Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante la trasmissione attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione ginecologi consultoriali (A.GI.CO.), dell'Associazione italiana per l'educazione demografica (AIED), dell'Unione italiana centri di educazione matrimoniale e prematrimoniale (UICEMP) e della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana.
Qualcuno degli intervenuti all'audizione di ieri è sembrato fare intendere che si stia conducendo un'inchiesta sull'attività dei consultori, ma non è così. Mi preme sottolineare che si tratta solamente di un'indagine conoscitiva per cercare di capire meglio la significativa attività svolta dai consultori, soprattutto (lo dico anche a voi) in merito alla legge n. 194. Posto che i consultori svolgono moltissime altre funzioni (conosco la loro attività), non possiamo allargarci troppo in materia ma dobbiamo cercare di limitarci alle argomentazioni inerenti alla legge n. 194 e alla sua applicazione (anche perché essa richiama in maniera particolare le attività dei consultori in questo campo).
Questo è il primo punto dell'indagine che serve anche per capire se nell'ambito dell'attività consultoriale, sempre riferendosi alla legge n. 194, vi siano state delle opportunità di collaborazione (se ve n'è stata richiesta) con varie associazioni di qualunque tipo, siano esse laiche o cattoliche. Vorremmo cercare di capire se ciò si sia verificato ed eventualmente se tali iniziative possano essere incrementate o se, secondo le vostre opinioni, ciò non sia gradito. Siamo qui soprattutto per cercare di acquisire ulteriore conoscenza nei riguardi di questo problema dopo trent'anni dalla promulgazione della legge. Premetto che nessuno vuole abolire la legge n. 194, bensì eventualmente tentare di migliorare la sua integrale applicazione.
Do il benvenuto ai nostri ospiti, in particolare, per l'A.GI.CO., al professor Luigi Cersosimo, presidente, al dottor Ugo Brasiello,
vicepresidente, al dottor Raffaele Atripaldi e al dottor Maurizio Bologna; per l'AIED, al dottor Luigi Laratta, presidente, e alla dottoressa Laura Olimpi; per l'UICEMP, alla dottoressa Paola Braghi; infine, per la Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana, alla dottoressa Olimpia Tarzia, vicepresidente.
Vorrei ricordare che le audizioni si svolgono sempre con degli interventi in sequenza. In ogni caso, dovremo concludere l'audizione entro le ore 16,00 poiché a quell'ora inizieranno i lavori dell'Assemblea.
Se qualcuno vorrà lasciare (come hanno fatto anche altri) atti, documenti o memorie su quanto è stato o verrà detto, la Commissione li recepirà, ponendo tale materiale agli atti, quindi, a disposizione di tutti i parlamentari.
Do ora la parola al professor Cersosimo, presidente dell'A.GI.CO.
LUIGI CERSOSIMO, Presidente nazionale dell'A.GI.CO. La ringrazio per averci interpellati. La nostra è una visione quasi generale sull'attività dei consultori familiari in Italia e possiamo senz'altro affermare che la legge n. 194, relativa al consultorio familiare, trova un'applicazione quanto mai valida, in particolare però nei consultori in cui la direzione e il coordinamento sono affidati all'area medica, ossia ai ginecologi.
Alla sua nascita, il consultorio familiare era affidato ai comuni e ne rappresentava il fiore all'occhiello, in quanto funzionava molto bene e dava la possibilità di organizzare degli incontri con la popolazione per fornire un'informazione valida, mettendo a disposizione sia aule sia materiale didattico per intervenire sull'utenza e informarla, facendo una prevenzione adeguata. Purtroppo, da quando si è passati alle ASL, parecchi consultori soffrono di un problema molto grave: in alcuni di essi il discorso è relativo alla responsabilità e alla direzione del dipartimento materno-infantile e dell'unità operativa territoriale. Tali posti, a mio avviso di potere, parecchie volte non vengono affidati a chi dovrebbe effettivamente incidere di più sull'applicazione della legge, fornendo le giuste indicazioni di prevenzione, cercando di individuare la popolazione a rischio su cui intervenire e assicurando al consultorio ciò che deve avere e fare. Fabbriche, scuole e centri di aggregazione, nei quali la problematica è molto sentita per questioni di cultura ed economiche, non hanno accesso a un'informazione valida. Il consultorio fa tanto quando la struttura è affidata alla direzione e al coordinamento dei medici, che possono prendere accordi con gli ospedali, con altre strutture sociosanitarie del territorio e quindi dare un'informazione valida e fare una prevenzione adeguata.
Da parecchi anni, come A.GI.CO., abbiamo sempre sottolineato un fatto. Parlo soltanto dei consultori pubblici (su quelli privati ci sono altri che potranno intervenire) anche se l'associazione rappresenta soci sia pubblici sia privati. Nei consultori pubblici la ginecologia viene svolta con un monte orario molto ridotto: in alcuni consultori il ginecologo è presente due ore a settimana. Forse è bene che questi consultori vengano accorpati ad altri: essendo un servizio pubblico la presenza del ginecologo dovrebbe esservi tutti i giorni della settimana, in modo da poter attuare una prevenzione adeguata e tutto ciò che riguarda l'applicazione della legge n. 194.
La legge n. 194 affida al consultorio determinati compiti ma non sempre individua le figure professionali che devono soddisfare i compiti che gli vengono affidati. Teniamo anche presente il tema della prescrizione dei contraccettivi ai minori, un problema che ci viene posto molte volte nei nostri incontri, che viene richiesto dai soci ed è oggetto di discussione molto viva durante dibattiti, congressi e corsi di aggiornamento dell'A.GI.CO. A tale proposito, la legge prevede che il contraccettivo venga somministrato dietro prescrizione del medico. Su questo sorgono dei problemi legali: chi deve fare la prescrizione? Mentre la legge n. 194 dà la possibilità di somministrarlo dietro prescrizione, la legge sul consenso limita l'accesso dei
minori. Teniamo presente che una grande fetta di coloro che ricorrono all'interruzione di gravidanza è rappresentata da minorenni. Anche il discorso relativo alla contraccezione ai minori dovrebbe essere senz'altro specificato meglio e allo stesso tempo andrebbe fatta un'opera di informazione molto mirata nei posti di aggregazione dei minori, da parte di persone competenti in materia.
Ribadisco, quindi, che per prendere contatti con altre organizzazioni territoriali e sociosanitarie, con associazioni di volontariato e per superare le motivazioni che danno luogo al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, è necessario che vi siano delle persone nel coordinamento del consultorio che possano svolgere questa opera con professionalità.
UGO BRASIELLO, Vicepresidente nazionale dell'A.GI.CO. Non posso che confermare quanto detto dal professor Cersosimo. Vorrei aggiungere la nostra esperienza e la mia personale come direttore dell'ufficio responsabile dei consultori del Lazio dal 1977 al 1994.
Nella nostra associazione, che raccoglie i ginecologi consultoriali, i problemi incontrati, e che ancora oggi incontriamo, sono essenzialmente due. Premetto che la legge n. 194 a noi risulta essere applicata in maniera sufficientemente corretta nei consultori, anche sul fronte della prevenzione poiché abbiamo osservato una progressiva diminuzione dell'interruzione delle gravidanze, contestualmente a una stabilità del tasso di natalità. Ciò vuol dire che il ricorso alla pratica della contraccezione è aumentata nel corso degli anni (diciamo dal 1978 in poi) come è facilmente verificabile dalle vendite dei presidi contraccettivi.
Come dicevo, oggi, a livello consultoriale, i problemi più grossi sono due: a parte la dirigenza anomala, di cui ha parlato il collega Cersosimo, un problema importante è costituito dall'atteggiamento da parte di molte aziende che non incoraggia la vita dei consultori, che a volte vengono fatti morire per estinzione. Quando un operatore (in particolare un medico) esce dal consultorio per motivi di età, per scelta o per altri motivi, capita che non venga sostituito dall'azienda. Le strutture sono spesso fatiscenti e i fondi scarsi.
Infine, l'altro problema che si incontra da sempre è l'obiezione di coscienza, che impedisce di garantire alla rete consultoriale un'omogeneità operativa per l'attuazione della legge n. 194.
Credo che questi siano i due punti fondamentali.
LUIGI LARATTA, Presidente nazionale dell'AIED. Come è noto, l'AIED è un'associazione che ha molti consultori, anzi, consentitemi un piccolo scatto d'orgoglio: il primo consultorio familiare è nato proprio dall'AIED nel 1953. Siamo un'associazione laica che svolge servizi di consulenza e di sostegno per l'interruzione volontaria della gravidanza e ha centri anche per gli adolescenti.
Su questo argomento lascerei però, se il presidente consente, la parola alla dottoressa Laura Olimpi.
LAURA OLIMPI, Membro esecutivo nazionale dell'AIED. Come ricordava il presidente, l'AIED ha una lunga storia e non abbiamo timore di dire che rispetto all'aborto siamo fortemente contrari (come non si può non esserlo) anche se sappiamo che ha sempre fatto e quasi sicuramente farà parte delle realtà da contrastare e di cui doversi occupare. Noi ce ne siamo occupati da sempre: la nostra azione principale mira a contrastarlo, prevenendo però le gravidanze indesiderate. Sappiamo che il requisito minimo affinché una donna abbia un figlio è che almeno lo desideri. Questa è una cosa che non dicono le femministe, ma quelli che seriamente si occupano della salute dei bambini, da Winnicott alla Dotteau (non a caso sono una pediatra). Il nodo centrale consiste nella prevenzione della gravidanza indesiderata e non nell'ostacolare il percorso della donna e la sua libera scelta, in quel momento, di non portare avanti una gravidanza. Da sempre, ancor prima della
legge, siamo stati tra i promotori della legalizzazione e riteniamo che il requisito fondamentale sia nella libertà e responsabilità della donna: la nostra azione consiste nel darle maggiori strumenti per non arrivare alla gravidanza indesiderata. Se la donna poi arriva all'AIED con il problema di voler interrompere la gravidanza, disponiamo di servizi specifici che però non rappresentano la parte principale della nostra attività ma, come in tutti i consultori, solo quella minimale. In parte ciò è dovuto al fatto che il consultorio nella realtà nazionale non costituisce il punto centrale dell'assistenza all'interruzione della gravidanza: questo è uno dei problemi. La certificazione, l'assistenza e la prenotazione dell'intervento vengono disseminati tra varie strutture tanto che la maggior parte dei certificati viene fatta dal medico di famiglia o dal ginecologo privato. Sicuramente l'approccio globale, integrato e multidisciplinare favorisce la consapevolezza della donna e la capacità di acquisire nuovi strumenti per decidere liberamente e fondamentalmente per prevenire le recidive.
La prevenzione è senza dubbio il punto chiave che muove l'AIED. Sappiamo che dobbiamo agire con professionalità e correttezza nel momento in cui la donna si presenta con la scelta di interrompere la gravidanza, ma sappiamo anche che dobbiamo agire a monte per non farla arrivare ad un punto sempre doloroso e penoso per ogni donna. Abbiamo dei suggerimenti da dare in merito alla prevenzione e questo è il punto chiave.
L'Italia non deve battersi il petto rispetto al discorso delle interruzioni di gravidanza, nello scenario internazionale, perché i nostri tassi di interruzione di gravidanza sono più bassi rispetto al resto d'Europa e del mondo. Tuttavia si può lavorare per diminuire ulteriormente il fenomeno. Da sempre (lo ripetiamo in questa sede) è importantissima l'educazione sessuale nelle scuole: il giovane che affronta per le prime volte i rapporti sessuali deve avere consapevolezza di quello che fa, di cos'è il suo corpo e a che cosa può andare incontro. L'educazione sessuale non deve essere giudicante o prescrittiva, ma deve dare al giovane la capacità di decidere liberamente.
Veniamo al discorso degli extracomunitari, che dai dati sappiamo essere importante. Il trend di discesa del ricorso alle interruzioni di gravidanza è da sempre costante in Italia: se in quest'ultimo anno c'è stata una leggera ripresa, sappiamo che è dovuta al fatto che un terzo delle donne che vi fanno ricorso sono extracomunitarie. Siamo d'accordo con i ginecologi consultoriali delle altre organizzazioni: l'approccio agli extracomunitari potrebbe essere quello dell'offerta attiva. Caratteristica del consultorio non è di aspettare che la gente vi arrivi, ma di offrire servizi anche al settore critico degli extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno. Ad esempio, l'offerta del pap test e dei preservativi potrebbe rappresentare una soluzione alle malattie trasmesse sessualmente (gli extracomunitari sono una categoria a rischio) e un modo per prevenire le interruzioni di gravidanza.
