Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza ambientale dei siti e degli impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e radioattivi, l'audizione di rappresentanti dell'APAT, Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici. Sono presenti la dottoressa Rossana Laraia e gli ingegneri Lamberto Matteocci, Roberto Mezzanotte e Pietro Petri, ai quali chiediamo di intervenire in merito all'oggetto dell'indagine, ringraziandoli della documentazione fornitaci che metteremo a disposizione dei membri della Commissione.
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Ringrazio il presidente e i membri di questa Commissione per il loro invito. In ordine alla documentazione presentata, chiarisco che tre sono i documenti specificamente inerenti ai rifiuti radioattivi, mentre un quarto, fornitoci dalla dottoressa Laraia, attiene invece alla materia più generale dei rifiuti pericolosi. Si intendono in questa classificazione anche i rifiuti sanitari sempreché non radioattivi, poiché i residui radioattivi sono considerati come tali a sé stanti, ancorché provenienti da attività sanitarie.
PRESIDENTE. La ringraziamo per queste specificazioni, esprimendo particolarmente preoccupazione per la sorte dei residui nucleari e della sicurezza dei siti in cui attualmente questi giacciono da molti anni.
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Signor presidente, non so se può essere utile ricordare che l'APAT è il soggetto a cui legge affida, tra le altre funzioni, i compiti di controllo su tutti gli aspetti di sicurezza nucleare e radioprotezione - nei confronti di lavoratori, popolazioni e ambiente -, relativi alle sorgenti di radiazioni ionizzanti, a partire dagli impianti nucleari, compresa la fase di decommissioning di questi, cioè la fase attuale di «disattivazione», e il trattamento dei rifiuti radioattivi. L'Agenzia si occupa in ogni caso anche degli stessi problemi di radioprotezione per tutti gli altri impieghi di sorgenti di radiazioni ionizzanti, siano a fini medici, industriali,
o di ricerca. Quindi, l'APAT esprime i pareri tecnici in fase di autorizzazione ad impianti ed installazioni, esercitando la vigilanza ispettiva a mezzo di propri ispettori aventi la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. Poi si profila una serie di altri compiti tra i quali quelli attinenti al monitoraggio su rifiuti con altre caratteristiche di pericolosità.
Venendo ora all'argomento specifico dell'audizione, cioè quello dei rifiuti radioattivi, i termini della situazione italiana in questo campo pare siano già abbastanza noti alla Commissione. Abbiamo potuto vedere i resoconti di precedenti audizioni, come quelle del sottosegretario onorevole Valducci e del ministro dell'ambiente, onorevole Matteoli. In proposito riteniamo che le informazioni fornite siano abbastanza ampie. In ogni caso, per riassumere molto brevemente, ricordo che in Italia vi sono attualmente 25 mila metri cubi di rifiuti radioattivi già presenti nei diversi impianti, molto spesso nelle condizioni originarie di produzione, mantenuti in strutture sempre piuttosto obsolete. Dobbiamo tener presente, inoltre, che l'incremento della produzione annua di rifiuti ammonta a circa 500 metri cubi.
PRESIDENTE. Non tutti, forse, con lo stesso grado di pericolosità.
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Certamente, non tutti con lo stesso contenuto di radioattività. In termini di valutazione complessiva, l'incremento annuo, pari - ripeto - a 500 metri cubi all'anno, deriva sia dall'attività svolta in campo sanitario ed industriale, sia anche dal fatto che gli impianti nucleari, ancorché spenti, debbono continuare ad essere mantenuti in sicurezza e questo comporta produzione di ulteriori rifiuti radioattivi.
Dobbiamo inoltre tener conto di una prospettiva di produzione massiccia di rifiuti radioattivi, che possiamo stimare intorno ai 50 mila metri cubi, che verranno prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari esistenti. Su questi dati ritengo necessario svolgere una piccolissima osservazione. Si tratta di un valore medio suscettibile di oscillazioni e variazioni a seconda di alcuni parametri che potranno essere fissati: in particolare, questo potrà aumentare o diminuire a seconda della soglia minima di riferimento assunta per considerare il rifiuto radioattivo come tale. È chiaro che solo nel caso di piccolissime tracce di radioattività sarà possibile considerare un rifiuto «convenzionale» e non radioattivo. In ogni caso, lo ripeto ancora, l'oscillazione di questa soglia potrà far variare in qualche modo la quantità di rifiuti da considerare radioattivi; ecco perché, riferendomi al dato dei 50 mila metri cubi, parlavo di una valutazione «di media». Poco meno di seimila metri cubi, poi, sono i rifiuti destinati a tornare dalla Gran Bretagna, dei quali la parte a maggior potenziale radioattivo - limitata a circa 16 metri cubi -, è costituita dai cosiddetti «vetri ad alta attività». Ammontano ad alcune migliaia di metri cubi i rifiuti cementati, a radioattività minore.
Da ultimo, occorre considerare la presenza di combustibile nucleare irraggiato (ancora oggi sono presenti negli impianti italiani circa 290 tonnellate di tale sostanza). Su questo problema l'ente di controllo ha richiamato più volte l'attenzione: la prima volta in cui delineò possibili linee di soluzione fu nel 1992, in un documento distribuito presso le diverse sedi istituzionali. Negli anni successivi l'ente ha riproposto ripetutamente - anche con iniziative pubbliche, incontri, dibattiti e conferenze -, il problema all'attenzione pubblica, suggerendo le linee di soluzione possibile. Questa attività svolta dall'APAT ha ottenuto certamente, allo stato attuale, il risultato di far emergere la questione esistente anche se, ovviamente, non sono propri degli enti di controllo tutti gli strumenti per raggiungere la soluzione definitiva.
Circa le proposte formulate dall'APAT, in primo luogo occorre far menzione del condizionamento dei rifiuti radioattivi già presenti negli impianti. Questa è la base imprescindibile da cui muovere. Per condizionamento ricordo che si intende l'inglobamento
dei rifiuti in una matrice solida, tipicamente cemento, ma in alcuni casi particolari vetro, in modo tale da rendere i rifiuti stabili ed idonei alle attività successive, cioè al trasporto e al deposito finale. Il condizionamento è un compito degli esercenti, si tratta cioè di un'attività che deve essere svolta da questi ultimi nei tempi strettamente necessari. Un rifiuto condizionato, oltre ad essere idoneo per le attività successive, per il trasporto e il deposito, è comunque intrinsecamente meno pericoloso di un rifiuto non condizionato.
