Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,05.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA). Ringrazio il Presidente dell'Ania, Fabio Cerchiai, al quale do subito la parola.
FABIO CERCHIAI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA). Signori presidenti, onorevoli senatori e onorevoli deputati, desidero ringraziarvi per aver voluto invitare e ascoltare l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici sul tema della tutela del risparmio.
Già due settimane fa il presidente dell'ISVAP ha fornito in questa sede i dati relativi all'esposizione del settore assicurativo italiano nei confronti del gruppo Parmalat. Si tratta di una esposizione di dimensioni molto contenute e tali da non sollevare alcuna preoccupazione né per le compagnie né per gli assicurati che a esse hanno affidato il loro risparmio.
Nel complesso l'esposizione finanziaria delle compagnie italiane è pari a 125 milioni di euro, lo 0,05 per cento del totale degli attivi assicurativi e meno dell' 1 per cento dell'indebitamento del gruppo Parmalat.
Nell'esercizio del ramo cauzioni l'esposizione complessiva delle compagnie italiane, al netto della quota ceduta in riassicurazione, è pari a 228 milioni di euro, di cui 30 sono garantiti da una polizza di capitalizzazione, mentre una quota molto consistente dell'esposizione (144 milioni di euro) è connessa con pagamenti e rimborsi di imposte su cui in linea di massima non sono, allo stato, prevedibili perdite. Nel ramo crediti, sono state emesse in favore di fornitori del Gruppo polizze che hanno un limite di credito pari a 25 milioni, e una perdita massima per gli assicuratori stimabile in circa la metà di tale importo.
Secondo i dati dell'agenzia di rating Standard & Poor, relativi alle sole compagnie da essa valutate, alle compagnie italiane fa capo circa il 5 per cento del totale delle esposizioni verso la Parmalat delle imprese di assicurazione europee. Secondo l'agenzia Moody's l'esposizione delle compagnie assicurative degli Stati Uniti verso la Parmalat sarebbe ben più ampia di quella delle compagnie italiane e pari a circa 1,6 miliardi di dollari.
In conclusione, nonostante il crack abbia riguardato un grande gruppo italiano,
l'esposizione delle compagnie di assicurazione italiane è limitata oltre che rispetto alla dimensione del portafoglio titoli anche rispetto a quella delle compagnie di altri paesi.
Le compagnie di assicurazione italiane hanno quindi dimostrato, anche in questa circostanza, un comportamento prudente che va in primo luogo a vantaggio dei propri assicurati.
Negli anni recenti, caratterizzati da fortissime oscillazioni dei corsi, il mercato finanziario ha dimostrato di apprezzare il comportamento prudente degli assicuratori italiani. Fatto uguale a 100 il valore di borsa alla fine del 1996, le compagnie italiane valgono ora 236; quelle francesi 199, quelle tedesche 114, quelle del Regno Unito 81.
Ma quello che è più importante è che il rischio associato all'investimento nel settore assicurativo italiano è stato inferiore a quello complessivo del totale del mercato, mentre in Francia, Germania e Regno Unito è risultato essere superiore.
Questo non è un risultato ovvio. Il settore assicurativo svolge una funzione specifica in una economia, assicurando la copertura di rischi, alcuni di straordinaria rilevanza sociale, che singoli individui o imprese non possono gestire. L'attività assicurativa è, quindi, intrinsecamente rischiosa e svolge un rilevante ruolo sociale.
La capacità di gestire i rischi e in ultimo la solidità finanziaria dell'assicuratore sono a garanzia degli assicurati. Per questo motivo, in tutti i paesi del mondo esiste una ampia, dettagliata normativa che regola l'attività assicurativa. Per questo motivo, l'attività assicurativa è soggetta a una vigilanza di tipo prudenziale.
Nell'assicurare i rischi, l'assicuratore partecipa al mercato finanziario. Lo fa quando investe le sue riserve tecniche per essere in grado di rimborsare al meglio i sinistri. L'attività finanziaria di una impresa di assicurazione è quindi strettamente strumentale alla necessità di rispondere ai propri impegni e non costituisce il fine ultimo dell'attività. Ma è bene ricordare che, a differenza di un fondo comune, la compagnia di assicurazione, oltre a investire le riserve tecniche, offre anche la garanzia del proprio capitale, protezione non di poco valore per l'assicurato.
È anche fondamentale ricordare che gli impegni dell'assicuratore hanno, in particolare nell'assicurazione vita, un orizzonte temporale molto lungo. Le riserve tecniche, rappresentative degli impegni assunti nei confronti degli assicurati, si commisurano a oltre 300 miliardi di euro. In un mercato finanziario spesso dominato da ampie oscillazioni di breve periodo, la presenza di intermediari come le assicurazioni è un elemento di riequilibrio, che ha anche certamente un effetto positivo sulla crescita dell'intera economia.
La discussione oggi in atto sulla tutela del risparmio riguarda il disegno istituzionale degli organi di controllo, ma nel ragionare della tutela del risparmio non si può non riflettere sul fatto che l'allungamento della vita umana e la ristrutturazione del sistema pensionistico richiedono e determineranno in Italia un aumento del risparmio di natura previdenziale volto a garantire il mantenimento nel tempo di condizioni di vita dignitose per i cittadini.
Questo è uno dei punti in discussione al Senato in sede di modifica della legge delega in materia previdenziale. Sottoponiamo alla vostra riflessione la nostra convinzione che molto si può fare, anche in quella sede, per la tutela del risparmio. Si tratta, innanzitutto, di offrire ai lavoratori e ai fondi pensione prodotti in grado di ottenere un rendimento garantito sulle somme accantonate. In secondo luogo, occorre disegnare un sistema che, meglio di quello finora prefigurato, permetta una effettiva libertà di scelta tra le diverse forme pensionistiche complementari a vantaggio del lavoratore-risparmiatore.
Riguardo al primo punto, riteniamo che sia soprattutto il risparmio previdenziale che deve essere investito con estrema prudenza e in condizioni di sicurezza anche nel lungo termine. Si rafforza la domanda, dei fondi pensione e dei lavoratori, di prodotti in grado di garantire al momento del pensionamento almeno
l'equivalente di quanto accantonato, maggiorato di un tasso di rendimento prefissato. Noi usiamo dire che il benchmark di riferimento è il TFR, dell'esigenza di evolvere il quale si parla, e che ha certezza di restituzione e tasso di garanzia di rendimento.
La garanzia comporta un costo aggiuntivo, ma è probabilmente un costo che in molti casi può essere conveniente sopportare per tutelare la propria pensione rispetto alle oscillazioni dei mercati finanziari, che possono essere a volte molto intense. Offrire questa garanzia è parte del mestiere tipico delle compagnie di assicurazione. Le compagnie di assicurazione non chiedono privilegi di sorta, ma di poter svolgere il proprio mestiere tipico, operando su un piano di parità concorrenziale con tutti gli altri operatori.
Sul secondo punto, riteniamo che la prima essenziale forma di tutela del lavoratore-risparmiatore sia quella di consentirgli di scegliere il proprio gestore e di cambiarlo tempestivamente in caso sia insoddisfatto. Se non vi è questa libertà, se il lavoratore fosse costretto a rimanere per un lungo periodo di tempo o addirittura per tutta la vita in un determinato piano previdenziale, da chiunque gestito, non vi sarebbe alcun argine non solo all'inefficienza, il che è ovvio, ma anche agli abusi potenziali. I controlli sono indispensabili, così come è indispensabile la correttezza e completezza dell'informazione. Ma gli uni e gli altri sarebbero inefficaci se non vi fossero concorrenza e libertà di scelta. Occorre dunque costruire un sistema nel quale la libertà di scelta possa esprimersi non solo all'avvio del sistema, ossia nel momento del trasferimento del TFR, ma anche successivamente, eliminando gli ostacoli che tuttora esistono rispetto a una piena ed effettiva portabilità della posizione previdenziale.
La specificità dell'attività assicurativa rivolta nella maggior misura alla protezione del rischio, sia relativo al patrimonio di aziende e individui che agli eventi della vita umana, esalta l'imprescindibile esigenza di una normativa adeguata e mirata, in particolare ed innanzitutto, a garantire la stabilità delle imprese di assicurazione. Infatti la nostra industria è chiamata a formulare promesse di intervento risarcitorio all'eventuale verificarsi degli eventi assicurati, a dare garanzie per il futuro, e assumere impegni a medio ma anche a lungo e lunghissimo termine.
È per questo che il legislatore ha da sempre giustamente sviluppato numerosi e articolati interventi normativi in tutte le aree di attività delle imprese di assicurazione. Da lungo tempo, in tutti i principali paesi, si è addivenuti alla creazione di un apposito «ordinamento giuridico settoriale connotato da una propria disciplina pubblicistica che, tra l'altro, prevede una specifica autorizzazione per l'accesso all'attività, una penetrante vigilanza prudenziale e un controllo della operatività assuntiva, gestionale e liquidativa.
Il principio dell'ordinamento settoriale discende oggi in Italia direttamente dalla legislazione comunitaria, così come i principi e le conseguenti regole di comportamento inderogabili per le imprese: mantenimento di elevati e via via crescenti requisiti di capitale a garanzia della solvibilità; costituzione di specifiche riserve tecniche per garantire le obbligazioni assunte con attivi di proprietà delle imprese; indicazione da parte della normativa delle disponibilità con le quali possono essere coperte le riserve tecniche e dei relativi limiti di investimento per garantire il necessario grado di sicurezza, redditività e liquidità, nonché un adeguato grado di diversificazione e dispersione degli investimenti.
La normativa è efficacemente indirizzata a garantire tutte le indispensabili premesse e condizioni operative perché l'assicurato sia garantito - anche nel tempo - circa la capacità economica dell'impresa di assicurazione di mantenere gli impegni contrattuali assunti.
Ciò è facilmente constatabile nei fatti. Basti pensare ai tragici avvenimenti riferibili agli attentati terroristici che hanno colpito gli Stati Uniti l'11 settembre 2001, un evento tragico dal punto di vista umano e che ha comportato entità risarcitorie enormi, impreviste ed imprevedibili. Ebbene,
pur di fronte a questa drammatica situazione, il sistema assicurativo e riassicurativo internazionale è stato capace di assorbire il terribile impatto economico con le proprie forze, senza ricorrere ad aiuti di Stato.
Ciò è stato possibile grazie alla sua solidità, derivante da attenzione, capacità tecnica ed economica oltre che prudenza nella gestione aziendale, certificata dal rispetto della normativa che in tutti i paesi esiste ed è ampia ed esauriente.
In Italia l'Autorità di controllo vigila sulla gestione tecnica, finanziaria e patrimoniale delle imprese di assicurazione e sulla correttezza di comportamento di agenti, broker e periti. Ha poteri di intervento con provvedimenti e atti di natura prescrittiva, accertativa, cautelare e sanzionatoria. Gli obiettivi dell'ISVAP sono quelli di garantire la solvibilità dell'impresa, la solidità del sistema e la correttezza nei rapporti con l'utenza. L'ISVAP rende conto ogni anno dell'attività svolta con una relazione al Presidente del Consiglio dei ministri per la successiva trasmissione in Parlamento.
Le regole, i controlli e il comportamento avveduto degli assicuratori hanno sempre permesso di salvaguardare i diritti degli assicurati che hanno investito i propri risparmi nel settore assicurativo, senza che mai vi sia stata la necessità di un intervento da parte dello Stato.
È da questa constatazione che occorre partire per disegnare un organico sistema di indirizzo, regole e controlli che, forse ancora meglio di quello attuale, permetta il sano sviluppo dell'industria assicurativa in Italia.
Nel disegno di legge per la tutela del risparmio presentato dal Governo lo scorso 3 febbraio, è stata fatta la scelta di mantenere un'autorità specifica, l'ISVAP, per il settore assicurativo. Questa scelta è stata oggetto di qualche critica. Qualcuno avrebbe preferito l'accorpamento dell'ISVAP nella nuova Autorità per il risparmio, altri preferirebbero una più nitida attuazione del modello teorico della separazione delle autorità per funzioni: la stabilità alla Banca centrale e la trasparenza alla nuova Autorità, ferme restando le competenze dell'Antitrust in materia di concorrenza nel settore assicurativo.
A nostro avviso, la scelta fatta dal Governo è quanto mai opportuna. Con la prima opzione - quella dell'accorpamento dell'ISVAP nella nuova Autorità - vi sarebbe stato il rischio di depotenziare la vigilanza di stabilità che, come abbiamo cercato di argomentare, è assolutamente cruciale, certamente non meno di quanto lo sia per le banche. Ciò perché il compito principale della nuova Autorità è di garantire la trasparenza e la correttezza dell'informazione. Con la seconda opzione - quella della suddivisione per funzioni - si farebbe fatica ad allocare un'altra delle funzioni cruciali del controllo sulle assicurazioni, che consiste nella verifica della correttezza dei comportamenti nel ramo danni, un tema che nulla ha a che fare con quello della tutela del risparmio e che si fonda su riferimenti giuridici, tecnici e culturali del tutto diversi.
Sappiamo bene che nessun modello è perfetto e che, in astratto sono possibili diverse soluzioni. Constatiamo, tuttavia, che queste nostre considerazioni trovano ampio riscontro nell'esperienza di quasi tutti gli altri paesi. Un'autorità specifica di settore sulle assicurazioni esiste, infatti, in quasi tutti i paesi europei, tra questi Francia, Spagna, Belgio, Portogallo e Grecia, oltre che negli Stati Uniti. Fanno eccezione paesi, come il Regno Unito e la Germania, che hanno però scelto di avere un'unica autorità di controllo con due caratteristiche specifiche: quella di avere competenze in materia sia di stabilità sia di tutela del risparmiatore-consumatore e quella di essere separata dalla Banca centrale.
Qualora non si faccia questa scelta radicale di una unica Autorità, appare dunque pienamente condivisibile la scelta fatta dal Governo, in base all'esperienza internazionale, oltre che per motivi attinenti alla logica complessiva dell'ordinamento. Nel disegnare un efficace sistema di tutela del risparmio, il disegno di legge ha disciplinato i poteri di vigilanza in maniera differente a seconda della tipologia
dei prodotti assicurativi e ha abrogato l'articolo 100, comma 1, lettera f), del testo unico della finanza che prevedeva l'esenzione dei prodotti finanziari offerti dalle assicurazioni, così come di quelli offerti dalle banche, da quell'insieme di norme cui sono normalmente soggetti gli operatori che sollecitano il pubblico risparmio. Si tratta di un'innovazione della quale comprendiamo le ragioni.
Si viene così ad operare una distinzione all'interno del mondo assicurativo fra prodotti finanziari e prodotti del ramo danni, i quali, in tutto il mondo, sono soggetti ad una normativa penetrante, anche per quanto riguarda la trasparenza, ma affatto diversa da quella dei prodotti finanziari.
Per calibrare correttamente gli interventi normativi, a questa distinzione è opportuno aggiungerne un'altra all'interno dei prodotti finanziari, fra quelli in cui il rischio è interamente o principalmente in capo al risparmiatore, al pari di quanto avviene, ad esempio, in un fondo di investimento, e quelli in cui il rischio è sopportato in misura prevalente dalla compagnia di assicurazione. In questo secondo caso, che si verifica quando vi siano rilevanti garanzie finanziarie o demografiche, il rischio è prevalentemente a carico degli azionisti della compagnia e non dei sottoscrittori delle polizze.
La piena consapevolezza della rilevanza della decisione di prevedere il mantenimento dell'ISVAP e la partecipazione del suo presidente al CICR, oltre che al nuovo comitato permanente di coordinamento tra le autorità di controllo, induce a riflettere sulla possibilità di rafforzare l'organizzazione istituzionale, l'autonomia e le forme di rendicontazione dell'istituto, ancora regolati dalla legge istitutiva del 1982, quando incerta era la sua collocazione istituzionale.
A differenza delle autorità istituite successivamente, l'ISVAP non è un organo collegiale. Una struttura di governo collegiale, analoga a quella prevista per la nuova autorità, coordinata dal presidente e articolata su più commissari, potrebbe risultare ancor più efficiente ed efficace nell'azione di controllo che auspichiamo continui a essere rigorosa senza cadere in eccessi burocratici o in una esasperazione sanzionatoria ingiustificata in un settore industriale efficiente, solido ed esente da coinvolgimenti in scandali finanziari e, ancor di più, esente da scandali ad esso direttamente imputabili.
Naturalmente questo rafforzamento presuppone un sistema equilibrato che identifichi, senza ambiguità, l'autorità politica di indirizzo, alle cui delibere l'organo di vigilanza si conformi, e le adeguate forme di rendicontazione dell'istituto al Governo e al Parlamento.
L'iter parlamentare del disegno di legge si intersecherà con la preparazione del nuovo codice delle assicurazioni, per la cui approvazione entro settembre è richiesto, tra gli altri, il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Con la legge n. 229 del 2003, il Governo ha ricevuto la delega a predisporre il codice delle assicurazioni, con l'obiettivo di raccogliere le norme dell'ordinamento giuridico settoriale preesistenti per motivi di praticità e chiarezza, ispirandosi al principio di semplificazione legislativa. Una commissione tecnica, costituita presso il Ministero delle attività produttive, ha preparato una bozza del nuovo codice, presentata alla metà di dicembre, che, in questi giorni, è oggetto di discussione.
È di tutta evidenza che i due iter legislativi, quello relativo alla tutela del risparmio e quello relativo al codice delle assicurazioni, vanno coordinati. La lettura congiunta delle due normative delinea l'assetto normativo e istituzionale del settore assicurativo che sarà in vigore, per un lungo periodo di tempo, che auspichiamo essere un periodo di forte e sana crescita del settore. Non possono esserci elementi di incertezza ed ambiguità derivanti dal mancato coordinamento delle normative.
GIORGIO BENVENUTO. Approfitto dell'occasione per segnalare che ancora non abbiamo avuto assegnato il disegno di legge elaborato dal Governo (mi riferisco al testo cui si può accedere direttamente dal sito della Presidenza del Consiglio) e ricordo che sono stati presentati molti
altri progetti sul medesimo oggetto, a cominciare da quello del presidente Tabacci.