Vi è poi il problema della pillola del giorno dopo: qualora non venga fatta una contraccezione efficace prima del rapporto sessuale, è possibile, comunque, utilizzare la contraccezione postcoitale. In Italia questo tipo di contraccezione è comunque molto spesso difficile e macchinoso: non tutti i medici dei pronto soccorso prescrivono la pillola e le guardie mediche spesso si rifiutano di farlo. Noi addirittura riteniamo che si dovrebbe seriamente considerare il discorso degli anticoncezionali senza ricetta medica. Recentemente, si è aperto un dibattito in America e la maggior parte degli esperti della FDE hanno espresso pareri favorevoli, ma per una scelta politica e ideologica il problema è stato rimandato, forse sine die.
Come è stato già detto, pensiamo che il potenziamento del ruolo dei consultori in generale come cardine di integrazione, coordinamento e offerta di servizi, sia estremamente importante ai fini della prevenzione.
Vorrei aggiungere qualcosa in merito agli aspetti in cui, secondo noi, la legge è disattesa. L'articolo 9 della legge n. 194 prevede che gli enti ospedalieri debbano in ogni caso mettersi in condizioni di operare. Sappiamo benissimo che questo non accade: addirittura la Basilicata, un'intera regione, resta fuori. Ciò comporta per le donne un allungamento dei tempi, che porta a fare giri penosi per trovare l'ospedale che possa risolvere il problema e, di conseguenza, ad arrivare fuori termine o ad aborti tardivi, con l'aumento dei rischi.
Inoltre, l'articolo 15 prevede che la regione, d'intesa con università e enti ospedalieri, promuova l'aggiornamento del personale sanitario all'uso di tecniche più moderne, rispettose dell'integrità dalla donna e meno rischiose. Eppure, ancora oggi, è troppo alto il ricorso, ad esempio, all'anestesia generale, al raschiamento e la RU 486 è al centro di un dibattito aperto, mentre in altri paesi europei viene utilizzata.
Ci permettiamo anche di segnalare che rispetto agli operatori, che dovrebbero essere integrati nei consultori, il ruolo dei mediatori culturali è estremamente importante, con riferimento agli extracomunitari, non solo con riguardo al problema linguistico, ma anche a quello delle differenze di cultura, al ruolo della donna nella coppia e alle aspettative rispetto la maternità.
Ribadendo che siamo contrari all'aborto e quindi vogliamo prevenirlo, dobbiamo però dire che la dignità e la libera scelta della donna, come tra l'altro la legge prescrive, devono essere rispettate anche per quanto riguarda l'intervento di volontari all'interno dei consultori: non crediamo che un dibattito tra operatori pro e contro le interruzioni di gravidanza possa effettivamente aiutare la donna. Al contrario, riteniamo che l'aumento di professionalità dell'operatore che incontra la donna possa metterla in grado di prendere la scelta giusta. Crediamo che altri operatori volontari possano essere messi in causa ma solo con il consenso esplicito della donna.
PRESIDENTE. Quello che dite stimolerà sicuramente molto il dibattito. Per quanto mi riguarda ho tante cose da chiedervi, ma ne parleremo dopo.
Noto che sono intervenuti i ginecologi e i pediatri, ma nel consultorio dovrebbero essere presenti anche altre figure: ascolteremo quindi le ostetriche e gli psicologi. Nessuno di voi infatti ha riferito di un'eventuale attività di collaborazione (chiamiamola così) che dovrebbe essere molto stretta tra le varie componenti del consultorio per favorire la risoluzione dei problemi di prevenzione con riguardo alla popolazione. Non avete sollevato la questione perché evidentemente ognuno di voi si riferisce alle cose che ritiene più importanti.
PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Rappresento un'istituzione che in qualche modo è la sorella minore dell'AIED: il primo consultorio del 1966 è la UICEMP di Milano. Mi dilungherò pochissimo poiché mi sento di sottoscrivere quanto detto dalla dottoressa Olimpi, che ha descritto ciò che avviene nei nostri consultori.
Prendo al balzo la sua osservazione, presidente, per dire che nei consultori, giustamente, dovrebbero operare (almeno nei nostri operano) oltre ai ginecologi, ostetriche, consulenti e psicologi. Infatti la persona che viene la prima volta al consultorio ha un incontro non direttamente con il medico ma con un consulente. A seconda del tipo di problematica che pone (se si tratta di una visita di controllo, di contraccezione o, per rimanere in tema, di un'interruzione di gravidanza), ha di fronte una persona che può aiutarla a fare una scelta.
Fatto salvo che sottoscrivo quanto ha detto la dottoressa, parlerei un po' di più del problema dell'interruzione di gravidanza, per il quale la legge prevede che alla donna vengano offerte delle alternative. I problemi sono di due tipi: il primo consiste nelle alternative che si possono proporre. Quando l'operatore si trova di fronte una persona, questa o ha già fatto
la sua scelta e la esprime chiaramente, oppure la sta ancora maturando. Cosa può fare l'operatore oltre a far prendere coscienza di che cosa significhi una scelta o l'altra? Certamente non può sostituirsi alla volontà e alla coscienza della persona. In pratica, cosa può offrire? Qui entrano in gioco altre strutture e altri fattori. Può offrire (ma non sempre è possibile) un aiuto economico che però è risibile perché riguarda un periodo estremamente breve. Una persona che fa un figlio non se ne deve occupare solo per due, tre mesi o un anno, ad essere buoni per almeno quindici anni...
MAURA COSSUTTA. Per tutta la vita: un figlio è per sempre!
PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Certo, ho voluto essere il più minimalista possibile (magari a un certo punto un figlio si rende indipendente economicamente). Ciò vuol dire che se vogliamo prestare aiuto a una madre in difficoltà, non è tanto il danaro per un breve periodo di tempo ma piuttosto sono una serie di servizi e di strutture che possono aiutarla (dagli asili nido agli scuolabus, al pediatra e via discorrendo).
Altra cosa, invece, è il fatto di informare la donna della possibilità, a mio avviso estremamente dolorosa ma che esiste, di non riconoscere il bambino al momento della nascita. È una scelta che mi sono trovata di persona a dover porre a delle persone: in genere corrisponde a un salto sulla sedia da parte dell'interessato, che risponde assolutamente di no. A Milano vi è «Madre Segreta», una struttura messa in piedi dalla provincia e che funziona molto bene; effettivamente, però, parte dal terzo mese di gravidanza, quindi si rivolge alle persone che sono arrivate tardi e non hanno potuto compiere una scelta preventiva.
Questi sono gli strumenti alternativi di proposta per una persona che decide di interrompere la gravidanza: sono pochi e relativamente non validi. La legge, peraltro, prevede sette giorni di riflessione tra il momento del certificato e quello dell'interruzione di gravidanza. Sono giorni importanti. A noi spesso è capitato di suggerire di fare subito il certificato, ma di ribadire anche che fino al momento stesso in cui sale il gradino dell'ospedale la donna ha tempo per tornare indietro. Proporre il contrario è estremamente rischioso dal punto di vista pratico, se non morale.
Vorrei aggiungere un'ultima cosa riguardo al problema dei minori. Quelli che richiedono l'IVG nei nostri centri sono relativamente pochi, spesso provengono dal tribunale ordinario, a cui siamo vicinissimi. Anzi a questo proposito le faccio una domanda: perché avete convocato i presidenti dei tribunali per i minori e non i giudici tutelari che mandano i minori da noi per la relazione?
PRESIDENTE. È stato richiesto da un parlamentare.
PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Il discorso dei minori è ancora più complesso: ci chiediamo quanto una gravidanza non desiderata possa incidere sulla loro vita. Se riconosciamo alla donna la possibilità autonoma di scegliere, per i ragazzi è ancora più difficile. Per il resto, direi di puntare essenzialmente sulla prevenzione. Facciamo anche interventi presso le scuole proprio per aiutare i ragazzi a conoscere i vari metodi contraccettivi e le leggi che regolano la materia.
Condivido (soprattutto perché a Milano lo sentiamo fortissimo) il problema dell'obiezione di coscienza. Secondo me, poiché la 194 è legge dello Stato, questo dovrebbe garantire almeno il 50 per cento di non obiettori nelle strutture pubbliche.
OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Poiché si deve fare una valutazione dello stato dell'arte dell'applicazione della legge n. 194, credo che la cosa principale sia tenere
presente le istanze della legge stessa, che di fatto, nel suo testo, non afferma un diritto all'aborto. All'articolo 1 si richiama il fatto che lo Stato tutela la vita fin dal suo inizio; non si nega in alcun passaggio che il concepito sia un essere umano, ma si dice che nel momento in cui esista un conflitto di interessi tra madre e figlio, la donna può ricorrere all'aborto, secondo le norme previste dalla legge. Al di là della prassi, che purtroppo è deviata, il dettato della legge chiarisce che la libertà della donna, che ovviamente va difesa come quella degli uomini (la libertà in genere delle persone va sempre tutelata) si muove nel rispetto dei diritti degli altri e, sicuramente, prima di tutto, di quelli del figlio, il cui primo diritto è quello alla vita.
Vorrei richiamare l'attenzione su alcune parti della legge n. 194 che riguardano la prevenzione all'aborto. Esistono diversi ambiti di prevenzione: per quella al concepimento entriamo nel campo dell'educazione alla sessualità, in cui vi sono differenti modalità di approccio. La legge n. 194 regolamenta la questione di una gravidanza parlando di prevenzione all'aborto, nel caso di una donna che si trova a vivere una maternità difficile. A questo riguardo, la legge, particolarmente agli articoli 2 e 5, prevede dei punti importanti. La nostra valutazione è data dall'esperienza sul territorio: vi sono circa trecentomila utenze annuali, una rete territoriale dei consultori di ispirazione cristiana...
OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Dall'inizio, praticamente mi riferisco alla legge n. 405 sui consultori.
Dunque, il percorso nasce principalmente dall'esperienza diretta. In particolare, la legge prevede che la donna debba mettere in atto un colloquio teso a rimuovere le cause che la inducono al ricorso all'aborto. Credo che questo sia un punto importante. Secondo il nostro osservatorio, la prima causa di richiesta di ricorso all'aborto è di natura economica. Il problema di fondo è che la donna che si rivolge al consultorio non ha soldi per un altro figlio: la casa è piccola o potrebbe perdere il lavoro. Purtroppo queste cose gravissime accadono ancora: la donna si trova di fronte al fatto di dover perdere il lavoro per accogliere un figlio! La prima causa del ricorso all'aborto è di natura economica; la seconda è occupazionale e lavorativa; la terza è dovuta a motivi di salute. Questo elemento dovrebbe essere considerato seriamente.
La legge n. 194 prevede poi ancora la possibilità di un coinvolgimento delle associazioni operanti sul territorio in favore della maternità. I consultori familiari di ispirazione cristiana sono promossi da associazioni ad ampio campo ma, anche non esclusivamente, sono molto legati al tema dell'aiuto alla maternità. La percentuale che noi registriamo è irrisoria: le donne che arrivano da noi attraverso i consultori pubblici o altre associazioni operanti in favore della maternità sono intorno al 3 per cento! Questo è un altro elemento disatteso della parte preventiva della legge n. 194.
Entrando nel merito, quali potrebbero essere gli obiettivi di questa indagine conoscitiva? Per superare le cause, evidentemente bisogna prima conoscerle. Quindi è necessario che dal colloquio consultoriale, attraverso compilazione di moduli, ovviamente anonimi per non risalire all'identità della donna, emergano chiaramente anzitutto le cause principali per cui c'è difficoltà ad accogliere la gravidanza. In secondo luogo, vi sono gli interventi messi in atto dai consultori in applicazione della legge n. 194, cioè la ricerca di alternative. Infine è anche importante considerare quante convenzioni risultano essere state fatte da consultori e associazioni presenti sul territorio. Dal nostro osservatorio emergono dati quasi nulli.
Un altro aspetto cui dovrebbe mirare l'indagine conoscitiva è la problematica dell'aborto terapeutico. La società italiana di neonatologia ha recentemente lanciato
un allarme in merito. La legge n. 194 è stata approvata quasi trent'anni fa: la capacità di sopravvivenza di un feto, all'epoca, era estremamente ridotta rispetto a quanto la medicina riesce a mettere in atto oggi. Già dalla ventitreesima-ventiquattresima settimana è possibile riuscire a salvare la vita del bambino. La società italiana di neonatologia ha evidenziato che ci sono bambini che nascono vivi da aborto terapeutico. Il problema è capire cosa succede. Sappiamo che la legge n. 194 richiama il fatto che se il feto è vivente si può intervenire con un aborto solo per grave pericolo per la salute della madre. Il periodo di 180 giorni previsto per l'aborto terapeutico, in realtà, è una prassi: la legge non prevede alcun numero di settimane o di mesi, oltre il terzo mese, i cosiddetti «90 giorni». Si tratta di capire cosa succede in quest'ambito, tenendo conto che la medicina ha fatto progressi: quanti feti sono nati vivi e quanti bambini per esempio, sono stati dati in adozione? Che tipo di impegno e di applicazione in difesa della vita ci sono stati, rispetto a queste problematiche?