Il secondo punto su cui l'Agenzia si è soffermata è l'individuazione di un sito nazionale per il deposito dei rifiuti a bassa e media attività. Uso volutamente il singolare a proposito del sito in menzione perché, da un punto di vista tecnico, è sufficiente un'unica area di deposito nel caso italiano, anche se motivi di opportunità potrebbero magari portare all'individuazione di siti plurimi. Per il problema specifico del combustibile nucleare irraggiato, si pone poi la necessità di realizzare un deposito temporaneo di lungo periodo (cioè tra i 50 e i 100 anni), per i rifiuti ad alta attività. In ordine agli ulteriori elementi necessari, occorre far riferimento all'attribuzione di specifiche e precise responsabilità per la realizzazione e la gestione degli impianti, ovvero del sito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività e del deposito temporaneo dei rifiuti ad alta attività e del combustibile nucleare.
Ricordo che in tutti i paesi europei interessati da attività nucleare, esiste una attribuzione di responsabilità di questo genere, ed in ognuno di tali territori è presente un ente titolare di tali precise competenze. Da ultimo, riteniamo essenziale riprendere le attività di ricerca, anche eventualmente attraverso la partecipazione a programmi internazionali, onde risolvere la questione della sistemazione finale di rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato. A fronte di queste linee -oggi largamente condivise -, la situazione italiana non pare però particolarmente brillante. Operativamente, infatti, non siamo molto più in là del punto di partenza.
PRESIDENTE. Ne eravamo consapevoli.
DONATO PIGLIONICA. l'importante è non aver fatto passi indietro!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. In questo senso, possiamo stare tranquilli, sebbene talvolta lo stare fermi al punto di partenza, di fatto, quando le dinamiche complessive spingono in avanti, significa sostanzialmente muovere dei passi indietro, in particolare quando si ha a che fare con impianti già vecchi che continueranno ad invecchiare sempre più: è questo il problema specifico da affrontare. Il primo punto a base di ogni proposta di soluzione è - ripeto - il condizionamento di rifiuti. Abbiamo oltre 25 mila metri cubi di rifiuti già presenti sugli impianti, di cui poco più di 4 mila già condizionati. Non tutti i rifiuti radioattivi richiedono tecnicamente il condizionamento; in particolare, sono quelli a bassissima attività a non necessitarne, unitamente ai rifiuti ad attività maggiore però dotati di caratteristiche tecnologiche tali da rendere possibile una loro conservazione prescindendo dal trattamento in menzione. Sulla base di queste considerazioni possiamo stimare che i rifiuti ancora da condizionare in Italia siano tra i 10 e gli 11 mila metri cubi.
Inoltre, non tutti i componenti la massa dei rifiuti richiedente condizionamento presentano lo stesso livello di pericolosità intrinseca. I casi più urgenti sono quelli dei rifiuti liquidi ad alta attività. Per questo tipo di prodotti l'Agenzia ha sollecitato più volte, anche attraverso il Ministero competente, la soluzione, anche esercitando pressione presso gli esercenti perché questo condizionamento avvenisse. Qualche risultato è stato ottenuto sino ad oggi, per esempio sono stati cementati negli anni scorsi, cioè sono stati condizionati attraverso un processo di cementazione, i rifiuti liquidi presenti nell'impianto
ENEA della Trisaia, denominato Itrec, in provincia di Matera. Si trattava di circa 3 metri cubi di rifiuti ad alta attività e alcune decine di metri cubi di rifiuti a bassa attività. Le relative operazioni di condizionamento sono ora concluse.
Il caso che invece è ancora aperto riguarda l'impianto Eurex, sempre dell'ENEA, nel sito di Saluggia in provincia di Vercelli, dove vi è la più alta concentrazione di rifiuti radioattivi italiani, 113 metri cubi, rifiuti liquidi ad alta attività, appunto ancora da condizionare.
L'Agenzia ha pertanto promosso l'adozione di una specifica prescrizione che fissa dei termini entro cui i rifiuti dovranno essere condizionati. Su questo sito è stata recentemente conclusa la realizzazione di un'opera di difesa idraulica, comportante l'edificazione di una muraglia che circonda l'impianto, realizzata per ridurre un rischio specifico, quello di un'esondazione della Dora Baltea. Detta opera ha certamente ridotto il pericolo connesso all'aspetto alluvionale che rimane comunque implicito nella presenza stessa dei rifiuti liquidi. In buona sostanza, la muraglia è una soluzione che ha ridotto il rischio ma non può essere considerata alternativa al condizionamento dei rifiuti medesimi.
Per quanto riguarda la definizione del sito nazionale per lo stoccaggio di rifiuti, ho potuto vedere, grazie ai resoconti stenografici delle precedenti audizioni presso questa Commissione, che la stessa è stata già messa al corrente delle iniziative realizzate, partendo da quelle promosse da alcune Commissioni parlamentari sino all'attività di un gruppo di lavoro istituito dalla Conferenza Stato-regioni nel 1999, che ha concluso i propri lavori nel 2001. Certamente, tali iniziative hanno favorito la diffusione della conoscenza dei termini del problema, portando alla predisposizione di elementi utili per la soluzione di questo, ma purtroppo non ha ancora condotto - come è noto - a progressi significativi per quanto riguarda il piano operativo. La mancanza del sito comporta un'ipoteca molto forte rispetto alle attività e sugli impianti, tale da costituire addirittura, in certi casi, un sostanziale motivo di blocco di questi ultimi. Mi riferisco al fatto che i piani di decommissioning, di disattivazione delle centrali, elaborati dall'esercente, la SOGIN, hanno costituito una modifica della precedente strategia di intervento - elaborata dall'ENEL, il vecchio esercente interessato -, la quale prevedeva lo smantellamento differito (cioè rimandato per diverse decine di anni) degli impianti medesimi . Oggi la SOGIN, su indicazione dell'amministrazione competente, ha adottato la strategia dello smantellamento accelerato, che porterebbe al rilascio dei quattro siti di Caorso, Garigliano, Trino e Latina entro, al più tardi, il 2020. Il 2020 sarebbe l'anno in cui è previsto il rilascio dell'ultimo dei quattro siti, ovvero quello di Latina.
