COMMISSIONI RIUNITE
VI (FINANZE) - X (ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 6a (FINANZE E TESORO) - 10a (INDUSTRIA, COMMERCIO E TURISMO) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 29 gennaio 2004


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA X COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
BRUNO TABACCI

La seduta comincia alle 15,15.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dei rappresentanti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione dei rappresentanti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Nel quadro delle audizioni che stiamo svolgendo, quella odierna riveste una particolare importanza. Ringrazio il professor Tesauro per sua presenza ed anche per la predisposizione di una relazione scritta, e gli do senz'altro la parola.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli deputati, ringrazio anzitutto per aver dato all'autorità antitrust l'opportunità di fornire il proprio contributo sui temi oggetto dell'indagine conoscitiva condotta da queste Commissioni.
L'occasione che ha portato a deliberare l'avvio di quest'indagine ha posto in discussione questioni di estremo rilievo ai fini della tutela del risparmio, evidenziando pecche del sistema o, comunque, meccanismi non sempre sufficienti ad impedire il determinarsi di situazioni quali quelle che hanno portato ai casi Cirio e Parmalat. Tali casi hanno, purtroppo, dimostrato la necessità di rivedere regole, sistemi di controllo e strumenti per garantire un efficace controllo, essendo indispensabile agire sulle diverse componenti del sistema.
Relativamente alla questione specifica di una razionalizzazione delle competenze delle diverse autorità di controllo ritengo, altresì, condivisibile una ripartizione delle competenze fondata su un criterio funzionale e che, dunque, rispecchi la suddivisione fra trasparenza, vigilanza e concorrenza.
In considerazione delle funzioni attribuite all'autorità che presiedo, aggiungo che, al fine di fornire un contributo quanto più possibile utile ai lavori di queste Commissioni, il mio intervento sarà limitato ai rapporti tra concorrenza e vigilanza, anche alla luce delle proposte di legge che si ipotizzano.
Prima di affrontare tale tematica, ritengo opportuno e doveroso riferire in questa sede sull'attività istituzionale dell'antitrust che ha interessato l'impresa Parmalat.
Con provvedimento del 27 luglio 1999, l'Autorità deliberava, a conclusione di un'articolata istruttoria, di autorizzare l'operazione di concentrazione, consistente nell'acquisizione da parte di Parmalat


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delle attività di Cirio nel settore del latte, confluite nella società denominata Eurolat, prescrivendo, tuttavia, il pieno rispetto di talune condizioni: in particolare, la dismissione, entro 12 mesi, di sei marchi di latte (Giglio, Polenghi, Matese, Torre in Pietra, Calabria Latte e Sole) e quattro stabilimenti produttivi (localizzati nelle province di Reggio Emilia, Frosinone, Salerno e Lecce).
Parmalat si impegnava, inoltre, a ritirare dalla regione Lazio, dopo quattro mesi dalla delibera dell'autorità, il proprio marchio «Parmalat» relativamente al latte fresco ed a non utilizzarlo per un periodo di tre anni. Gli impegni presentati prevedevano che l'acquirente, la cui identità avrebbe dovuto, in ogni caso, essere sottoposta preventivamente all'autorità, fosse «dotato di risorse finanziarie e gestionali che lo rendessero un credibile concorrente effettivo». Si prevedeva, inoltre, che l'eventuale acquirente non dovesse detenere un fatturato nazionale, nei mercati del latte, specificamente rilevanti (UHT e latte fresco), complessivamente pari a 200 miliardi di lire.
In data 20 aprile e 21 giugno 2000, sono pervenute le prime relazioni quadrimestrali relative all'attuazione degli impegni assunti da Parmalat nei confronti dell'autorità, che davano, tra l'altro, notizia della costituzione della società Newlat Srl, alla quale venivano conferite le attività oggetto di dismissione.
In data 11 luglio 2000, il presidente della Parmalat rappresentava come la procedura di dismissione stesse assumendo tempi più lunghi rispetto a quelli previsti nel provvedimento del 27 luglio e chiedeva il consenso dell'autorità ad un'estensione dei tempi della procedura. Inoltre, nella medesima lettera, veniva chiesto di poter modificare gli impegni assunti in occasione della decisione del 27 luglio 1999, nel senso di sostituire alla dismissione del marchio Matese l'impegno a ritirare dal mercato campano il marchio Centrale del latte di Napoli.
A fronte di tali richieste l'autorità deliberava, con provvedimento del 20 luglio 2000, di consentire una proroga del termine per l'ottemperanza agli impegni, che veniva fissata al 30 settembre 2000, ma di rigettare l'istanza di sostituzione dei marchi da dismettere.
Con lettere del 17 e 29 agosto 2000, Parmalat informava l'Autorità di aver sottoscritto, in data 10 agosto 2000, l'accordo per la dismissione delle attività oggetto di deconcentrazione, in tal modo adempiendo alle prescrizioni imposte con il più volte citato provvedimento del 27 luglio 1999. L'acquirente dell'intero pacchetto da dismettersi rappresentato dall'attività conferite alla Newlat Srl, è il signor Louis Caiola, cittadino statunitense in possesso di partecipazioni in industrie alimentari.
Sulla base della documentazione fornita da Parmalat in data 13 settembre 2000, l'Autorità ritenne che il signor Louis Caiola non fosse in possesso dei requisiti richiesti nel provvedimento del 27 luglio 1999, con particolare riferimento all'esperienza nel settore alimentare ed alle capacità gestionali, nonché, in definitiva, alla possibilità di rappresentare un credibile concorrente effettivo nei confronti di Parmalat.
Parmalat, nella persona del suo presidente, inviò una lettera di risposta, in data 10 ottobre 2000, nella quale, in merito alle perplessità espresse dall'autorità sulla individuazione dell'acquirente, osservava in primo luogo che Newlat costituiva di per sé un concorrente effettivo in ragione della consistenza delle attività ad essa conferite e rese autonomamente operative attraverso la nomina di un gestore indipendente. In secondo luogo, veniva messo in evidenza come il signor Caiola vantasse, da decenni, oggettiva e documentata esperienza nel settore alimentare negli Stati Uniti, nonché ampie risorse finanziarie idonee a qualificarlo come credibile concorrente effettivo.
Sulla base della ulteriore documentazione prodotta richiesta dall'Autorità, l'Autorità ritenne che l'acquirente individuato, Louis Caiola, fosse formalmente in possesso dei requisiti richiesti nel provvedimento di autorizzazione dell'operazione di concentrazione. Pertanto, con lettera del 27 ottobre 2000, l'Autorità, viste le


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comunicazioni ricevute e la relativa documentazione («dei contenuti delle quali Parmalat assume la piena responsabilità»), prendeva atto della stipula dell'accordo di cessione delle attività oggetto di deconcentrazione.
La Newlat è stato successivamente oggetto di ulteriori passaggi. Ed infatti, in data 11 gennaio 2002 ECM Euro Italia Acquisition Corporation, società dello stato del Connecticut, interamente controllata dalla società di venture capital Endeavor Capital Management LLC, anch'essa statunitense e controllata dal 1988 da una persona fisica di cittadinanza americana, comunicava l'acquisizione del 100 per cento del capitale di Newlat. A sua volta, tale società, nel giugno 2003, ha poi venduto la Newlat alla Boston Holdings Corporation, società di diritto dello stato del Delaware, costituita il 12 aprile 2001 e controllato da una persona fisica, Steven White. E siamo così alla storia di oggi.
Per completezza aggiungo anche che, a fronte della comunicazione di Parmalat di procedere all'acquisizione di un'altra società italiana, la Carnini, l'Autorità, considerato l'esiguo numero delle imprese attive nel settore del latte fresco nella regione Lombardia e la presenza, tra queste, degli unici due operatori nazionali, Parmalat e Granarolo, avviava un'istruttoria ritenendo che l'operazione in esame potesse portare alla costituzione o al rafforzamento di una posizione dominante singola o collettiva nel mercato del latte fresco della regione Lombardia (provvedimento del 2 novembre 2000).
Parmalat, dopo l'invio delle risultanze istruttorie e dei rilievi formulati nel corso dell'audizione finale, in data 13 dicembre 2000 comunicava il formale ritiro dell'operazione di concentrazione e l'autorità, con provvedimento del 14 dicembre 2000, disponeva pertanto il non luogo a provvedere (troverete per iscritto i successivi dettagli).
Cosa aggiungere. Alla luce degli ultimi avvenimenti e delle notizie di questi giorni, risulta che vi è stata, nella misura in cui tali notizie siano confermate, un'elusione della normativa antitrust. Sono pertanto costretto ad ammettere che l'Autorità di concorrenza è stata beffata in ordine all'ottemperanza alle sue decisioni. Aggiungo anche che preoccupazione e disagio, che pure l'Autorità ha avuto e che si sono tradotti in un supplemento di indagine al momento della comunicazione della vendita di Newlat al signor Caiola, si sono scontrate con l'impossibilità di ottenere informazioni fuori del territorio italiano e l'impossibilità di esprimere quello che all'epoca era un dubbio, un sospetto e forse più, ad autorità più attrezzate dell'antitrust per effettuare una verifica.
In questa prospettiva, non può non...

GIORGIO LA MALFA, Presidente della VI Commissione permanente della Camera dei deputati. Non capisco cosa intende dire con le parole «l'impossibilità di esprimere quello che all'epoca era un dubbio ad autorità più attrezzate dell'antitrust per effettuare una verifica». Le sarei grato se potesse essere più preciso.

LUCA VOLONTÈ. Presidente Tabacci, non ho niente di personale ma è preferibile rispettare la procedura e non interrompere.

GIORGIO LA MALFA, Presidente della VI Commissione permanente della Camera dei deputati. Abbiamo dei primi della classe ed è giusto che siano ascoltati...

PRESIDENTE. Si tratta di una interruzione che non aveva alcuna particolare velleità.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'autorità garante della concorrenza del mercato. Se volete posso rispondere anche subito.

GIORGIO LA MALFA, Presidente della VI Commissione permanente della Camera dei deputati. Grazie, presidente, ma non vorrei turbare l'onorevole Volontè nel suo essere primo della classe...

PRESIDENTE. Procediamo.


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GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'autorità garante della concorrenza del mercato. In questa prospettiva, non può non essere vista con favore l'ipotesi di una previsione in base alla quale ai rapporti fra l'Autorità antitrust e le altre autorità indipendente si applichi l'articolo 7, comma 5, del testo unico bancario relativo al segreto d'ufficio. In sostanza, l'applicazione dell'articolo 7 del testo unico sulla non opponibilità del segreto d'ufficio verrebbe così estesa ai rapporti tra autorità di concorrenza e le autorità indipendenti preposte alla tutela del risparmio. Una siffatta previsione è vista con estremo favore precisamente perché può solo rendere più efficiente l'esercizio delle funzioni antitrust e consentire una cooperazione volta a verifiche che l'antitrust non ha gli strumenti per compiere.
Passo ora all'attribuzione all'Autorità della concorrenza della competenza antitrust sul settore bancario. L'eventuale attribuzione della competenza per la tutela della concorrenza, in sede deliberante, all'autorità di concorrenza in tutti i mercati finanziari appare coerente con l'evoluzione normativa recente, sempre più improntata ad un riparto di competenze per «funzioni», anziché per soggetti. Il passaggio della competenza sulle banche all'autorità antitrust, del resto, sana una anomalia e consente un'applicazione uniforme ed incisiva delle regole di concorrenza. Esso, inoltre, consente di separare le funzioni di vigilanza da quelle di tutela della concorrenza, assicurando che non siano posti in capo al medesimo organismo obiettivi che possono risultare in conflitto.
Il punto di partenza per svolgere una pur sommaria analisi dei problemi di competenza nel settore bancario non può che essere la constatazione della peculiarità del settore, peculiarità sostenuta normativamente dal legislatore nazionale antitrust. Ciò deriva, come affermato in una recente sentenza del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2002, da una lunga storia, istituzionale ed economica, nonché dagli avvenimenti da cui è sorta la vecchia legge bancaria, la cui presenza, insieme alla qualificazione dell'impresa bancaria come impresa pubblica, faceva ritenere che nel settore la concorrenza dovesse giocare un ruolo residuale.
Nel corso del tempo, tuttavia, le modificazioni avvenute nel comparto creditizio, l'emanazione della nuova legge bancaria, l'indirizzo dettato dal diritto comunitario nonché il riconoscimento della natura imprenditoriale dell'attività creditizia hanno condotto all'applicabilità al settore bancario della normativa comunitaria antitrust.
In sede comunitaria, infatti, non è prevista alcuna differenza di tipo regolamentare per il settore bancario; quest'ultimo, infatti, è pienamente attratto ad un regime comune. C'è anche una sentenza della Corte di giustizia, del 1981, che ha precisato, se ancora ve ne fosse stato bisogno, questo elemento. A livello nazionale, invece, il legislatore si è orientato diversamente, salvando le esigenze di specificità della attività bancaria e la riconducibilità degli interessi pubblici ad essa connessi all'articolo 47 della Costituzione e non solo all'articolo 41 della Carta, derogando alla competenza generale dell'Autorità garante e prevedendo l'attribuzione di poteri antitrust alla Banca d'Italia.
La scelta, a detta degli stessi giudici nella evocata sentenza del Consiglio di Stato, tuttavia, non è stata formulata in modo chiaro ed inequivoco e ha dato luogo a rilievi sul piano tecnico e a incertezze applicative, solitamente superate grazie ai rapporti di ottima collaborazione tra l'Autorità e la Banca d'Italia. Le incertezze applicative, che non si possono tacere, sono da ricondurre al modo in cui è stata interpretata la nozione stessa di concorrenza nel settore bancario. Storicamente, la concorrenza, in tale settore, è stata considerata con un certo sospetto, in quanto motivo di eccessiva assunzione di rischio e, conseguentemente, di instabilità del sistema. In altri termini, stabilità e concorrenza sono stati considerati due obiettivi non sempre e, comunque, non facilmente conciliabili.
La tesi a fondamento di questa valutazione sul ruolo della concorrenza bancaria è che il potere di mercato sia associato


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a una minore probabilità di fallimento delle banche: tassi attivi più alti, o tassi passivi più bassi, comportano margini più elevati che fanno da scudo contro il rischio di portafoglio; inoltre, più elevati sono i profitti futuri attesi di una banca maggiore risulta il costo opportunità dalla bancarotta, che riduce l'incentivo all'eccessiva assunzione di rischio. Ne consegue che esisterebbe un vantaggio sociale nel rendere il sistema bancario più redditizio, in altri termini, concentrato o, se si vuole, limitatamente aperto alla concorrenza, in quanto questo migliora la stabilità bancaria.
Questo tipo di analisi appare, oggi, superato e superabile nella misura in cui a fini di controllo e di vigilanza non vanno utilizzati criteri strutturali (assetto del mercato) ma di tipo prudenziale. Il legame fra il potere di mercato, quindi il grado di concorrenzialità, e la stabilità sono principi non confliggenti, posto che quest'ultima (la stabilità) sia garantita da un'efficace attività di vigilanza e la concorrenza sia applicata non strumentalmente per la tutela di rendite di posizione ma in un contesto di mercato aperto e basato sulla reciprocità a livello europeo.
Alla luce di queste considerazioni, sembra possibile svolgere qualche osservazione puntuale in ordine alle competenze che la prossima riforma potrebbe attribuire all'Autorità antitrust nel settore bancario.
Ritengo, sia indispensabile chiarire, anzitutto, le competenze in relazione alla fattispecie oggetto della valutazione, poiché il valore della concorrenza e quello della tutela del risparmio (nella sua accezione più ampia di tutela della stabilità del sistema bancario) stanno in rapporto diverso in relazione al fatto che si debba analizzare una condotta abusiva o collusiva, da un lato, ovvero una strategia di crescita esterna (cioè una concentrazione), dall'altro.
Intese e abusi posti in essere nell'ambito dei mercati bancari, indipendentemente dal fatto che siano coinvolti solo istituti di credito, o questi insieme ad imprese non bancarie, sono da ritenersi fattispecie da sottoporre alla classica analisi antitrust. Quindi, è da attribuire con competenza esclusiva all'Autorità garante della concorrenza e del mercato con l'eventuale parere consultivo, e non vincolante, di Banca d'Italia per ciò che attiene ai profili tecnici del settore. Infatti, con riferimento a tali due fattispecie non può essere messa in discussione la garanzia della concorrenza, quindi la tutela oggettiva del diritto di iniziativa economica nell'ambito del libero mercato, in virtù della tutela del risparmio da intendersi in senso lato come tutela della stabilità bancaria.
Condotte abusive poste in essere da una banca in posizione dominante e cartelli tra banche, o tra banche e imprese, non possono essere ritenuti strumenti per la salvaguardia del risparmio. Per loro stessa natura, queste condotte alterano la struttura del mercato e modificano le strategie degli operatori coinvolti a danno dei concorrenti e, inevitabilmente, del consumatore e risparmiatore finale. Si tratta, infatti, di condotte finalizzate alle fissazione di variabili strategiche in modo concertato o alla imposizione di determinate condotte limitative della libera iniziativa economica, grazie allo sfruttamento di una posizione di vantaggio, singola o collettiva, che non possono trovare giustificazione nella stabilità del sistema, visto che i vantaggi sarebbero unicamente internalizzati dai soggetti coinvolti. In ogni caso, anche quando una concertazione appare utile per le esternalità positive che genera, la valutazione non può che essere condotta dall'Autorità di concorrenza e secondo i principi che possono giustificare intese non restrittive (si pensi all'autorizzazione per la definizione comune delle interchange fees). Più in generale, la stabilità del sistema non può essere confusa con la tutela di posizioni di rendita acquisite attraverso politiche di ostacolo all'ingresso o con forme concertate di difesa dai concorrenti, a scapito del mercato e dei consumatori. La competenza esclusiva dell'Autorità antitrust su tali fattispecie appare, quindi, coerente e necessaria.


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Nel caso di concentrazione, cioè di una operazione che comporti un passaggio di controllo, una volta condotti, dal competente organo di vigilanza, gli accertamenti a garanzia della stabilità del sistema, la stessa dovrebbe essere notificata all'Autorità antitrust. Quest'ultima dovrebbe avere poteri esclusivi per condurre le valutazioni necessarie ad escludere che l'operazione possa dare luogo alla creazione o al rafforzamento di una posizione dominante tale da restringere in maniera sostanziale e durevole la concorrenza. Preciso: non la posizione dominante in quanto tale ma quella posizione dominante idonea a restringere in maniera sostanziale e durevole la concorrenza.
L'organo di vigilanza (Banca d'Italia o Banca d'Italia di concerto con altri organi) prima della decisione dell'Autorità - lo sottolineo: prima di tale decisione - potrebbe esprimere un parere motivato non vincolante nei casi in cui la stabilità delle banche richieda la realizzazione di operazioni che creino o rafforzino una posizione dominante. Un simile parere, da rendere prima della decisione dell'Autorità antitrust, da questa potrebbe essere ritenuto fondato per autorizzare operazioni altrimenti da vietare; tale autorizzazione non dovrebbe consentire, in ogni caso, restrizioni della concorrenza che non siano strettamente necessarie alle finalità di cui al parere dell'organo di vigilanza. In sostanza, ci sarebbe da svolgere un test di proporzionalità.
Al di fuori dell'ipotesi di concentrazione e, dunque, del passaggio di controllo, possono essere utili alcune considerazioni in merito all'articolo 19 del testo unico bancario. Questa norma prevede che la Banca d'Italia autorizzi preventivamente ogni acquisizione, a qualsiasi titolo, di azioni o quote di banche, da chiunque effettuata, che comporti una partecipazione superiore al 5 per cento del capitale della banca, rilasciando l'autorizzazione quando ricorrano condizioni atte a garantire una «gestione sana e prudente della banca». Il riferimento esplicito della norma è quindi a una finalità tipica dell'attività di vigilanza bancaria. Da questo punto di vista, l'eventuale attribuzione dei «poteri di cui all'articolo 19» all'Autorità garante della concorrenza e del mercato appare, in primo luogo, peculiare. Essa introdurrebbe, infatti, una distorsione del sistema dei controlli che, nello stesso spirito, apprezzabile, della riforma, dovrebbe essere innanzitutto orientato ad una ripartizione delle competenze per funzioni. In secondo luogo, e più specificamente, la norma del Testo unico bancario tiene conto di due preoccupazioni, che può essere opportuno considerare distintamente. Vi è infatti, innanzitutto, la preoccupazione di garantire condizioni che soddisfino un principio generale di separazione tra banca e industria, in virtù di un controllo preventivo di partecipazioni significative al capitale di una banca, da parte di soggetti che svolgono prevalentemente attività di impresa in settori non bancari.
La formulazione onnicomprensiva della norma ingloba, tuttavia, anche l'autorizzazione preventiva dell'autorità di vigilanza per quanto concerne l'acquisizione di partecipazioni significative di quote del capitale di una banca da parte di un altro soggetto bancario. Sotto questo aspetto, e in termini generali, il Testo unico bancario sembra aver previsto, a fini di vigilanza, cioè per garantire la sana e prudente gestione della banca e, più in generale, la stabilità bancaria, anche la possibilità di ricorrere a strumenti di regolazione strutturale.
In questa prospettiva, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato non può esimersi dal considerare come il pieno assoggettamento del sistema bancario ai principi della concorrenza e del mercato che la riforma intenderebbe apprezzabilmente realizzare - attraverso il definitivo riconoscimento del criterio di ripartizione delle competenze di regolazione per funzioni, che supera, in tal modo, l'anomalia ancora contenuta nell'articolo 20 della legge n. 287 - dovrebbe presupporre, come condizione necessaria, l'effettivo superamento del ricorso a schemi di regolazione strutturale per i fini della vigilanza, in favore dell'adesione ai principi