Concludo con una proposta: credo che l'indagine abbia un senso se ne segue un'azione propositiva. Se alcune parti della legge non sono state applicate, è evidente che bisogna intervenire, come istituzione, per una corretta applicazione. Come Confederazione dei consultori familiari di ispirazione cristiana, abbiamo proposto una riforma dei consultori familiari, insieme al forum delle associazioni familiari. Accenno solo ai punti qualificanti di questo testo. Principalmente, il superamento della sanitarizzazione, di cui di fatto, al di là delle cause, i consultori pubblici soffrono. Da esami statistici, purtroppo, risulta che l'azione prevalente, per quanto riguarda gli interventi della donna in età fertile, sia la certificazione di aborto.
Il consultorio è nato dalla legge n. 405 con un ruolo sicuramente anche sanitario ma, principalmente, sociale, di aiuto e di servizio alla famiglia, alla paternità e maternità responsabile. Tanti operatori si trovano a disagio in una struttura nata con una finalità che però di fatto, per una serie di motivi, si è sanitarizzata. La restituzione ai consultori del loro ruolo passa attraverso alcuni punti. Anzitutto (e questo è il contenuto della nostra proposta di riforma dei consultori) la distinzione di due momenti. L'applicazione di tutta la parte preventiva della legge n. 194, il colloquio e l'investimento di risorse per superare le cause, mentre la certificazione di aborto resterebbe alla struttura sanitaria. In secondo luogo, il coinvolgimento delle associazioni dovrebbe diventare molto più strutturato e operativo, come previsto dalla legge n. 194. In terzo luogo, a mio avviso, dalla legge n. 194 si evince la possibilità che tutto ciò che viene fatto nei confronti di una preferenza per la nascita venga verbalizzato in modo che sia gli assessorati alla sanità regionale, sia il Ministero della salute abbiano degli elementi oggettivi in base ai quali intervenire.
Un altro aspetto potrebbe essere l'istituzione di un fondo sociale per la maternità. Ricordo che la legge n. 194 prevede interventi straordinari, vale a dire la possibilità di sostegni economici che, secondo noi, dovrebbero essere erogati direttamente alla donna. Il consultorio in tal modo sarebbe in dipendenza (anziché regionale, delle ASL) dei comuni ed acquisirebbe un taglio più sociale.
Inoltre, nella riforma prevediamo una pari dignità, una parificazione, attraverso l'accreditamento o altri mezzi, dei consultori pubblici e di quelli privati gestiti da associazioni che svolgono un ruolo pubblico.
PRESIDENTE. Nei giorni scorsi abbiamo audito anche il ministro Storace e operatori degli ospedali dove si praticano le IVG, i quali ci hanno detto che collaborano con i consultori, che vi è un ambito stretto di collaborazione: non fanno nulla senza aver prima ascoltato i consultori e vi indirizzano le persone prima, dopo e durante. Secondo me, non dico che questa forma di collaborazione manchi, ma stiamo sentendo anche l'altra
campana e notiamo (sarà forse una mia impressione) che questa stretta collaborazione, finalizzata alla legge n. 194, forse non c'è. Dai dati forniti dal Ministero, la certificazione viene effettuata soltanto per un terzo dai consultori, mentre per il resto viene rilasciata dalle strutture sanitarie, dal medico di famiglia o dal ginecologo di fiducia. Probabilmente, ciò implica un bypass della struttura consultoriale, che invece era stata finalizzata a tutte queste attività che voi stessi avete elencato: la prevenzione, l'aiuto e tutto quanto può essere fatto nell'ambito dell'applicazione dell'IVG e, in maniera più generale, dell'aiuto alla famiglia, alla nascita e così via.
Ancora una volta, allora, qualcuno potrebbe dire che è inutile fare un'indagine, invece, secondo me, si dovrà rilevare che se quest'indagine riuscirà nel suo scopo (non so se in questa o nella prossima legislatura) si vedrà aumentare la collaborazione fra consultori pubblici, privati, laici e cattolici. Anche gli ospedalieri che sono intervenuti ieri (lo dico per vostra conoscenza) hanno detto che collaborano con le organizzazioni, sia cattoliche, sia laiche e che non c'è nessun conflitto. L'importante è mantenere sempre la libertà di scelta della donna o, meglio ancora, della coppia.
Le altre proposte, evidentemente, sono da definire: l'aggiornamento, gli articoli 9 e 15, il problema rilevato dal professor Cersosimo delle strutture spesso fatiscenti e delle carenze dei medici. Infine, nessuno ci aveva detto che, da quando si è passati dal comune alla ASL, la situazione è notevolmente peggiorata. È un discorso da rivedere e sul quale si può porre ulteriormente la nostra attenzione: siamo qui proprio per questo. Gli spunti di queste audizioni sono tanti e speriamo di poterli portare a buon fine, se non tutti, perlomeno qualcuno.
PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Probabilmente il problema è che le realtà sono molto diverse a seconda dei posti, per cui sicuramente ci sono ospedali che riescono ad avere...
PRESIDENTE. Lo abbiamo notato anche ieri: c'è differenza ad esempio, tra la situazione in Sicilia e quella in Lombardia!
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire.
MAURA COSSUTTA. Ritengo che nelle audizioni che si sono svolte fino ad oggi ci sia un filo comune molto importante. Dopo l'audizione del ministro Storace, il quale, invece di intervenire in Commissione sulla sua relazione, che è tenuto per legge a presentare al Parlamento tutti gli anni, ha mirato a dare legittimità a questa indagine conoscitiva, ho ritrovato un filo comune tra Istat, Istituto superiore di sanità, operatori degli ospedali e, oggi, anche ginecologi consultoriali dell'UICEMP e dell'AIED, tranne la voce dissonante della dottoressa Tarzia (su cui tornerò fra un attimo).
Innanzitutto, la centralità dei consultori, come sono stati «inventati» dal movimento delle donne, costruiti anche grazie alla legge n. 883, cioè, a un'idea di Servizio sanitario nazionale e non a quella di aziendalizzazione, che ha provocato guasti nella funzione e nella natura dei consultori.
Vi è poi la funzione dei consultori, cioè la prevenzione nella modalità operativa di questo servizio. Certo, c'è anche il volontariato (per carità, è sempre un contributo che abbiamo previsto nella legge n. 328), ma penso alle professionalità dei consultori, alla multidisciplinarietà, a programmi di prevenzione attiva verso l'utenza, non quella che va al consultorio ma che va cercata, con programmi mirati, obiettivi certi e una valutazione dei risultati rispetto alla popolazione. Infine, penso alla centralità della contraccezione. Ieri abbiamo persino notato l'anomalia, la grande criticità dell'obiezione per la contraccezione (per non parlare dell'interruzione volontaria di gravidanza).
Ho ritrovato, quindi, un filo importante e comune che ci suggerisce che non era indispensabile, anzi non era necessaria, questa indagine conoscitiva. Sarebbe stato necessario ascoltare l'allarme che, da decenni, gli operatori che lavorano sul campo mandano alla politica, agli assessori regionali e ai parlamentari. Cosa serve, cosa manca? L'hanno già detto.
Ricordo alla dottoressa Olimpia Tarzia che abbiamo appena votato la legge finanziaria e del fondo sociale per la maternità non c'è traccia. Allora, credo che in questa indagine conoscitiva rimanga soltanto l'impegno per cambiare la legge, qualsiasi cosa dica il presidente Palumbo, e invece non ci sia alcuna coerenza sulle risorse da stanziare per eliminare le cause del ricorso all'IVG.
Veniamo al punto: credo che questa indagine conoscitiva sia rischiosa e ciò sia stato voluto. C'è un attacco nascosto (fino ad oggi non è stato palese, ma i cenni, su cui tornerò, ci sono) diretto alla legge n. 194. Si tratta di un attacco previsto perché nel momento in cui la legge sulla procreazione sancisce i diritti dell'embrione, è evidente una conseguenza sulla legge n. 194. Ricordo alla dottoressa Tarzia che dovremmo difendere il diritto di maternità e il suo valore sociale anche per le donne sterili o che hanno malattie genetiche gravissime e non possono accedere alla procreazione assistita, proprio perché dobbiamo difendere il primato dei diritti dell'embrione: altro che risolvere il conflitto a favore della donna! Inoltre, se mi permettete, la legge n. 194 partiva dalla cultura delle donne che non è mai stata di morte: non c'è diritto alla vita, senza le donne che la danno! La cultura della nascita è dentro la cultura delle donne e la legge n. 194 non vuole gli aborti, ma intende aiutare le donne a liberarsene! Parla di valore sociale della maternità, di maternità libera e consapevole. O pensiamo che la sessualità delle donne non debba essere tutelata? Come pensate di tutelare la sessualità della donna se non con la contraccezione? Non so, proponete la castità? D'altra parte è legittimo che le gerarchie della Chiesa la chiedano ai giovani, ma una legge dello Stato dovrebbe andare oltre!
In quella legge c'erano dei valori altissimi: non vogliamo regalare al cosiddetto «movimento» o ai cosiddetti «soggetti a tutela del diritto alla vita» la cultura della vita, che fa parte del movimento delle donne. Il valore sociale della maternità per noi è centrale e chiediamo coerenza alle politiche pubbliche! Certamente, chiediamo un fondo sociale per la maternità ma anche un'indagine conoscitiva, presidente, sui datori di lavoro che costringono le ragazze precarie a firmare la «letterina» per non diventare madri. Sono queste le cause per cui le donne non diventano madri! Vogliamo sapere le cause soltanto quando la donna è costretta all'ultimo minuto ad abortire, perché ha inciampato in questo dramma, o vogliamo chiedere a tutte le donne italiane quanto questa società neghi il desiderio di maternità? Chiediamolo a tutte le donne! Le risposte sono già chiare e le donne l'hanno detto ripetutamente alla Conferenza internazionale di Pechino e in quella di New York: lavoro, reddito, istruzione, diritto alla salute, indice di sviluppo di genere. Vogliamo seguire queste indicazioni o vogliamo rivolgerci alle donne soltanto nel momento più delicato e drammatico, costruendo per loro la cultura solo della colpa, non della responsabilità, perché non vogliono essere «contenitori» di embrioni?
Presidente, lei dice che non si deve cambiare la legge, ma oggi l'intervento della dottoressa Olimpia Tarzia introduce il vero cavallo di Troia! Con la loro modifica, non si è capito se i consultori diventino i servizi sociali, con cui dovrebbero essere integrati, e ne sono i doppioni. I consultori non sono i servizi sociali, bensì un servizio di prevenzione! Se non si è capito che la certificazione deve passare attraverso il consultorio per garantire alla donna di ritornarvi e di farvi ricorso anche per altre prestazioni, per il percorso di nascita, per la prevenzione dei tumori e per la salute dell'apparato riproduttore, di cosa stiamo parlando? Allora, si vuole
fare questa indagine conoscitiva non per aiutare le donne, ma per dare diritto di tribuna ai cosiddetti «soggetti di volontariato» per il cosiddetto «diritto alla vita», per trasformare i consultori (dicono loro) da «abortifici» in servizi sociali! Questo è un attacco diretto alla legge n. 194 ed è per questo che l'indagine conoscitiva è pericolosa e rischiosa e non avrà mai la nostra approvazione!
PRESIDENTE. Vi pregherei di contenere la durata degli interventi, in quanto vi sono molti iscritti a parlare.
MAURA COSSUTTA. Avete voluto voi fare tutto in fretta, presidente Palumbo! Questa indagine conoscitiva ha bisogno di tempi adeguati: se non finisce entro il 31 gennaio, vorrà dire che il Parlamento si darà altri tempi! Non è possibile che voi lanciate l'allarme sull'emergenza e poi tagliate la parola: ci deve essere il tempo per discutere, altrimenti si aggiorna la seduta! Non c'è alcun dramma per la Repubblica se dovremo andare oltre il 31 gennaio.
CARMELO PORCU. Quando sarete la maggioranza...
MAURA COSSUTTA. Qui non si parla di maggioranza o di minoranza, ma di diritti delle donne, caro onorevole Porcu! Parliamo dei problemi delle donne!
PRESIDENTE. Quando dobbiamo fare politica, la facciamo. Ora abbiamo delle audizioni in corso; onorevole Burani, mi rivolgo anche lei: dobbiamo audire gli intervenuti e porre delle domande. I protagonisti in questo momento sono le persone audite.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor presidente, siamo già alla quarta audizione e mi pare che ogni volta assistiamo a qualche comizio in cui si dibattono problemi politici su cui possiamo discutere quanto vogliamo, ma in separata sede. Cara onorevole Cossutta, lei può dire quello che vuole...
MAURA COSSUTTA. La sede è pubblica! Come vi permettete di dire che facciamo dei comizi?
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Onorevole Cossutta, da quando facciamo queste audizioni è la prima volta che mi permetto, di così dire, di richiamarla all'ordine. Come diceva Cicerone: «Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra». Tutte le audizioni sono utili; quello che dicono e che noi ascoltiamo va bene, ma io non mi appassiono e non divento tifoso né dell'una né dell'altra audizione. In latino si dice: observatio et ratio. Bisogna anche saper ascoltare e poi ragionare; come dire: cogito ergo sum. A questo punto, mi pare che non ascoltiamo gli insegnamenti dei nostri padri latini.