È ovvio che le attività di questo programma sono subordinate ad una condizione fondamentale, e cioè alla disponibilità effettiva del sito dove trasferire i rifiuti, quelli già presenti e gli ulteriori - si tratta dei famosi 50 mila metri cubi - generati dalle attività di decommissioning. La disponibilità è prevista nel 2009; tale previsione è stata fatta sulla base di un documento di indirizzo fornito dal Ministero delle attività produttive, allora Ministero dell'industria, alla fine del 1999. È ovvio che un ritardo rispetto a questa data comporterà uno slittamento anche del rilascio del sito, e addirittura ove si dovesse verificare in prossimità dell'inizio delle attività di smantellamento effettivo e quindi della corrispondente produzione massiccia di rifiuti, l'ipotesi di una evidente indisponibilità del sito suddetto, questo potrebbe addirittura condurre ad una riconsiderazione della strategia di disattivazione accelerata, per tornare ad un - a quel punto inevitabile - differimento della stessa attività di smantellamento, ovvero al protrarsi, a tempo indefinito, dell'occupazione dei siti in parola.
Aggiungo che anche gli enti locali, deputati ad intervenire direttamente o indirettamente nella procedura autorizzativa, tendono a condizionare l'avvio dell'attività di smantellamento degli impianti alla decisione sul sito, per l'ovvio motivo di
evitare che gli impianti finiscano col diventare cimiteri di loro stessi. Sotto questo profilo, un problema particolare è connesso alla sistemazione del combustibile irraggiato, oggi mantenuto nelle piscine degli impianti dove è stato utilizzato. Sono circa 290 le tonnellate di combustibile irraggiato, costituenti peraltro solo una frazione di quello complessivamente utilizzato in Italia in ragione del fatto che già con campagne precedenti, nei decenni scorsi, si è provveduto al suo riprocessamento trasferendolo in Inghilterra. Di tale combustibile residuo, 186 tonnellate si trovano nella piscina di Caorso, 14 in quella di Trino vercellese e 80 nel deposito Avogadro, ricavato anche questo sul sito di Saluggia in un reattore di ricerca precedentemente esistente. Nelle prossime settimane è prevista la partenza per il riprocessamento in Inghilterra a Sellafield, delle 80 tonnellate presenti nel deposito di Avogadro.
Della parte rimanente di combustibile irraggiato, circa 235 tonnellate, è previsto il trasferimento e l'immagazzinamento in contenitori metallici a secco, di particolare robustezza, detti dual purpose in ragione del loro doppio scopo: si tratta di contenitori idonei, cioè, sia al trasporto sia allo stoccaggio di lungo periodo. Questi dovranno, in prospettiva, essere ospitati presso quel deposito nazionale temporaneo al fine di rimanervi per un periodo di 50-100 anni in attesa della sistemazione finale. Ma sarebbe auspicabile, vista la condizione non stabile in cui si trovano oggi nelle piscine, che venissero trasferiti al più presto in contenitori metallici e che questi ultimi trovassero una sistemazione eventualmente presso gli stessi siti degli impianti attuali.
Tale soluzione è spesso avversata dai comuni interessati. Ciò avviene poiché gli enti in parola temono che il raggiungimento di una sistemazione meno precaria della permanenza del combustibile in piscina possa costituire un disincentivo all'individuazione del sito nazionale e quindi, come dicevo, trasformare l'impianto nel famoso cimitero di se stesso. Questa riserva ad accettare tale soluzione temporanea è presente, nonostante il trasferimento del combustibile nei contenitori offrirebbe già, nell'immediato, un miglioramento rispetto all'attuale situazione di stoccaggio nelle piscine, sia per gli aspetti di sicurezza nucleare - con riferimento agli incidenti intrinseci -, sia per quelli di protezione fisica e di difesa da attacchi esterni. Questo è un problema certamente sempre presente in materia nucleare e che ha assunto, ovviamente, una rilevanza del tutto particolare nell'ultimo periodo.
Va aggiunto che gli stessi problemi, sia pure in una grandezza di scala minore, si sarebbero comunque posti e si porrebbero ugualmente, ovvero il sito nazionale sarebbe comunque necessario, a prescindere dai problemi legati ai vecchi impianti nucleari. Teniamo presente, come dicevo all'inizio, che siamo interessati da una produzione annua di 500 metri cubi, molti dei quali provenienti da attività svolte in campo sanitario. Conosciamo per esempio una situazione come quella del deposito cosiddetto Nucleco che, di fatto, attualmente costituisce il sito per il deposito dei rifiuti di origine sanitaria provenienti da tutta Italia. Ciò che intendo porre all'attenzione è che, in mancanza di un sito nazionale, si finisce con il ricorrere, come palliativo, a qualsiasi altro sito reperibile nel territorio. In questo quadro, ovviamente, attribuiamo una notevole importanza all'emanazione di un atto normativo, quale ad esempio il decreto legislativo previsto dall'articolo 27 del progetto di legge A.C. n. 3297 che, seppur intervenendo in materia di energia, contiene anche una disposizione dedicata alla gestione dei rifiuti radioattivi.
L'emanazione di quello o di un simile atto normativo andrebbe a colmare una lacuna che anche in questo caso l'Italia presenta rispetto a molti altri paesi dove esiste un waste policy act, cioè una legge di indirizzi generali per quanto riguarda i rifiuti radioattivi. Ci permettiamo di fare un'osservazione sullo specifico disegno di legge di delega. Il provvedimento prevede, nel testo attuale, la consultazione di una commissione tecnica, quella istituita dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 230 del
1995, atto base per tutta la radioprotezione. Ebbene, ci sembra sarebbe altrettanto opportuno prevedere anche la consultazione dell'APAT che, nell'ambito dei servizi pubblici di prevenzione, e quindi al di fuori delle responsabilità degli esercenti, è certamente l'organismo italiano già dotato di competenze specifiche sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello istituzionale. In ogni caso, per quanto riguarda la propria attività di indirizzo tecnico, l'Agenzia ha già fornito alcuni indirizzi generali per la progettazione di strutture del sito.