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generali della regolazione prudenziale che, nel considerare la struttura del mercato come un elemento in sé neutrale, sono invece volti a sottoporre l'impresa bancaria al soddisfacimento di requisiti oggettivi di solidità patrimoniale e di integrità personale dei soggetti detentori di partecipazione qualificata al capitale della stessa banca.
Alla luce di tali considerazioni, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ritiene pertanto opportuno suggerire la necessità di una attenta riconsiderazione della portata dell'articolo 19 del Testo unico bancario, in un quadro coerente con il progetto di riforma della ripartizione dei controlli per funzioni.
Ciò detto, nelle ipotesi di operazioni di cui all'articolo 19, cioè in assenza del passaggio di controllo, sarebbe opportuno che l'Autorità antitrust fosse destinataria di una informativa, ciò che le consentirebbe, peraltro, di venire a conoscenza di problematiche di ordine concorrenziale connesse ad eventuali intrecci azionari, sui mercati bancari o su altri mercati, tali da determinare rischi competitivi in termini di coordinamento tra le parti e le loro controllate. Un passaggio di quote potrebbe infatti presentare profili concorrenziali connessi ai noti problemi di interlocking directories.
In estrema sintesi, le competenze strettamente attinenti l'accertamento dei requisiti di solvibilità delle parti, e quindi connessi alla garanzia di stabilità, richiedono l'intervento dell'organo di vigilanza in una fase anteriore alla notifica all'Autorità antitrust. Tali competenze implicano una puntuale definizione dei criteri da seguire, una procedura trasparente e quindi il rilascio di una autorizzazione motivata, impugnabile e sottoposta, eventualmente ed opportunamente, al controllo giurisdizionale.
Una volta svolta questa fase l'Autorità antitrust interverrebbe in due diversi modi: per le operazioni che non comportano modifiche nell'assetto di controllo, l'Autorità dovrebbe essere solo informata; per le operazioni che, invece, comportano il controllo, l'Autorità avrebbe poteri esclusivi nel valutare, autorizzare, vietare o condizionare l'operazione, salvo il parere (non vincolante) dell'organo di vigilanza per motivi attinenti la tutela del risparmio, secondo i criteri sopra delineati.
Prima di concludere, ritengo necessario porre l'attenzione proprio sulla questione dei pareri. A corollario dell'eventuale spostamento di competenze - e sulla falsariga di quanto avviene in virtù dell'attuale impianto dell'articolo 20 della legge n. 287 del 1990 per il settore delle assicurazioni e delle comunicazioni - è ovviamente fatto salvo l'intervento della competente autorità di vigilanza in ordine al parere da rendere. Al riguardo, non è superfluo sottolineare la necessità di individuare in modo puntuale la materia sulla quale si esercita il potere consultivo ed il soggetto che ne è titolare. Al contempo, andrebbe espressamente chiarito che il parere, da parte dell'autorità di settore, deve riguardare precisamente le caratteristiche del mercato di cui si tratta e non invece le valutazioni di ordine concorrenziale, che, all'evidenza, spettano all'Autorità antitrust.
Al testo scritto è allegata una ricognizione riassuntiva del riparto di competenze nei paesi europei e negli Stati Uniti. In Europa la competenza a tutelare la concorrenza è generalmente affidata all'autorità antitrust, salvo qualche volta il coinvolgimento di un organo diverso e, in alcuni paesi, addirittura del Ministero dell'economia. Negli Stati Uniti il controllo è diviso tra il Dipartimento di giustizia, che è l'organo antitrust generale, e le autorità di settore, che pure hanno delle competenze. Per tali motivi, il passaggio «dall'anomalia» ad una situazione di maggiore coerenza è qualche cosa che andrebbe nella direzione della normalità, almeno per quanto riguarda lo scenario europeo, che poi è quello che dovrebbe interessarci di più.
Vi ringrazio per l'attenzione e sono a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento. Ricordo


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che ogni tre interventi il presidente Tesauro potrà rispondere alle domande rivoltegli.

VINCENZO VISCO. Abbiamo avuto notizia dai giornali - e lei l'ha confermato - che nei casi Parmalat e Cirio è avvenuta sia un'elusione di obblighi indicati dall'antitrust attraverso una vendita a sé stessi, sia - ciò è peggiore - un accordo retribuito di non concorrenza fra Cirio e Parmalat in occasione di quelle transazioni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VI COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
GIORGIO LA MALFA

VINCENZO VISCO. Lei ha anche detto che l'Autorità è stata ingannata ed è evidente che sia così, ma, soprattutto in relazione ad un'estensione delle competenze, che garanzie ci sono che questo non si riproduca su scala allargata? Inoltre, a parte i poteri, l'organizzazione dell'autorità, le dimensioni del personale, l'esperienza, le competenze di coloro che lavorano al suo interno, sono sufficienti oppure no ai nostri fini? Che tempi sono necessari per riorganizzare un'autorità che possa non solo estendere il suo campo d'azione, ma anche essere più incisiva e, quindi, in grado di verificare che le prescrizioni vengano rispettate? È questione di leggi o soltanto un problema di coordinamento nazionale? È un problema di autorevolezza, di moral suasion? O di poteri repressivi veri? Mi pare molto rilevante accertare tali aspetti. Dopodiché, vorrei anche ricevere un suo parere circa il seguente profilo. Tutti i dati da me considerati «dicono» che, negli ultimi dieci anni, in due settori, sostanzialmente, la concorrenza, in Italia, è aumentata, anche se, probabilmente, è tutt'altro che piena. Si tratta delle telecomunicazioni e del settore creditizio. Basti pensare agli anni '90; tutti gli studi esistenti lo confermano; può apparire paradossale ma ciò si evince dai dati.
Lei ha chiarito che le due attività - quelle per la stabilità e per la concorrenza - possono essere in conflitto. Ebbene, il punto è proprio questo: quando si pone tale conflitto, cosa succede? Lei, infatti, ci ha riferito che finora la collaborazione con l'istituto di vigilanza è stata buona e non vi sono stati particolari conflitti; è evidente che non vi è alcun motivo perché le intese e gli abusi siano di competenza di altri e non dell'autorità. Il problema riguarda, come è ovvio, l'altra fattispecie, caso nel quale tali conflitti possono sussistere. Lei ricordava gli Stati Uniti, dove, più che di altri organismi che controllano le banche locali e via dicendo, la competenza è della Federal Reserve, e del Ministero della giustizia. Ebbene, in quel paese, come funziona il controllo e quale tipo di collaborazione, anche a mezzo pareri, esiste?

MARIO LETTIERI. Signor presidente, desidero anzitutto ringraziare il professore Tesauro per il contributo notevole recato alla nostra indagine che - voglio ricordarlo a me stesso - ha soprattutto l'obiettivo di individuare rimedi ad una legislazione attualmente non organica, con molte asimmetrie e smagliature che hanno consentito, e consentono tuttora, fenomeni gravi quali quelli relativi a Cirio, Parmalat ed altri. Ciò, in un momento in cui, a livello europeo, come lei giustamente sottolineava, si accentua sempre più l'esigenza di operare in un mercato aperto, ma con regolamentazioni che devono essere anche adottate in ambito comunitario. A tale proposito, sussiste certo una responsabilità del Governo, anche se non è questa la sede per la polemica politica; ad esempio, non si è ancora voluto recepire la normativa in materia di abusi di mercato, nonostante le proposte dell'opposizione.
Ma, detto ciò, vorrei porre, in particolare, alcune questioni. Condivido la sua proposta - peraltro, la stessa che mi sembra stia emergendo dall'intera indagine - di passare ad una regolamentazione per funzioni al fine di rendere coerente tutto sistema. Ebbene, lei ha evidenziato come, nel caso Parmalat, vi sia stata,


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sostanzialmente, una truffa da parte degli amministratori di quella società i quali, evidentemente, hanno falsificato non solo i loro bilanci e le documentazioni di supporto alle poste contabili ma, evidentemente, anche gli atti ed i documenti inviati all'Autorità per la concorrenza. Al riguardo, lei ha parlato di dubbi e di qualcosa di più. La mia domanda è la seguente: a fronte di tali dubbi, lei come ha operato? Ha contattato la Banca d'Italia, la Consob o la magistratura? Oppure si è limitato a nutrire dei dubbi?
Vengo ad un'altra questione. Siamo partiti dai casi Cirio e Parmalat; tuttavia, l'oggetto dell'indagine riguarda l'intero sistema. Si è riferito che si registra, nel sistema bancario, la presenza della concorrenza ma, con molta sincerità, come cittadino utente, debbo dire che non sono del medesimo avviso. Per quanto riguarda i costi, vi è, forse, un'omogeneità. Piccole differenze, limitate nel tempo mentre la tendenza è verso l'omogeneità dei costi, costi eccessivi per l'utente risparmiatore.
Le sottoporrei, inoltre, la seguente e specifica questione; nel caso della Banca di Roma - oggi Capitalia - vi è stata una violazione delle regole sulla concentrazione, atteso che Banca di Roma ha acquisito la Bipop-Carire, il Banco di Sicilia, la Banca mediterranea ed altri istituti (ha, poi, importanti partecipazioni, ad esempio in Mediocredito ed in Mediobanca). Non so esattamente quali siano state le valutazioni intervenute ed i rapporti che l'Antitrust ha avuto con Banca di Roma, oggi, appunto, Capitalia.
Infine, atteso che vogliamo regolamentare in maniera capillare e per funzioni le competenze delle autorità di controllo e vigilanza, al fine di garantire il massimo di efficienza e trasparenza al sistema, le chiederei dei chiarimenti circa il ruolo dell'Isvap in materia assicurativa. Premetto che - in base alle valutazioni che in materia, nella mia veste di componente la Commissione finanze, ho potuto fare - devo dare un giudizio abbastanza positivo al riguardo. Ma siccome le assicurazioni, in alcune formule - penso, ad esempio, alle assicurazioni sulla vita -, coinvolgono anche i mercati finanziari, le domanderei di manifestarci il suo pensiero in proposito. Ritiene che, per tale parte, le competenze debbano essere tolte all'Isvap e trasferite, in ipotesi, alla Consob? Ciò, diversamente da altri ambiti quali, ad esempio, il settore della RC auto, dove la concorrenza è doverosa.

PIETRO ARMANI. Signor presidente, vorrei anzitutto fare riferimento ai passaggi temporali che hanno cadenzato, attraverso l'esposizione del presidente Tesauro, gli interventi che l'Antitrust ha imposto alla Parmalat. Mi riferisco alla questione della vendita dei marchi contenuti nella società Eurolat che dalla Cirio era poi passata nella proprietà della Parmalat. Abbiamo appreso della serie di interventi successivi, anche abbastanza impegnativi e continui, dell'Antitrust nel tempo, tra la fine del 1999 e tutto il 2000. Alla fine, poi, è intervenuta una sorta di chiusura dell'indagine, con la presa d'atto della vendita della Newlat a società di diritto americano. Tuttavia, quanto alle affermazioni del gruppo Parmalat circa le difficoltà incontrate nella vendita della Newlat e nel collocamento all'esterno della partecipazione - e, quindi, dei marchi in essa contenuti -, ci si è limitati, a livello di Antitrust, a prendere atto della documentazione via via presentata dal gruppo o si è pensato, eventualmente, di ricorrere, atteso che si trattava di società di diritto americano, alla verifica di queste documentazioni presso le corrispondenti autorità statunitensi? Mi riferisco, in particolare, per quanto riguarda l'antitrust, al Dipartimento di giustizia americano e, per gli altri aspetti, alla SEC. Quindi, ci si è affidati soltanto alla documentazione che veniva fornita dagli interessati oppure ci si è posti il problema dei collegamenti fra vari soggetti?
Il collega Visco ha giustamente posto l'interrogativo della necessità di un rapporto fra le varie autorità a livello internazionale. Cosa che certamente è opportuna dal punto di vista della costruzione istituzionale di un sistema di controlli incrociati a livello internazionale, ma che


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credo potesse essere comunque posta in atto a livello di autorità nazionali italiane a fronte di autorità nazionali americane che avessero i compiti di controllo di società collocate nel Delaware. Questo stato peraltro mi sembra un paradiso fiscale: forse non siamo a livello delle isole Cayman ma è risultato comunque essere un luogo in cui si trovavano tutta una serie di società che la Parmalat ha dislocato in strutture esterne al sistema italiano. Non avete quindi avvertito il bisogno di confrontarvi per verificare se questi dati fossero veritieri o erano soltanto una presa in giro o comunque del fumo negli occhi?
Lei, presidente, ha fatto a riferimento all'articolo 19 del Testo unico delle leggi in materia bancaria; in realtà l'ultima versione del disegno di legge governativo in materia non mi sembra dia all'Antitrust le competenze anche sulle materie di cui all'articolo 19 del TUB, ma le lasci alla Banca d'Italia. Il Consiglio dei ministri però non ha deliberato oggi in materia e ha rinviato ogni decisione a martedì prossimo, quindi il discorso è ancora aperto.
Il presidente Tesauro ha giustamente sottolineato l'ottima collaborazione tra Antitrust e Banca d'Italia in questi anni, nonostante alcuni aspetti di sovrapposizione delle competenze e di incertezza normativa o comunque regolamentare. Mi risulta che, dall'approvazione del testo unico del '90 ad oggi, vi siano state penso alcune centinaia di interventi in campo bancario promossi dalla Banca d'Italia in collegamento con l'Antitrust (sia pure con parere obbligatorio e non vincolante, come stabilisce l'accordo tra le due autorità). Ebbene, non mi risulta che vi siano state divergenze in materia di concentrazioni delle quali si sa quanto ci fosse bisogno in un sistema italiano estremamente polverizzato nell'ambito bancario. Anzi, tuttora questo sistema è estremamente polverizzato soprattutto nella fascia delle banche medio o medio piccole, come tra l'altro emerge sui giornali nei commenti sull'audizione del governatore della Banca d'Italia dinanzi a queste Commissioni.
Quindi, a fronte di centinaia di interventi svolti di comune accordo, se non sbaglio vi è stata una sola contestazione per un operazione in Sardegna. Possiamo allora dire sostanzialmente che questo genere di operazioni si limitano a una Banca d'Italia che di 200 sportelli sovrapposti sosteneva la necessità di venderne 80, mentre l'Antitrust di venderne 150. Tutto qui.
Sull'applicazione rigorosa del sistema di mercato e quindi dell'impedimento di forme di estrema concentrazione nel nostro paese mi consenta di dissentire dalle sue affermazioni, pur dal punto di vista teorico ineccepibili. In realtà il sistema bancario italiano, come lei sa, è tuttora fortemente polverizzato e sottocapitalizzato. Si calcola che fra il 2004 e il 2005 a livello europeo saranno disponibili presso le banche straniere (inglesi, francesi, tedesche, spagnole) fra i 40 e i 50 miliardi di euro le quali, con offerte pubbliche di acquisto (OPA) più o meno ostili o accettabili, potrebbero comprarsi alcune banche italiane sottocapitalizzate. Mi riferisco ad istituti bancari fortemente condizionati da sofferenze quali quelle che hanno determinato gli assorbimenti di alcune banche meridionali, caro collega Lettieri, che altrimenti sarebbero finite in condizione di default assoluta, se non fossero state assorbite ad esempio da Capitalia o da SanPaolo-IMI.
Credo che, di fronte a queste disponibilità di banche straniere, sia estremamente importante fare in modo che le autorità deputate alla vigilanza della concorrenza lavorino di comune accordo per impedire che alcune banche italiane vengano comprate da banche straniere. E non solo: considerato che il sistema bancario italiano finanzia il sistema industriale, e visto che quest'ultimo è indebitato fino al collo con le nostre banche, evitiamo che le banche estere, comprando prima le banche, si comprino poi il sistema industriale italiano.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al presidente Tesauro per la prima serie di repliche, desidero ricordare che questa indagine conoscitiva ha come oggetto i rapporti tra il sistema delle imprese, i


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mercati finanziari e la tutela del risparmio. In ogni caso questa indagine muove da casi specifici molto rilevanti a cui ovviamente i colleghi nei loro interventi fanno riferimento.
In vista dei prossimi interventi debbo ricordare ai presenti la prassi costantemente seguita alla Camera e il secondo comma dell'articolo 48 del regolamento del Senato, il quale prevede espressamente che nello svolgimento delle indagini le Commissioni non dispongono dei poteri di cui al comma 5 dell'articolo 62 (i poteri di inchiesta propri della Commissioni di inchiesta) né hanno facoltà di esercitare alcun sindacato politico, di emanare direttive, di procedere ad imputazioni di responsabilità. Quindi i nostri cortesi interlocutori nel rispondere potranno tener conto di questi aspetti e, qualora si trovassero di fronte ad affermazioni che puntassero ad identificare eventuali imputazioni di responsabilità nelle varie aree in cui si esplica la legislazione nel nostro paese, potranno trascurarle (il presidente dovrebbe dichiararle inammissibili).
Lo dico in termini generali affinché nella conduzione di questi nostri lavori tutto avvenga nel modo più conveniente possibile.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Spero, nel replicare, di far fronte alle aspettative di chi ha posto le varie domande. Ho citato la Parmalat perché mi sembrava doveroso in questa sede non nascondere niente. Non ho nulla da nascondere. È stata posta in essere un'elusione, questo a giudicare da quanto leggo sui giornali che riportano ampiamente gli interrogatori e le risultanze di varie indagini, anche giudiziarie. Ed infatti stiamo per chiedere lumi (nella speranza di ottenerli) su questa ipotesi di elusione degli obblighi della Parmalat di dismettere un certo numero di marchi a favore di un soggetto terzo, un concorrente effettivo.
Evidentemente avevamo dei sospetti. Non è vero che non siamo abituati a questo genere di ipotesi. Spesso vi sono dei tentativi di ridurre, di affievolire la severità ed il rigore degli impegni e di conseguenza noi ci troviamo sempre di fronte ad informative insufficienti, vaghe. Cosa abbiamo fatto nel caso di specie, sia pure con la difficoltà di avere a che fare con un interlocutore americano?
Abbiamo chiesto supplementi di informazione, come pure - non lo nascondo - abbiamo chiesto ai nostri omologhi americani - che tuttavia incontrano difficoltà forse maggiori delle nostre - di andare ad indagare. Naturalmente, non potevamo farlo direttamente noi, mandare la Guardia di finanza. In tal senso, questa è la difficoltà principale che ci si è prospettata.
La documentazione, a seguito delle richieste reiterate di informazione supplementare, alla fine risultava, in apparenza, assolutamente ineccepibile. Il soggetto in questione, di consolidata esperienza nel settore alimentare, ove aveva operato con una presenza attiva e del tutto rassicurante, adesso veniva ad acquisire un asset italiano. Quanto a noi, lo abbiamo anche convocato in Italia; si è così presentato, in audizione, l'amministratore della suddetta società americana e, ripeto ancora una volta, l'apparenza cartacea e documentale era abbastanza rassicurante, e quindi non credo avremmo potuto far altro. L'unico tipo di operazione nelle nostre disponibilità in questi casi - e non so se analoga iniziativa avremmo promosso nel caso di una società italiana -, può essere l'effettuazione di un accesso, che nel Delaware non era possibile.
Quindi, tutto sommato, vi è il rammarico di essere stati aggirati. Questi signori hanno aggirato l'obbligo che noi avevamo posto; però, non mi pare che noi avessimo gli strumenti per andare al di là di una apparenza documentale, ripeto, rassicurante.
Sull'obbligo di non concorrenza tra Cirio e Parmalat, questo riguarda la fase antecedente; gli obblighi di cui parliamo trovavano fondamento nell'esigenza di evitare, come effetto dell'acquisizione di Cirio, una distorsione consistente del mercato.
Vengo, ora, alla domanda sulla sufficienza di personale, organizzazione ed


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esperienza, proprio alla luce di questo episodio, rispetto all'ipotesi avanzata di nuove competenze. Mi auguro che nel Delaware non ci siano tanti soggetti che abbiano a che fare con i nostri obblighi di dismissione, perché, come ho avuto modo di sottolineare, si aprirebbero delle difficoltà. Ecco perché mi sono permesso di sottolineare l'esigenza che si muova una riflessione seria e approfondita sui rapporti orizzontali tra autorità, innanzitutto, e tra queste ed i soggetti stranieri competenti che in alcuni casi, per fortuna non moltissimi, evidentemente pongono dei problemi. Ritengo anche opportuno studiare la possibilità di una convenzione con le autorità americane; in ogni caso, comunque, dobbiamo considerare un fatto importante. Noi siamo portati ad intrattenere naturalmente dei rapporti scambievoli - anche mediante strumenti cartacei di collaborazione - con i nostri omologhi. Più complicato, evidentemente, è assicurare una circolazione di informazioni sensibili anche con autorità che si occupano di settori diversi. Perché molto spesso è utile che le informazioni tocchino aspetti sensibili nella vicenda delle imprese e, in questo senso, si pongono dei problemi di confidenzialità di cui è necessario tenere conto.
Questo non vuol dire che la circolazione delle informazioni, anche su dati sensibili delle imprese stesse, non vi debba essere. Anzi, deve esserci purché sia esattamente e precisamente regolamentata dal legislatore. Non è una questione di moral suasion né di poteri, in senso tecnico, si tratta piuttosto di regolare un aspetto che si sta rivelando molto importante e delicato. Volendo riassumere il problema, in una sola frase, con parole oggi molto di moda, potremmo dire: la globalizzazione dell'economia non si è ancora tradotta in una globalizzazione dei meccanismi di controllo.
Questo è una chiara difficoltà, una sfida che vediamo presentarsi anche nella nostra vita quotidiana rispetto al futuro. Per esempio, adesso, all'interno della Comunità europea, stiamo organizzando una rete di rapporti di collaborazione non più soltanto verticali tra noi e la Commissione ma anche, e soprattutto, tra le 15 autorità nazionali di concorrenza. Ciò non è soltanto utile ma addirittura necessario. Non so se tutto questo riuscirà ad andare oltre la fantasia di coloro che studiano per anni i meccanismi più idonei di elusione degli obblighi imposti dall'autorità di concorrenza. Probabilmente, da questo punto di vista, esiste una vera rincorsa tra controllori e controllati ed è evidente che dovremo fare il possibile per non farci lasciare troppo indietro.
Quanto, poi, al settore delle telecomunicazioni, vorrei essere molto chiaro. Per le telecomunicazioni mobili, esiste un livello di concorrenza soddisfacente; per quelle fisse, invece, dire di non disporre di un livello di concorrenza sufficiente parrebbe quasi eufemistico. Negli ultimi 14 anni, da quando cioè è entrata in vigore la legge sulla concorrenza in Italia, il settore delle telecomunicazioni ha subito una influenza determinante del diritto comunitario. Le prime direttive europee sono intervenute nel settore tra gli anni 1988 e 1990; si sono susseguiti poi ulteriori interventi, in mancanza dei quali non saremmo certamente giunti allo stato attuale nel settore delle telecomunicazioni mobili.
Nel campo delle telecomunicazioni fisse, gli interventi ci sono stati ma non hanno portato a risultati soddisfacenti, almeno sino ad oggi. C'è un operatore dominante, titolare anche della rete, «ultradominante», e ciò apre notevoli problemi. Attualmente, sono state aperte dall'Antitrust delle procedure verso tale soggetto e in generale siamo molto vicini all'abuso di posizione dominante. Questa è una violazione tipica degli ex monopolisti e in generale dei soggetti che dispongono della rete. Nei rapporti con tutti gli altri soggetti, in particolare nell'accesso alla rete, si pongono comunque delle questioni per l'autorità Antitrust.
Quanto al settore creditizio, è uno dei settori patologici dal punto di vista della concorrenza. Non mi risulta che sia uno dei campi più avanzati dal punto di vista


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del tasso di competitività: mi dispiace, onorevole Visco, di non avere le sue stesse idee al riguardo.