Vorrei approfondire la questione che è stata sollevata al termine della relazione, quando si è fatto riferimento all'ipotesi di riordinare le authority per funzioni. In questo senso, le audizioni che abbiamo fatto sono state molto utili (lo stesso Governo, rispetto alle posizioni iniziali che erano state espresse dal ministro Tremonti, ha in seguito modificato la sua posizione rispetto alla COVIP e all'ISVAP). In particolare, l'audizione dei rappresentanti della COVIP ci ha fornito dati interessanti. I fondi pensione, da questa gestiti o controllati, non hanno risentito di quello che è avvenuto, essendo stata prevista la loro stabilità, e, a differenza di altri, come quelli stranieri, non abbiamo avuto problemi, ad eccezione di uno dei due fondi pensioni della Banca d'Italia; si tratta del fondo più consistente, che si riferisce ai trattamenti prima del 1993, che ha avuto una disavventura abbastanza rilevante (quel fondo è controllato direttamente dalla Banca d'Italia e non rientra nelle responsabilità e nei criteri previsti per gli altri fondi).
Le nostre osservazioni sull'ISVAP sono dovute alla motivazione che ci siamo allarmati quando, durante questa legislatura, vi è stato il tentativo - poi fallito anche grazie all'opposizione - di sottoporla allo spoil system. Ci siamo trovati di fronte al fatto che i membri dell'ISVAP dovevano essere sostituiti ed abbiamo presentato interrogazioni parlamentari sulla questione (ricordo che vi è stato anche un ricorso al TAR); il ministro ci ha risposto che il principio doveva rimanere fermo e che bisognava lasciare che si proseguisse fino in fondo. Vorrei quindi qualche riflessione da parte vostra sul motivo per il quale una authority non può essere sottoposta allo spoil system.
Inoltre, nella relazione svolta, si è affermato che esiste per le assicurazioni, tranne per due paesi, dove unica è l'autorità, una specialità di vigilanza (di recente questo è avvenuto anche in Francia). Vorrei avere qualche elemento in più sui motivi per i quali ritenete importante che non si verifichi questa soluzione, che si profila in alcune proposte e che all'inizio era stata presentata dal Governo.
Nel corso dell'audizione dei consumatori, ricordo che essi hanno sollevato molte preoccupazioni sui prodotti assicurativi delle banche, soprattutto per quanto riguarda le polizze vita. Avete affrontato questo problema?
Non avendone trovato traccia nella relazione svolta, volevo una valutazione anche su un'altra questione. Il ministro Tremonti, nella proposta che ha elaborato, che riguarda una risistemazione dei compiti e delle funzioni, ha indicato, nell'articolo 42, un meccanismo per tutelare i risparmiatori. La questione piuttosto delicata, riferita alla tutela dei risparmiatori, prevede una delega per un sistema di indennizzo di tipo mutualistico o assicurativo per i danni patrimoniali che possono verificarsi ai danni risparmiatori. Un meccanismo di questo genere pone anche varie problematiche e mi interessa conoscere la vostra opinione su quella che è l'unica indicazione che viene fornita a tutela del risparmio.
Sosteniamo con molta forza il problema della class action nel nostro paese e riteniamo che sia fondamentale avere uno strumento che riconosca le associazioni dei consumatori e li metta in grado di agire. Questo, perché fornisce una rappresentatività ai risparmiatori, evitando che gli stessi possano essere vittime, oltre che dei rovesci finanziari subiti, di avvocati o improvvisatori che li indirizzino ad intentare delle cause; inoltre, può diventare uno strumento oltre che di tutela anche di deterrenza, come accade oggi negli Stati Uniti. Al riguardo esisteva una disponibilità da parte del Governo, che però non si è mai esplicitata. Ci sono comunque delle proposte di iniziativa parlamentare che sono in discussione.
A questo punto vorrei un giudizio in riferimento da parte del presidente Cerchiai, anche perché, come ho segnalato in altre audizioni, trovo singolare che in Italia non si possa procedere con la class action, mentre nel caso Parmalat le nostre associazioni di consumatori, tramite accordi
con le associazioni dei consumatori operanti negli Stati Uniti e nel Canada, possono costituirsi nei confronti della società. Mi sembra singolare che uno debba emigrare all'estero per far valere le proprie ragioni. Cosa ne pensa la vostra associazione della class action? Ritenete sia utile per stabilire nuovi rapporti che semplifichino il sistema delle tutele e che, allo stesso tempo, rappresentino una deterrenza nei confronti dei fenomeni similari a quelli accaduti in questi giorni?
VINCENZO CANELLI. Le società di revisione hanno il compito di accertare la veridicità e la corrispondenza dei dati espressi in bilancio con la realtà. Tempo fa alcune società di revisione, soprattutto nel milanese, pur di chiudere degli incresciosi episodi arrivarono a transazioni dell'ordine di circa 120 miliardi di lire. È chiaro che la società di revisione, qualora non abbia svolto nel giusto modo il proprio lavoro, risponde per i danni che si verificano. È anche ovvio che il patrimonio delle società di revisione non è adeguato. Nella vostra relazione si fa riferimento ai rischi che le società di assicurazioni incontrano per il caso Parmalat, ma non si fa alcun riferimento ai rischi che corrono le società di assicurazione qualora abbiano coperto con una polizza assicurativa l'attività delle società di revisione coinvolte. Vorrei sapere se le società di revisione in Italia ricorrono alla copertura assicurativa e, eventualmente, in che misura. Quali sono, inoltre, i criteri che le compagnie di assicurazione seguono per fissare i limiti dei rischi da coprire?
NICOLA ROSSI. Nel primo paragrafo, laddove si parla dell'esposizione delle compagnie del caso Parmalat, si fa riferimento ai rapporti diretti fra le compagnie di assicurazione. In altri casi in cui si sono verificate delle difficoltà in alcune aziende industriali, mi riferisco in particolare a casi avvenuti all'estero, il problema principale riguardava il trasferimento di rischio dalle aziende di credito alle compagnie di assicurazione attraverso derivati su credito; per quanto riguarda questo specifico aspetto si è proceduto allo stesso modo?
ALBERTO FLUVI. Vorrei riprendere il ragionamento svolto prima dall'onorevole Benvenuto per sollecitare un ulteriore approfondimento sul ruolo delle autorità di vigilanza nel settore specifico delle assicurazioni.
Dalle prime notizie di stampa successive all'esplosione del crac Parmalat, quando vi sono state dichiarazioni di fuoco da più parti e sembrava si volesse rivoluzionare l'intero sistema delle autorità di vigilanza, ho avuto l'impressione che si sia poi arrivati, perlomeno dal testo che ci è dato conoscere, ad una sorta di lifting delle autorità di garanzia già esistenti. Allo stesso modo inizialmente era previsto l'accorpamento di COVIP ed ISVAP in un'altra autorità, mentre nel testo conosciuto si mantengono entrambi.
Premetto che io condivido l'idea di mantenere una autorità di vigilanza autonoma per il settore di assicurativo, anche perché come ha già detto il presidente dell'ISVAP nella propria relazione, di cui leggo testualmente un passaggio, risulta: «che la penetrazione del settore assicurativo sul totale dell'economia italiana è testimoniata da un rapporto dei premi sul PIL in continua crescita che nel 2002 ha raggiunto il 7 per cento a fronte del 6,2 per cento del 2001». Già la sola lettura di questi dati ci fornisce il senso dell'importanza del settore assicurativo, che dimostra una tendenza alla crescita che, mio avviso, sarà costante nel tempo, anche perché questo settore sta cominciando a svilupparsi anche al di là dei suoi ambiti tradizionali. Un settore destinato a crescere come quello assicurativo, che non è riconducibile esclusivamente all'interno del settore finanziario, ha necessità di una autorità di vigilanza non solo autonoma, ma anche più forte di quella attuale. Nella sua relazione lei fa riferimento alla possibilità di rafforzare l'organizzazione istituzionale, l'autonomia e le forme di rendicontazione dell'istituto ancora regolate dalla legge istitutiva del 1982; che cosa intende quando parla di rafforzamento?
Per quanto mi riguarda, sono per dare piena dignità di autorità all'ISVAP - svincolandola ancor più, però, dalle compagnie di assicurazioni - nonché, se mi è consentita l'espressione, una maggiore capacità di repressione.
Vorrei, quindi, rivolgere anch'io una domanda sulla class action; infatti, all'inizio dell'anno, abbiamo avuto modo di avviare un confronto su un tema riguardante in maniera particolare il settore assicurativo delle RC-auto; ricordo tutta la vicenda dei giudici di pace, che poi è stata risolta nel modo a tutti noto. A tale riguardo, ritengo che, oltre a riflettere sulle autorità di vigilanza, il Parlamento debba cominciare, altresì, a meditare, nell'ambito di dei lavori di questa indagine conoscitiva, sugli strumenti da apprestare per la tutela del consumatore e del risparmiatore, intesi più come soggetti collettivi che come singoli. Dunque è possibile - punto a mio avviso centrale, del quale abbiamo avuto modo di discutere anche nei mesi passati -, che la class action, assieme ad una rafforzamento delle autorità di vigilanza, sia lo strumento atto, in tal caso, a dare un'ulteriore garanzia al mercato, al risparmiatore ed al consumatore?
RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Signor presidente, onorevoli colleghi, vorrei ricordare - a me stesso, in quanto non vi è alcun bisogno di rammentato al presidente dell'ANIA - che fin dall'inizio, quando fu reso noto il disegno di legge del Governo che ipotizzava un'unica autorità, ho manifestato la mia contrarietà. Era per me ben chiaro come le quattro autorità abbiano - peraltro, anche secondo l'ultima stesura del provvedimento - ruoli, funzioni, competenze diverse e, quindi, eguale validità ed importanza: infatti, il rischio finanziario è diverso da quello previdenziale, e quest'ultimo da quello assicurativo. Quindi, era la specificità stessa del bene tutelato a postulare la sussistenza di varie autorità.
Venendo ora all'audizione dei rappresentanti dell'ANIA - peraltro, colgo l'occasione per ringraziare il presidente dell'associazione per la sua partecipazione e per la relazione molto chiara ed esaustiva esposta in questa sede -, desidero evidenziare che emerge, anzitutto, un quadro di buona amministrazione. Si è mantenuto un comportamento prudenziale, che ha ridotto il rischio al minimo inevitabile; nel complesso, l'esposizione finanziaria delle compagnie italiane, secondo quanto da lei riferito, sarebbe di 125 milioni di euro mentre l'esposizione del ramo cauzioni ammonterebbe solamente a 228 milioni di euro, di cui 30 garantiti.
Ad un tempo, tale gestione prudente si è accompagnata ad una progressiva, costante e quasi inesorabile capitalizzazione delle assicurazioni italiane; a tale riguardo, è significativo l'indice da voi fornito: dato, in ipotesi, un valore di borsa uguale a cento nel 1996, attualmente le compagnie italiana varrebbero 236.
Vengo, ora, alle domande che intendo rivolgere, delle quali la prima esula dalla materia riguardata dai lavori dell'indagine conoscitiva; ebbene, sono note le polemiche - di cui vi è eco sulla stampa di questi giorni - circa la richiesta, avanzata da tutte le associazioni dei consumatori, di abbassare le tariffe per quanto riguarda il rischio auto. A mio avviso, sarebbe importante, a tale proposito, che le Commissioni riunite ricevessero una sua opinione in questa sede, anche alla luce delle rilevazioni fatte in seguito all'applicazione del nuovo codice della strada e in base ai dati forniti dal Ministero dell'interno.
Si deve anche tenere conto che il 2003 è stato un anno molto positivo per quanto riguarda la redditività. Vero è che essa raggiunge, in tal caso, i livelli europei - non distaccandosi molto, in termini percentuali, da qualche decimale oltre l'unità - e che sarà reinvestita; però, anche i risparmi degli assicurati verrebbero reinvestiti nell'economia nazionale e, quindi, gli effetti, poi, si avrebbero analogamente.
L'altra domanda, invece attinente all'oggetto dell'indagine, è la seguente. Tutte le autorità, audite (o, almeno, la maggior parte dei soggetti intervenuti) hanno espresso un giudizio circa le nuove funzioni
e la nuova configurazione del CICR, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Ebbene, le rivolgo una domanda proprio nell'ottica della specificità delle quattro autorità, e quindi della loro forte autonomia, che deve essere salvaguardata e garantita; in una democrazia pluralistica, quante più numerose sono le istituzioni completamente indipendenti dal potere politico ( e, quindi, le autorità), tanti più spazi di libertà vengono garantiti. Il problema dello spoil system cui faceva riferimento il collega Benvenuto, è determinante anche in tal caso; spero, naturalmente, che tale logica sia seguita anche quando saranno al Governo altre maggioranze. Ciò, in quanto, di solito, tali petizioni di valori e tali affermazioni di buone intenzioni sono sempre a senso unico; comunque, speriamo che ciò avvenga e che non si proceda più alle nomine quando si è alla vigilia della campagna elettorale. Nomine che durano 7 anni e che, quindi, condizionano almeno le due legislature successive; al riguardo, vi dovrebbe essere una moralizzazione in senso generale.
Mi interesserebbe molto ricevere un vostro giudizio circa la configurazione del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio.
FRANCESCO TOLOTTI. Le rivolgerei, presidente, una breve domanda; anche la mia, peraltro, per così dire, esula dal tema specifico dell'indagine.
Vorrei chiedere al presidente se, sull'esempio di quanto previsto dalle assicurazioni francesi in relazione alla diminuzione degli incidenti, anche le assicurazioni italiane si stiano orientando - in ipotesi, per l'anno prossimo - ad un ritocco verso il basso dei premi assicurativi della RC-auto.
FRANCESCO PONTONE, Presidente della 10a Commissione permanente del Senato. Vorrei rivolgere alcune domande al presidente dell'ANIA.
Per quanto riguarda i fondi pensione, lei sostiene che, eventualmente, vi sarebbe anche la libertà, per il lavoratore, di poter cambiare. Siccome sono a lungo termine, come potrebbe un lavoratore, ad un certo momento, abbandonare un'assicurazione per passare ad un'altra? Vi sarebbe un prolungamento? Si può operare un collegamento tra le due in modo che il lavoratore non venga danneggiato?
Sostiene che chiedete soltanto di essere liberi, operando su un piano di parità con tutti gli altri operatori. Quali sarebbero gli altri operatori, le assicurazioni sociali esistenti o anche quanti operano in altri campi?
Quanto, infine, alla conflittualità, ne esiste una tra l'ISVAP e le assicurazioni? E come si è verificata la conflittualità con l'Antitrust, la quale è dovuta intervenire nel momento in cui si è creato un cartello tra le assicurazioni?
Per quanto riguarda la RC-auto, chi aveva ragione, quando più volte ci siamo incontrati ed io le chiedevo una riduzione dei premi mentre lei obiettava che non era possibile? Oggi, infatti, ciò è possibile, in special modo per quanto riguarda Napoli e la Campania; per la prima volta, effettivamente si sta verificando una concorrenza tra le assicurazioni, concorrenza dianzi mai esistita. Forse, è mio il merito o non è stato, piuttosto, delle assicurazioni, le quali hanno avuto una redditività maggiore, anche in seguito all'operatività del nuovo codice della strada?
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti e do la parola al dottore Cerchiai per la replica.
FABIO CERCHIAI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA). Signor presidente, con il suo consenso, e con quello dei deputati del Commissioni riunite, chiederei, fin d'ora, l'autorizzazione della presidenza a che integri le mie repliche, qualora risultassero incomplete, il mio collega, professore Galli, direttore generale dell'ANIA.
Ebbene, cercherò di esplicitare ancora meglio, se ne sarò capace, perché sia convincimento del settore assicurativo che sia pienamente condivisibile - dal nostro punto di vista, è chiaro: ma nel rispetto,
altresì, dell'interesse generale - il mantenimento di una autorità specifica di controllo per il settore assicurativo, come stabilito dal disegno di legge presentato dal ministro Tremonti e dal Governo.
Ho cercato di chiarirlo; e proverò, in tal senso, a sottolineare i punti fondamentali. Intanto, le compagnie di assicurazione lavorano molto nei rami danni e quando gestiscono il risparmio ne gestiscono uno di tipo particolare che, in linea generale, tranne che per una minoranza di prodotti, è di medio, lungo o addirittura lunghissimo periodo, se ci spostiamo nel settore previdenziale.
La stabilità diventa la prima garanzia per il sottoscrittore risparmiatore perché qualunque tipo di efficiente gestione finanziaria a medio e breve termine non necessariamente corrisponde al soddisfacimento del bisogno di fondo, ovvero quello dell'appagamento della promessa a lunghissimo periodo. Quando parliamo di una Authority, con libertà di manovra ben disciplinata - come avviene in tutti gli ordinamenti europei e non solo - da un impianto normativo che stabilisce guidelines ben determinate, che eserciti una vigilanza di tipo prudenziale, ci riferiamo ad un meccanismo le cui regole siano stabilite a monte, ciò che forse impedirà la massimizzazione dei risultati in taluni momenti ma rappresenterà, al tempo stesso, un bene per tutti, per gli assicurati innanzitutto e per le compagnie: è preferibile rinunciare a qualche massimizzazione nel breve periodo rispetto all'ottimizzazione conseguibile nel medio e lungo termine.
L'indicatore di borsa che abbiamo ritenuto di collocare nella nostra relazione parte dal 1996, ovvero considera tutti gli anni in cui si sono verificate salite e cadute del mercato borsistico.
Si vuole sostanzialmente indicare come il sistema assicurativo italiano - criticato, come loro ben sanno, in alcuni anni dagli analisti finanziari da cui è stato ritenuto «conservatore» per aver rispettato scrupolosamente una normativa di investimento di tipo prudenziale -, ha poi ottenuto riconoscimento dagli stessi mercati finanziari nel medio termine, che è sempre il periodo in cui una compagnia di assicurazione, per definizione, si deve collocare.
