Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Giuseppe Tesauro, sulle problematiche relative agli schemi di decreto legislativo recanti il Codice delle comunicazioni elettroniche.
Ringrazio il presidente Tesauro, la dottoressa Rita Ciccone, segretario generale, il dottor Giovanni Calabrò, responsabile direzione e comunicazioni e il dottor Roberto Sommella, capo ufficio stampa, per avere accolto l'invito della Commissione.
Do immediatamente la parola al presidente Tesauro per la sua relazione introduttiva.
GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ringrazio anzitutto il presidente e la Commissione per aver dato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato l'opportunità di fornire il proprio contributo su un tema così rilevante che ha richiesto e richiede tuttora uno sforzo di rilievo.
Il nuovo quadro regolamentare europeo in materia di comunicazioni elettroniche è infatti destinato ad incidere in modo significativo e duraturo sull'evoluzione degli assetti competitivi dei mercati interessati e rappresenta un passaggio essenziale e ineludibile per l'introduzione di condizioni concorrenziali che garantiscano una migliore qualità e varietà dei servizi di comunicazione elettronica, favorendo lo sviluppo di infrastrutture alternative e l'interoperabilità di quelle esistenti.
L'Autorità, in data 23 maggio 2003, ha inviato al ministro delle comunicazioni un parere, richiesto dallo stesso ministro, sullo schema di decreto legislativo all'esame di questa Commissione. In tale occasione, l'Autorità ha evidenziato la necessità di un'attuazione delle nuove norme europee che sia compiuta e fedele, in piena conformità ai principi di promozione della concorrenza, razionalizzazione dell'intervento regolamentare, semplificazione e unificazione del regime giuridico di ingresso e fornitura dei servizi e delle reti di comunicazione elettronica, neutralità tecnologica, uso efficiente e trasparente delle risorse frequenziali.
Rispetto allo schema su cui l'Autorità ha formulato il proprio parere, la versione
che esaminiamo oggi contiene delle modifiche che sicuramente attuano in modo più compiuto i principi appena richiamati, nel senso che il testo costituisce senz'altro un passo avanti - perlomeno dal nostro punto di vista - rispetto a quello che era stato oggetto del nostro parere.
Il principale tratto distintivo della recente regolamentazione comunitaria è rappresentato dal ruolo preminente attribuito alla concorrenza rispetto alla regolamentazione ed infatti la concorrenza costituisce il normale modo di funzionamento dei mercati, essendo l'azione di regolamentazione concepita come attività per sua natura di carattere eccezionale, come emerge con chiarezza dal testo della direttiva quadro in base alla quale gli obblighi ex ante possono essere imposti esclusivamente quando non esista una concorrenza effettiva, vale a dire sui mercati in cui una o più imprese detengono un significativo potere di mercato e quando i mezzi di tutela apprestati dal diritto nazionale e comunitario della concorrenza non siano sufficienti a risolvere il problema (richiamo l'attenzione soprattutto sul Considerando 27).
Coerentemente, fra gli obiettivi generali e i principi dell'attività di regolamentazione, la medesima direttiva quadro, all'articolo 8, comma secondo, prevede che le autorità nazionali di regolamentazione promuovano la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, dei servizi di comunicazione elettronica e delle risorse e servizi correlati.
L'ispirazione a questo principio generale trova un riscontro specifico nell'utilizzazione di concetti e istituti propri del diritto antitrust in funzione dell'attività di regolazione. Ciò vale, in primo luogo, per l'identificazione dei mercati dei prodotti e dei servizi «le cui caratteristiche siano tali da giustificare l'imposizione di obblighi di regolamentazione», da svolgersi in base ai principi del diritto antitrust al fine di verificare le condizioni di effettiva concorrenza in essi esistenti ed in funzione dell'eventuale regolazione asimmetrica.
In secondo luogo, l'allineamento con il diritto della concorrenza si riscontra nel ricorso alla definizione antitrust di dominanza per l'individuazione del significativo potere di mercato, fondato su di un approccio che impone un accertamento caso per caso della sussistenza della posizione dominante per l'imposizione delle misure ex ante (un accertamento che consiste anche e soprattutto, in un'analisi economica).