VINCENZO VISCO. Posso concordare su questo. Il punto è se nei dieci anni sia aumentata o meno la concorrenza, questa è la mia domanda. I dati disponibili confermano quanto sostiene lei ma anche la presenza di un notevole miglioramento nel settore.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Non abbiamo la stessa percezione nel settore del credito. Quanto all'Autorità che rappresento, ha lavorato con la Banca d'Italia e sappiamo bene quali siano le difficoltà, conosciamo anche le diversità di sensibilità della Banca d'Italia rispetto ai temi della concorrenza, soprattutto se li mettiamo in relazione al valore della stabilità e della trasparenza. È naturale che sia così. È una diversa sensibilità. Lo costatiamo soprattutto - sono le maggiori anomalie - riguardo agli abusi delle intese ed agli abusi di posizione dominante. Sulle concentrazioni, è un altro discorso.
Sulle intese e sugli abusi di posizione dominante, evidentemente, vi è una diversa sensibilità. La costatiamo nel rapporto quotidiano di collaborazione, che - ripeto - è ottimo, se non addirittura idilliaco, pur avendosi una diversa sensibilità.
Lei, onorevole Visco, chiede a vantaggio di chi si risolve il conflitto tra stabilità e concorrenza. Ho cercato di sottolineare tale punto nella relazione scritta. Per quanto riguarda le ipotesi classiche, intese, comportamenti collusivi ed abusi di posizione dominante, secondo me, non vi è alcun dubbio, in nessun paese: deve vincere la concorrenza. Viene, infatti, a mancare proprio il conflitto; non vi è ragione per cui non vinca la concorrenza.
Sulle concentrazioni, evidentemente, il discorso può essere più articolato. Ecco perché è necessario studiare una dialettica fra l'attività di vigilanza - che può essere anteriore a quella di controllo della concorrenza - ed il peso da attribuire al parere della Banca d'Italia nei confronti dell'antitrust (o, viceversa, dell'antitrust nei confronti della Banca d'Italia).
Secondo il nostro punto di vista, l'analisi sulla stabilità (che è un'analisi di regolazione ex ante, sostanzialmente) è anteriore: vi è, quindi, il modo per risolvere tale conflitto - vero o presunto - tra stabilità e concorrenza.
D'altra parte, se teniamo conto del valore del risparmio, ci viene subito in mente il fallimento di una banca. Che succede con il fallimento di una banca? Non si può farla comprare ad un'altra banca solo per ragioni di concorrenza. L'analisi dell'autorità di vigilanza sulla concorrenza considera al meglio anche tale ipotesi (vi è un criterio denominato failure defense, che proviene dalla giurisprudenza statunitense e lo applichiamo con grande tranquillità).
Negli Stati Uniti vi è una divisione di competenze. Nella scheda allegata alla relazione è presente uno specchietto riguardante il sistema statunitense, che risponde alle preoccupazioni della diversità di valori tra vigilanza e concorrenza. Alla fine della giornata e di tutti gli articolati passaggi dell'esercizio di tali competenze, detto sistema dà l'ultima parola, se non erro, al Dipartimento di giustizia ed al giudice.
L'onorevole Lettieri mi chiede cosa si è fatto nel caso delle dismissioni di Parmalat. L'ho già precisato. Abbiamo fatto ciò che ritenevamo fosse nostro compito. Avremmo voluto prendere l'aereo, assieme ai nostri amici finanzieri, ed andare nel Delaware, ma non lo potevamo fare. Era, forse, l'unica soluzione che ci avrebbe consentito di toccare con mano la vicenda societaria, che, invece, siamo stati costretti a vivere attraverso le carte. Le stesse carte e la testimonianza delle autorità statunitensi, che ne testimoniavano (non dico certificavano) l'autenticità erano ineccepibili. Il problema è proprio questo. Non stiamo parlando di dilettanti; sono ben attrezzati. L'Autorità antitrust non credo potesse fare di più.
Lei, onorevole Lettieri, ha parlato di un'ipotesi particolare: l'acquisizione da


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parte di un gruppo bancario di partecipazioni in altre banche ed in altre società. Attenzione: è necessario distinguere il caso in cui vi è il passaggio del controllo (si ha, in tal caso, una concentrazione, che ci riguarda). Nel caso della banca, ci riguarda come parere alla Banca d'Italia; nel caso, invece, di un altro settore, come i servizi finanziari, le assicurazioni, eccetera, siamo noi a decidere. In entrambi i casi ne siamo a conoscenza. Se, quindi, abbiamo dato parere favorevole alla Banca d'Italia o se abbiamo deciso che un'operazione di concentrazione poteva essere effettuata, vuol dire che non avevamo preoccupazioni di ordine concorrenziale.
Molto spesso si pensa che l'acquisizione di una grande partecipazione determini una concentrazione, mentre l'acquisizione di una piccola partecipazione no. Può, tuttavia, succedere esattamente l'inverso: molto spesso, con il 5 o il 6 per cento, ci accorgiamo che si acquisisce il controllo di fatto (per esempio, nel caso SAI-Fondiaria, che abbiamo tenuto in sospeso per circa un anno e mezzo, era così). Specialmente in società con un grande flottante, vi è la possibilità di un passaggio di controllo con partecipazioni anche molto basse.
Con l'Isvap, abbiamo un rapporto che, negli ultimi due anni, è migliorato moltissimo. Non posso dire se ciò sia dovuto alla nuova gestione. Il distacco dagli interessi delle compagnie di assicurazioni è palpabile.
Non so fino a qual punto il controllo delle compagnie di assicurazioni (molto specifico) possa essere trasferito alla Consob. È una riflessione che lascio a voi. Si tratta di un aspetto rilevante nella rivisitazione del sistema dei controlli, complessivamente considerato.
L'onorevole Armani mi chiede circa i rapporti con le autorità degli Stati Uniti. Abbiamo rapporti con l'omologa autorità, che ha difficoltà ad entrare nei files dei computer delle società statunitensi. In ogni caso, non era la nostra omologa autorità negli Stati Uniti a poter fornire risposte che, oggi, avrebbero risolto alcuni problemi. Abbiamo domandato informazioni sulla società, che andassero al di là di ciò che emergeva dalle carte di cui eravamo in possesso. Lo ripeto ancora una volta, noi non saremmo potuti andare nel Delaware ad effettuare un accesso (come avremmo, viceversa, potuto fare in Italia).
Sull'articolo 19 del testo unico credo di essermi dilungato fin troppo. Se sia stato stralciato dall'ipotesi di disegno di legge, non sono in grado di dirlo. Ho letto solo i giornali; non mi risulta vi sia ancora un testo ufficiale. Abbiamo manifestato delle perplessità ed abbiamo perplessità anche sul modo con cui sino ad oggi è stato interpretato l'articolo 19; l'approccio strutturale di assetto del mercato, secondo noi, dovrebbe lasciare il posto ad un approccio di tipo prudenziale, naturale nella autorità di controllo del settore bancario.
Per quanto riguarda le difformità con la Banca d'Italia, sottolineo ancora una volta la grande collaborazione esistente. Farei una distinzione tra concentrazioni e intese ed abusi. Per quanto riguarda le intese e gli abusi è naturalmente molto più difficile...

PRESIDENTE. Perdoni la mia ignoranza, ma cosa sono la regolazione strutturale e quella prudenziale? Lei ha a che fare con degli «incompetenti» e spero ci aiuti.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. La prima è l'analisi svolta da una autorità antitrust che analizza il mercato, la presenza di soggetti, la forza ed il potere di mercato dei singoli soggetti, gli effetti che ha una operazione di concentrazione sulla struttura del mercato, se rafforza o costituisce una posizione dominante, singola o collettiva e se questa posizione dominante sia in grado di condizionare a tal punto la struttura del mercato da risolversi in una restrizione, sia essa una barriera all'entrata o un aumento dei prezzi o una qualunque distorsione del mercato. Questa è una analisi tipicamente antitrust.
L'analisi prudenziale, invece, è quella realizzata da un organo di vigilanza delle banche. Si tratta di due «mestieri» diversi.


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Se l'Autorità garante della concorrenza e del mercato svolgesse una analisi prudenziale svolgerebbe un'analisi impropria che non le appartiene. Lo stesso varrebbe se la vigilanza bancaria conducesse non una analisi di tipo prudenziale, mirata ad esaminare la stabilità e la trasparenza, ma esaminasse l'assetto competitivo del mercato. Ciò sarebbe un uso improprio di uno strumento.
Per questo affermiamo che è necessario riflettere bene; a noi non appartiene l'analisi di tipo prudenziale. Lasciamo alla Banca d'Italia l'articolo 19, purché essa svolga un'analisi di tipo prudenziale, per essa naturale.
Per quanto riguarda i casi di difformità nelle intese, non sono state aperte molte procedure nel settore bancario, in 14 anni soltanto 49. Abbiamo rilasciato sei pareri difformi sulle intese e tre sulle concentrazioni. Ripeto, vi è grande collaborazione ma diversa sensibilità sia sostanziale sia procedimentale; questa è la nostra esperienza con la Banca d'Italia.
Per la verità, non ho capito, onorevole Armani, su cosa dissentiamo. Lei mi ha detto che il sistema bancario è polverizzato e su questo aspetto non ho nulla da dire. Le nostre più grandi banche sono comunque dei piccoli soggetti nell'arena internazionale.

PIETRO ARMANI. Possiamo essere d'accordo che debba prevalere la valutazione prudenziale rispetto a quella strutturale, per lo meno per un certo arco di anni, proprio per evitare che operazioni di acquisizione di banche italiane e...

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Allora parliamo di due cose diverse. L'analisi prudenziale e quella strutturale sono una cosa ben diversa dall'impedire l'ingresso agli stranieri. Ciò non appartiene più né all'analisi prudenziale né, soprattutto, a quella concorrenziale. Si tratta di un problema di libera circolazione per quanto riguarda gli istituti europei.

PIETRO ARMANI. Lei, presidente, ha parlato di reciprocità e la reciprocità non c'è.

PRESIDENTE. Posso accettare una interruzione, approfittando dell'assenza dell'onorevole Volontè, che vedo entrare proprio ora, ma due sono troppe.

LUCA VOLONTÈ. Era l'interruzione di prima che non era opportuna, anche in base a quanto avevamo deciso insieme, presidente.

PRESIDENTE. Sono sicuro che il suo giudizio di opportunità è migliore del mio, onorevole Volontè, e mi sono immediatamente adeguato.
Continui pure, presidente Tesauro.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Personalmente sono un «animale comunitario». Sono stato dieci anni alla Corte di giustizia, quindi per me «reciprocità» è una bellissima parola, ma estranea al sistema comunitario. Possiamo discutere su questo aspetto, ma di fatto gli obblighi che ciascuno Stato membro ha nei confronti della Comunità e degli altri Stati membri non sono condizionati al principio della reciprocità. Possiamo discutere se sia un bene o un male, essendovi asimmetrie e non reciprocità che fanno «male», ma sta di fatto che il sistema comunitario non dovrebbe conoscere questo principio come vincolo al comportamento degli Stati membri.

PRESIDENTE. È per questo che viene «travestito» da principio di prudenzialità.
Onorevoli colleghi, vi sono ancora otto iscritti a parlare. Se il presidente Tesauro è d'accordo, proporrei di far rispondere a gruppi di quattro domande.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. No, presidente, preferirei mantenere gruppi di tre, altrimenti vi sarebbe il rischio di non rispondere a tutte le domande poste.


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PRESIDENTE. Sta bene. Pregherei allora i colleghi di sintetizzare le domande.

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. In primo luogo rivolgo un sentito ringraziamento al professor Tesauro per la sua esposizione e per aver partecipato all'audizione. Mi sembra si tratti di un contributo molto importante come, peraltro, tutti i contributi finora ricevuti.
Ero e resto convinto che in queste vicende, riguardanti sia il caso Parmalat sia quello Cirio, abbiano congiurato una serie di fattori, a cominciare da quelli di carattere penalistico. Vi è stata una vasta gamma di reati societari dai più semplici ai più sofisticati, per finire ai controlli delle varie autorità, passando per i controlli interni. Questa concatenazione di cause ed effetti, queste congiunture hanno concorso perché tutte le autorità subissero «scacco matto» e fossero messe fuorigioco.
Nella sua relazione, presidente, ha affermato che l'autorità da lei presieduta è stata «beffata». In pratica lei ha avuto lo stesso trattamento, se così può essere definito, di tutte le altre autorità, ma non vedo nei suoi confronti la stessa animosità che vi è stata per altre autorità e me ne compiaccio, perché in questo modo doveva essere impostata l'indagine conoscitiva, mantenendo un tono di equilibrio e pacatezza per raggiungere gli obiettivi e le finalità proposte.
Lei si è trovato nella stessa situazione nella quale si sono trovate la Consob e la Banca d'Italia: ha richiesto documenti e non li ha ottenuti, perché non ne aveva i poteri.
Successivamente, le dirò quali sono le mie proposte in tal senso, perché non basta uno spostamento di competenze. Infatti, presidente Tesauro, se noi passiamo la pistola scarica di un finanziere ad un carabiniere o ad un poliziotto, cambiano soltanto le competenze ma la pistola non avrà alcuna efficacia nel contrasto alla criminalità, come in questo caso.
Lei, presidente Tesauro, e l'Autorità da lei presieduta, vi siete fidati di un soggetto dotato di risorse finanziarie e gestionali che lo rendessero un credibile concorrente effettivo. Questa è la prima lettera alla quale ha ricevuto risposta. Successivamente, si è fidato di un soggetto e di una documentazione dei cui contenuti Parmalat assume la piena responsabilità. In altri termini, lei disponeva di armi spuntate, al pari della Centrale rischi, che non censisce affidamenti e utilizzi. Infatti, si dovrebbe anche sapere di che cosa stiamo parlando: di uno strumento informativo che censisce anomalie, accordate o utilizzate, di affidamenti bancari, limitatamente agli istituti di credito domestici, non esteri. Lei non poteva conoscere ed esaminare la fondatezza, la rispondenza e l'affidabilità, per quanto riguarda le emissioni di bond, perché lei, al pari delle altre autorità, ha visto arrivare, prevalentemente, bond provenienti da banche straniere, almeno negli ultimi anni. Lei non era in grado, come non lo sono le altre autorità, di andare a frugare nei paradisi fiscali. Perciò, pur avendo avuto, a seguito delle successive richieste da lei rivolte, la sensazione che le cose non stessero a posto (così ci ha riferito) e pur essendole venuta la voglia di recarsi nel Delaware (così si è espresso), non ha potuto fare altro che fidarsi dei documenti e dei bilanci. Quindi, lo ripeto, lei si è trovato nella stessa situazione delle altre autorità con le quali, come lei stesso ha riconosciuto, collabora ottimamente.
Ci siamo trovati e ci troviamo di fronte a casi di una patologia inaudita, a reati e ad una criminalità sofisticata. Per quanto riguarda questo aspetto, poco potremo fare, se non andare all'inseguimento del criminale che ha la fantasia di inventare sempre nuovi reati; però, possiamo agire sul piano dei controlli.
Formulo soltanto questa osservazione. Dieci anni di ristrutturazione del sistema bancario ci hanno portato al livello dei paesi più avanzati d'Europa. La redditività delle nostre banche è migliorata, come da tutti richiesto. L'indice noto come return on equty, 10 o 15 anni fa, era tragico. Recentemente, ci siamo allineati alle banche


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europee. Visto che esiste questa collaborazione, ottima e che ha dato anche i suoi frutti, per anni, piuttosto che immaginare una riforma palingenetica, condivido la proposta da lei formulata nella sua relazione, in cui fornisce i suggerimenti da adottare riguardo all'articolo 19 del testo unico bancario, in assenza di un passaggio di controllo. Allo stesso modo, sono d'accordo sul segreto istruttorio che, nell'ambito delle autorità, ma solo in questo ambito, deve essere rimosso. Infatti, il segreto istruttorio non può essere rimosso verso chicchessia e, tanto meno, nei confronti del potere politico.
Spostare le competenze, come dicevo, non risolverebbe alcun problema. Infatti, possiamo anche inventare una super Consob e 25 altre autorità diverse ma, se queste autorità sono prive di poteri effettivi, noi non otteniamo alcun risultato. La Consob ha chiesto chiaramente quali debbano e possano essere i poteri per controllare più incisivamente operazioni sul mercato e società. Gradirei alcune indicazioni precise sui poteri, non sullo spostamento di competenze perché, come ho affermato, se noi spostiamo una pistola scarica non risolviamo alcun problema.