Il breve periodo deve invece essere ignorato quando si opera nel settore assicurativo, e in proposito, la grande difficoltà è proprio quella di resistere alle pressioni dei mercati finanziari che tendono a valutare, mi sia consentito senza vis polemica, un po' come accade per la RC-auto, i risultati giorno per giorno, piuttosto che esaminarli in un mese o rispetto ad certo un segmento.
Nel caso della finanza, i nostri finanzieri non sono incapaci, anzi credo che i numeri ottenuti dimostrino un'abilità oltre la media; la loro attività, però, non deve essere tesa a massimizzare un risultato, ma a «garantirlo», ciò che corrisponde ad un concetto di finanza importantissimo e profondamente diverso. Il primo punto da considerare è la stabilità. A meno che non si arrivi ad una soluzione drastica della questione, per esempio stabilendo un'unica Autorità con due anime, ho difficoltà a capire come potremmo compiere passi in avanti, facendo confluire, per il settore assicurativo, la funzione essenziale, preliminare e indispensabile, di protezione della stabilità - che ha specificità ben precise, come è stato ricordato, e certamente non meno marcate di quelle sottolineate nel caso degli istituti di credito, sotto certi profili ancor più evidenziate -, in una Autorità che ha un'importantissima funzione, fondamentalmente correlata solo alla tutela del risparmio (uno dei settori in cui opera l'industria assicurativa), e per giunta ad una tutela del risparmio a breve periodo, piuttosto che a un risparmio di tipo previdenziale, il quale ha tutta un'altra base culturale e giuridica.
In particolare, per quanto riguarda i prodotti finanziari sono disponibile a usare la terminologia corrente che poi è quella con cui la gente comune si esprime. Chiamiamoli pure, dunque, indistintamente « prodotti finanziari » senza però perdere di vista la differenza esistente tra un prodotto finanziario A e uno Z. Il prodotto finanziario A, è quello rispetto a cui il risparmiatore si assume direttamente
il rischio dell'investimento nell'ipotesi in cui l'operazione non andasse a buon fine (è il caso del prodotto azionario, obbligazionario della singola azienda, ad esempio)
Il prodotto Z è quello rispetto al quale il rischio resta a carico dell'impresa che garantisce il risultato. Quindi quel rischio non graverà sul risparmiatore ma sull'azionista della compagnia di assicurazione. Sarà l'impresa di assicurazione con il suo patrimonio ad intervenire, eventualmente coprendo il differenziale mancante tra il risultato dell'investimento e la promessa a suo tempo formulata. Questa è un'altra area, che è poi quella prevalente della raccolta del risparmio assicurativo, assolutamente importante da gestire con criteri di tipo diverso, anche in termini di normazione, di prescrizioni regolamentari.
È evidente che le riserve di assicurazione dovranno essere costituite con degli attivi di tipologia diversa da quelle che invece si utilizzano per altri tipi di prodotti. Anche in questo caso vi è il dovere di fondo di corrispondere con apertura e lealtà a quanto la gente si aspetta. Se un investimento è qualificato come garantito, dovrà essere garantito, diversamente dovrà esistere la consapevolezza del risparmiatore di rischiare. In tal senso, il risparmiatore verrà tutelato in altro modo. Non dico, pertanto, che possono esistere prodotti rispetto a cui non dobbiamo essere trasparenti, sostengo però che la sola trasparenza non tutela rispetto ad alcuni tipi di prodotti, mentre diventa assolutamente l'unica arma di garanzia per altri.
Per quanto attiene ai prodotti assicurativi di natura più pacificamente finanziaria, ne abbiamo fatto cenno nella nostra nota.
Nella precedente normativa, era previsto - per il solo fatto che fossero prodotti gestiti da compagnie di assicurazione, e quindi anche da banche-assicurazione, una esenzione da obblighi di informazione specifici (di prospetto, obblighi connessi a coloro che sollecitano il pubblico risparmio). Questo ha una propria logica e continua ad averne. Ciò nondimeno, l'attuale impostazione del disegno di legge prevede che la nostra Autorità specifica di settore, l'ISVAP, su questa tipologia di prodotti debba sentirsi con l'Autorità del risparmio e stabilire delle norme specifiche; sta all'ISVAP individuarle ma sta alla collaborazione fra le due Autorità definire.
Comprendiamo le ragioni di ciò, dopo fatti come quelli che si sono verificati anche se abbiamo dimostrato che tali eventi non sono assolutamente collegabili a i citati tipi di prodotti finanziari perché, come avete visto, investimenti del settore assicurativo in questi «disgraziati» bond noi non vi sono comunque stati e la normativa, tra l'altro, non permette di farli se non in misura assolutamente limitata. Non voglio tediare i presenti con i coefficienti contenuti nelle disposizioni regolamentari dell'ISVAP; sottolineo comunque che, anche nei fondi assicurativi più rischiosi, non si può investire più del 5 per cento degli attivi in bond senza rating o in bond di società non quotate, oppure la dove sono quotate debbono avere un rating con certe caratteristiche.
L'attività di vigilanza dell'ISVAP è assolutamente penetrante, è tesa non a stabilire delle norme comportamentali di massima, ma ad organizzare dei presidi di difesa specifici per l'assicurato risparmiatore. E questo mi sembra assolutamente condivisibile.
Il rafforzamento dell'ISVAP è da noi vissuto in maniera esclusivamente positiva che rientra nel vecchio adagio «male non fare, paura non avere». L'unica paura che abbiamo è di una eventuale authority burocratica e pesante, che comporti costi, lacci e lacciuoli, che non sono i presidi a difesa, ma eccessi formalistici per proteggere e mostrare la propria funzione di intervento. Ma siamo favorevoli ad una authority penetrante che stabilisca regole e si confronti con il soggetto controllato. Ciò, naturalmente, non significa tenere conto di ciò che afferma il soggetto vigilato, ma prendere atto di come l'industria si muova, vivere il mercato e stabilire regole severe e rigorose.
Il suggerimento, che con moderazione ci siamo permessi di fornire, è di far compiere un passo avanti, se il Parlamento
lo riterrà, all'ISVAP, che nasce come ufficio distaccato dell'allora Ministero dell'industria a cui si è dato un ruolo autonomo e non, a differenza di altri organismi, come authority destinata ad una propria autonomia. Questa struttura risente degli anni e delle impostazione di allora, quando nel momento in cui è stata istituita rappresentava un passo avanti, che non è detto rappresenti ancora. Siamo favorevoli al passaggio da una struttura monocratica ad una collegiale (certamente non ho la necessità, in questa sede istituzionale, di sottolineare le positività delle sedi collegiali rispetto a quelle monocratiche) con un presidente, una pluralità di commissari e quindi una organizzazione politica, nel senso positivo del termine, dell'autorità, in modo molto più efficiente ed efficace di quella che potrebbe essere basata sulla responsabilità politica affidata ad una unica persona.
Aggiungo che questa struttura dovrebbe essere al riparo da spoyl sistem di Governi di qualsiasi «colore» politico, dato che la propria funzione è connaturata alla qualità delle persone cui si attribuisce un compito così delicato ed importante, per cui non ha importanza quali convinzioni politiche abbiano. In questo momento in cui si ripensa il sistema, se si arrivasse a rafforzare l'opera, secondo me assolutamente positiva, che l'ISVAP ha svolto in questi anni, mettendola in grado di operare ancora più efficacemente, compiremmo un servizio che darebbe garanzia alle compagnie di assicurazione e, soprattutto, agli altri.
Ho qualche dubbio sulla possibilità che il sistema assicurativo possa soddisfare il sistema dei risparmiatori come copertura assicurativa nei riguardi eventuali impatti che dovessero ricadere da situazioni di frodi evidenti come il caso Parmalat. È noto che, quasi per principio, la clausola esclusiva di un contratto di assicurazione, nel senso di escludente la sua validità, è la frode. Valuto con maggior favore fondi di tipo solidaristico. Gli stessi fondi interbancari in caso di fallimento degli istituti di credito hanno tali caratteristiche. Da sempre abbiamo, e dal giorno della mia nomina a presidente ho fatto mio e penso di averlo mantenuto con molta coerenza, l'impegno di essere aperti a qualsiasi confronto, discutere qualsiasi possibilità con la massima trasparenza, ma credo che il sistema assicurativo difficilmente troverà strumenti industriali che permettano di gestire tale problematica, anche se, qualora fossimo chiamati a valutare dal punto di vista operativo questa possibilità, garantiremo la massima collaborazione.
La class action non è un tema riferibile esclusivamente al sistema assicurativo, ma è emerso in un contesto in cui si è evidenziato che altri sistemi, ritenuti validi, manifestavano difficoltà di tenuta su altri fronti. Non abbiamo alcuna preclusione contro l'introduzione di una previsione di class action nel sistema giuridico. Ci permettiamo di evidenziare che nell'innestare nuove soluzioni è necessario avere presente ciò che già esiste e, con una pausa di riflessione, valutare come l'innesto si inserisca.
La seconda considerazione è la seguente: class action non significa soltanto la class delle associazioni dei consumatori. Se il Parlamento introdurrà la class action nell'ordinamento giuridico italiano ogni class avrà diritto di esercitare la propria action. Le associazioni dei consumatori non debbono essere di per se titolate a fare una cosa mentre, ad esempio, i sindacati non possono compierla; chiunque costituisca una classe omogenea potrà agire. Il primo punto sarà definire cosa è una classe. Sarà necessaria una strutturazione giuridica di un istituto pienamente accettabile e che può servire a dare più rapidamente chiarezza, ma che dovrà essere coordinato con un impianto ed un ordinamento giuridico basato su una cultura individualistica che discende da molto lontano, di tipo diverso dalla class action.
Per quanto attiene alle società di revisione, la maggior parte di queste fa parte di grandi gruppi internazionali, quindi ha coperture assicurative di responsabilità fatte dalla capogruppo, che in linea di massima è americana (la maggior parte delle società di revisione sono controllate da holding con sede negli Stati Uniti) con
coperture assicurative su mercati americani e su quello internazionale, ma non sul mercato italiano. Non vi è alcun riferimento, nella nostra relazione, ad eventuali responsabilità delle società di revisione, in quanto esse non sono soggette a copertura assicurativa da parte di imprese italiane. Non posso risponderle con sicurezza se esse abbiano coperture assicurative, anche se credo di sì date le loro ampie dimensioni. Si tratta di un rischio molto complesso da assicurare. Per assicurare è necessario definire la portata della copertura e quindi delimitare in qualche modo il rischio, altrimenti sarebbe impossibile da un punto di vista industriale dare copertura. Una attività che probabilmente il Parlamento dovrà affrontare sarà definire quale sia la responsabilità di una società di revisione in situazioni, come queste, in cui essa non abbia vigilato appropriatamente. Sarà necessario capire fino a quale punto la responsabilità sia diretta ed imputabile a loro.
Gli eventuali rischi da derivati su credito non sono assicurati e quindi non hanno ripercussioni sulla nostra esposizione.
Per quanto riguarda la COVIP la nostra posizione è identica a quella riguardante l'ISVAP. Riteniamo che il risparmio previdenziale debba essere tutelato in modo specifico e che sia bene che esista una tutela ad esso «traguardata».
Per quanto riguarda il CICR, riteniamo che, in un sistema come il nostro, sia importante avere un'autorità di controllo forte, autonoma, molto presente, che lavori affianco al mercato, il quale, peraltro (come è stato giustamente sottolineato e di questo ringrazio) non ha particolarmente «demeritato», non solo in questa vicenda ma anche in linea storica.
Al tempo stesso, riteniamo che la tecnica abbia sempre bisogno di un governo che si ponga al di sopra, che sia un governo politico, che assicuri l'interesse generale del paese.
Riteniamo, quindi, che l'indirizzo all'authority debba provenire da un organismo politico: questa è una tutela per tutti, non soltanto per i soggetti vigilati ma anche - e prima - per i soggetti che si intende proteggere, perché garantisce la qualità del risultato complessivo.
Per quanto attiene ai fondi pensione, egregio presidente Pontone, deve esserci la libertà di cambiare. Noi vorremmo (peraltro, lo prevede anche l'impianto della delega così come è all'esame del Senato oggi) che fosse garantita al lavoratore la cosiddetta «portabilità». In altre parole, dopo il periodo che il legislatore deciderà (siano tre o cinque anni), una volta fatta la scelta di un fondo assicurativo piuttosto che di un fondo pensione negoziale o, ancora, di un fondo aperto (non importa lo strumento scelto), deve essere attribuito al lavoratore l'insindacabile diritto (visto che si tratta non solo dei suoi soldi ma anche del suo futuro, in un'età in cui è peraltro è difficile apportare delle correzioni, posto che non si ha più un reddito ma si gode di quello eventuale per ciò che si è compiuto prima) di cambiare la scelta che, a suo tempo, consapevolmente, aveva fatto.
Francamente, di questo siamo profondamente convinti; ne abbiamo discusso nuovamente meno di una settimana fa (ricordo bene la data perché, essendo il ministro Maroni milanista ed io laziale, quel giorno si giocava la partita Milan-Lazio ed egli aveva scommesso che avrebbe vinto il Milan, che poi ha perso quattro a zero).
Ritengo che possiamo offrire il massimo di garanzie stabilendo le regole. Quest'ultimo è un compito che spetta al legislatore, il quale non fa solo l'arbitro. Le authority sono poi incaricate di fare gli arbitri.
Tuttavia, una volta stabilite le regole, ivi comprese quelle di trasparenza, di informazione e via dicendo, si deve lasciare al lavoratore - ripeto - il diritto, ogni tre o cinque anni, di rifare la sua scelta e decidere (essendo la propria pensione complementare un aspetto così delicato) liberamente di spostare i soldi da una parte all'altra.
Questo ve lo dice il rappresentante del settore assicurativo che, tradizionalmente,
è il settore meno flessibile dal punto di vista degli accantonamenti perché noi abbiamo politiche di investimento di lungo periodo. Però, ci rendiamo conto che, per quanto riguarda il risparmio previdenziale, a nostra volta, se vogliamo avere i nostri spazi, dobbiamo diventare disponibili a permettere al lavoratore di portare via i soldi che ha accumulato (più l'eventuale interesse che gli è stato garantito qualora quest'ultimo ci fosse) e depositarli in altro fondo.
Quindi, il soggetto che gestisce questi fondi, sia esso il fondo aperto, sia esso il fondo pensione o la compagnia di assicurazione, si assume un rischio imprenditoriale: se non è stato capace di mantenere la «fidelizzazione» del risparmiatore (perché dopo quattro anni egli è insoddisfatto), gli ridà i suoi soldi e perde così l'accantonamento, perché quel soggetto ha comunque il diritto di correggere la propria scelta.
La seconda cosa che chiediamo è la seguente: lo stesso fondo negoziale, nella sua libertà di scelta, deve potere decidere, se lo ritiene, una parte dei suoi attivi in prodotti con garanzia, cioè in prodotti assicurativi, cosa che la legge di ieri proibisce.
Francamente, non riesco a capire perché, visto che si tratta di facoltà, cioè si tratta di dargli una possibilità, così come si ha la possibilità di azzardare - ma ovviamente non lo si fa - non sia ha invece la possibilità di garantirsi! Francamente, tutto questo sfugge al senso comune.
Gli altri operatori, presidente Pontone, sono le banche, i fondi pensione aperti, i fondi pensione negoziali, cioè tutti quei soggetti che la legge prevede come istituzionalmente capaci e abilitati a raccogliere risparmio previdenziale.
Per quanto riguarda le RC-auto, presidente Pontone, secondo il mio modesto parere, lei aveva torto su un'unica cosa, cioè a non fidarsi di quanto le dicevo.
Lei è fermamente convinto - quasi sempre - di avere ragione ma ne è certo quando non si fida di me. Invece, io le avevo detto che ci sono, a mio avviso, i presupposti per poter rappresentare alle compagnie di assicurazione la possibilità di prendere in particolare conto gli assicurati cosiddetti virtuosi, cioè quelli che si trovano nella massima classe di sconto perché non hanno avuto incidenti da molti anni.
Lei mi ha risposto indicando delle misure: il dieci, il quindici e il sette per cento, ma antitrust, libertà di concorrenza e norme comportamentali, impediscono di indicare una misura; questa volta, quindi aveva soltanto sbagliato a non fidarsi di questa affermazione. Infatti, le compagnie di assicurazione alle quali è stato rivolto l'invito (a me è stato rivolto dal ministro delle attività produttive), hanno preso atto, sia pure con modalità completamente diverse l'una dall'altra (ma questa è la concorrenza e non posso certo, come presidente dell'ANIA, stabilire io riduzioni le tariffarie o proporle) dell'invito e delle possibilità ad esso connesse.
Presidente Pedrizzi, si è preso atto del fatto che finalmente nel ramo auto la situazione sta in piedi. Come ho già affermato in precedenza in televisione, lo ripeto in questa sede: non si può dire che il reddito dell'RC auto è incrementato del 582 per cento! O meglio, un'affermazione del genere si può anche fare, ma ricorda i tempi di Stalin, quando si facevano statistiche che nel passaggio da una mucca a tre mucche indicavano un incremento del 300 per cento, affermando che l'URSS andava meglio degli Stati Uniti, dove con qualche milione di mucche, si avevano incrementi solo del due per cento!
In realtà, oggi i bilanci ci dicono che i margini sono - come lei ha correttamente ricordato - poco al di sopra dell'uno per cento del fatturato, il che, come ho affermato in televisione, significa che se il nostro settore rinunciasse a qualunque margine di profitto (anche se non è mai saggio per un'industria rinunciare a tutti i suoi margini di profitto), le tariffe si potrebbero scontare dell'uno per cento.
RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Qualche assicurazione però ha già provveduto a farlo!
FABIO CERCHIAI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA). Più di qualcuna, perché la concorrenza porta a confrontarsi anche personalizzando queste dimensioni e mentre un abbattimento frontale non è giustificato dagli attuali andamenti tecnici (qualcuno può anche far ciò posto che con i propri capitali ognuno fa quello che vuole e può usarli come meglio crede), la personalizzazione del rischio, invece, è fondamentale.
