceutiche; ed è anche giusto che sia così perché i farmacologi non vivono se non hanno rapporti con le case farmaceutiche, visto che per questo sono pagati. Per esempio, quando si riuniscono per parlare del Cronassial, che siamo riusciti a togliere dalla circolazione dopo tre anni di battaglie, perché era un farmaco totalmente inutile...
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Non era dannoso. Quando ero ragazzo il mio medico me lo prescriveva per il fiatone, dicendomi di non preoccuparmi: mi passava il fiatone, perché avevo l'effetto psicologico! Tuttavia, si trattava di uno dei farmaci più venduti in Italia e ci è voluta una battaglia durissima per toglierlo dal commercio. Pertanto, vi è l'esigenza della presenza in queste riunioni, anche in sede di CUF, tra i farmacologi che hanno tutti questi rapporti, di un soggetto sicuramente estraneo, competente, che sta lì anche solo per ascoltare quello che succede. Intendiamoci, non è facile trovarlo ma ci si può sforzare: potrebbe essere un primario in pensione, una persona al riparo dalle pressioni delle case farmaceutiche, che non ha bisogno di incrementare i suoi guadagni più di tanto; in altre parole, è importante che ci sia. Oggi non si può più prescindere dalla partecipazione del cittadino e dell'utente: non siamo più nello Stato sovrano che dice «prenditi questo e ti tolgo quest'altro»! Il cittadino ormai deve sentire che le decisioni sono vissute anche dai suoi rappresentanti.
All'onorevole Baiamonte vorrei dire che è l'informatore scientifico che a volte porta i farmaci scaduti e abbiamo decine di processi penali per questo motivo: non ce lo siamo inventati noi. Non è la casa farmaceutica che dà il farmaco scaduto, ma è l'informatore scientifico che ha a casa una miriade di farmaci e se non ha quello fresco porta quello vecchio.
GIACOMO BAIAMONTE. Io ho detto che a me non è mai capitato!
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Probabilmente perché sanno che lei li avrebbe mandati a quel paese, come ci ha detto.
Come aggiornare i medici? Voi sapete che le associazioni dei medici fanno convenzioni con le compagnie di assicurazioni per le responsabilità dei loro associati, il che è giusto, per carità. Tuttavia, abbiamo proposto a queste associazioni - ed ogni volta che facciamo una proposta, ci querelano: non si sa perché! - di abbonarsi alle quattro riviste fondamentali per i medici, che esistono in italiano ed in inglese: basta leggere quelle riviste per aggiornarsi. Potremmo così togliere un po' di malati al medico di famiglia, nel senso di pagare di più per quelli che gli restano, senza togliere soldi a nessuno.
GIACOMO BAIAMONTE. Ero perfettamente d'accordo.
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Tuttavia, quando facciamo queste proposte i rappresentanti dei medici
di famiglia si arrabbiano perché si tratta di una categoria proiettata invece verso il «ricettificio».
PRESIDENTE. Siamo la nazione con più medici rispetto alla popolazione: basterebbe farli lavorare di più!
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Il 40 per cento sono disoccupati, signor presidente: questo è il punto. Per la mentalità dei medici di famiglia occorre innanzitutto accaparrarsi i 1500 malati e tutto ciò porta al «ricettificio». La mia dentista ha accanto sul pianerottolo un medico, sulla cui porta vi è attaccata con lo scotch una fila di ricette; che se le prendo io o il malato non cambia niente. Volevo fare una fotografia, ma la mia dentista mi ha detto di non rovinarlo...
All'onorevole Di Virgilio volevo dire che secondo noi non è il cittadino che ha il compito, come dice lui, dell'autoprescrizione.
DOMENICO DI VIRGILIO. Non deve fare l'autoprescrizione!
CARLO RIENZI, Rappresentante del CODACONS. Nemmeno il «bugiardino» deve essere rivolto al cittadino. L'iniziativa intrapresa da La Stampa, che pure è un giornale serio, insieme con un'associazione di consumatori è pericolosissima, perché tende a dire ai cittadini che comprano le medicine che leggendo il «bugiardino» possono capire meglio cosa c'è scritto e in questo modo possono regolarsi. Questo da una parte deresponsabilizza il medico di famiglia, che può rispondere al paziente che ora è in grado di capire da solo se e quando prendere una certa medicina, visto che il «bugiardino» è chiaro. Dall'altra responsabilizza impropriamente il cittadino - questo è ancora più pericoloso - il quale pensa di essere in grado da solo di capire quando si può prendere la medicina. Siamo contro queste iniziative, che sono pericolosissime, pur se appoggiate da associazioni di consumatori (anche perché sono utili per andare sui giornali). Il medico di famiglia deve essere il cardine dell'informazione, da tutti i punti di vista, ma va riqualificato: questa è la nostra battaglia.
CLAUDIO STEFANUTTI, Rappresentante dell'ANIF. Mi limito a una considerazione sull'informazione. Ho grandissimo rispetto per la battaglia del CODACONS sulla correttezza e la trasparenza nei rapporti tra istituzioni, professionisti e clienti o utenti (anzi, pazienti, che in questo caso è un termine più nobile). Tuttavia, il problema non si risolve acquistando l'abbonamento a quattro riviste, che poi non esauriscono tutto lo scibile medico, in un'epoca in cui le specializzazioni tradizionali sono superate, e non servono più, visto che si formano le superspecializzazioni.
Torno a ripetere che se il medico di base continua ad avere una funzione notarile, per scelta o per ragioni di massimale, continueremo ad andare avanti, con la cerivastatina, la atorvastatina, o qualsiasi altro farmaco, contro il colesterolo o meno. Dal momento che alle nostre latitudini, parlo dei paesi occidentali, si muore o di neoplasia o di problemi cardiovascolari o extracoronarici, bisogna mettersi l'anima in pace: avremo sempre di più a che fare con questi problemi.
DOMENICO DI VIRGILIO. Siamo convinti che il «bugiardino» deve essere a disposizione del paziente, ma ciò non significa responsabilizzarlo; il medico dispone dell'informazione scientifica e, in secondo luogo, della scheda tecnica: quindi, non va ad aprire la confezione. Quando il paziente apre la confezione, ci trova dentro un foglietto e lo legge: questo foglietto può portarlo a sottovalutare o a ipervalutare alcuni rischi. Pertanto, non va responsabilizzato il paziente che, come ho sempre detto, deve esser informato dai medici: il paziente non deve subire passivamente un'informazione. In sostanza, sono dalla parte del paziente, del cittadino, che deve essere in grado di leggere e di comprendere, il foglietto anche se non glielo ha prescritto il medico.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti per gli interventi e dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza anche con riferimento ai farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG), del Sindacato autonomo medici italiani (SNAMI), dell'Associazione medici dirigenti (ANAAO-ASSOMED), del Coordinamento italiano medici ospedalieri-Associazione sindacale medici dirigenti (CIMO-ASMD), dell'Associazione nazionale dei primari ospedalieri (ANPO). Nel ringraziare i nostri ospiti per essere intervenuti, pregherei di contenere gli interventi e le repliche in tempi brevi - come dice qualcuno, in tempi europei - per consentire eventualmente di porre eventuali domande. Per la CIMO-ASMD sono presenti il dottor Alberto Clivati e il dottor Riccardo Cassi, per la FIMMG il dottor Mario Falconi, per lo SNAMI la dottoressa Caterina Pizzutelli, per la ANAAO-ASSOMED il dottor Giuseppe Rosato e per l'ANPO il dottor Domenico Carnì.