GIORGIO BENVENUTO. Condivido l'approccio del professor Tesauro. Nel nostro paese, ci troviamo in una fase nella quale occorre compiere una scelta chiara e avere, quindi, autorità di vigilanza che siano organizzate per funzioni e non per soggetti. Sono convinto anche nella creazione delle Authority, nel nostro paese, e nel passaggio da una realtà ad un'altra, si è dovuto tenere conto di alcune situazioni di fatto. Ricordo il dibattito - che in questi giorni ho riletto - che ha portato all'approvazione della Autorità garante della concorrenza. Rammento che fu un dibattito importante, ricordo le preoccupazioni della Confindustria, le richieste del sindacato e la sensibilità delle forze politiche. In particolare, ho riletto l'intervento svolto, a suo tempo, da Carli, il quale chiese che, nell'attuazione della concorrenza, fosse stabilita quella eccezione. I motivi erano convincenti. Infatti ci trovavamo con una settore bancario, per così dire, pietrificato e avevamo una situazione nella quale la cosiddetta legge Amato non era ancora in vigore ed eravamo alla vigilia della firma del trattato di Maastricht. Quindi, in quella situazione, alla nascita di una nuova Authority, era importante che il nostro sistema bancario, così delicato, così arretrato, beneficiasse, per così dire, di questa eccezione.
Sono convinto che quella scelta, allora, fu giusta e ragionevole. Adesso non la trovo più convincente. Sono convinto che dobbiamo compiere un passo in avanti perché, se è fondamentale la stabilità, lo è anche la concorrenza. Il modo in cui stanno le cose, il modo in cui si presentano i fatti sui quali ci misuriamo e lo stesso motivo della indagine che stiamo svolgendo - cui si riferiva lo stesso presidente La Malfa - ci dicono che le cose, così, non vanno bene. Infatti, il problema della concorrenza non è garantito e la concorrenza non è stata tutelata, nel settore bancario, perché non c'è una risposta convincente all'intreccio tra banche e imprese. Così com'è, non va bene, non c'è concorrenza. Se la grande impresa è in grado di determinare il flusso dei crediti e se si determina una situazione paradossale per cui si tutela il debitore e non si tutela il creditore che credo che le regole della concorrenza siano violate. C'e la stabilità ma c'è anche la instabilità del sistema e la instabilità dell'economia. Questa è la prima riflessione. Noi siamo preoccupati di questo problema. Non parlo delle degenerazioni, delle banche che si preoccupano con un'azione di cartello di essere proprietarie delle squadre di calcio, ma vorrei una risposta sul problema delicato del conflitto tra banche e imprese.
La seconda questione è relativa alla violazione della concorrenza e alla vicenda del risparmio. Noi parliamo di tutela del risparmio e, quindi, anche la riorganizzazione delle funzioni non ha come obiettivo un problema di competenze, ma è funzionale alla soluzione di un delicato e drammatico problema che ci rende fragili in Italia e in Europa.Allora, c'è stata o non c'è stata un'azione di cartello nel collocare


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le azioni Cirio? Il collocamento di tali azioni è avvenuto con un meccanismo - sulle polizze assicurative ai risparmiatori sono state date delle informazioni e sono stati fatti firmare prospetti che sono sostanzialmente identici - che ora viene in parte modificato. Ma, attenzione, le banche che hanno concesso di ridiscutere le obbligazioni indebitamente collocate sono quelle che hanno dato meno azioni Cirio e, quindi, lo fanno in modo direttamente proporzionale alla loro esposizione.
Inoltre, vorrei sottoporre una questione alla sensibilità di un'Authority a cui sono grato come cittadino perché, con i mezzi che aveva a disposizione, ha dato delle risposte importanti nel settore delle assicurazioni e delle compagnie petrolifere. Come è possibile che le obbligazioni, che sono un nuovo prodotto finanziario - il governatore della Banca d'Italia ci ha riferito la loro dimensione -, vengano collocate senza che i cittadini sappiano che comportano un rischio? In Italia tutto si fa informando, mentre non lo si fa sul rischio di queste obbligazioni (anche al ristorante viene detto se il pesce è di mare, allevato o conservato). In altre parole, non esistono regole per fare in modo che il cittadino possa valutare ogni prodotto che compra (sigarette, medicine e via dicendo) e, quindi, il risparmiatore è totalmente indifeso. Inoltre, ho segnalato al governatore della Banca d'Italia che esiste anche un meccanismo di cartello improprio, in base al quale la retribuzione dei funzionari e dei dirigenti nel sistema bancario è legata alla loro capacità di rifilare obbligazioni che si chiamano sicure, ma, in realtà, sono «spazzatura». Tale competenza non potrebbe applicarsi al sistema bancario, fermo restando la stabilità? Credo che stabilità e concorrenza non siano confliggenti. Non dico che debba essere privilegiata più la concorrenza e la difesa del risparmiatore rispetto alla stabilità, ma almeno che siano sullo stesso piano. Se ci fosse tutto ciò, sarebbe possibile una tutela del risparmio? Oggi una tutela ci viene chiesta in maniera lampante da tutta l'opinione pubblica e, quindi, non possiamo lasciare le cose così come sono e fare solo qualche aggiustamento.

PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che, in base al nostro programma, alle ore 17 dovremmo ascoltare i rappresentanti della COVIP.

ALFONSO GIANNI. Pongo una sola domanda riassuntiva che riguarda più il futuro che il passato. Professor Tesauro, lei, come altri colleghi - ciò risulta chiaro dalla relazione pervenutaci -, lamenta limiti imposti o derivati alla possibilità d'azione dell'Authority di cui lei è responsabile. In particolare, questi limiti si riferiscono ad un'eventuale e possibile, ma impossibilitata nei fatti, indagine a livello internazionale nel mondo finanziario, che, per definizione, è sovranazionale.
A pagina 5 della sua relazione scritta lei dice che le preoccupazioni e i disagi si sono scontrati con l'impossibilità di ottenere informazioni fuori dal territorio italiano e, più di una volta, ha detto che avrebbe voluto andare nel Delaware ma che non ha potuto farlo. Siccome tanto il superministro dell'economia Tremonti quanto il governatore Fazio, all'interno di una visione differente delle prospettive future e in un quadro di rinnovamento della funzione di controllo complessiva del sistema finanziario, continuano ad attribuire all'Authority da lei presieduta delle funzioni rilevanti, le chiedo di essere più esplicito o, se crede, più temerario. In altre parole, potrebbe darci un contributo - che, in questo senso, sarebbe più interessante rispetto ad un'analisi dell'impotenza del passato - su una possibile linea di riforma per potenziare i poteri dell'istituto che lei presiede?

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il presidente Pedrizzi mi ricordava come il tasso di animosità nei nostri confronti sia inferiore rispetto a quello manifestato ai rappresentanti della Banca d'Italia e della Consob. La ragione è molto semplice: nelle vicende di Cirio e Parmalat


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ci siamo in una misura assolutamente marginale, eccentrica rispetto a quello che è successo veramente. La nostra attenzione - quasi un faro puntato su questa storia americana della vicenda Parmalat - non si è focalizzata né sulla contabilità né sui bilanci né sui bond né sulle emissioni di titoli. Aspetti che, evidentemente, sfuggono alla nostra competenza e, quindi, al nostro interesse; piuttosto, abbiamo avuto di mira una «normale» vicenda di concorrenza, che avrebbe potuto riguardare anche una società alla cui esperienza risultasse del tutto estranea l'illegalità invece riscontrata nel caso di specie.
Ci siamo imbattuti in una documentazione che, per così dire, faceva da velo alla realtà; mi riferisco alla società che comprava i marchi Parmalat. Società che, in realtà, dalle mie parti, a Pordenone, definiremmo una testa di legno. Trovare altro, oltre alla documentazione già in nostro possesso, sarebbe stato comunque difficile; risultava addirittura impossibile nello stato del Delawer. Questi sono i fatti; anche se venissero estesi i poteri di indagine, mai si potrebbe arrivare al punto di consentire ad una autorità ovvero ad un'amministrazione italiana di operare un'ispezione nei locali di una società del Delawer.

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Il problema si pone, allora, per tutte le altre autorità. Inoltre, mi perdoni ma, quando esaminate se un soggetto sia dotato di risorse finanziarie e gestionali che lo rendano un credibile concorrente effettivo, cosa accertate? I bilanci, la situazione patrimoniale?

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Certamente...

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Quindi, quanto hanno considerato le banche e la Consob...

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Non so cosa accerti una banca e cosa la Consob; noi abbiamo rivolto la nostra attenzione al fatto che si trattasse di un operatore del settore specifico, e lo era, nonché alla eventuale sua condizione - invero, sussistente, come, peraltro, risulta dalla documentazione - di concorrente effettivo. I sospetti si giustificavano col nostro ruolo che ci rende sospettosi per natura; si deve riconoscere, infatti, che, forse, non vi era alcunché che potesse alimentare gravi sospetti in base alla documentazione presentata. Appunto con tale situazione si spiegano le difficoltà incontrate nell'accorgersi di quanto accadeva.
Comunque, è chiaro che la differenza dell'organismo da me presieduto con Banca d'Italia e Consob è abissale, perché il nostro è un ruolo assolutamente diverso. Certamente, non si tratta della stessa situazione.
Per quanto riguarda il segreto sui dati sensibili delle imprese, siamo perfettamente d'accordo: occorre una delicata e approfondita riflessione che deve essere condotta dal legislatore in modo che vi sia una circolazione delle informazioni, anche sensibili, all'interno delle autorità di controllo, con qualche «paletto» nei confronti di altre categorie di organismi.
Quanto ai poteri effettivi, invero ne disponiamo; non abbiamo il potere - ribadendolo ancora, mi scuso della ripetizione - di accedere ai dati nel Delaware. Ma, probabilmente, non avremo mai siffatta potestà; dunque, in ciò risiedeva l'ostacolo.
Quanto all'incremento del personale, certo potrei, per così dire, fare un pianto greco; siamo, infatti, l'organismo che ha l'organico più piccolo, pur avendo una competenza generale e orizzontale su tutti i settori economici. Siamo solamente 180 persone; basti pensare ad autorità di settore quali quella delle telecomunicazioni - che ha quasi 300 dipendenti -, la Consob (che ne ha quasi 500) e la Banca d'Italia (assai più numerosi ancora). Vi è, dunque, una bella differenza rispetto al mio istituto; ma, ciò premesso, mi corre l'obbligo di aggiungere che, a mio avviso, non si è


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trattato di una questione di personale; e neppure, forse, di poteri. Infatti, sostanzialmente, noi disponiamo degli stessi poteri della Consob; la differenza è, piuttosto, nel modo di esercitarli. Probabilmente, noi abbiamo un diverso approccio; apriamo gli armadi ed accediamo ai dati contenuti nei computer senza aspettare che ci vengano fornite le carte.
Quanto, poi, ai poteri effettivi, voglio molto sinceramente chiarire che avremmo bisogno almeno di una trentina di economisti; ciò, per effettuare, come usa dire, l'analisi dei mercati a freddo in modo che, per ogni nuova procedura che si apra, già sia nota la situazione, al momento, di un certo mercato. Ciò consentirebbe di risparmiare almeno tre mesi di tempo per ogni procedura istruttoria effettuata; devo, però, aggiungere che non è il caso - lo ricordavo già dianzi, in questo mio intervento di replica - di fare un pianto greco a tale riguardo.
Venendo alla domanda posta dall'onorevole Benvenuto, tredici anni non sono passati invano; ai tempi di Carli, certamente, vi era una certa ritrosia a negare ingresso alla famosa «anomalia». Due o tre paesi europei, del resto, fatta la stessa esperienza, hanno, poi, optato per la competenza generale; la Finlandia, la stessa Francia, nonché l'Olanda, infatti, hanno avuto, per un certo tempo, la stessa anomalia mentre, poi, hanno previsto il conferimento all'autorità di una competenza generale. Quanto all'ipotesi del cartello nel collocamento dei titoli, certamente si tratta di evenienza possibile; al riguardo, ci si deve rimettere alla Banca d'Italia che ha la competenza sulle intese nel settore bancario quando si tratti di attività tipicamente bancarie. A nome dell'Autorità posso solo aggiungere che, a difesa dei consumatori e dei risparmiatori, abbiamo aperto due procedure, una delle quali riguarda una decisione dell'associazione delle banche, l'ABI; detta procedura è tuttora in corso e vi stiamo lavorando, sostanzialmente approfondendo, insieme a Banca d'Italia, il tema del modello contrattuale. I due interventi sono dunque contestuali, con due istruttorie parallele: molto del lavoro, invero, viene fatto insieme.
Peraltro, a volte la scoperta di comportamenti a danno dei consumatori avviene per caso; ricordo il caso My way del Monte Paschi di Siena: si trattava di pubblicità da noi denunciata come ingannevole. Ebbene, condotta l'istruttoria, ci siamo accorti che era ingannevole e da tale accertamento si è aperto, per così dire, il vaso di Pandora di My way. Vorrei osservare che, in quel caso, i problemi di stabilità e di concorrenza, evidentemente, non sussistevano; in tali ipotesi si ha la dimostrazione più evidente che, perlomeno in certe situazioni, è la concorrenza a dovere essere premiata.
L'onorevole Gianni mi ha rivolto una domanda relativa ai poteri; ribadisco che li abbiamo: forse avremmo bisogno di qualche risorsa in più, di ogni tipo. Rispettiamo, tuttavia, le esigenze dei tempi che ci obbligano a stringere la cinghia (come, peraltro, abbiamo fatto).
Quanto al personale, ribadisco che effettivamente non è sufficiente (i dipendenti sono pochi, solo 182, per l'esattezza). Non abbiamo risorse sufficienti; per ogni settore dobbiamo destinare, in media, tre o quattro persone: si tratta dei funzionari che si occupano di settori anche importanti, come le telecomunicazioni e le stesse banche. Non che la Banca d'Italia faccia diversamente, però, il numero è comunque insufficiente. Al riguardo, sento parlare di aumenti delle risorse, della Superautorità, della Consob e via dicendo; ebbene, certamente non ci dispiacerebbe se il legislatore apprezzasse al giusto grado le nostre esigenze.
Non credo di aver svolto un'analisi dell'impotenza nel passato, non è un'analisi di impotenza. Piuttosto, ho voluto essere chiaro e, se mi permettete, onesto fino in fondo; in questa sede - che considero la più nobile possibile e che costituisce il nostro interlocutore privilegiato -, ho voluto chiarire che l'Autorità è stata, per così dire, colpita da questa vicenda,


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anche se la nostra competenza concerne un aspetto del tutto marginale rispetto al complesso delle situazioni.

PRESIDENTE. I prossimi iscritti a parlare sono gli onorevoli Ruggeri e Grandi ed il senatore Eufemi.

RUGGERO RUGGERI. Avevo preparato una serie domande, ma mi soffermerò in particolare su una riflessione sulla quale chiedo un giudizio del nostro ospite. Ho notato una situazione quasi tragica e contemporaneamente quasi farsesca. Per la Banca d'Italia, l'azienda di cui stiamo discutendo quasi non sembrerebbe un'azienda nazionale: i due terzi del suo fatturato sono all'estero, i due terzi dell'occupazione sono all'estero e detiene titoli emessi all'estero. La Consob sostiene di non poter controllare i titoli esteri e alla fine anche lei sostiene che, per quanto riguarda l'antitrust, si trattava di un fatto marginale.
Sono innamorato del principe De Curtis e mi chiedo se non siamo di fronte ad una truffa come quella di Totò che vendeva il Colosseo. Ma anche Totò aveva bisogno di un soggetto terzo che dichiarasse che egli era effettivamente il proprietario del Colosseo.
Chiedo se vi sia stata o meno una connivenza con qualcuno all'interno delle banche, nell'ambito dei certificatori, di coloro che conoscevano certi meccanismi, quelli cioè per cui delle carenze rappresentano un'opportunità per i truffatori.
Vi è poi una grande preoccupazione per il futuro. Il governatore della Banca d'Italia ritiene che la stabilità sia la stabilità delle banche: ma come fanno a stare in piedi le banche? Il nostro sistema economico sta in piedi se i consumatori consumano, se la stabilità è quella del risparmiatore, di chi risparmia, non delle banche! Chi produce il risparmio non è la banca! Mi chiedo se non sarebbe opportuno svolgere urgenti controlli per quelle 30 società quotate oggi in borsa. Si potrebbe verificare, ad esempio, se la Parmalat abbia il latte? Si può mettere in discussione questo aspetto perché sono state vendute cose che non esistevano e sono state comprate cose che non esistevano! Non vorrei che fosse venuto da lei un Totò, magari con un vagone di documenti e con un compare a confermare che quel Totò era effettivamente l'acquirente americano...
Mi sembra tutto troppo riduttivo; mi sembra una truffa troppo grossolana. È ragionevole pensare ad una connivenza? Non parlo del sistema bancario, ma di qualcuno al suo interno e all'interno degli altri meccanismi di potere.

ALFIERO GRANDI. Devo ammettere di essere rimasto deluso - più degli altri colleghi - e ne spiego le ragioni. All'ordine del giorno delle Commissioni vi è il problema dei risparmiatori che sono stati truffati (il caso Parmalat e non solo), del dramma che ne è conseguito e di ciò che ha comportato soprattutto per la stabilità del risparmio nel nostro paese, con tutte le conseguenze di cui parlava anche il collega Ruggeri poco fa.
Lei ci ha parlato ampiamente del disegno di legge del Governo per ciò che riguarda l'attribuzione dei poteri. Ma se consultiamo la tabella 3A della documentazione fornita dal governatore della Banca d'Italia, dove è contenuto l'elenco delle banche capofila delle emissioni obbligazionarie della Parmalat, vediamo che la concorrenza esiste, anche troppo per la verità. Delle due l'una. Semmai c'è un principio di subalternità delle altre banche alla capofila: troppe banche americane poi hanno dato il via alle altre.
Effettivamente mi pare che dallo scandalo finanziario e dal danno ai risparmiatori all'iniziativa sulla concorrenza il passo sia un po' lungo. Non c'è un rapporto logico, non c'entra nulla. La questione della concorrenza tra le banche e il sistema bancario è un problema; non è il problema di questa indagine.
Lei ha detto che siete stati beffati. La ringrazio, lei è stato sincero e questo va sempre sottolineato. Altri hanno sostenuto di essere stati ingannati e sono stati insultati. C'è una autentica stranezza! Evidentemente il termine «beffati» è diverso


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dall'essere ingannati. Credo che lei abbia confermato che nonostante le autorità, di fronte al falso degli amministratori, al falso di coloro che debbono controllare, al falso delle società di rating, può capitare (magari con qualche connivenza nel Delaware) che i risparmiatori alla fine vengano truffati. È anche per questo che auspico da lei qualche elemento in più su come cercare di evitare il ripetersi di ciò in futuro.
Abbiamo bisogno di vedere, rispetto al sistema bancario italiano in particolare, e alla sua evoluzione, il principio della concorrenza insieme al principio della stabilità e naturalmente anche al principio della tutela dell'interesse nazionale. Lo dico in termini molto semplici con tutte minuscole. Non c'è dubbio su cosa sarebbe successo se questo sistema si fosse ipso facto aperto: alcuni studi (del Fondo monetario internazionale, di premi Nobel come Stiglitz) raccontano dei disastri di paesi che hanno aperto il loro sistema bancario alle grandi banche internazionali finendo distrutti. Soltanto coloro che hanno in qualche modo posto delle griglie sono riusciti a difendersi. Faccio riferimento a studi molto autorevoli e non credo sia possibile discuterli. Il nostro paese oggi rischia seriamente in questa direzione.
Il principio della concorrenza non ha bisogno di una sua qualificazione. Del resto lo ha fatto anche la Germania quando ha adottato dei provvedimenti, in questo caso di apertura al mercato. Mi chiedo pertanto se in effetti sia giunto oggi il momento di collocare diversamente il potere di controllo sulla concorrenza bancaria, oppure se in questa fase non convenga andare avanti così, semmai migliorando il rapporto di collaborazione tra Banca d'Italia ed antitrust. Del resto lei stesso ha detto che questo rapporto è estremamente positivo.
Si potrebbe pensare a questo atteggiamento come ad un eccesso di difesa dell'interesse nazionale? Io credo di no. Su questo voglio citare a testimonianza il presidente La Malfa che, presentando il disegno di legge del Governo di cui è relatore (provvedimento che tra l'altro non condividevo), ha difeso l'elevazione della quota dei diritti dei piccoli azionisti in nome della stabilità e della gestione dell'impresa e anche della difesa dei campioni nazionali. Non era una discussione così fuori dal mondo quella sulla possibilità di valutare che nei sistemi bancario e industriale ci fosse la consapevolezza del quadro economico del paese. Del resto, ho citato un punto di vista, pur da me non condiviso in quel momento per altre ragioni, ma ricordo questo argomento estremamente bene.
Chiedo allora se l'Autorità non ci possa fornire indicazioni per appurare come la concorrenza possa essere correttamente esercitata nella fase storica attuale e non soltanto in astratto. Ad esempio, sulla questione dei paradisi fiscali che lei ha così ben delineato (Delaware ed altri molto peggiori), mi chiedo se un'azienda che utilizzi tali paradisi fiscali non dovrebbe subire il divieto di operare. Ha la possibilità di operare perché non possiamo vietarglielo? Ma allora possiamo vietare che operi sul territorio nazionale. Se questa azienda usa i paradisi fiscali se li tenga! Che operi all'estero! Ci vorrebbe il divieto completo di qualsiasi attività che abbia un connubio tra operazioni nazionali ed estere.
Del resto, lei stesso ci ha descritto un quadro allarmante: non può andare nel Delaware anche se è un paese in cui noi tutti riusciamo ad andare, figuriamoci cosa accadrebbe se si trattasse delle isole Cayman o di altri luoghi dove pure la Parmalat è presente.
Ancora su banche ed imprese. Uno dei grandi temi emersi è che gli imprenditori comprano pacchetti azionari e ricevono crediti in condizioni di miglior favore; anche questo è un tema in materia di concorrenza. Non possiamo tornare indietro dalla banca generale e non possiamo impedire a chi ha soldi di comprare pacchetti azionari, ma è già stato stabilito che nelle decisioni siano posti limiti molto precisi, norme tese a separare rigidamente il rapporto tra i due versanti.


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Lei ha poi ricordato che c'è stata un'elusione da parte della Parmalat, la quale aveva promesso di vendere ad un concorrente e poi non lo ha fatto, ed inoltre il concorrente si e rivelato non essere tale. Dal punto di vista delle mosse ex post, dopo quanto è accaduto, concretamente, come si svilupperà l'iniziativa dell'Autorità? Ci sono normative da rafforzare, controlli che non si riescono ad effettuare? Auspicherei un'Autorità analoga alla giustizia nei tribunali, con la spada in una mano e la bilancia nell'altra, giusta ma contemporaneamente capace di punire. Sapere punire significa poterlo fare e avere gli strumenti per farlo. Le chiedo, pertanto, se mancano gli strumenti, se esistono i provvedimenti. In questo campo sì che il Parlamento avrebbe bisogno di ricevere indicazioni da parte sua.

