INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11.35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza, anche con riferimento alla questione dei farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione farmaceutici dell'industria e di rappresentanti della Farmindustria.
La Commissione ha deliberato questa indagine per dibattere sul tema della farmacovigilanza in Italia, in particolare con riferimento al caso del Lipobay, risalente alla scorsa estate. Lo scopo è fare il punto su quanto è successo e verificare, attraverso l'apporto di conoscenze e di elementi forniti da parte di coloro che saranno ascoltati, quale sia attualmente la situazione nel nostro paese in merito al tema della farmacovigilanza. Premetto che, fortunatamente, l'Italia vanta un numero minimo di incidenti analoghi a quello verificatosi; tuttavia, di fronte al rischio anche eventuale che ciò possa accadere nuovamente è giusto indagare.
Sono presenti la dottoressa Giovanna Cangiano, consigliere e coordinatore della Commissione regolatoria dell'AFI, i dottori Umberto Mortari ed Emilio Stefanelli, vicepresidenti della Farmindustria, il dottor Maurizio Agostini e la dottoressa Alessandra Manassero, entrambi responsabili dell'area tecnico-scientifica.
Do ora la parola alla dottoressa Cangiano.
GIOVANNA CANGIANO, Consigliere e coordinatore della Commissione regolatoria dell'AFI. Sul tema della farmacovigilanza in Italia, è giusto premettere che, per quanto riguarda le attività industriali, l'AFI è un'associazione costituita prevalentemente da tecnici. Ci occupiamo, quindi, degli aspetti pratici in questo settore. In particolare, la farmacovigilanza rientra nell'ambito di competenza della commissione regolatoria, di cui io sono la coordinatrice. Siamo tutte persone che lavorano in azienda e questo ci ha permesso di verificare sul campo, a volte in prima persona, i problemi attinenti alla farmacovigilanza. In realtà, molti di noi sono dei responsabili proprio nel settore della farmacovigilanza.
Dal punto di vista delle aziende, la situazione sulla regolamentazione è chiara. Siamo infatti perfettamente in linea con la normativa europea. Non solo, ma a volte assumiamo un approccio anche più restrittivo rispetto agli altri paesi (mi riferisco, per esempio, ai tempi di comunicazione delle eventuali segnalazioni che riceviamo).
Per quanto riguarda il collegamento tra le aziende, esse sono interconnesse attraverso un sistema di raccolta dati comune. Per le multinazionali, poi, c'è un ulteriore collegamento, non solo a livello europeo ma, come nel caso di quelle americane, con le stesse case madri d'oltreoceano. Direi quindi che le informazioni circolano ed anche abbastanza bene. Lo scambio con gli altri utenti risulta buono ed il quadro d'insieme chiaro. Questa è la prospettiva da parte nostra.
PRESIDENTE. La ringrazio per il suo intervento. Desidera aggiungere qualche commento in particolare riguardo al caso Lipobay? Senza dubbio, infatti, quest'ultimo
appare strettamente legato al tema della farmacovigilanza.
GIOVANNA CANGIANO, Consigliere e coordinatore della Commissione regolatoria dell'AFI. Sul caso Lipobay specificatamente non saprei cosa aggiungere poiché, come associazione, non siamo stati coinvolti direttamente ma posso affermare, proprio in relazione a quanto avvenuto, che, a livello di sistema di farmacovigilanza, varrebbe la pena diffondere maggiormente tra tutti gli operatori tale concetto. Per quanto riguarda le aziende, infatti, queste ultime sono molto coinvolte e preparate sul tema e questo per vari motivi (la loro conoscenza delle leggi e via dicendo).
Forse, come ho detto, in alcuni settori - così come in alcune aree - bisognerebbe approfondire maggiormente il concetto - se non proprio la cultura - della farmacovigilanza: questa è l'unica osservazione che mi sento di aggiungere.
PRESIDENTE. Sottolineando che questa sua osservazione trova conferma in altre già svolte, ricordo che ci sono state precedenti audizioni nel corso delle quali è stato affrontato il problema da lei accennato, cioè quello della diffusione dell'informazione e della sua organizzazione - che deve essere migliorata e lo si sta facendo - per cui le aziende notificano i problemi rilevati al Ministero della salute, il quale, a sua volta, ha poi il compito di raccogliere e notificare tali segnalazioni in modo coerente ed efficace. Si tratta, dunque, di una situazione già precedentemente evidenziata. Tuttavia, c'è una questione che - credo di parlare anche per molti altri membri della Commissione - ha destato in me alcune perplessità e che, approfittando del suo intervento, desidero chiarire rivolgendole una domanda, cui la invito - al pari dei suoi collaboratori scientifici - a rispondere.
Per quanto riguarda la comunicazione e lo scambio di informazioni tra aziende ed informatori scientifici, lei ha sottolineato la rapidità e la tempestività di modi in cui tutto ciò avviene. Tuttavia, in occasione della precedente audizione, vi fu chi affermò che, al contrario di quanto da lei ora riferito, queste comunicazioni fra aziende farmaceutiche - riferendosi in generale a tutta la categoria, senza distinzione di nomi - e collaboratore scientifico non avvenivano affatto in modo così tempestivo. Di più, questi ultimi, considerati d'altronde dai medici una componente importante nell'opera di diffusione del farmaco e, al limite, in quella di farmacovigilanza, non avevano - secondo l'audito - notizia tempestiva degli eventuali effetti collaterali che un farmaco poteva causare. A questo riguardo, desidero sottolineare che, nel caso del Lipobay in particolare, si trattava di un farmaco già in commercio. Mi sembra giusto ribadirlo poiché gli effetti collaterali di un farmaco, studiati e rilevati prima della sua messa in commercio, sono scritti nel cosiddetto bugiardino (che poi è tale solo di nome).
Tuttavia sappiamo, in qualità di medici ed operatori nel settore, che, nel tempo, con il progressivo utilizzo del prodotto, possono effettivamente presentarsi ulteriori effetti collaterali indesiderati, soprattutto in seguito alla combinazione ed interazione di più farmaci tra loro. È quindi evidente che la tempestività nella comunicazione assume, nell'ambito di cui discutiamo, un ruolo fondamentale.
Pertanto, ricordo bene che fui sorpreso dalle affermazioni fatte nel corso della precedente audizione (invitai persino l'intervenuto a ripetersi). Non si trattava di un atto d'accusa ma veniva ribadita l'esigenza di essere informati più tempestivamente. Rivolgo, pertanto, a lei, ma più in generale all'industria farmaceutica tutta, l'osservazione del collega di allora relativa alla reale tempestività dell'informazione.
EMILIO STEFANELLI, Vicepresidente della Farmindustria. In effetti, anche a me tutto questo risulta strano. Gli informatori scientifici provengono dalle aziende e fanno parte delle stesse. Parlo a nome delle aziende, ma, per questo, ritengo di potere parlare allo stesso tempo anche a nome degli informatori, nel senso che essi rappresentano una parte importante delle nostre aziende. Dobbiamo sempre ricordare
che l'informatore scientifico dipende dal nostro responsabile dell'informazione scientifica. Quindi è - diciamo - il vettore dell'informazione sul prodotto; egli deve quindi arrivare dal medico con un'informazione scientifica ben precisa e ben definita. Nel momento in cui, a causa di qualche effetto riscontrato, si adottano cambiamenti nella scheda tecnica o nel foglio illustrativo, immediatamente il nostro servizio di informazione scientifica contatta i propri uomini in modo tale che questi riportino al medico l'informazione.
Direi che il sistema è molto ben congegnato, senza escludere che qualche volta si possa anche sbagliare: è umano! Pertanto, da un lato c'è un sistema di farmacovigilanza e, dall'altro, di aggiornamento degli stampati del prodotto. Appena si ha una nuova versione degli stampati del prodotto - ed in particolare delle schede per l'informazione scientifica - questa viene mandata ai vari informatori scientifici proprio perché vadano dal medico a riferire su ciò che è cambiato.
UMBERTO MORTARI, Vicepresidente della Farmindustria. Ritengo che, dopo l'intervento della dottoressa Cangiano, in qualità di rappresentante dell'industria farmaceutica, ci sia poco da aggiungere. Noi siamo soggetti ad obblighi ben precisi dalle norme attualmente in vigore, le quali recepiscono una normativa europea ed, anzi, da noi la rendono ancora più stringente. Per esempio, sono previste dalla normativa italiana, a differenza di quanto avviene a livello europeo, sanzioni penali nei confronti degli amministratori delle aziende che non rispettino i termini di denuncia degli effetti collaterali attesi o inattesi.
Se un problema esiste nell'ambito di cui discutiamo, ritengo che sia esclusivamente culturale, perché per quanto riguarda la farmacovigilanza norme e processi in questo campo non mancano. Forse le strutture possono non essere al pari di quelle degli altri paesi europei, ma ciò non significa che - e vengo al caso del Lipobay - in paesi come l'Inghilterra o la Svezia, dove la farmacovigilanza è da sempre stata una priorità, si siano verificati meno problemi che da noi: anzi, semmai è vero il contrario. La domanda consiste allora nel chiedersi come affrontare tale discorso culturale.
Da tempo, come Associazione delle aziende farmaceutiche, abbiamo avviato una serie di iniziative. Già nell'ottobre del 1999 - ricordo che la normativa è del 1997 - organizzammo un seminario per tutte le aziende associate proprio sul tema della farmacovigilanza.
Nel luglio del 2001 - quindi alla vigilia dell'estate, quando è scoppiato il caso delle statine - abbiamo distribuito alle aziende associate e a tutte coloro che ce ne facevano richiesta un CD-ROM completo proprio sul tema della farmacovigilanza che - con l'aggravio che tutto ciò comporta per le aziende farmaceutiche - tra breve sarà anche disponibile sul nostro sito Internet.
Sono poi quasi in fase di attuazione un'altra serie di iniziative, alcune di nostra esclusiva promozione, altre in cooperazione con l'ordine dei medici, con società scientifiche, con la CRUI - la Conferenza dei rettori delle università - per divulgare al massimo livello le tematiche della farmacovigilanza, secondo noi - lo ripeto - molto importanti.
Volevo, infine, aggiungere un commento a quanto già detto dal collega Stefanelli per quanto riguarda la comunicazione verso i nostri informatori scientifici. Ritengo che, al di là di un obbligo legale, questo sia anche un obbligo etico. Di più, l'amministratore di una società lo considera anche come un obbligo economico nei confronti degli azionisti, perché tenere nascosto un effetto collaterale alla classe medica può voler significare veramente la fine di un farmaco (non che lo abbiano tenuto nascosto, ma il caso Lipobay è la conferma di quanto sto dicendo).
Ci sono quindi una serie di motivazioni che spingono l'azienda verso un'informazione che deve essere il più tempestiva possibile in relazione ad ogni cambiamento della scheda tecnica.
