Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 9,10.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del ministro delle politiche agricole e forestali, Giovanni Alemanno, sulla riforma dell'OCM zucchero e sulle conseguenze per il settore bieticolo saccarifero nazionale.
Ricordo che la presente audizione ha per oggetto i temi già affrontati nell'audizione di mercoledì scorso, nella quale il ministro si è impegnato ad informare la Commissione sugli sviluppi concernenti la ristrutturazione e la riconversione del settore bieticolo saccarifero nazionale.
La riunione odierna verte soprattutto sull'incontro che si è svolto al «parlamentino» del Ministero nella giornata di lunedì scorso, il cui esito purtroppo, per tanti parlamentari presenti anche in questa Commissione, è stato una sorta di doccia gelata, per il progetto presentato dal mondo industriale per il mantenimento dell'apertura solo di alcuni impianti.
Nella scorsa audizione, signor ministro, lei ha detto che avrebbe tentato di far differire di un anno l'applicazione del progetto, per cercare di mantenere aperto anche uno stabilimento, che invece, stando ai fatti odierni, risulta essere, nelle determinazioni del mondo industriale, tra quelli da chiudere.
Vorremmo conoscere dalla sua voce l'esito dell'incontro di lunedì scorso e, soprattutto, vorremmo essere informati sul tema della defiscalizzazione per i carburanti da ottenere dalle produzioni di origine vegetale e sul progetto di riconversione che deve essere accompagnato alla defiscalizzazione, senza il quale, questi stabilimenti rischiano di non potersi riconvertire.
Do la parola al ministro Giovanni Alemanno, per avere le ultime informazioni su questa situazione sicuramente complicata per il nostro mondo agricolo.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Signor presidente, colleghi, venerdì scorso abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti di ogni gruppo industriale del settore saccarifero. Li abbiamo incontrati separatamente, in maniera tale che ciascuno potesse riferire con chiarezza le rispettive posizioni. In seguito a questi incontri, sostanzialmente si sono sciolte le ultime riserve - ne rimane ancora una, che poi spiegherò - rispetto agli impianti che verranno chiusi o rimarranno aperti.
Sottolineo che, nell'ambito dei limiti posti dalla riforma, la scelta di quali stabilimenti mantenere a produzione di zucchero e quali riconvertire ricade sulle imprese. Sono le imprese che scelgono
(nell'ambito, grosso modo, del 50 per cento della produzione da loro detenuta) quali sono gli impianti che ritengono più produttivi e più competitivi.
Da questo punto di vista - lo dico molto sinceramente -, sia il Governo, sia le regioni, sia la politica in generale, devono prestare attenzione a non interferire troppo. Un'eventuale forzatura, che dovesse in qualche modo portare a privilegiare uno stabilimento meno competitivo rispetto ad uno più competitivo, potrebbe determinare la conseguenza di una chiusura, fra due o tre anni, in assenza dei fondi di ristrutturazione.
Vengo a quello che ci hanno riferito i rappresentanti delle varie realtà imprenditoriali che abbiamo incontrato. Cominciamo dalla situazione più semplice, ma nel contempo più complicata, quella relativa allo stabilimento di Termoli. La regione Molise, in quanto azionista di maggioranza dello stabilimento, ha dichiarato di non voler chiudere lo stabilimento per la produzione dello zucchero, bensì di voler procedere ad una ristrutturazione già finanziata con un contratto di programma ed inoltre di voler acquistare sul mercato 15-20 mila tonnellate di produzione, per portare lo stabilimento, dalle attuali 85 mila tonnellate di produzione a 100-110 mila tonnellate.
Da parte della regione, è molto forte la convinzione che sia possibile mantenere competitivo questo stabilimento, con una serie di interventi, di carattere sia agricolo sia industriale. Questa posizione è fortemente sostenuta anche dalla regione Puglia. In sostanza, questo è il primo elemento da cui si parte.
Per quanto riguarda il gruppo SADAM, esso manterrà in funzione gli stabilimenti di Jesi (nelle Marche) e di San Quirico (in Emilia-Romagna), mentre riconvertirà tutte le altre produzioni. Queste le ipotesi, che enumero velocemente: a Russi, in Emilia-Romagna, è prevista la produzione di elettricità da biomasse e la coltivazione in coltura protetta; a Fermo, elettricità da biomasse e coltivazione in coltura protetta; a Castiglion Fiorentino, elettricità da biomasse; a Celano, agricoltura, serre e ortofrutta; a Villasor, elettricità da biomasse e coltivazione in coltura protetta.
Il gruppo SFIR manterrà in funzione un solo stabilimento, in Emilia-Romagna, a Pontelagoscuro o a San Pietro in Casale. L'industria preferisce la seconda ipotesi, ritenendo lo stabilimento più facilmente ristrutturabile, mentre la regione Emilia-Romagna preme per la sede di Pontelagoscuro, in maniera tale da mantenere una produzione più spostata sulla Romagna. Abbiamo invitato la SFIR e la regione Emilia-Romagna a confrontarsi tra loro, per decidere definitivamente quale debba essere la sede, in modo da comunicarcela il più rapidamente possibile.
