INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma del sistema fiscale, l'audizione dei rappresentanti di Assonime.
STEFANO MICOSSI, Direttore generale di Assonime. Il disegno di legge per la riforma del sistema fiscale statale a nostro avviso propone un impianto moderno, trasparente, efficiente, e coerente con gli orientamenti delle politiche comunitarie, utile per ridurre gli svantaggi competitivi del nostro sistema economico. La sua realizzazione implica rilevanti discontinuità rispetto al sistema esistente: occorre pertanto prestare grande cura alla transizione da un regime all'altro, sia negli aspetti giuridici e contabili, sia nell'evoluzione degli oneri d'imposta sugli operatori economici. La semplificazione del sistema e l'abbattimento degli oneri d'imposta dovranno essere attentamente coordinati con la realizzazione del federalismo fiscale e l'attuazione del nuovo titolo V della Costituzione.
nuovo ricadere sulla società il pagamento della sanzione. In definitiva, un marchingegno senza equivalenti negli altri paesi, internamente contraddittorio, eccessivo e dunque anche inefficace. Esso è senz'altro da eliminare, anche in vista dell'introduzione del consolidato fiscale, che implica il potenziale coinvolgimento di amministratori e collaboratori di più imprese per la dichiarazione del gruppo. Merita apprezzamento anche il criterio di delega per la revisione della disciplina penale tributaria che, limitando l'area dei reati tributari ai casi «di frode e di effettivo e rilevante danno per l'erario», affida alla sanzione amministrativa la repressione delle più lievi violazioni e circoscrive lo strumento penale solo a fattispecie di particolare disvalore.
rispetto al precedente sistema dei contributi sanitari colpisce in maniera più accentuata le imprese ad elevato costo unitario del lavoro: dunque, le imprese ad elevato capitale umano, i servizi avanzati, le attività innovative e l'information technology.
estere. Si comprende la cautela del legislatore che lascia l'opzione se consolidare o meno, ma in caso positivo impone di consolidare tutte le partecipate estere. La delega prevede anche che i risultati di tali partecipate estere debbano essere ricalcolati sulla base delle regole fiscali nazionali: su questo punto sarebbe auspicabile una certa flessibilità da parte del legislatore delegato, nel senso di consentire l'assunzione dei risultati di bilancio delle partecipate estere senza eccessive modificazioni, per non rendere questo strumento troppo rigido e di difficile applicazione.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Micossi per la memoria molto precisa che l'Assonime ha consegnato alla Commissione e do la parola ai colleghi che intendano porre domande o richieste di chiarimenti.
GIORGIO BENVENUTO. Mi associo ai ringraziamenti rivolti dal presidente al dottor Micossi; se possibile, vorrei ricevere qualche dato in più riguardo al riferimento, contenuto nella relazione, all'aliquota media effettiva sulle società di capitali che può essere stimata, per il 2001, tra il 34 ed il 35 per cento. È tradizione della Assonime predisporre buone simulazioni, che potrebbero essere molto utili per il lavoro della Commissione e, poiché non possediamo dati ufficiali, chiedo se sia possibile ottenere altri dati disaggregati.
Marche e la regione Lombardia hanno aumentato le aliquote.
MAURIZIO LEO. Vorrei ringraziare il dottor Micossi e la sua associazione perché ci hanno sottoposto un documento puntuale ed analitico sulle tematiche che interessano le imprese. In particolare, noto che il documento approfondisce l'analisi dell'articolo 4 della legge delega, che è la parte di maggiore interesse per le società.
PRESIDENTE. Inviterei i nostri ospiti a soffermarsi anche sulla parte relativa alla tassazione delle rendite finanziarie e alla proposta da loro avanzata di prevedere al riguardo un regime diverso.
STEFANO MICOSSI, Direttore generale di Assonime. Come sapete i dati disaggregati sulle entrate non sono resi disponibili dal Ministero dell'economia e delle finanze. La Sogei, che ha la disponibilità di questi dati che elabora per conto di tale ministero, non li pubblica. Noi non riusciamo a comprenderne il motivo, anche perché si tratta di dati di pubblico dominio e pertanto ci chiediamo se non sia il caso di far valere il principio di accesso all'informazione che, in questo modo, non viene rispettato.
tenuto conto che le imprese non formulano i piani di investimento settimanalmente ma per periodi più lunghi.
sistema in Germania si applica a partire da un'aliquota delle società (il 25 per cento) e si tassa presso il socio persona fisica, la cui aliquota è tipicamente superiore al 40 per cento. A noi sembra, quindi, che dal punto di vista dell'impostazione di fondo della riforma, che è quella di avere due sole aliquote sui redditi delle persone fisiche, nonché di attuare una grande semplificazione, questa aliquota aggiuntiva non si giustifichi.
IVAN VACCA, Vicedirettore generale di Assonime. Il sistema fiscale vigente sulle attività svolte all'estero consente la svalutazione delle partecipazioni, in presenza di perdite estere, sulla base dei risultati civilistici dei bilanci esteri. Si tratta, quindi, di un sistema molto favorevole alle imprese, dal momento che tiene conto delle diminuzioni patrimoniali conseguite all'estero sulla base di bilanci che contengono varie poste (quali i fondi svalutazione) di carattere aleatorio.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Assonime per il loro intervento e per la memoria di grande interesse che hanno lasciato agli atti della Commissione, che accrescerà certamente gli elementi conoscitivi a nostra disposizione
La seduta sospesa alle 11,50 è ripresa alle 12.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma del sistema fiscale statale, l'audizione di rappresentanti di Confindustria. Sono presenti il direttore generale, dottor Parisi, la dottoressa Giorgetti, direttore lobby e attività di legislazione, il dottor Colombo, direttore area impresa, il dottor Carotti, direttore nucleo fisco, finanza e diritto d'impresa, il dottor Dell'Erario, direttore della comunicazione, il dottor Tentella, responsabile rapporti parlamentari, ed altri collaboratori
STEFANO PARISI, Direttore generale di Confindustria. Ringrazio la Commissione per la possibilità che ci è stata concessa di esprimere le nostre valutazioni sul disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale. Consegneremo a breve un documento più dettagliato rispetto all'esposizione della mia relazione.
oggi il paese abbia di fronte un percorso di riforma nei campi che maggiormente incidono sulla competitività delle imprese (infrastrutture, pubblica amministrazione, educazione, ricerca, innovazione); tali riforme, probabilmente, produrranno i loro effetti nel medio periodo. Riteniamo urgente varare misure che alleggeriscano la pressione fiscale sul sistema delle imprese e riformino il mercato del lavoro ed il sistema previdenziale per creare al più presto possibile un clima di competitività, affinché le aziende italiane colgano la ripresa, che ci auguriamo si avvii tra il secondo semestre del 2000 ed il 2003.
degli obiettivi di semplificazione e di alleggerimento della pressione fiscale sul sistema delle imprese si tenga conto anche in sede di definizione dei decreti delegati.
per il sistema delle imprese, una partita cosiddetta a «saldo zero», dal punto di vista della contribuzione e della pressione fiscale, allora avremmo percorso una strada giusta sotto il profilo della semplificazione, ma non avremmo alleggerito veramente il peso fiscale che, per le imprese, rappresenta un'emergenza.
sostitutiva delle operazioni straordinarie, ancorché si potranno diversamente valutare i modi con cui questa debba essere utilizzata. Ciò perché riteniamo che il suo mantenimento sia compatibile con l'introduzione della cosiddetta partecipation exemption.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Parisi per la sua esposizione; attendiamo il testo della memoria che ci è stata promessa, che distribuiremo ai componenti della Commissione.
VINCENZO VISCO. Ho ascoltato con grande attenzione la relazione del dottor Parisi: devo dire che l'ho trovata molto imbarazzata, perché mi pare di capire che l'intenzione sia quella di conciliare un appoggio formale al provvedimento con la consapevolezza che se il disegno di legge delega rimarrà invariato le imprese italiane pagheranno una maggiore quantità di tasse. Il dottor Parisi ha esplicitato una serie di distinguo, di sottolineature, insistendo affinché la riforma vada a regime in modo complessivo ed evidenziando la necessità dell'abolizione dell'IRAP.
i grandi gruppi che hanno partecipate estere (esiste, ad esempio, un gruppo italiano che possiede circa 200 società holding in Olanda).