PRESIDENTE. La ringrazio per il suo intervento. Tuttavia, non vorrei che fosse
stato travisato nelle mie parole il significato di quanto ho affermato. Non si è parlato di «tenere nascosti» eventuali effetti collaterali di un farmaco alla classe medica, ma è stato ribadito che - e risulterà dagli atti - non avviene tempestivamente la comunicazione sugli eventuali effetti collaterali che insorgono successivamente all'immissione in commercio di un farmaco. Tale comunicazione, come sostenne quel collaboratore, non sembra pervenire in tempo utile ai medici. Non è stato detto che tali effetti vengono taciuti: ci si riferiva - come ricordava la dottoressa - alla tempestività della comunicazione. È bene chiarire e specificare questo punto.
EMILIO STEFANELLI, Vicepresidente della Farmindustria. Ritengo che il dottor Mortari abbia ben spiegato che, in fondo, a parte ogni motivazione di carattere legislativo, far sì che queste cose avvengano nel modo migliore possibile rappresenta un interesse vero e proprio - oltre che etico anche economico - per le aziende farmaceutiche.
Oltre ad essere previste sanzioni per le aziende - ma non è questo il punto - la questione è che esiste - e lo ribadisco - un vero interesse etico, oltre al fatto che è anche vantaggioso dal punto di vista economico che questo non avvenga. È importante sottolinearlo.
Desidero, infine, aggiungere un'ultima osservazione, riallacciandomi al primo intervento svolto dalla dottoressa Cangiano. Come Farmindustria, cioè in quanto associazione delle industrie farmaceutiche, ritengo che stiamo lavorando abbastanza. Abbiamo un progetto aperto con la Conferenza dei rettori, con i quali stiamo cercando - fra le tante cose in atto - di sviluppare la cultura della farmacovigilanza nelle università. Se paragonassimo l'Italia di oggi a quella di qualche anno fa in tema di farmacovigilanza, possiamo senz'altro affermare di avere ottenuto degli ottimi risultati. Tuttavia, è vero che, forse, siamo partiti un po' più tardi rispetto agli altri. Ricordo che, nel 2000, le nostre segnalazioni erano ancora relativamente ridotte rispetto a quelle degli altri paesi, però mi pare che, con lo sforzo di tutti, questo processo culturale si stia progressivamente sviluppando nel paese e - aggiungo - secondo me anche con buoni risultati.
PRESIDENTE. Il merito, forse, è anche del Lipobay! È una battuta, naturalmente.
Passiamo ora alle domande dei colleghi.
DOMENICO DI VIRGILIO. Ringrazio i dirigenti della Farmindustria. Per chi non mi conoscesse, sono un medico e lavoro in ospedale da 35 anni. Vivo, quindi, in prima persona la situazione di cui si è discusso finora. Considero la Farmindustria - e l'industria farmaceutica tutta - un anello importantissimo, fondamentale nel contesto delineato e ritengo che le si debba riconoscere il ruolo positivo fino ad oggi svolto (parlo, evidentemente per la mia esperienza personale).
Ciò premesso, vorrei che non interpretaste come critiche troppo severe le domande che mi accingo a porre ma piuttosto che le consideraste uno strumento di stimolo per una collaborazione ulteriore. Faccio alcuni esempi: dai dati fornitici dal ministero, nel corso delle varie audizioni svolte, è emerso che, fino agli anni scorsi, addirittura il 75 per cento delle schede di segnalazione pervenute - ma di questo ovviamente voi non siete responsabili - non sono state neanche esaminate a causa di una carenza organizzativa e di informatizzazione del sistema, peraltro, ora risolta dal nuovo ministro.
Un'altra considerazione, più volte ripetuta anche dal nostro presidente, attiene alla necessità di una riformulazione del «bugiardino», perché sapete bene che quest'ultimo, in ultima analisi, non è rivolto ai medici bensì al cittadino e questi dovrebbe poter essere in grado di interpretare quanto scritto in esso. Spesso e volentieri, invece, quest'ultimo sembra rivolto esclusivamente al medico.
A tale riguardo, ripropongo una battuta provocatoria. Se si facesse riferimento, per esempio, alla rabdomiolisi, nessun cittadino -
ma forse, aggiungo un po' malignamente, neanche qualche medico - saprebbe di cosa sto parlando. Si avverte, insomma, la necessità che tale «bugiardino» venga redatto nel modo più chiaro possibile, anche correndo il rischio di essere considerati troppo superficiali. Pertanto, su tale aspetto, desidero rivolgervi alcune domande.
Innanzitutto, secondo la vostra esperienza, i sistemi attuali di farmacovigilanza, nazionale ed europeo (che sono strettamente connessi), forniscono garanzie e certezze su questo problema? E, in caso contrario, quali proposte avanza la Farmindustria perché queste migliorino?
In secondo luogo, gli informatori che vi rappresentano presso i medici, possiedono cognizioni sufficienti per riferire su questo problema ai medici ospedalieri e ai medici di famiglia? Nel corso della mia esperienza, infatti, ho notato che i vostri informatori, la cui preparazione in genere è sufficiente, spesso presentano un metodo di approccio diverso per il medico ospedaliero e per quello di famiglia, quest'ultimo a volte venendo a mancare delle stesse informazioni ricevute dal collega ospedaliero. Ritengo che il medico di famiglia sia un anello importantissimo, fondamentale nell'ambito dell'assistenza sanitaria, più del medico ospedaliero - e parlo da medico ospedaliero, proprio perché, personalmente, ho sempre cercato la collaborazione del medico di famiglia, attualmente costretto a lavorare in modo convulso (ma spero che venga ben presto rimesso al centro del sistema sanitario); proprio in virtù dell'importanza del ruolo dei medici di famiglia, mi domando se egli riceva le stesse informazioni del medico ospedaliero. Non ho esperienza in merito e per questo mi rivolgo anche al nostro capogruppo, l'onorevole Conti qui presente, che in qualche modo rappresenta tale categoria, essendo uno di loro (egli vorrà forse aggiungere qualche osservazione a quelle da me svolte). Mi domando, inoltre, se ci sia una reciprocità di informazioni, da parte del medico di famiglia verso l'informatore circa gli eventuali effetti collaterali di farmaci.
Se, da un lato gli effetti collaterali, i cosiddetti side effects, dei farmaci sono spesso sottovalutati, dall'altro, campagne di stampa eccessive - e questo non mi meraviglia, né mi scandalizza - provocano nel cittadino allarmi spesso ingiustificati. Per esempio, nel caso dell'acido acetilsalicilico (aspirina), sarebbe superfluo ricordare quante vite abbia permesso di salvare, ma conosciamo altresì i suoi effetti collaterali (basta vedere quante persone vengono ricoverate ogni giorno in ospedale per casi di ulcera). Questo, tuttavia, non significa che quel farmaco debba essere bandito. Bisogna emanare giudizi equilibrati.
Per questo motivo, ho proposto alla commissione sanità del ministero la formulazione - non so se a questo mai si arriverà - di una scheda di farmacovigilanza individuale, attraverso la quale il medico di famiglia od ospedaliero, una volta definita la diagnosi e la terapia, possa altresì registrare, per ogni individuo, eventuali effetti collaterali della sostanza somministrata.
Ciò metterà il medico in condizione non solo di segnalare rapidamente (attraverso l'ausilio informatico che dovrebbe collegare ogni medico di famiglia con il ministero, e la FIMMG già si sta attrezzando in questo senso) ma anche di intervenire nell'ambito di un circuito che vede tutti uniti, produttore, informatore, medico, ministero.
GIACOMO BAIAMONTE. Ringrazio i dirigenti della Farmindustria per la loro disponibilità a venire qui oggi per darci il loro parere e per la loro collaborazione in un momento così particolare. Ho sempre creduto nella massima collaborazione fra il medico e l'informatore scientifico e, quindi, Farmindustria. Questo è fondamentale, tant'è che nell'istituto universitario che dirigo ho sempre detto a tutti i miei assistenti che bisogna avere il massimo rispetto per l'informatore scientifico perché è lui che ci mette in contatto con le ultime novità della scienza farmaceutica.
Quindi, considero molto importante la collaborazione tra medico, collaboratore e Farmindustria ma, d'altro canto, non condivido l'opinione di chi, nel corso della precedente audizione, affermava che l'informatore scientifico, di fronte ad eventuali problemi, si debba rivolgere al ministero. Questo lo reputo sbagliato; ritengo che egli debba rivolgersi alla propria ditta e sarà poi quest'ultima ad informare il ministero, e ciò nell'interesse comune, della società e - scusate l'espressione - in termini economici per quanto vi riguarda. Quindi, lo ripeto, l'interesse è comune e non può esserci una distinzione tra questi principi.
Ciò premesso, il punto fondamentale sul quale desidero soffermarmi attiene alla collaborazione che deve esistere tra medico e paziente per poter acquisire tutte le eventuali informazioni riguardanti alterazioni o reazioni particolari che un farmaco potrebbe provocare. Questo è alla base di tutto il sistema, diversamente il medico non sarebbe più tale ma soltanto uno scribacchino.
Volevo invitarvi ad un maggiore senso di responsabilità - come già ricordava l'onorevole Di Virgilio - a proposito del famoso «bugiardino» (il quale altro non è che una scheda tecnica del farmaco), al fine di distinguere la parte relativa alla scheda tecnica da quella informativa per il cittadino, che, quindi, deve prevedere una terminologia appropriata.
Ricordo sempre a me stesso e ai miei collaboratori che quando chiediamo il consenso informato all'ammalato non dobbiamo parlargli in termini medici troppo complicati. Se, da un lato, può infatti esservi colui che, ignorando il significato delle parole usate, firma senza porre domande, dall'altro c'è anche chi desidera sapere dal medico quali siano gli effetti cui si va incontro nel seguire una certa terapia e, nel fare ciò, egli esprime un diritto assolutamente legittimo.
Vi invito, pertanto, a compilare una scheda allegata a quella tecnica che possa mettere il cittadino in condizione di avere informazioni non solo sull'utilità o meno di ciò che assume ma, anche - come accade per le sigarette, che fanno male alla salute e possono fare venire il cancro - di segnalare per iscritto eventuali reazioni che possono presentarsi. Bisogna avvertire il consumatore di fare attenzione e di informare il proprio medico o la struttura sanitaria a lui più vicina in caso sorgano problemi, perché ciò si rivela molto importante ai fini di un controllo del farmaco e della eliminazione di eventuali effetti collaterali che si possono presentare nel tempo.
GIUSEPPE CAMINITI. Ringrazio gli intervenuti; siamo tutti medici e mi associo a quanto detto dall'onorevole Baiamonte circa l'importanza del ruolo svolto dagli informatori farmaceutici, capi-area e via dicendo. Finora, nella nostra nazione, l'informazione sui farmaci e su quanto di nuovo prodotto sul mercato in campo terapeutico è giunto dall'industria. Personalmente, sono un anestesista rianimatore e posso dire che, se non fosse per l'industria farmaceutica, che nel tempo ha prodotto gli anestetici locali e quelli liquidi volatili, a quest'ora somministrerei ancora l'anestesia con l'etere. Non posso, quindi, non riconoscere all'industria farmaceutica un merito enorme nel progresso degli strumenti messi a disposizione dei medici per poter curare gli ammalati.
Non solo: l'industria farmaceutica si fa carico anche dell'informazione relativa ad ogni prodotto verso la classe medica. Anche io, nell'ambito del mio reparto, avevo messo a disposizione ore e giorni specifici per ricevere gli informatori scientifici, attribuendo al colloquio tra medico ed informatore rilievo ed importanza fondamentali, considerandolo un momento importante della formazione e dell'informazione.