Come lei avrà notato per tutti gli sconti, ormai, quasi tutte le grandi compagnie li hanno comunicati. Anche sotto questo aspetto, sono stato particolarmente attento e non ho voluto ricevere alcuna comunicazione a riguardo. Ho appreso la misura degli sconti dai giornali perché, purtroppo, c'è un clima di sospetto generale da parte dell'antitrust per cui basta semplicemente che io venga a sapere un secondo prima della relativa uscita sul giornale che qualche compagnia riduce magari del due per cento, che subito ne esce un cartello sulle compagnie di assicurazioni.
Questo è il lato negativo della vigilanza, quando essa arriva a superare l'aspetto di collaborazione e cooperazione che deve esserci con i settori, soprattutto se si tratta di settori industriali efficienti. Così, non ho voluto sapere nulla. Ho chiesto che venisse informata direttamente la stampa.
Pure essendo il presidente dell'ANIA, quindi, leggo dai giornali che molte compagnie di assicurazione stanno selettivamente articolando le loro tariffe, andando incontro, per primi, ai clienti virtuosi e, ancor prima, a quelli nelle aree dove, a suo tempo, c'erano stati gli aumenti di premio più rilevanti. Questo mi sembra assolutamente coerente con i fatti.
Per quel che riguarda il quadro complessivo, facciamo nostri i dati del Ministero dell'interno. Ripeto anche in questa sede che quei dati non rappresentano nemmeno il 5 per cento dei sinistri complessivi e riguardano sinistri autostradali, per cui i dati generali ci dicono che il numero dei sinistri, al 30 settembre 2003, è diminuito del 4 per cento, a fronte di un aumento del costo medio che compensa questa diminuzione. La mia previsione è che la tendenza alla diminuzione del numero di incidenti continuerà e quindi scenderanno le tariffe, esattamente come sono aumentate quando il costo dei sinistri saliva e questo è un dato che conferma la nostra credibilità.
RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Vorrei fare una domanda velocissima. In sede di legge finanziaria, il Governo propose un'assicurazione obbligatoria sulla casa. Desidero conoscere la sua opinione al riguardo.
LORIS GIUSEPPE MACONI. Anch'io le rivolgo una domanda brevissima. Lo stato della concorrenza ha aspetti che coinvolgono la riorganizzazione e distribuzione della rete assicurativa in Italia, che è molto dispersa e molto frammentata. Più volte in Parlamento abbiamo affrontato dibattiti sul cambiamento della natura del rapporto tra agente e compagnia attraverso l'introduzione anche in Italia della figura dell'agente monomandatario. Vorrei sapere se lei ritenga che questa misura potrebbe incrementare la concorrenza tra le compagnie.
FABIO CERCHIAI, Presidente dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA). Nella legge finanziaria tale misura, se non ricordo male, era semiobbligatoria, perché l'obbligo di copertura riguardava i rischi catastrofali, in relazione a chi avesse una polizza incendi: se qualcuno non era assicurato contro gli incendi non era obbligato, ma lo Stato avvertiva che in caso di catastrofe non sarebbe intervenuto economicamente.
La valutazione politica sulla possibilità di continuare a tenere a carico dello Stato provvedimenti di sostegno in caso di catastrofi naturali spetta ovviamente al Parlamento e al Governo. Quello che posso
dire, come rappresentante degli industriali assicurativi, è questo: se si ritiene che, almeno per l'abitazione privata, dove il verificarsi delle catastrofi naturali è ormai un evento a cadenza quasi annuale per quel che riguarda le alluvioni, debba esserci una copertura assicurativa efficace, come è stato fatto negli altri paesi, occorre prevedere una obbligatorietà tale da garantire la collettività degli assicurati più ampia possibile, perché altrimenti non si verifica il fondamentale fatto della mutualità tra assicurati.
Avevamo fatto dei calcoli e quella copertura assicurativa sarebbe costata, se non ricordo male, per un'abitazione media di un valore di 100 mila euro, tra i settanta e i cento euro l'anno a persona, alla portata delle tasche di tutti. L'altra cosa che non è possibile evitare di prevedere, in caso di catastrofi di grave intensità, è l'intervento dello Stato come assicuratore finale.
Rispondo all'ultima domanda sulla distribuzione: sono per l'assoluta libertà di figure e la condizione ottimale di mercato richiede la compresenza di agenti monomandatari, plurimandatari e brokers. Non è stabilendo a priori le forme distributive che si realizza la migliore concorrenza.
I brokers sono mandatari dei clienti che di fatto sono utili a chi non vuole rivolgersi ad un agente. Gli agenti plurimandatari esistono già con l'assetto normativo attuale e possono ulteriormente svilupparsi. Sono disponibile a vedere come articolare meglio la figura degli agenti plurimandatari, ma credo al fatto che un mercato libero debba restare libero nelle sue forme distributive, attraverso tutte queste tipologie di soggetti che prestino il loro servizio a favore degli assicurati in modo vincolato come sono vincolati verso la compagnia. Credo quindi in una rete distributiva multiorganizzata.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'ANIA per il suo intervento e dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 10,35, è ripresa alle 10,45.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti fra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione del professor Marco Onado, docente presso l'università Bocconi di Milano. Prima di dare la parola al professor Marco Onado, vorrei presentare le scuse da parte del presidente La Malfa, il quale è assente perché bloccato a Parigi da uno sciopero dei controllori di volo francesi.
Ringrazio per la sua disponibilità il professor Marco Onado, che è un esperto delle materie di cui ci stiamo occupando nel contesto di questa indagine conoscitiva.
MARCO ONADO. Sono onorato di essere stato invitato ad offrire un contributo di riflessione sui problemi oggetto dell'indagine di queste Commissioni parlamentari.
In premessa, vorrei ricordare che il tema della tutela del risparmio, di rilievo costituzionale, si è posto e si pone in Italia in forme nuove e drammatiche, da qualche anno, per un motivo di carattere generale molto semplice, ossia che fino a pochissimi anni fa (fino alla metà degli anni novanta) la maggior parte della ricchezza finanziaria delle famiglie era rappresentata da depositi bancari o da titoli di Stato. Pertanto, si trattava di titoli dall'attività finanziaria priva di rischi, salvo quello dell'inflazione.
Con le trasformazioni che si sono realizzate dalla metà degli anni novanta in poi (il risanamento delle finanze statali e la realizzazione della moneta unica) è aumentata notevolmente la quantità di attività rischiose presenti nel portafoglio finanziario delle famiglie e la composizione del risparmio italiano è diventata molto vicina a quella di tutti gli altri paesi.
Proprio nel momento in cui avvenivano queste trasformazioni abbiamo avuto una serie di gravi episodi, che vengono normalmente definiti come di «risparmio tradito».
Tali episodi hanno diverse caratteristiche ed eziologie, ma è bene ricordarli: le obbligazioni bancarie strutturate particolarmente complesse, che hanno caricato di rischi notevoli il risparmiatore non completamente consapevole; i titoli dell'Argentina; Bipop (la banca non è di certo fallita, ma ha costituito una parte non piccola della bolla speculativa che ha indotto in tentazione, per usare un termine evangelico, tanti risparmiatori e li ha illusi); le numerose aziende quotate sul Nuovo mercato (Finmatica è solo l'ultima in ordine di tempo); infine, i casi più clamorosi di Cirio e Parmalat.
Su questi due ultimi dissesti vale la pena di mettere in evidenza un aspetto particolare: per la prima volta in un dissesto industriale il peso principale del crack è sopportato da risparmiatori individuali e non da banche o dallo Stato, come era successo in precedenza in Italia.
Questo è il panorama nel quale si pone il problema che dobbiamo affrontare, ossia quello di dare una risposta a questi episodi e di realizzare un principio di carattere costituzionale.
Nel mio intervento mi soffermerò, in particolare, sul tema della ripartizione delle competenze fra autorità di vigilanza, anche perché è quello più vicino alla disciplina che insegno; passerò poi ad esaminare il problema della relazione fra la regolamentazione di primo livello (e l'azione delle autorità di vigilanza) e il tema della corporate governance delle imprese. Infine, mi soffermerò sul problema dei rapporti fra banca e impresa, con particolare riferimento alle criticità emerse nei recenti scandali.
Per quanto riguarda l'assetto ottimale della regolamentazione finanziaria, non è necessario che io ricordi che vi sono tre fondamentali finalità: la stabilità, la protezione dell'investitore e la concorrenza. Il tema della stabilità si compone, a sua volta, di tre sottobiettivi: la stabilità dei prezzi, dunque il controllo dell'inflazione; la stabilità macroeconomica dell'intero sistema finanziario, cioè la prevenzione di crisi bancarie di natura sistemica; la stabilità microeconomica, cioè il mantenimento di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale a livello di singola istituzione, che si realizza attraverso quella che viene normalmente definita come vigilanza prudenziale. Queste tre finalità sono perseguite nei vari paesi con diverse soluzioni.
In un recente articolo della Banca centrale europea, che ho trovato molto interessante, si analizzano le tendenze in atto nei paesi europei e si mette in evidenza che ci sono tre macro tendenze. La prima è che ovunque si è ridotto il numero delle autorità competenti e, in questa riduzione, si è arrivati all'organizzazione attorno a tre modelli: quelli per soggetti - realizzato in Grecia, Spagna, Francia e Portogallo -, quelli cosiddetti con regolatore unico - realizzati in Austria, Germania, Danimarca, Irlanda, Svezia, Regno Unito e, prossimamente, Belgio -, ed infine quelli per finalità (realizzati in Italia e in Olanda). Ricordo che con l'espressione regolatore unico si intende una situazione in cui la vigilanza micro, e cioè la terza delle tre componenti che ho ricordato, è affidata allo stesso organismo che vigila sulla tutela del risparmio; non si tratta, però, dell'unico regolatore, perché alla banca centrale continuano ad essere affidati gli altri due livelli di vigilanza di stabilità, mentre le competenze in materia di concorrenza restano affidate all'autorità competente di ciascun paese. Questa è la prima tendenza.
La seconda tendenza è che le banche centrali rimangano largamente coinvolte nella vigilanza micro di stabilità; anche nei paesi che ho ricordato prima, con i modelli a cosiddetto regolatore unico, la distinzione della parte micro di stabilità dalle altre due non è così netta, perché rimangono comunque poteri informativi o poteri di intervento.
La terza macro tendenza è che sono stati ovunque introdotti meccanismi formalizzati di cooperazione e di coordinamento tra le diverse autorità competenti.
L'Italia è considerata come uno dei paesi che adottano un modello di vigilanza di stabilità. In realtà, già alla situazione attuale, è una soluzione ibrida, perché si intersecano elementi di vigilanza per soggetti
- tipicamente le assicurazioni e i fondi pensione -, elementi di distinzione per finalità tra Consob e Banca d'Italia ed elementi di anomalia, come l'attribuzione alla Banca d'Italia delle competenze in materia di antitrust.
La soluzione della vigilanza per finalità non è la soluzione più frequente; però, non si tratta di un'eccezione in campo europeo e, anche dal punto di vista teorico, esistono forti posizioni per sostenere che sia la soluzione migliore per separare i conflitti di interesse che possono esservi tra i vari obiettivi. Del resto, molti fanno notare che il modello del regolatore unico non ha ancora accumulato sufficienti esperienze perché si possa sostenerne la superiorità.
Sulla questione delle finalità, vorrei mettere in evidenza che occorre che la legge le espliciti formalmente e che l'esplicitazione nel nostro ordinamento risente della stratificazione successiva, per cui abbiamo un'indicazione molto ampia per quanto riguarda le finalità attribuite alla Banca d'Italia nel testo unico del 1993 ed una separazione tra Banca d'Italia e Consob nel testo unico della finanza del 1998, riferito soltanto agli strumenti finanziari.
Ricordo che, nella Financial Services Authority inglese, le finalità sono indicate in modo più pregnante e specifico e soprattutto sono esplicitate le condizioni da rispettare nell'azione di vigilanza.
Da una analisi comparata emergono due osservazioni. Innanzitutto, se si intende realizzare, in senso pieno, una distinzione di vigilanza per finalità, occorre rivedere gli articoli del testo unico bancario e del testo unico della finanza dedicati a questo aspetto. Ricordo che l'articolo 5 del testo unico bancario appare molto esteso (tra l'altro, vari autori come Gustavo Minervini, fin dall'approvazione del testo unico, avevano messo in evidenza che il concetto di sana e prudente gestione, che significativamente non compare in altre legislazioni e, in particolare, nel testo inglese, rischia di ampliare notevolmente i margini di discrezionalità dell'autorità di vigilanza). L'altro aspetto è che le finalità di trasparenza dovrebbero mettere al centro i risparmiatori.
Il disegno di legge che è stato presentato realizza la seconda condizione (l'articolo 2, comma 1, infatti, afferma che l'autorità esercita i propri poteri al fine di assicurare la tutela del risparmio e degli investitori), ma, a mio parere non l'altra. Il comma 2 dello stesso articolo afferma che è attribuita, in via esclusiva, alla Banca d'Italia la finalità della stabilità dei soggetti sottoposti alla vigilanza della stessa. Se questo, come credo, non sostituisce l'articolo 5 del testo unico bancario, ne deriva un'attribuzione di competenze ampia e contenente un elemento, la competitività, che, da una parte, si vorrebbe spostare verso altra autorità e, dall'altra, dovrebbe essere riferita alla competitività del sistema italiano nel sul complesso rispetto agli altri paesi e non già alle condizioni interne dei mercati domestici.
Sarebbe poi utile indicare i criteri ed i vincoli cui devono ispirarsi le autorità di vigilanza nell'esercizio delle proprie funzioni, quali l'efficienza e la trasparenza dei processi decisionali, l'efficacia e l'efficienza dell'organizzazione interna e la congruità del costo della regolamentazione.
Vengo ora a trattare ciascuna delle tre finalità, analizzando le soluzioni proposte nel disegno di legge. Come ho già detto prima, credo che sia condivisibile la soluzione di affidare le tre forme di stabilità ad un'unica istituzione e, quindi, di mantenerle presso la Banca d'Italia. Come dimostra la ricerca condotta dalla Banca centrale europea, nelle cinque principali esperienze di modelli a regolatore unico, la banca centrale è fortemente coinvolta in almeno tre casi e limitatamente in due.
Il problema fondamentale è che la distinzione per finalità non è realizzata in modo completo, in quanto il comma 2 dell'articolo 2 prevede che restano attribuiti alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione e all'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo i rispettivi poteri e competenze.
Cercherò di dimostrare che questa soluzione non è razionale e rischia di aumentare ulteriormente i costi della regolamentazione, senza aumentarne l'efficacia rispetto alla situazione attuale.
Per quanto riguarda la razionalità del disegno, bisogna distinguere tra le materie di competenza dell'ISVAP e quelle di competenze della COVIP.
In tutti i sistemi finanziari, compreso il nostro, sono cadute le tradizionali distinzioni fra banche, assicurazioni ed imprese di investimento, cioè fra i tre macro settori che componevano l'intermediazione finanziaria, come, vent'anni fa, la spiegavo ai miei studenti.
In particolare, i prodotti assicurativi, come quelli del ramo vita, sono sempre più in concorrenza con quelli bancari e finanziari. I prodotti assicurativi, come le polizze unit-linked, per citare il caso più conosciuto, hanno un contenuto finanziario fondamentale, se non prevalente, essendo diretti concorrenti con i prodotti offerti da banche e fondi comuni di investimento.
Vi sono almeno cinque aspetti che meritano di essere sottolineati per dimostrare la necessità di una disciplina unitaria. Ciascuno di essi forse di per sé sufficiente. Il primo è che, dal punto di vista dei rapporti con i risparmiatori, le assicurazioni vengono sempre analizzate all'interno della più ampia categoria del risparmio gestito e non si vede perché essendo unica la categoria non debba essere unica anche l'autorità che presiede alla tutela. In secondo luogo, in Italia la quota della cosiddetta bancassicurazione nella assicurazione vita rappresenta ormai la maggioranza assoluta del mercato e raggiunge valori fra i più elevati. In percentuale del mercato totale essa rappresenta il 54 per cento, valore secondo solo alla Francia e nettamente superiore a quello degli altri paesi europei, che oscillano fra il 15 ed il 25 per cento. Terzo aspetto, in Italia esistono ormai 22 conglomerati finanziari, ancora una volta il secondo valore in Europa, superiore ai 16 della Germania e ai 10 della Francia. In altre parole le tre forme di attività (banche, imprese di investimento, assicurazioni) si sono ormai strettamente integrate all'interno di gruppi polifunzionali, per cui non possono che essere assoggettati a vigilanza uniforme. In quarto luogo, le imprese di assicurazione hanno aumentato la loro esposizione al rischio di credito, acquistando obbligazioni, strumenti finanziari come le asset-backed securities e, soprattutto, derivati sul credito, che sono usciti dai portafogli bancari e sono entrate nei portafogli delle assicurazioni, suscitando anche più di una preoccupazione da parte della Banca dei regolamenti internazionali. Infine, anche per effetto di questa importante tendenza, la vigilanza di stabilità delle compagnie di assicurazione tende ad abbandonare gli schemi logici ed operativi del passato e tende sempre più ad avvicinarsi all'imposizione di coefficienti patrimoniali analoghi a quelli applicati alle banche. Sull'ultimo numero dell'Economist vi è un articolo sulle assicurazioni europee che dimostra ulteriormente questa tendenza.
In definitiva, il mantenimento di una autorità di vigilanza in campo assicurativo non è coerente né con la teoria economica né con l'evoluzione in atto nei principali sistemi finanziari. La conseguenza non può che essere o una vigilanza prudenziale meno efficace o un aumento dei costi della regolamentazione o qualsiasi combinazione fra le due cose. Se la minor efficacia dipendesse da un atteggiamento più benevolo nei confronti dei soggetti vigilati, si tratterebbe di una forma impropria e pericolosa per attenuare i maggiori costi della regolamentazione.