MAURIZIO EUFEMI. Riteniamo che si debba guardare al presente, ma anche al futuro, e quindi trarre da questa indagine conoscitiva il massimo delle indicazioni positive, finalizzandole alle decisioni legislative che stiamo per assumere. Prendiamo atto, come ha ricordato prima il senatore Pedrizzi, che la pistola spuntata di 182 dipendenti non è stata sufficiente all'Autorità per impedire di essere «beffata».
Mi ricollego alle preoccupazioni espresse dall'onorevole Armani rispetto all'effettiva situazione finanziaria del nostro sistema industriale e, quindi, rivolgo alla presidenza delle Commissioni riunite l'invito di acquisire, ai fini del nostro lavoro, i dati relativi al rapporto indebitamento-mezzi propri di tutte le società quotate in borsa e anche, eventualmente, delle altre, ove fosse possibile, utilizzando ad esempio la base del rapporto Mediobanca che può essere utile in proposito, mentre gli uffici studi potrebbero compiere le analisi dei numeri indice. Potremmo così verificare quanto ciò sia utile rispetto a future acquisizioni, onde evitare il ripetersi di casi come quello Parmalat, che hanno dimostrato l'inconsistenza e l'elevatezza di determinati valori.
Le pongo, a questo punto, alcune questioni, la prima delle quali è di tipo istituzionale. Mi riferisco, cioè, alla questione «Autorità». Lei ritiene che la concorrenza debba essere fatta valere allo stesso modo, con le stesse regole in Francia, Germania, Italia? Occorre quindi eliminare le asimmetrie? Non reputa che l'antitrust italiana debba essere una sezione dell'autorità che risiede a Bruxelles? È stata riscontrata, come si è detto poc'anzi, la difficoltà avvertita dalle nostre imprese in epoca più recente: si pensi, ad esempio, alla campagna dell'ingegner De Benedetti in Belgio e alla sorte che ha avuto, alla campagna di Francia della FIAT che non ha potuto comprare neppure dell'acqua minerale, al tentativo della Pirelli di acquistare Continental (e conosciamo gli interventi effettuati in questa direzione).
La seconda questione è relativa al rapporto impresa-banca ed è stata richiamata anche dal collega che mi ha preceduto. Abbiamo visto, e lo vediamo, come nel caso Parmalat - e non solo in esso -, vi sia una presenza forte nei consigli di amministrazione di aziende o gruppi bancari. Questo provoca una distorsione inevitabile nell'allocazione del credito. C'è una concorrenza nei rami alti ma ve ne è una anche nei rami bassi. Non ritiene debba essere vietato che chi svolge funzioni di amministratore intrattenga rapporti di credito o debito con l'azienda bancaria che amministra? Questa è una scelta fondamentale rispetto alle decisioni che stiamo per assumere.
Infine, vengo alla terza questione. Qual è l'effettiva collaborazione tra le autorità attuali, Consob, antitrust e Banca d'Italia? Ritiene che, in futuro, il modello tedesco - il quale prevede, ad esempio, la presenza di un rappresentante dell'Autorità negli altri organi -, possa costituire una soluzione intelligente? Oppure non reputa che un modello di un coordinamento dei tre presidenti, che si riuniscono una volta ogni bimestre o trimestre, possa rappresentare lo strumento positivo, un adeguato passo in avanti per garantire un'efficace collaborazione tra le autorità?


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PRESIDENTE. Nel dare nuovamente la parola al presidente Tesauro, colgo l'occasione per svolgere una breve osservazione. Molte delle questioni affrontate investono materie che non riguardano esattamente l'attività del soggetto che stiamo ascoltando. Un esempio è la questione posta dal collega Eufemi, che pure giudico rilevante. In un certo senso, il compromesso che potremmo stabilire è quello di sentire il presidente dell'antitrust non solo come presidente dell'Autorità ma anche come esperto in materia di diritto finanziario. Se egli ritiene di rispondere potrà farlo, ma certamente l'antitrust non può aver molto da dire riguardo al fatto che nei consigli di amministrazione delle banche figurino rappresentanti dei gruppi azionari e che questo possa determinare un conflitto di interessi, come ha giustamente sollevato il collega.

MAURIZIO EUFEMI. Signor presidente, non è soltanto un conflitto di interessi evidente, ma si tratta di un problema di allocazione delle risorse e di concorrenza riguardo ai risparmiatori e agli operatori del settore.

PRESIDENTE. Mi limito a dire che il presidente dell'antitrust è autorizzato a considerare fuori dal tema domande tali da costringerlo a dovere esprimere giudizi su materie in cui non sia strettamente competente. Per il resto, poiché nello svolgimento dei nostri lavori, ascoltiamo anche esperti generali della questione, egli può rispondere nella misura in cui lo ritenga. Ho il dovere di tutelare l'Autorità antitrust che viene a riferire dinanzi a queste Commissioni. Il presidente non si trova, infatti, sotto un interrogatorio a cui non può sottrarsi rispetto a domande che investono questioni estranee all'ambito specifico della propria responsabilità.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Naturalmente cercherò di rispondere, nei limiti del possibile. Purtroppo, anche le domande dell'onorevole Ruggeri riguardano aspetti su cui andare alla ricerca di rimedi non è molto facile.
La vicenda - che poi fornisce anche l'occasione di questa indagine conoscitiva - è per molti aspetti estrema. Non dico che non ci siano altri casi possibili di questo genere, ma certamente per dimensioni, per diffusioni geografiche, per la contiguità del prodotto rispetto al nostro quotidiano, si tratta di un caso limite che presenta dei risvolti anche penalistici ovvi, evidenti.
La domanda che pone siamo noi stessi a porla ogni volta che sorge un problema del genere. Anche quando una banda del buco riesce a forzare un caveu di una banca e a rapinarlo di mattoni d'oro, pensiamo all'ipotesi di precedenti connivenze, soffiate sul numero della combinazione e simili: è possibile. Ma si tratta di qualcosa che fa parte dell'immaginario collettivo. Quanto al caso di specie, io non ho elementi per rispondere alla domanda rivoltami. Certamente, quello che le posso dire è che risulta molto difficile, quando ci sono degli ancoraggi ad altri paesi, andare al di là delle apparenze cartacee. E questo lo ripeto fino all'esasperazione.
L'onorevole Grandi è rimasto deluso, probabilmente perché non ho potuto rispondere a domande più puntuali, più focalizzate sulla vicenda che costituisce l'occasione dell'indagine conoscitiva, perché io ho avuto un ruolo del tutto marginale.
Per quanto riguarda i risparmiatori, le posso dire che guardiamo alle norme sulla concorrenza in trasparenza e dietro vediamo, ci sforziamo di vedere sempre, i consumatori, i risparmiatori, gli utenti, in ultima analisi il cittadino.
Detto questo, ha posto delle domande precise sul bilanciamento possibile tra concorrenza, stabilità e addirittura interesse nazionale. L'interesse nazionale è un ingrediente eccentrico rispetto al valore della concorrenza, ma forse anche rispetto al valore della stabilità. Però, certamente, è importante. E sono d'accordo con lei - pur non essendo un economista, ogni tanto mi diletto a seguire, almeno a grandi linee, i dibattiti economici - sull'esistenza di un


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problema di banche giganti, che entrano nei mercati (di solito piccoli) e s'impadroniscono delle piccole banche.
Non so, tuttavia, se tale problema riguardi l'Italia. Non può riguardare il contesto europeo. Nel mercato unico, infatti, non vi dovrebbero essere barriere. Quando esistono, vuol dire che si è in presenza di patologie. È una patologia creare una barriera all'ingresso di una banca (così come di un'impresa) di un altro paese della stessa famiglia della Comunità europea.
Non sono in grado di dire se ciò abbia a che fare con il nostro rapporto con la Banca d'Italia, relativamente alla competenza di tutela della concorrenza degli istituti bancari. Certamente dal punto di vista della concorrenza, e limitatamente ai paesi europei, riscontriamo una diversa sensibilità, anche riguardo al sistema bancario italiano. D'altra parte, non credo che vi siano problemi di concorrenza. È un problema - lo ripeto - di libera circolazione dei capitali e dei servizi bancari, con regole e rimedi da apportare alle possibili patologie.
Quanto alla concorrenza con i «paradisi fiscali», certamente è possibile che si crei un problema di dumping, anche sociale. Il discorso, tuttavia, è talmente generale che non so se possa trovare una collocazione pertinente in un'indagine conoscitiva di questo genere.
Ci si può porre il problema se sia possibile impedire alle imprese italiane che agiscono nei «paradisi fiscali» di operare in Italia. Non si tratta di una questione di concorrenza. Riguarda le scelte del legislatore, anche di politica fiscale e criminale.
Ultima domanda: che farete riguardo a Parmalat?. Abbiamo deciso di chiedere al commissario Bondi conferma (fino ad oggi, si tratta di notizie giornalistiche) dell'ipotesi di elusione dell'obbligo di dismissione da parte di Parmalat. Se tali ipotesi saranno confermate, apriremo una procedura di inottemperanza. Il problema dell'inottemperanza agli obblighi da noi imposti alle imprese si pone molte volte e la legge ci mette a disposizione rimedi a tali ipotesi.
Per quanto riguarda la domanda del senatore Eufemi - lo ripeto ancora una volta - non credo che noi abbiamo una « pistola spuntata » rispetto ai casi normali o poco più che normali. Ribadisco che non possiamo andare nel Delaware. Se si tratta di una « pistola spuntata », non lo so. Credo di no. Credo si tratti di un'eccezione.
Quanto alla domanda sulle norme che tutelano la concorrenza nei singoli paesi europei e se esse possano avere qualche elemento di diversità, rispondo che non ne possono avere moltissimi, né ne possono avere di importanti. In nove paesi su quindici, le norme nazionali sono fotocopia di quelle comunitarie. Tra tali paesi, vi è l'Italia. Negli altri paesi le norme, pur non essendo fotocopia di quelle comunitarie, sono modellate su queste ultime. Molte volte, i casi sottoposti all'attenzione di un'autorità nazionale richiedono l'applicazione diretta delle norme comunitarie. Anche noi applichiamo spesso gli articoli 81 ed 82 del trattato, il regolamento concentrazioni, e così via.
Vi sono, inoltre, le asimmetrie per i settori specifici (quali l'energia). È la patologia. Bisogna affrontare le patologie come tali e rimuoverle. Non è un problema di concorrenza, ma di cattivo uso delle norme, anche di quelle comunitarie, per creare barriere all'ingresso di imprese (non solo banche) nel proprio paese. Ripeto, si tratta di una patologia.
Per quanto riguarda gli intrecci tra banche e imprese, abbiamo sempre guardato con grande preoccupazione ad un fenomeno soprattutto italiano: la presenza delle stesse persone fisiche nei diversi consigli d'amministrazione di società, spesso in conflitto d'interessi. Ciò succede quando la medesima persona siede nel consiglio d'amministrazione della propria impresa, o di un'impresa di cui è azionista, e della banca creditrice. È un fatto patologico (Commenti del senatore Turci).
L'abbiamo spesso segnalato all'autorità comunitaria. Non siamo un'agenzia o,


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come detto, una filiale della Commissione. Non vi è un rapporto gerarchico, ma di grande collaborazione. Personalmente, l'ho segnalato più volte al commissario Monti. I servizi della Commissione europea hanno, però, alcuni problemi perché, essendo un fenomeno tipicamente italiano, stentano a capirlo (non mi riferisco a Mario Monti, naturalmente). È un problema e può essere anche un problema di concorrenza, nei confronti del quale abbiamo sensibilità e preoccupazione.
Quanto all'ipotesi di una circolazione delle idee e delle informazioni tra le varie autorità, soprattutto quelle che si occupano del controllo del risparmio, credo che sarebbe possibile. Lo ripeto ancora una volta: il legislatore dovrebbe riflettere ed approfondire tale tema, rinforzando la circolazione delle informazioni, anche su dati sensibili, purché essa rimanga all'interno delle autorità di controllo.
Riguardo alla possibilità che un rappresentante di un'autorità sieda in permanenza - o quasi - alle riunioni di un'altra autorità, ciò mi sembra, allo stato attuale, esagerato. Più volte ho incontrato rappresentanti della Consob, ma non in termini di istituzionalizzazione della mia partecipazione alle riunioni, perché sarebbe un passo avanti, ma certamente improprio, allo stato attuale.
Per quanto attiene alla circolazione delle informazioni sensibili, le imprese sono molto attente affinché non le forniamo ad altri soggetti e sono attente anche al rispetto, da parte nostra, dei vincoli di legge. Ecco per quale motivo è il legislatore che deve approfondire ed introdurre miglioramenti (perché sicuramente vi è molto da migliorare al riguardo) in materia di circolazione delle informazioni sui dati sensibili tra le autorità preposte al controllo.

LANFRANCO TURCI. Mi soffermo sulla seconda parte della sua relazione, cioè sulle tematiche de iure condendo. Lei, presidente, ha fornito criteri di lettura molto utili del rapporto tra compiti di vigilanza e compiti di tutela ai fini della concorrenza. Mi sembra di capire, dalle sue parole, che un passaggio all'Autorità dell'antitrust, direttamente e non solo sotto forma di parere, della vigilanza su intese ed abusi non solo sia pienamente coerente e logico con i modelli dominanti ma potrebbe fornire maggiori risultati, anche se temo che il mercato bancario somigli molto a quello assicurativo. Credo anche che potremmo ottenere maggiori risultati per quanto riguarda i processi di fusione o concentrazione su base nazionale fra banche sotto il controllo di soggetti italiani.
Temo però che quando parliamo del rapporto con l'estero poniamo un problema che travalica l'astratto dibattito se la vigilanza ai fini della concorrenza debba o meno rientrare nelle competenze della Banca d'Italia. Se vogliamo chiamare le cose con il proprio nome e non in termini astratti e giuridici, stiamo parlando di quello strano concetto rappresentato dalla politica industriale, un concetto estremamente borderline rispetto alla normativa comunitaria ed in generale alla normativa riguardante la concorrenza. Non vi è dubbio che la Banca d'Italia, in questi anni, abbia gestito i propri poteri non tanto in difesa della concorrenza quanto sulla base di una politica industriale definita da essa stessa, in quanto non vi è mai stato un Governo, né di centrosinistra né di centrodestra, che abbia esplicitamente affermato, in qualche dichiarazione programmatica, che fosse necessario tutelare il carattere nazionale dei grandi gruppi bancari italiani. Questa è una politica industriale decisa e fatta propria dalla Banca d'Italia e coerentemente adottata come criterio.
Se non si giunge a questo chiarimento di fondo, come pensa sia possibile affrontare la tematica connessa con quanto si sta discutendo oggi od anche il progetto di riforma delle authority che sottende l'indagine conoscitiva in corso?

SERGIO ROSSI. Ringrazio il professor Tesauro per la relazione con cui ha spiegato al governatore della Banca d'Italia la differenza esistente tra stabilità del sistema bancario e concorrenza, che condivido.


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Nelle precedenti audizioni abbiamo rimproverato al governatore ed al presidente della Consob un atteggiamento di eccessivo riguardo nei confronti della Parmalat, forse derivato dalle coperture politiche di cui godeva il presidente Tanzi (come ha già in parte evidenziato la stampa).
Le relazioni presentate dai responsabili della Banca d'Italia e di Consob sono state lacunose; alle nostre domande non sono state fornite risposte soddisfacenti. In particolare, è rimasto un dubbio sulla copertura a favore della Parmalat. All'organo antitrust chiediamo di fugare tali dubbi per quanto riguarda la propria competenza.
Lei, presidente, nella sua relazione ha parlato di mancanza di certezze, presenza di dubbi per quanto riguarda la vendita della società Newlat ad un soggetto residente in un «paradiso fiscale», in un contesto, il gruppo Parmalat, che ha una miriade di società controllate sparse in tutto il mondo, ma solo in «paradisi fiscali». Sapevate ciò e dall'esistenza di questa situazione sono nati i vostri dubbi. Le chiedo: l'antitrust aveva l'obbligo di rilasciare l'autorizzazione o poteva negarla o sospenderla? Poteva porre la controparte nella condizione di avviare volontariamente una procedura di accertamento della verità, facendo in modo che fosse lo stesso soggetto acquirente ad accettare l'accompagnamento con l'antitrust o con la Guardia di finanza nel Delaware per dimostrare l'esistenza effettiva del soggetto acquirente? Dico ciò perché non intendiamo fare «sconti» a nessuno, come non ne abbiamo fatti al governatore né al presidente della Consob.
A nostro avviso il problema non è soltanto una questione di modifica della normativa. Si è frequentemente parlato di «pistola scarica» spostata dalle mani di un organo a quelle di un altro; ciò non risolve il problema. Se vi fosse la volontà da parte degli organi di vigilanza di evitare tali situazioni si potrebbe anche tralasciare di modificare la legge, ma è evidente che se esiste una compiacenza da parte degli organi di vigilanza il problema non si risolve modificando la legge. Alla fine rimane sempre la domanda: chi controlla i controllori?

PRESIDENTE. Mi permetto soltanto di far presente all'onorevole Rossi e ad altri colleghi che non reputo corretto definire lo Stato del Delaware un «paradiso fiscale», espressione che si applica a realtà internazionali. Penso che la legge commerciale di questo stato consenta con estrema facilità la costituzione di società per azioni e non che abbia un regime fiscale particolare. Non credo che le ragioni per cui siano state costituite società da parte del gruppo Parmalat siano state di carattere fiscale.

VINCENZO VISCO. Potremmo parlare di «paradiso legale».

PRESIDENTE. Forse si tratta di un'indicazione più appropriata.

NICOLA ROSSI. Presidente Tesauro, in primo luogo mi scuso per aver ascoltato soltanto in parte la sua relazione, per cui farò affidamento sullo scritto che ho particolarmente apprezzato per la sua schiettezza. Vorrei che riflettessimo insieme sulla questione delle competenze dell'antitrust nel settore bancario.
Sono pienamente d'accordo con quanto lei afferma a proposito delle intese e degli abusi; sia il grado di concentrazione sia, soprattutto, l'origine, più che il livello, della redditività del settore bancario dovrebbero far sorgere più di un sospetto. Ho dato una lettura esattamente opposta a quella fornita dall'onorevole Grandi alla tavola 3A presentata dal governatore della Banca d'Italia, nel senso che la presenza di quasi tutte le grandi banche nel collocamento di quelle obbligazioni lascia supporre una certamente casuale ma sorprendente allocazione delle risorse delle commissioni, una fattispecie che probabilmente avrebbe generato l'attenzione da parte di autorità, come lei ha detto, sospettose per natura.
Per quanto riguarda invece le concentrazioni, concordo anche in questo caso


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con la posizione da lei sottolineata e le vorrei porre una domanda. Capisco perfettamente che vi sia un prius logico nel parere dell'organo di vigilanza attinente alle questioni della stabilità prima della valutazione dell'Autorità antitrust. Però, capisco anche che questo è uno di quei casi in cui non è da escludersi che possa esservi una valutazione diversa riferita ad obiettivi diversi. Mi chiedo se, qualora esistesse un luogo formale di coordinamento dell'attività delle autorità, lei ritenga ipotizzabile assegnare ad esso la competenza di bilanciare e scegliere la strada da prendere quando le due finalità siano confliggenti.

GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Sono d'accordo con lei su tutto, senatore Turci, nel senso che anch'io ritengo che il problema, riguardo alle concentrazioni, sia quello di valutare e di effettuare una analisi relativa alla concorrenza, al rafforzamento di posizione dominante, alla restrizione del mercato, agli effetti per i consumatori e a tutte quelle variabili che gli economisti dell'Autorità generalmente misurano.
Altro problema è quello dell'ingresso di capitali stranieri. Quest'ultimo è un problema di politica industriale e, se vuole, di politica legislativa e di politica comunitaria. Evidentemente, all'interno del contesto comunitario non si dovrebbe nemmeno parlarne. Se ne parla perché esistono alcune patologie e, quindi, bisogna rimuoverle. All'esterno del perimetro comunitario, invece, possiamo fare un discorso di politica industriale.
Quanto al connesso problema relativo all'articolo 19 del testo unico bancario, forse non mi sono spiegato a dovere. Il problema è quello di intrecciare e confondere insieme due valutazioni diverse. Una è di politica industriale, sia pure limitata al settore bancario. Tuttavia, leggendo i resoconti delle sedute di queste Commissioni mi accorgo che non trattiamo soltanto del settore bancario ma di interventi di politica industriale anche in settori diversi, di servizi finanziari, in senso lato, e di assicurazioni. In questo ambito, c'è un problema diverso da quello della concorrenza, ma non per questo degno di minore attenzione. Siamo perfettamente d'accordo.
L'onorevole Sergio Rossi pone domande, per così dire, indiscrete o, comunque, un po' puntuali. Posso rispondere che i dubbi di copertura relativi a Parmalat, per quanto riguarda l'antitrust, mi fanno sorridere. Avevamo a che fare con una apparenza documentale molto seria. Innanzitutto, voglio dirle che noi respingemmo la concentrazione tra Parmalat e Cirio una prima volta. La seconda volta, intanto autorizzammo l'operazione in quanto la Parmalat ci presentò quella serie di impegni che trasformammo in condizioni della autorizzazione e che sono stati oggetto di un giudizio davanti al TAR. Questo giudizio si connotò di una particolare violenza verbale da parte della Parmalat, per cui fummo costretti, eccezionalmente, a chiedere al giudice di depennare alcune frasi nei nostri confronti, contenute nel ricorso presentato da tale società. Pur avendo essi proposto di impegnarsi, e pur avendo noi semplicemente trasformato quegli impegni in condizioni per la autorizzazione, presentarono ricorso. Tanto è vero che, successivamente, il giudice ebbe buon gioco a respingere totalmente quel ricorso.
Ne approfitto per ricordare che noi siamo sottoposti al controllo giurisdizionale, un controllo tecnico e pieno, in doppio grado. Ci teniamo molto alla pienezza del controllo e al doppio grado del controllo giurisdizionale. Tutte le volte in cui si è ipotizzato di diminuire la pienezza di tale controllo e di ridurre il doppio grado ad un unico grado di giudizio, noi ci siamo fermamente opposti, con tutte le nostre forze. Infatti, noi vogliamo che chi controlla abbia un controllore, che questo controllore abbia la piena possibilità di controllare e che questo controllo sia effettuato in due gradi successivi.
Quanto all'autorizzazione, da parte nostra, alle operazioni di concentrazione, non si tratta di un potere discrezionale. Quando ci sono le condizioni per l'autorizzazione,


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abbiamo l'obbligo di autorizzare; quando quelle condizioni non ci sono, possiamo non autorizzare. In ogni caso, è sicuro che, quando ci sono le condizioni, noi siamo obbligati ad autorizzare. Altrimenti, rischiamo, per così dire, di essere sottoposti a giudizio. Infatti, possiamo anche affermare che il soggetto che ci è stato proposto non ci piace oppure che non è stato dismesso ciò che doveva essere dismesso oppure che c'è qualunque altra inottemperanza. In questo caso, il rischio è quello della patologia del rapporto, vale a dire andare davanti al giudice e constatare l'annullamento della nostra decisione. Questo accade proprio perché, in presenza delle condizioni per l'autorizzazione, non abbiamo alcun margine di discrezionalità: noi dobbiamo autorizzare.
Onorevole Nicola Rossi, siamo di fronte, per così dire, al nodo finale. Abusi, intese e concentrazioni sono possibili, a determinate condizioni. Che cosa accade quando c'è una diversità di opinioni? Innanzitutto, ritengo che sia molto remota la possibilità di una diversità di opinioni tra due autorità che facciano seriamente il loro mestiere. Lo confermano anche i numeri della Banca d'Italia, relativi alle concentrazioni: evidentemente, ci sono difformità di opinioni ma non a tal punto da far pesare queste difformità rispetto alla normalità del lavoro quotidiano. Tutto sommato, la prima osservazione si riferisce a un'ipotesi abbastanza difficile a verificarsi. La seconda osservazione è che si può benissimo attribuire un peso diverso al parere, pur non arrivando alla vincolatività.
Ad esempio, noi abbiamo la possibilità di autorizzare una intesa in deroga. In altri termini, possiamo benissimo autorizzare una concentrazione, quando ci sono le ragioni. Se il legislatore ci da la possibilità di trovare ragioni non concorrenziali per autorizzarla, noi non vediamo alcuna difficoltà particolare a ricorrere a questa possibilità. Per esempio, si può pensare di prefigurare una ipotesi di autorizzazione di una concentrazione in nome del valore del risparmio quando ci siano, invece, le condizioni per rifiutare questa autorizzazione. Questo è possibile. Nell'ipotesi limite del fallimento di una banca, noi abbiamo la cosiddetta failure defence, nel caso in cui una impresa sia ai minimi termini, cioè in uno stato di liquidazione, di fallimento; insomma, nel caso in cui abbia problemi, per così dire, esistenziali. Questo è un caso di possibile deroga rispetto alle linee generali della analisi antitrust. Ricordo che, in passato, avevamo a che fare molto spesso con questa ipotesi, relativamente alle imprese e alle banche della Germania dell'est che avevano problemi e ponevano la commissione nella impossibilità di applicare per intero le regole antitrust, nella condizione di derogare ad alcune di esse. Il valore sottostante era il valore del risparmio. Quindi, c'è la possibilità di pesare il parere o la decisione in vista di un valore importante, come quello del risparmio. Su questo, il legislatore deve riflettere e può arrivare ad alcune soluzioni, naturalmente senza tradire il bilanciamento tra vigilanza e concorrenza che, evidentemente, secondo il nostro punto di vista, dovrebbe seguire il percorso che abbiamo specificato.

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. Vorrei soltanto dare un'informazione al collega. Il disegno di legge all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, che doveva essere approvato oggi e che è stato rimandato a martedì, reca proprio le due ipotesi cui faceva riferimento: un soggetto superiore, costituito dalle tre authority, che potrebbe dirimere le controversie tra due di esse oppure un'intesa tra le due authority di competenza (ad esempio, Alleanza nazionale ha proposto la seconda).

PRESIDENTE. Desidero ringraziare il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato per la sua esposizione, che contribuisce ai lavori della nostra indagine conoscitiva. Dispongo che l'allegato da lui consegnato sia pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.


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La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18,05.

Audizione dei rappresentanti della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, l'audizione dei rappresentanti della Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Il dottor Francario, presidente del Commissione di vigilanza sui fondi pensione, è accompagnato dall'avvocato Tais e dal dottor Rinaldi. Mi scuso con i nostri ospiti per il ritardo e per l'assenza del presidente Tabacci, il quale è influenzato.
Do ora la parola al presidente Francario.

LUCIO FRANCARIO, Presidente della COVIP. Sono grato ai presidenti e agli onorevoli membri delle Commissioni Finanze e Attività produttive della Camera e delle Commissioni Finanze e Industria del Senato per questa audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva avviata dal Parlamento, che trae spunto dalle recenti crisi finanziarie di alcune importanti aziende italiane. Vorrei sintetizzare il mio intervento, rinviando l'approfondimento alla relazione scritta e agli allegati consegnati.
Il pregiudizio economico subìto da migliaia di risparmiatori, a causa degli episodi di dissesto industriale di aziende multinazionali italiane che facevano largo affidamento sul mercato finanziario, rischia di provocare una crisi di fiducia in tutto il settore del risparmio; crisi che, oltre a generare pericolose ricadute sui rapporti tra il mondo delle imprese e i mercati finanziari, potrebbe condizionare negativamente la crescita del risparmio privato destinato a fini previdenziali. La COVIP condivide le preoccupazioni in relazione agli episodi oggi al centro dell'attenzione del Parlamento, della magistratura inquirente, degli organi di controllo e dei mezzi di informazione. Per quel che concerne lo specifico campo di competenza, i dati disponibili consentono di affermare che le patologie denunciate hanno avuto ricadute dirette sul settore della previdenza complementare molto limitate e tali da non pregiudicare la tenuta del comparto, né inficiare i risultati positivi delle gestioni finanziarie dei fondi pensione dell'anno 2003, così come emerge dagli allegati consegnati alla vostra attenzione.
Si può quindi fornire in questa sede, nonché all'opinione pubblica, un messaggio rassicurante, tale da rafforzare la fiducia nel nascente mercato della previdenza complementare del nostro paese.
La fiducia nel sistema dei fondi pensione costituisce un presupposto essenziale per il completamento della riforma del sistema pensionistico intrapresa ormai da un decennio. Episodi di crisi industriale, che hanno avuto luogo negli ultimi anni negli Stati Uniti (Enron e Worldcom), hanno determinato gravi conseguenze, anche sotto il profilo previdenziale, per i dipendenti delle imprese coinvolte, cui viene offerto di aderire ad iniziative precostituite dai datori di lavoro. Nei recenti dissesti italiani, nulla di tutto questo si è verificato o avrebbe potuto verificarsi, quantomeno con la gravità rilevata nelle esperienze americane. In Italia, la scelta largamente prevalente operata dalle parti sociali è stata nel senso di istituire fondi pensione di categoria, cosiddetti negoziali, tendenzialmente al riparo da possibili condizionamenti da parte aziendale.
Il fondo pensione di categoria del settore dell'industria alimentare (Alifond), cui ha aderito un numero significativo di lavoratori della Parmalat e della Cirio, ha da poco avviato l'investimento nei mercati finanziari delle proprie risorse ed è gestito, come tutti i fondi pensione negoziali, nel rigoroso rispetto del principio di diversificazione del rischio.
La gestione è svolta mediante il conferimento di appositi mandati a intermediari finanziari. Dalle informazioni disponibili, risulta che il portafoglio di Alifond (i dati sono relativi alla fine del 2003) è composto da più di 350 titoli. Se si escludono i titoli


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di debito emessi da Stati dell'Unione Europea, solo per tre titoli la quota sul totale del portafoglio supera lo 0,5 per cento e solo in un caso supera di poco l'uno per cento. I titoli di debito diversi dai titoli di Stato ( categoria che comprende le obbligazioni bancarie e i corporate bonds) sono pari a circa il 2 per cento del portafoglio. I titoli emessi da imprese facenti parte dei citati gruppi alimentari in crisi sono del tutto assenti dal portafoglio di Alifond.
I dipendenti Parmalat e Cirio iscritti ad Alifond non hanno subito dunque un diretto e specifico pregiudizio delle proprie posizioni previdenziali a causa del dissesto delle imprese di appartenenza. Tuttora la Parmalat risulta in regola con il versamento dei contributi dovuti al fondo pensione a favore dei propri dipendenti. La normativa vigente in materia di investimenti dei fondi pensione, insieme alle prassi di vigilanza applicate dalla COVIP e alle scelte poste in essere dai fondi pensione, appare complessivamente improntata ad assicurare una gestione svolta nell'effettivo interesse degli aderenti. In particolare, la normativa enuncia chiaramente il principio generale che le risorse di pertinenza dei fondi pensione devono essere gestite in maniera sana e prudente, avendo riguardo in particolare al criterio della diversificazione degli investimenti.
Tale principio generale trova applicazione in alcune norme che dettano specifici limiti quantitativi, per evitare, ad esempio, che gli investimenti in titoli emessi dalle imprese-datori di lavoro superino determinati ammontari. È stata inoltre posta una specifica attenzione nel limitare i fenomeni di conflitto di interesse.
La scelta dei gestori cui affidare le risorse. avviene in modo trasparente e rispondente ai bisogni previdenziali della popolazione di riferimento. Le convenzioni di gestione, inoltre, risultano conformi agli schemi-tipo definiti dalla COVIP, d'intesa con le autorità di vigilanza sui soggetti gestori. È questo - mi si consenta l'inciso - una testimonianza positiva della possibilità di collaborare proficuamente tra autorità di vigilanza, anche perché, come si dirà tra breve, gli effetti sono positivi.
Una notevole attenzione è stata posta dagli organi dei fondi in ordine all'opportunità di contenere (o spesso vietare) investimenti in titoli di debito non dotati di rating elevato. Infatti, su 69 mandati di gestione operativi alla fine del 2003 (mandati afferenti ai 18 fondi negoziali che hanno già proceduto al conferimento in gestione delle risorse), solo quattro prevedono la possibilità di investire in titoli con rating inferiore all'investment grade e tuttavia entro percentuali limitate del portafoglio gestito (pari, nei diversi casi, al 5 ovvero al 10 per cento). Tutte le restanti convenzioni di gestione sino ad oggi stipulate dai fondi pensione negoziali prevedono un divieto esplicito di investire in titoli aventi merito creditizio inferiore all'investment grade. Molto spesso il limite è assai più stringente, fino ad individuare come soglia minima una qualità particolarmente elevata dei titoli che possono formare oggetto dell'investimento.
L'atteggiamento prudenziale degli organi di amministrazione dei fondi trova attuazione in un'asset allocation strategica che contempla una componente azionaria che si aggira mediamente intorno al 25 per cento, come risulta dai benchmark assegnati ai gestori delle risorse.
Il criterio della diversificazione sancito dalla normativa vigente è da intendersi non solo con riferimento alla ripartizione del patrimonio tra titoli di debito e di capitale ma anche con riguardo all'area geografica di appartenenza degli emittenti. Tale indicazione è stata recepita dai fondi, come risulta dalle tabelle allegate in coda alla relazione.
Nella propria azione di vigilanza, la COVIP ha inteso, da un lato, semplificare le procedure amministrative di propria competenza, dall'altro fornire linee guida per l'assetto organizzativo dei fondi pensione di carattere negoziale.
Anche per i fondi pensione aperti (quelli istituiti e gestiti da intermediari finanziari, e al momento diretti principalmente ai lavoratori autonomi) si sta ponendo particolare enfasi sul profilo della


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governance.. La COVIP è intervenuta, con gli strumenti a disposizione, per valorizzare il ruolo del responsabile del fondo. È stato di recente previsto che ogni modifica regolamentare proposta dalla società sia accompagnata da una relazione del responsabile del fondo effettuata nella prospettiva di valutare la modifica dallo specifico punto di vista dell'interesse degli iscritti. Un'ulteriore valorizzazione dell'autonomia del responsabile del fondo rispetto alla società di gestione è opportunamente prevista nel disegno di legge delega previdenziale, insieme all'istituzione di organismi rappresentativi degli iscritti in caso di adesioni collettive.
Per quanto attiene ai cosiddetti fondi pensione preesistenti, è in fase di avanzata elaborazione il regolamento del Ministero dell'economia, d'intesa con la COVIP, volto alla definizione dei criteri e limiti di investimento delle risorse dei fondi e delle regole in materia di conflitti di interesse. I dati relativi alla composizione degli investimenti dei fondi pensione (si veda l'allegato 2 alla relazione) confermano l'effettiva pratica del descritto approccio prudenziale con il quale il sistema applica, sul piano generale, il principio della diversificazione degli investimenti. Alla data menzionata, il portafoglio dei fondi pensione negoziali ( quelli istituiti per opera dei sindacati e dei datori di lavoro) risulta composto per il 67,2 per cento di titoli di Stato di paesi aderenti all'OCSE. I titoli di debito di altri emittenti (categoria che comprende i corporate bonds e le obbligazioni bancarie) è pari al 4,6 per cento. La quota dei titoli di capitale è pari al 20 per cento; il resto del portafoglio è composto da depositi, da quote di OICR e, per una quota molto limitata, da strumenti derivati e da altre attività e passività.
Con riferimento ai fondi pensione aperti, la composizione dei portafogli risulta equilibrata tra titoli di Stato, titoli di capitale e OICR. La rilevante presenza di questi ultimi strumenti nel portafoglio dei fondi aperti costituisce una garanzia di efficace diversificazione anche se la dimensione dei patrimoni in gestione è ancora molto limitata. Anche nel caso dei fondi pensione aperti, la quota delle obbligazioni bancarie e dei corporate bonds è molto limitata (complessivamente pari al 4, 1 per cento).
Con riferimento ai cosiddetti fondi pensione preesistenti, la composizione degli investimenti è maggiormente orientata verso i titoli di debito (pari a circa la metà del totale); è inoltre presente una quota rilevante (oltre il 20 per cento) di immobili, investimento non consentito in forma diretta ai fondi di nuova istituzione; la quota del portafoglio impiegata in azioni, pari al 6 per cento, è molto inferiore a quella registrata per le altre categorie di fondi.
Pur in assenza di specifici elementi di allarme relativi a eventuali investimenti di rilievo da parte dei fondi pensione in titoli emessi da imprese in dissesto, fin dall'estate del 2003 la COVIP ha avviato una ricognizione degli elementi informativi disponibili al riguardo.
La ricognizione ha innanzitutto riguardato i prospetti relativi ai primi 50 titoli oggetto di investimento da parte dei fondi negoziali e aperti di nuova istituzione; questi prospetti devono essere inseriti nei bilanci e nei rendiconti annuali di tali tipologie di fondi, in base alle disposizioni emanate dalla COVIP. Da tale attività di controllo non sono emersi casi di particolare anomalia, sui quali effettuare specifici approfondimenti.
Nell'ultimo trimestre 2003, la COVIP ha ricevuto segnalazioni relative a investimenti in obbligazioni Cirio da parte di un fondo preesistente. Al riguardo, sono stati effettuati i necessari accertamenti ed è stato possibile appurare che l'entità dell'investimento, benché non trascurabile, era comunque non superiore allo 0,8 per cento del patrimonio del fondo. Le perdite derivanti per il fondo erano state pari a circa la metà di tale importo; peraltro, è stato rilevato come nell'occasione il fondo abbia operato con trasparenza, inserendo in bilancio specifiche informazioni riguardo all'operazione in discorso.
In dicembre, nel predisporre la periodica rilevazione di informazioni su tutti i fondi pensione sottoposti alla propria vigilanza,


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la COVIP ha ritenuto necessario affiancare la consueta richiesta di dati aggregati con dettagliate informazioni disaggregate relative all'operatività e alle eventuali consistenze in essere per particolari categorie di strumenti, tra i quali i titoli di debito privi di rating ovvero con rating inferiore a quello di investment grade.
Nel frattempo, la vicenda Parmalat diventava nota; la rilevazione veniva estesa anche ai titoli emessi da società di tale gruppo; le scadenze previste per la consegna dei dati venivano rese più stringenti.
La raccolta, l'elaborazione e l'esame dei dati stanno impegnando gli uffici della COVIP. Nei casi in cui emergono anomalie, si procede ad effettuare i necessari approfondimenti; qualora fossero accertate irregolarità, si avrà cura di intraprendere le necessarie iniziative. Tuttavia, è fin d'ora possibile fornire un riscontro preliminare relativo al flusso di informazioni pervenute (riferite all'insieme dei fondi pensione negoziali e aperti di nuova istituzione, nonché ai fondi preesistenti di maggiori dimensioni).
Dai dati finora raccolti, risulta che l'operatività e gli investimenti dei fondi pensione in titoli emessi da società del gruppo Parmalat sono sul piano generale molto limitati. L'operatività in azioni della Parmalat finanziaria spa specificamente è stata molto inferiore a quella che pure sarebbe stata giustificabile in relazione alla presenza del titolo nel MIB-30.
Su un totale di 166 fondi pensione ricompresi nella rilevazione, otto sono i fondi che, nel bienno 2002-2003 hanno avuto in essere investimenti, anche solo temporanei, su obbligazioni emesse da società del gruppo Parmalat. Alla fine del 2003 l'ammontare complessivo di queste obbligazioni nel patrimonio dei fondi è valutabile in 14 milioni di euro. Tali investimenti incidevano sul patrimonio di singoli fondi pensione per non più dello 0,7 per cento.
Se si esclude il caso, già menzionato sopra, relativo alle obbligazioni Cirio, l'operatività segnalata dai fondi pensione in corporate bond relativi ad altre società in dissesto è limitata a casi isolati e ad ammontare trascurabile.
Si conferma che l'impatto sul sistema dei fondi pensione dei recenti episodi di dissesto industriale è stato molto limitato. Tuttavia permane l'opportunità di curare con particolare attenzione l'attività di vigilanza diretta a stimolare gli amministratori dei fondi a tenere sotto controllo gli investimenti in particolari categorie di titoli.
Nel 2003 i fondi pensione sono tornati a far registrare risultati positivi. Il rendimento medio dei fondi negoziali è risultato pari al 5 per cento, nettamente più elevato della rivalutazione del TFR (3,2 per cento). In effetti, tutti i fondi negoziali attivi nella gestione finanziaria hanno fatto registrare rendimenti superiori al TFR.
Il rendimento medio dei fondi aperti è stato nel complesso pari al 5,7 per cento. Quello dei comparti azionari ha raggiunto l'8,4 per cento, mentre relativamente inferiori sono risultati i rendimenti medi dei comparti bilanciati e di quelli obbligazionari. La positiva performance registrata può contribuire a sviluppare la fiducia nel sistema dei fondi pensione e a diffondere più rapidamente tra i lavoratori la percezione della necessità di dotarsi di una pensione complementare in vista di una vecchiaia più serena. Con la seconda parte di questa relazione abbiamo voluto evidenziare le ragioni della differenziazione del rischio previdenziale dal rischio finanziario tal quale; nella parte finale esporremo alcuni rilievi riguardanti la riorganizzazione dell'attività di supervisione.
Ci sembra opportuno affrontare le suddette tematiche partendo dalla missione della previdenza privata nel sistema pensionistico italiano citando alcuni elementi di differenziazione con altri paesi quali Stati Uniti e Regno Unito.
La previdenza privata, in paesi dove è maggiormente sviluppata (Stati Uniti e Regno Unito) nasce come necessario complemento di un primo pilastro obbligatorio il cui tasso di copertura era - ed è - largamente insoddisfacente. Ancora oggi, nei due paesi citati, è il modello a prestazione