In particolare, un principio per noi particolarmente importante, ai fini della progettazione di queste opere, è quello della reversibilità. Noi riteniamo cioè che le opere suddette debbano essere realizzate in maniera tale da poter dare la più completa garanzia di durata, consentendo però alle generazioni future, ove queste lo ritengano opportuno, o necessario - anche per la disponibilità di tecnologie differenti che lo consentano - di tornare indietro rispetto ad eventuali scelte operate nel passato, in ragione della situazione che troveranno, e questo senza dover affrontare oneri radioprotezionistici gravosi. Il principio della reversibilità delle scelte è quindi un criterio di progettazione, che si lega anche alla nostra esperienza attuale, quella di dover recuperare dei rifiuti che, ad esempio, negli anni '70 venivano smaltiti con tecnologie o tecniche allora considerate ottimali ma allo stato non più definibili tali.
Non dobbiamo avere la presunzione di ritenere che tutte le scelte da noi compiute oggi possano essere considerate alla stessa stregua ancora tra venti o trenta anni. Questo è un principio di ordine tecnico che abbiamo indicato per la progettazione delle strutture in esame.
Intendo concludere il mio intervento con due ultime osservazioni. Si parla spesso di ipotesi di trasferimento all'estero dei rifiuti prodotti in Italia, chiedendoci altrettanto frequentemente se sia possibile trovare soluzione al di fuori del territorio peninsulare. A questo riguardo, richiamo anche uno dei documenti consegnati a questa Commissione: mi riferisco ad una bozza di direttiva comunitaria che probabilmente verrà discussa operativamente proprio durante il semestre di presidenza italiana, a partire dall'inizio di luglio.
Tale progetto di normativa comunitaria è peraltro ispirato ad una forte nazionalizzazione del problema dei rifiuti radioattivi. In particolare, è previsto, con tutto il beneficio di inventario del caso - posto che la discussione dovrà essere ampia e probabilmente anche aspra su quel progetto che per certi aspetti noi stessi non condividiamo, e dal quale traspaiono gli orientamenti che circolano per così dire in ambito europeo - , che entro il 2008 ogni Stato membro autorizzi opere come quelle di cui parlavamo, cioè il sito per lo smaltimento dei depositi a media e bassa attività e il deposito geologico (quindi la sistemazione definitiva per i rifiuti ad alta attività e per il combustibile nucleare). Si contempla che il sito per la media e bassa attività sia operativo entro il 2013.
Si prevede inoltre che il sito di smaltimento geologico per i rifiuti ad alta attività sia reso operativo da parte di ogni Stato membro entro il 2018. Sottolineo il fatto che, per quanto riguarda i rifiuti ad alta attività, non si sta parlando nella proposta di direttiva europea di un interim storage - come noi lo abbiamo chiamato -, in attesa dell'individuazione di una soluzione di lungo termine, ma si tratterebbe - e qui si situano le riserve che possono essere mosse a fronte di quel progetto - di individuare, nei prossimi anni, e di rendere operativo, già entro la fine del secondo decennio di questo secolo, il deposito definitivo, il sito di smaltimento per i rifiuti ad alta attività. Questo è il panorama di cui dobbiamo tener conto nel costruire ipotesi di possibili futuri trasferimenti all'estero dei rifiuti.
Intendo infine svolgere un'ultima considerazione in merito al mantenimento delle competenze. Si tratta di un problema internazionale, ma nella situazione italiana esso assume un rilievo particolare. Sappiamo che esiste in Italia un problema di formazione già nelle università; non esistono infatti in buona sostanza dei corsi
dedicati a questi aspetti. Esiste poi un problema di normativa per l'assunzione nella pubblica amministrazione. In sintesi, il combinato di questi problemi ha fatto sì che, ad esempio, l'età media degli addetti APAT sia maggiore ai 54 anni...
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Questa è dovuto sia alle difficoltà di formazione sia a quelle relative al processo di assunzione, con una carenza di turn over molto grave.
Gli esercenti possono far fronte a situazioni di questo genere, in principio attraverso assegnazioni di lavori «chiavi in mano» anche ad imprese estere. Va sottolineato però che lo Stato non può affidare attività di controllo assegnandole in appalto, e quindi il problema è reale e consistente.
PRESIDENTE. La ringrazio. Prima di dare la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire, vorrei riallacciarmi a quel discorso da lei svolto sull'Europa. Dalla sua relazione si evince, in sostanza, che i problemi seri debbono essere risolti da ciascuno in casa propria, perché parrebbe che l'Europa non conti in questo ambito. Però, io pongo un problema: un paese totalmente sismico, quale ormai si sta rivelando l'Italia - in base alle ultime mappe di sismicità ed anche in relazione ai recenti eventi occorsi (si pensi solo ai terremoti nel Molise) -, può trovare una soluzione definitiva, come lei ha detto, in sede nazionale e non porsi il problema del trasferimento all'estero?
Vorrei anche aggiungere che avevo personalmente proposto (e ciò ha destato numerose critiche variamente sollevate) che le aziende italiane compresa l'ENEL, in occasione dell'allargamento europeo a dieci paesi nuovi, prevalentemente dell'est, in cui esistono centrali nucleari purtroppo obsolete o non sufficientemente aggiornate, si facessero carico dell'acquisto delle centrali suddette anche per la loro ristrutturazione proprio in vista della formazione di ingegneri, esperti e tecnici in questo campo, i quali, come lei mi conferma, stanno invecchiando e uscendo dall'attività senza poter essere sostituiti. Ebbene, non potremmo, per esempio, importare anche per le attività di controllo, come quelle svolte dall'APAT, ingegneri dall'India, per impiegarli nelle attività di vigilanza? Lei mi dice che non è possibile perché non si possono appaltare ad aziende straniere i compiti di controllo. Ma io mi domando: eventuali tecnici e ingegneri indiani, cinesi, nord coreani - peraltro espertissimi in questo campo - non potrebbero essere impiegati in Italia per sostituire questi vuoti che si stanno determinando, visto che l'università non è in grado di formare - e comunque se lo fa agisce su un piano puramente astratto senza nessuna capacità o possibilità di esperienze operative - il personale necessario? Forse queste sono due domande «maccheroniche»: non sono un esperto, quanto piuttosto un modesto e vecchio economista e quindi mi preoccupo di tali aspetti operativi.