A ogni audizione che facciamo sono sempre più soddisfatto: si ascoltano varie voci, qualche conferma (come ha detto il presidente) di quanto abbiamo già sentito ieri e qualcosa di diverso. Dobbiamo fare delle valutazioni su quanto ci viene detto e chiedere qualche delucidazione. Le considerazioni, più o meno politiche, le dobbiamo fare ed è giusto farle, ma in Commissione tra di noi, non in presenza degli altri che sono qui per altro motivo. Dobbiamo impiegare il tempo a disposizione per il motivo per cui questi signori sono stati convocati, cioè per dare un apporto in base alla loro esperienza, che riteniamo della massima utilità.
A mio avviso, anche oggi abbiamo capito che il punto nodale della questione sono i consultori. Come diceva il presidente, ieri abbiamo conosciuto il punto di vista degli operatori degli ospedali, che chiedevano maggiore collaborazione con i consultori. Oggi ascoltiamo la versione dei consultori, che non fanno riferimento alla collaborazione con gli ospedali - nessuno lo ha fatto - però dicono che c'è un certo stato di disagio e che il funzionamento non li soddisfa. Mi pare che ciò sia stato assodato fin dal primo intervento del dottor Brasiello e del dottor Cersosimo, che addirittura individuano i motivi di questa scarsa funzionalità nella insufficiente attenzione
verso i consultori, che per motivi vari si fanno decadere, in quanto non si è attenti a rinforzarli e svilupparli. Si è parlato poi dell'obiezione di coscienza, di cui abbiamo sentito anche ieri. L'attenzione si è concentrata sulla prevenzione, che si può fare in tutti i modi e che riteniamo utile.
In questa sede, non mi pare di aver ascoltato interventi in assonanza o in dissonanza; non mi pare neanche che l'intervento di Olimpia Tarzia sia particolarmente in dissonanza, com'è stato detto, con quelli degli altri. Ognuno dice quello che pensa e lo dice nella sua assonanza: ritengo che le proposte della dottoressa Tarzia siano concrete e serie e non mi sembrano scandalose. Infatti, quando sostiene che bisogna superare la sanitarizzazione, non dice niente di straordinario: rientra nella prevenzione, anche in quella dell'aborto. Quando propone di eliminare la sanitarizzazione, non vuol dire che non c'è prevenzione ma che bisogna separare i vari momenti. Mi pare che ella intenda fare maggiore chiarezza sui problemi che stiamo discutendo. Io intendo il suo intervento in questo modo; altri lo intendono in un altro, poi faremo la somma delle esperienze dei nostri interlocutori e ognuno dirà la sua opinione in sede di dibattito sulle cause politiche, senza parlare ora di legge finanziaria.
Vorrei concludere con una piccola battuta, senza riaprire la polemica: quanti soldi sono stati stanziati in questo settore nelle leggi finanziarie della sinistra?
GRAZIA LABATE. Ieri abbiamo avuto la possibilità di ascoltare gli operatori delle strutture sanitarie grandi, medie e piccole, opportunamente scelte tra le diverse realtà italiane. Faccio questa premessa perché vorrei porre tre domande agli intervenuti e ricevere ulteriori chiarimenti.
Per quanto riguarda questa indagine, l'opposizione non l'ha voluta non per non affrontare nel merito le problematiche, che possono sempre essere oggetto di studio e di riflessione, ma perché, da cinque anni, la Commissione affari sociali ha sempre ricevuto regolarmente le relazioni che i ministri debbono presentare al Parlamento.
Vorrei leggere un passo della relazione di accompagnamento a quella sulla legge n. 194 del ministro Storace, per dirvi che i dati che abbiamo ascoltato in questi giorni e le considerazioni svolte oggi non solo appartengono alla conoscenza e agli strumenti di conoscenza di cui disponiamo nella realtà di applicazione della legge nel nostro paese, ma siamo così consapevoli delle criticità che addirittura (lo dico con una battuta anche per alleggerire il clima di confronto) sono cinque anni che presentiamo emendamenti dello stesso tono: rafforzamento dei consultori in termini di risorse economiche, superamento del blocco del personale per avere tutte le figure professionali interessate. Quindi il sistema di conoscenza intorno a questa materia è noto. Vi leggo ora cosa ha scritto il ministro Storace.
Ci scusino i presenti, se mettiamo in dubbio l'efficacia di questa indagine conoscitiva. Il ministro Storace, a conclusione della sua relazione, diceva: «Va sottolineato, infine, come la raccolta, il controllo e l'elaborazione dei dati analitici di tutte le regioni rappresenta un processo lungo e delicato, che impegna a fondo tutto il sistema di sorveglianza delle strutture periferiche. Tale sistema, va detto con orgoglio e per completezza, accuratezza, e tempestività dei dati, è il migliore del mondo». Per questo dico che il sistema (dati dell'Istituto superiore di sanità, dati dell'ISTAT, dati delle relazioni di accompagnamento) ci era del tutto noto e quindi questa indagine conoscitiva, promossa da una Commissione parlamentare soltanto nell'ultimo lasso di tempo della legislatura, ci ha dato il senso di una strumentalità. Vi preghiamo di credere alla nostra onestà intellettuale. Non sappiamo quale sia lo scopo dell'indagine: chiunque è intervenuto fino ad oggi, compreso il ministro e i colleghi delle forze di maggioranza, ha detto che la legge n. 194 assolutamente non si tocca. Mi auguro che sia così: è una
legge dello Stato che ha trovato una efficace mediazione di rispetto della cultura religiosa e della razionalità di uno Stato che, di fronte a 1,5 milioni di aborti clandestini, una legge in grado di rispondere a questo problema. È per questo motivo che non siamo e non saremo mai d'accordo con chi oggi legge l'applicazione di questa legge dividendo il paese tra i fautori del principio della vita e coloro che sarebbero contro.
Proprio quella legge trova base e fondamento nel rispetto del principio della vita e nella tutela sociale della maternità. Sono convinta che tutte le forze che la votarono in Parlamento nel 1978 e il popolo italiano che la confermò con il referendum del 1981, nonché tutte le forze che siedono oggi nel Parlamento della Repubblica sanno bene che quella legge ha rappresentato una mediazione efficace, così come le leggi dello Stato devono fare, se vogliono essere rispettose del pluralismo culturale, oltre che politico, del nostro paese.
Con questa premessa abbiamo denunciato in qualche modo che stiamo partecipando a tutte le audizioni perché il livello di conoscenza non ha mai limite: è sempre bene ascoltare. Tuttavia, non possiamo non partire da questa premessa se vogliamo davvero affrontare il tema della piena applicabilità della legge.
È emerso molto chiaramente (ascoltando gli operatori, leggendo la nota che ci è stata consegnata oggi e ascoltando la dottoressa Tarzia) che il Parlamento aveva in mano tutti gli strumenti per dare una risposta seria a questi problemi, la cui soluzione richiede una politica attiva per la famiglia, onde rimuovere situazioni negative di ordine economico e sociale. Insomma, vi erano tutte le condizioni per dare ai consultori la possibilità di strutturarsi almeno come prescrive la legge, cioè uno ogni ventimila abitanti, mentre ve ne sono 0,8. Si potevano avere tutte le figure professionali ma, purtroppo, come è emerso ieri, nella ristrettezza delle politiche, le strutture oggi funzionano con il metodo a gettone o della convenzione. Vi erano, quindi, le condizioni per dare a questa strada gli strumenti legislativi che non rimuovessero l'obiezione di coscienza, un diritto che va sancito in tutti i modi, ma consentissero, laddove questo diritto si esplicita all'80-90 per cento, di applicare la legge dello Stato.
Vorrei chiedere alla dottoressa Tarzia, stante l'esperienza di «sorveglianza» (spero che non si dispiaccia di questo termine) che ha maturato a partire dal 1975 nei consultori di ispirazione cristiana, se le cause che portano alla scelta dell'aborto siano in primo luogo di carattere economico, in secondo luogo occupazionali, in terzo luogo derivanti da problemi di salute. Mi piacerebbe capire se abbia svolto un'indagine o uno studio statistico e vorrei che su ciò ci dicesse, a fronte della rilevazione delle cause, che tipo di risposte abbiano dato a questi problemi i consultori dalle modalità di costituzione diverse dalle strutture pubbliche. Ieri in quest'aula ci è stato riferito che laddove si lavora molto in collaborazione con le strutture consultoriali di qualsiasi ispirazione culturale, quando vengono fuori questi problemi già oggi l'assistente sociale indirizza all'assessore del comune di appartenenza - se il problema è abitativo o se la persona ha difficoltà economiche - per la richiesta di un sussidio. Mi piacerebbe capire quali esperienze abbia rilevato e quali tipi di risposta abbiate dato, se vi sono state risposte autonome come struttura consultoriale.
Infine, vorrei rivolgere una domanda all'AIED. In che modo, posto che la legge è nota a tutti, si garantisce nell'operare consultoriale l'autonomia della scelta della persona? Tutti abbiamo detto che nessuno vuole mettere in discussione le decisioni. Allora, conosciute le cause, le motivazioni (addirittura si fa un primo colloquio, poi un secondo se si decide di interrompere la gravidanza), vorrei sapere dalla vostra lunghissima esperienza (lo chiedo all'AIED e all'UICEMP) in che modo di fronte a queste realtà e abbiate operato per rispettare nel rapporto e nella relazione operatore-utente l'autonomia della decisione
della persona. È un tema fondamentale in questa indagine conoscitiva. Proprio ieri gli operatori ci hanno detto di ascoltare, capire le cause e dare consigli, ma guai a colpevolizzare i soggetti che arrivano ai consultori con una decisione, anche se sono disposti a rivederla. Guai a fare questo! Ciò sarebbe un peso sulla coscienza di ognuno di noi e non sarebbe tollerabile, proprio perché vogliamo essere rispettosi delle diverse esigenze che, nella tragedia, ahimè, possono spingere la donna a scegliere una strada di questo genere e a interrompere la gravidanza.
DORINA BIANCHI. Cercherò di essere brevissima, anche perché vorrei sentire le risposte delle associazioni. Vorrei fare due considerazioni: la prima è sull'indagine conoscitiva. Anch'io credo che essa non sia nata nel migliore dei modi, sia per i metodi sia per i tempi; in questo devo dare ragione all'onorevole Cossutta quando dice che molto probabilmente sarà necessario del tempo per ascoltare le associazioni e per conoscere approfonditamente, una volta intrapresa la strada dell'indagine conoscitiva, quanto avviene oggettivamente in Italia.
La seconda considerazione è che mi trovo perfettamente d'accordo con la dottoressa Olimpi. Credo che nessuno di noi, nessuna donna, abbia voglia di abortire, né crediamo che l'aborto sia una cosa giusta. Siamo dell'idea che sia necessario aiutare le donne a non abortire, andando nella direzione di una prevenzione molto più efficace e più presente nelle scuole, soprattutto in età adolescenziale, anche per informare dell'esistenza dei consultori e indicare a chi rivolgersi; quindi, una presenza molto più attiva e costante nella vita dei nostri giovani, per quanto riguarda la prevenzione.
Detto questo, vorrei chiedere al dottor Cersosimo e alla dottoressa Olimpi innanzitutto se secondo loro vi fosse veramente la necessità di riformare i consultori. In secondo luogo, domando se abbiano già avuto esperienza, per esempio, della presenza di volontari in tali strutture e cosa pensano in merito alla possibilità di prevedere volontari di associazioni di tipo diverso. Un'altra domanda riguarda l'utilità dell'abolizione dell'obiezione di coscienza, perlomeno per i medici o gli operatori che lavorano nei consultori.
Infine rivolgo un'ultima domanda a Olimpia Tarzia, con la quale non sono d'accordo sul problema delle condizioni economiche, quando afferma che le famiglie con minori possibilità economiche hanno meno figli. Secondo me è l'esatto contrario: migliori sono le condizioni di vita, minore è la presenza di figli. E sicuramente il bonus nascita non è il metodo migliore per incrementare le nascite in Italia.
GIULIO CONTI. In Germania però ha funzionato!
DORINA BIANCHI. In Germania, ma non in Italia! In Germania vi è un tipo di aiuto alle donne che non è presente in Italia! Prima di tutto il bonus è per tre anni e poi ci sono strutture di aiuto alla maternità e alla donna, nella prosecuzione della vita del bambino, che non esistono in Italia.
Al di là di questo, volevo chiedere ad Olimpia Tarzia quali sono, secondo lei, le misure preventive, che devono essere attuate per una vera riduzione degli aborti in Italia.