La SFIR trasformerà la propria produzione nel modo seguente. Lo stabilimento dell'Emilia-Romagna che sarà chiuso produrrà bioetanolo ed elettricità da biomasse; lo stabilimento di Foggia-Incoronata, invece, dovrebbe essere dedicato alla raffinazione e all'energia da biomasse.
Sulla questione della raffinazione è in corso una discussione abbastanza spinosa, che sta dividendo le regioni del sud e quelle del nord. Nel maxiemendamento, che dovrebbe essere approvato oggi al Senato, abbiamo ritenuto di inserire una preferenza per le regioni dell'Obiettivo 1, per quanto riguarda la quota di 100 mila tonnellate di raffinazione.
Si è accesa una forte polemica su questo punto e noi abbiamo sottolineato che, nell'ambito di una OCM comunque largamente sbilanciata al nord, sia giusto, per quanto riguarda la raffinazione dello zucchero di canna, che sostanzialmente avviene fuori dalle aree di produzione della barbabietola da zucchero, prevedere una preferenza per il sud.
In questa fase, la SFIR sarebbe in pole position da questo punto di vista, fermo restando che dovrà essere bandita una gara ad evidenza pubblica, per compiere questo tipo di scelta. Non essendo infatti pensabile spezzettare queste 100 mila tonnellate tra più stabilimenti, si deve fare in modo che vi sia un unico stabilimento;
ovviamente, tutti i gruppi industriali in riconversione potranno partecipare a questa evidenza pubblica.
Arriviamo adesso all'aspetto più problematico, quello relativo al gruppo Coprob-Italia zuccheri. Esso mantiene due stabilimenti, quello di Minerbio e quello di Pontelongo. Quella di Pontelongo era la scelta più scontata, in quanto, come sapete, l'area del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia è quella che presenta la produttività più alta, in termini di produzione saccarifera.
Rimane il problema di Casei Gerola, il terzo stabilimento che si sperava e si pensava che il gruppo potesse tenere aperto. Dopo una verifica molto approfondita, e nonostante esistesse un margine in tal senso - perché tutto sommato, anche la SFIR ha mostrato la disponibilità, se adeguatamente incentivata, a chiudere anche l'ultimo stabilimento che rimaneva, concentrandosi così soltanto sulla raffinazione -, il gruppo Coprob-Italia zuccheri ha affermato di non ritenere sostenibile la presenza di tre stabilimenti in futuro ed ha chiarito di potersi concentrare su due stabilimenti molto grandi, da 142 mila tonnellate ciascuno, in maniera da creare una forte economia di scala.
Oggi la Coprob-Italia zuccheri, in maniera molto netta, anche a fronte di una fortissima pressione delle regioni Piemonte e Lombardia, ha ribadito la sua impossibilità a mantenere in piedi lo stabilimento di Casei Gerola.
Le produzioni esistenti nei vari stabilimenti sono le seguenti: a Finale Emilia, energia elettrica da biomasse; a Ostellato, energia elettrica da biomasse; a Porto Viro, bioetanolo. Per Casei Gerola, ovviamente, si sta aspettando di poter fare un discorso diverso. Chiude, invece, lo stabilimento di Bondeno, i cui lavoratori saranno assorbiti dagli stabilimenti esistenti nelle vicinanze. Questo è il quadro complessivo della situazione.
Rilevo che si è determinata quasi una corsa a chiudere. Al di là del mantenimento dello stabilimento di Termoli nel Molise - che renderebbe corta la coperta per il nord -, devo dire che SFIR e Coprob-Italia zuccheri hanno esercitato un freno rispetto a chi voleva chiudere o l'unico stabilimento rimasto o il terzo stabilimento. Dico questo con riferimento alla possibilità di creare una filiera competitiva per il futuro.
Tenete presente che, nel frattempo, si è tenuto un incontro dell'Interprofessione, che avrebbe indicato come dividere i famosi 11 euro di aiuti di Stato: 4 ai bieticoltori e 7 all'industria. Questo taglio di margine spiegherebbe il cambio di atteggiamento del gruppo Coprob-Italia zuccheri, che prima sembrava motivato a mantenere i tre stabilimenti, ed ora ritiene che non vi sia, fatti i calcoli, lo spazio per il terzo stabilimento.
Abbiamo convocato nuovamente, per oggi alle 14,30, i rappresentanti di Interprofessione, per verificare meglio l'accordo interprofessionale, che viene contestato da una parte del mondo agricolo, in particolare per quanto riguarda la gestione del riporto (non credo, invece, per quanto riguarda la divisione dell'aiuto di Stato), ma anche per gestire l'equilibrio della transizione fra agricoltura e industria.
Oggi pomeriggio, quindi, speriamo di pervenire ad una chiarificazione della situazione, che permetta di firmare l'accordo e di dare una base alla gestione della transizione.