TOMMASO FOTI. Intendo partire da una riflessione sull'ultima parte dell'audizione odierna, quando si è fatto riferimento alla predisposizione di una bozza di direttiva per lo smaltimento - sul territorio nazionale - dei rifiuti e per una conclusione del processo nucleare sul territorio dei singoli Stati. A me dispiace che su questo tema si abbiano poche e confuse idee, dal 1992 in poi. Ad esempio, ho avuto occasione, in data 17 dicembre 2002, di partecipare all'audizione del presidente di SOGIN presso la Commissione attività produttive della Camera, da cui si ricava l'intenzione dell'ente (poiché per risolvere i problemi par sempre opportuno inventarne dei nuovi) di approfondire la possibilità del trasferimento in Russia del combustibile irraggiato, reso agevole da recenti provvedimenti legislativi di quel paese.
La percorribilità di questa relazione con la Russia - da regolare in base ai necessari accordi intergovernativi bilaterali tra Russia, Usa, Unione europea e Italia - dovrà essere verificata sotto il profilo tecnico, economico e finanziario,
nella garanzia che nessun materiale venga restituito al nostro paese. Mi sia, dunque, consentito svolgere questa considerazione: come si può pensare di trovare collaborazione da parte dei comuni interessati quando, dal 1992 in poi, si ipotizza una «lotteria» dello smaltimento dei rifiuti radioattivi sul territorio nazionale? In un primo tempo si è previsto uno smantellamento di lungo periodo delle centrali, poi, questa teoria è stata abbandonata.
Ritengo allora importante - e lo dico per la Commissione - acquisire il documento del Ministero dell'industria datato 1999, in cui si scrisse che il sito nazionale per i rifiuti nucleari sarebbe stato individuato entro il 2001. Siamo nel 2003, ancorché agli inizi, e di questo non vi è ancora traccia, anzi, a quanto pare, lo studio dettagliato realizzato dall'ENEA ne ha proposti talmente tanti da rendere facile affermare che quando si studiano molte ipotesi, la soluzione migliore è adottarne nemmeno una. Aggiungo poi un'ulteriore considerazione.
PRESIDENTE. Mi permetta di interromperla, onorevole Foti, ma è necessario considerare anche il nuovo Titolo V della Costituzione che ha aggravato ulteriormente il quadro.
TOMMASO FOTI. Questo naturalmente, anche se personalmente ritengo che il problema del nucleare sia stata una questione di tipo nazionale dalla quale si è usciti con un referendum nazionale. Il nodo da sciogliere è che allo stato attuale ci troviamo ancora in fase di smaltimento di rifiuti, in alcuni casi prodotti in loco, come quei 500 metri cubi l'anno cui l'ingegner Mezzanotte faceva riferimento in precedenza, sebbene la grossa partita sia rappresentata dai 25 mila metri cubi attualmente giacenti e dagli ulteriori 50 mila che deriveranno dallo smantellamento delle centrali in essere.
Vorrei altresì avere alcuni chiarimenti circa alcune affermazioni rese nel corso del suo intervento. Alla fine mi pare lei abbia prospettato addirittura la realizzazione di due siti per quanto riguarda uno lo smaltimento dei rifiuti a bassa e media attività e l'altro per quello dei materiali ad alta attività. In secondo luogo, gradirei anche una delucidazione, secondo me importante, relativamente alla possibilità di far uscire il liquido irraggiato dalle piscine. Perché, vede, ingegner Mezzanotte, in questa «lotteria», torno a ripetere, dei vari tipi di smaltimento da seguire una cosa appare chiara, in riferimento ai luoghi ove dovrebbero essere stoccati provvisoriamente i contenitori di liquido irraggiato.
Peraltro, mi pare che il sito in causa sia sostanzialmente quello di Caorso, interessato, sulla base dei dati riferitici, da ben 186 tonnellate di materiale. In tal senso, non mi parrebbe fuori luogo affermare che nel sito suddetto, in rapporto alle cifre riferibili alla situazione italiana, sia concentrato l'85 per cento del problema del nostro paese, relativamente allo smaltimento dei materiali in esame: questo lo affermano regole matematiche, non io. Evidentemente, per quanto riguarda la questione di Caorso, ciò che appare necessario è conoscere un fatto specifico, ovvero quanto dovrebbe durare questo deposito. Nella sua relazione molto diffusa, sono contenuti due dati a me non ben chiari, uno dei quali relativo allo smaltimento nel breve periodo e l'altro, appunto, inerente ai cask da stoccare nei magazzini.
Ebbene, quanto dovrebbero rimanere i suddetti cask sul posto, sintanto che non si sarà provveduto alle realizzazione del sito nazionale? Inoltre, una volta trasferiti nel sito nazionale, dovranno essere ancora tutti trattati, perché in loco non è possibile farlo, oppure verranno cementificati - per essere chiari - tutti a Caorso?
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. È tutto molto chiaro.
PIETRO PETRI, Rappresentante dell'APAT. Il combustibile non viene trattato!
TOMMASO FOTI. E come viene smaltito, mi scusi? Cosa succede dopo essere stato messo nel cask?
PIETRO PETRI, Rappresentante dell'APAT. Rimane nei contenitori.
TOMMASO FOTI. Ho capito, ma torno a ripetere: una volta che il liquido sarà immobile, fisso in questi cask, rimarrà a Caorso, oppure rimarrà in questo sito temporaneamente per poi essere trasferito in quello nazionale? L'altro affrontato in questa sede è un problema generale, invece quello del liquido irraggiato, se non esclusivamente almeno prevalentemente, riguarda specificamente Caorso.
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Mi si consenta di chiarire che per Caorso non si tratta di liquidi. I rifiuti liquidi - circa 113 metri cubi di materiale ad alta attività - sono invece sul sito Eurex di Saluggia. Caorso ha, come lei ha detto, come specificità la maggiore quantità di combustibile irraggiato, che è qualcosa di molto solido, e piuttosto pesante, tanto che si misura in tonnellate.
TOMMASO FOTI. Sono d'accordo. Quello che intendo capire esattamente è il secondo passaggio. Ritengo che la grande polemica suscitata da questo tema stia nel timore che, una volta svuotate le piscine, il materiale venga stoccato in prossimità degli impianti e lì sia destinato a restare. Del resto, devo anche aggiungere che del sito definitivo si parla ormai da dieci anni senza alcun risultato. Ho letto anche quello che affermavate quando eravate ANPA, esattamente altre cose, cioè che lo smaltimento nel breve periodo fosse ampiamente sconsigliabile. Voi sostenevate - ed i documenti e le vostre lettere lo dimostrano - che la soluzione migliore era prospettare uno smaltimento nel lungo periodo delle centrali nucleari. Oggi, siamo arrivati all'affermazione opposta. Parliamo di trent'anni anziché novanta.