Le direttive europee cui si intende dare attuazione con il Codice sono dunque ispirate alla necessità di assicurare condizioni di effettiva concorrenza nel settore delle comunicazioni e richiedono che il legislatore nazionale introduca una disciplina organica dell'intero settore delle comunicazioni elettroniche. Tale disciplina, recependo le istanze di convergenza tecnologica del settore, include nel proprio campo di applicazione tutte le reti e i servizi relativi, sia al settore delle telecomunicazioni, sia a quello della radiodiffusione e televisivo, al fine di ridurre gradualmente le specifiche norme ex ante settoriali in concomitanza con lo sviluppo della concorrenza sul mercato.
Ciò premesso, l'Autorità intende formulare alcune osservazioni sullo schema di decreto in oggetto (così come migliorato rispetto a quello originario). Una prima questione generale riguarda la necessità, in coerenza anche con le disposizioni della legge delega n.166 del 2002, all'articolo 41, comma 1, di un completo recepimento del nuovo quadro regolamentare del settore, che, dunque, non può non ricomprendere anche i principi generali e le disposizioni particolari contenute nella direttiva della Commissione n. 2002/77/CE, del 17 settembre 2002, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica.
Diversamente da quanto rappresentato nella relazione di accompagnamento dello schema è precisamente la natura generale dei principi e delle disposizioni contenute nella richiamata direttiva a renderne indispensabile il recepimento esplicito nel nuovo Codice delle comunicazioni.
Per quanto concerne le osservazioni più puntuali, va anzitutto evidenziata l'esigenza di «allineare» i titoli amministrativi di cui dispongono i diversi operatori del settore al nuovo quadro normativo comunitario. Un importante obiettivo della nuova legislazione europea è infatti costituito dalla semplificazione del regime giuridico di ingresso nei mercati delle comunicazioni elettroniche e di fornitura dei relativi servizi e infrastrutture. Le direttive si caratterizzano per il ricorso ad un sistema di autorizzazioni generali, meno oneroso dell'attuale per gli operatori, nonché dall'omogeneità della disciplina applicabile nei vari paesi, indipendentemente dalle tecnologie impiegate e sempre nel rispetto del principio dell'uso efficiente dello spettro frequenziale.
A tale riguardo, l'Autorità ritiene di dover sottolineare la necessità di provvedere ad un tempestivo adeguamento delle autorizzazioni, licenze individuali e concessioni attualmente esistenti entro il termine di recepimento delle direttive in materia, al fine di allinearle nei tempi previsti dalla direttiva autorizzazioni (n. 2002/20/CE, articolo 17, comma 1) alla nuova disciplina e definire un quadro regolamentare chiaro e certo che garantisca condizioni di effettiva concorrenza per gli operatori del settore e fruibilità dei servizi per gli utenti finali.
In tal senso, le previsioni dell'articolo 38 dello schema non appaiono proprio conformi al disposto comunitario laddove stabiliscono la persistente validità «fino alla loro naturale scadenza» dei diversi titoli autorizzatori esistenti in materia di telecomunicazioni, alcuni di durata ventennale, e fanno salve le norme speciali in materia di radiodiffusione sonora e televisiva.
L'Autorità ritiene che qualsiasi previsione che abbia l'effetto di ritardare o prorogare il necessario allineamento al regime di autorizzazione generale, al di là di quanto espressamente consentito nella direttiva autorizzazioni, appaia suscettibile di pregiudicare la corretta applicazione della disciplina europea delle comunicazioni elettroniche, compromettendo lo sviluppo della concorrenza nel settore.
Sempre in tal senso, l'Autorità riscontra la difformità della normativa nazionale rispetto a quella comunitaria laddove la prima introduce un regime giuridico per le reti ad uso pubblico distinto da quello delle reti ad uso privato per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica (che forma oggetto di un apposito Titolo dell'emanando Codice). Poiché tale distinzione non trova riscontro nelle definizioni adottate nella normativa europea, volte a dettare una disciplina unitaria per tutte le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, la sua introduzione dovrebbe trovare una specifica giustificazione a livello nazionale, ad esempio in relazione a una diversità delle caratteristiche delle modalità di offerta dei servizi, dei limiti di fornitura, degli eventuali obblighi di contribuzione.