Desidero inoltre precisare che oggi per un disguido non sono presenti i rappresentanti della Federazione medici.
Do la parola ai nostri ospiti.
ALBERTO CLIVATI, Vicepresidente vicario della CIMO-ASMD. Signor presidente, cercherò di essere il più sintetico possibile, anche perché consegnerò in seguito la mia relazione.
Sostanzialmente noi presentiamo - in materia di farmacovigilanza - due progetti: un sistema di monitoraggio della prescrizione e degli eventi avversi in ospedale e sul territorio; un sistema di monitoraggio della prescrizione e prevenzione delle reazioni avverse in ospedale.
Per quanto riguarda il primo obiettivo, vogliamo che venga implementata la rete di farmacovigilanza, intesa non solo come rete di raccolta di reazioni avverse, ma come sistema di sorveglianza continua e attiva sugli effetti dei farmaci, positivi e negativi, attraverso il coinvolgimento di farmacisti e medici, che non dovranno svolgere una mera funzione di segnalazione, bensì assumere il ruolo di revisori critici delle proprie prescrizioni. Fino ad oggi infatti, soprattutto il compito dell'ospedaliero era inteso come un qualche cosa di marginale: era un segnalatore, un vigile che avverte quando c'è una buca; al massimo veniva considerato come una modesta possibilità di evitare dei pasticci.
Noi invece riteniamo che il programma di questo sistema debba prevedere, da parte del farmacista e del medico ospedaliero, la gestione dei servizi farmaceutici ospedalieri e territoriali, dell'archivio dei consumi per reparto e delle prescrizioni rimborsate dal Servizio sanitario nazionale; la gestione da parte dei servizi farmaceutici ospedalieri dei dati di consumo per singolo reparto, in modo che si sappia il nome del farmaco, cosa cura, quanto costa; la trasmissione dei dati di vendita dei farmaci a totale carico dei cittadini; il monitoraggio intensivo di tutti i farmaci nei primi due anni dall'immissione in commercio e l'incrocio con i dati di prescrizione. È infatti nei primi anni che bisogna andare a controllare che non vi siano pasticci. In particolare, quando poi si esercita «sul vivo», molto spesso vengono fuori cose che a livello di sperimentazione o non erano apparse, o erano apparse in parte. Siccome il «vivo» siamo noi, bisogna cercare di ragionare. Inoltre il sistema deve prevedere l'istituzione presso i servizi farmaceutici di una commissione per l'informazione sul farmaco e la farmacovigilanza, nonché il rafforzamento delle commissioni terapeutico-ospedaliere,
affidando ad esse compiti di coordinamento, di informazione e farmacovigilanza.
Il secondo progetto è rappresentato non tanto dalla documentazione di quello che succede, cioè la misurazione di quello che è successo, ma da un sistema di monitoraggio di prescrizione e prevenzione degli eventi. Non vogliamo soltanto misurare cosa è andato male, ma possibilmente evitare che le cose vadano male. L'obiettivo di questo progetto è quello di implementare un sistema informatizzato di registrazione delle prescrizioni intraospedaliere, al fine di limitare gli errori di trascrizione, riducendo nel contempo i tempi legati a trascrizioni multiple a livello di reparto; consentire un accesso rapido alle informazioni sui farmaci all'atto delle prescrizioni; ridurre gli effetti indesiderati da farmaci dovuti a interazioni e incompatibilità; effettuare indagini epidemiologiche; ricostruire l'intero percorso farmaco-terapeutico; verificare il reale utilizzo dei farmaci richiesti (pensate soltanto ai milioni di dollari persi negli Stati Uniti d'America); assicurare un percorso di gestione dei farmaci sicuro e rintracciabile. Questo, in un paese moderno, può essere fatto quando daremo al medico un computer palmare e le informazioni verranno scaricate attraverso il computer di reparto al sistema informativo aziendale; al letto del paziente su supporto cartaceo si potrà inserire la prescrizione nel computer di reparto collegato con la rete aziendale.
Noi intendiamo continuare in modo corretto e continuativo la collaborazione con gli informatori delle case farmaceutiche, perché fanno il loro mestiere venendo a dare informazioni, ma spetta al medico valutare ciò che gli viene detto. Se egli non è capace di distinguere fischi da fiaschi, sinceramente avrei paura qualora prendesse in mano un bisturi e mi aprisse la pancia.
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. Signor presidente, perché parliamo di farmacovigilanza? Perché, ultimi tra gli altri paesi - parlo dei paesi più avanzati - ce ne eravamo dimenticati. Qualche anno fa avevamo deciso che la sperimentazione di fase 3 e di fase 4, in particolare sul territorio, fosse non utile. Quindi, tale sperimentazione è stata abolita e si è scelto - forse vi sto dicendo cose che date per scontate - un sistema repressivo: una legge dello Stato italiano dice che se non si segnala qualunque fenomeno avverso, anche il più banale, si rischia la galera. Il sistema repressivo, come tutti i sistemi repressivi, non ha prodotto alcun risultato perché - siamo persone pratiche - il medico, quando deve segnalare una reazione avversa, non è facilitato nel farlo, per esempio con una e-mail o con una busta preaffrancata. A fronte della reazione avversa deve prendere la busta, scrivere, indirizzarla all'azienda, eccetera. Queste sembrano banalità, ma sono le cose che poi creano i problemi.
Ricordo a me stesso che il ministro Veronesi, prima di terminare il suo mandato, ha reintrodotto in questo paese la sperimentazione di fase 3 e 4; oggi ancora non è stata applicata. Vengo da un incontro con il ministro della salute Sirchia (che ho già incontrato in altre occasioni) in cui abbiamo discusso la realizzazione di una rete di farmacovigilanza, che è banale da realizzare. Bisogna creare dei «medici sentinella» - in questo caso ovviamente parlo del territorio - adeguatamente formati, e per formarli ci vogliono tre o quattro ore, non di più. Noi siamo già disponibilissimi a realizzare tutto ciò in tempi rapidi. In genere, si ha l'idea che si debba monitorare il farmaco per segnalare le reazioni avverse. In realtà, noi medici pratici e gli stessi medici ospedalieri, prescrivendo a grandi campioni il farmaco, potremmo accorgerci - come è accaduto anche in passato - che il farmaco possiede ulteriori effetti benefici oltre quelli previsti; per esempio, qualche anno fa si scoprì che il Voltaren andava bene nel dolore neoplastico. Non si tratta quindi solo di monitorare per capire quali sono qualitativamente o percentualmente le nuove reazioni avverse, ma anche di segnalare le cose positive. Dico una ovvietà se affermo che siamo favorevoli; siamo in notevole ritardo rispetto al resto del mondo e spero
ci sia la volontà del ministro Sirchia - che mi pare l'abbia espressa due ore fa - di fare in modo che entro due o tre mesi siamo in grado di cominciare ad allestire una rete di farmacovigilanza, anche se, quando si verificano certi fatti, c'è sempre chi è pronto ad usarli e a inasprire le polemiche. Per esempio, sulla vicenda Lipobay abbiamo fatto tanto rumore pur non avendo avuto grossi problemi in Italia, perché i medici italiani si sono comportati in maniera diversa da quelli di altri paesi: non l'hanno usato in associazione, a basso dosaggio...
