Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,20.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza ambientale dei siti e degli impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e radioattivi, l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali, ai quali do la parola.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito. Avendo avuto occasione di leggere il resoconto stenografico della seduta del 19 novembre concernente l'audizione del sottosegretario Valducci, vorrei, in primo luogo, sottolineare - anche al fine di evitare equivoci - che le organizzazioni sindacali, nonostante gli impegni assunti dal Governo di avviare un tavolo di concertazione e consultazione con le forze sociali, non sono mai state consultate. Il collega Dominici affronterà nel dettaglio alcune questioni tecniche. Intendo personalmente, invece, porre all'attenzione della Commissione un dato riguardante l'aspetto gestionale della vicenda. In questi anni, pur a fronte della delicatezza del problema, la vicenda ha riguardato sostanzialmente una, fino ad oggi improbabile, definizione di un sito, che è divenuto in tal modo elemento condizionante per avviare processi di «commissionamento» delle centrali nucleari. Nel frattempo gli utenti hanno subito un onere, come risulta dall'esame delle bollette elettriche. Inoltre, nell'ambito delle attività dell'ENEL è stata costituita una società, la SOGIN, coinvolta in questo processo di «commissionamento».
Vorrei pertanto sapere se l'indagine conoscitiva avviata dalla Commissione sia limitata ad una verifica di natura ambientale relativa all'identificazione dei siti, al rispetto delle norme di sicurezza, o concerna anche la struttura, l'assetto...
PRESIDENTE. L'audizione della SOGIN è prevista, perché l'indagine conoscitiva si pone come obiettivo la risoluzione del problema attraverso l'individuazione, finalmente, di un sito nazionale.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Vorrei porre l'accento su un altro aspetto, se sia cioè giusto che una società, ormai privata, produttrice di rifiuti sia allo stesso tempo il soggetto che si occupa della loro gestione o se non sarebbe più opportuno affidare ciò ad un soggetto pubblico, attesa l'esistenza di un ente nazionale, come l'ENEA, che ha tali specifici compiti. Intendevo sapere se nell'ambito dell'indagine conoscitiva rientri la verifica della correttezza dell'assetto societario.
PRESIDENTE. Innanzitutto, vorrei precisare che la SOGIN è una società per azioni, ma l'azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze il quale si serve di essa come uno strumento per realizzare un obiettivo di interesse pubblico.
Il problema non è questo, quanto l'individuazione di un sito sicuro a livello nazionale. In una passata audizione il collega Foti ha richiamato la notizia pubblicata da un giornale, che rendeva noto che il sito di Caorso è facilmente penetrabile, non essendovi adeguate misure di sicurezza.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Presidente, questo è chiaro, ma bisogna costruire un meccanismo di convenienze e di criteri.
PRESIDENTE. Ritengo che, una volta scelto il sito, questo debba essere in qualche modo «imposto» perché altrimenti nessun comune italiano lo accetterà. È necessario trovare un meccanismo che prescriva tale scelta istituzionalmente - con tutte le garanzie perché, purtroppo, l'Italia è un paese fortemente sismico e, quindi, i siti da scegliere sono pochi -, realizzandola senza rinviare il problema. Il sistema tipicamente italiano, vecchio di secoli, determina le mancate scelte che si accumulano negli anni.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Presidente, lei ha ragione ma, dal 1998 in poi, al di là dell'indicazione generica di trovare un sito, il problema è stato sostanzialmente rimosso, nel senso che non è stata fatta alcuna operazione di informazione della popolazione, di coinvolgimento e di costruzione di un meccanismo di «convenienze». Attualmente, mi sembra difficile immaginare unicamente un percorso di imposizione.
PRESIDENTE. Infatti, nel corso della sua audizione il ministro Matteoli era deciso ad arrivare ad una soluzione finale perché è dal 1987, cioè dal referendum, che sussiste questo problema.
FRANCESCO STRADELLA. A mio avviso, abbiamo impostato male il ragionamento. Le sue osservazioni sono giuste però, partendo dal presupposto che esiste il problema per i motivi che lei ha elencato, il nostro obiettivo è capire quali siano le soluzioni e le indicazioni che possiamo ricavare dalle audizioni. Se avessimo la possibilità di rispondere alle sue domande, non faremmo delle audizioni ma esprimeremmo le nostre opinioni in una conferenza stampa e cercheremmo di indirizzare la legislazione in questo senso.
Siccome anche noi abbiamo qualche dubbio ed il problema è complesso, per avere un quadro completo della situazione ascoltiamo non solo le aziende interessate e l'ENEL ma anche gli organismi di concerto, come le organizzazioni sindacali e la Confindustria. Quindi, la prego di non porci domande ma di esprimere la sua opinione sul da farsi; poi valuteremo le vostre indicazioni e le diverse soluzioni realizzabili.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Visto che nel corso del dibattito l'onorevole Foti ha espresso delle opinioni critiche rispetto all'esigenza di concertare questa scelta, intendevo dire che è la prima volta che veniamo auditi su questo argomento.
FRANCESCO STRADELLA. C'è sempre una prima volta.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Sugli aspetti tecnici cedo la parola al collega Dominici.
FRANCESCO DOMINICI, Rappresentante della CISL. Per quanto riguarda la dimensione del problema, le stime più ottimistiche prevedono 50 mila metri cubi di rifiuti alla fine del processo di decommissioning, quelle più pessimistiche 100 mila: oggettivamente, sembrano più credibili quelle pessimistiche, in quanto la legislazione corrente fissa dei livelli di attività molto bassi per definire i rifiuti da destinare al sito o i rifiuti nucleari. Un autocarro trasporta 20 metri cubi di rifiuti
e, per l'esperienza degli altri paesi europei ed extraeuropei, in un sito non si possono ricevere più di tre carichi al giorno. Quindi, è urgente la costituzione dell'organismo di gestione del sito perché le norme di conferimento e di gestione dello stesso richiedono, sulle stime attuali, 2 mila giorni feriali di lavoro, cioè cinque anni, per spostare i 100 mila metri cubi dai siti di produzione a quello di stoccaggio definitivo.
Riteniamo che tale organismo gestore, anche per l'esperienza dei paesi europei ed extraeuropei, debba essere terzo rispetto a chi produce il rifiuto perché, altrimenti, è come se il produttore dell'immondizia domestica potesse decidere dove e come buttarla: sceglierebbe la forma più sbagliata, cioè la più comoda, la più egoistica e la più economica. Quindi, SOGIN non può essere il gestore del sito perché è il produttore dei rifiuti e, di conseguenza, immaginiamo che debba esserlo un organismo - a forte partecipazione, anzi a maggioranza pubblica - terzo rispetto a tutti i produttori di rifiuti. I rifiuti vengono dalle centrali di elettroproduzione dell'ENEL e dagli impianti di ricerca dell'ENEA. Per le centrali di elettroproduzione dell'ENEL è necessario arrivare alla condizione che tecnicamente si chiama green field o green building, cioè denuclearizzazione, luogo pulito, restituibile ad un'attività manifatturiera qualsiasi.