Per il resto, definita la situazione più urgente degli stabilimenti che producono lo zucchero, ovviamente l'Interprofessione dovrà ridefinire le aree di produzione e metterle in condizione di fare le semine e i contratti di semina.
Detto ciò, aggiungo che è stato convocato un incontro, presso il Ministero del welfare, con il mondo sindacale e industriale, per la gestione degli esuberi. Saranno presenti anche le associazioni bieticole, in quanto i bieticoltori hanno la necessità di ridimensionare i propri organici, considerata la riduzione dei loro compiti. L'incontro tenderà a raggiungere un accordo sugli ammortizzatori speciali per fronteggiare la situazione.
Abbiamo chiesto all'ISA di concludere il lavoro preliminare e, quindi, di presentare il progetto complessivo di riconversione
e ristrutturazione dell'intera filiera, entro una decina di giorni e non oltre. Tale lavoro sarà inviato a tutte le realtà della filiera e anche, ovviamente, alle Commissioni parlamentari, per un esame.
Ci si augura che, questo permetta di stipulare il più rapidamente possibile gli accordi con il mondo sindacale per la gestione degli esuberi, per l'attivazione degli ammortizzatori speciali e per avviare i processi di riconversione. La scadenza è fissata per il 12 marzo, in quanto le imprese sono obbligate a presentare un progetto dettagliato, per quanto riguarda le ipotesi di riconversione, entro due mesi dall'emanazione del decreto. Se il progetto sarà ritenuto valido e compatibile, verrà dato il via libera per acquisire i finanziamenti del Fondo di riconversione.
Il ragionamento specifico, impianto per impianto, si affronterà dopo l'11 marzo, tenendo presente che, in base agli emendamenti presentati al Senato e proposti alla Conferenza Stato-regioni, le scelte di riconversione dovranno essere approvate dal ministero, d'intesa con le regioni in cui si trova il sito produttivo. Questo è il quadro della situazione.
Ovviamente sussistono molte tensioni ed anche un grande disagio, a livello territoriale, rispetto agli impianti che dovranno essere riconvertiti. Da questo punto di vista, bisognerà compiere il massimo sforzo per cercare di dare certezze e punti di riferimento. A tale proposito, riveste una grande importanza l'approvazione del maxiemendamento al decreto oggi all'esame del Senato. Ribadisco che la norma che abbiamo definito, rispetto all'obbligo di miscelazioni connesse ad accordi di filiera, è garante della possibilità di creare un mercato relativo ai biocarburanti. Se il maxiemendamento sarà votato, il provvedimento sarà trasmesso alla Camera dei deputati, dove potrà essere rapidamente approvato. A parte le misure sulla previdenza agricola, il maxiemendamento contiene sia le norme relative ai biocarburanti, sia quelle relative al finanziamento della realtà produttiva dello zucchero.
Mi permetto di fare un'ultima sottolineatura, sempre a proposito dei biocarburanti. Si è posta particolare attenzione al discorso delle accise, ma non è quello il cuore del discorso. Il problema è legato non alle accise, ma all'esistenza di biocarburanti di produzione agricola nazionale. Pertanto, è molto importante l'obbligo di miscelazione ed è importante che esso sia definito da accordi di filiera di produzione nazionale, perché questo è ciò che determina la necessità di creare una produzione di biocarburanti.
A nostro avviso, il problema è che, inserito questo obbligo di miscelazione (con una crescita dell'1 per cento per ciascuno dei cinque anni), il sistema agricolo nazionale farà fatica a produrre la materia prima necessaria per poter rispettare l'accordo. La difficoltà reale riguarda non la produzione, ma i consumatori, che avranno un leggerissimo incremento (0,07 per cento) del costo della benzina e del diesel. Sostanzialmente, quindi, si tratta di un incremento sopportabile, che ci permette di aprire il mercato su questo versante.
Quando sarà possibile intervenire ulteriormente sulle accise, questo avrà come effetto un abbassamento dei costi a valle, ma non avrà conseguenze sostanziali dal punto di vista della produzione interna. Questo è il quadro, entro il quale stiamo operando.
Credo che, entro la fine della prossima settimana, potrò inviare alla Commissione il testo del progetto di riconversione e di ristrutturazione.
È naturale che, nei luoghi in cui gli stabilimenti verranno chiusi o riconvertiti (lo si può verificare questa mattina leggendo la rassegna stampa dei vari giornali locali) vi siano dei forti malumori; allo stesso modo, è chiaro che si tende a fare il gioco politico di scaricare sul ministero queste scelte. A mio avviso, è però altrettanto evidente - questo è emerso con chiarezza anche al tavolo di filiera - che la produzione di zucchero sostenibile in Italia si attesta sul 50 per cento.
Senza la riforma, si sarebbe avuto come risultato che gli stabilimenti avrebbero
chiuso ugualmente, senza però alcun fondo di ristrutturazione e di riconversione.