MAURIZIO LEO. Ringrazio il dottor Parisi anche per aver condiviso nella sostanza l'impostazione generale del disegno di legge delega, per essersi soffermato su alcuni aspetti salienti di essa che tendono a modernizzare il sistema di tassazione del
nostro paese e per aver evidenziato anche i notevoli passi avanti effettuati in tal senso.
STEFANO PARISI, Direttore generale di Confindustria. Non è opportuna; bisogna lasciarli come sono.
MAURIZIO LEO. Comunque, mi agganciavo a tale questione per svolgere un'altra considerazione; mi riferisco ad una semplificazione radicale, ad invarianza di gettito, della base imponibile. Poiché il meccanismo di calcolo del reddito di impresa è farraginoso e complesso e quindi di difficile decifrabilità da parte delle imprese, si potrebbe prevedere un criterio volto a razionalizzare i meccanismi - ormai superati - di deduzione delle auto aziendali, dei telefonini, e via dicendo; in tal senso, sarebbe opportuno inserire nel disegno di legge delega una norma volta a consentire la deduzione di tutte le auto aziendali, delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria e via dicendo, entro una data percentuale dei ricavi dichiarati, in modo da semplificare la vita alle imprese, ai contribuenti e anche alle amministrazioni finanziarie; lo stesso dicasi per quanto concerne i telefonini e per gli altri componenti del reddito di impresa.
NICOLA ROSSI. Poiché il vostro obiettivo è quello di una tassazione delle imprese intorno al 33 per cento circa, in un'ottica quindi di riduzione dell'attuale pressione fiscale, vorrei capire come tale obiettivo si concili con l'invarianza dei saldi a livello di settori istituzionali, prevista nel disegno di legge delega. Vorrei sapere se avete in mente la possibilità che vengano tagliate, anche pesantemente, tutte le varie forme di contributi alle imprese.
ROBERTO PINZA. Tralascio di rivolgere la prima domanda che avrei voluto porre, in quanto uguale a quella appena posta dall'onorevole Nicola Rossi. Vorrei, invece, soffermarmi sulla questione relativa ai tempi. Mi sembra che il dottor Parisi abbia espresso delle preoccupazioni relativamente ai tempi incerti dell'attuazione della riforma, così come sulla necessità che alcuni tipi di intervento siano coevi rispetto ad altri, per evitare sfasature.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi per i loro interventi.
LAURA MARIA PENNACCHI. Allora perché presentare una legge delega ora?
PRESIDENTE. Forse ciò può dar luogo al rilievo che faceva l'onorevole Visco ed altri.
ROBERTO PINZA. Mi scusi, presidente, ma nella prima parte è dichiarato quanto costa la riforma, mentre per la seconda, un conto ragionevole si può sempre fare.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Parisi per la replica agli interventi svolti.
(Così rimane stabilito).
Ringrazio gli intervenuti e do subito la parola al direttore generale di Assonime, dottor Stefano Micossi.
Tra gli obiettivi della legge delega, appaiono apprezzabili in particolare: la codificazione di principi generali dell'obbligazione tributaria e del rapporto tra il contribuente e l'amministrazione, tanto più efficace quanto più tali principi verranno concretamente incorporati nei testi unici dei tributi; la drastica semplificazione del sistema dei tributi, delle aliquote e delle basi imponibili, in linea con i sistemi fiscali dei paesi più moderni e competitivi; l'introduzione di istituti di diffusa applicazione negli ordinamenti europei, primo fra tutti il consolidato degli imponibili delle società appartenenti al medesimo gruppo; il sistema di detassazione dei contributi a iniziative di valore culturale e sociale, attraverso l'esenzione dall'IVA di una quota dei consumi liberamente destinata a tali fini.
Notevole rilievo assumono i criteri indicati per la revisione del sistema delle sanzioni tributarie amministrative e penali. Per le sanzioni tributarie amministrative, la responsabilità viene ricondotta sul «soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione», cioè la società. Cade il principio di personalità che, nel sistema in vigore, aveva spostato la responsabilità per le violazioni dal soggetto dell'obbligazione tributaria in senso proprio, la società, agli amministratori e agli altri collaboratori d'impresa. Volendo colpire anche questi soggetti e nel contempo commisurare la sanzione all'imposta evasa, tale sistema può determinare sanzioni pecuniarie sproporzionate rispetto alla capacità patrimoniale dei soggetti coinvolti; a ciò si è rimediato facendo di
Condivisibile nelle sue linee generali è anche il sistema di tassazione previsto per i redditi finanziari, con l'omogeneità di trattamento di tutti i rendimenti, senza più distinzioni tra interessi e variazioni di valore, e la tassazione secca alla fonte al momento del realizzo (cosiddetto criterio «di cassa»). L'eccezione prevista rispetto al regime di prelievo sostitutivo alla fonte per i dividendi e i guadagni di capitale sulle partecipazioni azionarie «qualificate» introduce un elemento di progressività nell'imposizione di redditi personali e può incoraggiare il mantenimento degli utili presso le società; tuttavia, essa non sembra coerente con gli obiettivi generali di semplicità e neutralità della riforma.
Degno di particolare apprezzamento appare anche il trattamento riservato al risparmio previdenziale; esso prevede la deduzione, in misura da definire, dei versamenti ai fondi pensionistici, l'esenzione dei frutti del capitale nella fase dell'accumulazione e l'imposizione della rendita con aliquota di favore (il cosiddetto sistema EET). Il principale aspetto positivo è l'introduzione di un sistema generale di favore fiscale per il risparmio pensionistico, indipendentemente dal tipo di reddito e di strumento previdenziale. Ciò è giustificato dall'interesse pubblico ad incoraggiare gli individui ad accumulare con i propri risparmi fondi sufficienti per sopperire alle proprie esigenze dopo la fine del lavoro attivo. Il sistema si presta anche, per la sua semplicità, ad integrarsi bene con i regimi previdenziali esistenti negli altri paesi dell'Unione europea.
Le modifiche al regime di imposizione delle società costituiscono l'aspetto più direttamente rilevante per la determinazione degli effetti sul sistema produttivo, gli investimenti e la competitività. Notiamo appena che discutiamo per la seconda volta nell'arco di un quinquennio di riforme radicali nel sistema dell'imposizione; i mutamenti di cui oggi si discute potrebbero dare al nostro ordinamento un assetto stabile, anche alla luce delle tendenze in atto a livello dell'Unione europea che privilegiano l'imposizione dei redditi di impresa laddove essi si producono e la tassazione consolidata dei gruppi transnazionali.
Il primo profilo di intervento della riforma per le società riguarda le aliquote e prevede l'eliminazione del sistema duale di tassazione (Dual income tax, DIT) e il ritorno ad una aliquota unica, indicata nella misura del 33 per cento. Contestualmente, è prevista la «graduale soppressione» dell'IRAP senza indicazione, peraltro, del sentiero temporale di attuazione e del coordinamento con l'introduzione della nuova aliquota unica. L'eliminazione della DIT e dell'IRAP investe, naturalmente, anche altre categorie di contribuenti (imprese individuali, società di persone e professionisti); ci occupiamo in questa sede solo degli effetti sulle società.
La DIT incentiva la capitalizzazione delle imprese, attraverso il trattamento agevolato del rendimento «normale» del capitale di rischio. Lo scopo è di ridurre lo svantaggio fiscale di tale forma di finanziamento rispetto all'indebitamento, produttivo di interessi passivi deducibili dal reddito di impresa. La DIT favorisce principalmente i soggetti con tecnologie che richiedono elevata intensità di investimento; meno gli start-up e le imprese che fanno scarso ricorso a capitali sia di rischio sia di debito. L'IRAP penalizza direttamente l'indebitamento, assoggettando al prelievo gli oneri finanziari. Inoltre,
Il nuovo sistema riproduce un modello di imposizione più tradizionale e diffuso, che non interviene rispetto alle forme del finanziamento, la natura dell'investimento e il tipo di attività; prevede, tuttavia, un freno all'indebitamento nei confronti dei soci, analogamente ai sistemi esteri, essenzialmente per finalità anti-elusive; lascia al mercato la valutazione dei rapporti di leverage. Gli effetti economici, peraltro, andranno valutati prima di tutto con riguardo all'incidenza effettiva delle imposte sugli utili. Su questo punto la proposta di legge lascia notevoli margini di incertezza.