Parzialmente diverso è il caso dei fondi pensione. La particolare natura dei cosiddetti fondi «contrattuali» (impropriamente chiamati «chiusi») e la contiguità con temi sindacali piuttosto che finanziari giustifica l'attribuzione di competenze in materia di autorizzazione e di linee organizzative generali ad un'istituzione separata da quella competente in materia finanziaria, come avviene ad esempio nel Regno Unito. In altre parole i fondi pensione contrattuali sono intermediari sui generis e quindi possono essere attribuiti ad un'autorità
ad hoc. Ritengo invece che la competenza in materia di trasparenza non possa che essere attribuita alla Autorità di tutela del risparmio per l'ovvia contiguità che esiste con le forme private previdenziali e con tutte le altre forme di investimento del risparmio.
La distinzione per finalità comporta ovviamente che ciascun soggetto vigilato sia sottoposto alla competenza di tre diverse autorità. Si pone il problema fondamentale di coordinare e semplificare il lavoro delle due autorità che intervengono nella gestione quotidiana delle imprese, l'Autorità di tutela del risparmio da una parte e la Banca d'Italia dall'altra, per evitare raddoppi di costi o, comunque, zone di sovrapposizione inefficienti. Il tema della semplificazione non deve essere dimenticato perché la riforma deve essere comunque amica del mercato e non imporre ai soggetti vigilati costi irragionevolmente elevati e superiori a quelli degli intermediari concorrenti di altri paesi. A tale proposito vorrei mettere in evidenza due aspetti.
Primo. Le autorizzazioni «sentita» un'altra autorità raddoppiano i tempi ed i costi per i soggetti vigilati senza che si abbia un sostanziale miglioramento in termini di risultato finale. Una piena realizzazione della vigilanza per stabilità richiede che una singola autorità assuma la piena ed esclusiva responsabilità, salvo, ovviamente, la circolazione delle informazioni.
Secondo. Credo che un problema particolare si ponga per le società di gestione del risparmio, sottoposte oggi ad un controllo abbastanza penetrante di stabilità, nonostante la teoria economica abbia da tempo messo in evidenza come in questi intermediari i profili di stabilità siano ridotti al minimo in quanto le variazioni del valore dell'attivo sono interamente assorbite dai possessori delle quote. L'aggravio di oneri che ne deriva per le società di gestione del risparmio è una causa non ultima della delocalizzazione verso Lussemburgo ed Irlanda che abbiamo sperimentato negli ultimi anni. Fermo restando il potere autorizzativo della Banca d'Italia alla costituzione, si potrebbe pensare al trasferimento in capo all'Autorità per la tutela del risparmio di alcuni poteri attualmente di competenza della Banca d'Italia, primo fra tutti l'approvazione del regolamento del fondo, che è in larga misura simile al prospetto informativo, di ovvia competenza Consob. Ma anche tutte le autorizzazioni previste dall'articolo 37 e seguenti del testo unico della finanza dovrebbero, a mio parere, essere trasferite ad un'unica autorità.
Per quanto riguarda la regolamentazione della concorrenza, come è noto il disegno di legge prevede una soluzione condivisibile sul piano teorico abolendo l'articolo 20 della legge n. 287 del 1990, che illustri giuristi, in tempi non sospetti, avevano considerato come «una disposizione oscura che sembra sfuggire a qualsiasi canone interpretativo». Vorrei spendere però due parole in riferimento alla doppia autorizzazione prevista dal disegno di legge. Occorre chiedersi se la soluzione proposta sia la più efficace. È vero che è importante l'obbligo di specifiche motivazioni, imposto al comma 3 dell'articolo 29, ai fini di eventuali ricorsi, ma va ricordato che vari autori hanno messo in evidenza i pericoli che possono derivare da questa soluzione, soprattutto in mancanza di linee guida definite dal legislatore. In alternativa, andrebbe valutata la proposta del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, secondo cui «l'organo di vigilanza potrebbe prima della decisione dell'Autorità esprimere un pare motivato non vincolante nei casi in cui la stabilità delle banche richieda la realizzazione di operazioni che creano o rafforzano una posizione dominante». Quest'ultima soluzione appare preferibile. Infatti nel campo delle possibilità esistono solo quattro alternative: o i giudizi coincidono oppure divergono. Nei casi in cui i giudizi coincidono naturalmente la seconda soluzione è simile alla prima, ma con una procedura più semplice. Qualora invece i giudizi divergano, la soluzione «Tesauro» fa salvo il caso in cui alla valutazione negativa dell'Antitrust per possibile costituzione di una posizione dominante si
contrapponga una valutazione positiva dell'autorità competente per la stabilità (ad esempio qualora una banca patrimonialmente fragile venga assorbita da una più robusta). Il caso di contrasto opposto ( parere antitrust favorevole - parere negativo per motivi di stabilità) non è facilmente configurabile a priori, sembra riguardare i casi in cui la banca acquirente non sembri idonea sotto il profilo patrimoniale o manageriale: ma la Banca d'Italia ha il potere di agire su situazioni simili con l'innalzamento dei coefficienti patrimoniali e tale possibilità verrà notevolmente ampliata con l'entrata in vigore del nuovo accordo di Basilea.
Questa mi sembra la via maestra per conciliare vigilanza di stabilità e processi di concentrazione. In caso contrario, la regolamentazione sarebbe inutilmente sovradimensionata perché avremmo un unico obiettivo e due strumenti.
La seconda considerazione che vorrei svolgere riguardo al tema della concorrenza è la seguente; l'obiettivo che si vuole realizzare, attribuendo le competenze in materia di concorrenza all'Autorità antitrust è anche quello di rendere più efficiente il cosiddetto mercato del controllo proprietario delle banche. Le norme oggi vigenti non sono solo quelle di cui all'articolo 20 della legge n. 287 del 1990; sono anche quelle recate dal testo unico bancario le quali prevedono le autorizzazioni alla detenzione di partecipazioni in aziende bancarie; è, perciò, anche al decreto legislativo n. 385 del 1993 che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione.
L'autorizzazione è necessaria, ovviamente, come forma essenziale di vigilanza di stabilità ed è prevista dal comma 1 dell'articolo 19 della legge bancaria, in base al quale la Banca d'Italia autorizza preventivamente l'acquisizione di quote superiori al 5 per cento del capitale della banca. Il comma 2 prevede inoltre che la Banca d'Italia autorizzi preventivamente le variazioni della partecipazione quando comportino passaggi di soglie che essa ha il potere di determinare e che nelle istruzioni di vigilanza risultano fissate al 10, 15, 20, 33 e 50 per cento (e comunque al raggiungimento del controllo).
A me sembra che questa seconda previsione sia fortemente limitativa del mercato del controllo proprietario e sia una delle cause fondamentali dell'accentramento di poteri, da molti criticato anche per la sua limitata trasparenza, in capo alla Banca d'Italia. Si tenga presente, fra l'altro, che, essendo la maggior parte delle banche quotate sul mercato regolamentato, per esse vale il principio del testo unico dell'intermediazione finanziaria in base al quale, al momento del superamento della soglia del 30 per cento, scatta l'obbligo dell'OPA e, dunque, si mettono in moto i controlli nonché le autorizzazioni dianzi ricordate. Invece, al di sotto di questa soglia, la legge ha voluto lasciare libertà al mercato del controllo proprietario, salvo il dovere di informare il mercato medesimo comunicando il superamento della soglia del 2 per cento del capitale o delle altre previste dalla Consob (fissate in percentuali intermedie rispetto a quelle testé citate). Non vedo perché tale principio debba soffrire un'eccezione così vistosa nel caso del mercato del controllo proprietario delle banche. A mio parere, appare opportuno abolire la previsione recata dal comma 2 dell'articolo 19 o al massimo fissare (per legge) una soglia unica al 30 per cento in modo da parificare in sostanza le banche quotate a quelle non quotate.
Tratterò molto rapidamente il terzo pilastro della regolamentazione attinente alla trasparenza; implicitamente, infatti, ho già riferito al riguardo. Condivido l'abolizione dell'articolo 100 del testo unico dell'intermediazione finanziaria, ampiamente criticata dalla Consob fin dalla sua origine; ho messo in evidenza i motivi per i quali la regolamentazione della trasparenza per i prodotti assicurativi e per i fondi pensione vada affidata all'autorità di tutela del risparmio.
Vorrei ribadire che la soluzione scelta dal disegno di legge non solo, a mio parere, non è razionale, ma aumenta sicuramente i costi della regolamentazione
rispetto alla situazione attuale, in quanto prevede il sovrapporsi, per «l'intesa», dell'Autorità di tutela del risparmio a quella di ISVAP e COVIP (secondo comma dell'articolo 2).
Vorrei anche spendere una parola per quanto riguarda la criticità rappresentata dall'articolo 129 del testo unico bancario; si tratta della norma che ha originato tante polemiche con riferimento ai casi Cirio e Parmalat. Tale disposizione, come ha chiarito il Governatore, esclude «qualsiasi valutazione di carattere economico sulla convenienza dei titoli offerti o sul grado di solvibilità dell'emittente»; proprio ciò mette in evidenza che la norma riflette una situazione, oggi del tutto superata, in cui i mercati finanziari erano di piccola dimensione e la politica monetaria si adottava all'interno dei confini nazionali. Una situazione nella quale forte era il pericolo che la limitatezza del mercato obbligazionario creasse tensioni nello svolgimento della politica nazionale italiana. Oggi, i mercati sono molto più ampi e la politica monetaria si svolge a livello europeo; quindi, in sintesi, il potere previsto dall'articolo 129 non merita di essere trasferito ad altra autorità ma va semplicemente abolito. Del resto, ha osservato il Governatore che «negli altri paesi non esistono forme di controllo analoghe».
Infine, per quanto riguarda le norme sulla trasparenza, vorrei spendere una parola circa l'opportunità di stabilire una separazione netta tra l'ambito delle obbligazioni emesse per gli investitori qualificati e quello della circolazione delle obbligazioni presso gli investitori privati. È stato proposto, sia da Consob sia da Assonime, un limite temporale di un anno analogo a quello degli Stati Uniti; a mio avviso, forse, sarebbe utile anche un periodo più lungo e, comunque, questa soluzione mi sembra più efficace e meno «attaccabile» sotto il profilo della legittimità giuridica rispetto all'estensione della responsabilità civile dei soggetti organizzatori.
Vengo brevemente, quindi, all'organizzazione istituzionale delle autorità; come ricordavo all'inizio, le riforme realizzate in Europa si segnalano anche perché contengono previsioni importanti per quanto riguarda: il coordinamento e la circolazione delle informazioni; l'indipendenza delle autorità; il dovere di rendere conto del proprio operato; la parità di rango fra le varie autorità. L'istituzione di un comitato permanente tra le principali autorità, mi sembra una soluzione importante per realizzare la prima delle condizioni indicate.
Per quanto riguarda l'indipendenza, si tratta di tema troppo ampio per poterlo trattare in questa sede; rispetto alle posizioni già espresse nell'ambito dei lavori di questa indagine, vorrei, però, ricordare che l'esistenza di un meccanismo di raccordo tra Esecutivo e autorità non è, a mio parere, di per sé limitativo dell'indipendenza. Quindi, il mantenimento del CICR, salvo diversa formulazione dei poteri, è coerente con l'obiettivo dell'indipendenza; maggiori perplessità suscita, invece, l'approvazione da parte del Parlamento di un programma di attività. Francamente, il significato della disposizione mi pare oscilli tra il rito di approvazione di un documento formale - elemento, quindi, poco utile - e la pericolosa anticipazione di programmi operativi che qualsiasi «generale» ha sempre preferito tenere per sé.
Ritengo che la parità di rango - uno degli altri aspetti da tenere presente - sia importante e richieda omogeneità ragionevole nei meccanismi di nomina, nella collegialità dell'organo di vertice, nelle forme di accountability. Ovviamente, tale riforma non può occuparsi di tutti questi elementi. Però, sarebbe a mio avviso opportuno e necessario dare almeno un segnale in questa direzione; ad esempio, con la previsione del termine per la nomina del Governatore.
Qualche cenno per quanto riguarda il funzionamento dei meccanismi di mercato.
I casi che ho ricordato all'inizio, in particolare Parmalat e Cirio, ma anche Bipop, sono espressione di una lista lunghissima di fallimenti delle regole di corporate governance che avevamo appena scritto. E si badi che, pur risultando regole ovviamente perfettibili, come tutte, non
erano e non sono di per sé distanti anni luce da quelle adottate in tutti gli altri principali paesi. Da una parte, dunque, vi è il problema di riscrivere meglio le regole di corporate governance, dall'altra la necessità di far funzionare quelle esistenti. Vorrei svolgere tre rapide considerazioni. In primo luogo, la pubblicità data alle modalità concrete di adesione alla corporate governance per le società quotate è stata insufficiente, affidata com'è solo alla relazione di bilancio delle singole imprese, e alle forme sintetiche di riepilogo comparato realizzato da Assonime. In secondo luogo, è ormai evidente che il concetto di indipendenza dell'amministratore è stato interpretato a senso unico, in modo favorevole all'azionista di controllo. Interpretazioni più stringenti appaiono necessarie, sia per assegnare un ruolo di garanzia e non di gestione ai presidenti delle società quotate, sia per definire in modo più stringente il concetto di indipendenza degli amministratori e in particolare dei componenti il comitato di audit. Non sarebbe in contraddizione con il ruolo dell'autodisciplina fissare per legge questi principi. È del resto da tutti accettato che quando il mercato fallisce sia il regolatore a dover intervenire. In terzo luogo, appare necessario risolvere il problema delle sanzioni e la mancata applicazione delle norme di autodisciplina. È una contraddizione in termini dire che l'organo pubblico può irrogare sanzioni per norme liberamente emanate e sottoscritte dai componenti una determinata professione, ma è invece opportuno specificare bene quali siano i poteri di sanzione, in primo luogo delle società che gestiscono i mercati, nei confronti di infrazioni e eventualmente prevedere la possibilità di sanzioni della Consob nei confronti dei soggetti che emanano codici poi non applicati.
Vengo, dunque, al problema del rapporto tra banca e impresa. La difesa della separatezza tra banca e impresa è stata una delle stelle che hanno guidato la Banca d'Italia nella sua azione di vigilanza. Oggi essa è affidata a tre strumenti: il divieto delle imprese di superare il 15 per cento del capitale delle banche; l'autorizzazione al superamento delle soglie fissate dal comma 2 dell'articolo 19 che ho già ricordato e l'articolo 136 del testo unico bancario che impone l'approvazione all'unanimità da parte del consiglio dei fidi concessi a membri del consiglio stesso. Di questi strumenti solo il primo mi sembra oggi necessario, ma ovviamente non sufficiente. Il secondo, anche sotto questo profilo, appare superato perché non si vede su quali basi l'Autorità di vigilanza potrebbe desumere dal passaggio (poniamo) di una partecipazione da 9,9 al 10, 1 per cento l'intenzione di un azionista-imprenditore di passare da un ruolo di semplice investitore a quello di utilizzatore privilegiato di credito. Ciò è dimostrato anche dal fatto che nel caso Bipop la Banca d'Italia non trovò elementi per negare ad un imprenditore (e che imprenditore: si trattava di Mauro Ardesi) l'autorizzazione a superare la soglia del 10 per cento.
La terza norma, quella dell'articolo 136, assicura pubblicità all'interno del consiglio di amministrazione e degli organi sociali, ma non appare sufficiente di fronte ai problemi attuali. Occorre infatti osservare che il problema della separatezza si pone in termini diversi rispetto al passato. Al desiderio delle imprese di disporre di una fonte privilegiata di finanziamenti (ma più per acquisizioni di altre imprese che per investimenti produttivi) si accompagna il desiderio delle banche e del top management di non modificare gli assetti proprietari. La grande disponibilità che banche e imprese hanno reciprocamente dimostrato negli ultimi tempi in termini di partecipazione delle seconde al capitale delle prime, trova spiegazione in queste convenienze convergenti: sostegno del management bancario, protezione dell'indebitamento cumulato, accesso privilegiato ai servizi finanziari, anche diversi dal credito (ad esempio l'organizzazione di emissioni azionarie o obbligazionarie).
Ne viene, come conseguenza, che la difesa della separatezza tra banca e impresa va affidata a nuovi strumenti. Oltre la barriera assoluta del 15 per cento, occorre estendere l'obbligo di approvazione da parte del consiglio (eventualmente
con maggioranza qualificata di due terzi degli aventi diritto) a tutte le operazioni finanziarie (e non solo i prestiti) compiute in favore dei membri del consiglio e di azionisti industriali aventi una partecipazione superiore ad una certa soglia (ad esempio 5 per cento). Occorre, inoltre, prevedere che le imprese non possano investire né entrare nel consiglio di amministrazione né partecipare a patti di sindacato nelle banche verso cui abbiano un'esposizione superiore ad una certa percentuale (ad esempio 15 per cento) del proprio indebitamento finanziario lordo complessivo.
Ritengo siano queste le condizioni oggi richieste per rispondere ad un problema importante che si sta ponendo a proposito di un intreccio tra banche ed imprese teso ad assumere forme nuove e diverse rispetto al passato, ciò che, non a caso, è in testa al titolo di questa indagine conoscitiva. Concludo, con il dire che le linee indicate si muovono lungo tre direttrici: la prima è quella di razionalizzazione. In proposito, ho già precedentemente spiegato come una vigilanza per stabilità debba essere organizzata in modo diverso, sotto alcuni aspetti, rispetto a quanto previsto nel disegno di legge. La seconda linea è quella della semplificazione: corriamo il rischio di avere una riforma che aggiunge ulteriori e forti oneri a quelli già esistenti; infine vi è l'esigenza di una autentica responsabilizzazione delle forze di mercato.
PRESIDENTE. Come avete potuto sentire, il professor Onado ha presentato una relazione puntuale e davvero importante ai nostri fini. In ragione dei tempi limitati di cui disponiamo e dell'esigenza di svolgere entro termini congrui la successiva audizione del sottosegretario di Stato per la giustizia Vietti, invito i colleghi a contenere la durata dei loro interventi. Il professor Onado integrerà eventualmente la propria relazione, peraltro già esaustiva, con memorie successive sulla base delle domande che voi porrete.