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definita quello preponderante in termini di volumi degli attivi. In tale modello, che prevede che l'impresa sponsor dei piani pensionistici garantisca comunque un livello certo di prestazione a vantaggio dei lavoratori iscritti ai fondi, non v'è dubbio che il risparmio previdenziale privato, rispetto a quello finanziario, sia connotato specificamente dal ruolo di garante di ultima istanza svolto dai datori di lavoro e dal corrispettivo contenimento dei rischi per i lavoratori.
Diverso è il caso dell'Italia. La normativa intesa a promuovere lo sviluppo della previdenza complementare è stata introdotta parallelamente alla progressiva riforma del sistema previdenziale che ha posto al proprio centro, al fine di garantire la sostenibilità di lungo periodo del nuovo modello, l'adozione del metodo contributivo nel calcolo delle prestazioni riducendo implicitamente il tasso di sostituzione assicurato dal sistema basato sul metodo retributivo.
Il Rapporto sulle strategie nazionali per i futuri sistemi pensionistici presentato di recente dall'Italia all'Unione europea evidenzia un tasso di sostituzione (riferito alla sola pensione pubblica di primo pilastro per i lavoratori dipendenti) pari al 67,3 per cento nel 2000, che diminuisce fino al 48,1 per cento nell'anno 2050. Di qui l'esigenza di garantire più elevati livelli di copertura, nell'intento di preservare una condizione dignitosa della persona in età anziana e di evitare «nuove povertà».
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 34 «riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la vecchiaia». Tale principio trova corrispondenza nell'articolo 38 della nostra Costituzione e testimonia di un'attenzione costante dei principi costituzionali alle esigenza della persona in età anziana a fini di sicurezza sociale.
La rinuncia dello Stato ad amministrare in via esclusiva il benessere dei cittadini si concilia con l'appello al principio di solidarietà. La solidarietà orizzontale, nel disegnare il welfare del futuro, conta sulle scelte di autonomia privata, individuali e collettive, e trova concreta traduzione nel sostegno alle formazioni sociali, operato dal decreto legislativo n.124 del 1993. La solidarietà verticale (questa è una novità importante di cui occorre tener conto anche nell'ingegneria costituzionale nel mettere a punto i progetti di supervisione), resa attuale - nel settore che ci occupa - dalla recente novella dell'articolo 117 della Costituzione, chiama in causa il ruolo delle regioni, cui sono attribuite oggi competenze legislative concorrenti in materia di «previdenza complementare e integrativa».
La parte del mio intervento riguardante la peculiarità del rischio previdenziale tende a sottolineare che è assolutamente sbagliato in termini di dottrina, di senso comune, qualunque apparentamento o riduzione del rischio previdenziale a rischio finanziario e qualunque apparentamento per conseguenza dei fondi pensione agli intermediari finanziari (perché si tratta di soggetti non profit), nonché qualunque apparentamento delle vigilanze e delle loro metodiche per il risparmio ordinario a quelle per il risparmio previdenziale e quindi di conseguenza anche delle supervisioni dell'uno all'altro settore.
Date le finalità che sono chiamati a perseguire, i fondi pensione sono soggetti a profili di rischio ben diversi rispetto alle tipologie tipiche degli intermediari finanziari (rischio di mercato, di controparte, di concentrazione, di regolamento).
Il rischio finanziario, che ovviamente caratterizza anche l'attività di investimento nei fondi pensione, rappresenta infatti soltanto uno dei fattori di rischio che possono mettere in pericolo la funzione di risparmio previdenziale affidata ai fondi. Meritano di essere segnalati i profili di rischio previdenziale legati alla fase di accumulazione e a quella di erogazione.
Sul primo versante si segnala, in primo luogo, il rischio di una insufficiente diffusione delle adesioni alla previdenza complementare in tutti i settori del mondo del lavoro. Per la fase di accumulazione vanno inoltre evidenziati i problemi connessi


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alle peculiari modalità di raccolta delle adesioni, che possono essere attuate, per i fondi negoziali, dalle articolazioni organizzate delle fonti istitutive (imprese e sindacati). Le adesioni, infatti, possono avvenire sulla base della contrattazione collettiva, con conseguenti difformità in ordine alle modalità di informativa e di adesione rispetto a quanto avviene nel risparmio ordinario.
Si tratta dunque di canali di acquisizione delle adesioni assolutamente dissimili rispetto a quelli propri della sollecitazione al pubblico risparmio che caratterizza l'operato degli intermediari finanziari.
Problemi ulteriori di controllo del rischio nella fase di accumulazione pone il monitoraggio sulla contribuzione. Si tratta di profili che richiedono l'attribuzione all'autorità di settore di poteri di controllo e di intervento nei confronti dei datori di lavoro tenuti alla contribuzione che risulterebbero del tutto estranei all'esperienza di supervisione sul risparmio finanziario. Non a caso infatti, nell'esperienza inglese questi compiti non sono affidati alla FSE (Financial services authority) bensì all'OPRA (Occupational pensions regulatory authority), come specificherò più in avanti.
Specifiche questioni pone poi il governo del rischio in relazione all' esigenza di assicurare una erogazione effettiva della rendita previdenziale: vengono in rilievo al riguardo i profili relativi alla responsabilità del fondo; alla costituzione di idonee riserve tecniche; all'utilizzo di basi demografiche e finanziarie adeguate per la conversione dei montanti contributivi in rendita.
In tale ambito è aperta la discussione circa la possibilità di contemperare l'applicazione del principio contributivo con criteri solidaristici. Il tema si propone non solo con riguardo all'esigenza che il fondo si attrezzi per fronteggiare i rischi appena descritti ma anche in relazione all'esigenza di amministrare la domanda di partecipazione; di qui l'obiettivo di una governance adeguata che sappia assicurare piena attuazione ai principi di pariteticità nella rappresentanza e rendere effettivo il diritto di partecipazione alle scelte del fondo.
I fondi pensione, in ragione della loro missione non possono essere intesi come meri intermediari finanziari o assicurativi o soggetti che agiscono a fine di lucro, ma vengono a ragione qualificati in dottrina e in giurisprudenza come operatori non profit.
La natura dei fondi come sopra descritta giustifica l'esigenza di una attenzione specifica ed accentuata alle peculiarità che li caratterizzano, da perseguire anche attraverso forme di vigilanza autonoma. Anzi, l'ordinamento di settore chiaramente scandisce la distinzione tra fondi pensione e intermediari finanziari e assicurativi, con un'obbligata ripartizione di compiti e funzioni, cui è logico e coerente faccia riscontro una distinzione anche sotto il profilo della complessiva costruzione del sistema di controllo e vigilanza.
Inoltre, le considerazioni di cui sopra rendono palese come la bipartizione cui si fa riferimento, di consueto, in tema di intermediari finanziari tra stabilità e trasparenza non risulta concretamente proponibile nel caso dei fondi pensione. Risulterebbe del tutto incoerente impostare l'azione di vigilanza sui fondi pensione su uno schema che abbia a precipuo riferimento i due archetipi della stabilità da un lato e della trasparenza dall'altro, nell'accezione dei due concetti rinvenibile nel testo unico della finanza.
Il disegno di legge delega in materia previdenziale contiene una serie di indicazioni volte al perfezionamento del complessivo sistema dei controlli in materia di previdenza complementare. Ciò, sia dal punto di vista della governance dei fondi, attraverso l'accrescimento ulteriore dei profili di professionalità e autonomia dei responsabili dei fondi e valorizzando formule partecipative di datori di lavoro e lavoratori anche per le ipotesi di adesioni su base contrattuale collettiva a fondi pensione aperti, sia in ordine all'ulteriore rafforzamento e razionalizzazione dell'attuale assetto di vigilanza sulla previdenza complementare.


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In tale ultima direzione, risulta, tra le altre, particolarmente significativa la disposizione che prevede l'attribuzione alla COVIP del compito di impartire disposizioni volte a garantire la trasparenza delle condizioni contrattuali fra tutte le forme pensionistiche collettive e individuali e di vigilare sulle modalità di offerta dei predetti strumenti previdenziali, al fine di tutelare l'adesione consapevole dei soggetti destinatari. Prerogative che completano, per tale profilo, le attuali attribuzioni alla COVIP di regolazione delle offerte di previdenza complementare, al fine di eliminare distorsioni che possano risultare di nocumento agli iscritti.
Al riguardo, risulta anzi necessario sottolineare l'esigenza di evitare, anche sotto il profilo della qualificazione dell'offerta, che possano determinarsi pericolose confusioni tra le tipologie di prodotto, capaci di ingenerare valutazioni non corrette da parte dei lavoratori in ordine all'allocazione del risparmio con finalità previdenziali. Per parte sua, la COVIP si sta facendo promotrice, in primo luogo nell'interlocuzione istituzionale con i dicasteri di riferimento (welfare e economia), e poi nelle varie competenti sedi istituzionali, di ulteriori proposte di implementazione della normativa di previdenza complementare e delle attribuzioni della stessa COVIP, sempre in funzione della specificità del settore.
Ciò, ad esempio, in ordine alla revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio, che costituisce una leva imprescindibile dell'assetto di vigilanza anche per organismi che abbiano sin da1l'inizio privilegiato il metodo dialogico nell'interlocuzione con i soggetti vigilati, alla integrazione della normativa in tema di omissioni contributive in materia di previdenza complementare, al riconoscimento delle peculiarità giuridiche delle posizioni e delle prestazioni pensionistiche complementari anche sotto i profili dei limiti alla cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità delle stesse, alla separazione, anche sotto il profilo giuridico, dei patrimoni dei fondi nella fase di accumulazione delle risorse e di erogazione delle rendite, al fine di consentire la costruzione di meccanismi atti ad ancor meglio assecondare le istanze di certezza delle posizioni pensionistiche in costruzione e delle prestazioni previdenziali in essere.
Nel recente periodo sono state prospettate diverse ipotesi di riorganizzazione del complessivo sistema di supervisione sugli intermediari finanziari e assicurativi e per la tutela del risparmio, nel quadro di una più complessiva riforma delle autorità indipendenti. Le considerazioni sviluppate nel corso della presente relazione sugli scenari previdenziali in generale, sulle peculiarità del rispamio e del rischio previdenziale, sulle particolari finalità sottese alla costruzione del sistema, in uno con l'evoluzione dell'ordinamento previdenziale di base, nonché sulle caratteristiche dei soggetti che in esso operano, giustificano, come si è visto, un modello di vigilanza attento alle specificità del settore e alle caratteristiche dei fondi pensione ad hoc che mettano in condizione gli iscritti stessi di effettuare scelte consapevoli. Il complesso delle considerazioni svolte evidenzia, dunque, come l'attività di supervisione sul settore della previdenza complementare presenti una serie assai variegata di implicazioni, poco riconducibili alle metodiche adottate dalle competenti autorità per monitorare i profili di rischio cui sono esposti i tradizionali intermediari finanziari ovvero per assicurare la tutela del risparmio diverso da quello previdenziale.
Sul piano più generale, il soggetto preposto alla supervisione deve possedere le conoscenze tecniche per affrontare le problematiche connesse alla dialettica tra le parti istitutrici, che hanno competenze che valicano la fase istitutiva del fondo, oltre che le problematiche connesse all'efficacia e alla validità (non alterazione dei principi concorrenziali) degli interventi regionali; con specifico riguardo ai fondi pensione si deve ragionare poi di un concetto di stabilità del tutto originale. Del resto, se è vero che la metodica di vigilanza può essere, in generale (e, quindi, tanto per il settore finanziario quanto per quello previdenziale), qualificata in funzione della


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valutazione della probabilità del verificarsi di rischi connessi al sistema e dell'impatto che gli stessi potrebbero avere sugli interessi dei soggetti coinvolti, ciascuna autorità di vigilanza deve assolvere, poi, ai propri compiti assumendo come pietra angolare del proprio comportamento la specificità dei rischi da monitorare, pur in un ambito di fattiva cooperazione.
La stessa collocazione istituzionale della vigilanza sui fondi pensione non può passivamente derivare dalle scelte ritenute adeguate per la vigilanza di tipo finanziario.
Al fine di valorizzare il requisito dell'indipendenza - da ritenersi essenziale per ogni forma di vigilanza a tutela del risparmio e che richiede l'applicazione della necessaria professionalità ed indipendenza - sembra opportuno procedere ad adeguamenti normativi che consentano all'istituzione preposta alla supervisione nel settore della previdenza complementare di raccordarsi stabilmente a forme di rappresentanza delle parti sociali nonché delle regioni.
Per quanto attiene ai rapporti tra le autorità di vigilanza è senza dubbio importante che venga sottolineato il profilo della collaborazione tra le varie istituzioni, attraverso un ampliamento ed un rafforzamento delle forme di coordinamento peraltro già presenti in tutte le norn1ative di settore. In questa direzione sembra di poter esprimere la valutazione che le recenti vicende, come quelle che nei mesi scorsi hanno interessato altre importanti aziende di diversi paesi, impongono un più solido e costante coordinamento dell'attività di vigilanza in sede internazionale e, in primis, in sede europea. Non v'è dubbio - il rilevante profilo internazionale dei casi in questione lo dimostra - che interventi e soluzioni adottati a livello nazionale non risulterebbero sufficienti, se non realizzati in un contesto di effettiva e pregnante collaborazione da parte di organismi e autorità di diversi paesi.
In sede nazionale la COVIP ha avuto modo di registrare positivamente forme di collaborazione proficua con le altre autorità di supervisione. Interventi di rafforzamento della cooperazione e di potenziamento delle attribuzioni delle diverse autorità appaiono, almeno allo stato attuale, preferibili rispetto ad ipotesi di più radicale riforma. A conforto di tale valutazione, si richiama anche 1'insegnamento della esperienza comune: qualunque processo riorganizzativo che implichi un accorpamento di funzioni e attività sconta degli oneri non irrilevanti nella fase di avvio, essendo suscettibile di creare, almeno nel breve periodo, alcune discontinuità e conseguenti vischiosità rispetto alla precedente operatività (profilo, questo, che è stato richiamato anche da altri esponenti di autorità di vigilanza, nell'ambito della presente indagine conoscitiva). Ciò appare tanto più delicato in un momento in cui i noti provvedimenti legislativi di riordino del settore previdenziale a11'ordine del giorno sembrano porre ulteriori enfasi sullo sviluppo della previdenza complementare e sul ruolo dei fondi pensione.
La strada che sembra più proficuo percorrere è semmai quella del rafforzamento delle prerogative che la legge attribuisce oggi alla COVIP e, conseguentemente, del potenziamento del relativo assetto, incrementandone le risorse. Nella prospettiva in esame, risulta particolarmente interessante il riferimento al modello inglese, sovente citato come esempio dagli assertori di schemi di vigilanza, per cosi dire, unificata, laddove si è preservata e anzi potenziata la specificità della vigilanza nella previdenza complementare. In tale Paese, proprio nel mentre si è proceduto, sul finire degli anni novanta, ad una vera e propria rivoluzione dell'architettura di .vigilanza sugli operatori istituzionali del risparmio, attraverso la concentrazione delle competenze relative alla supervisione sul sistema finanziario, si è ritenuto comunque necessario caratterizzare la vigilanza sui fondi pensione con un'autorità, autonoma e indipendente. Così, accanto alla FSA (Financial Service Authority), cui risultano affidate le funzioni di supervisione sui mercati e servizi finanziari, fatte salve le attribuzioni della banca centrale sulla cosiddetta «stabilità sistemica», esiste un'autorità ad hoc,


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l'OPRA, cui sono attribuite specifiche funzioni di vigilanza sul settore della previdenza complementare.
Quest'ultima si colloca in posizione di autonomia e separatezza dal potere esecutivo ed è dotata di una governance che garantisce la rappresentanza delle parti sociali. Tale impostazione conferma la validità, in un sistema che ha dovuto fronteggiare crisi finanziarie anche significative con rilevanti ripercussioni sugli investimenti con finalità previdenziale, di scelte di complessivo assetto organizzativo che tengano nel debito conto l'esigenza di governare in maniera autonoma lo specifico rischio previdenziale. Nel perfezionare l'attuale assetto della supervisione nel sistema della previdenza complementare, ferme restando le competenze regolamentari del Ministero dell'economia in tema di investimenti dei fondi pensione, sembra auspicabile preservare - accentuando nel contempo l'autonomia operativa della COVIP - il raccordo con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, .che richiama il legame funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare e potrà anzi acquisire un ruolo ed una valenza ancor più significativi, come prefigurato nel disegno di legge delega in materia previdenziale, in relazione al ruolo accresciuto che la prospettata revisione del sistema pensionistico vorrà assegnare alla previdenza integrativa.
In questo senso anche le già proficue relazioni con gli enti gestori di previdenza obbligatoria, cui anche l'attuale normativa già assegna ruoli sul versante della previdenza complementare, potranno formare in prospettiva oggetto di attenta implementazione al fine di pervenire ad un'offerta al cittadino di servizi pensionistici integrati e costantemente adeguati alla realizzazione dell'obiettivo di garantire al lavoratore condizioni di vita dignitose anche nel periodo dell'età anziana.

PRESIDENTE. Passiamo ora alle domande dei colleghi.

RICCARDO PEDRIZZI, Presidente della 6a Commissione permanente del Senato. La ringrazio, presidente, per la sua esposizione molto chiara e precisa. Come viene indicato nella relazione che ci ha appena illustrata, nell'agenda del Governo è previsto il varo di un disegno di legge sul riordino delle autorità, a seguito delle drammatiche vicende che hanno coinvolto il sistema finanziario, bancario ed economico del nostro paese. Il riordino è dettato dall'intento di salvaguardare meglio il risparmio e tutelare adeguatamente il risparmiatore.
Ed è questo un obiettivo condivisibile e su cui concordiamo appieno. Tra le bozze del disegno di legge circolate in questi giorni vi è la previsione che la COVIP e l'Isvap siano incorporate in questa nuova cosiddetta super Consob. Come si vede e constata dalla sua relazione, i risultati della vostra gestione, di fatto, già testimoniano che voi state praticando e realizzando la tutela del risparmio e soprattutto del risparmio dei lavoratori.
Pertanto, per quanto mi riguarda, non come presidente di Commissione, ma come esponente di Alleanza nazionale, debbo dirle che ho alcune perplessità sul disegno di incorporazione della COVIP, ancorché pare sia previsto un «ramo d'azienda» a parte, una sezione con una gestione autonoma per i fondi del TFR.
Le chiedo, pertanto, di esprimere il suo giudizio su tale proposta ed, in particolare, sulla possibilità e praticabilità di una sezione (o ramo d'azienda) all'interno della nuova authority sul risparmio, non solo alla luce delle peculiarità - come lei ha giustamente sottolineato - del rischio previdenziale (che si differenzia notevolmente da quello finanziario), ma anche nella prospettiva - come afferma nella sua relazione - di formule partecipative di lavoratori e datori di lavoro.
Sono fermamente convinto che le drammatiche vicende societarie verificatesi negli ultimi anni, forse (dico forse poiché nessuno di noi ha la sfera di cristallo), si sarebbero potute evitare se vi fosse stata qualche presenza partecipativa dei lavoratori negli organi societari (ad esempio, in un eventuale consiglio di sorveglianza).


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Concludendo, tutte le prospettive della COVIP (il lancio - effettivo e serio - dei fondi pensione, modelli partecipativi di datore di lavoro e lavoratori, peculiarità del rischio previdenziale) dovrebbero far pensare a tutti che è importante mantenere l'autonomia della commissione, piuttosto che provvedere ad un accorpamento.

GIORGIO BENVENUTO. Mi riallaccio alla domanda posta dal presidente Pedrizzi. Il ministro dell'economia, ad una precisa domanda, ha risposto che a lui sembra più razionale concentrare nel nuovo organismo anche Isvap e COVIP, prevedendo, tuttavia, la possibilità di organizzazioni per singoli settori speciali di intervento e, comunque, in aggiunta (relativamente ai fondi pensione) anche di uno spazio per le organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro, che non sono interessate alla governance in senso operativo, ma che - come in tutti i paesi civili - devono avere una visione ed una rappresentazione, data l'emissione di fondi pensione.
Lei, presidente Francario, ha già svolto alcune considerazioni in merito. Vorrei che approfondisse i rilievi formulati, anche perché la posizione del ministro dell'economia confligge con quella espressa dal ministro del welfare.
Su molti punti non vi è un accordo con le organizzazioni sindacali. Mi risulta, tuttavia, che con le organizzazioni sociali, sindacali ed imprenditoriali vi sia un accordo, nella delega previdenziale, per un rafforzamento dei poteri della COVIP e per risolvere alcuni problemi relativi al suo assetto.
Gradirei che su tale delicato argomento, su cui vi sono anche opinioni diverse, vi fosse un approfondimento più ampio, rispetto alle osservazioni svolte, anche considerando che agiamo nell'ambito della tutela di un risparmio di carattere previdenziale.
Seconda ed ultima domanda. La ringrazio per le informazioni fornite sul portafoglio di ciò che è vigilato dalla COVIP. Vorremmo avere, se possibile, indicazioni maggiori, rispetto anche all'entità di carattere quantitativo, anche perché sarebbe utile poter confrontare tale entità con le vicende di altri fondi pensione all'estero. Mi riferisco a fondi pensione incorsi in gravi problemi (per esempio, negli Stati Uniti d'America).
Mi ha molto colpito, poi, che il fondo di previdenza della Banca d'Italia abbia subito un danno rilevante in operazioni effettuate su azioni Parmalat. Non credo che quel fondo rientri nella vigilanza della COVIP. Volevo avere indicazioni in merito e sapere - è una mia curiosità - se in questo portafoglio siano previste anche maggiori spiegazioni riguardo alla questione che lei ha riferito a Cirio. È per noi importante avere idea di come sia stato possibile. Vorrei sapere se, nei fondi, siano previsti investimenti in azioni di squadre di calcio quotate in borsa.

LORIS GIUSEPPE MACONI. Lei, presidente Francario, ha delineato un quadro rassicurante per quanto riguarda i criteri d'investimento da parte dei fondi, improntati al principio della diversificazione che, sinora, ha garantito in modo considerevole il risparmio previdenziale dei soldi dei lavoratori, investiti in tali fondi. Ciò è confermato anche dal fatto - se ho capito bene - che solo otto fondi hanno partecipato ad investimenti in azioni Cirio e Parmalat (subendo ciascun patrimonio un danno non superiore allo 0,7 per cento).
Finora abbiamo avuto tale gestione positiva ed oculata, che ha permesso detto livello di risparmio. Sul fronte aziendale, abbiamo, però, costatato che gran parte del danno è stato originato dalla gestione, dal controllo interno alle singole aziende.
Per quanto riguarda i fondi previdenziali, lei ritiene che gli attuali strumenti di controllo interno siano adeguati al fine di vigilare sulla correttezza degli investimenti? Altrimenti, quali suggerimenti può indicarci per potenziare e migliorare tali controlli?