Per effetto congiunto della DIT e dei provvedimenti di rivalutazione dei cespiti di impresa, l'incidenza effettiva dell'imposta sugli utili è discesa per molte imprese al di sotto del 33 per cento; molte altre peraltro restano ancora al di sopra. L'aliquota media effettiva sulle società di capitali può essere stimata per il 2001 (forse avremmo dovuto dire per il 1999) tra il 34 e il 35 per cento. Pertanto, l'aliquota del 33 per cento complessivamente dovrebbe essere leggermente al di sotto dell'aliquota media effettiva attuale dell'IRPEG ed anche in linea con quella dei maggiori paesi concorrenti, anche se resta più elevata rispetto ad alcuni regimi particolarmente favorevoli alle imprese come quello dell'Irlanda e del Regno Unito. Tuttavia, la transizione al nuovo regime (questo è soprattutto il potenziale svantaggio) può costituire un elemento di penalizzazione rilevante per molte imprese che contavano sugli effetti della DIT per continuare ad abbassare l'aliquota effettiva di imposizione.
Elemento decisivo nel determinare i livelli futuri di imposizione delle società di capitali è costituito dalla sorte dell'IRAP; se non si può eliminarla, la riduzione degli oneri di imposta sulle società ai livelli dei paesi concorrenti non potrà verificarsi. Al riguardo, la norma ne prospetta «la graduale eliminazione...con la prioritaria esclusione dalla base imponibile del costo del lavoro» (articolo 8) e la compensazione della perdita di gettito risultante per le regioni con trasferimenti dal bilancio dello Stato o compartecipazioni a tributi erariali a loro vantaggio (articolo 9). I tempi di realizzazione determineranno l'evoluzione degli oneri effettivi di imposta sulle diverse società; la natura delle compensazioni disposte a favore delle regioni potrà anche influenzarne l'esito finale.
Date le difficoltà di bilancio di molte regioni, un importante punto interrogativo riguarda, infatti, l'incidenza sulle società di eventuali tributi locali di nuova istituzione e di addizionali regionali sui tributi erariali. Queste incertezze sottolineano l'importanza della clausola posta nell'articolo 9 del disegno di legge delega, la cosiddetta «clausola di salvaguardia» a favore del contribuente, la quale prevede che «apposita normativa transitoria escluderà inasprimenti fiscali, rispetto ai regimi fiscali garantiti dalla legislazione pregressa», evidentemente con riguardo alla posizione di ciascun singolo contribuente.
Il secondo profilo di intervento (il primo è rappresentato dalle aliquote) in tema di imposizione delle società attiene alla determinazione dell'imponibile. Le modifiche principali riguardano: l'esclusione da imposizione dei dividendi azionari, sia esteri sia nazionali, e la conseguente eliminazione dell'istituto del credito di imposta; l'applicazione di un regime di irrilevanza fiscale delle plusvalenze e minusvalenze delle partecipazioni (purché queste siano stabili); l'introduzione, su base opzionale, del consolidato fiscale di gruppo sia all'interno, sia attraverso i confini.
Per i dividendi azionari, l'attuale sistema di tassazione per imputazione ai soci, con il riconoscimento del credito per le imposte pagate dalla società partecipata, non è molto gradito dalle istituzioni europee, in considerazione del fatto che esso si applica solo ai dividendi provenienti da società nazionali e agli azionisti residenti.
L'uniformazione del regime di tassazione dei dividendi nazionali ed esteri perfeziona anche l'eliminazione della doppia tassazione economica dell'utile - una volta al momento della sua produzione presso l'impresa partecipata e una seconda volta in sede di distribuzione ai soci - e rimuove le differenze di trattamento dei dividendi di provenienza estera. È importante coordinare questo nuovo sistema con l'introduzione del consolidato di gruppo: essendo strettamente connesse, le due modifiche devono essere introdotte contemporaneamente.
Un breve commento merita il trattamento dei dividendi e delle plusvalenze sulle partecipazioni cosiddette qualificate in capo alle persone fisiche. In analogia all'ordinamento tedesco, tali redditi verrebbero sottoposti a parziale tassazione (parziale attraverso la riduzione della base imponibile costituita da questi dividendi e variazioni di valore) senza riconoscimento di crediti di imposta (per le imposte pagate dalla società), con l'aliquota dei redditi personali, dunque presumibilmente il 33 per cento, cioè la più elevata. Nel contesto della riforma tale aliquota coincide con quella dell'imposta sulle società; nel sistema tedesco, invece, l'aliquota sulle persone è sostanzialmente più elevata dell'aliquota sulle società, perché è pari al 47,25 per cento. Nel sistema tedesco dunque c'è una ragione per assoggettare ad ulteriore tassazione i soci; ci chiediamo se questa ipotesi di tassazione in capo ai soci persone fisiche invece nel nostro sistema non debba semplicemente essere eliminata, perché incoerente con la logica interna della riforma.
Quanto all'esclusione dalla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle partecipazioni, essa è prevista in altri ordinamenti a motivo della sostanziale identità dei guadagni derivanti dalla cessione delle partecipazioni con l'andamento del valore attuale scontato dei dividendi e degli utili presenti e futuri sulle partecipazioni stesse.
La detassazione delle plusvalenze implica l'indeducibilità delle minusvalenze (sia da realizzo sia da valutazione). In effetti, la svalutazione delle azioni è risultata finora una misura molto efficace nel consentire alle imprese di consolidare le perdite delle società partecipate.
Pertanto la sua eliminazione anche in questo caso deve essere attentamente coordinata sul piano temporale con l'introduzione della tassazione di gruppo; nella fase transitoria vi è il rischio di penalizzare chi aveva compiuto rilevanti acquisizioni, contando sul precedente sistema.
Vanno anche attentamente valutate le conseguenze che potranno derivare dal trattamento fiscale divergente delle partecipazioni stabili rispetto alle altre partecipazioni finanziarie, nonché tra le prime (le partecipazioni stabili) e il capitale fisico (rami di azienda), la cui cessione continuerebbe invece a produrre, secondo il disegno riformatore, plusvalenze e minusvalenze fiscalmente rilevanti.
Il consolidato di gruppo, nella sua duplice forma di consolidato nazionale e transnazionale, costituisce l'aspetto fondamentale della riforma. Poiché si intende tassare gli utili laddove essi si formano e si ignorano fiscalmente le variazioni di valore delle partecipazioni, il consolidato completa il sistema rendendo possibile compensare all'interno dei gruppi i risultati (fiscalmente rilevanti) positivi con quelli negativi (si tratta di un consolidato di imponibili).
Quanto al consolidato nazionale, il modello proposto è assai flessibile, nel duplice senso di riconoscere alle società partecipate la libertà di scegliere se consolidare o meno i propri risultati fiscali con quelli della società partecipante e alla società capogruppo di optare per il consolidamento soltanto di alcune, e non di tutte, le partecipate.
Andrebbero chiariti a questo riguardo alcuni aspetti di fondo del rapporto tributario, quali i profili di responsabilità delle società che partecipano alla compensazione degli imponibili per eventuali infedeltà delle dichiarazioni. Il consolidato transnazionale consente alle imprese residenti di compensare il proprio imponibile con eventuali perdite conseguite dalle partecipate
In conclusione la riforma fiscale delineata nella legge delega proposta dal Governo è orientata al raggiungimento di obiettivi di grande importanza per lo sviluppo economico e la competitività del nostro paese: in primo luogo, l'alleggerimento della pressione fiscale, la neutralità e la semplificazione del sistema tributario. L'alleggerimento del carico fiscale deve poter avvenire nel pieno rispetto dei parametri europei in materia di finanza pubblica.
Mentre non compete ad Assonime di effettuare valutazioni riguardo alle compatibilità macroeconomiche e alle politiche della spesa pubblica, ci sembra opportuno sottolineare l'importanza che gli obiettivi della riforma trovino riscontro e sostegno nella coerente evoluzione dei conti pubblici, all'interno di un quadro definito attraverso il Dpef e le leggi annuali di bilancio.