NICOLA ROSSI. Il professor Onado, forse, ci potrà chiarire meglio un punto emerso precedentemente ma che ha trovato risposte ancora vaghe in alcune delle audizioni precedentemente svolte. Mi riferisco all'estensione del concetto di vigilanza di stabilità. In una situazione in cui le banche hanno largamente mutato la loro pelle e non si limitano più, come una volta, alla raccolta del risparmio e all'erogazione del credito ma offrono un'ampia gamma di servizi finanziari - dietro cui spesso e volentieri si celano anche conflitti di interessi -, le modalità con cui questi servizi vengono erogati possono incidere sulla reputazione del sistema bancario nel suo complesso.
È legittimo pensare che in questo caso la vigilanza di stabilità possa a sua volta mutare pelle per seguire l'evoluzione del mercato finanziario? Poiché i titoli di tutte le principali banche di questo paese sono caduti tra il 9 dicembre e oggi, dal 15 al 50 per cento, è legittimo pensare che questo abbia implicato qualche carenza nell'attività di vigilanza?
ALFIERO GRANDI. In audizione, il presidente dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha dichiarato di essere stato beffato; altri hanno sostenuto ragioni analoghe. C'è evidentemente un problema di incapacità di far funzionare i controlli, a partire dall'interno dell'impresa. Vorrei sapere su questo aspetto qualcosa di più di quanto è stato presentato. Non vi è dubbio che nel sistema americano il problema sia stato risolto con un controllo molto preciso, soprattutto sugli istituti di revisione all'interno dell'impresa. Ieri abbiamo sentito anche Assirevi in questa direzione, ma riteniamo che la risposta fornita non sia stata soddisfacente. Vorrei pertanto, da parte sua, un chiarimento sul sistema dei controlli nell'impresa, per l'affidabilità che poi ne deriva nei confronti del mercato e del sistema bancario.
In secondo luogo, vengo al rapporto tra banca e impresa, banca generale e superamento di fatto della situazione che abbiamo avuto per anni dopo le crisi dei primi anni del secolo scorso. Le incompatibilità sono l'unico modo per non regredire
rispetto alla banca di carattere generale, francamente però mi sembrano poche quelle previste attualmente. Non sarebbe preferibile porre le premesse per una condizione analoga a quella stabilita nei confronti di EDF, quando ha acquistato il capitale di Montedison? Ad EDF venne di fatto sospesa l'operatività e l'influenza sugli assetti azionari e sul comportamento di impresa.
Lei ha parlato, infine, della possibilità di utilizzare il limite di un anno, ad esempio, per trattenere i bond nelle mani degli intermediari: ieri, in corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica, v'è stato un interessante spunto utile alle nostre riflessioni, a proposito dell'esigenza di evitare che l'intermediario venda «ciarpame» come è accaduto in questo periodo. Si è suggerito di superare il problema della distinzione tra bond richiesti e offerti, con l'idea che questi rimangano sempre bond di responsabilità dell'intermediario, tranne prova contraria. Tale provocazione, anche di natura giuridica, è un po' ardita, ma non priva di qualche interesse. In effetti, il limite di un anno, di per sé, non è forse sufficiente a raggiungere questo obiettivo.
Non ho trovato convincente la proposizione da lei espressa sulla concorrenza del sistema bancario. Non possiamo prescindere dalla situazione che ci ha condotto a ciò, ma se in materia di concorrenza il punto di vista fosse quello tout court delle autorità gran parte del sistema bancario italiano sarebbe semplicemente «inglobato» in quello europeo ed internazionale. Occorre tenere conto di ciò perché la concorrenza del sistema bancario ha caratteristiche che, almeno per un periodo, richiedono una mediazione con la realtà.
LANFRANCO TURCI. A proposito del rapporto tra Autorità antitrust e Banca d'Italia, lei, professore Onado, evidenzia, nella sua ampia illustrazione, con alcune statistiche, un problema irrisolto nell'ipotesi in cui la Banca d'Italia ritenga necessaria una fusione per impedire il fallimento di una banca con conseguenti effetti sistemici e l'Antitrust ritenga invece di bloccarla per ragioni connesse alla dominanza del mercato. Mentre nelle altre ipotesi lei trova una via d'uscita, in questo caso il problema rimane irrisolto.
Inoltre, alla luce dell'evoluzione del capitalismo italiano e delle privatizzazioni via indebitamento, che abbiamo visto essere il modello dominante nelle grandi privatizzazioni di questi anni, non ritiene opportuno riproporre un limite nel rapporto tra indebitamento tramite bond e mezzi propri?
GIORGIO BENVENUTO. Ho letto con attenzione le ragioni per cui è privilegiata nel sistema assicurativo un'impostazione per funzioni. Non mi soffermo sulle assicurazioni anche se esiste il problema delicato riguardante le polizze vita, ma sulla COVIP, che lei definisce la Caporetto, il «colabrodo» che non ha funzionato. Il sistema dei fondi pensione ha retto bene ed ha una particolare specificità prevedendo un rapporto comune tra le parti sociali. Lo stesso ministro, nella sua impostazione originaria, quando prevedeva una soluzione più simile a quella da lei indicata come preferibile, aveva immaginato di ritagliare uno spazio, anche perché con il silenzio assenso ed il trattamento di fine rapporto si pongono problemi delicati.
Vorrei inoltre sapere cosa pensa dell'articolo 42, l'unica misura del disegno di legge governativo che preveda una delega per un sistema di indennizzo di tipo mutualistico assicurativo per risarcire i risparmiatori in presenza di danni patrimoniali ricevuti per truffa.
MARIO LETTIERI. Nella parte iniziale della sua relazione, professore, è scritto che la regolamentazione italiana non presenta lacune gravissime ed in particolare punti deboli a cui possa essere imputata la responsabilità prevalente degli scandali avvenuti. Da questa frase emerge che complessivamente lei assolve il sistema.
Inoltre, mi è sembrato di capire che lei, professore, insisterebbe più su modifiche della governance delle società, e quindi del diritto societario, e del testo unico bancario.
L'attestazione delle competenze alle varie autorità sarebbe secondo lei meno importante. Vorrei sapere se le mie impressioni siano giuste.
PRESIDENTE. Do ora la parola al professore per la replica alle domande poste.
MARCO ONADO. Rispetto a quanto avvenuto con la Enron negli Stati Uniti non riusciamo ad individuare quella specifica norma cui attribuire una parte prevalente della responsabilità. Negli Stati Uniti hanno detto che mancava la vigilanza sulle società di revisione, mentre in Italia la vigilanza sulle società di revisione esisteva. In Italia vi erano anche principi chiarissimi di carattere generale, parlo per l'esperienza personalmente acquisita nella Consob, sulla responsabilità del revisore principale. Da questo punto di vista non esiste un «buco». Bisogna da una parte realizzare una vigilanza di stabilità per finalità e dall'altra dare attuazione alle regole di corporate governance e che anche queste, sia quelle scritte nel testo unico della finanza sia quelle contenute nel codice di autodisciplina, siano ragionevolmente allineate con la media dei principali paesi.
Reputo opportuno, come ha sostenuto il presidente di Assogestione, abbassare ulteriormente le soglie, che già allora apparivano particolarmente coraggiose, per le azioni di responsabilità e per il quorum di partecipazione e, soprattutto, considero necessario garantire che di quelle regole non si faccia «strame». Abbiamo visto comitati di audit composti dal principale responsabile dell'indebitamento, dal direttore finanziario quanto il codice di autodisciplina prevedeva che il comitato fosse composto per la maggior parte da amministratori indipendenti. Non è questione di come le norme siano scritte ma di come siano applicate.
Elementi importanti sono quello sanzionatorio e risarcitorio. Credo che debbano essere aumentate le capacità di sanzione e di risarcimento. Non ne ho parlato perché non è il mio campo e sono rimasto su questioni attinenti alla mia disciplina o alla mia esperienza professionale. L'articolo 42 suscita in me più di una perplessità per due fondamentali ragioni. La prima è l'importo del fondo e la seconda è la connessione tra la dimostrazione del danno e il risarcimento stesso. Non credo che la soluzione prospettata porterebbe a risultati operativi concreti. Inoltre è un elemento poco «educativo» verso il risparmiatore, perché non traccia il segnale tra attività rischiose e non.
Penso sia da mettere bene in evidenza il problema della piena realizzazione della vigilanza per finalità, che non viene realizzata nella maggioranza dei casi. Dove viene realizzata, si procede semplificando le autorità, portandole da cinque a due e non da cinque a cinque e rafforzando ulteriormente una delle cinque. Possiamo affermare che noi siamo la regola e tutti gli altri paesi l'eccezione che conferma la regola, ma mi sembra logicamente difficile.
Come ha detto l'onorevole Rossi, la vigilanza di stabilità deve cambiare «pelle». Per questo motivo ho messo in evidenza come sono stati scritti l'articolo 5 del testo unico bancario, l'articolo 129, l'articolo 136, l'articolo 19 sulle partecipazioni, che si riferiscono ad un altro tipo di vigilanza che ha funzionato benissimo.
Però o facciamo l'altra. Pertanto, o manteniamo il vecchio sistema, o ne realizziamo uno nuovo: non c'è una terza possibilità!
Lo stesso discorso vale per la vigilanza sulla concorrenza. Ritengo che il tema della nazionalità delle banche sia un tema fondamentale. Permettetemi due semplici osservazioni.
Innanzitutto, la nazionalità è stata difesa anche nei paesi in cui non era attribuita alla Banca centrale (quindi si passa per canali diversi da quello della ripartizione dei confini tra le autorità). In secondo luogo, se si realizza un mercato unico dei servizi finanziari (questo è un obiettivo solennemente affermato a Lisbona, c'è il financial services action plan e moltissimi documenti europei ne parlano), non si può pensare che una delle
condizioni sia quella di avere intermediari di dimensione e nazionalità europee. Ovviamente, ci auguriamo che questo avvenga su base di reciprocità, ma ciò dipenderà innanzitutto dalle condizioni di forza economica e patrimoniale delle singole istituzioni e, in secondo luogo, dal comportamento delle autorità e dei governi (perché, ovviamente, quando si parla di mercati, la materia è un po' più complessa).
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Onado per la sua relazione. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 11,45, è ripresa alle 11,50.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione del sottosegretario di Stato per la giustizia, Michele Giuseppe Vietti.
Quella del sottosegretario è un'audizione particolarmente importante, perché egli è anche presidente di una Commissione che si è occupata - e si occupa - del diritto societario. Ci sono, quindi, forti connessioni con il lavoro che stiamo svolgendo in sede di indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio.
Do quindi subito la parola al sottosegretario, ringraziandolo per aver partecipato ai lavori delle Commissioni.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Ringrazio i presidenti e i signori commissari per la sensibilità manifestata nell'aver voluto ascoltare il «punto di vista della giustizia» e, più in particolare, di chi si è occupato della riforma del diritto societario, che certamente (come ricordava il presidente Tabacci) presenta rilevanti connessioni con il sistema delle imprese e, dunque, con il sistema delle regole che noi abbiamo cambiato.
Vorrei fare due ordini di considerazioni: il primo, sul versante penale, relativo alle sanzioni penali che la riforma ha modificato; il secondo sul versante delle norme civilistiche.
Per quanto riguarda le sanzioni penali, com'è noto, il decreto legislativo n. 61 dell'aprile 2002 ha in parte modificato gli articoli 2621 e seguenti del codice civile e, in parte, ha introdotto delle nuove fattispecie penali.
In proposito, vorrei subito notare un aspetto che sgombra il campo da qualche equivoco sorto. La riforma delle sanzioni penali, evidentemente non ha nulla a che fare con la vicenda Parmalat, nel senso che il decreto legislativo, come già ricordato, è dell'aprile 2002, mentre i falsi in bilancio che vengono attribuiti alla Parmalat oppure alla Cirio (così come altri scandali all'onore delle cronache) sono tutti risalenti ad epoca anteriore. Anzi, per la verità si tratta di episodi risalenti all'epoca in cui vigeva il vecchio articolo 2621 sul falso in bilancio, considerato più rigoroso, e rispetto al quale è stato detto che la modifica da noi introdotta era meno dissuasiva.
Forse questa affermazione non è particolarmente fondata, soprattutto se si riflette sul fatto che la Parmalat ha commesso i falsi in bilancio sotto il vigore della vecchia fattispecie di reato la quale, evidentemente, non aveva poi tutta questa portata dissuasiva.
Per contrastare alcuni luoghi comuni che sono stati diffusi, vorrei aggiungere che la nostra riforma non depenalizza affatto il falso in bilancio: quest'ultimo resta reato. Viene, invece, semplicemente collegata la sanzione alla proporzione del danno per cui, dove non c'è danno, il reato è contravvenzionale, mentre dove c'è danno si distingue tra società quotate e società non quotate. Ricordo che, per le società quotate, la pena prevede la reclusione fino a quattro anni (quindi, con un
anno soltanto di riduzione rispetto alla vecchia previsione) e risulta comunque possibile applicare all'eventuale colpevole di questo reato le misure coercitive previste dall'articolo 280 del codice di procedura penale.
Con ciò è evidente che il falso in bilancio è stato considerato (per la verità, ritengo che sia sempre stato, non soltanto agli occhi di chi ha fatto la riforma) un reato strumentale, in particolare per quanto riguarda le società quotate. In queste ultime, il bene protetto non è soltanto la trasparenza, cioè la corretta rappresentazione contabile. Nelle società quotate il bene protetto è evidentemente il pubblico risparmio. Allora, se così è, la corretta rappresentazione contabile viene tutelata in via strumentale rispetto alla protezione del risparmio.
Vorrei ricordare che la riforma ha costruito un impianto complessivo sanzionatorio che ha introdotto molte nuove fattispecie di reato. Si parla sempre della modifica delle cosiddette false comunicazioni sociali, ma spesso non si ricorda che è stato introdotto, con l'articolo 2624 del codice civile, il reato di false comunicazioni a società di revisione. Inoltre è stata introdotta una figura più estesa di impedito controllo, che già esisteva, che ora si applica anche alle società di revisione.
È stato meglio precisato il reato di aggiotaggio, con l'articolo 2637 del codice civile, e sono state introdotte figure come la nuova fattispecie di falso in prospetto, la falsità nelle relazioni alle società di revisione, la infedeltà patrimoniale, negli articoli 2634 e 2635, tutte fattispecie che, a differenza del passato, in cui il punto era controverso, sono pacificamente concorrenti con il falso in bilancio e quindi possono essere contestate cumulativamente al reato di falso in bilancio.
Ovviamente, la riforma è stata delineata nei limiti della delega concessa dal Parlamento. Per quanto riguarda la parte penalistica, è già scaduto il termine per potere esercitare eventuali correttivi, previsti entro un anno dall'entrata in vigore delle norme. Essendo le norme civilistiche entrate in vigore nel 2004, il periodo di tempo per i correttivi scade il 31 dicembre di quest'anno. Viceversa, essendo le norme penalistiche entrate in vigore nell'aprile del 2002, l'anno per il correttivo ormai è scaduto.
Dunque, sul fronte penalistico, non è immaginabile che il Governo possa operare con lo strumento della delega. Se iniziative si devono assumere, queste devono vedere quindi nuovi strumenti legislativi ad hoc. Non per nulla, nei disegni di legge a tutela del risparmio viene ipotizzato un nuovo reato, quello del nocumento al risparmio nazionale, che conferma quella osservazione sulla natura strumentale del falso in bilancio: il bene che anche il falso in bilancio mira a tutelare per le società quotate è il pubblico risparmio, e per questo sarà comunque opportuno introdurre questa nuova fattispecie di reato a tutela del risparmio nazionale, che il disegno di legge costruisce come un reato di secondo grado, ossia un reato-fine rispetto al quale il falso in bilancio è un reato-mezzo.
Per quel che riguarda il versante civilistico, vorrei ricordare che la riforma ha moltiplicato i cosiddetti sistemi di governance: rispetto al modello tradizionale, sono stati introdotti due modelli alternativi. Il primo è il modello dualistico, di stampo franco-tedesco, in cui l'assemblea nomina il consiglio di sorveglianza, che nomina il consiglio di gestione. Il secondo è il modello monistico, di stampo anglosassone, in cui l'assemblea nomina il consiglio di amministrazione, che individua al proprio interno il comitato di controllo sulla gestione.
Sia per quel che riguarda il consiglio di sorveglianza che per il comitato di controllo sulla gestione, si prevedono requisiti per coloro che vi debbono appartenere: almeno un componente dell'uno o dell'altro devono essere iscritti all'albo dei revisori contabili. Per il comitato di controllo del modello monistico, si prevedono requisiti di onorabilità e professionalità e coloro che ne fanno parte non devono avere parte ad attività gestionali della società né nella controllante né nella controllata.
Il punto che mi pare importante è che tutti i sistemi di governance, sia quello tradizionale che i due nuovi alternativi, hanno una equivalenza nel sistema dei controlli: il codice riformato richiama espressamente per tutti e tre i modelli l'equivalenza dei controlli, in modo che non sia possibile optare per i modelli alternativi per usufruire di minori controlli, perché deve esserci una omogeneità di controlli in tutti i modelli.
Osservo inoltre che la riforma distingue meglio che in passato i tipi di controlli, perchè viene individuato il cosiddetto controllo di legittimità, che è proprio del collegio sindacale, rispetto al controllo contabile, che è attribuito ai revisori o alla società di revisione.
La revisione viene generalizzata in tutte le società per azioni, qualunque modello essi adottino. A proposito delle società di revisione, vorrei fare un'annotazione: forse abbiamo perso - dico «abbiamo» perché sono solito farmi carico delle responsabilità istituzionali indipendentemente dalle maggioranze o dai governi - un'occasione, perché l'articolo 160 del testo unico di finanza prevedeva un regolamento che individuasse le incompatibilità delle società di revisione. Questo regolamento non è mai stato adottato: dal 1998 in poi le incompatibilità sono rimaste quelle previgenti, senza che si adottassero incompatibilità più adeguate ai tempi .