MARIO LETTIERI. Ringrazio il presidente della COVIP per il contributo fornito per la conoscenza di una situazione che, almeno per il sottoscritto, era ignota. Lo


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ringrazio, allo stesso tempo, per il messaggio tranquillizzante fornito ai risparmiatori ed ai lavoratori. Il rischio previdenziale sarebbe terribile.
Non conosco, nel dettaglio, il testo e le ipotesi del Governo (il presidente Pedrizzi, evidentemente, li conosce), ma mi fa piacere apprendere che non vi è univocità d'intenti sull'accorpamento generalizzato dell'Isvap e della COVIP nella superautorità di controllo. Pare che anche il ministro del lavoro sia dissenziente rispetto a tale posizione. Ciò vuol dire che la direzione di marcia è altra.
La domanda specifica che intendo porre è la seguente. Gli investimenti, dal quadro fornito, mi sembrano effettuati con grande prudenza. Dato che le recenti vicende truffaldine hanno interessato non solo la Cirio e la Parmalat ma, purtroppo, anche i casi della Banca 121 e della Finmatica, vorrei sapere se abbiate titoli di queste società della cosiddetta new economy, poiché sono stati quelli che hanno avuto un maggiore appeal e la volatilità di certi «facili» guadagni si è verificata in maniera drammatica per alcuni soggetti che hanno investito in quel settore.
Inoltre, indipendentemente dal potenziamento dei poteri della Consob, ritiene comunque necessario che vi sia un coordinamento tra le autorità di vigilanza?

MAURIZIO EUFEMI. Desidero in primo luogo ringraziare il presidente della COVIP per la chiarezza espositiva. Nel documento abbiamo trovato precise indicazioni ed anche la condivisione rispetto alle preoccupazioni emerse in relazione alla tempistica necessaria all'attuazione di un'eventuale riforma e quindi alla difficoltà di mettere a regime fattori che potrebbero avere effetto negativo rispetto al funzionamento.
Dobbiamo anche riconoscere che l'azione dei fondi è stata estremamente prudenziale e che sono stati in grado di compiere scelte intelligenti. È stata richiamata la posizione della Parmalat e di Cirio e quindi la situazione tranquillizzante rispetto alle posizioni previdenziali dei dipendenti, ma non ho trovato alcun riferimento alla società Parmatour che pure ha una certa rilevanza, per cui vorrei sapere se vi sarà qualche riflesso sulle posizioni dei dipendenti.

LANFRANCO TURCI. Lei ha detto che è molto alta la quota di titoli di Stato presenti nei fondi pensione. Vorrei sapere quale percentuale sia rappresentata dai bond argentini.
Inoltre, per quanto riguarda il prossimo assetto della vigilanza abbiamo ascoltato le puntuali osservazioni fornite che manifestano una specificità aggiuntiva di compiti propri dei fondi pensione, diversamente dai fondi comuni. Vorrei sapere come abbiate sperimentato, in questi primi anni di concreto funzionamento dei fondi collettivi contrattuali, il rapporto tra i fondi e le società di gestione e se, dato che uno dei problemi su cui stiamo riflettendo e che emerge dalle vicende attuali riguarda il conflitto di interesse in capo alle banche nel collocamento dei corporate bond, abbiate avvertito come autorità di vigilanza questo problema nei rapporti e nelle convenzioni tra fondi e società di gestione, essendo esse in genere di emanazione bancaria.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al professor Francario per la risposta alle domande poste, aggiungo una osservazione a proposito della quantità di soldi investiti dai fondi in obbligazioni Cirio, obbligazioni Parmalat ed azioni Parmalat. Vi è un'osservazione del professor Francario nella relazione presentata secondo cui «l'operatività in azioni della Parmalat finanziaria è stata molto inferiore a quella che pure sarebbe stata giustificabile in relazione alla presenza del titolo nel Mib 30». Vorrei sapere per quale motivo vi è stata questa disattenzione al così eccellente titolo Parmalat. Se non si fosse trattato di una disattenzione colpevole ma di una capacità di valutare il rischio, allora si potrebbe sostenere che le banche finanziatrici che basano le analisi in primo luogo sui dati di bilancio e che sono state indotte in gravi errori di valutazione circa la solidità dell'impresa, le sue prospettive,


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le qualità imprenditoriali della presidenza aziendale, abbiano una capacità di valutazione inferiore rispetto ai fondi pensione del settore alimentare.
Dalla dichiarazione del professor Francario emerge un fattore particolarmente rilevante per l'indagine conoscitiva, cioè che chi ha avuto capacità o volontà di analisi finanziaria si è sottratto alle perdite diversamente da chi, invece, quella volontà o capacità non ha avuto ed ha concorso a collocare determinati titoli presso i singoli risparmiatori, meno protetti rispetto ai fondi pensione gestiti in base ai benchmark e dai criteri enunciati. Dalla relazione della COVIP emerge che non era impossibile sapere che la Cirio e la Parmalat costituivano un enorme rischio finanziario; conseguentemente i fondi pensione dei lavoratori del settore alimentare hanno avuto la capacità di «tirarsi fuori».

LUCIO FRANCARIO, Presidente della COVIP. Nella risposta isolerei in primo luogo i problemi specifici legati alla richiesta di informazioni suppletive su singole questioni. In particolare mi riserverò di fare ciò in merito alle squadre di calcio.
Per quanto riguarda la Parmatour non si tratta di un titolo di società quotata e quindi era da escludere la questione riguardante la possibilità di investimento. Dai dati riportati quando abbiamo scandito gli iscritti e abbiamo fatto riferimento al gruppo Parmalat e alla Parmalat finanziaria, abbiamo preso in considerazione anche Parmatour quando parlavamo del gruppo e quando si considerava la Parmalat finanziaria solo i dipendenti di questa. Quindi dalla relazione si possono estrarre alcune prime conclusioni che tengano conto anche della Parmatour.
Per quanto riguarda invece i bond argentini, abbiamo un dato riguardante i fondi pensione preesistenti l'entrata in vigore della legge di riforma, la n. 124 del 1993, da cui si evince che al 31 dicembre 2002 vi erano 57 milioni 918 mila euro investiti in obbligazioni argentine, somma diminuita al 31 dicembre 2003 a 30 milioni 933 euro.

PRESIDENTE. Che percentuale rappresenta questo dato sulla massa complessivamente investita?

LUCIO FRANCARIO, Presidente della COVIP. Incide mediamente sul patrimonio gestito per lo 0,05 per cento, quindi si tratta di livelli modesti ed accettabili.
Passo ora alla domanda se come autorità non abbiamo avvertito l'esigenza di avviare un controllo interno anche sui fondi pensione, affrontando in termini di efficienza aziendale anche per i fondi pensione un aspetto che si pone per le società per azioni.
Effettivamente, ce lo siamo posto e, non a caso, alla fine dell'anno, il 4 dicembre 2003, la COVIP ha emanato una direttiva, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, che riguarda l'organizzazione interna dei fondi pensione negoziali. In tale direttiva ci siamo occupati della necessità di rafforzare la governance, il controllo interno, l'organizzazione, i sistemi informativi, le forme di comunicazione e di controllo interne, di istituire la funzione del direttore e così via. Insomma, ci siamo preoccupati di dare corpo alla parte aziendale e manageriale dei fondi pensione. Questa direttiva è a disposizione dei presenti e, come ho ricordato, è stata pubblicata anche nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.
Per quanto riguarda il tema del rischio, alcuni investimenti nel settore della cosiddetta new economy sono stati effettuati. Non sono stati specificati nella documentazione ma, a questo riguardo, è possibile un supplemento di informativa che possa fornirvi ulteriori delucidazioni. Nella sostanza, mi sembra che il messaggio emerso dalla mia relazione di oggi, per molti versi, sia rassicurante. Noi abbiamo tratto il convincimento, alimentato dai dati e dalle rilevazioni, specifiche e generali, effettuate da COVIP, che un impatto delle catastrofi che si sono verificate per il risparmio ordinario sul risparmio previdenziale non c'è stato. Le ragioni sono molteplici. La prima, a mio avviso, è data dalla capacità dei fondi pensione di applicare il principio di diversificazione in maniera ottimizzata.


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Questi ultimi, infatti, attraverso i meccanismi di gestione, sia pure indiretta, attraverso le convenzioni di gestione con gestori diversi, si sono rivelati capaci di realizzare un principio di diversificazione e di non creare aree di ammassamento critico che potessero esporre gli investimenti dei risparmiatori previdenziali a un rischio eccessivo. In questo ambito si ha un ritorno netto che diversifica l'esperienza italiana nettamente dall'esperienza straniera.
Ricordo che, dopo il caso Enron, negli Stati Uniti si è verificata una vera e propria catastrofe. I dipendenti di quella società detenevano in portafoglio, come risparmio previdenziale, azioni della stessa Enron per il 60 per cento. In Italia, questo non è possibile. Negli Stati Uniti, il fondo pensione è costituito in un certo modo e non si ragiona in una logica di controllo sociale quale quella introdotta dai fondi pensione nel sistema italiano. Per certi versi, quindi, il nostro sistema ha dimostrato una sua positività. Esistono controlli endogeni, come li abbiamo definiti nella nostra relazione, cioè controlli interni o, per usare un termine tecnico-giuridico, controlli sociali che hanno dimostrato di funzionare correttamente.
Mi consenta il presidente La Malfa di esimermi da valutazioni politiche. Tuttavia, voglio rendere una affermazione e non essere equivocato. I dati sono chiari: come autorità indipendente noi consegnamo dati dai quali, a nostro avviso, maturano convincimenti riguardanti il mondo dei fondi pensione e una netta differenziazione di quanto è accaduto in questo universo rispetto al risparmio ordinario. Non spetta a noi trarre conclusioni e formulare giudizi sul modo in cui è stato gestito un altro comparto. Non si tratta di una omissione. Sarebbe improprio che io mi pronunciassi politicamente su altre questioni. Le considerazioni politiche devono essere tratte in questa sede, ovviamente, e penso che siano legittime le conclusioni che traggano alimento dai dati. Noi consegniamo i dati e, successivamente, spetterà alle Commissioni parlamentari, ovviamente, trarne alcune riflessioni.
Quanto ad un altro aspetto problematico, quello della riforma delle istituzioni, del rischio, e così via, ricordo che noi abbiamo compiuto uno sforzo notevole, nonostante la nostra piccola dimensione. Infatti, nella nostra struttura operano 70 persone, molte delle quali, inizialmente, erano state abituate a lavorare sulle autorizzazioni dato che, nella fase di avvio dei fondi pensione, l'attività era prevalentemente autorizzativa. La COVIP si è avvalsa di professionalità provenienti dal mondo delle banche, dalla Consob e dalla Banca d'Italia e, attraverso concorsi, ha acquisito risorse molto qualificate che sono invidiate all'esterno e, spesso, sono oggetto di richiesta da parte di intermediari. Grazie a queste risorse, abbiamo effettuato approfondimenti e abbiamo una capacità di introspezione di questo universo, a mio avviso, abbastanza forte e apprezzabile.
Alla luce di questo, nella nostra relazione, in cui, per la prima volta, c'è una sintesi e una esplosione del problema, abbiamo individuato ciò che definiamo la diversità del rischio previdenziale rispetto al rischio ordinario. Alcune risposte devono essere fornite. Quando affermiamo che il fondo pensione è diverso dall'intermediario finanziario rendiamo una affermazione tecnica e non politica. Il fondo pensione, oggi, tecnicamente è un soggetto non profit mentre l'intermediario finanziario è un soggetto che effettua speculazione. Attenzione: sono due cose completamente diverse! Il risparmio ordinario è tutelato dall'articolo 47 della Costituzione ed è considerato risparmio collettivo. C'è una supervisione, su quel risparmio, che ha una certa logica, attenta alla stabilità dell'intermediario. Noi ci occupiamo del risparmio previdenziale che attiene alla tutela della dignità della persona nell'età anziana, in base agli articoli 24, 35 e 38 della Carta di Nizza. Questi ultimi, si riferiscono a principi fondamentali contenuti nelle costituzioni europee e nazionale. Quindi, si tratta di una autorità che tutela i diritti fondamentali della persona. Il rischio deve essere differenziato da quello del risparmio ordinario e le tecniche e


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metodiche di vigilanza devono essere raddoppiate. La guardia, nel nostro caso, si raddoppia non si diminuisce.
Non a caso, in Gran Bretagna, quando è stata realizzata una unificazione della supervisione del risparmio, l'unica supervisione che è stata aggiunta a quella ordinaria è stata quella specifica, volta a raddoppiare la guardia sulla base di metodiche come quella del risk based approach e altre metodiche di vigilanza e controllo idonee a verificare la capacità del fondo di operare in condizioni di rischiosità minima. Anche da questo proviene la conferma che sussiste l'esigenza di una supervisione specifica anche quando si unifica la supervisione generale.
In Italia, il discorso è ancora più complesso. Pongo una ulteriore questione di coerenza. Nel nostro paese, oggi, il sistema è basato su una ripartizione tra controllo di stabilità e controllo di trasparenza. Se questa fosse una lezione universitaria potremmo discutere a lungo sul concetto di stabilità e su quali siano i confini tra stabilità e trasparenza. Non è il caso. In tal modo, esamineremmo problemi di difficile enucleazione, per il senso comune. Tuttavia, quando si discute del coordinamento tra Banca d'Italia e Consob emergono i problemi relativi alla difficoltà di identificare chiaramente l'area di controllo della stabilità e l'area di controllo della trasparenza. Perciò, delle due l'una. Si può muovere verso la unificazione della supervisione, superando queste difficoltà dialettiche tra stabilità e trasparenza, sussistendo ugualmente l'esigenza di una supervisione specifica del risparmio previdenziale, come confermato dall'esperienza inglese, la prima nella quale si è proceduto a questa operazione. Altrimenti, se non si muove in questa direzione e si resta nella situazione in cui si è oggi, basata sull'articolo 5 del testo unico della finanza, preservando la differenza fra controllo di stabilità e controllo di trasparenza, la eliminazione della COVIP realizza una asimmetria, perché la nostra commissione, contemporaneamente, effettua il controllo di stabilità e il controllo di trasparenza. Riportare la COVIP nell'ambito dell'uno o dell'altro ente di supervisione significa creare una asimmetria, perché non si segue più la logica prevista dal testo unico della finanza ma una logica diversa e ignota.
Quindi, se si segue un disegno di unificazione resta valida la esigenza di specificazione; se si segue il disegno previsto dal testo unico della finanza, l'accorpamento di COVIP è assolutamente illogico e irrazionale perché crea altre discrasie e altre asimmetrie. Questa è la conclusione sul piano dell'architettura istituzionale. Sul piano del contenuto e del merito, le metodiche di vigilanza sono completamente diverse e il rischio è completamente diverso.
Aggiungo qualcosa in più, perché ci sono novità e proposte, nella nostra relazione, che mi piace sottolineare, approfittando della attenzione che mi state prestando. Noi abbiamo rilevato un elemento molto importante, recuperato nell'esperienza inglese, e un altro che, invece, in quest'ultima non vi è. Il primo è rappresentato dalle parti sociali che hanno una dignità nell'universo della previdenza complementare. Infatti, come richiamato nella relazione, in Italia le fonti istitutive hanno il potere, nella contrattazione collettiva, di determinare l'entità delle prestazioni, non soltanto della contribuzione, e di giocare un ruolo importante che va oltre la fase istitutiva del fondo pensione. Si tratta di un ruolo ultra attivo che non si ferma alla fase di avviamento del fondo pensione. Perciò, anche in COVIP, come interlocutori siedono i rappresentanti delle fonti istitutive. Spesso ho presenziato a riunioni presso il CNEL, nelle quali si riunivano fonti istitutive che avevano problemi a far quadrare gli accordi per la tessitura di queste relazioni.
C'è questo tipo di know how, di conoscenza e di esperienza presso altre autorità di vigilanza che consenta di proseguire in questa direzione proficua che noi abbiamo indicato? Se c'è, nulla quaestio, perché vuol dire che esistono altre esperienze di cui il paese potrà avvalersi. Fin qui, il messaggio è in linea con l'esperienza inglese. Infatti, come sottolineiamo nella


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relazione, nell'esperienza dell'OPRA (occupational pensions regulatory authority) le parti sociali hanno un ruolo. Al di fuori del board esecutivo, le parti sociali sono chiamate, in un consesso più ampio, a esprimere pareri di tipo consultivo e a svolgere funzioni di indirizzo, anche abbastanza rilevanti.
Un modello consimile potrebbe essere recuperato nel nostro paese anche se, per questa parte, la soluzione di una COVIP autonoma o ricondotta in un alveo più specifico potrebbe risultare neutra. Inoltre, nel nostro paese abbiamo inventato un sistema positivo, mentre spesso inseguiamo modelli stranieri pensando che altrove le esperienze siano le migliori possibili. Una volta tanto, abbiamo qualcosa da insegnare agli americani e agli inglesi perché da loro ci sono stati degli scandali devastanti; mi riferisco ai i casi Maxwell in Inghilterra ed Enron e Worldcom negli Stati Uniti, che ha travolto anche le posizioni previdenziali.
Nel Trentino-Alto Adige c'è, forse, qualcosa in più da imparare, ovvero il ruolo positivo delle regioni - che è legittimato a livello generale dall'articolo 117 della Costituzione, così come novellato nell'ottobre dall'anno scorso - sul terreno della previdenza complementare. Quale ruolo ha svolto la COVIP? Potevamo svolgere un ruolo passivo, dicendo di rispettare l'autorità centrale e che poteva legiferare solo il legislatore statale, ma, insieme al Ministero del lavoro, abbiamo preferito svolgere un ruolo attivo. Infatti, abbiamo fatto in modo che la legislazione regionale del Trentino non entrasse in collisione con l'interesse nazionale e con un mercato concorrenziale, preservasse la parità di trattamento tra fondi regionali e nazionali ed articolasse degli interventi regionali che non alterassero le regole del gioco, dato che è sempre importante mantenere un quadro di principi ed un'unica tessitura collettiva.
Quindi, esiste il ruolo delle regioni, che è irriducibile ad una logica di supervisione che sia, innanzitutto, emanazione del potere esecutivo. Di conseguenza, proposte e autorizzazioni di COVIP per agenzia sono fuori luogo, perché un intervento del genere le regioni non lo accetterebbero mai e lo impugnerebbero immediatamente dinanzi alla Corte costituzionale. La supervisione specifica nel settore deve essere pertanto preservata, ma con caratteristiche di indipendenza, di autonomia e di terzietà, da svolgere non solo rispetto alle fonti istitutive e alle parti in causa ma anche rispetto alle regioni. Infatti, queste ultime sarebbero ben liete di sviluppare un raccordo con un ente tecnico di supervisione piuttosto che con una mera emanazione del potere esecutivo.
Questo è un altro punto qualificante che, in prospettiva, può dar conto di una supervisione tecnica, a cui si raccordino sia le parti sociali sia le regioni, in forme che il legislatore potrà collaudare e ottimizzare nelle discussioni parlamentari.

PRESIDENTE. L'onorevole Sergio Rossi ha chiesto di poter formulare un'ulteriore domanda.

SERGIO ROSSI. Sono soddisfatto di aver appreso dal presidente che negli investimenti i fondi pensione adottano criteri molto prudenziali. So che i fondi pensione investono anche in fondi comuni di investimento e che la magistratura ha in corso un'indagine sui fondi di un istituto bancario che sembra siano stati oggetto di artificiose compravendite di azioni al fine di conseguire delle performance positive a favore di un fondo, per avvantaggiare in tal modo i clienti di serie A, a scapito, invece, di altri fondi e, quindi, scaricando sui clienti di serie B delle perdite. Siccome lei ha parlato di comportamenti molto prudenziali nell'investire, questo mi fa presupporre che, giustamente, i fondi pensione stiano lontani dai fondi comuni di investimento, perché presentano periodiche oscillazioni nelle loro quotazioni e perché dietro le stesse si possono nascondere queste tipologie di operazioni.

LUCIO FRANCARIO, Presidente della COVIP. Naturalmente, nella nostra relazione è presente il riferimento, in forma anonima perché abbiamo cercato di rispettare


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un onere di riservatezza, al fondo da lei segnalato e, quindi, tali indicazioni risponderanno alla sua esigenza di approfondimento. Posso assicurare i presenti che il fondo è quello indicato nella relazione, che non abbiamo opposto il segreto d'ufficio al ministro del lavoro e che l'abbiamo doverosamente informato, inviandogli a novembre una lettera riservata su tale situazione.
In generale, anche per quel tipo di fondo abbiamo richiesto, come sempre, l'onere di informazione e di trasparenza - che nella specie è stato rispettato - non solo nella relazione di bilancio ma anche nel sito di questo fondo. Questa è la conferma che, anche laddove si sbaglia, nei fondi pensione il controllo sociale è così forte che costoro hanno il timore di non esporre ai propri partecipi le condizioni e anche le performance negative. Quindi, nel caso in esame c'è stata una performance negativa e, tuttavia, alla stessa ha fatto seguito un'informativa. In questo rivendichiamo orgogliosamente la peculiarità del settore perché il controllo sociale consente di attenuare gli impatti. Viceversa, non possiamo dire che non è possibile investire in quote di fondi comuni di investimento perché, oggi, è possibile investire in tutte le forme e in tutti i valori mobiliari. Esiste un principio di diversificazione e di prudenza, ma non c'è un divieto di investimento nelle quote dei fondi comuni.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della COVIP e suoi collaboratori per la loro partecipazione. La prossima seduta delle Commissioni avrà luogo domani mattina alle ore 9 presso l'aula della Commissione difesa del Senato per le ulteriori audizioni previste.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 19,20.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta n. 4 del 27 gennaio 2004, nell'indice, sostiuire il nome «Saro» con il seguente: «Savo».


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ALLEGATO


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