Assume al riguardo particolare rilievo l'articolo 9 della legge delega, laddove si prevede che dagli interventi attuativi non possono derivare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e, qualora questa condizione non sia soddisfatta, che il ministro dell'economia e delle finanze, dopo averne dato notizia al Parlamento, assume le conseguenti iniziative, predisponendo un apposito decreto che, variando opportunamente le aliquote per singola imposta, corregga l'andamento del gettito per ripristinare la situazione di invarianza.
Questa impostazione solleva qualche dubbio poiché l'assenza di precisi riferimenti temporali - in particolare di una scadenza - sembra implicare una delega al Governo per la determinazione del livello di equilibrio delle aliquote, potenzialmente in contrasto con i principi costituzionali di riserva di legge in questa materia. Vi ringrazio per l'attenzione.
Vorrei inoltre avere maggiori ragguagli sull'affermazione per cui nel periodo di transizione il nuovo regime può costituire un elemento di penalizzazione per molte imprese che contavano sugli effetti della DIT. Si tratta di un tema sul quale, nel corso delle audizioni, anche da parte delle autorità scientifiche che abbiamo ascoltato sono state sollevate preoccupazioni: l'Assonime ha condotto un'analisi più approfondita?
In terzo luogo vorrei esporre alcune riflessioni riguardo un problema delicato. Domani ascolteremo i rappresentanti delle autonomie locali, ma credo che la delega sia datata, non tenga conto delle modifiche costituzionali intervenute e che l'entità delle modifiche che vengono annunciate si presti a grossi rischi; temo che ad una diminuzione dell'imposizione fiscale a livello centrale si accompagni una imposizione fiscale a livello locale. I rappresentanti dell'ABI hanno proposto esempi riguardo all'IRAP, sottolineando che la regione
Il recente contratto del pubblico impiego, che da ex sindacalista ho valutato positivamente, solleva grandi problemi, considerati i vincoli di spesa delle regioni e dei comuni; una parte del contratto del pubblico impiego si riferisce al personale del settore sanitario e a quello degli enti locali, ponendo questioni delicate che riguardano l'aspetto fiscale e quello locale. Come funziona questo meccanismo? Il fatto che si agisca trasformando le detrazioni in deduzioni causa serie incertezze perché si interviene in maniera disomogenea (penso che le deduzioni saranno maggiori nell'Italia centro-meridionale, considerate le caratteristiche che sono state annunciate); la nuova IRE finirà per avere un montante minore rispetto a quello dell'IRPEF.
Vorrei sapere, inoltre, se l'Assonime ha eseguito valutazioni riguardo la graduale eliminazione dell'IRAP, al di là degli effetti di carattere costituzionale.
La legge delega dovrà essere meglio precisata e possiamo ipotizzare un percorso graduale che comprenda l'esclusione dalla base imponibile dei contributi sociali, di tutto il costo del lavoro, fino alla soppressione totale dell'imposta. Sono ipotesi che pongono interrogativi di carattere distributivo. Voglio ricordare che il minore gettito oscilla tra gli 8000 miliardi della prima soluzione, i 35 mila miliardi della seconda e gli oltre 50 mila della terza. È evidente, come riportato nella memoria dell'associazione, che sotto il profilo degli effetti redistributivi i vantaggi saranno fortissimi per gli operatori che utilizzano intensamente il fattore lavoro.
All'articolo 9, comma 4, della legge delega si afferma che la progressiva riduzione dell'IRAP sarà compensata, di intesa con le regioni, da trasferimenti e compartecipazioni: ciò significa che o si avrà un aumento di spesa pubblica (tramite trasferimenti), o si provvederà ad aumentare la quota dell'IVA o quella dell'IRE destinata alla sanità. Noto che in questo modo si contraddicono le previsioni del Documento di programmazione economico-finanziaria, che indicava l'ipotesi di sostituire l'IRAP con l'IRPEG; in questo caso si sarebbe avuto il raddoppio dell'aliquota per le società di capitali mentre si sarebbe prodotto uno sgravio secco per i lavoratori autonomi ed i professionisti, che concorrono oggi al gettito dell'IRAP per 15 mila miliardi. Credo sarebbe utile conoscere le ulteriori riflessioni (se sono state compiute) dell'Assonime, per approfondire questo aspetto, al di là delle considerazioni di carattere generale.
Vorrei sottolineare in particolare due aspetti; rilevo che l'Assonime apprezza l'impianto generale del provvedimento ed esprime valutazioni positive sulla disciplina del consolidato. Riguardo a ciò, mi sembra di capire che si ritiene opportuno (come già emerso nel corso di altre audizioni) integrare la disciplina normativa con una serie di regole connesse all'accertamento ed ai controlli.
Qualora si operi una compensazione tra il risultato finale dell'impresa controllante e il risultato finale negativo dell'impresa controllata, a chi si devono imputare le conseguenze connesse alla determinazione di questo risultato finale? Alla società capogruppo oppure la responsabilità è, e resta, delle singole società controllate? In ordine a questo aspetto mi sembra di capire, dalla vostra relazione, che suggeriate di intervenire con norme più puntuali in modo tale da evitare possibili difficoltà.
Apprezzo molto il vostro punto di vista in tema di consolidato transnazionale; in particolare, ritenete opportuno che di esso si tenga conto ai fini della determinazione del risultato finale di gruppo, però senza riprodurre il risultato finale dell'impresa partecipata estera utilizzando i criteri vigenti in Italia, ma travasandolo tel quel.
Desidererei anche conoscere il vostro punto di vista sulla possibilità di adottare il meccanismo - già contenuto nel disegno di legge delega - previsto per le controlled foreign companies anche per le società collegate estere, prevedendo che tali società possano assumere come risultato da importare in Italia il minore tra l'utile di bilancio al lordo delle imposte e il reddito che deriva dall'applicazione di determinati coefficienti su certi parametri patrimoniali. Voi pensate che sia possibile adottare questo meccanismo, che sicuramente non rappresenterà la perfezione, ma che può essere comunque di ausilio alle imprese?
I dati a cui ci riferiamo sono stime per il 2001 effettuate dall'Agenzia delle entrate e riferite alla relazione tecnica all'articolo 4 della legge finanziaria per il 2001. Questi dati stimano che la quota imponibile ad aliquota ordinaria sia pari per le società a 161.600 miliardi di lire, e che la quota di imponibile ad aliquota agevolata sia pari a 13.500 miliardi di lire (queste stime tengono conto del nuovo moltiplicatore pari a 1,2 del capitale della DIT). Dalla base imponibile così stimata deriva per lo Stato un gettito IRPEG pari a 60.700 miliardi di lire, di cui 58.170 dalla base imponibile ad aliquota ordinaria e 2.565 dalla base imponibile ad aliquota agevolata al 19 per cento, oltre a 40 miliardi relativi ad altre cose di poco conto; l'aliquota media effettiva stimata che consegue da queste cifre è pari a 34,61 per cento. Al fine di avere un ulteriore riscontro con una fonte più recente di dati abbiamo preso in considerazione la relazione tecnica alla legge Tremonti-bis, in cui si stima un recupero di gettito nel 2001, attribuibile al congelamento della DIT, pari a circa 3 mila e 300 miliardi di lire; sulla base di questo dato si stima che la quota di imponibile agevolato per il 2001 sia di circa 16 mila e 500 miliardi di lire, da cui deriva un'aliquota media effettiva, un po' diversa dalla precedente, pari al 34,4 per cento. Queste cifre coincidono con nostre stime elaborate sulla base di un campione di qualche decina di migliaia di società di capitali del quale, quando saremo un po' più sicuri, ci proponiamo di pubblicare anche i dati disaggregati. Queste acrobazie contabili non sarebbero necessarie se la Sogei pubblicasse i dati di cui dispone i quali sono, per così dire, celati dal 1995 in poi, determinando una situazione assolutamente anomala, soprattutto perché tutti abbiamo interesse a valutare gli oneri effettivi ricadenti sulle società.
Il professor Penati ha pubblicato sue stime elaborate sul campione Mediobanca da cui risulta, per le grandi società, un'aliquota media pari al 29,9 per cento; temo che questa volta il professor Penati abbia preso un abbaglio perché ha effettuato il calcolo inserendovi anche le società in perdita, per cui le sue stime sono basate su una premessa erronea.