Tuttavia, mi rincresce dire che ho notato come, in trent'anni e più di professione, generalmente l'informatore riceva dalla direzione medica direttive che lo portano a porre una maggiore enfasi sugli effetti positivi del farmaco anziché sottolinearne eventuali effetti collaterali, intolleranze o reazioni indesiderate derivanti dall'interazione con altri farmaci.
Ritengo che questo atteggiamento si debba al fatto che l'informatore teme, per così dire, la reazione del medico una volta che questi viene a conoscenza degli eventuali effetti collaterali presentati che, comunque, lo ricordo, sono scritti nel foglietto illustrativo. In realtà, le schede tecniche non sono fatte male, anzi, sono fatte molto bene. Il fatto è che vengono lette con disattenzione o non vengono lette affatto o, addirittura, si arriva a pensare che gli eventuali effetti collaterali riportati non debbano riguardarci, quasi ne fossimo immuni.
In conclusione, se una carenza si rileva, essa è riscontrabile all'origine dell'opera di farmacovigilanza. Si tende, infatti, per quel che riguarda l'informazione, a dare scarsa enfasi - magari sorvolando sull'argomento - agli effetti collaterali e alle eventuali reazioni avverse che il farmaco può generare, rispetto ai suoi effetti benefici, alla sua azione farmaco-dinamica o farmaco-cinetica. È difficile che un informatore entri nello studio di un medico e inizi, nel presentare un farmaco, a descriverne gli effetti collaterali. Egli, al contrario, inizia, generalmente dalle potenzialità e dagli effetti benefici di questo, per poi, e solo nel caso che il medico si riveli estremamente pignolo, esporne eventuali effetti indesiderati. Nel caso dei chinolonici, per esempio, l'elenco degli effetti collaterali che essi possono comportare è tale che, se lo leggessimo tutto per intero, nessuno li prenderebbe. In casi del genere, tuttavia, non è infrequente che l'informatore replichi affermando che i suddetti effetti non si verificano.
Quindi, pregherei l'industria di invitare ogni suo informatore a riservare agli effetti collaterali di un prodotto - attribuendogli altrettanta enfasi - durante il colloquio con il medico, la stessa quantità di tempo spesa per illustrarne gli effetti farmaceutici, l'azione farmaco-cinetica e l'azione farmaco-dinamica. La farmacovigilanza in quanto tale, infatti, nasce dal colloquio tra informatore scientifico, medico e malato. Essa non può nascere all'interno né del ministero, né delle case madri che hanno prodotto il farmaco. I veri alfieri - così li chiamavo quando si recavano da me - dell'informazione sono proprio loro: gli informatori scientifici, con i loro capi area. Spesso, il malato non è a conoscenza degli effetti collaterali di un farmaco - come nel caso della cerivastatina (i malati pensavano di avere un'influenza, imputando la debolezza accusata alle gambe a cause diverse da quella reale). Se non fosse scoppiato il caso, nessuno avrebbe messo in collegamento quella momentanea astenia sopravvenuta con l'assunzione del farmaco.
Pertanto, più che una domanda, rivolgo agli intervenuti, così come ai colleghi deputati, una esortazione: bisogna far nascere la farmacovigilanza dall'interazione dei rapporti tra informatore scientifico e medico, il quale deve essere in grado di identificare gli effetti collaterali lamentati dal malato, evitando di concentrare la sua attenzione solo sugli effetti terapeutici: proprio gli effetti collaterali sono quelli che più spesso il malato non è in grado di riconoscere. Per concludere, il rapporto tra medico e informatore deve migliorare ulteriormente e tendere a privilegiare l'analisi anche degli eventuali effetti collaterali.
CHIARA MORONI. Volevo svolgere una breve considerazione sul fatto che, a mio avviso, nel giudizio di valutazione sulla farmacovigilanza ed i suoi elementi, sempre più spesso viene dimenticato un anello importante, fondamentale, che andrebbe invece rivalutato: parlo del ruolo svolto dal farmacista il quale, nell'esercizio delle sue funzioni quotidiane, rappresenta l'intermediario tra medico, farmaco e paziente. Quest'ultimo, il più delle volte, anche per la facilità quotidiana di recarsi in farmacia (un luogo dove si è certi di trovare un operatore sanitario competente), riferisce proprio al farmacista gli eventuali effetti collaterali sopravvenuti all'assunzione di un farmaco.
Sappiamo che, nella maggior parte dei casi, nello studio del medico di famiglia il paziente è sottoposto a lunghissime code che lo costringono a perdere mezzo pomeriggio. Così, se egli non ha bisogno della
prescrizione medica, il più delle volte è restio a recarsi in uno studio medico per riferire su eventuali effetti collaterali (che, fra l'altro, non sarebbe forse neppure in grado di mettere in relazione con l'assunzione di un farmaco). In farmacia, al contrario, ciò avviene.
Tuttavia il farmacista si trova, nell'ambito del processo di farmacovigilanza, totalmente escluso. Sono, inoltre, d'accordo sulla necessità di rivedere i «bugiardini», distinguendo, nella produzione di una scheda tecnica, tra la parte rivolta agli operatori sanitari - medici o farmacisti - e quella relativa al paziente, e quindi comprensibile anche da parte di coloro che non possiedono nozioni di farmacologia o di medicina.
Anche Farmindustria potrebbe contribuire nel migliorare tale funzione del farmacista, il quale non deve essere un mero distributore di farmaci; non si comprenderebbe perché necessiti di un corso di laurea della durata di cinque anni e perché esista un monopolio dello Stato sui farmaci, se il farmacista non dovesse svolgere un ruolo sociale, di servizio di farmacovigilanza e di divulgazione di cultura sanitaria.
A questo punto, considero giusta l'ipotesi di prevedere schede che siano specificamente rivolte al farmacista, da rinviare poi alle industrie farmaceutiche, sulle quali vengano evidenziati gli effetti collaterali riportati, appunto, dai pazienti al farmacista.
Tuttavia, gli informatori farmaceutici che si recano in farmacia per vendere farmaci da banco - ma non solo da banco - spesso ne esaltano gli effetti positivi, mancando di evidenziare quelli collaterali. Il farmacista diviene, allora, come già detto, la persona deputata a svolgere la funzione di intermediario diretto tra medico e paziente. Il medico può dunque avvalersi di un secondo intermediario, perché c'è un distributore che dovrebbe essere - o almeno ci si aspetta che sia - competente in materia e che deve svolgere un ruolo di intermediazione fra la prescrizione e il contatto diretto con il farmaco. Soprattutto nel caso di farmaci da banco, quindi, anche in considerazione del decreto varato, per cui i farmaci da banco saranno di libera distribuzione e di libero accesso ai pazienti, sempre più si avvertirà l'importanza del consiglio del farmacista.
Pertanto, ritengo che la compilazione da parte del farmacista di una scheda di farmacovigilanza sui farmaci da banco sia molto utile. Molti di questi, infatti, diventeranno ben presto - o sono già - farmaci importanti (mi pare sia di prossima produzione un paracetamolo da 600 milligrammi; l'aspirina stessa è sicuramente un grande farmaco ma comporta anche effetti collaterali significativi nel caso di determinate patologie preesistenti).
In vista della sua utilità, la compilazione di tale scheda andrebbe addirittura imposta ai farmacisti, laddove essi non sempre manifestano la disponibilità a svolgere tale ruolo di farmacovigilanza; così come ritengo sia compito della Farmindustria incentivare i farmacisti a compiere un'azione di farmacovigilanza attraverso la compilazione di schede relative agli eventuali effetti collaterali dei farmaci venduti: il farmacista deve assurgere al ruolo di vero e proprio intermediario - e controllore - nel consumo quotidiano dei farmaci.
GIULIO CONTI. A mio avviso, parliamo di tutto questo in seguito alla vicenda del Lipobay, altrimenti, ritengo che di farmacovigilanza non si sarebbe discusso. Purtroppo questo è un fatto.
Ma c'è di più: né i farmacisti - forse qualche medico di base - né i medici ospedalieri hanno rilevato alcunché circa le controindicazioni del Lipobay. Questo è un dato di fatto. A denunciare le controindicazioni del Lipobay è stata la stessa azienda, la quale, inizialmente, si è rivolta alla commissione di controllo inglese. Dobbiamo, quindi, fare un esame di coscienza prima di procedere a certe affermazioni. È facile colpevolizzare «a man bassa» una ditta, o la stessa Farmindustria, come si è letto da più parti. Ricordo che è stata la stessa azienda a denunciare i fatti alla commissione inglese deputata al controllo, la quale ha riferito la controindicazione
segnalata dopo tre mesi dall'acquisizione della notizia. Quindi, c'è stata una gravissima mancanza da parte della commissione che doveva vigilare. Quest'ultima ha poi inviato una segnalazione al ministero italiano competente, ma devo ricordare che anche da noi, quando era il momento di confrontarsi sulla questione, c'è stata una sorta di black out, anche in questa Commissione. Ricordo il confronto alla presenza di due tecnici del Ministero della salute, i quali, tuttavia, non sappiamo perché non siano più tornati. Se dobbiamo parlare di questa materia, ricordiamo anche i fatti poco piacevoli, i quali, però, ci permettono di riflettere sull'importanza di questo problema e sugli interessi che ne sono alla base.
Questa vicenda, inoltre, ci ha aperto gli occhi anche su una grande necessità: il ministero, l'Istituto superiore di sanità, il Consiglio superiore di sanità, devono, oltre che imporre i prezzi o fare i prontuari, controllare, insieme alla CUF, l'effetto di certi medicinali a certe posologie. Questo è il discorso di fondo: un discorso scientifico, che noi dobbiamo pretendere venga affrontato.
Il fatto che poi il farmacista sappia se il paziente prende tre aspirine perché ha mal di testa e la mattina si sveglia con bruciori di stomaco e che egli lo vada a riferire al medico o a chissà chi, francamente ritengo che serva a poco, potendosi additare milioni di casi di questo tipo di informativa (lo stesso varrebbe anche per il paracetamolo, le supposte o qualsiasi altro tipo di pillola). Evidentemente, questa informazione sarebbe necessaria ma poco incisiva dal punto di vista della valutazione scientifica.
Infine, lasciatemi dire che, qualora la combinazione di un farmaco con un altro provochi effetti indesiderati, come nel caso del Lipobay, il medico può non essere in grado di scoprirlo subito (anche se alcuni pazienti, a seguito di tale situazione, hanno denunciato tale mancanza): figuriamoci, poi, il paziente, che avrebbe difficoltà ancora maggiori.
Ritengo dunque che il controllo serio a livello scientifico debba essere esercitato innanzitutto dal Ministero della salute. Le aziende, consorziate come sono nella federazione, questo controllo lo fanno già, perché è più facile reperire notizie sull'efficacia dei farmaci prodotti da una di loro. Certamente l'azienda chiamata in causa cercherà di cautelarsi prima di diffondere una notizia sull'eventuale dannosità di un farmaco - mi pare che l'autodifesa sia un principio che esercitano tutti, figuriamoci le aziende - ma essa dovrà poi procedere ad informare chi di dovere. Da parte nostra, possiamo pretendere che ci siano tempi più rapidi e che le notizie siano certe.