PRESIDENTE. Il CODACONS non è d'accordo!
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. Raccolgo subito la battuta dicendo al presidente della Commissione che i pazienti stanno chiedendo ai medici la certificazione di effetti collaterali mai avuti; una paziente, ad esempio, si è recata da un medico (ho la possibilità di certificarlo) per dirgli che aveva intenzione di fare causa; le è stato risposto che non aveva avuto nulla e che le erano state fatte anche le analisi. La paziente ha replicato dicendo che il CODACONS l'avrebbe comunque assistita gratuitamente. Le illazioni, poi, le facesse chi le vuole fare...
PRESIDENTE. La mia era una battuta!
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. L'ho raccolta anche perché con l'avvocato Rienzi, da me querelato due volte, qualche problema ce l'ho. Mi dicono tra l'altro che, in questa sede, ha proposto varie soluzioni; si è detto che la farmacovigilanza non si dovrebbe attuare perché i medici di famiglia si limitano a copiare le ricette, assistendo millecinquecento pazienti (in realtà, secondo l'organizzazione mondiale della sanità, i pazienti dovrebbero essere 2000-2005). Quindi, egli afferma sciocchezze anche in termini pratici. Afferma, inoltre, che bisognerebbe ritornare alla «notula», e quindi a pagare a pie' di lista tutto, con la conseguenza di far saltare i conti dello Stato e così via. Ho raccolto la provocazione e ho risposto.
Concludo dicendo che la farmacovigilanza è importante e se si vuole, si può attuare in tempi brevissimi. Siamo in grado di farlo e con il ministro Sirchia probabilmente molto presto la attueremo.
GIUSEPPE ROSATO, Componente della segreteria nazionale della ANAAO-ASSOMED. Il progetto della farmacovigilanza è abbastanza importante e noi medici non vogliamo assolutamente sottrarci ad esso. Così come attualmente realizzata - lo ha affermato anche il dottor Falconi - la farmacovigilanza non va bene perché il nostro paese è una delle ultime nazioni europee che può vantare un sistema efficiente. Vi sono soltanto tre regioni, in parte capofila, che inviano circa l'80 per cento dei report a livello centrale; mi riferisco al Friuli-Venezia Giulia, all'Emilia-Romagna, alla Lombardia, cui si è aggiunta ultimamente anche la Sicilia. Nel resto dell'Italia non c'è stata alcuna possibilità di intraprendere un discorso di questo genere.
Riteniamo che il monitoraggio debba essere territoriale e ospedaliero e che vi debbano essere, nell'ambito della rete di farmacovigilanza, 14-15 centri regionali cui potrebbero afferire tutte le note. C'è poi bisogno di un report come momento di centralizzazione per fare in modo che vi sia divulgazione.
Il discorso della repressione corrisponde a verità. Con il decreto ministeriale del 1997 vi è stata un'impennata per pochi mesi delle segnalazioni, che successivamente sono cadute nel vuoto; il che vuol dire che il sistema, così com'è, non va bene. Pertanto, con la rete di farmacovigilanza regionale si possono creare, a livello territoriale, medici sentinella che potrebbero far giungere le segnalazioni e, una volta formati, anche responsabili di controlli a livello periferico; in campo ospedaliero, inoltre, vi potrebbe essere un discorso intermedio sia riguardo alla fase sperimentale, sia riguardo a quella della prescrizione a livello delle farmacie ospedaliere e delle direzioni sanitarie. Naturalmente
bisogna creare un meccanismo di colloquio via e-mail: sia la busta preaffrancata sia la possibilità del singolo medico di imbucare una lettera che non avrà mai alcun tipo di risposta allontanano ulteriormente il professionista dal problema e automaticamente non lo coinvolgono. Credo, quindi, che la cosa più importante sia quella di coinvolgere i medici in questo progetto, i quali sicuramente saranno disponibili, ritenendo che tale problematica sia di rilievo nazionale.
DOMENICO CARNÌ, Rappresentante dell'ANPO. Si è parlato del livello ospedaliero e territoriale; mi pare, pertanto, evidente che questi due servizi debbano essere integrati. Non si può aprioristicamente fare riferimento, ad esempio, soltanto ai medici sentinella. Bisogna anche compiere un monitoraggio dei farmaci all'interno dell'ospedale, anche perché ciò - come ben si può comprendere - richiede tempi più brevi; molte volte vengono seguiti pazienti per un tempo molto minore rispetto a quello che vede coinvolti i medici di famiglia. Nasce pertanto, a mio avviso, la necessità di una maggiore integrazione di queste due figure: i medici ospedalieri ed i medici del territorio. Ciò può accadere, secondo noi, in base ad una scheda che può essere soltanto personale; mi riferisco ai pazienti. Se non abbiamo la possibilità di monitorare continuamente ciò che utilizza un paziente, anche se è dimesso dall'ospedale, sicuramente non riusciremo a costatare neanche ciò che vi può essere di negativo per il paziente stesso. Dobbiamo quindi monitorare il paziente non soltanto nel momento in cui assume farmaci all'interno dell'ospedale, ma anche all'esterno.
Questo monitoraggio, a mio avviso, non viene attuato. Di fatto, sembra che i medici di famiglia ed i medici ospedalieri siano figure quasi anomale; vi dovrebbe essere una maggiore integrazione fra di esse. Bisogna intervenire su tale aspetto per potere capire realmente quello che succede quando si usano farmaci in continuazione.
Inoltre, debbo rilevare che all'interno degli ospedali esistono comitati etici che hanno lo scopo, non dico di vigilare, ma di accertare quando può essere compiuta una sperimentazione. Pertanto, all'interno degli ospedali, si dovrebbe attribuire alle direzioni sanitarie, d'accordo con i comitati etici e quindi con i medici ospedalieri, la possibilità di monitorare i farmaci stessi.
Per quanto riguarda il discorso degli informatori, ritengo che non bisogna criminalizzarli.
PRESIDENTE. Non vorrei che si distinguesse tra la sperimentazione (terza, quarta fase e così via) e l'entrata in commercio del farmaco, in relazione alla quale, a mio avviso, si attua la vera farmacovigilanza.
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. La fase 4 consiste in questo.
PRESIDENTE. Sì, ma l'integrazione è necessaria.