Quindi, SOGIN è il soggetto candidato a denuclearizzare siti, riportandoli alla condizione di green building. Dal momento che appare rischioso rinunciare a possedere una competenza nazionale di radiochimica e di radioprotezione ed una capacità di affrontare le problematiche del nucleare - perché finita l'elettroproduzione, comunque, il nucleare rimane in campo industriale e in campo biomedico, dato che esistono programmi di ricerca a lungo termine -, sarebbe necessario che nell'operazione di decommissionamento dell'impiantistica nucleare degli enti di ricerca, quindi dell'ex ENEA, non fosse adottato lo stesso comportamento che si assume negli impianti di elettroproduzione dell'ENEL (cioè arrivare al green building). Al contrario, bisognerebbe arrivare ad un'infrastruttura pulita dalle precedenti attività ma ancora nuclearizzata, quindi atta ad ospitare quel presidio di competenze che rimarrebbe nucleare ma per uno scopo di ricerca diverso da quello finalizzato all'elettroproduzione.
FRANCESCO STRADELLA. L'ipotesi dello stabilimento di fabbricazione nucleare.
FRANCESCO DOMINICI, Rappresentante della CISL. L'ipotesi riguarda, ad esempio, le infrastrutture dell'ENEA di Saluggia, di Trisaia (in provincia di Matera) e dell'impianto di Casaccia (nel Lazio) che sono dedicabili a presidi scientifici di competenze. Tutto questo non comporterebbe spese grazie all'esistenza di un programma europeo, il Nuclear fission safety, finanziato da tutti gli Stati membri dell'Unione, quindi anche dall'Italia. I nostri ritorni in termini di accesso a tali risorse sono inferiori a quanto come paese mettiamo a disposizione proprio di quelle risorse; ciò perché abbiamo una sorta di incomprensibile pudore a dire che in Italia si fa ricerca sul nucleare.
A causa di tale pudore vi è una timidezza nel presentare programmi di ricerca, per cui viviamo la tragica situazione di un paese che ha un problema sul nucleare, paga come paese membro dell'Unione la sua quota per dei programmi, ma non partecipa ai benefici di questa quota perché non presenta programmi finanziabili con tali risorse, se non in misura nettamente inferiore a quanto, come Stato membro, eroghiamo in sede comunitaria. Quindi non si chiedono soldi, ma semplicemente di utilizzare fondi che già si spendono.
PRESIDENTE. Questa è la conseguenza di un'interpretazione distorta del risultato del referendum del 1987.
FRANCESCO DOMINICI, Rappresentante della CISL. Sono perfettamente d'accordo con lei.
PRESIDENTE. La produzione di energia è altra cosa e, fra l'altro, il risultato del referendum non la colpiva direttamente. Basta un cenno a queste tematiche per mettere in crisi le coscienze. Le ricerche scientifiche che utilizzano strumenti con tecnologie nucleari devono essere sviluppate nell'interesse della scienza.
FRANCESCO DOMINICI, Rappresentante della CISL. A questo punto vorrei citare un'ovvietà. Se noi dovessimo affidare la nostra sicurezza ad un carabiniere che ha letto un testo di balistica piuttosto che ad un carabiniere che si è esercitato in un poligono, secondo me avremo poco da stare tranquilli. Per avere una sicurezza nucleare vera bisogna avere un'impiantistica nucleare vera. Un uomo che ha letto libri di balistica non è detto che sia in grado di usare un'arma, così come un paese che non ha una ricerca attiva nel settore del nucleare non è detto che abbia degli esperti validi bensì degli esperti «cartacei»: gente che ha letto documenti su Internet.
Per avere sicurezza nucleare, e quindi per uscire dal nucleare, bisogna mantenere il nucleare quale ricerca nello sviluppo di competenze. Questo è un nucleare pubblico, un nucleare che si può realizzare in un ente di ricerca pubblico ed è pagato da fondi che l'Italia già spende per partecipare ai programmi europei.
Aggiungo quindi che la mancata domanda di figure nel panorama dell'impiego nel nucleare del dopo referendum, ha reso praticamente inesistente la formazione universitaria di figure di questo tipo. Se chiudessimo tutti gli ospedali, il giorno dopo chiuderebbero le facoltà di medicina delle università, che certo non sfornano disoccupati. Oggi le università italiane non producono più laureati in discipline che abbiano attinenza con l'uso pacifico dell'energia nucleare. Quindi l'unica maniera per ripristinare un vivaio, sia pur minimo, di competenze è quella di creare all'interno della ricerca pubblica extra universitaria un luogo di occupazione (se vogliamo anche di eccellenza) e di ricerca su questo settore che ripristini il circolo virtuoso della creazione delle competenze; da ultimo guardo anche al sistema di comando e controllo: la legge esprime il comando e organismi, come l'APAT, esercitano il controllo.
Le ARPA regionali dovrebbero dotarsi anche loro di queste competenze. Se non esiste un vivaio da cui pescare gli esperti su tali temi, torniamo di nuovo a quell'esperto «cartaceo» che non dà garanzie a nessuno, meno che mai alla popolazione. Quindi in termini tecnici la proposta che mi sentirei di esprimere è questa: anzitutto ci vuole un soggetto terzo a maggioranza pubblica che gestisca il sito. SOGIN non può gestire il sito in quanto è un produttore di rifiuti; SOGIN è specializzata nel denuclearizzare fino alla tipologia green field, in pratica è come una agenzia di pompe funebri che «tomba» definitivamente il problema. Il nucleare per elettroproduzione può essere «tombato» perché tale produzione non esiste più; il nucleare della ricerca non può esserlo perché perderemmo una competenza di eccellenza e usciremmo dal novero dei paesi civili che possiedono tali competenze. Quindi il decommissioning del nucleare di ricerca dell'ENEA non può essere affidato a SOGIN ma all'ENEA stessa affinché ricicli, lasciandoli nuclearizzati, i propri siti di ricerca e cambi la finalizzazione delle sue ricerche dai precedenti «obiettivi-paese» ai nuovi.
Tutto questo richiede una scelta politica, anche perché stiamo già spendendo i fondi.
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. Anch'io come il collega Guerisoli, preciso che in passato siamo stati coinvolti solamente una volta in una discussione su questi temi, in occasione di una audizione sugli eventi alluvionali che interessarono la zona di Saluggia.
PRESIDENTE. Mi scusi ma dagli atti della precedente legislatura risulta un'audizione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali, svoltasi il 21 febbraio del 2001, sul tema della sicurezza ambientale di strutture nucleari site nella zona di Vercelli.
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. È proprio quell'audizione cui mi riferivo un attimo fa ...
PRESIDENTE. Ma il suo collega, invece, sosteneva che le organizzazioni sindacali non erano mai state ascoltate.
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. Il collega Guerisoli si riferiva a quando il sottosegretario, nella precedente audizione, parlava del coinvolgimento delle forze sociali per l'individuazione del sito. In quelle circostanze non siamo stati coinvolti. Quindi, a maggior ragione, presidente Armani, la ringraziamo per l'opportunità rappresentata dall'audizione odierna.