CARMELO PORCU. Sarò brevissimo, anche per permettere ai nostri ospiti di esprimere le loro idee fino in fondo. Mi sia consentito in primo luogo scusarmi per essere arrivato in ritardo e per aver sentito poco della prima parte di questa audizione, anche se quanto ho potuto ascoltare è stato sicuramente interessante.
Prima di porre delle domande, giacché le colleghe della sinistra ripetono a ogni seduta alcuni concetti, anch'io mi permetto di fare altrettanto. Mi sembra che l'audizione di oggi dimostri ancora una volta l'utilità dell'indagine conoscitiva. L'abbiamo detto già altre volte: la dialettica che si è instaurata in Commissione,
così come l'importanza e la professionalità degli ospiti, dimostrano che è utile che il Parlamento ricorra a questo tipo di strumenti.
Soprattutto, mi sembra che debba essere ripetuto ancora una volta - lo abbiamo già fatto politicamente - che questa indagine conoscitiva non è finalizzata a una revisione o ad un ritocco la legge n. 194. Noi vogliamo che essa sia attuata bene, nel rispetto dei suoi principi informativi e del diritto alla vita, che non è «cosiddetto», onorevole Cossutta, ma è uno dei principi costituzionali. Vi vantate tanto di difendere la Costituzione: ebbene, questa difende la vita e noi vogliamo che la legge sia ispirata a questo sacrosanto principio costituzionale!
Ho apprezzato l'intervento della dottoressa Tarzia, alla quale vorrei rivolgere una domanda. Poiché ieri, presidente, abbiamo appreso da parte dei presidi ospedalieri che si occupano di aborto che esiste un'indeterminatezza nella quantificazione del numero delle donne che, a seguito del contatto con strutture mediche o consultoriali, rinunciano all'aborto e proseguono la maternità, vorrei capire se alla dottoressa Tarzia risulti qualcosa in merito a questo argomento, se la sua associazione se ne occupi e se la sua confederazione disponga di cifre al riguardo.
Vorrei anche capire se le associazioni di ispirazione cristiana stiano facendo una riflessione su un nuovo modo di vedere l'obiezione di coscienza. Dico questo perché sia ieri sia oggi abbiamo notato palesemente - forse con quanto sto per dire susciterò un vespaio - che la stragrande maggioranza degli operatori è su posizioni molto laiche. La presenza dei medici obiettori nei consultori e nelle strutture ospedaliere forse sarebbe utile, affinché le strutture stesse siano in equilibrio rispetto alle situazioni che vanno a verificare.
MAURA COSSUTTA. Ma tutti dovremmo essere laici!
CARMELO PORCU. Sapevo che avrei suscitato un vespaio, però, presidente, mi sia consentito di esprimere la mia opinione. Mi sembra che la divisione sia sotto gli occhi di tutti quanti e penso di non dover essere zittito in questa maniera, quando dico che si tratta di una questione delicatissima. L'abbandono ideologico di una trincea, nella quale si discute di vita o della sua interruzione, secondo me, va affrontato con molta serietà, approfondimento e rispettando i diritti di ciascuno, che sono soprattutto diritti alla vita.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Porcu, anche per la brevità. Se tutti fossero così brevi, procederemmo più velocemente.
Do la parola all'onorevole Valpiana, invitando anche lei alla brevità.
TIZIANA VALPIANA. Mi dispiace, signor presidente, ma non potrò esaudire il suo desiderio, perché...
PRESIDENTE. Vorrà dire che le toglierò la parola.
CARLA CASTELLANI. Anche perché ci siamo dati 10 minuti a testa per gli interventi.
TIZIANA VALPIANA. Visto che avete richiesto con una tale urgenza un'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194, in particolare sulla funzione dei consultori, dopo che per cinque anni questa maggioranza ha rifiutato la richiesta, che abbiamo presentato trimestralmente, di discutere la relazione annuale del ministro sull'applicazione di questa legge, credo che perlomeno dovreste permetterci di scandagliare il problema in tutte le sue parti e di affrontare quanto ci viene suggerito dalle persone che abbiamo invitato alle audizioni, che sono state molto interessanti.
GIULIO CONTI. Non può attaccare il ministro, che è venuto qui a rispondere!
PRESIDENTE. Onorevole Conti, non può interrompere. Lasci parlare l'onorevole
Valpiana. Anche lei potrà parlare per dieci minuti quando sarà il suo turno.
GIULIO CONTI. L'onorevole Valpiana se la prende con chi è venuto qui a rispondere.
TIZIANA VALPIANA. Non l'ho mai nominato il ministro!
PRESIDENTE. Onorevole Conti, ma lei vuole fare andare avanti l'indagine o vuole ostacolarla?
TIZIANA VALPIANA. In realtà, me la stavo prendendo con l'ufficio di presidenza di questa Commissione. Credo che, se vogliamo affrontare davvero questo tema sotto tutti gli aspetti delicatissimi che riguardano la vita del singolo e la vita di uno Stato che dovrebbe essere laico e democratico, dobbiamo perlomeno intenderci sui preliminari e sulle parole.
Credo che tutti noi, quando parliamo di prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza, facciamo riferimento al fatto che per far nascere un bambino la conditio sine qua non è chiaramente che ci sia una donna che lo desidera o che accetti una gravidanza. Tutto il resto è una gravidanza non voluta ed è questo che dobbiamo prevenire, se vogliamo ridurre il ricorso in ultima istanza all'interruzione volontaria di gravidanza. Faccio notare che per quanto riguarda l'interruzione volontaria di gravidanza esistono la prevenzione primaria, secondaria e terziaria. Quella primaria, di cui abbiamo parlato in questa sede quando è venuto il ministro, consiste in condizioni di vita delle donne e delle famiglie che favoriscano il desiderio di maternità. In questo paese tali condizioni non ci sono, in particolar modo per le donne straniere che vengono in Italia e che non hanno condizioni abitative, di lavoro e relazionali tali da consentire loro di mettere al mondo i figli, che molte volte desiderano. Tali condizioni spesso le costringono a lasciare nel loro paese d'origine - penso a quella schiera di donne che vengono a fare le badanti - i figli, che hanno voluto e desiderato. Dobbiamo quindi affrontare questo aspetto, così come in generale le questioni riguardanti l'organizzazione del mercato del lavoro, la mancanza di servizi, il fatto che fino a 30 anni i giovani non sono autonomi economicamente e non possono pensare di farsi una famiglia, perché hanno lavori così flessibili e precari da non consentire loro una programmazione lunga almeno i nove mesi della gravidanza, e via discorrendo.
Esiste poi una prevenzione secondaria dell'interruzione volontaria della gravidanza, che è la contraccezione. Colgo l'occasione per salutare il dottor Laratta: lui non mi conosce, ma io ho cominciato giovanissima, nel 1970, a lavorare all'AIED, dove mi si è aperto un mondo. In quel momento, in cui non c'era informazione contraccettiva e in cui l'interruzione di gravidanza costituiva reato - c'era solo quella clandestina - l'AIED si occupava di sostenere e aiutare le donne e sopratutto di informarle. Vorrei sapere quindi che cosa venga fatto dal punto di vista dell'informazione contraccettiva nel nostro paese. A me sembra che venga fatto sempre meno e che le giovani generazioni siano sempre meno informate. Penso, ad esempio, al numero dei consultori per gli adolescenti oppure a cosa viene fatto nelle scuole dal punto di vista dell'igiene della vita sessuale e dell'educazione contraccettiva; mi sembra che venga fatto molto, molto poco.
GIULIO CONTI. Perché non l'avete fatto voi quando stavate al Governo?
TIZIANA VALPIANA Noi, quando stavamo al Governo - non volevo ricordarlo, perché non mi piace mai parlare di me - abbiamo stanziato, con la legge n. 34 del 1996, grazie a un mio emendamento, 200 miliardi per i consultori familiari, finalizzati specificatamente alla prevenzione dell'interruzione volontaria della gravidanza e al sostegno delle strutture che applicano le tecnologie appropriate per la nascita e per il dopo parto. Ebbene, non sappiamo assolutamente che fine abbiano fatto questi
200 miliardi; anzi, il ministro l'altro giorno ha ribadito che non sono stati utilizzati per i consultori, perché finiti in un fondo indistinto. Stiamo parlando dei miliardi che noi abbiamo stanziato e che voi avete indistintamente fatto svanire.
Mi sembra che solo il ministro e solo la dottoressa Tarzia concepiscano come prevenzione dell'interruzione volontaria della gravidanza quella che io chiamo prevenzione terziaria, cioè il disincentivo e il conteggio con il pallottoliere di chi entra per richiedere il certificato di interruzione e di chi esce senza interruzione. Credo che questa non sia prevenzione dell'interruzione di gravidanza, ma sia molto spesso solo un coartare le coscienze e soprattutto un indurre la donna a fare una scelta diversa da quella che era costretta a fare. E nessuna donna al mondo abortisce volentieri o tranquillamente; posso dirlo, perché per anni ho accompagnato le donne ad abortire clandestinamente, quando in questo paese nessuno si era peritato di fare una legge su questo tema. Per tutte le donne l'aborto è un dramma e per tutte le donne dobbiamo fare un lavoro di prevenzione, ma di prevenzione vera. Ripeto, come ho detto l'altro giorno al ministro, che con i 1.140 milioni di euro stanziati nella legge finanziaria, per dare mille euro a ogni donna che ha partorito nel biennio 2005-2006, non raggiungiamo nessun altro obiettivo che lasciare le donne sole. Quando hanno un figlio, le donne hanno bisogno di non essere sole, di avere servizi, consultori, luoghi per incontrarsi e soprattutto di avere la possibilità di mantenere per un certo numero di anni il figlio che pensano di far nascere: mille euro una tantum forse sono troppo pochi.
Pertanto, vorrei capire quale tipo di servizi vengano pensati a lunga distanza. Prima parlavamo di un emendamento che avevo presentato nell'ambito della legge finanziaria e che prevedeva un aiuto mensile almeno per sei anni e un sostegno reale alle donne, ma è stato bocciato dalla Commissione bilancio.
Vorrei porre una domanda rispetto alla questione dell'obiezione di coscienza nei consultori familiari e negli ospedali pubblici, in particolare perché provengo da una regione come il Veneto, in cui la stragrande maggioranza dei medici e del personale medico sono obiettori di coscienza. Ci ritroviamo quindi in una situazione in cui le donne devono migrare dalla regione, per praticare l'interruzione di gravidanze; ci ritroviamo con medici esterni, pagati a gettone, che vengono un giorno alla settimana e che non possono compiere quell'importante lavoro dato dalla continuità dell'assistenza.
Questa legge ha funzionato - lo dicono i numeri - perché la donna che si è accostata ai servizi pubblici per l'interruzione di gravidanza è entrata in un circolo virtuoso in cui ha ricevuto un servizio, la contraccezione, ha avuto la conoscenza e la possibilità di non aver più gravidanze indesiderate. È chiaro che il medico che viene una volta la settimana, pagato a gettone, che pratica l'interruzione di gravidanza e se ne va, non ha alcuna relazione con i consultori del territorio, non può rinviarvi la donna, non la rivedrà mai più: è quindi un servizio a perdere.
Rispetto l'obiezione di coscienza del singolo, però mi sia consentita una battuta finale: io sono vegetariana, ma non ho mai pensato di andare a lavorare in una macelleria per dare dell'assassino a chi viene a comprare le bistecche! Penso che ognuno dovrebbe scegliere un lavoro che sia consono con i suoi ideali e le sue scelte ideologiche. L'obiezione di coscienza del singolo, che può essere rispettata, non può essere obiezione di coscienza del servizio: non può esistere un servizio in cui nessun operatore è disponibile ad attuare una legge dello Stato, che è in vigore e che lo Stato deve garantire.
Un'ultima domanda che vorrei porre è la seguente: come si può fare in modo che tutte le strutture garantiscano il servizio? Poiché abbiamo verificato, anche in base ai dati dell'Istituto superiore di sanità, che le modalità parziali, i pochi finanziamenti e i pochi centri in cui viene praticata l'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro paese favoriscono l'aborto clandestino,
escluso totalmente da questa indagine conoscitiva - alla quale interessa solo contrastare una legge e non un fenomeno! -, vorrei sapere cosa facciano i consultori cattolici per la prevenzione di questo fenomeno.
CARLA CASTELLANI. Anch'io ringrazio tutti gli intervenuti per le notizie che ci hanno riferito. Mi permetto però di dire alla collega Cossutta, della quale spesso apprezzo la veemenza degli interventi, che non rappresenta tutto il mondo femminile italiano.
CARLA CASTELLANI. Da come si muove, da come si comporta e da quello che dice, sembra che sia così. Tutta una grossa fetta di mondo, non solo cattolico, ma anche laico - e lo ha ampiamente dimostrato il risultato del referendum sulla legge n. 40 - sta riscoprendo alcuni valori, che sono fondamentali per il cattolico, ma nei quali si può riconoscere anche il laico.