Per quanto ci riguarda, facciamo riferimento a nostre stime che potrebbero non essere proprio esatte; pertanto, potrebbe anche essere che l'aliquota media effettiva sia più bassa. Comunque, l'aspetto essenziale è che il meccanismo della DIT aveva creato un'aspettativa e, probabilmente, piani di investimento che tenevano conto dei criteri della Dual income tax che prevedevano un calo graduale dell'aliquota al di sotto del 30 per cento; è di questa perdita di benefici che parliamo quando facciamo riferimento ad una perdita presumibile,
Con riferimento al titolo V della Costituzione, più che fornire lumi mi piacerebbe riceverli, in quanto in questo momento non sappiamo come valutare questa modifica radicale dell'ordinamento costituzionale. Notiamo però che l'IRAP, anche se il suo gettito è destinato alle regioni, è un'imposta statale e dunque sul piano dei principi formali rientra legittimamente in questa legge delega. Sul piano, invece, sostanziale già da diverso tempo atti del Governo centrale cambiano gli equilibri finanziari delle autonomie locali. In proposito, ricordo le forti polemiche sorte in occasione della firma, nella scorsa legislatura, di alcuni contratti per il personale della sanità, che scaricavano oneri sulle regioni, nel momento stesso in cui si diceva che le regioni stavano superando i loro limiti di bilancio.
Il problema, pertanto, si riproduce allo stesso modo: trattandosi, infatti, di una fonte di entrata pari a circa 55 mila miliardi, il cui utilizzo è di pertinenza delle regioni, bisognerà valutare in modo adeguato le forme di copertura conseguenti alla eliminazione, anche se graduale, di tale imposta.
Ciò che ci preoccupa è la scomposizione dell'unitarietà dell'ordinamento tributario, cioè la possibilità che leggi fiscali possano essere emanate a diversi livelli di governo in modo non coordinato. La situazione di bilancio delle regioni ci fa temere che non solo il sistema possa scomporsi in una molteplicità di aliquote e di imposte (a seconda che si tratti di addizionali su tributi erariali o di tributi locali), ma che tali oneri varino da regione a regione e che ciò che si è alleggerito da una parte ricompaia, ma in modo non uniforme, da un'altra. Questa è oggi la preoccupazione principale per il sistema imprenditoriale.
Non disponiamo, invece, di valutazioni precise degli oneri distributivi, del problema cioè degli effetti sul Mezzogiorno delle detrazioni e delle deduzioni; al riguardo, quindi, non posso al momento dare una risposta. Ciò per quanto riguarda le domande poste dall'onorevole Benvenuto.
Con riferimento alle osservazioni formulate invece dall'onorevole Leo, posso dire che la strada da lui indicata è la stessa alla quale anche noi pensavamo, anche se poi non forniamo, nel testo della nostra relazione depositato agli atti della Commissione, una soluzione precisa.
Sul consolidato, altri giuristi auditi da questa Commissione hanno indicato, tra gli altri, un possibile principio di corresponsabilità per le dichiarazioni della società e l'esigenza di norme più incisive che disciplinino l'intero rapporto tra il contribuente e la società. Riteniamo comunque che la questione in oggetto, sulla quale in questo momento non possiamo aggiungere moltissimo, deve essere certamente posta.
Inoltre, non abbiamo suggerito che nel consolidato tradizionale si possa assumere la dichiarazione estera così com'è; effettivamente pensavamo a qualche tipo di correzione semplificata e, per esempio, quella adottata a suo tempo nel regime delle controlled foreign companies può essere un utile soluzione.
Sulle rendite finanziarie, la nostra posizione è semplice. È stata attuata nel disegno di legge delega un'analogia con la riforma tedesca per i dividendi e le variazioni di valore delle partecipazioni qualificate, quando questi benefici vengono trasferiti al socio persona fisica. In sostanza si prende questo imponibile e lo si divide per una proporzione da stabilire - che in Germania è pari al 50 per cento - e poi si aggiunge ciò che rimane al reddito personale del socio, tassandolo quindi con l'aliquota (presumibilmente la più elevata) dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.
Riteniamo che tale approccio possa produrre due effetti desiderabili: in primo luogo, rafforza un elemento di progressività rispetto ai possibili possessori di grandi patrimoni; in secondo luogo, incoraggia a trattenere gli utili presso le imprese, anziché distribuirli all'esterno. L'elemento che invece, a nostro avviso, dovrebbe essere riconsiderato è che tale
La nostra opinione, pertanto, è che se si punta ad un disegno coerente di semplificazione, essa non dovrebbe essere mantenuta.
L'innovazione prevista dalla riforma andrebbe invece nel senso di un restringimento di tale possibilità, in quanto quando si valutano le attività all'estero si dovrà tener conto non solo delle imprese che perdono, ma anche di quelle che producono utili.
Sarebbe, pertanto, opportuno che i bilanci esteri venissero assunti con poche limitate semplificazioni, cioè con poche limitate variazioni fiscali; altrimenti, il principio di consolidare le perdite sarebbe lettera morta.
Questa semplificazione dei bilanci esteri potrebbe esser effettuata probabilmente assumendoli nella loro entità, qualora siano opportunamente certificati e riducendo le variazioni fiscali al minimo.
In linea più generale, vorrei dire che un sistema che razionalizza le basi imponibili e le amplia deve necessariamente passare per aliquote impositive europee, che si collochino cioè nella media europea. Quindi, il problema vero sarà quello di coordinare una razionalizzazione che identifichi basi imponibili forse anche più ampie con aliquote nominali necessariamente molto più basse di quelle attuali.
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo brevemente la seduta.
Do immediatamente la parola al dottor Parisi per l'esposizione della relazione.
Pongo innanzitutto una premessa di ordine economico: riteniamo che sia molto importante avviare un processo di riforma che favorisca la semplificazione e l'alleggerimento della pressione fiscale sul sistema delle imprese. Si tratta di un passaggio importante perché riteniamo che
Il disegno di legge delega che oggi analizziamo possiede un quadro di riferimento di norme e di strumenti che dovranno essere implementati nel corso della legislatura. Riteniamo che il sistema delle imprese costituisca una priorità non, ovviamente, nella logica degli interessi specifici del settore che rappresentiamo, ma nell'interesse generale del paese: anticipare misure di alleggerimento fiscale sul sistema delle imprese consentirà al paese di riprendere più velocemente la strada dello sviluppo e costituisce una delle condizioni fondamentali per raggiungere l'obiettivo italiano ed europeo, fissato a Lisbona, dell'accrescimento del tasso di occupazione.
Riteniamo importante sottolineare ciò, anche alla luce di una discussione che si è svolta nella sede della VI Commissione riguardo alla tassazione di impresa, in occasione dell'audizione del ministro Tremonti; comprendiamo la giusta attenzione che le forze politiche prestano alla sensibilità sociale del paese, ma mi sembra che contrapporre l'aliquota IRPEG sugli utili di impresa all'aliquota IRPEF sulle famiglie e sulle persone abbia provocato una sorta di rincorsa nel tentativo di dimostrare la maggiore sensibilità politica rispetto alla deduzione fiscale sulle famiglie. Sono stati usati alcuni argomenti, anche da parte del Governo, e si è affermato che l'aliquota sulle imprese è una aliquota sui ricchi: il problema è di tipo diverso, perché la pressione fiscale sulle imprese riguarda le attività produttive e dunque alleggerirla è interesse comune, e non rende più ricca una parte del paese a svantaggio dell'altra. Non è raffrontabile il livello di pressione fiscale sull'attività produttiva con quello che grava sulle famiglie: è interesse di tutti anticipare il più possibile l'alleggerimento fiscale sulle imprese, in quanto esse producono sviluppo ed occupazione (in caso contrario, otterremo un sistema molto indebolito dal punto di vista economico); tale alleggerimento fiscale renderà più competitivo il paese.
Il disegno di legge delega persegue gli obiettivi di semplificazione ed omogeneizzazione del nostro sistema fiscale con quello degli altri paesi europei.
I tempi con cui la riforma viene implementata costituiscono un fattore importante, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello del quadro di certezze complessivo che deve essere garantito. Gli effetti annuncio che possono essere provocati da queste riforme potrebbero bloccare le decisioni degli imprenditori, in attesa che muti il quadro della normativa fiscale di riferimento. Tali incertezze sono dannose per il paese e, dunque, la tempestività con la quale la norma viene implementata, soprattutto riguardo ai decreti delegati, riteniamo costituisca un fatto non secondario per raggiungere il successo della riforma stessa.