Vorrei svolgere alcune brevi considerazioni su un aspetto che a mio avviso deve essere portato all'attenzione: l'urgenza dell'individuazione del sito. La questione di fondo è che abbiamo urgente bisogno di individuare una sede in cui concentrare e stoccare i rifiuti nucleari. Ma tutti sappiamo che vi è una grande difficoltà su questo perché non appena si ventilano ipotesi al riguardo, vi è una reazione da parte dei soggetti istituzionali locali, ed anche di altri soggetti. La causa di ciò è una mancanza di sfiducia, maturata negli anni, verso alcuni sistemi produttivi che causano danni alla salute ed all'ambiente. Si tratta di una questione di fondo. Il problema è come superare la questione della sfiducia e come ricreare un rapporto di fiducia tra alcune decisioni e le comunità locali.
Sia detto per inciso, il problema dell'individuazione del sito non è mai stato posto esplicitamente. Non si è mai stabilito di dover prendere una decisione entro determinati tempi.
Credo che questa fiducia si recuperi semplicemente attraverso una gestione estremamente trasparente del meccanismo nel suo complesso. Dobbiamo fornire ai cittadini enormi garanzie di trasparenza e correttezza. L'articolo 27 del disegno di legge del ministro Marzano su questo tema, dove si parla di delega al Governo per la gestione dei siti radioattivi e che si concentra in modo particolare nell'individuazione del sito, è contraddittorio con un'idea di gestione trasparente di tutta l'operazione. Si presenta sia un problema di metodo sia uno di merito di cui parlerò dopo.
Tale problematica non può essere inserita all'interno di una delega, deve essere il Parlamento - così come state facendo voi - a discuterne ampiamente, diffusamente e coinvolgendo tutti i soggetti per poter giungere, alla fine, a prendere una decisione.
Per quanto riguarda il merito, alcune questioni lasciano perplessi, come, ad esempio, l'attribuzione della competenza dell'individuazione e della realizzazione del sito allo stesso soggetto ed ancor più l'attribuzione della gestione.
Un'altra questione molto delicata riguarda la previsione del trattamento dei residui radioattivi non nel sito in cui sono attualmente stoccati, ma in un sito da individuare con il conseguente trasferimento dei rifiuti prima del loro trattamento (operazione che comporterebbe notevoli rischi).
Il primo punto è affrontare la materia oggetto del citato articolo in una proposta di legge, di cui discutere apertamente ed approfonditamente. Sarebbe importante anche un'iniziativa parlamentare di promozione di un dibattito, su cui ci dichiariamo sin da ora disponibili a fornire il nostro contributo. Il problema è di tale rilevanza da prevedere necessariamente una discussione aperta.
Un modo in cui conquistare la disponibilità ad individuare un sito nel proprio territorio potrebbe essere l'offerta di adeguate misure di compensazione, in modo che ciò non sia visto soltanto come una penalizzazione, corrispondendo all'onere un grande beneficio, evidente, visibile, esigibile, già in fase di avvio della discussione relativa all'individuazione del sito. A fianco di tale proposta, dovrebbero essere date garanzie ferree sul sistema dei controlli e meccanismi di coinvolgimento sia nella costruzione dell'impianto sia nella gestione di esso.
Per riassumere, le proposte da noi presentate che potrebbero condurre a rimuovere la resistenza alla localizzazione nel proprio territorio di un sito riguardano la trasparenza, meccanismi di compensazione, garanzie ferree sul sistema dei controlli e coinvolgimento nella gestione. Solo a questo punto andrebbe sollecitata la disponibilità a recepire il sito nel proprio territorio.
I «famosi» duecento siti individuati dall'ENEA...
PRESIDENTE. Indicare duecento siti significa non indicarne nessuno.
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. Il punto è la necessità di chiedere ai territori, in cui sono stati individuati i duecento siti idonei a recepire una localizzazione dell'impianto, la disponibilità affinché l'impianto sia costruito nella propria zona. Si tratta di fare in modo che siano essi stessi ad offrirsi e per arrivare a ciò sono basilari le misure precedentemente indicate. Solo in una seconda fase, dopo aver verificato tale possibilità, si può giungere alla negoziazione.
Se, seguendo questa strada, non si giungesse ad una decisione in un lasso di tempo congruo, ad esempio un anno, coscienti di aver esperito tutte le strade possibili, nel massimo della trasparenza, il Governo ed il Parlamento potrebbero decidere. Bisogna evitare, come di frequente verifico, comunicati stampa di consiglieri, di delegazioni parlamentari, di gruppi regionali che protestano contro l'eventualità della localizzazione del sito nel proprio territorio.
Rispetto al cammino da noi considerato - ripeto- l'articolo 27 è contraddittorio.
ALBERTO CIVICA, Rappresentante della UIL. Ringrazio innanzitutto la Commissione per l'invito.
Sono sostanzialmente concorde con quanto in precedenza affermato. Da molti anni si dibatte sull'individuazione di un sito finale, cosiddetto per i rifiuti a bassa e media attività, e transitorio (dai 50 ai 100 anni) per i rifiuti ad alta attività. Un aspetto del problema riguarda la necessità di fornire incentivi agli enti locali, affinché essi si rendano disponibili a situare una discarica nucleare nel proprio territorio, mentre un altro aspetto è la necessità di determinare in precedenza, affinché il sito sia sicuro, quale sia il materiale da immettervi e la garanzia del sito stesso in merito a rischi geologici, sismici e così via.
Quando venne realizzata la cosiddetta mappa dei siti, si lavorò a «maglie» che si restringevano sempre più, fino all'individuazione, secondo i parametri inseriti, di siti più sicuri. Dovremmo quindi condurre a compimento tale indagine, essendo il panorama europeo caratterizzato da paesi in cui sono stati individuati tali siti o dove, comunque, l'individuazione è in fase di ultimazione.
Un'altra questione, strettamente legata, riguarda il modo in cui i rifiuti giungono al sito individuato. Inoltre, il problema istituzionale a cui si sono riferiti gli interventi precedenti è importante. Avere la certezza dell'interlocutore con cui il sindaco, la cittadinanza stessa debbano rapportarsi è fondamentale. Oggi esiste una pletora di soggetti a cui rivolgersi, come è stato possibile verificare ai tempi di Cernobyl (senza che - in aggiunta - fosse possibile avere informazioni sicure su quanto fosse necessario compiere), dai vigili del fuoco, ai prefetti, all'ENEA, alle ASL.
Esiste una questione istituzionale relativa a chi debba occuparsi del trattamento del residuo nucleare per la sua collocazione nel sito finale. Come ha detto il collega, sarebbe bene che il produttore di rifiuti non fosse anche lo stesso soggetto successivamente addetto allo smaltimento. È necessario che il gestore sia controllato da un soggetto pubblico, essendovi la necessità della massima trasparenza che il procedimento sia legato in primo luogo alla sicurezza.
L'APAT proponeva la costituzione di un'agenzia apposita, un ente che si occupasse esclusivamente di ciò, che dovrebbe essere finanziato e fornire garanzie su quale sistema adottare per il trattamento dei rifiuti radioattivi.
Ancora oggi si discute sulla metodologia necessaria per arrivare al trattamento dei rifiuti (vetrificazione, cementazione) ed occorrerebbe chiarire - in questo caso credo che sia l'ENEA l'ente coinvolto - il sistema da attuare. Tecnicamente si conoscono le differenze e i problemi (se si usa la cementazione bisogna arrivare ad una diluizione del rifiuto con un rapporto di circa 1 a 200 e, quindi, con molti metri cubi ci sarà una vasta produzione e la necessità di un grande sito) ma occorre avviare tutto ciò.