L'onorevole Labate ha fatto riferimento alla relazione del ministro Storace, ma ne ha valutato solo la parte finale, nella quale il ministro ringraziava gli istituti centrali e periferici per l'elaborazione dei dati. Devo ritenere, però, che non l'abbia letta completamente, perché è sulla base delle dichiarazioni del ministro che nasce l'idea dell'indagine conoscitiva.
Nella sua relazione il ministro afferma: «La costante diminuzione del ricorso all'IVG tra le donne italiane non è omogenea, come è stato ampiamente evidenziato nelle relazioni precedenti, per le diverse classi di età e per i diversi livelli di stato civile, istruzione ed occupazione. Si ritiene pertanto possibile ottenere ulteriori riduzioni del ricorso all'IVG attraverso la realizzazione di programmi volti alla promozione di consapevolezze e competenze verso la procreazione responsabile, secondo quanto raccomandato nel progetto obiettivo materno infantile».
L'indagine conoscitiva parte da queste dichiarazioni, che ammettono la riduzione, negli anni, del numero dei ricorsi alle interruzioni volontarie di gravidanza, e parte anche da quanto prevede la legge n. 194. L'articolo 1 recita: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». L'articolo 2 stabilisce: «I consultori familiari (...) assistono la donna in stato di gravidanza: a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti sul territorio; b) informandola sulle modalità idonee ad ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo all'ente locale competente e alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a) (...)».
Sostanzialmente, lo scopo di questa indagine conoscitiva è capire se quanto previsto dalla legge venga effettivamente attuato. Inoltre, considerando che una contrazione delle IVG negli anni c'è stata, l'indagine si propone di capire, laddove tale contrazione è avvenuta in maniera più incisiva, come si siano mossi i consultori, se abbiano fatto prevenzione, educazione sessuale, e via dicendo. Questo vogliamo capire, perché se questa è la strada da perseguire, per incentivare una continua e costante diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza, allora dobbiamo attivare le iniziative opportune. Certo, si tratterà di rivedere la legge sui consultori e di stabilire dei percorsi adeguati, investendo risorse economiche per sostenere la famiglia. Su questo sono pienamente d'accordo, ma dobbiamo scoprire quali sono i percorsi che dobbiamo attivare.
Signor presidente, ho ringraziato tutti, ma mi consenta di ringraziare in maniera particolare la dottoressa Paola Biraghi, il cui intervento è stato quello che, probabilmente anche stimolato dalla sua domanda,
ha centrato meglio le nostre prospettive in merito all'indagine conoscitiva.
Qui non c'è alcuna preclusione ideologica da parte di nessuno. È più che evidente - approfitto per ringraziare anche la dottoressa Olimpia Tarzia - che ci sono approcci diversi e noi ne siamo perfettamente consapevoli. Tuttavia, sappiamo che questa ormai è una legge dello Stato, e come tale va applicata e rispettata. Essa, a mio avviso, ha infatti risolto la piaga dell'aborto clandestino e ha permesso alle donne di procedere a questo tipo di intervento in condizioni di tutela e di sicurezza.
Però, al di là di questo, siccome la vita umana è per tanti un valore, vediamo se è possibile aiutare le donne e le coppie a scegliere liberamente se abortire oppure no.
Se permettete, questo è un sacrosanto diritto-dovere del Parlamento!
MARIA BURANI PROCACCINI. Mi scuso per essere arrivata tardi, ma ero impegnata in altri lavori parlamentari. Tuttavia, leggerò gli atti parlamentari e, soprattutto, eventuali documentazioni scritte che verranno consegnate dai soggetti auditi, perché queste costituiscono la parte più interessante, sulla quale rifletteremo con maggiore pacatezza e nel segreto delle nostre coscienze e dei nostri studi.
Detto ciò, prima di porre le mie domande, mi piace premettere che la cultura della vita è quella in virtù della quale siamo in questa Commissione. Personalmente, almeno, sono qui perché credo nella cultura della vita, altrimenti non farei neppure il parlamentare, non dico la madre di famiglia, la nonna o la professionista nella materia di cui mi occupo. La cultura della vita è tutto.
Ciò premesso, sono una donna, non ho mai cambiato sesso, ma gradirei che non si parlasse sempre e comunque a nome delle donne. Le donne sono tante e hanno tante opinioni diverse. Non esistono le donne in generale, non esiste il movimento delle donne. Esistono diversi gruppi di donne, che hanno idee diverse tra loro. Io non mi sento di parlare a nome delle donne in generale, ma solo a nome di quelle donne che si riconoscono in me e che, infatti, mi hanno votato proprio per le mie idee. Non ardisco, dunque, di parlare delle altre donne.
Ho fatto questa premessa di natura politica, perché comunque - lo dico agli amici intervenuti all'audizione - qui dentro si fa politica, certe volte fin troppo.
LUIGI LARATTA, Presidente nazionale dell'AIED. Sembra quasi che siamo venuti noi ad ascoltare voi, e non il contrario!
MARIA BURANI PROCACCINI. Avete ragione, e di questo ci scusiamo, ma purtroppo è così.
Nella scorsa audizione, il dottor Grandolfo, dell'Istituto superiore di sanità, ha affermato - la cosa mi ha particolarmente colpito, per questo vi chiedo di darmi una risposta in merito - che i consultori funzionano benissimo su tutto il territorio italiano. A quel punto, ho sollevato dei dubbi, sostenendo che dalle mie parti si potrebbe dire che questo non avvenga, eppure non vivo nell'ultima regione d'Italia, né nell'ultimo angolo dell'ultima regione d'Italia.
La mia domanda, dunque, è la seguente: i consultori familiari istituiti con legge n. 405 del 1975, dei quali si parla nell'articolo 2 della legge n. 194, hanno veramente ottemperato alle motivazioni per le quali sono stati creati? In pratica, essi hanno assunto la posizione e il ruolo del vecchio ONMI (Opera nazionale maternità infanzia), come impostazione di presenza sul territorio, per avviare le donne e la famiglia alla maternità consapevole e dare loro la possibilità di affrontare la vita in maniera abbastanza serena. Tuttavia, va detto che i consultori, nell'idea del legislatore, dovevano essere qualcosa di più, ossia un punto di riferimento per la famiglia, che vi poteva trovare risposte ai problemi di ordine socio-materiale e psico-sanitario.
Alla fine, si è visto - di questo si sono lamentati molti, ma a quanto pare per il
dottor Grandolfo le cose stanno diversamente - che i consultori familiari, vuoi per mancanza di personale, vuoi per ristrettezze economiche, vuoi perché situati in posti fatiscenti, si riducevano a ben poco, in pratica a un posto nel quale si offriva un aiuto alla donna che portava i suoi problemi di gravidanza indesiderata. Certo, c'erano anche punte di eccellenza, rappresentate da consultori che potevano contare sulla presenza dello psicologo, del sociologo, dello psichiatra dell'età evolutiva, e così via.
Vi chiedo quindi se dalle vostre esperienze risulti quello che ha sostenuto il professor Grandolfo, oppure se risulti quello che noi - specialmente noi che viviamo la provincia italiana - verifichiamo quotidianamente. Mi riferisco al fatto che il passaggio alle ASL è stato pessimo - su questo siamo tutti d'accordo - e che c'è uno svuotamento ideale dei consultori, che si sentono come delle scatole vuote.
Questa è la mia sensazione. Ritenete che sia fondata su una base reale? E cosa possiamo fare?
GIULIO CONTI. Vorrei fare qualche precisazione, prima di addentrarmi nel merito della questione, richiamando alla vostra attenzione l'audizione del ministro e il documento che egli ha presentato alle Camere. Mi pare che esso parli chiaro e risponda preliminarmente a tante domande che vengono formulate in questa sede: dalla contraccezione all'obiezione di coscienza, all'interruzione volontaria di gravidanza, al funzionamento e all'applicazione della legge, nonché ai risultati positivi che essa ha ottenuto e alla smentita che l'aborto possa rappresentare una forma di controllo delle nascite.
Il ministro si è soffermato su questi temi e non mi pare che ciò significhi schierarsi da una parte contro l'altra. Mi pare, piuttosto, che sia dovere di un ministro valutare perché mai le «abortiste» - e qui ce ne sono tante...
TIZIANA VALPIANA. Ma smettila!
GIULIO CONTI. Sì, di abortiste ce ne sono tante! Il ministro a un certo punto ha riferito che dalle statistiche è emerso che, dal 1978 ad oggi sono stati effettuati 4 milioni 500 mila aborti. Ora, quando il ministro della salute ha affermato che sarebbe auspicabile che l'Italia riuscisse ad abbassare questa media tragica, non credo che abbia insultato nessuno, tanto meno che abbia fatto un'affermazione contraria al dettato costituzionale e normativo! Questo dobbiamo dirlo, altrimenti non ci capiamo più.
LUANA ZANELLA. Ma non è una media!
GIULIO CONTI. Non pensate che questo sia il dovere di un ministro? Perché lo attaccate? È stato il primo che ha avuto il coraggio di dire queste cose. È stato anche il primo a sostenere l'opportunità di allargare il numero delle audizioni. Se neghiamo anche questo, significa che non partiamo più da una base comune, quella di interpretare e garantire i diritti costituzionali, sia di chi è a favore, sia di chi è contrario all'aborto. Personalmente sono contrario all'aborto...
DORINA BIANCHI. Tutti siamo contrari all'aborto!
LUIGI LARATTA, Presidente nazionale dell'AIED. Dovete mettervi in testa che tutti siamo contrari all'aborto!
GIULIO CONTI. Lei, a nome di chi parla, scusi? Qui ognuno parla se ha il diritto di farlo, altrimenti non parla! E noi abbiamo il diritto di farlo. Non mi interessa ascoltare comizi in questa sede, tanto più se vengono da qualcuno che non è nemmeno deputato!
Se siete in buona fede, dovete ascoltare le cose che non condividete!
È giusto il discorso sulla contraccezione - siamo tutti d'accordo -, ma non credo che si possa parlare contemporaneamente di contraccezione ed essere favorevoli alla diffusione della pillola RU486. Le due
posizioni sono in profonda contraddizione tra loro. O sbaglio? Questo è un discorso da chiarire, se vogliamo andare avanti seriamente. Se invece vogliamo fare una grande gazzarra, facciamola pure, ma non credo che il ministro abbia sbagliato a voler verificare gli effetti di questo farmaco non registrato in Italia, diversamente da altre nazioni.
Vorrei capire quale sia l'obiezione che muovete a questo ragionamento e alla valutazione, che qualsiasi ministro della salute avrebbe fatto. Vi ricordo che la legge prevede che un farmaco, per entrare nella farmacopea italiana, deve essere riconosciuto dall'Istituto superiore di sanità e dallo Stato. Secondo voi, invece, è la regione che decide quali medicine si possono adottare e quali no. Non è così. Questa mattina, ad esempio, abbiamo votato contro la proposta della regione Toscana di prevedere un rito alternativo per la mutilazione degli organi genitali, attraverso una punturina sul clitoride. Tutti hanno votato contro, all'unanimità. Questa è la grande coerenza rispetto ai principi che si portano avanti, è una coerenza a giorni alterni!
L'onorevole Cossutta ha fatto riferimento alla conferenza di Pechino. Vorrei sapere però se l'onorevole Cossutta e i suoi colleghi di partito abbiano rilevato come in Cina il diritto alla vita sia tenuto poco in considerazione. Solo l'anno scorso in quel paese ci sono state 11 mila fucilazioni.
MAURA COSSUTTA. Ma si tratta della Conferenza internazionale dell'ONU e non della Cina!
GIULIO CONTI. Non serve arrabbiarsi. Alla Conferenza di Pechino nessuno di voi è andato a dire queste cose. Siete stati in Cina e avete accettato le leggi di quello Stato comunista, che ancora resiste. Inoltre, in Cina c'è la limitazione delle nascite, che prevede che una coppia possa avere un solo figlio. È vero o non è vero? Non potete negare l'evidenza!
È necessario essere coerenti, altrimenti non ci capiamo. Il diritto alla vita è una cosa seria, ma dev'esserlo qui e dappertutto. Non si può sostenere in questa sede una posizione, come partito, e all'estero sostenerne una diversa, opposta. Questo non è un atteggiamento serio!
Ora intendo rivolgere una domanda alle dottoresse, che hanno aderito al nostro invito di partecipare a questa audizione. In un certo senso esse hanno già risposto, ma insisto, perché ritengo che questo sia un argomento molto importante. La donna straniera abortisce quattro volte di più di quella italiana. Questi sono i temi sui quali confrontarsi e credo che questo sia l'unico discorso serio che un consultorio potrebbe fare, magari parlando a queste donne e convincendole a non abortire. La risposta può essere di ordine economico, ma può anche essere di altra natura. Se il discorso fosse così limitativo, potrei chiedere come mai, ad esempio, il consultorio di una certa regione, al quale la donna straniera si è rivolta, non ha fatto in modo che essa non abortisse. Se volessi fare un discorso politico spicciolo, come fanno coloro che sono alle mie spalle, dovrei porre anche questa domanda. Invece, dobbiamo dare una risposta seria a questo problema.