Tanto più ciò è vero se si tiene conto che a questa sono legate altre due importanti norme - quella relativa all'emersione del sommerso e quella concernente il cosiddetto scudo fiscale - rispetto alle quali il comportamento degli operatori, specie per la prima, è molto legato al quadro fiscale a cui essi verranno sottoposti quando saranno a regime.
Per esprimere una valutazione approfondita e completa sul disegno di legge di riforma del sistema fiscale italiano occorre una maggiore specificazione di alcune disposizioni in esso contenute e bisogna attendere i provvedimenti di attuazione della legge delega; molte sono le variabili che si trovano all'interno di questo disegno di legge di riforma che possono indurre a far modificare il giudizio complessivo. Pertanto, riteniamo molto importante che
L'impianto complessivo della riforma - in particolare la definizione di una nuova base impositiva e la riduzione della pressione fiscale - è largamente condivisibile; nello specifico sono condivisibili l'introduzione del principio della tassazione di gruppo, le previsioni in materia di IRAP e di sanzioni tributarie amministrative, le limitazioni all'intervento penale ai soli casi di frodi e di effettivo danno all'erario, le misure di semplificazione e la riduzione del numero dei tributi. Però, all'interno di questo impianto di riforma del sistema fiscale, vi sono una serie di questioni che vanno meglio specificate e sulle quali mi soffermerò in estrema sintesi, avendo cura comunque di lasciare alla Commissione un documento.
La prima questione riguarda la riduzione effettiva del prelievo fiscale sul sistema delle imprese; più volte Confindustria ha denunciato il maggior peso medio della pressione fiscale gravante sul sistema delle imprese italiane rispetto a quanto avviene negli altri paesi, non solo europei, con cui ci si trova a competere; in particolare, oggi registriamo un'aliquota IRPEG che si è andata via via riducendo ed un forte peso dell'IRAP. L'ipotesi di riduzione al 33 per cento dell'aliquota IRPEG, senza un chiarimento in ordine ai tempi e alle modalità con le quali si dovrà giungere ad una riduzione e poi ad un'eliminazione complessiva dell'IRAP, rischia di spiazzare il sistema delle imprese in quanto un'aliquota IRPEG del 33 per cento, qualora fosse lasciato immutato il livello dell'IRAP, costituirebbe per molte imprese un peggioramento del livello di imposizione fiscale. Dopo l'adozione del sistema previsto dalla DIT, più volte da noi criticato per il suo carattere dirigista e soprattutto per la sua diversa incidenza all'interno del sistema delle aziende, molte imprese si trovano già al disotto dell'aliquota del 33 per cento. Conseguentemente chiediamo innanzitutto che quanto previsto dal disegno di legge delega sul non peggioramento delle condizioni di coloro che sono in situazione di miglior favore rispetto a quanto previsto dalla riforma vada inteso nel senso che l'impresa che si trovi già ora con un'aliquota inferiore al 33 per cento debba permanere a quel livello; inoltre, se veramente si vuole rendere competitivo il nostro sistema delle imprese occorre che la pressione fiscale gravante su di esso, in termini di IRPEG e di IRAP, si ponga al di sotto del 33-35 per cento; altrimenti ci troveremo in una situazione di non competitività delle nostre imprese rispetto a quelle degli altri paesi europei.
Nella relazione del Governo al disegno di legge di riforma all'aliquota IRPEG viene sommata l'aliquota del 4,25 per cento relativa all'IRAP; noi riteniamo che il calcolo non possa essere effettuato in questo modo perché l'IRAP incide in modo diverso sul reddito in quanto tiene conto della capacità di reddito dell'impresa. Inoltre, poiché dai nostri calcoli risulta un'incidenza media dell'IRAP sulla redditività dell'impresa molto più elevata (intorno al 10 per cento), se si avesse un'aliquota IRPEG al 33 per cento e senza IRAP, avremmo condizioni di effettiva competitività del sistema fiscale delle imprese italiane rispetto agli altri paesi europei. Se così non fosse rischieremmo di registrare, per alcune imprese, situazioni di peggioramento rispetto a quelle attuali. Dico questo anche alla luce di quanto contenuto nella relazione del Governo al disegno di legge in questione, in cui si prevede esplicitamente di finanziare la riduzione dell'IRPEG e l'eliminazione dell'IRAP attraverso la revisione della base imponibile verso standard europei. Noi riteniamo che per rendere effettivamente competitivo il nostro sistema delle imprese occorrano, sul fronte della finanza pubblica, quei tagli alla spesa, ad iniziare dalla riforma previdenziale, che consentano il finanziamento di questa riforma fiscale; la quale, a sua volta, dia spazio alla crescita economica del paese, all'emersione del sommerso e crei una base imponibile tale da permettere, nel corso della legislatura, di finanziare i futuri step di questa importante riforma. Ma se dovesse registrarsi,
Riteniamo che questo sia un argomento importante da chiarire, in modo che effettivamente si arrivi, nel giro di poco tempo, ad avere una pressione fiscale sulle imprese che, complessivamente, si collochi intorno al 33 per cento.
Per quanto riguarda l'IRAP, siamo ovviamente favorevoli alla sua soppressione nonché al fatto che tale soppressione inizi con l'eliminazione della componente lavoro dalla sua base imponibile. Ovviamente, ci chiediamo quali siano le logiche di finanziamento di questo alleggerimento dell'IRAP; ci preoccupiamo, infatti, che la compensazione dell'IRAP non avvenga attraverso un appesantimento di altre imposte, in particolare quelle regionali e locali. Anche se la legge lo esclude, non esplicitamente ma implicitamente, nel senso che fa richiamo a trasferimenti e a compensazioni e non ad addizionali (come invece sembrava prevedersi nella versione iniziale del testo), tuttavia vorremmo, sotto tale profilo, una maggior certezza, perché il problema dell'elevata pressione tributaria non si risolverebbe, se poi le imprese fossero raggiunte da appesantimenti di imposizione su altri fronti.
Per quanto riguarda l'ampliamento della base imponibile, pur essendo d'accordo sui meccanismi per la sua individuazione, siamo però preoccupati che possano esservi modifiche alla disciplina degli ammortamenti, sia anticipati sia ordinari. Poiché tale ipotesi era stata inizialmente ventilata, ci teniamo a ribadire in questa sede la nostra posizione ed anzi pensiamo sia utile che nel testo ci sia addirittura un'esplicita precisazione sul fatto che non dovranno intervenire modifiche alla disciplina degli ammortamenti.
Per quanto riguarda la disciplina sull'indeducibilità degli interessi passivi, pensiamo che il provvedimento sia coerente con la logica di revisione della base imponibile. Vorremmo, però, che fosse esplicitata l'idea di non perseguire l'azienda che si indebita, essendo quella dell'indebitamento una logica sana nella misura in cui quest'ultimo è fisiologico; pertanto, la non deducibilità non deve minimamente penalizzare le imprese che usano tale strada per crescere.
La nostra preoccupazione fondamentale è che l'indeterminatezza con la quale è fissata tale misura di indeducibilità rischia di causare una forte penalizzazione per il sistema delle imprese.
Considerando inoltre che, qualora dovesse andare in porto la previsione della riforma previdenziale in materia di TFR (vale a dire la necessità che il TFR sia trasferito ai fondi pensione), si creerà tensione per le piccole e medie imprese sul fronte dell'indebitamento, dobbiamo allora evitare che questo peggioramento del contesto economico nel quale le piccole e medie imprese si troveranno ad operare possa accentuarsi.
Quindi la nostra posizione è non tanto di contrarietà assoluta a tale misura, quanto di richiedere una maggiore chiarezza nei presupposti della applicazione della delega.
Altra nostra preoccupazione riguarda la soppressione del regime di imposizione sostitutiva al 19 per cento delle operazioni straordinarie. Questa è stata a suo tempo una lunga battaglia di Confindustria, giunta in porto positivamente e invitiamo la Commissione a riflettere sull'abolizione di uno strumento che ha consentito l'accelerazione di operazioni straordinarie di ristrutturazione per il sistema delle imprese.