Ponendoci, poi, al livello pubblico, scientifico e della ricerca, dobbiamo pretendere che ci sia un sistema di controllo che venga esteso anche nei confronti dei privati. Quando parlo di controllo dei privati, intendo dire che le notizie fornite, per esempio da Farmindustria, devono essere corroborate dal giudizio proveniente da un'istituzione analoga per competenza e per tecnologie e che sia pubblica, cioè dal ministero. Non credo che gli assessorati regionali riusciranno a fare questo, anche laddove ciò rientrasse nella loro competenza e, a questo proposito, mi permetto di esprimere un'ulteriore preoccupazione, forse non da tutti condivisa. La ricerca potrà pure divenire di loro competenza (che Dio ce ne scampi!). Inoltre, laddove venisse effettuata, non ritengo che debba essere analoga, regione per regione. Tuttavia, è un dato di fatto che l'informazione scientifica a disposizione, per esempio, della regione Sicilia, della Calabria o anche della Lombardia, qualora non fosse verificata da un organismo posto ad un livello superiore di competenza, rimarrebbe, a mio avviso, a dir poco contraddittoria: pensate se le 21 regioni italiane fornissero ognuna, attraverso i propri medici di base, calabresi - o marchigiani come me - notizie sul Lipobay. Sarebbe un gran pasticcio.
Per questo, ritengo necessario un organismo centrale di controllo, di livello altamente scientifico, tecnologicamente avanzato nella sua capacità di indagine ed informazione, che si ponga a fianco dei
privati, i quali, d'altronde, attraverso la vostra organizzazione, fanno quello che possono - già molto, sicuramente. Questi sono i suggerimenti che mi sento di proporre.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Condivido le considerazioni svolte dal collega Conti. In questa vicenda del Lipobay, fortemente sentita nella nostra comunità, abbiamo dovuto prendere atto del significativo ruolo svolto dall'industria farmaceutica e del senso di responsabilità di coloro che hanno attivato una serie di interventi per mettere in movimento un sistema di farmacovigilanza attiva nella nostra società. Il nostro auspicio è che ciò continui a caratterizzare tale ruolo dell'industria, anche se, lo sappiamo bene, quest'ultima svolge un altro compito. Considero questa occasione molto importante per ribadire l'importanza del completamento della rete di farmacovigilanza e, purtroppo, sotto questo aspetto ci sono ancora regioni in ritardo. Ci auguriamo che possa verificarsi una spinta in avanti. Sappiamo già che il circuito informativo tra medico, paziente e ASL comincia ad attivarsi. Il ruolo dell'informazione in tutto questo è stato positivo, incoraggiando nuovi e significativi atti collaborativi tra medico, paziente, farmacista e quanti sono impegnati in materia sanitaria.
In particolare, desidero sottolineare alcuni aspetti. Per cominciare, il cittadino non deve esser considerato, dal punto di vista dell'industria, come mero consumatore di farmaci. Purtroppo, l'ultima normativa - il decreto-legge sulla spesa sanitaria - commette questo errore, considerando il cittadino che acquista direttamente la medicina da banco alla stregua di un consumatore di prodotti. Si guarda al cittadino non come ad una persona bisognosa di una sostanza per guarire ma come ad un consumatore che deve comprare: il mercato diventa quindi il primo elemento fondante della sanità. Questo atteggiamento va rifiutato. Siamo consapevoli del ruolo che il farmaco deve avere, ma non dimentichiamo che si tratta di una sostanza chimica: agli effetti positivi possono sommarsi quelli negativi.
Ci auguriamo che la ricerca venga indirizzata in maniera più opportuna, non soltanto segnalando i benefici del farmaco ma anche gli effetti collaterali che quest'ultimo può determinare. Su questo - se la giornata di oggi deve offrire un contributo produttivo al dibattito - dobbiamo riconoscere che qualche limite c'è stato. Se guardiamo alle richieste da parte degli ammalati, non c'è dubbio che l'industria è indotta a ricercare e produrre farmaci sempre più potenti e più efficaci, in grado di cogliere il risultato nel più breve tempo possibile, trascurando, tuttavia, l'altro aspetto, quello della sicurezza. Le due cose, invece, devono andare di pari passo ed è questo l'invito che rivolgiamo alla Farmindustria: che ci sia questo particolare elemento di attenzione.
Conosco, anche per la mia esperienza diretta di medico, il ruolo importante degli informatori scientifici, ma sappiamo tutti che, anche su questo tema, uno sforzo in più deve essere fatto. Sono stati compiuti passi importanti nella crescita professionale di questa categoria, e tuttavia la Farmindustria dovrebbe darsi l'ulteriore traguardo di fare assumere a questa categoria una veste sempre più professionale.
PRESIDENTE. Passiamo ora alle repliche dei nostri ospiti. Per ragioni di tempo, pregherei coloro che intendono parlare di limitare i rispettivi interventi in modo tale da permettere a tutti di replicare. Ricordo altresì che è possibile inviare ulteriori osservazioni ed eventuale documentazione integrativa anche in un secondo tempo.
EMILIO STEFANELLI, Vicepresidente della Farmindustria. Gli argomenti trattati sono molti, ma cercheremo di rispondere a tutte le domande poste. Anzitutto, ho sentito parlare di Europa, di ministero e di regioni. Questi livelli, come è evidente, sono profondamente diversi tra loro. Tuttavia, condividiamo il concetto secondo cui sarebbe opportuno che la regione svolgesse
bene almeno la parte, per così dire, operativa, mentre la parte scientifica andrebbe trattata al più alto livello possibile, non solo nazionale, ma europeo. Purtroppo un sistema di farmacovigilanza europeo non c'è e questo ruolo è svolto, per la maggior parte, ancora dalle aziende.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello dei fogli illustrativi e delle schede tecniche, rilevo che mentre queste ultime sono rivolte al medico, il foglio illustrativo sta, lentamente, cambiando indirizzo per andare incontro alle esigenze informative del paziente. Per quanto riguarda i farmaci da banco questo è già stato fatto. Progressivamente ciò avverrà anche per gli altri tipi di prodotti.
Per quanto riguarda il farmacista, egli è il titolare della farmacovigilanza per i farmaci da banco. La farmacia è già il luogo dove il cittadino deve rivolgersi in questi casi. Negli altri casi, al contrario, il cittadino può andare dal farmacista ma è opportuno che quest'ultimo lo indirizzi al medico, al quale compete la responsabilità della prescrizione di un certo farmaco.
Per quanto riguarda l'informazione scientifica, all'interno delle aziende vi sono due figure molto importanti: il responsabile della farmacovigilanza, da un lato, e il responsabile dell'informazione scientifica, dall'altro. Molto spesso è più facile che sia il nostro informatore scientifico a darci la segnalazione del medico, che giunge prima di quella che dovrebbe, invece, arrivarci dalla regione. Quindi il sistema funziona.
Infine, accetto l'esortazione a far sì che i nostri informatori non parlino solamente delle bellezze dei nostri farmaci e dei loro effetti benefici ma anche degli eventuali effetti collaterali che, devo dire, sono comunque evidenziati nella nostra scheda tecnica.
Non nego, però, che gli informatori - che devono parlare degli effetti collaterali - siano più portati a valorizzare le potenzialità del farmaco. Sono tuttavia convinto che proprio dal dialogo fra queste due categorie di professionisti, l'informatore scientifico ed il medico, debba nascere quel tipo di rapporto di cui si parlava, pur ritenendo altrettanto importante il rapporto fra paziente e medico di medicina generale, il quale deve invitare il primo a segnalare immediatamente gli eventuali effetti collaterali di un farmaco.
GIOVANNA CANGIANO, Consigliere e coordinatore della commissione regolatoria dell'AFI. Vorrei aggiungere una breve riflessione a quanto detto prima sulla comunicazione e sul concetto di farmacovigilanza che, a mio avviso, andrebbe maggiormente diffuso. Non so quanti cittadini siano al corrente del fatto che ci si può recare in farmacia e, per i farmaci da banco, fare una segnalazione. Sarebbe giusto informare i cittadini delle possibilità e dei diritti che essi vantano in tal senso. Come è stato giustamente ricordato, non sempre i cittadini si recano dal medico (forse quest'ultimo non è disponibile o forse essi non hanno il coraggio di parlargli). È importante, allora, sottolineare che in farmacia, per i farmaci da banco, questo sistema è già previsto.
UMBERTO MORTARI, Vicepresidente della Farmindustria. Farmindustria è un'associazione che raccoglie circa 200 aziende farmaceutiche (fra cui quelle per le quali lavoriamo Stefanelli ed io). Credo che non si possa non aderire alle richieste, alle esortazioni, alle raccomandazioni oggi ascoltate. Come associazione, ci stiamo attivando già da molto tempo. Per esempio, nel rapporto con il medico, da anni stiamo distribuendo una raccolta di tutte le schede tecniche - quelle rivolte ai medici -, gran parte delle quali contengono dati sugli effetti collaterali. Vi sono poi iniziative di carattere congressuale, che possono servire per migliorare l'informazione verso la classe medica e il medico di base, altre sulla farmacovigilanza e sul rapporto medico-paziente, anche in vista della ECM - l'educazione continua in medicina, con i crediti - che sarà sicuramente un'altra opportunità.
Per concludere, sul «bugiardino», ricordo che un anno fa un giornalista mi fece una domanda a proposito di quest'ultimo, alla quale risposi coniando il termine «bugiardone», e non perché questo
contenesse delle grandi bugie ma perché, ormai, è diventato illeggibile, anche da un punto di vista qualitativo: quattro, cinque pagine, scritte a caratteri piccolissimi.
Ricordo, a questo proposito, un'iniziativa in corso da molti anni a livello europeo, che è stata interrotta per poi riprendere solo in tempi recenti sotto la spinta dell'associazione dei pazienti, mirante a migliorare la leggibilità e quindi l'utilità pratica del «bugiardino», modellandolo sul criterio della «domanda-risposta». Noi ci auguriamo che questa iniziativa a livello europeo prenda presto piede. Ricordo, infine, che è in corso la revisione della direttiva sulla farmacovigilanza.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti i partecipanti per il contributo offerto, invitando coloro che lo desiderano ad inviare eventuali memorie scritte ad integrazione del dibattito svoltosi.
Dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla farmacovigilanza, anche con riferimento alla questione dei farmaci a base di cerivastatina, l'audizione di rappresentanti della Commissione unica del farmaco (CUF).
Rivolgo un saluto al professor Del Favero, coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza e al dottor Pasqualino Rossi, componente della sottocommissione per gli affari comunitari della CUF.
Come già detto in precedenza, questa indagine ha lo scopo di fare il punto su quanto è successo, per capire meglio cosa sia necessario fare nel campo della farmacovigilanza, in particolare in seguito al caso del Lipobay.