I siti sicuri sono una quantità definita, un soggetto istituzionale pubblico deve occuparsi specificamente del problema ed infine gli enti gestori (ENEA e quant'altro) devono attuare un sistema di trattamento dei materiali chiaro e definito (vetrificazione o cementazione), sapendo che l'APAT è concorde sulla cementazione ma se fatta subito. Il tutto deve essere compatibile con i tempi sapendo che le forme di coinvolgimento e di partecipazione vanno bene purché si arrivi alla definizione di tale situazione perché il degrado dei nostri siti nucleari rischia di farla diventare pericolosa.
Per esempio, la piscina che contiene gli elementi di combustibile dell'EUREX era stata costruita per avere una vita garantita di circa vent'anni: tale garanzia è già scaduta e, quindi, il danno che si può produrre è infinitamente superiore al rischio che si corre per risolvere il problema in tempi brevi.
ANTONIO RATINI, Rappresentante dell'UGL. Condivido gran parte delle affermazioni che sono state formulate e sottolineo ulteriormente che colui che effettua uno studio, generando prodotti radioattivi, e colui che gestisce il rifiuto debbano necessariamente essere soggetti separati ed indipendenti. È evidente che in tale problematica sussistono anche evidenti problemi economici ma il nostro suggerimento è che i criteri di scelta debbano essere necessariamente chiari. Nel momento in cui si effettueranno delle valutazioni, per raggiungere un consenso allargato, deve essere chiaro chi valuta, che cosa sta valutando, quali sono i criteri, gli indici che verranno utilizzati per misurare gli stessi ed il giudizio che dovrà essere elaborato.
Se venisse meno un qualsiasi passaggio, non saremmo in grado di prendere una decisione sostenibile, intesa come consenso allargato che dovrà essere necessariamente ricercato.
DELIA NARDONE, Rappresentante della CGIL. Ci troviamo di fronte ad un progetto di smantellamento che sta subendo una serie di ritardi (i quattro impianti dell'ENEA sono in una fase differenziata ed avanzata rispetto al decommissioning) e, se non si individuasse un sito con tutte le relative garanzie, tale complessa progettualità subirebbe ulteriori ritardi: quindi, il tempo rappresenta un elemento fondamentale.
L'impianto del Garigliano è riuscito a fare un decommissioning con le professionalità presenti all'interno delle centrali: tali professionalità sono sicuramente importanti e pregevoli ed andrebbero coinvolte e valorizzate. In questa fase SOGIN sta avendo un ruolo interessante, mettendo in campo potenzialità e capacità (ci sono stati illustrati anche dei piani interessanti di partenariato con ditte esterne di un certo pregio).
Il problema è che, secondo un vecchio programma, il primo sito dovrebbe essere rilasciato entro il 2015: di conseguenza, entro il 2003-2004 bisognerebbe portare via le barre (mi risulta che il sindaco di Caorso non si muovi finché non si trova un sito) e, quindi, accelerare i tempi ma con i passaggi descritti. A nostro avviso, sussiste anche un problema di mancanza di informazione rispetto a ciò che si intende attuare perché quando si parla di nucleare si addensa un'area molto nebulosa e, quindi, bisognerebbe chiarire che questa operazione intende eliminare una difficile situazione per la presenza sul territorio di siti che ormai non servono o, perlomeno, sono da smantellare.
La questione del coinvolgimento della gente e del chiarimento del problema, anche rispetto all'individuazione del sito, è
fondamentale: se non si avvia questo elemento virtuoso, tra qualche mese ci sarà un peggioramento della situazione ed un blocco dei processi di decommissioning. Quindi, bisognerebbe accelerare i tempi, dando tutti i parametri di riferimento prima accennati, altrimenti ci sarà il blocco generale ed una situazione difficilmente gestibile, con impianti fatiscenti e problemi di sicurezza per i lavoratori e per chi si trova sul territorio.
Questo è un elemento di cui tener conto. Bisogna quindi fare presto ma con tutte le garanzie del caso. Siccome si è creato un consorzio tra SOGIN ed ENEA, forse sarebbe il caso di entrare nel merito di questa questione e capire che tipo di rapporti questo consorzio debba avere rispetto al decommissioning e quindi con tutto il processo conseguente.
FRANCESCO STRADELLA. Condivido le osservazioni svolte sulla necessità di trasparenza, di un sistema di controllo, di coinvolgimento e di partecipazione; mi risulta, però, difficile capire perché su un'operazione di questo genere, controllata, trasparente e scientificamente dimostrata si debba giungere ad una compensazione.
Se questa compensazione è il riconoscimento di un rischio, che quindi si paga con moneta, allora bisogna fare un certo ragionamento; ma se non esiste un rischio, l'operazione avviene a monte (sono d'accordo con chi sostiene che il trattamento dei rifiuti debba, senza dubbi, essere realizzato laddove questi si trovano ora, senza quindi trasportarli per il ricondizionamento) e quindi una volta che l'operazione è garantita scientificamente, controllata e trasparente, la compensazione va bene, ma per una discarica. Altrimenti inneschiamo un ulteriore elemento di turbativa e di ritardo.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Non è la prima volta che si è fatto ricorso a ciò. A fronte di una difficoltà degli enti locali di ospitare i siti energetici, la legislazione ha individuato un meccanismo della compensazione sui chilowattora erogati.
FRANCESCO STRADELLA. È un fatto vergognoso.
GIOVANNI GUERISOLI, Rappresentante della CISL. Il Parlamento potrà trovare altri meccanismi che rispettino i tempi.
FRANCESCO STRADELLA. Mi riferisco al sistema di fiducia nei confronti del sito.
PRESIDENTE. La compensazione creerebbe un'escalation...
DONATO PIGLIONICA. Ho oggettive difficoltà a concepire la possibilità di arrivare ad una soluzione condivisa. Ritengo di poter affermare che non è la mancanza di fiducia che influisce negativamente quanto la mancanza di conoscenza, è questo il vero problema. Non mi riferisco soltanto alla mancanza di conoscenza dei meccanismi che presiedono all'individuazione del sito ma proprio alla mancanza di conoscenza del fenomeno nucleare e quindi ad una visione quasi catastrofica di questo settore.
Sono convinto che se il sito venisse individuato nel mio territorio, del collega Stradella o del presidente Armani, dopo tutti i bei ragionamenti esposti in questa sede, sicuramente ci troveremmo alla testa del movimento che si opporrebbe all'individuazione di quel sito. Pertanto c'è sempre una grande schizofrenia tra quello che dobbiamo sostenere in base alla razionalità e quello che poi la coscienza ci porta a fare.
Il ragionamento esposto dal rappresentante della CGIL mi convince; penso ad una fase obbligatoria di pubblicità, di informazione, di conoscenza del reale rischio. Mi permetto di sottolineare, in base alle idee che mi sono formato in questo periodo, che ciò che manca è la condizione del pericolo in cui versiamo. Sembra quasi che tutti vivano in un eden che qualche malintenzionato voglia improvvisamente compromettere con la realizzazione di un sito.