Questa opportunità di intervenire con un regolamento su iniziativa del Ministero della giustizia rimane. Il disegno di legge per la verità prevede, nella delega al Governo, un più ampio intervento su tutta la materia delle società di revisione, tra cui anche le incompatibilità. Il testo unico, all'articolo 160, per la verità attribuisce la potestà regolamentare solo sulla materia delle incompatibilità, tuttavia questa potrebbe essere un'opportunità anticipatoria molto forte.
Anche per quel che riguarda le società a responsabilità limitata si prevede un controllo contabile, esercitato ordinariamente dal collegio sindacale, ma lo statuto può prevedere anche per queste società lo sdoppiamento tra controllo di legittimità del collegio sindacale e controllo sindacale del revisore.
Un'altra osservazione - ovviamente sto citando soltanto gli aspetti della riforma che mi sembrano rilevanti ai fini dell'indagine che le Commissioni devono compiere - riguarda la possibilità di emissione di obbligazioni, altro tema caldo, come è noto. Il vecchio articolo 2410 del codice civile prevedeva la possibilità di emettere obbligazioni nei limiti del capitale versato ed esistente. Questa norma era stata considerata limitativa delle possibilità di finanziamento e di capitalizzazione delle società, nel senso che il limite da una parte condannava alla sottocapitalizzazione e dall'altra ha comunque consentito forme elusive di emissioni di obbligazioni dall'estero.
Il nuovo articolo 2412 del codice civile prevede due novità. Il limite per l'emissione delle obbligazioni è indicato nel doppio del capitale sociale e delle riserve disponibili, ma, soprattutto, tale articolo dispone che per le obbligazioni emesse oltre quel limite e destinate agli investitori professionali, questi rispondono in solido con l'emittente nei confronti dei risparmiatori se le obbligazioni vengono emesse sul mercato. Penso che se questa norma fosse esistita in precedenza, probabilmente si sarebbe evitato tutto ciò che oggi lamentiamo o, perlomeno, oggi i risparmiatori potrebbero avere dei soggetti che rispondano dei danni che i risparmiatori stessi hanno patito.
Per quanto riguarda le Srl, si prevede che le obbligazioni possano essere emesse soltanto a favore di investitori professionali. Dunque, non ci sono rischi. Ricordo che nel disegno di legge Tremonti questa previsione, che abbiamo introdotto con l'articolo 2412, viene richiamata all'articolo 39 per quanto riguarda le obbligazioni estere collocate in Italia. Anche in quel caso si dice, infatti, che l'investitore professionale che immette delle obbligazioni sul mercato ne risponde in solido.
Ricordo, inoltre, che la riforma ha introdotto la nozione di gruppi, concetto sconosciuto al vecchio codice e noto soltanto
alla giurisprudenza, per cui si è definita la nozione di direzione e di coordinamento tra società. Ciò consente di superare il puro schermo formale della personalità giuridica per accedere alla vera cassaforte dei gruppi di società. L'articolo 2497 afferma che si è direttamente responsabili verso i soci e i creditori per i pregiudizi arrecati alla redditività e al valore della partecipazione da parte della controllante nei confronti dei soci della controllata. Dunque, i soci della controllata hanno azione per l'eventuale diminuzione del valore della propria partecipazione che sia stato causato dall'attività della controllante nei confronti della controllata.
Vorrei fare un ultimo riferimento al concetto di conflitto di interessi, che la riforma introduce esplicitamente con una innovazione concettuale. Il conflitto di interessi non è più quello su cui si sono arrovellate a volte la dottrina e la giurisprudenza, parlando di conflitti potenziali, reali, astratti e concreti. Oggi il codice stabilisce che gli amministratori devono dare notizia di ogni interesse che abbiano nell'affare sociale. Il consiglio di amministrazione, preso atto dell'informazione di interesse dell'amministratore, deve adeguatamente motivare sul punto. Dunque, si esce dall'eterna disputa sul conflitto potenziale o attuale, ponendo a carico dell'amministratore l'onere di dichiarare comunque positivamente il suo interesse in un affare e a carico del consiglio di amministrazione quello di motivare adeguatamente.
Credo che questo sia un forte elemento di trasparenza, perché porta all'emersione di tutti gli aspetti della politica societaria e, ove si sia in presenza di gruppi, anche di gruppo e di cui eventualmente gli amministratori sono portatori in conflitto rispetto alla società.
Sono comunque disponibile a fornire altri chiarimenti. Ricordo soltanto un ultimo aspetto che può risultare utile. Le azioni di responsabilità sono state estese, sia per quanto riguarda le Spa, sia per quanto riguarda le Srl. Nella Srl, addirittura, ciascun socio è legittimato ad esperire l'azione di responsabilità. Tale soluzione ha anche attirato qualche critica, che è stata voluta proprio perché la Srl vede la figura centrale del socio e quindi si è ritenuto che in una struttura in cui sussiste la centralità del socio fosse ragionevole dare a ciascuno di essi l'azione di responsabilità.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Vietti per la sua relazione. Do la parola ai colleghi che intendano formulare quesiti o osservazioni.
ALFIERO GRANDI. Onorevole Vietti, excusatio non petita accusatio manifesta. Lei ha cominciato con il mettere la lingua dove il dente duole.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sapevo che non potevo sfuggire!
ALFIERO GRANDI. Lei ha fatto molto bene, ma questo non la salverà da quanto la aspetta.
Si tratta di una valutazione politica diversa, perché tra l'altro mi aspettavo che lei fosse almeno in linea con l'avvocato Pecorella.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Non so su quali basi...
ALFIERO GRANDI. Mi è capitato di sentirla in televisione e mi era parso di capire che lei fosse d'accordo sul fatto di avere esagerato nel diminuire qualche pena. Dire che non c'è stata la depenalizzazione del falso in bilancio quando il reato è stato trasformato in querela tra le parti non mi sembra corretto. Sono state ridotte le pene sistematicamente ed è stata creata una condizione di prescrizione che oggi rende il sistema societario italiano meno sicuro: significa che il Governo italiano si è mosso nella direzione contraria a quella dei maggiori paesi, e segnatamente gli Stati Uniti dopo gli scandali, che
peraltro noi conosciamo molto bene (in Italia c'era già la Cirio ed altro ancora prima a ricordarceli).
Sicuramente lo scandalo Parmalat è cominciato prima delle notifiche. Sarà interessante capire quando ha avuto la deflagrazione. Ma di questo aspetto, per fortuna, solo il giudice se ne occuperà, e non solo previa querela tra le parti.
Francamente mi pare che la questione che riguarda la parte del falso in bilancio sia un errore. Del resto, si deve ricordare che non è vero che la legge sul falso in bilancio, attuata con decreti legislativi, non abbia avuto degli effetti. Infatti, il signor Paolo Berlusconi è uscito dal processo che riguardava le discariche esattamente grazie a questa legge, patteggiando la pena per una cifra che non ricordo. Quindi, non è vero che essa non ha avuto degli effetti, ma ha ottenuto degli effetti sicuramente «familiari».
Vorrei ricordare che, per quanto riguarda l'insieme della situazione nella quale ci troviamo, il reato di nocumento al risparmio, che lei avrà la bontà di spiegare in modo più diffuso, costituisce a dir poco una stranezza. È un po' come quelli che, per evitare che il carabiniere prenda il ladro, si inventano il reato di strage. Questo grave nocumento per il risparmio pubblico ha una nozione giuridica quanto mai vaga e, soprattutto, dà l'impressione di voler sparare un'arma nucleare, non riuscendo ad operare con le armi normali contro quanto sta avvenendo nell'ambito dei reati societari.
Detto questo, e confermato che la distanza politica da quanto lei diceva francamente è totale, vorrei utilizzare il fatto che lei è comunque una persona competente in materia per capire se la nostra riflessione possa portare a qualche risultato positivo.
In tutta la faccenda Parmalat e Cirio, anche per il riflesso che viene dai soggetti che sono stati auditi e di cui lei sicuramente ha sentito parlare, risulta che innanzitutto è il nucleo di funzionamento dell'impresa che non va. Infatti, nell'attuale sistema di funzionamento dell'impresa, e quindi nel diritto societario, non ci sono contromisure sufficienti - mi auguro che su questo aspetto si proceda anche da parte sua ad una riflessione - in grado di garantire ragionevolmente tutti coloro che hanno a che fare con l'attività di quell'impresa e quindi, anche rispetto alla richiesta di risparmio e di finanziamenti, di metterli in condizione di tranquillità.
Lei lo avrà fatto, ma mi permetto di raccomandarle, in particolare, di leggere con attenzione quanto hanno detto tutti coloro che si occupano dei controlli e che sono stati da noi auditi, comprese le società di rating. Ciò che si capisce in termini estremamente chiari è che quando il falso viene determinato, la prima cosa che capita è che tutti credono ai conti falsificati. Molti adducono ai passaggi successivi l'impossibilità di avere la certezza delle carte che debbono esaminare. Alla fine, molti dei commissari presenti si chiedevano che senso avesse continuare a credere a quelle definizioni.
Signor sottosegretario, non ritiene che, nell'ambito della materia del diritto societario, debba essere rivisto un sistema di funzionamento che anziché, come è stato detto autorevolmente dal relatore, proteggere i soci di maggioranza, li renda più trasparenti grazie anche al riconoscimento dell'azione di quelli di minoranza? Non reputa che le questioni relative alla possibilità di eleggere gli amministratori sulle liste o alla garanzia della loro indipendenza debbano essere portate in una norma sufficientemente cogente, per garantire che dal funzionamento dell'impresa, per quanto ragionevolmente possibile, nasca un elemento di trasparenza?
La seconda questione attiene ai controlli. Negli Stati Uniti è stato individuato un modo per esercitarli attraverso la SEC ed una particolare branca che si occupa dei revisori. Credo che, al di là delle incompatibilità, occorra provvedere ad una riorganizzazione del modo con il quale viene affidato l'incarico, della natura dell'albo, dell'effetto di depennamento, che, in alcuni casi, deve effettuarsi sull'albo stesso e della quantità delle pene previste. Non ritiene, signor sottosegretario,
che debba essere complessivamente rivista la terzietà del controllo, in termini assolutamente organici?
Nel disegno di legge del Governo, quando si parla di paradisi fiscali-legali, come ci ha detto il ministro Tremonti, viene in sostanza - mi consenta, signor sottosegretario, il termine un po' brutale - consolidato il malfatto nell'ambito del diritto societario vigente nel nostro paese. Non sarebbe invece semplicemente preferibile evitare l'utilizzo dei paradisi fiscali-legali agli effetti delle società italiane? Non dovremmo cominciare, a partire da noi stessi, con il porre il problema a livello europeo?
Infine, per quanto riguarda il discorso relativo alle obbligazioni, sul quale lei ha espresso una posizione difensiva, ritiene che sia sufficiente la responsabilità in solido oppure dovrebbero essere introdotte altre norme? Molti chiedono che le obbligazioni vengano trattenute per un anno, prima di collocarle sul mercato. Nel corso di una delle audizioni di ieri, è stato detto che forse sarebbe preferibile una norma che implichi sempre la responsabilità dell'intermediario, tranne che si provi il fatto contrario. Non bisogna, quindi, riportare il sistema obbligazionario entro limiti che non diventino una panna finanziaria nella quale non c'è più controllo e, nello stesso tempo, creare un rapporto leale di corresponsabilità tra intermediario ed emettitore in grado di garantire il risparmiatore?
LANFRANCO TURCI. Vorrei dal sottosegretario alcune spiegazioni sulla vicenda relativa ai bond, visto che tutto nasce dal peso crescente che essi hanno assunto nell'utilizzazione del risparmio degli investitori italiani.
Se ho capito bene, con il nuovo codice civile abbiamo un determinato moltiplicatore in rapporto al capitale e alle riserve disponibili. Vorrei sapere come esso è regolato nel caso di gruppi societari. Non c'è il rischio che lo stesso capitale venga conteggiato sia nella capogruppo sia nelle società controllate e, quindi, che il denominatore finisca per essere moltiplicato al di sopra del suo potenziale effettivo?
Non ho poi compreso come la questione giochi sull'estero, cioè sulle emissioni all'estero da parte di società italiane. Vorrei poi sapere: come si determina la distinzione tra bond destinati agli investitori e quelli al retail? Lei ci ha detto che le Srl, comunque, possono emettere solo per gli operatori professionali; ma nelle società quotate come si determina questa distinzione? È solo legata alla presenza del rating, oppure ci sono procedure precise per valutare l'ammissibilità del bond?
Sappiamo che, per la quotazione, esiste un doppio filtro, quello della Consob, sul lato più formale, e quello della società di borsa, che dovrebbe essere più sostanziale. Le chiedo, quindi, se, nel caso dei bond emessi da società quotate o da società per azioni, esista un meccanismo di convalida dell'attendibilità non solo del rapporto quantitativo ma anche dei fini, della tenuta e di un possibile rientro dei bond stessi. Ho l'impressione che pochi di noi abbiano le idee chiare sulle questioni che ho illustrato.
MARIO LETTIERI. Vorrei innanzitutto far presente al sottosegretario che non è in discussione il falso in bilancio e che non abbiamo difficoltà ad ammettere che non è stata questa la normativa che ha provocato le vicende Parmalat e Cirio. Esiste però un problema e, dalle audizioni svolte, soprattutto dagli interventi del professor Onado e del professor Sarcinelli, è emersa la diffusa indicazione di rivedere le norme relative al diritto societario.
Signor sottosegretario, da parte di alcuni è stata sottolineata l'irrisorietà delle sanzioni pecuniarie - ad esempio, quella di 10 mila euro (quindi solo 20 milioni di vecchie lire) prevista per coloro che traggono in inganno con attestazioni false o artifici contabili - e, contestualmente, l'esigenza di aumentare notevolmente le sanzioni di natura sia amministrativa che penale.
Sul reato di falso in bilancio le osservazioni del collega Grandi purtroppo sono vere e contrastano con l'esigenza di rendere più stringente l'interna normativa;
infatti, dovremmo elevare notevolmente le pene per coloro che si macchiano di questo grave reato, che io ritengo sia non solo contro la società o contro l'interesse del singolo socio di minoranza, ma anche contro la fede pubblica perché procura un danno all'intera collettività e non solo alla società interessata. Anche per quanto riguarda l'irrogazione di sanzioni pecuniarie nell'ultimo provvedimento di natura fiscale, si prevede che queste non siano a carico degli amministratori ma a carico della società. Le nuove norme sostanzialmente hanno portato ad una deresponsabilizzazione degli amministratori. Questa è la linea di tendenza che si evince dalla riforma voluta dal Governo e, purtroppo, approvata dalla maggioranza. Se le audizioni che stiamo svolgendo hanno un senso, dovremmo riconoscere onestamente che non è questa la strada da seguire e, quindi, il Governo stesso dovrebbe farsi carico di proporre una revisione di queste norme, indicate da più parti come meritevoli di una modifica da operare in tempi brevi per fornire un messaggio chiaro agli investitori e agli operatori economici.
Per quanto riguarda i paradisi fiscali, il fatto che una società un tempo ricorresse ai paradisi fiscali per evadere il fisco era ancora comprensibile; ma oggi perché una società dovrebbe ricorrere a sedi off shore? Quando abbiamo appreso che una grande società italiana aveva la sua «scatoletta cinese» nelle isole Cayman, ci siamo domandati a quale fine lo avesse fatto. Evidentemente lo scopo era quello di sfuggire alla trasparenza, come poi è emerso successivamente. Dobbiamo fare in modo di non consentire la quotazione a chi non ha attività reali nei paradisi fiscali, nella legge che approveremo dobbiamo inserire un vincolo preciso: la quotazione deve essere negata a quelle società che non hanno attività reali nei paesi in cui hanno società controllate o controllanti; «caselle postali» sotto forma di società non possono essere accettate.
Sui bond il senatore ha posto una questione che voglio riproporre, perché sono preoccupato per quanto sta avvenendo in questo paese. Il sottosegretario sicuramente saprà che un grande gruppo come Telecom Italia, che diversifica molto le proprie attività, da un lato ha emesso bond pari al 57 per cento del totale dei bond circolanti nel nostro paese, dall'altro approfitta della cartolarizzazione degli immobili pubblici: basta andare per le vie di Roma per rendersi conto che i migliori palazzi sono stati acquistati da questa grande società. Non è che questi bond, anziché per le attività imprenditoriali del proprio core business, servono per speculazioni di varia natura, in questo caso immobiliari? Secondo noi si tratterebbe veramente di una grande beffa.
GIORGIO BENVENUTO. Vorrei innanzitutto sapere se il sottosegretario Vietti sia in grado di indicarci quando arriverà in Parlamento il disegno di legge elaborato dal Governo, che allo stato è solamente disponibile sul sito di Palazzo Chigi.
Relativamente al falso in bilancio, il sottosegretario ci ha ricordato giustamente che la delega è scaduta; abbiamo però questo disegno di legge. Nel corso di questa indagine mi hanno colpito le osservazioni svolte dalla Confindustria e dalla Assonime, che hanno posto l'esigenza di una riflessione critica sulle nuove misure introdotte per il reato di falso in bilancio, sollevando l'opportunità di una loro riconsiderazione: le sottopongo alla sua attenzione perché quando il disegno di legge arriverà in Parlamento eventuali misure potrebbero trovare spazio al suo interno.
Ho dei dubbi rispetto al nuovo reato contro il risparmio, così come è stato configurato; per la verità anche gli esperti del settore hanno rilevato la sproporzione tra la pena prevista e la sua pratica applicabilità. Come certamente saprà un cultore della materia come il sottosegretario Vietti, una pena ha rilevanza non se è elevata ma se viene effettivamente irrogata. Sarebbe forse stato meglio anticipare l'applicazione di quelle norme previste nell'attuazione della delega comunitaria sul market abuse; certamente non si trattava di qualcosa di rivoluzionario, ma vi erano alcune misure tese al rafforzamento
della Consob che avrebbero potuto contrastare meglio quanto avvenuto.