L'eliminazione in discorso appare infatti connessa all'introduzione del regime della cosiddetta partecipation exemption, che giudichiamo positivamente in linea con la logica della riforma e quindi con la logica della nuova base impositiva. Tuttavia, per produrre benefici, richiede strumenti societari che non tutte le imprese possono utilizzare, in particolar modo quelle piccole e medie. La nostra richiesta, pertanto, è di mantenere l'imposizione
Mi sembra peraltro che un'attenuazione di queste distorsioni sia già stata introdotta dalla recente legge finanziaria, laddove si richiede il mantenimento della partecipazione per tre anni prima di poter accedere alle misure di ammortamento.
Per quanto riguarda la fiscalità locale, pur essendo questa effettivamente la direzione verso cui il paese sta andando, riteniamo possa sussistere il rischio di un aumento del carico fiscale per le imprese (già oggi, ad esempio, sappiamo che in molte regioni italiane, a partire dall'entrata in vigore della legge finanziaria 2002, tale carico è aumentato). È opportuno che il Governo mantenga una fortissima inclinazione verso la riduzione della spesa pubblica, nonché verso l'alleggerimento del peso dell'apparato pubblico, anche nella fase di trasferimento delle competenze alle regioni.
Inoltre, sempre in materia di fiscalità locale, occorrerà fare in modo che gli adempimenti burocratici formali a carico del contribuente siano alleggeriti. Riteniamo importanti questi aspetti e pensiamo che debbano trovare spazio non soltanto nella legge delega, bensì anche nei decreti delegati.
Con riferimento al regime dei dividendi e delle plusvalenze per le persone fisiche, invitiamo la Commissione a riflettere sulla divergenza nel trattamento tra partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate; divergenza che ci lascia non poco perplessi. Non si capisce infatti per quale motivo una partecipazione qualificata - che probabilmente in una media impresa vuol dire anche partecipazione dello stesso imprenditore che, lavorando nell'azienda, svolge una parte attiva nell'accrescere il valore dell'azienda stessa e la sua redditività - debba subire un'imposizione diversa rispetto a quella più favorevole prevista per le partecipazioni non qualificate.
Riteniamo che tale questione vada affrontata, creando un livello di omogeneità tra i due tipi di partecipazione. Consideriamo favorevolmente quanto è previsto in materia di fondi pensione anche se, per essere più precisi, sarebbe utile non tanto definire le condizioni di maggior favore (che già esistono oggi in Italia per i fondi pensione) ma attuare una effettiva condizione di maggior favore, come abbiamo già chiesto al tavolo per la riforma pensionistica; mi sembra che il Governo abbia condiviso ciò in più occasioni, ma è necessario attivarlo, sia in termini di deducibilità dei contributi ai fondi pensione che di riduzione della pressione di aliquota sui rendimenti dei fondi stessi. Crediamo importante sostituire la frase generica «di maggior favore» con indirizzi più specifici, specie in una fase in cui si vuole dare attuazione ai fondi pensione attraverso l'utilizzo del TFR.
Sottolineo una vecchia richiesta di Confindustria: la compensazione tra imposte. Riteniamo sia molto importante elevare il tetto della compensazione tra crediti e debiti delle imposte e che ciò costituisca uno strumento di civiltà giuridica, al fine di creare un buon rapporto tra la pubblica amministrazione ed il sistema delle imprese. La legge delega potrebbe costituire una occasione positiva per avviare tale misura.
Vediamo con molto favore la tonnage tax: riteniamo corretta la logica e la cultura sottesa a tale tassa (più spirito europeo e maggiore semplificazione per favorire la competitività delle imprese italiane).
In materia di IVA, siamo favorevoli alla direzione perseguita dalla riforma, nella logica delle riduzione delle forme di indetraibilità e della distorsione della base imponibile e di coordinamento della disciplina IVA con quella delle accise. Riteniamo auspicabile che vengano inseriti alcuni criteri ad hoc per la definizione di aliquote IVA, ancora non armonizzate con quanto previsto a livello comunitario.
Si tratta di casi specifici per i quali, se i componenti della Commissione lo ritengono necessario, potremo fornire indicazioni più specifiche.
Siamo, ovviamente, favorevoli a quanto previsto dalla norma sull'imposta sui servizi e sulle accise.
In conclusione, riteniamo che esista un problema di coordinamento che riguarda alcune misure presenti nella riforma, sia in materia di IRPEG ed IRAP sia in materia di base imponibile (in modo particolare il regime di holding, di tassazione delle plusvalenze).
Consideriamo molto importante che le norme entrino in vigore contemporaneamente giacché se fossero previsti tempi diversificati, potrebbero prodursi forti svantaggi per il sistema delle imprese. Se, a causa di vari motivi di ordine finanziario, alcune misure non potessero essere praticabili, sarà importante coordinarle con le altre, in maniera particolare quelle che riguardano la base imponibile.
Ribadisco con insistenza il fatto che l'anticipazione di qualunque misura di alleggerimento fiscale per il sistema delle imprese costituisce una priorità, che non produce esclusivi vantaggi per gli imprenditori, ma favorisce la competitività delle imprese italiane al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo ed occupazione.
Passiamo alle domande e alle richieste di chiarimento.
In molte audizioni è stato segnalato (anche da parte dei rappresentanti del mondo dell'impresa) che nel disegno di legge sono presenti eccessi di delega, scarsa specificazione dei criteri, violazione dell'articolo 23 della Costituzione; molti hanno denunciato il problema dell'assenza di copertura. È facile parlare della riduzione delle tasse, ma ho l'impressione che Confindustria, negli ultimi tempi, sia diventata meno sensibile a questi problemi (riguardo, ad esempio, alla delega previdenziale). Chiedo l'opinione del dottor Parisi in proposito.
Egli si è dichiarato d'accordo sul fatto che l'IRAP venga eliminata in primo luogo sul costo del lavoro; ciò mi sembra molto generoso da parte di Confindustria, che dovrebbe essere interessata alla quota parte di reddito pagato dalle imprese, che riguarda, ovviamente, i profitti. Questo è in contrasto, però, con l'idea di abbassare la tassazione sui profitti al 33 per cento: infatti, a quel 33 per cento si sommerebbe la percentuale del 4,25 per cento sui profitti, mentre scenderebbe l'imposta sui salari.
Nel disegno di legge delega è stabilito in modo molto chiaro che la tassazione sul sistema delle imprese dovrà rimanere invariata; il sistema istituzionale deve farsi carico del totale del gettito necessario. Se si realizza, leggendo attentamente il testo proposto dal Governo, che la riduzione degli ammortamenti può, nel nostro ordinamento, avvenire attraverso il decreto ministeriale e che le norme sulla thin capitalization, se applicate modo coerente, possono essere molto incisive, non nasce il dubbio ai rappresentanti di Confindustria che le imprese italiane di media e piccola dimensione saranno veramente penalizzate? Abbiamo ascoltato le preoccupazioni di Confapi: chi non ha interesse a promuovere holding in Lussemburgo ed in Olanda e, invece, vuole rimanere in Italia, come la maggior parte le imprese italiane, non è particolarmente coinvolto e interessato alle proposte in esame, che riguardano
Non so se il dottor Parisi si è reso conto di aver chiesto che la DIT venga mantenuta per le imprese che l'hanno utilizzata: la norma contenuta nella legge delega vale solo per il periodo transitorio. Ciò penalizzerà le nuove imprese e quelle del Mezzogiorno. Pertanto, desidererei sapere dai nostri ospiti se hanno valutato questa eventualità oppure no. Viene chiesto anche il mantenimento della tassazione agevolata in caso di plusvalenze diverse da quelle realizzate all'interno del gruppo; si tratta di una richiesta comprensibile ma, tenuto conto della logica - tipica dei paradisi fiscali europei - che segue la proposta del Governo, è tecnicamente errata. Quello che si doveva chiedere, al fine di essere coerenti fino in fondo con tale logica, era l'esenzione di qualsivoglia plusvalenza realizzata anche al di fuori del gruppo, oltre alla indeducibilità delle minusvalenze.