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. Ho dimenticato di aggiungere - l'ho detto al ministro, quindi lo ribadisco anche in questa sede - che non vi è oggi alcun medico al mondo in grado di ricordare tutte le reazioni avverse da farmaco, ma soprattutto quelle derivanti dall'interazione tra farmaci, anche rispetto ad individui con determinate patologie. Dobbiamo, pertanto, fare in modo che ogni medico, con lo strumento informatico (per chi non lo avesse, anche con lo strumento cartaceo), quando prescrive un farmaco, abbia la possibilità, schiacciando un tasto, di sapere ciò che sta facendo.
DOMENICO CARNÌ, Rappresentante dell'ANPO. Esistono già programmi informatici di questo genere.
MARIO FALCONI. E noi li possediamo; ma le conoscenze umane non possono coprire questo settore. Ci vorranno, pertanto, strumenti idonei.
PRESIDENTE. Questo argomento lo avevamo già affrontato e bisogna continuare a farlo. Oggi le tecniche messe a disposizione dei medici sono ottime e ritengo che lo strumento cartaceo debba essere eliminato quasi del tutto.
Do ora la parola ai colleghi per eventuali domande o richieste di chiarimento.
PIERGIORGIO MASSIDDA. Intervengo brevemente per ricordare che il decreto-legge n. 347 del 2001, criticato o amato che sia, prevede in ogni caso l'informatizzazione, con un diretto collegamento anche dei medici del territorio e dell'ospedale nel momento del monitoraggio. Ciò può rappresentare una strada aperta: vi sono addirittura dei siti Internet dai quali qualsiasi cittadino può prendere visione di tale aspetto.
Credo pertanto che ciò che voi avete detto, anche se sembrava una provocazione, rappresenti una realtà, nel senso che l'informatizzazione, a lungo andare, può avere dei costi minori rispetto a quelli previsti per il materiale cartaceo. Credo sia importante collegare l'ospedale al territorio: tuttavia, sappiamo che ogni tentativo di realizzare questo collegamento contrasta con l'enorme impegno che si affronta nel territorio e nell'ospedale. Sarebbe pertanto utile acquisire questi suggerimenti e, nel futuro, far pervenire alla Commissione una serie di proposte.
Riprendendo quanto è emerso dagli interventi precedenti, ho sentito il dovere di precisare che non mi sembra che il medico venga informato esclusivamente dai rappresentanti delle case farmaceutiche e che sia influenzabile oltremisura e senza senso critico. Forse da troppi anni ho abbandonato la professione e non so se, come ai miei tempi, si venga informati anche su iniziativa sia dell'ordine dei medici, sia delle società scientifiche di appartenenza degli specialisti. Vorrei quindi sapere se questo aspetto è cambiato, se gli unici contatti avvengono tramite rappresentanti delle case farmaceutiche, se siete talmente influenzati da queste ultime da prescrivere così tanto. Infine, vorrei sapere se vi risulta che tutto ciò che la legge vi obbligava a comunicare al ministero sia stato riportato nei riassunti della farmacovigilanza pubblicati nei giorni scorsi. Credo che voi, in qualità di rappresentanti sindacali, abbiate avuto modo di prenderne visione.
DOMENICO DI VIRGILIO. Vorrei ringraziare i rappresentanti delle associazioni sindacali. Essi hanno uno «spaccato» della situazione recente, mentre noi, che seguiamo da tempo la vicenda, potremmo avere la sensazione di trovarci all'anno zero - ciò sarebbe assai preoccupante per i cittadini -, costretti ad ammettere che sino a questo momento ci ha assistito lo stellone italiano. In realtà, la considerazione che mi sento di fare è che abbiamo avuto una classe medica responsabile, accorta e prudente nella prescrizione dei farmaci; talmente prudente che l'Italia è stato uno di quei paesi che ha avuto, in assoluto, il minor numero di problemi anche con la cerivastatina. Da qui emerge - si tratta di un aspetto soddisfacente per tutti coloro che hanno responsabilità nel condurre i medici del territorio, l'ANAAO, l'ANPO e gli altri - una disponibilità e una sensibilità particolari nei confronti di questa problematica che deve prevedere un'organizzazione capillare, specialmente in un'epoca come l'attuale in cui l'informatica è divenuta dominante ed in cui non va trascurata la reazione individuale.
Sappiamo benissimo che è il nostro sistema genetico a differenziare la risposta rispetto ad un farmaco e che magari quest'ultimo procura benefici per dieci persone, mentre in un altro soggetto provoca una reazione. Fino a quando non avremo queste cognizioni precise, dovremo essere molto accorti. Per questa ragione occorre un'informazione capillare, corretta, una formazione continua. Infine, raccogliendo l'invito del dottor Carnì concordo sulla predisposizione della scheda di farmacovigilanza individuale che segue il cittadino-paziente insieme alla prescrizione farmaceutica. Questa scheda dovrebbe essere in possesso anche del farmacista, che spesso e volentieri dovrà
trascrivere prodotti di banco che possono dare ugualmente delle reazioni.
GIOVANNI MARIO SALVINIO BURTONE. Intervengo brevemente per non sottrarre tempo alle repliche degli auditi. Credo che il tempo abbia affievolito molto il tono delle polemiche. Leggo ancora di alcune interviste: in estate, quando è scoppiata la vicenda che stiamo esaminando, i toni del ministro, in particolare, non erano così teneri nei confronti dei colleghi medici qui presenti. Mi sembra che i diversi aspetti siano stati ampiamente valutati. Personalmente, anche in occasione della presenza del ministro, mi sono fatto carico delle richieste e delle puntualizzazioni che i medici hanno esternato tramite i giornali, puntualizzazioni risentite nei confronti del ministro che, da collega, non mi sembra abbia trattato bene i medici ospedalieri e soprattutto quelli di famiglia.
Credo che le polemiche debbano essere stemperate, dal momento che qui cerchiamo le soluzioni, e non l'inasprimento dei contrasti. Tuttavia, le soluzioni vanno cercate in modo serio: non c'è alcun dubbio che, per quanto riguarda la farmacovigilanza, possiamo individuare il criterio, ovvero se essa debba essere d'avanguardia, puntando sull'informatizzazione, o se sia sufficiente utilizzare il materiale che si ha a disposizione. Il processo non deve essere fermato, perché sappiamo che anche le segnalazioni ai medici non hanno poi avuto, a volte, il dovuto riscontro e che le ASL non hanno sempre fatto fino in fondo il proprio dovere. Questa macchina della farmacovigilanza - dobbiamo dirlo - si è a volte inceppata, mentre in altri casi ha funzionato.
Il nostro augurio è che possa essere perfezionata e si possano allestire quelle strutture che dovranno garantire il cittadino-paziente.
Un'ulteriore considerazione vorrei formularla su un ultimo aspetto: dai medici ci saremmo aspettati una più forte e convinta richiesta sulla formazione continua che, ancora oggi, non viene attuata dal ministero. In tal senso va svolta una opera di sollecitazione e questa rappresenta l'occasione per affermare che questo importante settore potrebbe dare una soluzione positiva alla questione che riguarda non tanto la farmacovigilanza quanto la qualità del servizio da rendere ai cittadini.