PRESIDENTE. Grazie, signor ministro. Do ora la parola ai colleghi che intendano formulare domande o chiedere ulteriori precisazioni.
LINO RAVA. Intervengo brevemente, partendo dall'ultimo richiamo del ministro, che non può assolutamente essere condiviso. Non esiste alcuna volontà politica di scaricare sul ministero le responsabilità: le responsabilità sono oggettivamente del ministero. Questa audizione, signor ministro, dimostra infatti la gravità dell'accordo che è stato sottoscritto. Questo non lo diciamo noi, lo dicono i numeri.
Quello che lei ci ha ripetuto questa mattina chiarisce i termini dell'accordo, che lei ha sottoscritto, e che non è passato nemmeno attraverso una valutazione delle Commissioni parlamentari, quindi della politica. Si tratta di una responsabilità che lei si è assunto e che oggi sta producendo i guai che stiamo vedendo. Siamo infatti di fronte a un settore che viene messo in ginocchio.
A ciò si somma un ritardo enorme per quanto riguarda il piano di utilizzo delle bioenergie. Signor ministro, lei oggi viene a dirci che il problema non è quello delle accise, bensì che si deve prevedere l'obbligo delle miscelazioni, ma lei ha anche dovuto riconoscere che la conseguenza negativa ricade sui consumatori, non sullo Stato; circostanza, questa, già di per sé discutibile. Se ripercorriamo la storia di quello che è avvenuto, dalla finanziaria del 2001 ad oggi, è facilmente comprensibile quello che intendiamo dire. Ma dirò di più: il Governo ha assunto la decisione di dimezzare le percentuali dell'utilizzo delle bioenergie rispetto all'autotrazione (dal 2 all'1 per cento) e dell'obiettivo (dal 5,25 al 2,5 per cento).
Insomma, c'è qualcosa che stride nel suo discorso signor ministro! E non possiamo essere noi ad assumerci questa responsabilità: deve farlo il Governo, che ha preso queste decisioni.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro per le politiche agricole e forestali. Me l'assumo io, ma mi chiedo perché dobbiamo continuare ad importare olio di palma!
LINO RAVA. Non è questo che ci interessa. Però creare le condizioni perché vi siano le convenienze ad utilizzare la bioenergia, significa assumere una responsabilità. Riconosca, quindi, ministro, i ritardi e gli errori di valutazione che sono stati commessi e cerchiamo di recuperare il tempo perduto. È evidente però che ciò comporta delle scelte anche in questa fase.
Ed è qui che si dimostra la debolezza della politica. Visto che il Governo si è assunto la responsabilità di sottoscrivere un accordo, e considerato che quell'accordo ha una ricaduta su tutto il comparto produttivo, lei oggi non può venirci a dire che il Governo non può incidere più di tanto sulle scelte delle industrie. Questo lei non può dirlo perché ha sottoscritto l'accordo e quindi si è assunto una responsabilità. Ebbene, questa responsabilità credo che oggi lei debba giocarla, indirizzando le scelte delle industrie, gestendo i criteri di assegnazione dei fondi di riconversione ed utilizzando tutte le armi della politica; mi riferisco non solo alle norme, ma anche alle armi del confronto e della cooperazione. Non credo infatti che le industrie possano permettersi di non considerare la situazione reale.
Per quanto riguarda Casei Gerola, stiamo parlando di 17 mila ettari di coltivazione di barbabietola da zucchero. Cosa ne facciamo? C'è qualche idea in proposito? Se ai produttori e ai lavoratori di quella realtà non diciamo che esiste qualche idea di riconversione, credo che si determinerà un problema gravissimo.
Signor ministro, ho apprezzato il suo intervento nella scorsa audizione, quando ha svolto anche una valutazione di merito delle questioni. Ricordiamo bene che ha parlato di una questione di qualità e di quantità di produzione. Abbiamo condiviso, altresì, la necessità di compiere, in una fase transitoria, un sacrificio da parte di tutti, per tentare di ottenere un risultato il più possibile compatibile con la situazione
che si è venuta creare negli stabilimenti di Termoli, Casei Gerla e Pontelagoscuro.
Oggi, però, ci rendiamo conto che lei non ha avuto la forza di portare avanti, di fronte alle industrie, la posizione da lei espressa in quell'occasione, e che noi abbiamo condiviso; credo che questo sia un elemento di debolezza che ci nuoce.
È vero che dobbiamo procedere in direzione dell'obbligo di miscelazione, ma è altrettanto vero che dobbiamo attuare l'operazione sulle accise, per non scaricarle eccessivamente sui consumatori. Dobbiamo inoltre utilizzare l'arma dei fondi di riconversione, per creare il più possibile la convenienza, ma anche per un'assunzione piena di responsabilità da parte delle industrie. Dobbiamo, infine, affrontare seriamente il problema di come riconvertire gli stabilimenti e di quali prospettive dare ai produttori.