Per quanto riguarda la Puglia ho provato a spiegare che vicino a noi c'è già l'impianto di Rotondella; se, invece, pensiamo che questi casi non esistano siamo sulla strada sbagliata. Oggi di questi siti ve ne sono molteplici e nessuno è concepito per essere definitivo. Invece un vero un sito, quale esso sia, offrirebbe comunque più garanzie della situazione attuale. È fondamentale che si parta dall'allarme sulla situazione attuale altrimenti sembra che si va a disturbare un ordine costituito o, tutto sommato, una condizione di serenità per tutti.
L'altra osservazione che voglio esporre è che sono d'accordo con l'onorevole Stradella, ma non vedo soluzioni alternative. Parlare di sicurezza e di compensazione è quasi una contraddizione in termini, una sorta di ossimoro. È come chiedere di stare tranquilli perché non stiamo portando la fine del mondo e comunque concederemo un grosso premio se si accetta questo progetto. Ma se questa ipotesi non comporta un problema allora perché diamo un premio? Questo è ciò che rialza il livello di allarme.
Non sono d'accordo con chi sostiene che l'ENEA non abbia svolto il suo ruolo. Difendo l'ente senza farne parte; non si poteva chiedere all'ENEA di individuare due o tre siti; sarebbe apparso come una delega quasi in bianco, come una volontà di scaricare il compito e di deresponsabilizzare la parte politica.
L'ENEA ha un compito tecnico ed ha individuato 210 siti. La mia preoccupazione è che questi siti, per come sono stati individuati geograficamente, subiranno una decurtazione molto drammatica. Metà del territorio del Molise è coinvolta e gli eventi di questi giorni hanno dimostrato che il Molise esce da questo progetto per i motivi insiti negli stessi criteri di individuazione dell'ENEA.
È poi coinvolta mezza Puglia che invece ne sarà tenuta fuori perché è un'area di parco nazionale, quindi con vincoli ambientali che la rendono incompatibile con tale ipotesi.
Credo che la prima necessità sia quella di proporre all'ENEA una rivisitazione delle scelte, alla luce di quanto accaduto dal 1999 ad oggi. Così sicuramente non arriveremo ad una rosa di tre siti ma certamente non saranno neanche più duecento.
Ripeto quindi che mi convince la tesi della CGIL, soprattutto quando alla fine del percorso di pubblicità, di coinvolgimento, addirittura di ricerca di una spinta dal basso scopriremo che questa spinta non verrà mai. Nessun sindaco, neanche se ottantacinquenne, senza quindi alcuna prospettiva di vita politica, proporrà mai il proprio territorio per un sito per lo stoccaggio del materiale radioattivo. Se tutti questi processi non si saranno verificati ci vorrà poi un potere sostitutivo con la decisione che, ovviamente, passi ad un organo che se ne faccia carico e compia le scelte.
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. Avendo io posto il problema della compensazione, vorrei ora brevemente replicare. Molto semplicemente, ci troviamo in una situazione in cui, in qualsiasi comune d'Italia, a fronte dell'ipotesi di localizzazione di un'attività produttiva, di qualsiasi tipo (che in qualche maniera è riconducibile con la storia negativa che abbiamo vissuto in passato sull'industrializzazione), vi è un rifiuto netto, anche in tema di insediamenti favorevoli alle politiche ambientali.
DONATO PIGLIONICA. Ci sono assurde resistenze anche per gli impianti di compostaggio!
CLAUDIO FALASCA, Rappresentante della CGIL. Infatti, e tutto ciò sta creando grossi problemi, sia al paese sia a noi perché riguarda l'occupazione e lo sviluppo. Questo problema non si rimuove tra oggi e domani; anzitutto perché non c'è un meccanismo di informazione e di controlli adeguati, ogni tanto si scopre qualcosa, ogni tanto emergono «scheletri negli armadi» di anni e anni di industrializzazione senza controlli. Il problema è che, siccome ciò si verifica anche per attività ordinarie, allora, a fronte di un'iniziativa
di questo spessore non è sufficiente garantire informazione e controllo ma occorre andare oltre.
Quando parlo di compensazione, non intendo regalare una caramella per mandar giù una pasticca amara, ma intendo che si ipotizzino, per il territorio dove si localizza questo impianto, delle politiche di sviluppo connesse all'attività che si va a localizzare. Così si rende più accettabile un tale ragionamento. Fermo restando che quanto affermato prima diventa fondamentale; questo è solo l'ultimo passaggio. Non c'è contraddizione tra le affermazioni sulla sicurezza e questa ipotesi; va svolto un ragionamento complessivo altrimenti da questa situazione è difficile uscirne fuori.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sicurezza ambientale dei siti e degli impianti ad elevata concentrazione inquinante di rifiuti pericolosi e radioattivi, l'audizione dei rappresentanti di Confindustria. Sono presenti l'ingegner Coccia, direttore del nucleo ambiente, il dottor Morini, il dottor Bregant per la Federacciai, il dottor Zoccolan per la Assomet, il dottor Messore ed il dottor Rizzo per la Fise, il dottor Tentella e la dottoressa Moglia.
Do subito la parola ai nostri ospiti.
GIANCARLO COCCIA, Rappresentante di Confindustria (Direttore nucleo ambiente). Abbiamo consegnato presso la Commissione un documento scritto. Ringraziamo per l'invito all'audizione. Siamo presenti con tre associazioni direttamente coinvolte nella questione dei rifiuti radioattivi, che sono quindi in grado di illustrare quanto finora è stato concretamente realizzato nell'ambito degli stabilimenti e delle aziende associate. Per affrontare la questione in maniera più concreta darei la parola ai miei colleghi.
FLAVIO BREGANT, Rappresentante di Confindustria (Federacciai). Grazie, presidente, per questa opportunità; intervengo a nome delle industrie siderurgiche e di quelle metallurgiche che lavorano metalli non ferrosi, ed intendo illustrare un problema che affligge le nostre aziende da qualche anno.
Oltre ai rifiuti provenienti dalle centrali e dallo smantellamento del ciclo combustibile (problema importante ma in Italia piuttosto delimitato), esiste una questione legata ai rifiuti provenienti da usi diversi da energie nucleari, come quelli medicali, industriali per le gammografie ed anche civili, come alcune applicazioni degli anni passati su parafulmini e rilevatori di fumo. Si tratta di un problema di minore impatto per quanto riguarda la gestione e la volumetria, ma estremamente più diffuso. Questi piccoli materiali, provenienti da demolizioni industriali e civili o da usi industriali e medicali, possono uscire dai cicli di smaltimento regolari e finire all'interno dei carichi di rottami metallici processati dalle aziende siderurgiche e metallurgiche.
Si tratta di una questione che risale al 1993, quando si è cominciato a valutare tale aspetto in Italia per metterci al riparo da alcuni materiali provenienti dai paesi dell'est, ma il problema è emerso nella sua globalità a partire dal 1995, quando le aziende siderurgiche si sono dotate di sistemi di controllo automatici in ingresso (le nostre aziende trattano circa 600.000 carichi di rottami l'anno).