GIACOMO BAIAMONTE. L'onorevole Burtone ricordava che non si sta facendo nulla da parte del ministero per migliorare la situazione. Credo tuttavia che uno dei punti qualificanti che il ministro ha ricordato - e a cui teneva in particolare - sia quello relativo all'aggiornamento dei medici, nel senso di attribuire loro dei crediti per aggiornarsi e essere nella condizione di svolgere al meglio la loro funzione. Insisto su questo aspetto: è importante che il medico si riappropri del rapporto con il paziente e quest'ultimo di quello con il proprio medico. Questo è il punto fondamentale e qualificante di una ripresa del dialogo, nell'interesse del cittadino e di tutti noi.
MARIO FALCONI, Segretario della FIMMG. In realtà, ho limitato il mio intervento introduttivo perché si parlava di farmacovigilanza; quindi, mi sono attenuto a questo, anche se i deputati hanno allargato il discorso.
Onorevole Baiamonte, sono totalmente d'accordo con lei. Stiamo spingendo sull'ECM, perché credo sia una carta importante da giocare e perché la classe medica deve recuperare credibilità nei confronti dei cittadini, soprattutto nei rapporti umani. All'onorevole Burtone vorrei dire che, se la macchina non ha funzionato, le responsabilità, fino a prova contraria, per uno come me, che crede nel primato della politica, sono, in primo luogo, della politica. Infatti, nell'agenda della politica italiana, la farmacovigilanza non c'era. Si è preferita una legge repressiva che, come abbiamo detto, non ha funzionato.
A proposito dei toni usati quest'estate dal ministro: è vero che, in una prima fase, egli si è lasciato andare a qualche tono di troppo, ma si è corretto subito dopo, facendo dichiarazioni pubbliche di stima nei confronti della classe medica e di apprezzamento totale per i medici. Tra
l'altro, i medici di famiglia, ma anche gli ospedalieri, in quello che è avvenuto non c'entravano proprio nulla.
All'onorevole Di Virgilio vorrei dire che concordo su quanto ha detto e, poiché sono un orgoglioso italiano, vorrei aggiungere che, anche se spesso ce ne dimentichiamo, i risultati che questo paese ha raggiunto, in termini di salute, e che sono lusinghieri rispetto al resto del mondo, si devono anche a questi signori e ai loro colleghi. In pochi mesi abbiamo superato la Francia in percentuale di prescrizione di farmaci generici - proprio oggi, su questo argomento, ho tenuto una conferenza stampa insieme al ministro - e questo lo dobbiamo ai cittadini e ai medici che li hanno prescritti. Quindi, concordo sul fatto che abbiamo una classe medica responsabile.
Quest'estate mi hanno assunto a tempo pieno per la difesa della classe medica (probabilmente ero l'unico disponibile sulla piazza) ed ho sentito tante stupidaggini da parte di molti. Sembrava che gli italiani consumassero farmaci a gogo; ricordo ai deputati che i cittadini italiani consumano 500 mila lire all'anno di farmaci, meno dei cittadini di altri paesi d'Europa e molto meno di quelli degli Stati Uniti, che ne mangiano circa due milioni. Detto questo, c'è da fare molta educazione medica continua per tutti, perché ci stiamo americanizzando, mangiando le merendine e delegando al farmaco quello che non è delegabile.
Per quanto riguarda l'informazione scientifica (anche se non era tra i temi di questa riunione), bisogna rivedere, e lo stiamo facendo, la legge n. 541, e su questo abbiamo avuto anche un incontro al ministero, perché siamo totalmente convinti che il turismo scientifico vada abolito; addirittura abbiamo proposto di finanziare l'ufficio di ispezione, perché vada a controllare i medici che fanno il turismo scientifico quando devono fare qualche altra cosa.
Vorrei dire all'onorevole Massidda che non è assolutamente vero che i medici si abbeverino soltanto all'industria: è di oggi la decisione con cui molto presto istituzionalizzeremo, con la direzione generale del farmaco del ministero, un forum permanente, per via telematica, tra i medici e il centro, per dialogare. Quindi, sono d'accordo che si debba aggiungere qualcosa in più, ma contesto quello che comunemente si pensa, e cioè che il medico sia quel cretino che, quando arriva quell'altro cretino, imbottito di notizie, a volte stupide, e le trasferisce sul medico, quest'ultimo scrive la ricetta. Leviamocelo dalla testa; non è così, altrimenti non saremmo uno dei paesi al mondo dove si invecchia di più. Vorrei concludere dicendo che, forse, questo si deve anche a noi medici.
GIUSEPPE ROSATO, Componente della segreteria nazionale della ANAAO-ASSOMED. Vorrei cominciare proprio dall'informazione. In effetti, solo una parte minima dell'informazione arriva al medico attraverso gli informatori scientifici. Sono d'accordo con il dottor Falconi sulla necessità di rivedere la legge n. 541. Infatti, abbiamo avuto tre riunioni in Farmindustria, per presentare concrete proposte di modifica e cercando di evitare, in primo luogo, il turismo scientifico.
La maggior parte dei medici viene informata dalle grandi società scientifiche, che ormai sono polisettoriali; si dividono per specialità ed ogni specialità ha la propria società. I grandi trials, europei ed internazionali, a cui vengono invitati i medici italiani, sono la risposta al problema dell'informazione.
La formazione sulla farmacovigilanza è fondamentalmente estranea alla nostra cultura universitaria. Se andrete a prendere anche la tabella n. 18, vedrete che la farmacovigilanza si insegna in pochissime università e che non è neppure uno degli esami complementari di farmacologia. Quindi, da questo punto di vista, manca proprio la cultura. Con il professor Caputi è stato realizzato un interessante momento culturale sulla farmacovigilanza, in Sicilia, con degli ottimi risultati. Dopo di che, quando si è centralizzato quello che si era realizzato a livello regionale, si è persa ogni traccia di ciò che era stato fatto.
Vi è la necessità di fare formazione? Possiamo utilizzare l'ECM, anche per quanto riguarda la formazione per la farmacovigilanza, però tenete conto che, se la formazione non è legata anche alle case farmaceutiche, va finanziata. Il ministro Sirchia deve capire che, per avere medici sempre formati ed aggiornati, deve necessariamente trovare soldi.
La scheda individuale potrebbe anche essere un'ottima soluzione: ogni paziente potrebbe avere la sua scheda per i farmaci che utilizza, quasi un pedigree, che può utilizzare quando va in ospedale, quando va dal medico ospedaliero, e così via. Ma bisogna sedersi intorno ad un tavolo e trovare il mezzo più idoneo ad assicurare al paziente il miglior controllo per i farmaci che prende e, ai medici, la migliore sicurezza.
ALBERTO CLIVATI, Vicepresidente vicario della CIMO-ASMD. Vorrei fare sostanzialmente due osservazioni. Prima di tutto, non siamo all'anno zero; il mondo sanitario italiano è molto meno becero di quanto viene dipinto ed anche l'università non fa così poco rispetto ai bisogni. Possiamo modernizzarci, perché ancora oggi, in gran parte degli ospedali, tutto è fatto attraverso il sistema cartaceo. Speriamo che l'espressione «sistema cartaceo» scompaia nel giro di un anno o due.