Tutti conosciamo l'importanza della CUF. È questo probabilmente l'organismo centrale attorno al quale ruota tutta la farmacovigilanza. Si tratta, a mio avviso, di un autentico istituto di controllo nell'ambito dell'opera di farmacovigilanza, in grado di fornire gli input più importanti, innovativi e pratici in favore del cambiamento, affinché la farmacovigilanza in quanto tale venga attuata nel migliore dei modi. Ciò premesso, vorremmo conoscere la vostra opinione in merito ai problemi che riguardano la farmacovigilanza in generale ma, soprattutto, sul caso del Lipobay.
ALBANO DEL FAVERO, Coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza della CUF. Desidero cominciare da una considerazione di carattere generale sulla vicenda relativa al Lipobay, fornendo alcuni elementi di ordine cronologico. La vicenda della cerivastatina riassume in maniera estremamente chiara ed esemplificativa quanto già detto circa i problemi che un nuovo farmaco può porre nell'ambito di un sistema di farmacovigilanza. Nel caso specifico, un farmaco, che era il terzo o quarto composto ad essere immesso sul mercato, apparentemente con caratteristiche essenzialmente analoghe a quelle dei farmaci precedenti, per lo meno dal punto di vista farmaco-dinamico, farmaco-cinetico e tossicologico animale, si è invece rivelato causa di problemi.
L'elemento esemplificativo consiste in una considerazione molto semplice: il fatto che farmaci nuovi siano simili chimicamente e farmacologicamente ad altri precedenti che hanno rivelato un rapporto beneficio-rischio adeguato al momento della commercializzazione non rappresenta una condizione sufficiente per garantire che ciò continui a verificarsi nel tempo.
Questa è una considerazione apparentemente ovvia - e mi scuso se lo ripeto - ma si tratta della situazione esemplificativa più chiara che possa esserci. Tutto questo si traduce poi nell'iter con il quale si è arricchito nel tempo il dossier sulla cerivastatina e sulle altre statine, con riferimento agli effetti collaterali di natura muscolare. Tali effetti erano già ben segnalati non solo dalla letteratura internazionale ma anche nell'esemplificazione dei foglietti illustrativi dei farmaci messi in
commercio, che segnalavano la possibilità di questi effetti indesiderati.
L'elemento chiave che ha fatto precipitare la situazione, in modo addirittura anomalo - a detta degli organismi dell'EMEA - rispetto ad altre vicende, è stato il rapido ritiro del farmaco dal commercio, disposto dalla Bayer in un momento in cui non sembrava vi fosse questo tipo di urgenza sanitaria. Fino a quel momento, infatti, vi erano state solo le segnalazioni in letteratura, che stavano via via riversandosi nei foglietti illustrativi. Occorre, poi, tener conto che il farmaco era di mutuo riconoscimento e, quindi, qualsiasi sua modificazione doveva essere riconosciuta, facendo riferimento al Reference Member State (in questo caso l'Inghilterra). Qualsiasi modificazione del farmaco doveva cioè essere concordata in questo senso.
Ciò che ha fatto precipitare la situazione negli Stati Uniti è stato il verificarsi di un certo numero di casi di rabdomiolisi. Perché gli Stati Uniti e non l'Europa? In Europa la situazione è stata diversa, soprattutto in rapporto al fatto che negli Stati Uniti il dosaggio registrato era molto più elevato (si arrivava a 0,8 milligrammi); inoltre, i fibrati, quei farmaci con cui è possibile l'interazione da parte delle statine, sono soggetti a libera vendita, non sono cioè farmaci vendibili solo su prescrizione medica, e quindi ovviamente il rischio di interazioni inadeguate era elevato.
Al momento della crisi, quello in cui la Bayer ha ritirato il farmaco dal commercio, la situazione delle conoscenze era quindi la seguente: si conosceva la presenza di effetti indesiderati, tipo rabdomiolisi, presenti per tutte le statine e per i fibrati già da tempo, ma che aveva trovato in Europa un campanello di allarme segnalato dalla farmacovigilanza spagnola.
Da lì è iniziato tutto l'iter che ha portato poi alla proibizione della commercializzazione del farmaco in Italia - proprio per evitare, prima possibile, che le scorte delle farmacie dovessero essere esaurite -, un provvedimento di tipo amministrativo prontamente applicato non appena avuta la notizia (mi sembra di ricordare fosse l'8 agosto scorso, ma se serve ho con me la sequenza esatta delle date). Il 24 agosto siamo stati, poi, convocati come sottocommissione per la farmacovigilanza, dopo esserci sentiti più volte telefonicamente (come potete immaginare in quel momento eravamo tutti in ferie, ma ci siamo comunque tenuti in contatto telefonicamente), poiché sulla stampa la situazione assumeva sempre più rilevanza, anche se, a mio avviso, in modo del tutto ingiustificato rispetto anche ai fatti successivi. Siamo stati quindi convocati d'urgenza al ministero ed abbiamo lavorato insieme ad altri membri della commissione e agli uffici per elaborare una lettera da inviare ai medici al fine di fornire loro i chiarimenti necessari sulla situazione.
L'EMEA, attualmente, sta per concludere una valutazione complessiva delle statine - perché il problema della miopatia e della rabdomiolisi non è assolutamente esclusivo della cerivastatina, ma è già da tempo segnalato per tutte le statine -, a seguito della raccolta dei dati che riguardano l'epidemiologia delle reazioni muscolari rispetto a tutte le statine, al fine di esprimere una posizione ufficiale volta a chiarire se la cerivastatina presenta maggiore tossicità - come sembra - rispetto alle altre statine.
PRESIDENTE. Indipendentemente dal dosaggio?
ALBANO DEL FAVERO, Coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza della CUF. No. Il dosaggio è sicuramente un elemento critico, perché le interazioni che portano alla comparsa di effetti indesiderati sono più frequenti proprio per quei farmaci che spostano verso l'alto i livelli plasmatici della cerivastatina.
Il problema chiave è quello di valutare se l'entità dei danni causati dagli effetti collaterali di tipo rabdomiolisi è tale da compromettere i vantaggi che questi farmaci sicuramente comportano. In realtà, l'incidenza - per quello che si può dire,
perché negli effetti collaterali dei farmaci, non disponendo del denominatore, non è così facile calcolare un'incidenza - delle reazioni gravi derivante dall'uso di statine è calcolata esser pari ad un caso ogni trecentomila abitanti. Per quanto riguarda, invece, il numero delle vite salvate con l'uso delle statine, questo è sicuramente considerevole: per un trattamento di cinque anni si parla all'incirca di 150-160 vite salvate ogni anno per i pazienti trattati con le statine in generale.
Pertanto, se posso trarre una conclusione, sicuramente il farmaco in questione presenta, quasi con certezza, una maggiore tossicità rispetto alle altre statine. Questi effetti erano segnalati per tutte le statine già da diverso tempo e segnalati, in diversa maniera e con diverse sottolineature, nel foglietto illustrativo del farmaco, man mano che si è incrementato l'uso del farmaco e delle relative dosi di utilizzo. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, vorrei sottolineare che le industrie farmaceutiche hanno cercato nel tempo di registrare, non solo per la cerivastatina ma anche per le altre statine, farmaci a dosaggi sempre più alti, perché si pensava che più alto era il dosaggio, maggiore fosse il beneficio in termini di vite salvate (questa era la correlazione che si è, poi, dimostrata non corretta, sicuramente per la cerivastatina, ma probabilmente anche per le altre statine). Infine, accumulate queste conoscenze, si è arrivati al punto di crisi per i motivi a cui accennavo prima.
PASQUALINO ROSSI, Componente della sottocommissione per gli affari comunitari della CUF. In qualità di dirigente medico della direzione generale della valutazione dei medicinali, vorrei impostare il mio discorso introduttivo sugli aspetti procedurali che hanno coinvolto l'Italia, come gli altri paesi europei, nella registrazione della cerivastatina soffermandomi, più in generale, sui prodotti a procedura cosiddetta di mutuo riconoscimento, alla quale accennava prima il professor Del Favero, e sulla loro successiva esistenza.
Si tratta di prodotti per i quali la Commissione europea ha riconosciuto un'apposita procedura, cosiddetta di mutuo riconoscimento: essi partono da una registrazione già concessa da uno Stato membro dell'Unione europea, della quale si chiede l'estensione ad altri Stati membri, sulla base dello stesso dossier di registrazione utile per la registrazione nel primo Stato.
Nel caso della cerivastatina, la Gran Bretagna è stato il primo Stato dell'Unione europea a registrare il farmaco e l'azienda farmaceutica produttrice dello stesso ne ha chiesto l'estensione a tutti gli altri Stati membri dell'Unione europea. Tale procedura dura novanta giorni, in quanto non si possono fare domande al di fuori dei dati contenuti nel dossier, trattandosi dunque di un dossier inaggiornabile in quanto, se si opera un mutuo riconoscimento, si riconosce un'autorizzazione già data. Questi novanta giorni di tempo concessi dalla procedura servono alle varie autorità nazionali per valutare il farmaco e soprattutto per vedere se la relazione di valutazione sottoposta dall'autorità regolatoria dello Stato di riferimento è in linea con i dati del dossier.
Questa procedura, per la sua tempistica e per il fatto di comportare alla fine un'autorizzazione all'immissione in commercio del farmaco piuttosto rapida, si basa molto sul rapporto di fiducia fra i vari Stati membri: i farmaci si autorizzano in Europa, ormai, sulla base di dati stabiliti da direttive comuni e validi per tutti gli Stati membri, per cui il presupposto di base è che qualsiasi Stato membro europeo registri un farmaco basandosi sulla stessa attività regolatoria (come viene appunto definita la nostra attività).
La procedura di mutuo riconoscimento, dunque, è stata avviata in Inghilterra, arrivando poi in Italia, dove nel 1997 vi è stata la registrazione della cerivastatina. Anche se la scheda tecnica (o, più propriamente, il riassunto delle caratteristiche del prodotto) derivava soltanto dalla documentazione proveniente dagli studi clinici, nonché da quella poca esperienza desumibile dal periodo di post autorizzazione in Inghilterra, già da allora emergevano degli aspetti che suscitavano allarme
con riferimento al danno muscolare e alla conseguente possibilità di innalzamento dei livelli enzimatici.
Con l'estensione della commercializzazione del farmaco anche in altri paesi e con l'incremento del consumo del prodotto, sono emersi nuovi dati: per questo motivo il dossier di un farmaco nasce, ma non muore mai, a meno che la ditta - come in questo caso - non ne disponga la sua fine in modo volontario.
Tutte le variazioni intercorse successivamente all'autorizzazione sono state gestite sempre dal paese di riferimento, l'Inghilterra, e implementate da tutti gli altri Stati coinvolti nella procedura, nei tempi stabiliti dalla normativa europea. In particolare, sono state inserite maggiori informazioni riguardanti la rabdomiolisi, l'interazione con il Gemfibrozil, gli effetti indesiderati e le avvertenze speciali: tutti elementi tesi a migliorare la conoscenza del medico e degli utenti con riferimento a queste notizie. Quindi nel 1999 partì la variazione, conclusasi positivamente, che previde l'inserimento dei casi di rabdomiolisi sotto le avvertenze speciali, dell'interazione con il Gemfibrozil sotto il paragrafo interazioni e di tutti gli effetti indesiderati sotto il paragrafo specifico degli effetti indesiderati.