MARIA CELESTE NARDINI. Credo che a monte di tutta questa vicenda vi sia la riforma della PAC. Forse è tardi per approfondire questo argomento, che, a mio avviso, è quello di fondo. Da questo punto di vista, non credo che i Governi abbiano svolto la loro parte fino in fondo. Nella riforma della PAC, infatti, si possono ritrovare i nodi di una situazione che ci rimanda direttamente al nostro paese.
La domanda è: cosa facciamo, oggi, di questa agricoltura? Perché è di tutta evidenza che si stanno determinando grossissime difficoltà, ora in un settore, ora in un altro. Arriveremo al punto che non sapremo quali soluzioni assumere per tutto il mondo agricolo e per il livello industriale ad esso collegato.
Abbiamo quindi bisogno di idee forti. Se ci muoviamo a rimorchio delle difficoltà, non riusciremo a capire cosa rappresenti l'agricoltura per il nostro paese e quale sia la nostra vocazione.
Signor ministro, sappiamo che in Italia vi sono 19 aziende che operano in questo campo; in questi giorni, abbiamo parlato di sei o sette aziende da salvare e da trasformare. Onestamente, non riesco a capire che fine faranno le altre. Si sta dunque determinando un ulteriore danno per il nostro settore agricolo ed industriale.
Oltre a questo, ritengo che vi sia un grosso problema legato alle risorse economiche. Per quel tipo di riconversione, infatti, non credo che siano sufficienti le risorse che vengono dal patto, quindi dall'Europa. A mio parere, per accompagnare un piano di riconversione di questo tipo, avremmo avuto bisogno di risorse maggiori.
Le chiedo, signor ministro, se da questo punto di vista abbiamo un'idea, se sia previsto uno sforzo del Governo per accompagnare il piano. Vorrei sapere, inoltre, se esista un piano complessivo, industriale ed agricolo, del quale possiamo conoscere preventivamente i costi. Tra un anno, infatti, potremmo trovarci di fronte agli stessi problemi e gli stabilimenti che oggi salviamo potrebbero trovarsi nelle stesse difficoltà degli altri.
SAURO SEDIOLI. Signor ministro, per brevità parto dalla questione più urgente, quella della conversione del decreto con il relativo maxiemendamento. È pur vero che il decreto assegna al comitato 45 giorni per presentare il piano nazionale e 60 giorni per il piano delle imprese. A mio avviso, però, non ci saranno piani se il decreto non comincia a dare qualche garanzia: non parlo di garanzie immediate, in quanto un piano di riconversione, che comporta investimenti consistenti, richiede una certezza per almeno dieci anni.
Purtroppo, signor ministro, il decreto tarda ad arrivare. Nella giornata di ieri è mancato il numero legale al Senato e questo è davvero molto grave: lo è per le quote rosa, ma lo è anche per noi, che abbiamo bisogno di conoscere quale sarà il contenuto del decreto.
Abbiamo parlato della suddivisione degli 11 euro a tonnellata, ma è necessario che ci siano anche i 65 milioni, ed è necessario capire che forma e che durata avrà questa misura, perché se essa è prevista solo per pochi anni, non rappresenta una garanzia per chi dovrà effettuare gli investimenti.
L'altro aspetto che voglio sottolineare è quello delle accise. Ho partecipato al convegno promosso dal nostro presidente e devo dire che, in tutti gli interventi (di Confagricoltura, di AssoDistil e via elencando, organizzazioni che non possiamo dire vicine all'opposizione), è stato sollevato questo problema, come prioritario per la competitività e come garanzia per poter effettuare gli investimenti.
Mi sembra che lei, nel precedente incontro, avesse assunto la posizione, condivisibile, di tenere conto dell'emendamento presentato dalle opposizioni (credo che la copertura fosse quella del ricorso al lotto, ma avevamo chiesto di verificare insieme al Ministero delle finanze cosa si potesse fare). Questa, lo ripeto, è una questione sollevata non dall'opposizione, ma da tutti coloro che devono varare i piani di riconversione. Credo che questo sia uno dei punti fondamentali, rispetto al quale si è creata una certa attesa, da parte non solo della minoranza in Parlamento, ma anche degli stessi imprenditori.
Abbiamo bisogno di garanzie, affinché si sviluppino entro i 60 giorni previsti, dei progetti credibili. Come ho riferito in altra occasione, un imprenditore mi ha detto chiaramente che un progetto privo di punti di riferimento legislativi non è neanche «bancabile».
L'unico aspetto positivo è quello dell'obbligo di miscelazione, che rischia, tuttavia, di essere vanificato dalla non competitività dei costi di produzione del bioetanolo e del biodiesel.
Per quanto riguarda le chiusure, dobbiamo ammettere che abbiamo subìto un'impostazione europea liberista, che riguardava la competitività e la produttività. Ebbene, noi vogliamo fare una cosa diversa, tenendo conto delle varie esigenze territoriali; tuttavia, signor ministro, avendo accettato tale impostazione, non possiamo dimenticare che sarà essa a decidere se fra cinque anni gli zuccherifici non competitivi dovranno chiudere.