La seconda questione riguarda l'educazione e l'informazione, in ogni campo medico. Come sindacato dei medici ospedalieri ci siamo già organizzati con una nostra società scientifica e collaboriamo con le altre. Si tratta anche di far vedere come possono interagire i vari gruppi. Noi abbiamo scelto una strada: affittiamo le nostre ore sul satellite, mettiamo in contatto Roma e Milano con la Sicilia, in modo da far comunicare centinaia di medici, e ce lo paghiamo da soli. Vedo con piacere che anche l'ANAAO dice lo stesso, perché è qualche anno che lo diciamo e, soprattutto nell'ultimo contratto, non ce n'è traccia, mentre è stato uno dei motivi per cui abbiamo «litigato» con il ministro Bindi. Il problema è che fare le nozze con i fichi secchi non serve a niente: se l'ECM non ha un certo tipo di sovvenzione e non è inserita nel contratto (l'insegnamento il giovedì mattina, all'interno dell'ospedale, è una bella cosa, ma non è quello che intendiamo noi), se non è finanziata, se non è vista come un investimento per far crescere i medici, si tratta di aria fritta, che commuove magari qualche brav'uomo, ma che rimane tale.
PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti: sicuramente abbiamo appreso molto e credo che avremo altre occasioni di confronto.
Dichiaro chiusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza, anche con riferimento alla questione dei farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti della Bayer.
Do ora la parola al dottor Paolo Pucci, direttore della divisione farmaceutica della Bayer.
PAOLO PUCCI, Direttore della divisione farmaceutica della Bayer. Signor presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziarvi per l'invito che mi è stato rivolto al fine di esporre - spero brevemente - le vicende legate alla cerivastatina, vicende che si sono sviluppate a partire non solo dall'estate scorsa, ma anche dalla data di registrazione. Ricopro il ruolo di responsabile della divisione farmaceutici della Bayer in Italia. La Bayer Italia - del gruppo Bayer internazionale - è presente sul territorio italiano da oltre cent'anni, attraverso sei aziende e quattro poli produttivi; nel complesso, offre lavoro ad oltre tremila nostri concittadini. Se mi è concesso, vorrei spiegare l'iter regolatorio e commerciale della molecola cerivastatina che - come avete appreso dalle precedenti audizioni - era commercializzata in Italia dalle tre aziende.
PRESIDENTE. Dottor Pucci, la interrompo, non per toglierle la parola, ma per invitarla ad essere il più possibile conciso. Grazie.
PAOLO PUCCI, Direttore della divisione farmaceutica. In questa sede, cito tre date soltanto. La cerivastatina è stata registrata, in Inghilterra, nell'aprile del 1997 e, da quel momento in avanti, è stata regolata, a livello europeo, da due entità, secondo la mutua registrazione. Il 25 giugno 2001 la Bayer, volontariamente, ha richiesto ed attuato una procedura di restrizione urgente di foglietto illustrativo. L'8 agosto, infine, la Bayer ha annunciato, alle autorità regolatorie ed a quelle della borsa di Francoforte, il ritiro del farmaco.
Se mi concede ancora un minuto, desidero evidenziare un fatto emerso successivamente. Durante l'estate abbiamo letto ed appreso dai media una grande quantità di notizie concernenti la cerivastatina. Gran parte dell'attenzione della stampa si è concentrata sulla cerivastatina e sul ritiro del farmaco dopo il pubblico atto d'accusa dell'autorità sanitaria tedesca; quest'ultima accusava la Bayer di non aver comunicato tempestivamente ed in modo corretto i dati relativi al processo di farmacovigilanza. La notizia era di grande rilevanza e la stampa l'ha riportata immediatamente: in data 17 agosto il Corriere della sera titola «Bayer sapeva da mesi dei rischi» e la Repubblica «Berlino all'attacco: i responsabili quelli della Bayer». Il giorno successivo il manifesto titola «Bayer fa paura, psicosi in Italia » e, dopo due giorni, le pagine interne del Corriere della sera recitano: «Il Governo tedesco in tivù: ecco le colpe della Bayer».
Ciò che forse non è giunto all'attenzione di questa Commissione è che il 13 settembre del 2002, circa un mese dopo il ritiro del farmaco, il Bifarm (l'autorità sanitaria competente per la regolazione dei farmaci in Germania) trasmette un comunicato stampa (se desiderate posso metterlo agli atti) che recita: «Il ritiro volontario del Lipobay, da parte di Bayer, ha eliminato i possibili rischi associati all'uso del medicinale. In seguito ad intense discussioni e a sforzi congiunti da parte del Bifarm - autorità tedesca per la regolamentazione dei farmaci - e di Bayer per chiarire la situazione, si può concludere che l'accusa che Bayer abbia taciuto informazioni rilevanti ai fini della sicurezza del prodotto non è più sostenibile. Bayer ha fornito le informazioni rilevanti all'agenzia inglese, nel contesto del mutuo riconoscimento europeo, e l'autorità inglese, a sua volta, ha informato le autorità dei paesi membri. Le informazioni necessarie per includere una controindicazione, l'avvertenza che il Lipobay non deve essere utilizzato in associazione con il Gemfibrozil, sono state trasmesse alle autorità di competenza negli altri Stati membri, inclusa l'autorità tedesca». Seguono altri dettagli.
Vorrei poter affermare che tale notizia ha avuto eco sui media; purtroppo non posso farlo, perché, a detrimento del buon nome dell'azienda - che sarebbe stato, in buona parte, ristabilito -, non vi è stato riscontro di questa ritrattazione nei media. Ritenevo in ogni caso importante portare ciò alla vostra conoscenza.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano formulare domande o richieste di chiarimento. Vorrei soltanto rilevare che l'indagine conoscitiva non vuole essere un atto d'accusa nei confronti della Bayer. La Bayer è stata, infatti, la prima azienda a lanciare il segnale d'allarme, ancor prima della farmacovigilanza italiana. Di ciò bisogna darle atto. Vorrei, in questa sede, porre una domanda relativamente alle lamentele presentate da qualche collaboratore scientifico circa il ritardo con cui, spesso, si ricevono dall'azienda le comunicazioni sugli effetti collaterali del farmaco, considerato che il collaboratore scientifico è il principale anello di congiunzione con il medico e con l'utenza.
PIERGIORGIO MASSIDDA. Vorrei formulare la seguente domanda: come vi siete comportati nei confronti dei vostri rappresentanti che incontravano i medici? Vorrei sapere se siete stati solleciti tanto quanto lo siete stati - come risulta dagli atti - con la farmacovigilanza. Ciò che abbiamo gradito è che siete stati più veloci della farmacovigilanza stessa ad evidenziare i rischi. Un altro dubbio che desidero
sollevare riguarda la differenza che esiste tra l'America e l'Italia relativamente alla titolazione. Durante le varie audizioni, abbiamo scoperto che si parlava di dosi differenti tra i casi verificatisi in America ed i casi italiani (richiamo l'esempio dell'aspirina). La terza domanda è la seguente: alla luce di questa esperienza negativa che ha coinvolto la Bayer, potete fornire dei suggerimenti circa i rapporti tra industria ed istituzioni per ciò che concerne l'informazione e la divulgazione della stessa?