L'articolo 14 dello schema, facendo salve le norme in materia di radiodiffusione sonora e televisiva, riserva esclusivamente agli operatori di telecomunicazioni la possibilità di trasferire i diritti di uso sulle radiofrequenze su base commerciale (la cosiddetta frequency trading). L'Autorità ritiene ingiustificata, alla luce della disciplina europea in materia, tale disposizione.
Appare ugualmente restrittiva la previsione che limita il ricorso al meccanismo di negoziazione solo a quei soggetti che siano provvisti di un titolo autorizzatorio idoneo a «fornire una rete con analoga tecnologia». Infatti, in un sistema caratterizzato dal regime di autorizzazione generale, la possibilità di trasferimento dei diritti d'uso delle frequenze dovrebbe essere garantita a tutte le imprese che dispongono del suddetto titolo, salvo il rispetto dei limiti previsti dalla relativa disposizione comunitaria.
Infine, l'Autorità segnala come la norma contenuta all'articolo 14, comma 5, che attribuisce al Ministero il compito di stabilire se apporre o no all'autorizzazione le eventuali condizioni proposte all'esito di una verifica svolta dall'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), sentita l'Autorità antitrust, al fine di verificare le condizioni di concorrenza conseguenti al trasferimento delle frequenze, appare non del tutto soddisfacente. Da un lato, infatti, la previsione in questione sembra lasciare sussistere la possibilità di non corredare di condizioni l'autorizzazione, anche qualora sia accertato che la concorrenza è falsata a seguito del trasferimento di frequenze; dall'altro, si tratta di una disposizione idonea a determinare possibili conflitti con le previsioni contenute nella legge n. 287 del 1990 in ordine al controllo delle concentrazioni, che rimane ovviamente disciplinata dalla suddetta legge.
Per quanto concerne l'armonizzazione del regime regolamentare e dei criteri e modalità di assegnazione delle frequenze radioelettriche, il testo in esame, all'articolo 27, comma quinto, ripropone una delle preoccupazioni di ordine concorrenziale che l'Autorità ha già avuto occasione di segnalare, relativa in particolare al problema dell'assegnazione delle frequenze per uso televisivo. Come è noto la sottoposizione a due differenti regimi normativi non trova più giustificazione nel nuovo quadro regolamentare europeo, che richiede, al contrario, anche in omaggio al principio della neutralità tecnologica, una sua omogeneizzazione.
Il legislatore comunitario, in considerazione del fatto che le frequenze rappresentano un bene scarso indispensabile per operare in molti dei mercati delle comunicazioni elettroniche, ha previsto che la loro allocazione e assegnazione siano fondate su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Il nuovo quadro regolamentare comunitario, recependo le istanze di convergenza tecnologica del settore, richiede che il legislatore nazionale introduca una disciplina organica dell'intero settore delle comunicazioni, che comprende nel proprio ambito anche le reti di diffusione radiotelevisiva.
In ragione di quanto sopra, occorre ribadire che la disciplina dell'assegnazione e dell'uso delle frequenze, siano esse destinate alla radiodiffusione televisiva ovvero alle telecomunicazioni, essendo una delle questioni principali oggetto di regolamentazione, dovrà soggiacere alla medesima normativa. La norma comunitaria in materia (articolo 5, comma secondo, della direttiva autorizzazioni), facendo salvi i criteri e le procedure specifiche adottate dagli Stati membri per concedere i diritti d'uso delle frequenze, ribadisce tuttavia che «tali diritti d'uso» debbano essere «concessi mediante procedure pubbliche trasparenti e non discriminatorie». La disposizione non consente, dunque, che le procedure e i criteri specifici adottati dagli Stati membri prescindano dai suddetti principi di trasparenza e non discriminazione. L'articolo 27, comma quinto, dello schema, nella parte in cui prevede che «fatti salvi i criteri e le procedure specifici previsti dalla normativa vigente in materia di concessione di diritti d'uso delle frequenze radio ai fornitori di servizi di contenuto radiofonico o televisivo, i diritti d'uso sono concessi mediante procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie», contiene un riferimento alla normativa vigente. Tale normativa vigente risulta attualmente in corso di revisione attraverso il disegno di legge ora all'esame del Senato della Repubblica (AS 2175), il quale, come già osservato dall'Autorità nel ricordato parere di maggio, facendo salva l'attuale situazione di occupazione di fatto delle risorse frequenziali, non appare conforme ai principi comunitari di trasparenza e non discriminazione nell'assegnazione di tali risorse.