È bene, quindi, tenere conto anche di questa esigenza. Diversamente, rischiamo di tenere aperti degli stabilimenti che saranno costosissimi e che richiedono delle ristrutturazioni pesanti, in quanto non competitivi. Poiché è facile immaginare che non riusciremo a renderli competitivi nei cinque anni, avremo speso dei soldi per degli zuccherifici che comunque saranno chiusi.
Signor ministro, in Emilia su nove zuccherifici ne rimangono aperti tre e lei sa bene che questa regione, dal punto di vista bieticolo e della competitività, era la più interessante; oggi invece paga un prezzo pesantissimo.
Credo che, quanto alla riconversione, sia necessario individuare una soluzione, affinché chi era alla testa di una produzione nazionale, seppure bassa, ma comunque all'avanguardia, lo sia anche per quanto riguarda i processi di ristrutturazione, che richiedono ricerca e tecnologie. Non esiste soltanto un problema di obbligo della miscelazione; se vogliamo essere competitivi, abbiamo bisogno anche di ricerca e tecnologie nel campo del biodiesel, del bioetanolo e della produzione dell'energia da biomasse.
Questi sono gli appuntamenti più importanti che ci attendono, insieme all'appuntamento più interessante, quello della conversione del decreto.
LUCA MARCORA. Svolgerò un breve intervento, sia per sentire la risposta del ministro, sia perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno esposto idee, proposte e problematiche, che condivido assolutamente.
Signor ministro, rimane ancora aperto il discorso relativo alla produzione giuridica e alla produzione reale, per quanto riguarda gli aiuti che vengono riconosciuti al settore delle bietole. Nella scorsa audizione lei ci ha detto che ha ottenuto verbalmente l'assicurazione del commissario Fischer Boel, che la quota del 10 per cento non sarà applicata ai paesi con una produzione inferiore al 50 per cento. Sappiamo però che quest'anno non avremo una grossa produzione; dunque se i contributi vengono erogati solo in base alla produzione reale il problema è sotto gli occhi di tutti.
Un altro tema importante, signor ministro, è quello dei tempi. È evidente che, per fare le semine, sono necessarie delle certezze, che il processo in atto non sta ancora dando (gli agricoltori devono sapere che cosa seminare).
Per quanto riguarda la cassa integrazione o le misure straordinarie, sia per le industrie bieticole sia per le associazioni di prodotto, esse devono far parte del pacchetto e non possono essere rinviate ad un secondo tempo, ad una trattativa presso il Ministero del welfare, perché in questo modo mancherebbe un pezzo fondamentale del puzzle.
Quanto al decreto-legge, probabilmente non riusciremo ad esaminarlo entro la settimana. Qualcuno ha ricordato la mancanza del numero legale al Senato, a tre giorni dalla chiusura delle Camere: un fatto gravissimo. Se lei ci chiede un'assunzione di responsabilità nell'affrontare un decreto, che deve fornire delle risposte a problemi fondamentali, da parte nostra chiediamo anche la presenza della maggioranza e del Governo.
Infine, non posso accettare, signor ministro, la sua affermazione sul fatto che saranno le industrie a decidere quali impianti chiudere. Questo è il problema vero. Nella scorsa seduta scherzavamo parlando di vittoria di Pirro, di vittoria negoziale. Ebbene, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti; la più grave è che la forte incentivazione economica a chiudere porterà le imprese di trasformazione a privilegiare gli aspetti economici, rispetto a quelli agricoli, territoriali e sociali. Non si può dire che saranno solo le imprese a scegliere, perché la contropartita economica, comunque, deve essere trattata da questo Governo.
FRANCESCO ZAMA. Continuo ad insistere sulla necessità della riconversione degli zuccherifici per produrre bioetanolo. Naturalmente, gli investitori hanno bisogno di una normativa chiara, univoca e di lungo periodo. La Germania ha varato una normativa per venti anni; in Francia, da dieci anni, si produce bioetanolo da barbabietole. I prezzi sarebbero anche interessanti per l'Italia, dal momento che si potrebbero pagare le bietole come quelle da zucchero e i conti tornano (ve lo dico essendo stato progettista per cinquant'anni). Avremmo avuto la possibilità - perché i tempi tecnici c'erano - partendo tra dicembre e gennaio, di convertire qualche zuccherificio, destinandolo alla produzione di bioetanolo da bietole. Progetti simili si possono realizzare. Uno zuccherificio si costruisce in nove mesi; dunque in cinque o sei mesi si sarebbe potuto trasformare uno stabilimento, per destinarlo alla produzione di bioetanolo. Tuttavia, si è sempre sottolineata l'assenza di una normativa certa ed è evidente che, in mancanza di norme che diano certezza sull'investimento da effettuare, non si può procedere.
Il dramma, adesso, riguarda soprattutto il settore agricolo. Per gli operai sono previsti gli ammortizzatori sociali, ma gli agricoltori chiedono di seminare bietole. Esiste una spinta notevole in questa direzione, ma questo non lo si potrà permettere.