GIUSEPPE PETRELLA. Signor presidente, ho ascoltato con molta attenzione le dichiarazioni del rappresentante della Bayer. Ritengo che chiunque abbia letto gli atti della nostra Commissione possa rilevare benissimo che, su tale vicenda, è stato mantenuto sempre un profilo scientifico e non certo politico. Affermo ciò anche per stigmatizzare nuovamente quanto ho dichiarato circa l'atteggiamento dei media. Tale vicenda (risoltasi in una bolla di sapone) ha scatenato un putiferio che poteva creare danni ai pazienti - il nostro principale interesse - e non certo alle aziende.
Ciò detto, vorrei chiedere al rappresentante della Bayer se, oltre alle procedure attivate a livello istituzionale, all'interno di un'organizzazione che vanta circa tremila dipendenti qui in Italia, abbiano preso provvedimenti per scongiurare il ripetersi, in futuro, di analoghi atteggiamenti.
GIACOMO BAIAMONTE. Ringrazio i rappresentanti della Bayer, venuti a relazionare su quello che, in base alle informazioni, si dice essere un ottimo farmaco, ovviamente se adoperato con un dosaggio appropriato e nella giusta maniera, vale a dire senza provocare pericolose interazioni con altri farmaci. A tale proposito, qual è stato l'atteggiamento assunto dalla Bayer nei riguardi di quei paesi (principalmente, gli Stati Uniti) in cui la cerivastatina è stata adoperata non nel dosaggio consigliato di 0,2 microgrammi, ma addirittura in quello di 0,6 e 0,8 microgrammi? In secondo luogo, desidererei sapere quale atteggiamento sia stato assunto in relazione alle notizie riguardanti l'associazione della cerivastatina con i fibrati (che ha determinato guai non indifferenti). Non voglio dare la colpa a nessuno, ma è certo che qualcuno ha sbagliato nell'associare i predetti farmaci; ecco perché chiedo quale sia stato l'atteggiamento della società prima di ritirare il farmaco e di informare non solo il nostro paese ma anche gli altri sull'uso anomalo del farmaco medesimo.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai rappresentanti della Bayer per la replica.
PAOLO PUCCI, Direttore della divisione farmaceutica della Bayer. Vi ringrazio per le domande postemi, che - coprendo praticamente ogni profilo dell'attività relativa alla cerivastatina - sono sicuramente complesse; tuttavia, cercherò di rispondere in modo esauriente. Comincio dalla prima domanda. Si è parlato di alcune differenze tra la farmacovigilanza della Bayer e dell'Italia (ed io credo che dovremmo riferirci al contesto della farmacovigilanza europea). A giugno, la Bayer è stata indotta ad assumere una posizione tale da imporre volontariamente la variazione del foglietto illustrativo poiché all'interno della procedura di mutuo riconoscimento c'erano diverse visioni sulla necessità di apportare quella variazione. Ed è per questo che la Bayer ha volontariamente rotto gli indugi ed ha attivato la procedura.
Debbo anche dire che i dati di cui disponevamo in Italia erano tali da darci una certa tranquillità, poiché la farmacovigilanza italiana, vuoi per i dosaggi relativamente bassi da sempre praticati (di 0,2 microgrammi, mentre in altri paesi venivano prescritti fino a 0,8 microgrammi) vuoi per altre ragioni, non aveva dato adito a preoccupazioni. Escludo, quindi, che nel caso di specie vi sia stata una pecca specifica della farmacovigilanza italiana: casomai, un temporeggiamento è stato causato dal sistema europeo del mutuo riconoscimento.
Per quanto riguarda la domanda su cosa la Bayer abbia fatto sul versante
dell'informazione scientifica (oltre a dare corso alle procedure di legge), tengo a precisare che noi consideriamo gli informatori scientifici del farmaco - e ne abbiamo 400 in Italia - una parte fondamentale del processo di comunicazione con il mondo dei professionisti medici. Per tradizione, i nostri informatori sono persone altamente qualificate. Essi passano attraverso un processo di formazione rigoroso, che non avviene una tantum: non si tratta, infatti, di un corso full immersion di tre settimane e basta, ma continuo. Il nostro apparato organizzativo contempla apposite figure professionali chiamate field trainers, alle quali è demandata la formazione costante degli informatori sul territorio. Per tali motivi, nutriamo grandissima fiducia negli informatori del farmaco Bayer, i quali vengono tenuti al corrente di tutti gli eventi importanti a livello aziendale (e non solo di quelli riguardanti i prodotti da divulgare).
Per rendere meglio l'idea, il giorno successivo alla variazione, quindi il 26 giugno, abbiamo mandato per posta elettronica a tutti i nostri informatori una lettera che, anzitutto, raccomandava di dare notizia ai medici che era in fieri un'importante variazione del foglietto illustrativo e di informarli del contenuto (considerino che i nostri informatori vedono svariate migliaia di medici ogni giorno); inoltre, venivano loro forniti un modulo di autoistruzione - affinché fossero perfettamente informati sulla rabdomiolisi -, un aggiornamento sui dati di farmacovigilanza italiani, un formulario contenente alcune domande a risposta tecnica e, inoltre, i numeri telefonici di personale marketing e di personale medico - a disposizione degli informatori medesimi e della classe medica - ove mai questi ultimi ritenessero di porre ulteriori domande.
Quindi, mentre, da un lato, davamo corso alla procedura di restrizione urgente del foglietto illustrativo, in conformità alla normativa vigente, dall'altro informavamo tutta la nostra organizzazione perché eravamo consci che, utilizzando i nostri informatori anziché le normali procedure, saremmo riusciti ad assicurare più velocemente un'informazione completa alla classe medica. Poiché sono qui per fornire la massima collaborazione, come ho già fatto in altra sede, posso depositare tutta la relativa comunicazione aziendale interna. Non sarebbe la prima volta e lo farei con molto piacere qualora la Commissione lo ritenesse necessario.
Spero di avere esaurientemente risposto alla domanda.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Pucci. Ovviamente, la domanda non era rivolta specificamente alla Bayer. Lei ha risposto, giustamente, a nome della Bayer, ma analoga domanda è stata posta anche alla Farmindustria. In ordine al modo in cui la Bayer assicura l'informazione mediante i suoi collaboratori lei ha dato sicuramente una risposta esauriente.
PAOLO PUCCI, Direttore della divisione farmaceutica della Bayer. Io posso rispondere per la Bayer. Poiché l'onorevole Massidda poneva anche la questione della rapidità, credo che la nostra sia testimoniata dal fatto che, il giorno prima, eravamo al ministero, io ed il mio direttore medico, per manifestare la nostra disponibilità a dar corso alla procedura. Il giorno dopo abbiamo dato inizio all'invio delle «dear doctor letter» ed abbiamo impartito le necessarie istruzioni a tutti i nostri informatori. Quindi, credo che siamo stati rapidi. Si tenga presente che a fronte di ogni prescrittore di cerivastatina in Italia abbiamo spedito dieci lettere.