Ebbene, il fatto che tutte le operazioni debbano essere svolte nell'ambito di questo nuovo termine ridotto, apre dei dubbi soprattutto allorché ci si sente richiedere - come unica prospettiva concreta - di costruire un magazzino a fianco della centrale nucleare. Rendo noto che le informazioni in mio possesso sono quanto mai attendibili, trattandosi di notizie ufficialmente trasmesse anche dal Ministero dell'industria. A mio avviso occorre dunque far chiarezza soprattutto sui tempi necessari. Ricordo peraltro che SOGIN ha progettato l'ipotesi di una soluzione all'estero, e per motivi a me oscuri si è pure abbandonata l'idea del trasferimento a Sellafield, in Inghilterra, com'è stato fatto precedentemente: nel caso di Caorso i rifiuti che stavano partendo per l'Inghilterra - il cui trasporto era appannaggio della ditta Borghi - sono stati bloccati e da allora sono rimasti in Italia. Questo è accaduto non trenta ma tre, quattro anni fa; ero già parlamentare - lo sono da cinque anni - e quindi vi garantisco che i termini sono quelli da me riferiti. Dobbiamo dunque chiarire - lo ribadisco - questi aspetti.
A mio parere è evidente che al documento conclusivo di questa nostra indagine si possa arrivare solo allorché vi sia un rapporto più chiaro tra i soggetti auditi. È nota, del resto, l'iniziativa di ENEA volta a costituire un consorzio con SOGIN - alla faccia del conflitto di interessi! - tra l'altro relativo a quei grossi problemi a cui lei faceva riferimento precedentemente e legati al caso Eurex, in scadenza alla fine di quest'anno (esattamente in data 31dicembre 2003). Allora, in questo bailamme, non penso siano le popolazioni locali e gli amministratori del luogo a mettere il bastone fra le ruote. L'ostacolo è invece rappresentato da una mancanza di chiarezza sostanziale.
Mi avvio alla conclusione. Se il disegno di legge governativo, al quale il dottor Mezzanotte faceva riferimento, preannuncia un decreto legislativo, è altrettanto vero che questo rimanda ancora di due anni ogni possibile scelta. Se dunque è vero quanto scritto nel documento del Ministero dell'industria, e cioè che per realizzare il sito e procedere alla sua individuazione occorrono almeno sette anni, arriveremo al 2012 automaticamente. Senza contare eventuali implicazioni comunitarie. Probabilmente in questo caso non si faranno appalti, perché se
questo avvenisse per un sito di tal tipo non si potrebbe a mio parere prescindere dall'indizione di una gara europea. In detta ipotesi sarebbe allora necessario qualche mese per l'espletamento delle procedure: aggiungendo questi tempi ai sette anni occorrenti per la costruzione, andremo oltre il termine del 2009 originariamente ipotizzato.
Anche in questo caso ritengo occorra estrema chiarezza, diversamente non faremo altro che prendere in giro la cittadinanza. Occorre una attività concreta, non fatta solo di documenti o relazioni. Se questo sarà assicurato, allora si potrà anche pervenire ad un accordo, diversamente ci si chiuderà a riccio. Io auspicherei che, alla fine delle nostre audizioni, vi fosse magari un momento di sintesi tra i soggetti competenti, per verificare la possibilità di delineare un percorso chiaro su questa vicenda. La ringrazio, ingegner Mezzanotte, per l'esaustività della relazione, ritengo però vi sia da fare ancora luce su taluni aspetti.
FRANCESCO STRADELLA. Sarò brevissimo perché il collega Foti ha illustrato i termini del problema in un contesto di carattere generale molto puntuale e preciso. Vorrei porre due domande di cui una forse potrebbe risultare molto banale. Lei ha parlato della produzione di 50 mila metri cubi di materiali derivanti dallo smantellamento degli impianti in essere, cui si aggiungeranno quei 25 mila attualmente giacenti. Alla fine delle operazioni necessarie, l'ammontare complessivo sarà pari a 75 mila metri cubi, oppure il trattamento dei 50 mila comporterà un aumento dei volumi definitivi? Ripeto, le ho già premesso che si sarebbe probabilmente trattato di una domanda banale, ma la pongo per capire quali siano le effettive dimensioni del problema in termini geometrici.
Intendo inoltre aggiungere ulteriori riflessioni alle considerazioni del collega Foti sulla necessità di chiarezza e trasparenza dei procedimenti e di velocità nella ricerca delle soluzioni. Mi riferisco all'esigenza di dover tener conto che a Saluggia esiste un elemento di pericolosità in più, rappresentato dall'instabilità del territorio e dalla suscettibilità alle alluvioni, come si è verificato nel 2000, dove si è sfiorato per pochi centimetri una situazione se non catastrofica certamente molto critica. È vero che la messa in sicurezza dei rifiuti può essere fatta a prescindere dal trattamento dei materiali collocati all'interno dei siti, però ritengo che anche per i materiali ivi collocati siano necessari un'accelerazione, e un accordo più preciso, dovendosi evitare discussioni tra i vari soggetti. In tal senso - mi dica lei se questo può corrispondere alle competenze dell'APAT - l'Agenzia potrebbe forse avere l'autorità opportuna per mettere i soggetti nella loro giusta collocazione e far proseguire l'attività di decommissioning e di messa in sicurezza. Chiedo a lei se l'Agenzia ha questa funzione o può esercitarla, altrimenti occorrerà cercare, anche con un lavoro politico, di individuare il soggetto più appropriato capace di farsi capofila in questo ambito.