Avremmo potuto far seminare le bietole - come viene chiesto - per produrre bioetanolo e così avremmo salvato la filiera. Infatti, al momento, tutti, dai contoterzisti ai trasportatori, protestano davanti ai cancelli degli stabilimenti, sia quelli da chiudere sia quelli che rimarranno aperti, per chiedere di seminare bietole.
ALDO PREDA. Non ho capito bene il problema del riporto, al quale è legata la produzione futura. Ha ragione l'onorevole Zama quando afferma che il problema è soprattutto agricolo. Che cosa facciamo delle bietole che si trovano ancora in campagna, in qualche capannone o addirittura nei campi? Questo è un grosso problema con il quale dobbiamo confrontarci.
Mi risulta, signor ministro, che la Svezia abbia comprato, in quest'ultimo mese, tutto l'alcool disponibile in Italia. Mi sono chiesto il motivo di ciò e credo che anche il ministro dovrebbe chiederselo, poiché immagino che questa informazione gli sia
arrivata. Il problema è legato alla defiscalizzazione e ad una normativa - che a mio avviso sarebbe opportuna - sul problema dello sfruttamento dell'energia (e per energia intendo anche il biocarburante).
PRESIDENTE. Prima di passare la parola al ministro per la replica, consentitemi di svolgere una brevissima riflessione in merito allo stabilimento di Casei Gerola.
Avevo anche lasciato un appunto al ministro, relativamente al fatto che in quello stabilimento si produce il melasso necessario a far funzionare uno stabilimento, a Casteggio, che produce lievito. Sto parlando di 380 dipendenti, ma soprattutto di una produzione leader in Europa che rischia di essere vanificata. Se non si produce barbabietola, e quindi non si produce nemmeno melasso, anche questo stabilimento chiuderà. Credo che il Governo debba considerare anche questo risvolto occupazionale e sociale di non poco conto e tentare di individuare una soluzione.
Do la parola al ministro Alemanno per la replica.
GIOVANNI ALEMANNO, Ministro delle politiche agricole e forestali. Quando scriviamo i programmi di carattere nazionale, nel centrodestra come nel centrosinistra, ogni volta ci ripetiamo che, nel futuro industriale del nostro paese, si deve stare attenti a non sprecare tutte le energie in direzione di produzioni obsolete, ma bisogna cercare di volgersi verso produzioni che abbiano qualità e prospettive per il futuro. Tuttavia, quando ci addentriamo nelle singole situazioni, assistiamo a vere e proprie battaglie conservatrici e il risultato è quello che abbiamo di fronte.
I 19 stabilimenti attualmente in funzione esistono per il semplice fatto che, negli anni passati, è stata portata avanti una difesa dello status quo. Ricordo che la filiera bieticolo-saccarifera aveva chiesto lo stato di crisi prima della riforma, avendo registrato una perdita secca di 50 milioni di euro nella produzione.
Questo significa che, sostanzialmente, sono stati tenuti in piedi stabilimenti piccoli, frammentati sul territorio e con scarsissimo impatto occupazionale. Se parlassimo del tabacco, potremmo pensare che tale settore ha un notevole impiego di manodopera per unità di prodotto, ma lo zucchero non appartiene a questa realtà.
Questo insieme di fattori ha portato il nostro mondo dello zucchero a regredire, nel corso degli anni, dai 40-60 stabilimenti di vent'anni fa, all'attuale situazione. Dobbiamo tenerne conto, altrimenti rischiamo di continuare a portare avanti queste battaglie di resistenza, con la conseguenza che non siamo noi a gestire la riconversione e i cambiamenti, ma li subiamo, come uno stillicidio.
Personalmente ho la coscienza tranquilla per due motivi fondamentali. Innanzitutto, non era possibile un esito migliore della trattativa, con le condizioni poste. La trattativa si è chiusa sulla proposta italiana. Se questa non ci fosse stata, si sarebbe chiusa sulla proposta spagnola, che avrebbe salvato la Spagna, ma avrebbe distrutto tutta la nostra produzione. Se volete, questo posso documentarlo.
In secondo luogo, ho avuto la conferma, anche nella riunione che si è tenuta lunedì scorso, che da parte degli industriali saccariferi la tendenza sarebbe, addirittura, quella di regredire sotto il 50 per cento della produzione. Noi invece stiamo portando avanti un'opera di sollecitazione, per mantenerli sul 50 per cento della produzione.
Questo non significa che consegniamo all'industria una cambiale in bianco; insomma, non è vero che l'industria può fare quello che vuole. Noi abbiamo un'arma fondamentale, che consiste nella possibilità di tagliare il fondo di riconversione. Tuttavia, non possiamo utilizzare quest'arma per costringere l'industria ad agire contro la sua volontà; ad intraprendere azioni che non ritiene competitive. Dobbiamo utilizzarla, invece, per portare l'industria a impegnarsi in direzioni che ritiene competitive, con risultati occupazionali.