Per quanto riguarda le differenze di dosaggio, sicuramente il mercato italiano - ed il mercato europeo in genere - differisce in modo sostanziale dal mercato americano. Ho lavorato per molti anni negli Stati Uniti, presso un'altra azienda; sono stato dapprima informatore del farmaco e successivamente capo area (quindi parlo per esperienza diretta): negli Stati Uniti, i dosaggi sono normalmente più alti rispetto ai paesi europei; sotto alcuni aspetti, inoltre, c'è maggiore aggressività nell'approccio terapeutico.
PRESIDENTE. Anche la farmacovigilanza è diversa.
PAOLO PUCCI, Direttore della divisione farmaceutica della Bayer. La farmacovigilanza è diversa, ma è anche diverso il sistema. In Italia, grazie al nostro sistema sociale, la maggior parte dei cittadini è coperta da un'assicurazione sociosanitaria, mentre negli Stati Uniti milioni di persone non lo sono (ora, però, entro in temi politici che non mi competono in questa sede).
Spero di avere risposto alle prime due domande; vengo alla terza, cioè quella relativa alle esperienze negative dell'industria e ai nostri suggerimenti per il futuro. Indubbiamente, molti sono i farmaci che vengono ritirati ogni anno. La farmacovigilanza è un elemento molto importante nel corso della vita di un farmaco: possiamo studiare i farmaci in laboratorio, ma poi essi acquistano una vita propria anche nel contesto clinico; quindi, è importante dedicare un'attenzione alla farmacovigilanza. Parlo ancora per esperienza professionale. Ho lavorato anni in Svezia, che è un mercato molto avanzato per quanto riguarda il processo di informatizzazione della farmacovigilanza (ma anche del sistema amministrativo in genere), e devo dire che quella informatizzazione così spinta aiuta in modo notevole. Credo che l'Italia sia ben incamminata, se solo guardiamo ai portali che sono stati recentemente aperti dall'autorità sanitaria italiana. La strada quindi è già tracciata; bisogna soltanto percorrerla fino in fondo, utilizzando al meglio i mezzi che man mano la tecnologia ci mette a disposizione. Quindi, i suggerimenti non richiamano a nulla di nuovo.
Per quanto riguarda l'atteggiamento dei media verso l'allarme dei pazienti, potete immaginare che non sia stato piacevole per le 3 mila persone che lavorano nella Bayer leggere i giornali e guardare i telegiornali durante l'estate. Devo dire anche però che non mi sento personalmente di biasimarli, perché nel momento in cui un ministero tedesco fa una accusa così pubblica è normale che la stampa la riprenda. Purtroppo, come vi ho detto, quando c'è la ritrattazione non avviene il contrario. Devo dire che uno dei possibili effetti di tanta attenzione sulla vicenda Lipobay, che viene prefigurato peraltro non da me, ma dagli esperti, è che alcuni pazienti lascino la terapia con le statine. Le acquisizioni scientifiche più recenti ci dicono che le statine rappresentano una classe di farmaci salvavita importante, che ha ridotto sensibilmente la mortalità sia totale sia cardiovascolare. Quindi, è probabile che l'effetto non sia del tutto positivo per i pazienti.
È stata un'esperienza in più che induce le autorità ad avere un dialogo sempre più aperto con i pazienti. Negli Stati Uniti è ammesso anche un altro tipo di dialogo, in Europa e in Italia noi dovevamo reagire, in un certo senso, passivamente. Tutto quello che abbiamo potuto fare è stato informare e credo che l'abbiamo fatto con zelo. Per tutto il mese di agosto, oltre a me, c'era un gruppo di persone alla Bayer, richiamato dalle ferie, che era a disposizione ai numeri normali Bayer e al numero telefonico che noi avevamo comunicato alla classe medica già in occasione della «dear doctor letter» relativa alla variazione dei foglietti illustrativi. Quindi, questo è quello che noi abbiamo potuto fare nella fattispecie.
Quanto alla domanda su cosa l'azienda che ho l'onore di rappresentare possa fare per la farmacovigilanza, devo dire che, oltre a continuare il percorso dell'informatizzazione e della comunicazione aperta - che d'altra parte ho riscontrato essere all'attenzione delle autorità competenti, che poi si possono fare portavoce di essa a livello anche europeo - forse, nell'ambito della procedura di mutuo riconoscimento, i tempi europei potrebbero essere più stretti per certe variazioni. Per quanto riguarda la domanda sulla bontà del farmaco e sulle modalità d'uso occorre dire che, sicuramente, la cerivastatina in Italia era un buon farmaco ed era utilizzato bene. Ad oggi, a fronte di 500 mila pazienti trattati dalla data della commercializzazione in poi, la farmacovigilanza della cerivastatina non evidenzia, a quanto risulta dai nostri archivi, elementi di preoccupazione. Dei vari casi che sono stati citati dalla stampa e altrove solo uno di questi a noi risulta essere ancora oggetto
di valutazione al fine di stabilire una correlazione. L'esperienza italiana, che è l'unica di cui posso trattare, parla di un prodotto commercializzato per lo più con il dosaggio 0,2 microgrammi, ed anche di un prodotto commercializzato praticamente da sempre con l'avvertenza molto chiara nel foglietto illustrativo di non usarla in combinazione con il Gemfibrozil. Questi due elementi probabilmente hanno fatto della cerivastatina un farmaco bene utilizzato, almeno in Italia; per quanto riguarda gli altri paesi non posso commentare perché non ho a portata di mano tutti i dati.
Per quanto riguarda l'attitudine della Bayer verso gli altri paesi, posso assicurare che negli Stati Uniti è stato fatto di tutto, così come negli altri paesi, per scoraggiare nel modo più forte possibile l'uso in combinazione dei due farmaci. Evidentemente, negli Stati Uniti, questa era una pratica che sussisteva nonostante tutto (mi riferisco sia alla pratica dei dosaggi terapeutici relativamente più alti sia alla pratica dell'uso in combinazione), ed è questo che ha fatto concludere alla Bayer che la cosa migliore dal punto di vista etico fosse di ritirare volontariamente il farmaco. Originariamente, il farmaco è stato ritirato in tutti i paesi tranne che in Giappone, poiché in Giappone non era presente il Gemfibrozil; successivamente, il Gemfibrozil è stato registrato in Giappone e quindi anche lì c'è stato il ritiro della cerivastatina.
PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Pucci per le risposte che ci ha dato. Anche noi cercheremo di vedere come si attua la farmacovigilanza - al di là della cerivastatina - in altre nazioni, perché essa è organizzata in maniera diversa. In altre nazioni operano anche organizzazioni diverse da quelle statali, per cui bisognerebbe effettuare un confronto per capire - a ciò mira questa indagine - se le cose possano essere migliorate anche nel nostro paese.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 18.15.