In particolare, a suo tempo, il ministero decise di tradurre il termine inglese not recommended (con riferimento all'interazione con il Gemfibrozil) con «deve essere evitato». Anche se tale informazione era all'interno del paragrafo interazioni, tuttavia, essendo parte della scheda tecnica (che è il vero atto di nascita, nonché la vera carta d'identità di una qualsiasi specialità medicinale), era chiaramente delineato che questo uso dovesse essere evitato.
Direi, quindi, che da un punto di vista procedurale, sia per quanto riguarda la prima autorizzazione, sia con riferimento alle altre successivamente intercorse, il ministero si è trovato ad agire nell'ambito di procedure europee dalla tempistica ben definita, sulle quali non credo possano esserci stati problemi correlati unicamente ad una situazione tipicamente italiana; la pratica è stata infatti seguita, è stata mandata in sottocommissione procedure comunitarie ed è stata sempre valutata.
Ciò è avvenuto anche quando è stato autorizzato il dosaggio da 0,4 milligrammi (già quando la posologia autorizzata era ancora pari a 0,2 milligrammi, la posologia massima consigliata era pari a 0,4 milligrammi, e questa indicazione già esisteva nel foglio illustrativo); peraltro, essendo stato autorizzato (lo 0,4) soltanto nel maggio scorso, non si è mai verificata la sua immissione in commercio, perché successivamente è intervenuto il ritiro del farmaco. Mentre il dosaggio da 0,8 milligrammi, che nel frattempo era stato registrato in Inghilterra e per il quale sarebbe forse partita una procedura, è stato non solo ritirato dall'Inghilterra, ma non è stato mai fatto oggetto di procedura comunitaria.
Vorrei, pertanto, sottolineare che questo tipo di procedure vincola gli Stati membri al rispetto di regole e tempi, che in qualche modo ne garantiscono anche la compliance: non si possono infatti né ritardare né anticipare decisioni.
In data 8 agosto 2001 è intervenuta, poi, volontariamente l'industria farmaceutica, che ha sospeso la commercializzazione del prodotto in tutto il mondo, sorprendendo tutti, compreso il Reference Member State. L'Inghilterra, infatti, non era stata avvertita dell'intenzione della Bayer di ritirare il farmaco, così come non era stata avvertita del fatto che nel 1999, negli Stati Uniti, l'interazione con il gemfibrozil era diventata una controindicazione. Peraltro, l'autorità britannica, nel momento in cui è venuta a conoscenza di tale controindicazione, ha avviato un'apposita procedura; è, poi, intervenuta una restrizione urgente di sicurezza, che non è stata neanche terminata perché la ditta nel frattempo ha sospeso la commercializzazione del farmaco.
Attualmente il prodotto è sospeso: non è stato né revocato, né totalmente abbandonato dall'industria. Esso è seguito a livello di CPMP (Committee for Proprietary Medicinal Products), una sorte di CUF europea di cui, fra l'altro, sono membro.
È in corso una procedura di rivalutazione del rapporto rischio-beneficio della cerivastatina, alla luce delle considerazioni che faceva il professor Del Favero, che comprende una rivisitazione anche di tutte le altre statine, riguardo al rischio di rabdomiolisi. Si tratta di una procedura tuttora in corso, relativamente alla quale stiamo cominciando ad avere le prime risposte. Soltanto adesso comunque la procedura riguardante la cerivastatina è diventata puramente centralizzata, gestita cioè da un organismo unico a livello europeo che vincola poi tutti gli altri a seguirne le decisioni. Fino a questo momento era stata una procedura decentralizzata, dove ogni Stato membro era chiamato ad esprimere il proprio parere e a contribuire alla valutazione scientifica nelle modalità che ho espresso.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Del Favero e il dottor Rossi per le loro relazioni introduttive.
Do ora la parola ai colleghi che volessero intervenire nel dibattito per formulare quesiti o osservazioni.
GIULIO CONTI. Mi ha fatto molto piacere conoscere le procedure per la registrazione di questi farmaci, mentre mi ha fatto meno piacere scoprire che è stata la stessa azienda produttrice a denunciare che vi fossero delle problematiche. Mi stupisce, inoltre, che ci si meravigli che sia stata proprio l'azienda farmaceutica a denunciarlo, quando già si erano verificate delle morti al riguardo. Mi sorprende, altresì, ancor di più, che per il Ministero della salute questo episodio sia stato come «un fulmine a ciel sereno» e, infatti, il professor Del Favero dice che i componenti della sottocommissione per la farmacovigilanza sono tornati urgentemente dalle ferie proprio per affrontare tale problema che li aveva sorpresi.
Personalmente, non mi stupisce molto il fatto della sorpresa, perché ritengo che un Ministero della salute serio dovrebbe disporre di un metodo di controllo altrettanto serio per vedere ciò che inserisce nel prontuario e le conseguenze dovute all'uso di quelle medicine sul paziente.
Il fatto che nella precedente audizione Farmindustria abbia detto che non esiste uno strumento né un'istituzione di controllo a livello europeo indica quanto siamo indietro su questi temi. Ma ricordo, soprattutto, il fatto che ci si appelli alla speranza che il medico di base fornisca al paziente un'informazione rilevante, così come dovrebbero fare il farmacista ed anche le aziende sanitarie locali e quelle ospedaliere nei confronti delle autorità vigilanti: questo mi sembra un procedimento, se non dilettantesco, da allievi. Semmai, bisogna apprezzare l'atto di correttezza dell'azienda farmaceutica che ha denunciato se stessa, con delle conseguenze sul piano legale ed economico. Questo deve essere di insegnamento per il nostro paese, che deve avere, a livello ministeriale, un sistema di controllo altamente qualificato sul piano scientifico e tecnologico per poter controllare questi farmaci che utilizziamo.
Ma, se consideriamo che la causa dei problemi che sono sorti risiede proprio nell'interazione della cerivastatina con altri farmaci, segnalata già nel primo foglietto illustrativo del farmaco e poi anche dal secondo, che sconsigliava di utilizzare questa sostanza in una posologia alta (0,8 milligrammi) o comunque in associazione con altre sostanze (in particolare i fibrati), penso che allora - se consideriamo tutto ciò - siamo stati veramente molto distratti. Vi erano state, infatti, delle avvertenze ed, inoltre, in Inghilterra, quattro mesi prima, si era consigliato di ritirarla; tutto questo mentre noi siamo stati soltanto a guardare: ciò mi sembra un fatto veramente poco spiegabile e, soprattutto, poco giustificabile.
Ciò deve essere, quindi, di insegnamento per il Ministero della salute - e sto parlando in qualità di esponente di un partito di maggioranza -, affinché si crei un sistema di controllo serio, altamente tecnologizzato, con persone di elevata competenza, che seguano effettivamente la problematica del farmaco e non siano soltanto incaricate di stabilire i prezzi o di vedere quali farmaci debbano essere inseriti nel prontuario, quali in classe A,
quali in classe B e così via. Questo è il discorso di fondo che dobbiamo fare; non possiamo, infatti, lasciare che siano soltanto i medici di base a rilevare i problemi quando vengono loro segnalati dai pazienti. Perché, evidentemente, è accaduto nel caso specifico che non c'è stata ricerca alcuna, neanche negli ospedali, così come non c'è stata alcuna verifica neanche da parte degli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico). Ma allora, questi ultimi, cosa li teniamo a fare?
Deve essere, dunque, ideata una forma di controllo organica, ben organizzata e all'altezza dei tempi, ma soprattutto del numero dei farmaci che vengono immessi in commercio, perché al momento la responsabilità del loro controllo - in base a quanto da voi detto - è affidata unicamente alle aziende farmaceutiche. Quale altro controllo - mi chiedo - esercita, quindi, il ministero o, in questo caso, lo Stato? Questa è dunque la mia valutazione, forse un po' troppo pessimista, ma ho l'impressione che vi sia da più parti la preoccupazione che questa situazione possa permanere.
Infine, non mi meraviglio affatto che la cerivastatina sia ancora adoperata o che la si esperimenti per vedere quali danni possa provocare. D'altronde, usata da sola quali danni ha provocato o provoca? Personalmente, posso dire che ho avuto modo di adoperarla, ma proprio perché non l'ho associata ad altri medicinali non ha prodotto su di me alcun effetto negativo.
Occorre evidentemente, allora, controllare in modo più appropriato le sostanze farmaceutiche messe in circolazione e le complicazioni che possono provocare qualora associate ad altre farmaci. Che sia il paziente a lamentare al farmacista che l'aspirina gli ha fatto venire l'acidità di stomaco e che sia poi il farmacista a sua volta ad informare, per esempio, l'Istituto superiore di sanità mi sembra, se non proprio da dilettanti, comunque un modo molto superficiale di procedere. È invece un discorso da affrontare in modo serio e voi stessi avete il compito di farlo, chiedendo i mezzi idonei al riguardo.
So benissimo, peraltro, che il vero problema è che per fare la ricerca ci vogliono i soldi e che, quindi, questi devono essere stanziati. Però bisogna anche pretenderli, perché è giusto che la ricerca costi, anche perché il costo è, in questo caso, un investimento che rende dieci volte di più. Se non entriamo in questa mentalità, la ricerca sarà sempre un peso ed allora l'Italia - voglio dirlo anche se non rappresenta il tema in discussione - sarà condannata ad essere un paese dove si commercializzano prodotti che altri studiano, inventano e «ci costringono» ad inserire nel prontuario perché altro non c'è; e poi le conseguenze le paghiamo noi, perché siamo noi le cavie.
Questo metodo deve essere superato; al riguardo mi sembra che anche il sistema regionalistico della sanità non sia all'altezza di valutare e controllare la ricerca, soprattutto a questi livelli - so che non è un discorso molto popolare, soprattutto se a farlo è il sottoscritto -, però questa osservazione può essere considerata come una ammissione della necessità di una rivisitazione politica di certi aspetti; ma ciò va fatto insieme alla scienza, ai ricercatori e a coloro i quali stanno sul campo di battaglia, cui spesso si attribuiscono colpe che neanche meritano, perché mi rendo ben conto delle condizioni difficili in cui operano.
Penso che l'esigenza di procedere nella direzione di rafforzare o creare questo sistema di controllo debba interessare strategicamente la nazione.
GIACOMO BAIAMONTE. Intervengo brevemente solo per ribadire - l'ho già detto, infatti, in altra occasione - che quando si è manifestato il fenomeno Lipobay mi sono documentato con le società scientifiche di riferimento (in particolare la Società italiana di geriatria e la Società italiana di medicina interna) e i colleghi medici di queste società mi hanno precisato - poiché sono un chirurgo, ma non un esperto di medicina generale, non avevo infatti una giusta informazione al riguardo - che la cerivastatina, adoperata secondo prescrizione, cioè da sola e non in
associazione con fibrati, al dosaggio appropriato, ha salvato diverse vite umane e, quindi, è un farmaco da apprezzare sotto questo punto di vista.