Oggi abbiamo il problema di massimizzare gli impatti occupazionali, e non di produrre zucchero come fosse un
dogma. Non mi interessa lo zucchero in quanto tale, ma la produzione agro-industriale. Se poi si tratti di zucchero, di bioetanolo, di biodiesel o di altro, questo non ha importanza. L'importante è che, nel campo agricolo e industriale, vi sia una ricaduta occupazionale. Da questo punto di vista, non ha senso domandarsi cosa faranno gli agricoltori che non semineranno più barbabietole. Innanzitutto perché essi godranno del disaccoppiamento, avendo un premio unico aziendale superiore a quello dei colleghi che si sono occupati di cerealicoltura negli anni passati. Inoltre, perchè, se l'operazione delle bioenergie va avanti, avremo una richiesta di ettari coltivati superiore a quella di ettari a barbabietole che verranno dismessi. Questo significa che non sapremo dove trovare i terreni per coltivare tutto il mais necessario per produrre bioetanolo o per le colture necessarie per produrre biodiesel, che noi generiamo dall'obbligo di miscelazione.
L'esempio della Svezia è lampante. Se la Svezia compra l'alcool da noi, questo è effetto dell'accisa in quanto tale. Potremmo anche tenere al massimo l'accisa, ma se non produciamo materia agricola nazionale, dovremo comprare, come abbiamo fatto finora, olio di palma o altre materie prime agricole fuori dall'Italia. Ovviamente, questo tipo di ragionamento è inutile dal punto di vista degli obiettivi ambientali, produttivi e agricoli che dobbiamo porci.
Quindi, il nostro problema non è quello di aumentare le accise, ma è quello di vincolare - cosa che abbiamo fatto, seguendo l'esempio francese, e speriamo che l'Unione Europea non abbia da ridire -, gli obblighi di miscelazione ad accordi di filiera. Questo meccanismo genera, a livello agricolo, la necessità di utilizzare spazi ed ettari superiori a quelli relativi alla barbabietola.
Allo stato attuale, il problema fondamentale è quello di accompagnare l'industria e di condizionarla, affinché mantenga gli impegni e non si limiti a prendere i soldi e a scappare. Da questo punto di vista, sono vincolanti i piani di riconversione e gli impegni che vengono assunti entro l'11 marzo, rispetto ai quali vigileranno le regioni e il ministero. Questo è il nostro impegno.
Imporre ad un'industria, oltre un certo limite, il tipo di produzione appartiene a logiche dirigiste, che generano effetti e contraccolpi durissimi.
Abbiamo oltre 800 milioni di euro per realizzare la riconversione. Abbiamo i fondi di diversificazione regionale; abbiamo la possibilità di intervenire attraverso i fondi ISA nelle industrie che non ce la dovessero fare, quindi possiamo entrare nel capitale. Tutto questo, però, è volto a realizzare progetti industriali credibili.
Questo è il dato sul quale deve nascere un equilibrio. Diversamente, rischiamo di creare delle distorsioni che potrebbero scoppiarci tra le mani, non oggi, non domani, ma fra qualche anno, quando non sarà disponibile alcun fondo per la riconversione.
L'unico elemento positivo, in questo momento, è che possediamo una grossa somma per la riconversione, che non dobbiamo sciupare, ma indirizzare su realtà che saranno sostenibili rispetto al futuro.
Vengo alle questioni più specifiche. Quanto al riporto, gli accordi interprofessionali stipulati nei giorni scorsi, se saranno convalidati, prevedono una produzione di 600 mila tonnellate. Una parte della produzione in eccedenza sarà venduta sul mercato internazionale, un'altra parte sarà in qualche modo riassorbita. La previsione, comunque, è di 600 mila tonnellate, e mi auguro che questa previsione venga mantenuta nel tavolo che si terrà oggi.
L'incontro con il Ministero del welfare non avviene a valle, ma a monte, rispetto ad un accordo generale, perché, è evidente che i sindacati firmeranno l'accordo soltanto se avranno delle risposte, sia sulla riconversione sia sugli ammortizzatori. L'incontro, dunque, avverrà subito, per portare la parte welfare, la parte del lavoro dipendente, all'interno dell'accordo complessivo. È evidente infatti che oggi l'anello debole di questa catena non sono
né gli agricoltori, né gli industriali, ma i lavoratori dipendenti dell'industria, ai quali devono essere assicurati degli sbocchi di riferimento. Pertanto, prima verificheremo questo aspetto e poi affronteremo le questioni più specifiche.
Infine, la questione della conversione del decreto è una fonte giusta di preoccupazione. Personalmente, finita questa audizione, mi recherò al Senato, per seguire gli sviluppi di questa vicenda. È assolutamente necessario che il provvedimento venga approvato. Non si può infatti rimandare tutto a dopo le elezioni, perché ciò creerebbe una grandissima incertezza, per quanto riguarda sia il mondo dei lavoratori dipendenti, sia quello dell'industria.
PRESIDENTE. Grazie, signor ministro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.