DONATO PIGLIONICA. Vorrei sapere dall'ingegner Mezzanotte quanto ritiene grave la perdita di competenza che sta avvenendo nel campo dell'ingegneria nucleare. Mi pare di aver capito che la situazione attuale sia estremamente critica. Sembra di stare come di fronte ai cavalieri di Vittorio Veneto, dovendo attingere a professionalità apparentemente in estinzione, mancando un ricambio tra i soggetti competenti in questo ambito. Questo cosa comporterà per il paese? Come ritiene sia possibile, escludendo ovviamente, in seguito all'esito referendario, un ripristino dell'utilizzo dell'energia nucleare ai fini di produzione energetica, mettere in piedi programmi scientifici comunque capaci di consentire il mantenimento di una competenza in materia, ripeto, senza utilizzo dell'energia ma nella consapevolezza che il nucleare svolge altre funzioni, ad esempio in campo industriale, sanitario? Come mantenere in Italia una specie di vivaio per la formazione di queste professionalità?
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Vorrei innanzitutto rispondere alla questione posta sulla sismicità del suolo italiano. Vi sono tecniche ingegneristiche che consentono, ovviamente evitando per ulteriore prudenza zone sismiche, di realizzare manufatti sicuri anche in aree a sismicità elevata (il caso più noto è quello del Giappone). Due sono i fronti su cui agire: intervento sul sito e progettazione, la quale ultima deve avvenire - e questo è vincolante per le realizzazioni nucleari -, a regole antisismiche, ancorché l'installazione - come dovrà essere - si troverà in zona non sismica. Certamente un problema particolarissimo è quello dell'individuazione del sito geologico cosiddetto profondo, unitamente a smaltimento e sistemazione di lunghissima durata dei rifiuti ad altissima attività. Proprio per questo la soluzione prospettata non è quella di individuare oggi quel sito ma trovare, realizzare per quei rifiuti ad alta attività e per il combustibile irraggiato un deposito ingegneristico provvisto di strutture appropriate, che consenta di mantenere in sicurezza per alcuni decenni - l'ordine di grandezza, come avevo detto, è pari a 50-100 anni -, i materiali in questione e nel frattempo studiare il problema della sistemazione finale degli stessi. La proposta di direttiva comunitaria - su cui rinnoviamo alla Commissione le nostre riserve - tenderebbe invece ad imporre la definizione di una soluzione di smaltimento entro il 2018.
PRESIDENTE. Quindi, lei suggerisce che nel suo semestre di presidenza, l'Italia si batta in merito agli aspetti evidenziati.
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Avere la presidenza di turno aiuterà la nostra causa, ma non so se ciò possa trasformarsi in una sorta di «dittatura » capace di imporre la nostra prospettiva. Si tratta comunque di una direttiva certamente molto discussa, non saremmo solo noi ad esprimere delle riserve; la discussione sarà molto ampia e prevedibilmente piuttosto aspra. Ma citavo tale progetto - e qui vengo a una delle questioni sollevate dall'onorevole Foti - solamente per sottoporre alla vostra attenzione il panorama comunitario nel quale dobbiamo inserire una prospettiva di allontanamento dei rifiuti dall'Italia, ovviamente tenendo conto delle soluzioni particolari (ad esempio ricordiamo che la Russia non fa parte dell'Unione europea) che possono essere adottate.
Ciò che vorremmo sottolineare è che, talvolta, l'oscillazione tra il cercare la soluzione fuori e poi contemporaneamente mandare avanti la soluzione all'interno del territorio, parlare di mantenimento dei rifiuti nella piscina, dar luogo ad una procedura autorizzativa per questa soluzione mentre se ne sta pensando un'altra ancora, finisce con il non favorire l'avanzamento su alcuna delle soluzioni possibili. Oggi parliamo di sistemazione, peraltro ricorrente in ambito internazionale, capace di offrire garanzie di sicurezza nel mantenimento del combustibile irraggiato a secco, nei cask metallici, contenitori pronti per il trasporto (non per il riprocessamento escluso in questa ipotesi, in cui si parla dell'altra strada, quella seguita in Germania, tant'è che i contenitori da utilizzare sarebbero di fabbricazione tedesca). I contenitori metallici sarebbero adatti al trasporto e allo stoccaggio, e al deposito di lungo termine.
DONATO PIGLIONICA. L'inserimento di questi materiali in contenitori ne ridurrebbe la pericolosità? Sarebbe comunque un passaggio significativo?
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Sì, è così, per due motivi. Il primo è dato dal fatto che le piscine richiedono l'intervento di componenti attivi, cioè la piscina è una situazione impiantistica dove per mantenere il combustibile in condizioni di sicurezza è necessario il funzionamento di determinate parti di impianto.
PRESIDENTE. Però anche la piscina invecchia!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Certamente questo avviene, e tanto invecchia, che nel caso specifico del deposito Avogadro di Saluggia, l'ANPA a suo tempo ha richiesto che non ne venisse più rinnovata e prorogata la licenza di esercizio. Quella attuale è l'ultima fase di esercizio, dopodiché il combustibile dovrà comunque essere trasferito.
TOMMASO FOTI. Per Caorso avete lasciato il termine del 2004!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Caorso non ha una prescrizione specifica di quel tipo. Esistono dei programmi che prevedono il trasferimento di tutto il combustibile, oltre le 53 tonnellate destinate a Sellafield, in questi cask che potrebbero essere lasciati sul sito, opportunamente ospitati sino a quando sarà disponibile quel deposito temporaneo nazionale.
È ovvio che il deposito nazionale debba essere disponibile nel più breve tempo possibile, altrimenti, ed è assolutamente lungi dalle nostre intenzioni muovere una critica a qualsiasi ente locale in questo senso, è chiaro che tutti gli enti locali si opporranno, nel timore di essere costretti a tenersi il materiale sine die qualora non si muovesse alcunché sul piano dell'individuazione nel piano nazionale. Si tratta di quell'immagine, cui facevo riferimento, della trasformazione dell'impianto in cimitero di se stesso. È chiaro quindi che quell'immagazzinamento in contenitori vada fatto in una prospettiva già certa di trasferimento al deposito nazionale in tempi certi, diversamente sarà molto difficile compiere anche quel primo passo rappresentato dal trasferimento dalle piscine ai contenitori metallici, i quali, ripeto, sono importanti perché consentono - sotto il profilo della sicurezza - il mantenimento dei materiali, attraverso soluzioni passive, senza richiedere l'intervento di sistemi ulteriori per esempio ai fini dell'asportazione del calore dall'acqua della piscina. I cask sono rilevanti anche perché quel trasferimento migliora le condizioni di protezione fisica del combustibile rispetto ad attacchi esterni, diversi cioè dagli incidenti di processo cui tradizionalmente si pensava.