La questione è che circa un carico su 10.000 contiene al proprio interno materiale contaminato o sorgenti radioattive. Questi materiali provengono in Italia dall'estero per circa il 50 per cento (l'Italia è più grande paese importatore di rottami di Europa; importiamo circa 6 milioni di tonnellate di rottami ogni anno) e, per il rimanente 50 per cento, dal territorio nazionale, quindi da usi di materiale nucleare sul territorio. Per proteggere i cittadini dal materiale proveniente dall'estero,
sono stati installati (e si stanno ancora installando) ai confini, presso i principali porti di transito dei rottami metallici, controlli automatici; il programma di attuazione è affidato al Ministero delle attività produttive e la sua gestione sarà affidata al Ministero dell'interno, attraverso l'intervento dei vigili del fuoco. Il programma relativo a queste installazioni (quelle concluse risalgono quasi interamente all'anno in corso) dovrebbe giungere a conclusione tra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo.
Esiste inoltre il problema relativo al materiale radioattivo di scarto proveniente dal ciclo nazionale. Vorrei sollevare, in particolar modo, due problemi, in primo luogo il ritrovamento, la detenzione e lo smaltimento finale. Le industrie metallurgiche, nel processo di lavorazione del rottame, sono l'ultimo anello della catena di smaltimento abusivo - consentitemi il termine - di questi materiali, rintracciati attraverso i sistemi di controllo automatici. Le procedure messe in atto per isolare tali materiali passano attraverso organi di controllo. La magistratura, intravedendo in questo flusso un'attività abusiva o peggio illegale, procede quindi al sequestro del materiale, alla custodia giudiziaria di esso presso le acciaierie e fonderie. Terminata l'indagine e dissequestrato il materiale, esso andrebbe smaltito. Mentre per le sorgenti radioattive vere e proprie lo smaltimento può essere attuato attraverso i canali attualmente esistenti in Italia, non possiamo processare nei forni i rottami contaminati da materiali radioattivi, anche naturali, altrimenti si verificherebbe la liberazione della radioattività nell'atmosfera. Sarebbe perciò necessario trovare un sito di smaltimento, oggi non previsto.
Da quando sono stati installati i portali, di fatto, i rottami debolmente radioattivi, a bassa attività, la cui veicolazione sul territorio non rappresenta un pericolo, non possono essere processati e debbono essere smaltiti. Oggi essi sono stoccati presso le acciaierie. Qualche anno fa si è verificato un incidente in un'acciaieria, che è stata decontaminata. A distanza di cinque anni, sono ancora accatastati presso questa azienda i fusti con il materiale di risulta dalla decontaminazione radioattiva. Le acciaierie sono sparse sul territorio nazionale e, in alcuni casi, sono situate vicino o addirittura inglobate nei centri abitati. Si pone quindi un problema relativo al trasporto di tale materiale dalle acciaierie ad un sito adeguatamente protetto, ed è un problema la cui rilevanza aumenta con il passare del tempo. Considerando che la casistica attuale riguarda un carico su 10.000 e che le nostre aziende processano circa 600.000 carichi l'anno, ogni anno si accumula una determinata quantità di rifiuti radioattivi.
La seconda questione attiene al controllo. Il problema relativo al materiale proveniente da paesi terzi si sta notevolmente riducendo per l'installazione dei controlli automatici alle frontiere, che sono stati adottati anche dagli Stati europei, portando alla diminuzione di eventuali «triangolazioni» nel passaggio dai paesi dell'Est al nostro attraverso i paesi europei. L'impatto maggiore proviene dagli usi sul territorio nazionale. Le nostre aziende costituiscono l'ultimo punto di controllo possibile prima del processamento dei materiali. In alcuni casi tale materiale consiste in aghi di radio medicali; il nostro - ripeto - è l'ultimo anello di una serie di passaggi che espongono, inconsapevolmente, la popolazione.
Abbiamo accettato la predisposizione di costose procedure per tutelare le nostre aziende e i lavoratori, ma chiediamo che sia incrementato il controllo a monte delle sorgenti, per evitare che le stesse attraversino il territorio e finiscano nei carichi di rottame controllati da noi, con la susseguente necessità del loro smaltimento.
Queste sono le due criticità sulle quali sollecitiamo la vostra attenzione e il vostro intervento per poter migliorare la situazione delle acciaierie e garantire la protezione della popolazione.
DONATO PIGLIONICA. Signor presidente, mi scuso ma vorrei porre un quesito perché dovrei allontanarmi per un altro impegno. La modifica della definizione di rifiuto - nata quasi come un
provvedimento dedicato al problema dei materiali ferrosi, soprattutto con i carichi bloccati in Friuli-Venezia Giulia - favorisce o penalizza i controlli e la sicurezza? I portali radiometrici hanno sicuramente aiutato a neutralizzare molti di questi problemi - probabilmente, stanno diminuendo anche gli arrivi dei materiali dall'Est - ma, ripeto, la modifica della definizione di rifiuto, già impugnata in sede europea, aiuta o rende più problematici questi controlli?
FLAVIO BREGANT, Rappresentante di Confindustria (Federacciai). La modifica della definizione di rifiuto, dal punto vista del controllo e della possibile contaminazione dei carichi di rottami metallici, è del tutto ininfluente, perché qualsiasi tipo di rottame viene, comunque, controllato. Tra l'altro, stiamo sensibilizzando i paesi dell'Est ad effettuare i controlli: addirittura, due anni fa si è svolto un convegno internazionale a Praga, sotto l'egida dell'ONU, proprio per verificare le procedure di controllo utilizzate nei vari paesi (in primis l'ex Cecoslovacchia e l'Ucraina).
Quindi, la modifica nominalistica, legata ad un problema di interpretazione della definizione di rifiuto, non cambia nulla sul controllo radiometrico.
GIOVANNI MESSORE, Rappresentante di Confindustria (FISC). Nucleco è una società nata intorno agli anni '80 dopo una delibera del CIPE. In quel periodo l'ENEA e l'ENI (Agip nucleare) erano gli operatori e i ricercatori del settore ed affidarono la gestione dei rifiuti radioattivi, che cominciava a diventare un problema da affrontare e da risolvere, ad un operatore che avesse una struttura aziendale tale da non risentire dei comportamenti degli enti di ricerca. Fu costituita questa società e il primo impegno fu quello di gestire gli impianti che l'ENEA aveva già realizzato nel centro della Casaccia per i rifiuti che scaturivano dalle sue attività di ricerca.
Tali attività iniziali furono inserite nei piani quinquennali che l'ENEA presentava al Ministero dell'industria e, contemporaneamente, sottoposte a delibera del CIPE. Nel 1985 la prima delibera del CIPE recepì la proposta dell'ENEA proprio perché cominciò a crearsi una situazione di scarsa attenzione del paese sulla gestione dei rifiuti radioattivi, prevalentemente medicali (vorrei precisare che ci dedichiamo ai rifiuti medicali o a quelli della ricerca).
In quel momento era opportuno capire quale fosse la situazione nel paese e, di conseguenza, l'ENEA, con la collaborazione della Nucleco, fece una campagna sul territorio nazionale ed individuò delle situazioni di conservazione abbastanza degradate. Nell'aggiornamento del piano quinquennale dell'anno successivo, l'ENEA propose al Ministero di poter gestire la situazione, purché lo stesso l'autorizzasse ad utilizzare uno dei suoi siti (la Casaccia) dove erano stati installati gli impianti di trattamento. Successivamente, l'ENEA demandò il compito operativo alla Nucleco, anche se le regole per la gestione di tali attività sono ancora tutte di sua competenza.