PRESIDENTE. Nel corso delle audizioni della presente indagine conoscitiva mi sembra sia emerso un problema di organizzazione della farmacovigilanza in Italia, che non vuol dire che questa sia inesistente, bensì che sia necessario un suo rafforzamento, eventualmente anche al fine di aumentarne la sua conoscibilità all'esterno. Oggi, infatti, un farmaco viene ovviamente sperimentato, ma la sperimentazione è comunque limitata e non viene associata a tutti i farmaci in quel momento in circolazione. Il problema, quindi, risiede forse nella necessità di organizzare meglio questo comparto.
Ringraziando i colleghi intervenuti nel dibattito, do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
ALBANO DEL FAVERO, Coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza della CUF. Ringrazio il presidente per la sua osservazione, estremamente positiva e propositiva. Infatti il problema è proprio quello di migliorare il sistema della farmacovigilanza; d'altronde, se avessimo già la soluzione, probabilmente non saremmo qui oggi. Tutto il mondo sta lavorando proprio su questo aspetto. Al riguardo, sarete sicuramente al corrente che lo scorso anno il Parlamento americano ha istituito una commissione d'inchiesta sull'attività dell'FDA (Food and Drug Administration), da tutti considerata l'agenzia punto di riferimento in materia, giungendo a delle conclusioni su una serie di farmaci presi come esempio; ricordo solo il caso di un antinfiammatorio non steroideo che è stato utilizzato da sei milioni di persone prima di essere ritirato dal commercio per epatotossicità grave.
GIACOMO BAIAMONTE. Si veda il caso della cisapride.
ALBANO DEL FAVERO, Coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza della CUF. Difatti, la cisapride è stata ritirata dal commercio proprio recentemente dalla Commissione unica del farmaco.
Questi aspetti problematici, purtroppo, sono destinati a rimanere.
Ritengo sia pertinente l'osservazione svolta dall'onorevole Conti che non ci si possa basare soltanto sulla segnalazione spontanea, ma che sia necessaria invece un'intensa attività di ricerca. Ma questo è proprio il punto chiave: occorre infatti coniugare i due aspetti, perché non possiamo fare a meno della segnalazione spontanea, in quanto essa rappresenta il segnale più sensibile. Riusciamo, cioè, a cogliere effetti indesiderati, che la ricerca non potrebbe rilevare (in termini di numeri), proprio in virtù dell'osservazione acuta da parte del medico. La vicenda Talidomide è venuta fuori, ad esempio, solo ed esclusivamente attraverso l'osservazione acuta di un ginecologo. L'importanza della segnalazione spontanea è destinata a permanere; ciò perché gli effetti indesiderati non hanno nulla di caratteristico rispetto alle altre malattie.
Quello che dobbiamo valutare è, quindi, ad esempio, se un determinato mal testa è del tipo comune che può capitare a chiunque ogni giorno o, piuttosto, è legato ad un'ipertensione endocranica che un farmaco sta provocando (come qualche antinfiammatorio non steroideo). Questo elemento critico fa sì che non possiamo rinunciare ad un sistema che è, peraltro, sottoutilizzato, perché nelle nazioni cosiddette più progredite la segnalazione viene fatta al massimo dal 10 per cento dei medici. Non solo, ma le segnalazioni spontanee non bastano, perché dobbiamo avere il denominatore per poter giudicare l'entità e la rilevanza dell'effetto, perché ovviamente le considerazioni cambiano se il caso problematico è 1 su 1 miliardo, piuttosto che 1 su 100 mila.
Non possiamo, quindi, rinunciare al sistema più sensibile, ma dobbiamo rafforzarlo, e ciò significa un grosso impegno da svolgere sia a livello universitario, sia a livello di servizio sanitario nazionale, al
fine di sensibilizzare su tali aspetti sempre di più il medico, perché ad oggi questo non è stato fatto abbastanza.
Ho avuto modo di svolgere un'indagine in Umbria il cui obiettivo era quello di comprendere in maniera oggettiva quali fossero le motivazioni per cui il medico non effettuava le segnalazioni spontanee. Ne è emerso che, in tali casi, il medico era nel dubbio se la reazione fosse effettivamente tale; ma questa non costituisce assolutamente una ragione sufficiente per non effettuare la segnalazione. Infatti questa deve essere fatta anche in caso di solo sospetto perché non c'è la necessità di dimostrare che quell'effetto esisteva realmente.
Con riferimento al sistema di farmacovigilanza, invece, si sta lavorando ai fini di un suo miglioramento attraverso sempre maggiori progetti di ricerca mirati. In questo senso, l'Italia, una volta tanto, non è seconda a nessuno, perché una serie di attività di farmacovigilanza (quali ad esempio il progetto Kronos e il progetto Antares, progetti, cioè, finalizzati al monitoraggio dei farmaci critici) sono improntate allo stesso sistema che in questo momento anche in Europa, a livello di registrazione di nuovi farmaci, si sta imponendo, in quanto si chiede di svolgere un monitoraggio attivo proprio nella stessa identica maniera. Si consente, cioè, l'immissione in commercio dei farmaci critici, perché sono farmaci importanti, che possono fornire ai malati dei grandissimi vantaggi, ma al tempo stesso sono anche gravati da rischi. Basti pensare, ad esempio, all'infliximab, un farmaco che potrebbe causare infezioni gravi (che possono portare alla morte del paziente), ma che al contempo fornisce al malato dei sollievi che nessun altro farmaco garantisce.
È opportuno, pertanto, incentivare e sostenere questi progetti di farmacovigilanza attiva, sui quali il nostro paese sta puntando - dobbiamo quindi esser contenti che qualcosa di positivo venga fatto anche in Italia -, e quindi in tal senso accolgo l'invito dell'onorevole Conti a chiedere più soldi per questa ricerca.
L'atteggiamento della farmacovigilanza è comunque quello di mantenere un coordinamento nazionale, che è necessario, e far in modo di garantire una stretta applicazione delle regole stabilite in Europa relativamente all'industria; ma, allo stesso tempo, tale attività deve essere decentrata, anche se sono consapevole che non sempre le regioni hanno effettuato un uso razionale di queste risorse. È, d'altronde, inevitabile portare tali attività in periferia perché ci deve essere un feedback continuo tra il medico e le persone che registrano questi dati. Questo tentativo va fatto e rafforzato e speriamo che possa funzionare.
Un'ultima osservazione riguarda il ruolo del paziente, che è fondamentale, con riferimento non solo agli effetti negativi dei farmaci, bensì anche a quelli positivi. Molto spesso questo rapporto è messo in crisi dalla difficoltà del medico a seguire troppi malati, essendo egli oberato di lavoro e mancando di una formazione continua, che speriamo invece possa partire già dal prossimo anno.
GIACOMO BAIAMONTE. Ci deve essere un adeguato rapporto medico-paziente.
ALBANO DEL FAVERO, Coordinatore della sottocommissione per la farmacovigilanza della CUF Esattamente. Tale rapporto deve essere molto più stretto ed attivo da entrambe le parti, con reciproco scambio di informazioni.
Per il foglietto illustrativo, chiaramente incomprensibile per il malato, esiste al riguardo una direttiva CEE, ancora da recepire da parte dello Stato italiano - è, pertanto, un indiretto sollecito a prendere in esame tale questione -, che stabilisce la necessità di attuare i due canali di informazione. Questo elemento presenta però qualche difficoltà di applicazione.
Posso segnalare che un'esperienza fatta alcuni anni fa, randomizzando le farmacie italiane e presentando due tipi di foglietti illustrativi - il lavoro, eseguito dal gruppo di Reggio Emilia, è pubblicato sul British Medical Journal -, dimostra come un
foglietto illustrativo che sia tagliato sulle esigenze di informazione del paziente e, quindi, testato sui frequentatori delle farmacie, risulta molto più gradevole al paziente. Ricordo che su una serie di farmaci diversi è stata effettuata la prova cercando di mettere in luce quali fossero gli aspetti ritenuti migliori.
Ritengo, quindi, sia da accogliere l'invito a darci da fare, anche come CUF, al fine di sollecitare e sostenere questo processo di perfezionamento.
GIULIO CONTI. Mi permetta però, professor Del Favero, un'osservazione. Il problema è che la ditta farmaceutica si è accorta dell'esistenza del problema prima ancora dell'intero sistema di farmacovigilanza. E la Bayer, dopo essersene accorta, lo ha comunicato al sistema di controllo inglese. Ma la Bayer da chi le ha acquisite queste notizie? È importante saperlo, perché altrimenti non hanno senso tutti i discorsi che facciamo.
La situazione è tale per cui il medico, alla fin fine, informa il Ministero della salute, che raccoglie non so quante centinaia di migliaia di informative delle quali, forse, se ne guarderà appena l'1 per cento, perché sarebbe impossibile fare altrimenti (Commenti del dottor Pasqualino Rossi). Non mi dica di no, perché lo conosco il ministero. Mi auguro che lei le abbia guardate tutte, ma non credo che ciò sia possibile.
Che sia stata l'azienda farmaceutica a denunciare in Italia l'esistenza di problemi derivanti da un certo tipo di uso di questo farmaco è sicuramente positivo per l'azienda (anche se negativo per il paziente, perché nel frattempo vi sono state delle vittime), ma allo stesso tempo mi sorprende che si voglia ancora insistere sul fatto che siano stati i medici a non aver fornito al sistema di farmacovigilanza sufficienti notizie. Questo non è giusto: il medico non è un laboratorio di ricerca. Personalmente, svolgo la professione di medico di famiglia, ma non ho un laboratorio di ricerca; di fronte ad una notizia la trasmetto, quindi, a chi di dovere, ma non so se poi egli a sua volta prosegue nella trasmissione o si ferma lì (perché si tratta certamente di una preoccupazione).
Ma ammesso che arrivino al ministero tutte le informazioni provenienti dalle svariate decine di aziende sanitarie locali italiane, nonché dalle migliaia di medici italiani, vorrei sapere come fa il ministero a monitorare tale situazione e ad adottare i relativi provvedimenti, ma soprattutto come fa a verificare scientificamente se i dubbi provenienti dai medici possono essere opportunamente vagliati, se cioè si possa fare una valutazione di correttezza o meno. Mi risulta, peraltro, che nessun medico abbia mai avuto una risposta al riguardo.
Il problema è, dunque, grave e non dico che sia solo compito vostro risolverlo, perché sicuramente se ne deve occupare la classe politica. Il discorso è, infatti, serio e non credo sia possibile seguire tutte le denunce e i sospetti che vi arrivano.
Oltre alla buona volontà, alle buone capacità italiane e ai progetti che sono stati avviati nel nostro paese - dove i finanziamenti per la ricerca non mi sembrano siano stati molto potenziati -, ritengo sia necessaria una grande autosensibilizzazione da parte della classe politica, perché mi rendo conto che voi fate quello che potete, in base alle risorse che avete a disposizione e in base alla volontà dello Stato e delle regioni. Vedremo, peraltro, cosa sapranno fare queste ultime al riguardo; personalmente, poiché sono un antiregionalista e un antifederalista non nascondo la mia diffidenza, anche se mi auguro che le regioni ci smentiscano su tutto, che la ricerca regionale faccia altrettanto e che la farmacovigilanza venga affidata a ciascuna regione di competenza.
È, dunque, necessaria un'ammissione di responsabilità da parte della classe politica, proprio perché il problema è molto grave e merita la massima attenzione da parte di tutti: mondo politico e mondo della ricerca.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Conti, diamo ora la possibilità al dottor Rossi di replicare.