Un'altra questione sulla quale mi voglio soffermare riguarda la pressante richiesta di evitare che a livello regionale aumentino le tasse, visto che esse si riducono a livello statale; penso che ciò sia inevitabile, anzi, dirò di più: se si riduce l'IRAP ad iniziare dal costo del lavoro, sarà automatico che vengano introdotti i contributi sanitari a livello regionale. Questo nessuno lo può impedire anche perché è consentito dalla Costituzione nella parte recentemente modificata; pertanto, se si sopprime un'imposta regionale ad ampia base imponibile, ad ampio gettito, è evidente che questa sarà compensata in qualche modo; ed è abbastanza illusorio pensare che questo possa avvenire tramite dei trasferimenti dal centro anche perché soldi non c'è ne sono e, conseguentemente, si porrebbe un problema di copertura. Quindi, o non si fa, oppure da qualche parte i fondi occorre acquisirli.
In tema di gruppi societari mi preme evidenziare che la nozione di gruppo contenuta in questo disegno di legge delega comprende soltanto i cosiddetti gruppi «stellari» ed esclude il controllo indiretto; ciò, insieme alla prevista indeducibilità degli interessi passivi, può comportare per alcuni gruppi italiani, quelli più indebitati, penalizzazioni fortissime perché si aboliscono le norme relative alle svalutazioni e quelle relative alle plusvalenze tassate al 19 per cento e, nello stesso tempo, si esclude per tali gruppi la compensazione. Si tratta quindi di una scelta sulla quale si può discutere, ma che presenta conseguenze rilevanti.
Desidero chiedere ai nostri ospiti se giudichino il regime previsto dal disegno di legge delega per il consolidato estero un po' anomalo e troppo favorevole rispetto a quello previsto dagli altri paesi; in altre parole, questo sistema di tassazione secondo voi ha a che vedere con modalità di tassazione tipiche di paesi evoluti oppure desta qualche preoccupazione?
Infine, quello che si era cercato di fare negli anni passati, d'accordo con Confindustria, (la DIT divenne, ad un certo punto, anche una proposta di Confindustria) era di avviare un sistema di tassazione molto più semplice di quello che oggi viene proposto, dove non c'era la necessità di norme di thin capitalization per il semplice motivo che alla fine la tassazione sugli interessi e quella sui profitti erano uguali. Allora, non vi sembra che sia questo il vero obiettivo da perseguire? Ogni norma sull'indeducibilità degli interessi è, per sua natura, arbitraria; ad esempio, se si fissasse una soglia di indeducibilità dell'1,5 (come quella prevista in Germania) si creerebbe una situazione piuttosto gravosa, se invece tale soglia fosse pari a 3, tutti sarebbero contenti, anche se in questo caso la norma non servirebbe. Si finirebbe però per allargare la forbice tra il costo del capitale di debito e quello del capitale di rischio, che è stata una delle caratteristiche negative del nostro sistema negli ultimi 20- 30 anni.
Intendo richiamare l'attenzione del dottor Parisi su alcune questioni. La prima: secondo il rappresentante di Confindustria sarebbe opportuna una rivisitazione del sistema degli ammortamenti accelerati e anticipati.
Per quanto concerne poi la questione delle ristrutturazioni, si sostiene che sarebbe opportuno mantenere ancora in vita questo meccanismo.
Vorrei far presente, al riguardo, che forse solo una delle tipologie previste da tale meccanismo andrebbe mantenuta, cioè la cessione d'azienda, perché non rientra nel novero delle fattispecie direttamente o indirettamente interessate dai meccanismi di esenzione delle partecipazioni, dai meccanismi cioè di non tassazione delle plusvalenze da cessione di partecipazione. Se si tratta, infatti, di cessione di una partecipazione di controllo o di collegamento vi è la cosiddetta partecipation exemption, che elimina il problema alla radice, quindi tassazione in quel caso non dovrebbe esservi. Laddove poi si trasferiscono aziende utilizzando lo strumento del conferimento neutrale, tale strumento non viene assolutamente toccato dalla norma.
Vengono invece meno meccanismi che per qualche verso erano anche elusivi; mi riferisco ai meccanismi di utilizzo del disavanzo da fusione, sia da annullamento che da concambio, laddove il cedente la partecipazione aveva pagato l'imposta sul capital gain oppure il plusvalore aveva concorso alla determinazione del reddito d'impresa. Poiché oggi non si paga più (tranne l'ipotesi del capital gain al 12,50 per cento), mi sembra abbia un senso eliminare tale meccanismo. Ciò anche perché in passato vi erano degli squilibri, in quanto si tassava al 19 per cento (quindi con un'imposta sostitutiva ridotta) e poi si svalutava al 36 per cento. D'altronde, in un'ottica di coerenza del sistema, se da una parte la svalutazione non è deducibile, dall'altra le plusvalenze non vengono tassate.
Infine, si dice che è opportuno elevare il tetto per la compensazione. È una richiesta giustissima e forse in questo contesto la legge delega dovrebbe dire qualcosa in più a proposito di riforma della riscossione. Abbiamo infatti un meccanismo di riscossione delle imposte che attualmente è molto frammentato, con norme disorganiche tra loro. Vi è il decreto legislativo n. 46 del 1999 che disciplina la riscossione a mezzo ruolo, mentre l'istituto della riscossione spontanea è disciplinato in un altro decreto legislativo e, ancora, in materia di riscossione delle imposte sui redditi, vi è il decreto del presidente Repubblica n. 602 del 1973: una situazione quindi molto confusa. È bene dunque effettuare un intervento razionale sulla riscossione delle imposte ed in tale contesto elevare il tetto per le compensazioni.
Al riguardo, la vera questione è che qui non è stabilito nessun tempo, nel senso che l'unica previsione temporale in questo disegno di legge delega è che entro due anni dovranno essere emanati dal Governo i decreti delegati. In realtà non sappiamo nulla dei tempi di realizzazione di questa riforma e per il mondo imprenditoriale non poter in alcun modo contare su una previsione futura rappresenta senz'altro una delle situazioni peggiori.
Vorrei chiedere pertanto al dottor Parisi - poiché siamo ancora in fase di discussione - se, a suo avviso, sarebbe preferibile un'impostazione che, al contrario, avendo chiaro il risultato finale, indicasse i tempi intermedi già dalla legge delega.
In definitiva, quest'ultima è congegnata in modo tale da prevedere che quando vi saranno le risorse sarà attuata. Ma questa non può essere un'ipotesi di un Governo o di un Parlamento, ma solo l'oggetto di una chiacchierata tra due persone; un Governo ed un Parlamento devono fare delle previsioni e sulla base di quelle articolare una proposta.
Pertanto vi chiedo se non sarebbe meglio, a vostro avviso, una modificazione dell'articolo 9 dell'attuale testo del disegno di legge delega, per avere così una diluizione nel tempo degli interventi di riforma.
Inoltre, poiché a mio avviso tale riforma vale circa 4 o 5 punti percentuali di PIL, chiedo se il vostro ufficio studi abbia effettuato una previsione di compatibilità con lo sviluppo economico del paese per i prossimi tre o quattro anni. Poiché la relazione introduttiva della legge delega si fonda sulla teoria della supply side e dato che avete l'abitudine di effettuare previsioni econometriche molto rigorose, vorrei sapere se vi siate posti il problema ed eventualmente con quali risultati.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti per la replica, vorrei far osservare all'onorevole Pinza che la legge delega non è basata sull'idea che la riduzione del prelievo fiscale generi un ampliamento della base economica del paese, una maggiore capacità produttiva e quindi un riequilibrio del bilancio. Mi pare invece vi siano delle norme specifiche che dicono - come lei stesso del resto ha riconosciuto nella prima parte del suo intervento - che si farà la riforma quando si avranno i mezzi.
Ad ogni modo, non mi sembra vi sia nel testo della legge delega un'ipotesi di supply side, che si basa su un aumento del disavanzo compensato dopo qualche tempo dall'espansione della capacità contributiva. Mi sembra che la legge delega preveda che la riforma sarà fatta se vi saranno le risorse. Si potrebbe forse discutere se una legge delega possa essere costruita in questa maniera, ma si tratta comunque di un problema diverso da quello sollevato nella seconda obiezione dell'onorevole Pinza.
Per parlare in modo concreto: il ministro Tremonti dichiara che la riforma dell'IRPEG costerà 40-45 mila miliardi, mentre l'IRAP sappiamo quanto vale e così via. Sulla base di ciò, ritengo che alla fine dovrebbe emergere un quadro complessivo in base al quale il Governo ci potrebbe dire come intende far fronte alla copertura finanziaria della riforma.