PRESIDENTE. Come nel caso del terrorismo!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Certamente. Ed è quindi da evitare che le incertezze sulla destinazione finale di questi contenitori per l'indisponibilità del sito nazionale finiscano col rendere impossibile oggi l'operazione che andrebbe a favore della sicurezza e del trasferimento delle piscine contenitori.
L'onorevole Foti mi sembra esprimesse alcune perplessità a proposito della prospettazione di due siti. In effetti stiamo parlando non necessariamente di due siti geografici ma di due opere.
PRESIDENTE. Due opere con funzioni diverse!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante dell'APAT. Esattamente. Stiamo parlando di un deposito per i rifiuti a bassa e media attività, e di uno temporaneo, lo sottolineo, per i rifiuti ad alta attività e il combustibile nucleare. Sono due opere differenti.
TOMMASO FOTI. Si tratta di due impianti.
PIETRO PETRI, Rappresentante dell'APAT. Più che altro sarebbe ipotizzabile semplicemente una dislocazione geografica. Il sito è nazionale, però in certi casi si è appunto pensato alla possibilità di creare dei siti nazionali su due zone geografiche differenziate.
DONATO PIGLIONICA. È difficile trovarne uno, reperirne due moltiplicherebbe le difficoltà!
ROBERTO MEZZANOTTE, Rappresentante APAT. Ho anche accennato al fatto che dal punto di vista tecnico non sarebbe neppure necessario separare queste due
opere, né tantomeno individuare più siti, per esempio per i rifiuti a bassa e media attività. Dicevo che però queste sono considerazioni di ordine tecnico e non è da escludere che talvolta nel corso di discussioni e dibattiti sia stato affrontato anche questo problema, argomentandosi che motivi di opportunità potrebbero comportare la scelta di più siti, magari in aree geografiche diverse. In ordine alla durata della permanenza nel sito nazionale, rispondo che ciò si protrarrà alcune decine di anni. Come dicevo, l'ordine di grandezza è tra i cinquant'anni ed il secolo.
Rispondendo poi alla domanda dell'onorevole Piglionica sulla quantità complessiva di metri cubi di rifiuti da considerare, 50 mila sono quelli su cui vi può essere la maggiore variabilità nella stima. Non si tratta della valutazione di ciò che è già presente nel sito ma di una previsione su quanto potrà essere prodotto; si tratta di una valutazione che può oscillare a seconda dei parametri: 50 mila metri cubi dovrebbero già tener conto della parte di rifiuti da condizionare. Ovviamente, anche quando parliamo dei 25 mila metri cubi già presenti - di cui 11 mila da sottoporre a condizionamento - dobbiamo tener conto che quell'operazione porterà all'ulteriore aumento dei volumi e quindi, complessivamente, una stima totale ci porterebbe ad affermare che, una volta condizionati i rifiuti, dovremo giungere intorno ai 100 mila metri cubi, ma, ripeto, con una variabilità abbastanza ampia soprattutto da riferire alla stima base di 50 mila metri cubi dei rifiuti da smantellamento.
Per quanto riguarda le discussioni molto ampie e talvolta contraddittorie tra i diversi soggetti interessati, si chiedeva se l'APAT fosse l'autorità competente a mettere tutti d'accordo. L'Agenzia certamente può esprimere un indirizzo tecnico. L'APAT è un ente tecnico, un controllore che si occupa degli aspetti tecnici, esprime degli indirizzi per quanto riguarda la progettazione, deve approvare i progetti stessi a fronte ovviamente degli standard di riferimento internazionale, e può, come ha fatto, promuovere delle prescrizioni da impartire all'esercente dinanzi a situazioni da correggere. È ovvio che le linee delle soluzioni richiedono indirizzi di tipo politico, ecco perché, dicevo, in tal senso potrebbe essere risolutiva una disciplina come quella che potrebbe derivare dalla delega prevista dall'articolo 27, che intervenga complessivamente in materia, e quindi dia indirizzi generali di politica da seguire nel campo della gestione di rifiuti radioattivi. E una linea di indirizzo politico può derivare unicamente da un atto legislativo del Governo (come il decreto delegato), quando non direttamente impartito dal Parlamento. Gli ulteriori elementi attengono a sviluppi di natura tecnica che l'APAT può sollecitare, ma certo questa non può esprimere, ripeto, degli indirizzi tipici degli strumenti di natura politica.
Quanto alla questione delle competenze, innanzitutto va detto che il nostro richiamo espresso in conclusione della relazione presentata, si giustifica in ragione del fatto che qualcosa si può ancora fare. Volevamo semplicemente dire che esiste una situazione capace, nel giro di qualche anno, di diventare irrecuperabile. Certamente non ci si può rivolgere al mercato estero per chiedere «chiavi in mano» l'esercizio del controllo. Questo sarebbe possibile da parte dell'esercente anche se non so se si tratterebbe di una situazione ottimale, ma certamente non possono essere richiesti controlli «chiavi in mano» ad organizzazioni estere.
Sino ad oggi, nei confronti di realtà estere come quelle dei paesi dell'est, per esempio, abbiamo avuto un rapporto inverso. Cioè abbiamo assistito dal 1990 in poi gli enti tecnici omologhi dell'Europa centrale ed orientale, per far sì che potessero adeguare il loro livello di sicurezza, e questa è un'attività che ancora oggi si sta sviluppando. L'ipotesi in esame, invece, implicherebbe l'inversione appunto di questa tendenza, al fine non dico di farci assistere da soggetti esteri ma di acquisire noi stessi delle competenze laddove invece quelle venivano da noi fatte crescere in altri paesi. Ovviamente non si possono escludere casi singoli o singolari,
non tanto di acquisizione di servizi chiavi in mano quanto piuttosto di presenza e dell'inserimento di personale proveniente da altri paesi. Ma questo può essere visto soltanto nell'ambito dell'inserimento in strutture italiane per quanto attiene ovviamente all'esercizio del controllo. Certamente ciò è veramente possibile nell'ambito dell'Unione europea.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegner Mezzanotte per il suo intervento, in virtù del quale abbiamo acquisito ulteriori elementi da mettere a disposizione di tutta la Commissione nel corso di questa indagine.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,50.