C'è poco da ridere, qui stiamo parlando di aborti e di un numero di straniere che abortiscono quattro volte di più rispetto alle italiane. Dal momento che questo dato vi è noto, perché non ne spiegate le ragioni? Forse dovreste aggiungere un ulteriore motivo rispetto a quelli che sono stati elencati: spesso la donna - l'ha detto l'onorevole Dorina Bianchi -, anche se non ha difficoltà economiche, sceglie di abortire, perché è faticoso avere un figlio.
DORINA BIANCHI. Non ho detto questo!
GIULIO CONTI. Lo dico io, allora. È un sacrificio fare un figlio, è un lavoro portarlo avanti, è un fastidio averne tre, piuttosto che uno solo! Purtroppo, è anche una questione di mentalità e di moda.
DORINA BIANCHI. Veramente il problema è che i figli sono della famiglia e non solo delle donne!
PRESIDENTE. Stiamo facendo una pessima figura con queste persone, che ci stanno ascoltando! Non possiamo fare colloqui, ciascuno aspetta il proprio turno per intervenire. Onorevole Conti, concluda.
GIULIO CONTI. Mi pare che questi argomenti dovrebbero essere trattati con maggiore serietà. Dobbiamo riconoscere che questa legge ha limitato il numero degli aborti praticati dalle «mammane». Sicuramente questo depone a favore della legge, ma non si riesce a capire quante volte le donne entrino nel consultorio per abortire, uscendone con un'idea completamente opposta. Faccio il medico di base e quindi posso dire che tutte entrano nel consultorio per abortire e alla fine tutte abortiscono. Quindi c'è qualche elemento che bisogna conoscere e al quale occorre dare una risposta.
La verità è che la struttura pubblica funziona solo in un senso, mentre la legge non prevede solo questo. La legge prevede il contrario, ossia prevede la limitazione del numero degli aborti. Dunque, voi operatori, che siete così bravi, che vi sacrificate e che svolgete un lavoro che definirei apostolico per la nostra società, dovete dirci perché nessuno cambia idea, decidendo di portare avanti la gravidanza.
ROSY BINDI. Signor presidente, innanzitutto le chiederei di rivolgere, a nome di tutti, le scuse più sentite ai nostri interlocutori per come ci siamo comportati.
PRESIDENTE. Mi ripromettevo di scusarmi alla fine della seduta.
ROSY BINDI. Innanzitutto vorrei che ci aiutaste a capire l'attività di prevenzione svolta dai consultori, perché credo che questo sia un dato difficilmente rilevabile dalle schede, dalle domande, dalle risposte e dagli schemi. In effetti, il motivo per il quale vi invitiamo a partecipare a queste audizioni è la volontà di capire come abbiate interpretato la funzione affidata ai consultori dalla legge.
La seconda domanda vorrei rivolgerla alla dottoressa Tarzia, che sostanzialmente ha avanzato una proposta di revisione della legge n. 194...
OLIMPIA TARZIA, Vicepresidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Ho parlato di riforma dei consultori.
ROSY BINDI. Questo significa automaticamente una modifica della legge n. 194, è inutile che ci prendiamo in giro! La mia domanda è di merito: non vi sembra una contraddizione quella di separare la fase dell'attività di prevenzione dalla fase di richiesta e certificazione dell'interruzione della gravidanza?
L'idea della legge n. 194 e del legislatore del 1978 è quella di rivolgersi ai consultori, proprio perché nei consultori l'attività di prevenzione è inglobata nella missione dell'istituzione. Chi vi parla è convinta che quella consultoriale sia stata la prima struttura di integrazione socio-sanitaria prevista nel nostro paese. Una struttura che oggi si è indebolita perché non ha finanziamenti, perché nessuno se ne è interessato, perché non sono state valorizzate alcune figure professionali, perché si è comunque indebolita l'integrazione socio-sanitaria, e in parte perché molte funzioni consultoriali sono state assorbite da altri servizi. Circostanza, questa, che non è da considerare totalmente negativa. Tuttavia, è chiaro che se una donna si rivolge al medico o direttamente al reparto ospedaliero, significa che ha deciso lei stessa di sanitarizzare il suo problema; se, però, una donna si rivolge al consultorio, lo fa sia perché lo trova sul territorio - non a caso le immigrate sono le donne che si rivolgono maggiormente a queste strutture -, sia perché, evidentemente, lei stessa non ha intenzione di sanitarizzare completamente la sua domanda. Dunque essa va a consultarsi, in qualche modo.
Se voi chiedete che la donna che va a «consultarsi» non sia quella che vuole in qualche modo certificare la richiesta di interruzione della gravidanza, automaticamente selezionate un tipo di utenza in senso negativo. Lo dico perché tutti siamo contro l'aborto, onorevole Conti, e le chiedo di non chiamare mai più «abortista» nessuno, nemmeno la mia amica Cossutta, altrimenti mi arrabbio sul serio! Questa è una contraddizione. Bisognerebbe chiedere, eventualmente, una modifica in senso contrario, ossia chiedere che sia obbligatorio il passaggio al consultorio e che questo sia fortificato. Se infatti si obbliga la donna a chiedere la certificazione non alla stessa persona che le prescrive l'antibiotico, bensì alla struttura consultoriale, in cui operano figure come lo psicologo, l'assistente sociale e dove c'è la possibilità di entrare in contatto con associazioni che la possono aiutare, forse c'è qualche possibilità in più che la donna stessa venga indotta a compiere una scelta a favore della gravidanza, anziché della sua interruzione.
Mi pare che alcune posizioni suonino come il tentativo di mettersi la coscienza a posto. In questo modo, però, si salva la coscienza degli operatori, magari dei consultori cattolici, ma non si aiuta la donna.
In tutte le relazioni predisposte dai ministri, in tutti questi anni, è sempre stato indicato come un dato negativo il fatto che solo un terzo delle donne si rivolgano ai consultori. Eventualmente, dunque, dovremmo chiederci tutti come si fa a potenziare queste strutture e a far sì che una donna, anziché rivolgersi al medico di famiglia o al reparto di ostetricia e ginecologia, passi per il consultorio.
Personalmente sono convinta che questa indagine conoscitiva non si concluderà il 31 gennaio, ma andrà avanti; dunque, lavoriamo seriamente e facciamolo nel rispetto della vita delle donne, dei bambini e di tutti quanti. Dobbiamo cercare di capire quali siano le metodologie migliori, perché la separazione, secondo me, non aiuterebbe.
RICCARDO TAMBURRO. Ringrazio gli intervenuti, che hanno fin qui mostrato di avere pazienza. Nel momento in cui questa Commissione ha deciso di svolgere un'indagine conoscitiva, lo ha fatto per capire meglio il fenomeno del quale ci stiamo occupando e per conoscere quali meccanismi sono alla base del buon funzionamento o del parziale funzionamento della legge n. 194.
Uno dei motivi che ci hanno spinto a procedere a un'indagine di questo tipo è la consapevolezza che non si hanno tutte le informazioni relative al fenomeno. Del resto, questo aspetto è stato testimoniato anche dal ministro Storace, che nella sua audizione ci ha chiarito come, per quanto riguarda la parte sanitaria - ossia il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza praticate negli ospedali -, abbiamo il 100 per cento delle informazioni, ma quando ci spostiamo sul versante delle attività svolte dal consultorio abbiamo dati molto parziali. Il ministro, infatti, ha riferito che solo due regioni su venti inviano regolarmente queste informazioni al ministero. È previsto un flusso informativo, ma questo non viene messo in pratica, per ragioni che vorremmo scoprire.
Vengo dunque alle domande. Il ministro proponeva alle regioni di adottare un diverso flusso informativo; voi ritenete che la mancanza di informazioni sia dovuta alla tipologia del flusso informativo? Insomma, quello attuale è inadeguato o troppo complicato? Quali sono le ragioni che impediscono, oggi, il flusso di informazioni dai consultori verso il ministero?
CARLA CASTELLANI. In tema di prevenzione?
RICCARDO TAMBURRO. Chiaramente. In una delle audizioni che hanno preceduto quella odierna, ci è stato illustrato dall'ISTAT un grafico - ve lo mostro - che testimonia il tasso di abortività volontaria, ogni mille donne, nel tempo. Abbiamo visto che c'è un momento in cui, a valle dell'approvazione della legge, c'è una discesa seguita da una stabilizzazione.
Questa stabilizzazione testimonia il fatto che la legge, le strutture e l'organizzazione sembra non riescano ad arrivare oltre un certo limite di attività (si fermano ad un valore pari a circa 10). Parliamo di una rilevazione costante, anno per anno, dal 1980 fino al 2004. Voi ritenete che la legge n. 194 sia applicata in tutte le sue parti, e quindi non si possa andare al di sotto di questo valore, oppure questo valore limite è dovuto a qualcos'altro? Se ci aiutate a capire di che si tratta, forse possiamo intervenire.
LUANA ZANELLA. Parto dalla considerazione che l'utilità di un'indagine conoscitiva come questa potrebbe essere quella di fornirci delle informazioni, anche in termini generali, ma precise da un punto di vista che cercherò di illustrare. Attraverso le vostre informazioni potremmo, ad esempio, conoscere a livello nazionale la capacità, che hanno i consultori, di fornire un servizio di ascolto e di informazione - attraverso uno sportello specifico - per le giovani donne e i giovani uomini. Come è spalmato sul territorio questo servizio, che io ritengo fondamentale per le giovani donne e, ripeto, anche per i giovani uomini? Nel rapporto procreativo infatti si è sempre in due. Considerato che la legge n. 40, come sappiamo, pone dei limiti anche alla possibilità della procreazione artificiale, bisogna essere in due nella gran parte dei casi.
Se le giovani donne spesso sono poco informate, i giovani uomini, da questo punto di vista, sono un disastro. Sono madre di due figli maschi e vedo che sono abbastanza carenti dal punto di vista dell'informazione. Se la prevenzione vuole significare anche informare, formare ed educare, credo che nei consultori dovrebbe essere previsto uno sportello per l'informazione; oltre all'attività informativa, che mi sembra si svolga più o meno ovunque nelle scuole. Sappiamo, però, che si tratta di eventi piuttosto rari, che dunque non possono riguardare tutta la popolazione giovanile esistente.
Per quanto riguarda le donne immigrate - ritengo che queste ultime siano a rischio maggiore di aborto, così come le giovani donne - vorrei sapere quali siano, in quali città si svolgano e come siano spalmati i servizi specifici, attraverso la mediazione e l'attività sul territorio, rivolti alle immigrate, e segnatamente alle immigrate più a rischio, cioè le prostitute. Forse non dovremmo limitarci alle prostitute ma considerare anche le assistenti domiciliari; tuttavia le prime sono quelle che meno si rivolgono ai servizi, a meno che non esista sul territorio un servizio specifico, in grado di creare il trait d'union tra la strada - chiamiamola così - e il servizio stesso.
PRESIDENTE. Desidero innanzitutto scusarmi, come diceva l'onorevole Bindi, per le piccole intemperanze politiche alle quali abbiamo assistito: succede, ma in questa Commissione forse succede troppo spesso. Ascoltando gli interventi - sia quelli odierni, sia quelli dei giorni scorsi - mi sembra che le notizie riferite dagli auditi stimolino tutti noi parlamentari a cercare di chiarire le idee e a porre domande. Non v'è dubbio, pertanto, che siamo tutti interessati a quello che ci viene detto.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Cercherò di rispondere brevemente alle domande e alle richieste di approfondimento che sono state avanzate. Parto dall'onorevole Cossutta, alla quale vorrei dire, avendo una certa esperienza istituzionale di audizioni, che normalmente in audizione si ascoltano gli auditi, perché non è certamente questo il luogo per riproporre il dibattito che si svolge in aula o in altra sede. Credo che questo sia importante, altrimenti rischiamo di rovesciare l'ottica.
L'audizione ha senso perché si invitano i rappresentanti della società civile o di categoria in un'ottica di sussidiarietà, dal
momento che l'obiettivo di questa indagine è capire come funziona la legge n. 194 e cosa possono fare le istituzioni, insieme alla società civile.
Detto ciò, sono pienamente d'accordo sul fatto che oggi esista ancora una maternità - ed una paternità - negata, nel senso che la tutela sociale della maternità è ancora lontana. Sono convinta che siamo soltanto ai primi passi di una politica familiare reale e questa strada bisogna percorrerla con molta velocità. Ciò premesso, mi sembra che ci sia una sorta di iperattività: ogni volta che si affrontano i temi della tutela della maternità e del diritto alla vita, si parla di attacco alla legge n. 194. Vorrei che sgombrassimo il campo da questo approccio.