Sul problema dell'esercizio della delega, noi dell'opposizione in Commissione finanze della Camera abbiamo apprezzato la disponibilità del sottosegretario ad introdurre, compatibilmente con quanto interessa le procedure concorsuali, delle misure di modifica al diritto societario. Sotto tale punto di vista segnalo la necessità di assumere una decisione intorno al ruolo delle minoranze, che oggi non viene valorizzato. Il socio di minoranza non viene tutelato in alcun modo, mentre la sua tutela avrebbe grandi ricadute anche sul terreno della trasparenza societaria. Voglio ricordare che il presidente dell'Assogestioni, quando ci ha spiegato i motivi per i quali la sua associazione aveva sconsigliato i fondi di investire in tutto ciò che concerneva Parmalat, aveva riferito espressamente che ciò era dovuto anche al fatto che il sindaco di minoranza era stato estromesso senza motivazioni valide.
L'inserto finanziario de Il Sole 24 Ore riportava l'elenco dei consiglieri di amministrazione e dei membri dei collegi sindacali delle società quotate in borsa. La situazione che emerge da questo elenco è qualcosa di grottesco: ci sono persone che sono indifferentemente in collegi sindacali ed in consigli di amministrazione un numero di volte assolutamente sproporzionato, la qual cosa praticamente finisce per non garantire quelle esigenze di trasparenza che tutti auspichiamo.
Vengo all'ultima questione, di competenza del suo Ministero: riusciamo a raggiungere risultati che, tenendo conto della particolarità del nostro paese, diano risalto alla class action? Cosa ritiene a tale riguardo? Dinanzi alla Commissione giustizia pende l'esame di alcuni progetti di legge; molti commentatori ed anche molti soggetti auditi ne sottolineano la validità e l'importanza. È possibile sbloccare la situazione e trovare nel nostro paese un sistema di deterrenza e di tutela più semplice per i soggetti più deboli?
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al sottosegretario Vietti per la replica, vorrei brevemente tentare di orientarlo su un aspetto che mi pare sia delicato e attenga alla natura stessa dell'indagine. Mi sembra che, correttamente, la maggioranza dei colleghi abbia sempre posto una chiara distinzione tra la questione sorta circa la recente normativa recata dalla riforma del diritto societario e le vicende oggi alla nostra attenzione. Non vorrei però che, dopo che il Governatore ha declinato ogni responsabilità e le banche si sono dichiarate vittime, la colpa fosse attribuita alla maggioranza ed al Governo.
MARIO LETTIERI. Il Governo ha le sue responsabilità.
PRESIDENTE. In tal caso, dovremmo davvero aprire questo capitolo.
ALFIERO GRANDI. Il Governo porti la sua croce...!
PRESIDENTE. Non ci si può riferire solamente al Governo; vi sono la maggioranza con i suoi membri, i colleghi parlamentari, i presidenti di Commissione. Parlamentari che, tra l'altro, hanno sollevato tali questioni con così tanto anticipo rispetto al silenzio generale per cui non è giusto che vengano ora a trovarsi, per così dire, sul banco degli imputati.
Stiamo, quindi, ai fatti precisi in modo che il sottosegretario Vietti non debba essere costretto a rispondere «pan per focaccia»; il problema è molto semplice. Certamente, se in un quadro condiviso, di larga ampiezza, si individua la necessità di meglio chiarire la portata di alcune norme recate dalla riforma del diritto societario, anche ai fini di precisare la misura di alcune pene, non vi è dubbio che tale esigenza vada soddisfatta. Ma ciò non può offrire l'unica lettura dei fatti in quanto, se poi permangono incertezze circa le possibili ricostruzioni, alla fine non si farà nulla a tale riguardo.
Questo è il punto vero; poi, deciderà chi deve giudicare. Si tratta, infatti, del fallimento di un'intera classe dirigente. Certo, oggi hanno arrestato i due figli di Tanzi, ma non è questo il punto; piuttosto, si
registra il fallimento complessivo della classe dirigente, specie per quanto riguarda il complesso della moralità economica. Ne fa testo il fatto che un quarto dell'economia italiana sia in nero; tale ultimo punto riguarda - altro che la riforma del diritto societario - praticamente le tasche di ogni cittadino.
L'invito che rivolgo a titolo personale al Governo è quello, ovviamente, di non seguire un atteggiamento di rigida chiusura a difesa di quanto è stato fatto; si deve riconoscere l'esistenza, per i fatti alla nostra attenzione, di un «divenire» che abbiamo esaminato nel corso di questa indagine e la grande elasticità nel tentare di dare delle risposte.
Tra l'altro, il sottosegretario Vietti ha fatto riferimento anche ad un regolamento inattuato che, se fosse stato adottato per tempo, quanto ad incompatibilità ed a ruoli diversi, forse si sarebbero evitate talune mostruosità poi, invece, riscontrate nei controlli interni ed esterni alle cosiddette corporate governance.
In conclusione, noi stiamo tentando di conferire a questa indagine il carattere di un impegno convergente senza il quale è impossibile trovare una soluzione al problema; alla fine, rischieremmo di esporci alla riproposizione di rischi di questa natura. Perciò, il testo presentato dal Governo - mi risulta sia stato depositato ieri sera; si tratterà di fare un accertamento di natura cartolare (aspettiamo venga assegnato alle Commissioni di merito) - costituisce, come si è detto più volte, una buona base di discussione. Vi sono punti che sono stati, anche giustamente, criticati questa mattina: ad esempio, lo stesso previsto reato di nocumento al risparmio oppure l'articolo 42 che costituisce un fondo di solidarietà si prestano, come è stato osservato oggi anche dal professor Onado, a rilievi critici. È un testo aperto sul quale si rivendica la competenza del Parlamento a decidere circa la versione definitiva; è questo il testo sul quale dobbiamo discutere e la decisione in proposito investe la nostra responsabilità complessiva.
LANFRANCO TURCI. Vorrei conoscere, sottosegretario, la sua opinione sulla questione delle sezioni specializzate; ricordo che si tratta di una ipotesi formulata nella scorsa legislatura, che poi non ha più avuto seguito. Forse, si ripropone il problema?
PRESIDENTE. Do, quindi, la parola sottosegretario Vietti per la replica.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor presidente, la ringrazio e ringrazio, altresì, i parlamentari intervenuti nel dibattito.
Effettivamente, in Italia siamo intervenuti in modo anomalo sulla materia del diritto dell'economia, varando prima la riforma delle società quotate, poi quella del codice. Invece, in un percorso logico e coerente, sarebbe dovuto avvenire l'inverso; ciò, ovviamente, ci pone oggi in condizioni di difficoltà. Per correggere tale aspetto, abbiamo cercato di coordinare la riforma del diritto societario con quella delle società quotate; ma, ovviamente, essendo la delega limitata al puro coordinamento, non si poteva modificare né il testo unico dell'intermediazione finanziaria né il testo unico bancario. Normative che forse invece, anche alla luce della riforma, avrebbero avuto bisogno di qualche revisione; ma, tant'è, i limiti della delega erano quelli. Limiti, peraltro - un po' tutti consenzienti - già utilizzati all'estremo.
Inoltre, riprendendo anche la notazione fatta dal presidente Tabacci, ricordo che, a parte l'aspetto delle sanzioni penali, la riforma del diritto societario ha visto, per la verità, un'ampia convergenza di maggioranza e di opposizione. Infatti, i pareri sui decreti legislativi, salve le riserve circa le sanzioni penali, sono stati approvati o, comunque, condivisi anche dall'opposizione. Quindi, tutta la materia civilistica non ha una paternità esclusiva della maggioranza.
Sono comunque assolutamente aperto ad eventuali interventi modificativi sia sul versante delle sanzioni penali - però il Governo non ha più la delega e, quindi,
dovrebbe assumere iniziative autonome - sia (come ho riferito in Commissione: al riguardo, ringrazio l'onorevole Benvenuto che lo ricordava) sul versante civilistico.
Abbiamo un anno per monitorare il funzionamento della riforma: fino al 31 dicembre possiamo intervenire con le eventuali correzioni. Certamente, dovremmo fare tesoro anche di quanto è accaduto; seppure non abbia un nesso causale diretto con il nuovo codice, tuttavia dovremmo farne tesoro ed intervenire, prima della fine dell'anno, con gli aggiustamenti che, vedendo operare in concreto la riforma, riterremo necessari.
L'onorevole Grandi ha posto tutta una serie di problemi circa le sanzioni penali; è inutile, al riguardo, ribadire le nostre posizioni circa il falso in bilancio. Ha ragione l'onorevole Lettieri; ormai si tratta di una polemica che possiamo anche archiviare. Mi permetto di ricordare però quanto ho già riferito. Bisogna guardare al complesso delle sanzioni penali, comprese le nuove, molto più puntuali rispetto al vecchio codice.
Quanto al disegno di legge governativo, chiarisco all'onorevole Benvenuto che il proponente è l'Economia e non la Giustizia; quindi, siamo anche giustificati per avere qualche informazione in meno. Anch'io sono, per così dire, fermo alla notizia che il testo sarebbe stato depositato nelle ultime ore; ritengo quindi che, finalmente, perverrà all'esame delle Commissioni competenti.
Ebbene, il disegno di legge del Governo interviene comunque sull'impianto sanzionatorio penale. All'articolo 46, prevede che vengano tutte raddoppiate, se commesse in relazione a società con titoli quotati, le pene di cui ai seguenti articoli: 2624 («Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione»), 2625 («Impedito controllo»), 2635 («Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità»), 2637 («Aggiotaggio»).
Se il Parlamento, presidente, riterrà che il raddoppio delle pene debba estendersi anche alle fattispecie di cui agli articoli 2621 e 2622, si tratterà evidentemente di una decisione rispetto alla quale il Governo si adeguerà e si inchinerà. Questa è un'ipotesi; ovviamente, sulla materia il Parlamento potrà farsi portatore di riflessioni anche diverse e più estensive.
Per quanto riguarda il problema dei controlli, sollevato dall'onorevole Grandi, il disegno di legge governativo affronta l'aspetto dal punto di vista del controllo esterno; quello interno è stato affrontato dalla riforma del diritto societario nei limiti della delega, che, infatti, sulla materia delle società di revisione non diceva quasi nulla. Come abbiamo ben imparato dal caso Parmalat, le società di revisione esercitano un ruolo fondamentale nella rappresentazione dello stato societario fatta ai soggetti deputati al controllo.
Infatti, compito del revisore è certificare la corrispondenza tra la reale situazione economico-finanziaria della società e la sua immagine pubblica, che induce anche i controllori esterni a determinati atteggiamenti. Non vi è dubbio che il fronte delle società di revisione è uno di quelli su cui è maggiormente necessario intervenire. In proposito, il disegno di legge richiamato contiene una serie di indicazioni e una delega molto ampia al Governo per modificare la normativa sulle società di revisione. Al riguardo, ripeto quello che anche il presidente Tabacci ricordava: esiste già una delega all'esercizio di potestà regolamentare conferita al Ministro della giustizia sulle incompatibilità delle società di revisione, misura che potrebbe anche venire anticipata rispetto ai tempi del disegno di legge.
Quanto i paradisi fiscali, ritengo non si possa andare oltre quanto disposto dall'articolo 39 del cosiddetto «disegno Tremonti», ovvero introdurre norme per assicurare la trasparenza di società - con sede in uno di quei paradisi - controllate da società italiane o a queste collegate o comunque parti di gruppi con operatività rilevanti in Italia, o dedite alla raccolta del risparmio nel nostro paese.
Rispetto a questi soggetti, il disegno di legge prevede una serie di «paletti» molto rigidi, con l'obbligo di allegare i bilanci, la sottoscrizione degli stessi da parte degli organi di amministrazione e di controllo, la
certificazione - da parte della società di revisione - della società italiana, la relazione dell'organo di amministrazione sottoscritta dall'organo di controllo, il controllo del bilancio della società estera controllata o collegata alla società italiana con titoli quotati, l'estensione della responsabilità civile, penale e amministrativa e l'attribuzione all'autorità italiana del potere di dettare disposizioni di attuazione. Ritengo che non si possa fare più di questo, né possiamo immaginare di bloccare in un mercato globale la creazione di società, le quali, come è noto, operano a tutto campo. Non possiamo illuderci di tornare a sistemi autarchici in cui l'esistenza di una società è decisa in relazione all'ubicazione della relativa sede. Possiamo invece stabilire che nei casi in cui le società italiane controllino, siano collegate o comunque operino con determinati soggetti, debbano essere rispettati una serie di limiti rigorosi, conformi ai requisiti di trasparenza.
Sulle obbligazioni, a proposito delle quali molti hanno richiamato l'attenzione, escludo di poter giocare sui capitali sociali del gruppo. Evidentemente, il capitale di riferimento è quello di ciascuna società emittente il prestito obbligazionario. Forse, non mi sono ben spiegato sulla previsione relativa alle società estere, riguardo alle emissioni delle obbligazioni.
Come osservavo in precedenza, il disegno di legge del Governo riprende la soluzione introdotta nel codice civile. Le norme civilistiche prevedono che il prestito obbligazionario emesso oltre il limite del doppio del capitale sociale venga garantito in solido, non solo dall'emittente ma dall'intermediario finanziario che lo colloca sul mercato. Questa, a mio parere, è una soluzione di grande garanzia. Il disegno di legge, analogamente, all'articolo 38 prevede che agli strumenti finanziari emessi all'estero e collocati in Italia si applichino le disposizioni di cui all'articolo 2412 del codice civile, cioè esattamente la previsione precedentemente richiamata sulla responsabilità solidale dell'intermediario finanziario che colloca lo strumento sul mercato.
Quindi, se anche ci fosse stato un dubbio, questo chiarimento intende risolverlo. Non solo gli strumenti finanziari nazionali ma anche gli strumenti esteri avranno, a patto che la norma suddetta venga approvata, la garanzia solidale degli intermediari. Quanto alla natura dell'obbligazione, essa non muta a seconda del destinatario. L'obbligazione, ovviamente, è emessa dalla società conformemente alle proprie previsioni statutarie e poi, se quotata, ad essa sarà attribuito un certo rating. E la circolazione sul mercato è slegata dalla natura dell'obbligazione, che dipende esclusivamente dalla tipologia di strumento finanziario che la società, in base alla sua autonomia statutaria, decide di emettere. L'onorevole Grandi ricordava l'ipotesi di trattenere l'obbligazione per almeno un anno prima di collocarla sul mercato. È un'ipotesi. Personalmente non sono contrario. Ne abbiamo discusso anche in Commissione; il dubbio, allora, non fu nel merito, come ricorderà bene l'onorevole Benvenuto, ma soltanto sui limiti della delega. La perplessità era relativa all'ampiezza della delega stessa; ci si chiese se questa consentisse effettivamente di introdurre tale misura. In ogni caso, è molto ardito sostenere che si tratti di una disposizione di coordinamento. Tuttavia, il Ministero che rappresento non avrebbe nulla in contrario se in questo testo fosse introdotta una disposizione simile.
L'onorevole Benvenuto ha dimostrato qualche perplessità sulla fattispecie penale del nocumento al risparmio. Certamente, la previsione è molto ampia. Introdurre il principio del grave nocumento al risparmio e correlarlo ad un bacino di risparmiatori di riferimento superiori all'1 per mille della popolazione risultante dal censimento, ovvero alla distruzione o riduzione del valore dei titoli di entità superiore all'uno per mille del prodotto interno lordo, porrebbe all'interprete qualche difficoltà di applicazione. Ritengo, pertanto, condivisibile l'obiettivo di introdurre una sanzione penale per tutelare il bene del pubblico risparmio, perché falso in bilancio, false comunicazioni, false comunicazioni delle società di revisione, sono tutti
reati strumentali rispetto alla protezione del primo. Ritengo, dunque, che la previsione risponda all'esigenza di colmare un buco del sistema, e penso altresì che il Parlamento potrà opportunamente intervenire per delinearne nel modo più preciso i connotati.
L'onorevole Benvenuto faceva cenno al problema della class action. Ne abbiamo discusso ampiamente all'epoca del decreto-legge sulle competenze dei giudici di pace e le controversie assicurative. È un istituto sconosciuto alla nostra tradizione, ben noto al mondo anglosassone. Il Ministero delle attività produttive ha predisposto un'ipotesi di provvedimento in tal senso e quello della giustizia non ha autonomamente previsto una soluzione. Siamo comunque disponibili, essendo necessario prevedere un intervento che risponda alle esigenze di gruppi di consumatori.
Il senatore Turci ha aggiunto, infine, la domanda sulle sezioni specializzate. Forse ricorda che chi parla era un pieno sostenitore delle sezioni specializzate di diritto commerciale. Purtroppo è stato il Parlamento che, con una maggioranza trasversale, ha abolito l'articolo della delega che prevedeva le sezioni specializzate. Oggi, con il senno di poi, possiamo affermare che fosse più opportuno mantenerle. È un contenzioso molto specialistico e di grande delicatezza, in cui sono coinvolti interessi molto particolari e diffusi che esigerebbero giudici molto specializzati e, soprattutto, una competenza che è difficile trovare capillarmente diffusa nei tribunali periferici. Nessuno più di me accoglierebbe con soddisfazione un ritorno, previsto però in una soluzione normativa esplicita e tenendo conto che abbiamo introdotto il nuovo processo commerciale con il decreto legislativo n. 5 del 2003. Oggi la materia societaria ha un rito proprio e sarebbe quindi coerente prevedere un giudice proprio.
Confermo l'assoluta disponibilità a ragionare insieme su quanto avvenuto, non tanto, come diceva il presidente Tabacci, per fare «scaricabarile» (dato che disattenzioni vi sono state da parte di tutti) ma per adeguare le regole alla mutata situazione. La parte civilistica ha lo strumento e valvola di sfogo del correttivo fino alla fine dell'anno e ribadisco la disponibilità ad utilizzarla per tutti gli adeguamenti necessari. La parte penalistica può essere recuperata nel nuovo disegno di legge che, se il Parlamento vorrà, potrà anche andare oltre le ipotesi rappresentate. Esiste un'esigenza di intervento sul testo unico di finanza e su quello bancario che va al di là del puro adeguamento e coordinamento da noi svolto. Anche in merito a ciò, quello considerato potrebbe essere il «contenitore adeguato». Ripeto, da parte nostra vi è piena disponibilità.
PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per la sua partecipazione e per le risposte fornite.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.