Nel corso dell'audizione del commissario straordinario, il professor Rubbia, sicuramente sarà trattato anche questo argomento, ma vorrei segnalare una problematica connessa alla scelta del sito e legata proprio all'attività di Nucleco. Attualmente, sul territorio nazionale esiste un certo numero di operatori che raccolgono i rifiuti ospedalieri oppure i produttori e gli ospedali si rivolgono direttamente a noi. Le regole da rispettare sono stabilite e l'ENEA aggiorna annualmente le qualifiche di tali operatori, in modo tale che tutto quello che viene conferito rispetti le norme. Per quanto riguarda il sito della Casaccia, utilizzando due impianti in grado di ridurre il volume dei solidi e dei liquidi, riusciamo a trasformare i rifiuti radioattivi appena prodotti - e, quindi, con un certo fattore di rischio - in manufatti pronti per andare al sito di smaltimento.
Nella situazione attuale non si può pensare che in un sito nato per la ricerca, per riempire un gap che si sperava fosse limitato nel tempo e per fare un servizio a livello nazionale, tutto ciò possa continuare sine die. Come ingegneri predisponiamo
tutte le cautele possibili ed immaginabili, ma gli spazi sono quelli che sono: quindi, se da una parte abbiamo l'esigenza di contenere i rifiuti in maniera vigilata e controllata, dall'altra gradiremmo che in tempi ragionevolmente brevi si facesse questa scelta. Nel frattempo, potremmo continuare a svolgere questo servizio a livello nazionale, evitare che qualcuno utilizzi qualche «sorgentina» e la butti nei rottami o, su richiesta di qualche pretore, rilevare delle sorgenti gettate altrove da qualche sprovveduto.
Vorrei chiarire che, quando la Commissione parlamentare, il Parlamento, individuerà questo sito, potrebbero insorgere delle difficoltà a causa della disinformazione e della scarsa conoscenza del problema. La stampa dà molto significato alle audizioni di questa Commissione però sembrerebbe che i rifiuti medicali siano gestiti male. Sinceramente non è così; ciò non avviene perché, tranne qualche sprovveduto (non possiamo pensare che non ne esistano), ci sono delle regole e quindi noi non facciamo altro che trasformare in manufatto tutto ciò che giunge nell'impianto di Casaccia.
So che in un'altra occasione in cui era presente il ministro Matteoli è stata consegnata una tabella in cui si parla anche della Nucleco e di circa 6.300 metri cubi di rifiuti radioativi. Ho ritenuto allora opportuno consegnare alla Commissione un'altra tabella (vedi allegato) dalla quale si evince che si tratta effettivamente di 6.300 metri cubi ma si chiarisce anche la tipologia del rifiuto. Infatti la situazione attuale è che il 74,6 per cento di questo materiale è già stato trattato mentre la restante parte, il 25,4 per cento, non è stata trattata per il semplice fatto che le metodologie oggi a disposizione in quel sito questo permettono. Ad esempio, vi sono dei rifiuti che presentano leggere contaminazioni da plutonio; convengo che tale contaminante è persino tossico, ricordiamo però che il rifiuto che proviene dalla attività di ricerca del sito di Casaccia è considerato tale anche se si tratta semplicemente di una tuta con la quale si è entrati in un ambiente di lavoro. Questi rifiuti per essere trattati hanno bisogno di un sistema che presenta la cosiddetta «tenuta alfa».
È un'attività quest'ultima che potremmo anche svolgere, ma è ovvio che si tratterebbe di un ulteriore passo in avanti da compiere; cosa, a nostro avviso, non indispensabile adesso, se si concretizzerà l'ipotesi di individuazione del sito. In effetti questi rifiuti, se condizionati, possono essere tranquillamente conservati.
Vorrei poi fornire l'ordine di grandezza dei volumi di questi rifiuti. In effetti, ci troviamo in una situazione in cui le capacità dei due impianti, quello per i solidi e quello per i liquidi, sono quasi pari al volume degli arrivi annuali. Quindi, in pratica, con tali impianti potremmo andare avanti quasi sine die, facendo in modo che quanto conservato nel nostro sito sia un manufatto già condizionato, anche se le capacità volumetriche non ci sono.
Credo quindi che sia importante arrivare alla scelta del sito, che lo si faccia con il consenso della popolazione e consentendo a questa di conoscere la realtà, di conoscere il rifiuto radioattivo per ciò che effettivamente è.
GIANCARLO COCCIA, Rappresentante di Confindustria (direttore nucleo ambiente). Vorrei sinteticamente concludere questa serie di interventi richiamando gli aspetti principali emersi. Sia dal punto vista dei produttori, sia da quello di chi gestisce questi rifiuti (anche se per motivazioni diverse) è indubbiamente avvertita l'esigenza dell'individuazione di un sito; infatti, anno dopo anno, si sta verificando un accumulo - sia pur quantitativamente limitato - di materiale trattato o meno.
Un altro aspetto (evidenziato dall'ingegner Bregant) che mi preme sottolineare - a nostro avviso di importanza non inferiore - è quello di un maggior controllo per la parte di rifiuti radioattivi generati all'interno del paese. Questa rappresenta forse un'occasione da non lasciarsi scappare per procedere all'individuazione del sito, e quindi alla risoluzione di parte del problema, ma forse è anche l'occasione
per poter affrontare in maniera forte (proprio perché si tratta di una azione, se vogliamo, anche preventiva) il problema di una maggiore organicità e intensità dei controlli in merito alla generazione interna al paese di questi rifiuti .
FRANCESCO STRADELLA. Non ho capito qual è la generazione di tali rifiuti interna al paese. In precedenza mi pareva di aver compreso che si trattava di materiale di importazione, intercettato alla fonderia e non alla frontiera, come sarebbe più logico per evitare il trasporto sul territorio.
FLAVIO BREGANT, Rappresentante di Confindustria (Federacciai). Mi fa piacere rispondere a questa osservazione perché si tratta di un problema che ha stupito un po' tutti. Le segnalazioni originarie - del 1993 - provenienti anche dall'allora Ministero della sanità, si riferivano esclusivamente a materiale di importazione; quindi tutta l'attenzione è stata posta in quella direzione. Effettivamente il problema esisteva, poi, grazie ai controlli, abbiamo rilevato come tale problematica derivasse per il 50 per cento da materiali di importazione e per l'altro 50 per cento da materiali di produzione nazionale.
Per quanto riguarda la produzione nazionale, preciso che all'interno dei carichi di rottami abbiamo trovato di tutto. Sul territorio nazionale, negli anni '60 e '70, sono stati utilizzati dei parafulmini con «sorgentine» radioattive che servivano a ionizzare l'aria così da attirare i fulmini; sono stati poi utilizzati dei rivelatori di fumo; vengono usate delle sorgenti industriali (all'interno dei processi industriali) per realizzare delle radiografie, gammagrafie, eccetera; vi sono anche dei residui ospedalieri che giungono insieme ai rottami, ad esempio quegli aghi di radio che citavo prima sono utilizzati in attività medicali. Si tratta di sorgenti che derivano proprio dall'utilizzo in ambito nazionale di queste attività oppure dallo smantellamento degli impianti. Ad esempio, quando si smantella un vecchio stabilimento, si recupera tutto il materiale da fondere, però all'interno di tale rottame può esservi qualche vecchia sergente abbandonata, così come i rivelatori di fumo.