Ovviamente, ognuno di noi ha opinioni chiare, e a nessuno è richiesto di modificarle perché esse sono il frutto di un vissuto e di una esperienza a volte di decenni. Qui, però, non è in discussione la bontà o meno della legge n. 194 - in quel caso, avremmo affrontato il discorso in maniera totalmente diversa -, ma si tenta di capire quali parti della stessa ci risultano disattese e su quali quindi è necessario intervenire.
Ribadisco che la legge n. 194 non sancisce un diritto all'aborto, mentre un diritto alla vita esiste, e sono convinta che non è appannaggio delle donne. È evidente che la cultura della vita la donna la vive in maniera particolare - sono madre di tre figli -, ma credo che debba essere responsabilizzato anche il padre, che la legge n. 194 tiene fuori totalmente. Non credo a una donna che per tutelare il diritto alla vita sia pronta a calpestare il diritto dei più deboli, per primo del proprio figlio.
L'onorevole Labate mi ha rivolto una domanda sulle cause economiche. Per quello che riguarda le associazioni, in caso di una maternità difficile per cause di natura economica, ci si muove sul territorio andando a interpellare le istituzioni (il comune e l'assistente sociale). Questa rete di protezione viene messa in atto, perché la realtà delle associazioni opera sul territorio. È dal consultorio pubblico, invece, che non arrivano le richieste di aiuto, che magari potrebbero essere perlomeno integrate dall'azione delle associazioni sul territorio. Insomma, non c'è reciprocità.
Per quanto riguarda la presenza di volontari, vorrei chiarire che nessuna associazione di volontariato ha chiesto di stare dentro i consultori. Non è questo l'obiettivo, ma quello di creare una rete reale di dialogo, di collaborazione vera, di applicazione della parte preventiva della legge n. 194.
Onorevole Bianchi, lei ha affermato di non condividere il fatto che la prima causa della richiesta di interruzione di gravidanza sia di natura economica. Si può essere d'accordo o meno, ma questo è un dato statistico. Cito un esempio, che nasce dai consultori privati, in particolare dalla consulta dei consultori di Roma: da un'indagine svolta alcuni anni fa, emergeva che la prima causa era di natura economica. Delle donne che si rivolgono alle nostre associazioni per chiedere di abortire - parliamo di decine di migliaia di casi negli anni -, oltre il 41 per cento manifesta un motivo di natura economica. Si tratta dunque di un dato reale: magari possiamo individuare soluzioni diverse, ma si tratta di una valutazione oggettiva e non personale.
Quanto alla domanda sul numero delle donne che abbandonano l'idea di abortire e decidono di portare avanti la gravidanza, credo che si tratti di una questione fondamentale e sicuramente una delle cose che chiediamo all'indagine conoscitiva è di conoscere qual è stata l'azione dei consultori che ha permesso un superamento delle cause ostative a portare avanti la gravidanza.
L'80 per cento delle donne che si rivolgono alle associazioni - che siano i consultori di ispirazione cristiana o altre associazioni che operano a favore della maternità sul territorio - e che hanno già il certificato di aborto in mano, di fronte all'ascolto, all'accoglienza e alla possibilità di essere tirate fuori da una situazione di
solitudine e di abbandono, di fronte insomma a una solidarietà concreta (anche attraverso aiuti economici), strappa il certificato. Questo sarebbe coartare le coscienze - ho preso nota, onorevole Valpiana - a fare una scelta diversa da quella che la donna era costretta a fare? Vede che si contraddice anche lei?
Il problema è che oggi non possiamo accettare che ci siano donne che dicano di essere costrette ad abortire, perché la società non è in grado di rispondere con la tutela sociale della maternità. L'onorevole Valpiana parlava di prevenzione dell'IVG, soffermandosi sul diritto della donna che desidera fare un'IVG, di fronte a una gravidanza non voluta. Credo che la legge n. 194 debba essere riletta, perché il dettato della legge non dice questo, bensì pone delle condizioni ben precise, cui accennavo all'inizio. Dove c'è un conflitto, prevale il diritto della donna: prevale, ma non nega il diritto alla vita del figlio. Allora attenzione, perché questa è una deformazione nei fatti.
Per questo è importante ritornare al dettato della legge n. 194, senza interpretazioni di sorta. Sia chiaro, non ho mai incontrato una donna che affronta un aborto come se fosse una passeggiata. Mai! Questo non vuol dire, però, che debba essere attribuita alle donne una volontà di vita e di morte sui propri figli.
L'onorevole Bindi, infine, poneva dei dubbi sull'opportunità di separare i due momenti. È chiaro che si tratta di una riflessione impegnativa. Siamo arrivati a questo punto, perché la legge n. 405 ha 30 anni così come la legge n. 194 ne ha 27. Inviterei tutti ad andare al di là delle proprie posizioni, per fermarsi a riflettere. La legge n. 405 è nata certamente in condizioni diverse da quelle attuali e la legge n. 194 è nata, peraltro, in via sperimentale. Qual è, nei fatti, l'applicazione della legge n. 194? Lo ripeto, non stiamo entrando nel merito del giudizio sulla legge, che è diverso per ciascuno di noi, ma stiamo parlando dell'applicazione della parte che riguarda la prevenzione.
Il Ministero della salute ci ha sempre fornito i numeri riguardanti gli aborti effettuati in questi anni, ma non i dati - ed è quello che si chiede - riferibili all'applicazione della parte preventiva. Mi riferisco al numero delle mamme che sono state aiutate, dopo l'intervento consultoriale, a portare avanti la gravidanza, al dato riguardante le convenzioni che si sono attivate e via dicendo.
Per quanto riguarda la decisione di separare i due momenti, il consultorio deve recuperare il suo ruolo di aiuto alla famiglia; del resto, dobbiamo ricordarci che si chiama consultorio familiare e non consultorio femminile. In questo senso, esso ha la possibilità di applicare totalmente la parte relativa alla prevenzione, per esempio sul modello dell'esperienza di un associazionismo che in Italia è molto presente e che ha dato risultati importanti. Da questo punto di vista, ha ragione d'essere la separazione, proprio per restituire ai consultori quel ruolo di primario impegno nell'aiuto alla famiglia, alla donna e alla vita.
PAOLA BIRAGHI, Membro del Comitato direttivo dell'UICEMP. L'idea della separazione non mi trova tanto d'accordo, mentre condivido l'idea che sarebbe giusto avere il maggior raccordo possibile con le altre istituzioni (nel caso nostro, questo già avviene). Purtroppo, è facile citare dei numeri, quando questi si riferiscono ai dati sugli aborti; è difficile, invece, quando si parla di qualità. Se la dottoressa ha conosciuto donne che hanno strappato il certificato per l'interruzione di gravidanza, significa che esse non avevano ricevuto un aiuto preventivo: in altre parole, nel momento in cui è stato rilasciato il certificato di gravidanza, evidentemente non hanno ricevuto una consulenza professionale. Naturalmente, ci fa piacere che una donna trovi le condizioni per non abortire.
I dati sull'andamento delle interruzioni di gravidanza andrebbero incrociati, a mio avviso, con altri dati e con altri avvenimenti: penso, ad esempio, al passaggio dei consultori dai comuni alle ASL e ai numeri
che riguardano le donne immigrate. Sappiamo infatti che gli aborti praticati dalle donne straniere rappresentano una grossa fascia delle interruzioni di gravidanza. In certe realtà, ad esempio a Milano, si registrano tentativi di mediazione presso gli ospedali, ma sicuramente è un discorso difficile, considerando anche la differenza culturale.
Francamente mi aspetterei che ci fosse meno demagogia in questa Commissione, perché il problema vero è quello di aiutare le donne a non abortire. A mio avviso, bisogna puntare sulla prevenzione, potenziando l'informazione nelle scuole e nei consultori sul territorio, ma anche usufruire dei servizi esistenti.
LAURA OLIMPI, Membro esecutivo nazionale dell'AIED. In primo luogo, devo sottolineare che, quando si opera tutti i giorni nel campo della prevenzione delle interruzioni di gravidanza, ci si trova davanti a donne in carne e ossa, ma alla fine mi sembra che si trasformino in numeri e che vi siano prese di posizione ideologiche. Francamente è un po' penoso sentirvi parlare in questo modo.
Ricordo che ho consegnato un documento, che contiene, tra le altre risposte, in particolare quella alla domanda: cosa fate per garantire l'autonomia della persona? Ho citato la carta di Firenze, che rappresenta un punto fermo recente, sul quale deve basarsi la relazione tra l'operatore sanitario e il paziente.
Non può esserci un intervento giudicante, né una presa di posizione ideologica. Posso assicurare che, di fronte alla donna che si rivolge a noi per rappresentare il proprio problema, dimentichiamo la nostra posizione - è evidente che ognuno di noi ne ha una - e ci poniamo vergini rispetto al problema stesso.
Quando si parla di donne che, dopo la consulenza, hanno rinunciato all'aborto, posso dire che curo i bambini di alcune donne che si erano presentate all'AIED per interrompere la gravidanza. Tuttavia, quello che è importante, a mio avviso, è che la donna possa compiere liberamente la propria scelta, che possa rappresentare quella meno dannosa per lei, e che abbia un percorso per il futuro che non sia troppo penalizzante e le consenta di evitare le recidive.
Qualcuno ha rilevato che, dopo una fase di calo del numero degli aborti, assistiamo a una sorta di stabilizzazione del dato. Non bisogna trascurare, al riguardo, il discorso relativo all'aumento delle donne straniere che ricorrono alle interruzioni di gravidanza.
L'obiezione di coscienza va garantita, ma sicuramente le strutture dovrebbero garantire anche la presenza di medici non obiettori. Insomma, il singolo è libero di obiettare, ma non la struttura.
I servizi per gli extracomunitari sono effettuati a macchia di leopardo. Alcune realtà locali hanno risorse, altre no. In fondo, la devolution l'avete fatta voi!
LUIGI CERSOSIMO, Presidente nazionale dell'A.GI.CO. Per quanto riguarda la funzionalità del consultorio, nel lontano 1997 abbiamo pubblicato delle linee guida, in una conferenza di consenso che si è svolta a Pisa, e le abbiamo inviate a tutte le autorità politiche e istituzionali interessate. Possiamo inviarne una copia alla Commissione, unitamente ad altra documentazione in nostro possesso. In particolare, mi riferisco ai risultati emersi dal simposio A.GI.CO. del 2005, che si è svolto nell'ambito del congresso della SIGO. In quell'occasione, abbiamo messo a confronto le varie istituzioni europee simili e sembra che l'istituzione italiana sia la migliore di tutte, seguita dalla Finlandia. L'Italia, dal punto del family planning è quasi al primo posto. I consultori, dunque, funzionano, come ha sostenuto nella scorsa audizione il dottor Grandolfo. Certamente però devono essere migliorati. Hanno bisogno di determinati aggiustamenti; occorrono un potenziamento, una distribuzione omogenea, l'accorpamento di alcune strutture - che a volte rappresentano solo una fonte di spesa sanitaria - e una razionalizzazione della spesa dei consultori per quanto riguarda gli operatori.
A mio parere, il consultorio deve avere come suo punto di riferimento prima di tutto la parte medica. Peraltro, il ginecologo inserito nelle strutture consultoriali ha una preparazione diversa da quella del ginecologo ospedaliero e ambulatoriale, essendo specializzato in problemi di tipo sociale e psicologico, grazie all'attività di A.GI.CO. in questi venti anni.
Riteniamo, sulla base della nostra esperienza, che se il consultorio familiare fosse privo della parte sanitaria sarebbe un presidio inutilizzato. Nessuno si rivolge ai consultori negli orari in cui manca il medico. Se si vanno a visitare le strutture consultoriali quando non c'è il medico, non si trova nessun utente.
Infine, è stato chiesto se riteniamo necessaria la presenza di un'eventuale associazione di volontariato all'interno dei consultori. Personalmente ritengo che non lo sia, mentre considero opportuno che i consultori si attivino per avviare attività di collaborazione con associazioni per la tutela della maternità, per cercare di evitare l'aborto.
UGO BRASIELLO, Vicepresidente nazionale dell'A.GI.CO. Chiudo con una risposta di tipo trasversale. Abbiamo sentito parlare di prevenzione dell'aborto. Credo che dobbiamo imparare a distinguere la prevenzione dalla dissuasione. La prevenzione dell'aborto è solo una, e consiste nell'educazione sanitaria, nell'informazione e nella contraccezione. Da questo punto di vista, credo che i consultori abbiano svolto il ruolo predominante in tutta l'area sanitaria del nostro paese.
PRESIDENTE. Vi ringrazio. Anche oggi abbiamo ascoltato argomentazioni molto interessanti. Di certo, c'è molto lavoro da fare. A mio avviso, le strutture possono essere migliorate, senza che ci si schieri da una parte o dall'altra. In questo caso, evidentemente, si è dalla parte dell'assistenza alla donna, alla famiglia e ai figli. È ovvio che faremo tesoro dei suggerimenti e della documentazione consegnata, che cercheremo di sfruttare al meglio e per i quali vi ringraziamo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,30.