PASQUALINO ROSSI, Componente della sottocommissione per gli affari comunitari della CUF. Grazie, signor Presidente, così possiamo cominciare a difenderci un po'...
Sono sicuramente d'accordo sul fatto che il sistema della farmacovigilanza debba, e possa, essere migliorato a tutti i livelli; sono d'accordissimo, al riguardo, con quanto sostenuto dal professor Del Favero. Vorrei far presente, peraltro, che il ministero invia attualmente ogni tre mesi, a tutti i medici d'Italia, il bollettino di informazione sui farmaci, che contiene all'ultima pagina una scheda di segnalazione «eventi avversi»; perché posso dire che in passato, quando svolgevo la professione di medico di base, eravamo veramente disorientati, non sapendo a chi dovessimo segnalare qualche reazione, oltre a non sapere se dovevamo parlare anche solo di sospetti o se, invece, rischiavamo di fare una brutta figura segnalando reazioni che poi non esistevano. Su questo, dunque, siamo perfettamente d'accordo, mentre non lo siamo nel momento in cui veniamo accusati di pressappochismo e di superficialità.
Questa procedura, come ripeto, è stata di mutuo riconoscimento ed è stata seguita a fondo, in tutte le sue fasi, dall'autorità nazionale: dall'ufficio della valutazione dei medicinali (di cui faccio parte), che quindi si occupa della valutazione del dossier, prima della registrazione del farmaco, per vedere se è idoneo o meno ad essere immesso in commercio, e successivamente delle variazioni nel post marketing, per valutare se variazioni importanti debbano essere accettabili o meno; inoltre, dall'ufficio della farmacovigilanza, che nella fase di post marketing si occupa dell'eventuale implementazione, nella scheda tecnica e, di concerto, nel foglietto illustrativo, di tutte le reazioni avverse che sono state segnalate per quel farmaco in tale fase, dove numericamente se ne osservano di più di quelle che si possono riuscire ad osservare in fase di studio.
Da qui, la spiegazione per cui un foglio illustrativo che all'inizio parla soltanto della possibilità di elevati livelli enzimatici da miopatia passa poi all'introduzione della raccomandazione di non associare l'utilizzo di determinati farmaci e del fatto che, anche da sola, la cerivastatina possa essere imputata di miopatie, talvolta anche gravi. Da ciò deriva, a sua volta, una rivisitazione del dossier e quello della cerivastatina è stato veramente un continuum. Non è proprio esatto, infatti, dire che l'azienda farmaceutica ha segnalato spontaneamente il problema; semmai l'azienda ha nascosto qualcosa, visto che i primi casi, segnalati in Europa, di decessi per l'uso di cerivastatina associata al Gemfibrozil si sono verificati in Spagna. Ciò, peraltro, non perché la Spagna sia stata più brava dell'Italia nel fare una valutazione. È accaduto, piuttosto, che all'ufficio di farmacovigilanza del Ministero della sanità spagnolo siano giunte tre segnalazioni di morte sospetta per uso di cerivastatina. Se altrettante segnalazioni fossero arrivate in Italia, posso garantire che l'autorità italiana si sarebbe comportata esattamente nello stesso modo: lo posso garantire al 100 per cento perché non si parla di mialgie, bensì di morti, e prima di sottostimare un caso di morte posso assicurarvi che qualsiasi funzionario, persino a livello segretariale del ministero, una mano sulla coscienza se la mette e il proprio dovere lo compie.
La Spagna, quindi, ha avuto la sinistra fortuna, se così si può dire, di avere sul proprio territorio questi tre casi di decesso; ciò infatti l'ha indotta a prendere in considerazione lo PSUR (Periodic Safety Update Report), che è un rapporto periodico di aggiornamento sulla sicurezza, obbligatorio per la ditta. La farmacovigilanza si basa, infatti, per legge, anche su un sistema di farmacovigilanza attiva, di cui è responsabile l'azienda che sta ricavando profitti dall'autorizzazione della commercializzazione del farmaco. L'esame di tali rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza ha segnalato, dunque, l'esistenza di queste problematiche. D'altronde, il ruolo dell'autorità sanitaria non è quello di raccogliere tutti gli effetti collaterali, compito che spetta invece alla ditta farmaceutica; è bensì quello di valutare ogni
sei mesi, per i primi due anni, e ogni anno, per gli anni successivi fino a cinque anni, questi rapporti periodici di sicurezza, unendoli alle segnalazioni spontanee, che nel frattempo, grazie alla farmacovigilanza passiva, sono giunte negli uffici, in modo tale da avere sufficienti elementi per rivalutare il rapporto rischio-beneficio del farmaco.
In questo processo, siamo stati avvantaggiati dal fatto che si trattava di una procedura europea. In Italia casi di decesso derivanti da questo tipo di associazione della cerivastatina non ci sono stati, per quanto nonostante tutto, nei primi due mesi successivi all'autorizzazione del farmaco in Italia (che seguì all'autorizzazione britannica), vi furono due casi di miopatia che l'ufficio di farmacovigilanza prontamente segnalò a chi di dovere, cioè all'autorità di riferimento britannica, facendo appunto presente che in Italia si erano verificati due casi di miopatia, risoltisi poi con la sospensione del farmaco, che quindi probabilmente erano correlati all'utilizzo del farmaco stesso.
Questi casi sono stati segnalati prontamente all'autorità britannica, proprio nel momento in cui l'autorità britannica si accorse che nel frattempo l'FDA aveva inserito tra le controindicazioni (della cerivastatina) l'uso contemporaneo del Gemfibrozil. A questo punto, l'autorità britannica impose alla Bayer - perché questo è il ruolo dell'autorità e in questo noi siamo partecipi, anche se in modo più passivo, perché in questo caso specifico l'autorità britannica è stata il punto di riferimento della procedura - di spiegare il motivo per cui in Europa la ditta non aveva inserito tra le controindicazioni l'uso associato con il Gemfibrozil. La Bayer si giustificò adducendo, in primo luogo, il diverso atteggiamento culturale e il diverso approccio terapeutico alla cerivastatina esistente in Europa, dove il dosaggio di 0,8 milligrammi non era stato mai autorizzato, se non in Inghilterra, e mai ha seguito una procedura di mutuo riconoscimento (per cui in Italia la richiesta di autorizzazione per il dosaggio pari a 0,8 milligrammi non è mai partita neanche come domanda al ministero). In secondo luogo, adducendo l'uso da drugstore che viene fatto per il Gemfibrozil negli Stati Uniti, motivo per il quale l'associazione dei due farmaci diventava totalmente incontrollabile.
Tuttavia, nella rivalutazione di questi effetti collaterali (fatta dal Reference Member State e seguita da tutti gli Stati coinvolti nella procedura - posso garantire che tutti gli Stati hanno partecipato allo stesso livello; al riguardo ci sono peraltro delle lettere spedite dal nostro ministero, nelle quali ci siamo schierati a favore dell'inserimento dell'uso del Gemfibrozil tra le controindicazioni -) e nella rivalutazione del rapporto rischio beneficio si è visto che l'incidenza reale di rabdomiolisi non era ancora tale, almeno allo stato degli atti, da imporci, dal punto di vista di farmacoepidemiologia, un provvedimento quale la revoca o la sospensione del farmaco.
Proprio alla luce di ciò, vorrei sottolineare la sorpresa che ha destato in noi l'iniziativa dell'azienda farmaceutica, perché i dati a nostra disposizione - ben noti, vorrei sottolinearlo, all'autorità sanitaria del nostro paese - non erano tali da giustificare il ritiro o la revoca del farmaco, bensì soltanto una segnalazione forte sul riassunto delle caratteristiche del prodotto; infatti, osservando il relativo punto 4.5, dal titolo «interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazioni» possiamo vedere che l'interazione, in Italia, era tradotta così: l'utilizzo contemporaneo di Gemfibrozil e della cerivastatina aumenta il rischio di rabdomiolisi; perciò l'uso di questa combinazione deve essere evitato. La sua indicazione era pertanto già presente; che poi dovesse essere inserita nelle controindicazioni è un fatto sicuramente importante perché la rafforzava, dal momento che le controindicazioni, anche all'occhio del lettore, sono più forti delle interazioni; tuttavia il riassunto delle caratteristiche del prodotto, cioè questa carta di identità di ogni specialità medicinale, già conteneva informazioni adeguate a coprire questo aspetto: dovevano, quindi, solo essere rinforzate.
A tale scopo, in un Pharmacovigilance Working Party al quale l'Italia partecipò regolarmente, si decise di iniziare - tutti gli Stati concordemente - una procedura di restrizione urgente di sicurezza (Urgent Safety Restriction), la cui caratteristica è quella di dover essere completata entro ventiquattr'ore e che impone alla ditta farmaceutica di introdurre questa controindicazione nel foglio illustrativo del farmaco da essa commercializzato e nel proprio riassunto delle caratteristiche del prodotto; tale attività si è conclusa, peraltro, il 27 o il 28 giugno scorso; dopo di che sarebbe partita la variazione, nell'ambito della quale con più calma si sarebbe rivisto il tutto.
Il fatto che tutti gli Stati membri, di concerto, abbiano deciso di far scattare una variazione urgente di sicurezza sulla controindicazione relativa all'associazione della cerivastatina con il Gemfibrozil testimonia, a mio avviso, del grado di attenzione prestata a questa procedura, alla quale veramente non si può obiettare nulla, se non che, probabilmente, a questo punto bisognerà considerare incidenze di 1 a 300 mila come circostanze che possono giustificare la revoca di un farmaco.
Credo, peraltro, che nel rapporto rischio-beneficio globale, la cerivastatina, di per sé, non si sia mai dimostrata un farmaco particolarmente «cattivo», e al momento se ne sta considerando il rapporto rischio-beneficio in confronto a tutte le altre statine, anche se probabilmente uscirà male da tale confronto; ad ogni modo, anche a livello europeo, siamo in fase di dirittura di arrivo.
Non ritengo sia corretto, quindi, dire che sia stato solo merito della ditta l'aver riconosciuto questi effetti collaterali e che l'autorità sanitaria sia rimasta passiva; anche se comunque parlerei di autorità al plurale, perché in questo caso non si può dare la colpa soltanto al Ministero della salute italiano - che peraltro proprio per il Lipobay ha veramente espletato tutte le operazioni di rito e di risposta, inviando lettere al Reference Member State, alla ditta e così via - ed infatti le autorità europee hanno seguito questo problema da vicino, decidendo, nel bene o nel male - non sta a me dirlo - che la casistica riscontrata non era ancora meritevole di revoche o sospensioni da parte delle autorità medesime. Proprio per questo la ditta farmaceutica ci ha colto di sorpresa, al punto che si è pensato che ci stesse nascondendo qualche informazione, non ancora pubblicata, ma comunque in suo possesso.
In conclusione, pertanto, possiamo dire che la rivalutazione del farmaco è stata fatta: adesso abbiamo una consistente mole di documenti e a dicembre, proprio a Londra, se ne discuterà per adottare le relative decisioni necessarie.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Del Favero e il dottor Rossi per la loro disponibilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.30.