FRANCESCO STRADELLA. Che tasso di attività possiede questo materiale? È pericoloso o trascurabile?
FLAVIO BREGANT, Rappresentante di Confindustria (Federacciai). Gli aghi di radio sono abbastanza pericolosi, gli altri materiali invece sono tutti a bassa attività ma, non potendo esser processati, comportano ugualmente un problema di smaltimento. Posso citare un esempio folkloristico ma reale: due anni fa abbiamo eseguito dei lavori di ristrutturazione in alcuni locali (cantine e sale riunioni) della Federacciai, cioè dove lavoriamo. Ebbene, durante questi lavori abbiamo rinvenuto una scatola, che un operaio stava utilizzando come appoggio per tagliare del legno, che era completamente piena di rivelatori di fumo (erano 32) radioattivi abbandonati. Abbiamo chiamato i carabinieri per far rimuovere tali oggetti ma fortunatamente, essendo tutti sigillati, non c'è stata nessuna dispersione nel centro di Milano. Questo è un esempio degli usi civili che possono dar luogo a rifiuti di questo tipo.
DONATO PIGLIONICA. Desidero rivolgere una domanda all'ingegner Messore. Mi sembra che la Nucleco sia l'unico soggetto a livello nazionale che si occupi del trattamento di rifiuti ospedalieri radioattivi. Pertanto, tutte le aziende che raccolgono tali rifiuti hanno l'obbligo (o meglio la necessità essendovi un unico soggetto) del conferimento di tali materiali alla Nucleco. Qualora non si attui tale conferimento si pone il problema di cosa facciano queste aziende. Dico ciò anche perché abbiamo davanti l'esperienza di Taranto con il caso della Cemerad. Desidero chiederle se oltre al problema citato di Taranto esistano sul territorio nazionale altri esempi di questo tipo.
Vorrei, inoltre, sapere (forse dovremmo chiederlo ai magistrati) se la soluzione del problema Cemerad sia quella dello stoccaggio,
assolutamente rischioso, oppure se non si debba trasferire il materiale alla Nucleco per trattarlo in modo che sia reso - uso un termine improprio - inertizzato, o meglio, condizionato in modo tale da eliminarne la pericolosità.
GIOVANNI MESSORE, Rappresentante di Confindustria (Fise). Mi sono permesso di dissentire quando l'onorevole Piglionica ha parlato di obbligo. In effetti, il servizio che Nucleco svolge tramite l'ENEA è l'unico di questo tipo in Italia; quindi si tratta di una situazione di tipo quasi monopolistico ma, di fatto, nessuno è obbligato al conferimento dei materiali alla Nucleco.
La Cemerad è un esempio di azienda che ha preferito gestire in proprio questo problema. Inoltre, quando prima citavo la qualifica che viene concessa agli operatori che si occupano della raccolta per l'ENEA, mi riferivo ad una sorta di albo a livello nazionale, in pratica un patentino di cui, annualmente, l'ENEA verifica le possibilità di rinnovo controllando nei siti le condizioni di immagazzinamento (sempre sottoposte all'esame dell'APAT quale organismo di controllo nazionale); quindi tale controllo avviene affinché, ai fini del confezionamento dei rifiuti e del trasporto presso la Nucleco, si rispettino i vari criteri. Purtroppo la Cemerad non ha mai fatto parte di questo servizio; in alcune occasioni ha conferito rifiuti presso di noi, ma abbiamo avuto notevoli difficoltà, perché non sempre sono stati usati contenitori qualificati.
DONATO PIGLIONICA. Vi sono altri esempi sul territorio nazionale?
GIOVANNI MESSORE, Rappresentante di Confindustria (Fise). Direi di no, a parte una società ora fallita. La soluzione sarebbe l'individuazione di questi rifiuti ed il loro trasporto. Ciò significa reperire i finanziamenti necessari. A me non piace pensare che debba essere il cittadino a farsi carico della risoluzione di errori degli operatori. È necessario richiedere maggiori garanzie; ad esempio, non dovrebbe essere concessa l'autorizzazione ad un operatore come la Cemerad che non è neanche proprietaria dei capannoni.
DONATO PIGLIONICA. Non so se lei sia a conoscenza che attualmente il deposito della Cemerad è sotto sequestro giudiziario affidato alla vigilanza del comune di Statte, un comune di recente istituzione con una forte carenza di vigili urbani, tale da non poter prevedere una sorveglianza per ventiquattr'ore del capannone, dove però sono stoccati 30.000 fusti di rifiuti tossici, di cui la metà radioattivi. È una situazione altamente rischiosa per la sicurezza, in quanto potrebbe essere oggetto di un episodio di pazzia, di un attentato o più semplicemente dell'ingresso di persone che ignorano la pericolosità del materiale presente. Nei fatti, il capannone non è vigilato. Inoltre, i contenitori sono in fase di degrado e stanno per riversare sul terreno il proprio contenuto. È più che naturale che non sia il cittadino a doversi far carico di questa situazione: il principio che chi inquina paga mi sembra scontato, perciò quando è compromessa la sicurezza dei cittadini deve intervenire l'organismo pubblico.
PRESIDENTE. La situazione riguarda anche la magistratura.
GIOVANNI MESSORE, Rappresentante di Confindustria (Fise). Se il magistrato avesse disposto immediatamente il sequestro non vi sarebbe stato problema.
FRANCESCO STRADELLA. Abbiamo iniziato l'indagine con l'obiettivo di risolvere la questione relativa ai rifiuti derivanti dalla produzione di energia nucleare. Lei, oggi, ingegner Bregant, ha aggiunto un elemento di valutazione riguardante il trattamento di prodotti inquinanti da rottame provenienti da produzioni tuttora in essere. Vorrei sapere quali siano i volumi annui, trattandosi di un aspetto che assumerà rilievo nell'individuazione del sito.
FLAVIO BREGANT, Rappresentante di Confindustria (Federacciai). Una statistica
completa sul territorio nazionale non esiste; abbiamo richiesto rilevazioni alle aziende associate. Rispetto al 1995, periodo in cui la contaminazione riguardava l'1 per cento dei carichi, la situazione attuale è decisamente migliore. Oggi controlliamo 600.000 carichi ogni anno e circa 1 su 12.000 risulta contaminato.
Le procedure che abbiamo attuato in accordo con gli enti locali e le autorità di controllo ci consentono di isolare la «sorgentina» o il pezzo contaminato. Per quanto riguarda le sorgenti piccole, come gli aghi di radio (estremamente piccole anche come ingombro), sono isolate nei loro contenitori e, attraverso gli operatori di recupero, inviate alla Nucleco per lo smaltimento finale. I problemi in merito alla volumetria derivano dal rottame contaminato da bassa attività che non può essere processato, altrimenti libererebbe nell'atmosfera il proprio contenuto inquinante. Si tratta di alcune decine di metri cubi l'anno di materiale debolmente contaminato per il quale si ignora la destinazione; attualmente sono stoccati in acciaieria.
PRESIDENTE. Ringraziamo gli auditi per i loro interventi.
Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12,05.