Le difficoltà interpretative della citata disposizione dello schema in esame potrebbero essere eliminate a seguito della fedele attuazione della direttiva n. 2002/77 /CE, in base alla quale restano impregiudicati «...i criteri e le procedure specifici adottati dagli Stati membri per concedere l'uso di frequenze radio a fornitori di servizi relativi al contenuto delle trasmissioni radiofoniche e televisive» solo nella misura in cui essi siano funzionali al perseguimento di «...obiettivi di interesse
generale conformemente al diritto comunitario». In ogni caso - cito ancora - «...l'attribuzione delle frequenze radio per i servizi di comunicazione elettronica si fonda su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati».
Con riferimento alle disposizioni sulle modalità di regolamentazione dei soggetti detentori di un significativo potere di mercato, l'Autorità rileva la non completa coerenza con i principi comunitari della previsione di cui all'articolo 19, comma sesto, dello schema, in base alla quale l'Autorità di settore deve tenere conto, nel decidere sulla imposizione degli obblighi a carico delle imprese, degli obiettivi di regolamentazione volti a realizzare, tra l'altro, le finalità di promozione dello sviluppo di reti e servizi di comunicazione elettronica a larga banda. Al riguardo, non può non osservarsi che l'eventuale decisione di non imporre obblighi di regolamentazione specifici deve fondarsi, ai sensi delle direttive comunitarie di riferimento, sull'accertamento della struttura effettivamente concorrenziale del mercato oggetto di analisi, nonché dell'assenza di imprese con significativo potere di mercato. Laddove, invece, la decisione di non imporre gli specifici obblighi di regolamentazione fosse collegata all'obiettivo generico di promozione delle reti e dei servizi a larga banda (al quale si rinvia nello schema in commento) si potrebbe incorrere nel rischio di aggravare il divario competitivo esistente fra gli operatori nuovi entranti e l'incumbent, a danno dello sviluppo competitivo dei mercati in questione.
Analogamente, ad avviso di questa Autorità, la disposizione di cui all'articolo 50 dello schema, comma primo, relativa alle procedure di controllo degli operatori dominanti in materia di prezzi e contabilità dei costi dei servizi di interconnessione ed accesso, non appare conforme alla normativa comunitaria, laddove si prevede che, nel determinare le suddette procedure, l'Autorità nazionale di regolamentazione tenga conto degli investimenti effettuati e del ragionevole margine di profitto anche «...in considerazione dei rischi connessi e degli investimenti per lo sviluppo di reti e servizi innovativi». La normativa nazionale appare infatti introdurre, in tal modo, un parametro aggiuntivo relativo alla remunerazione del rischio d'impresa per lo sviluppo di reti e servizi innovativi che non trova alcun riscontro nella normativa europea e appare suscettibile, in considerazione del ridotto sviluppo della concorrenza in questo settore, di ostacolare condizioni effettive di pari opportunità per tutti gli operatori.
Con riguardo alle implicazioni derivanti dalla più volte prescritta finalità di promozione della cosiddetta «banda larga», l'Autorità rileva come tale definizione, oltre a non trovare riscontro testuale nella normativa europea, sia utilizzata nello schema con modalità almeno apparentemente improprie, tendenti a stabilire asimmetrie regolamentari che rischiano di incidere artificiosamente sulle condizioni concorrenziali dei mercati delle comunicazioni elettroniche a danno dello sviluppo delle dinamiche competitive e dell'ingresso di nuovi operatori.
In merito alla disposizione relativa ai meccanismi di consultazione e cooperazione tra autorità e ai sistemi di scambio di informazioni, contenuta nell'articolo 8 dello schema, emergono talune difformità rispetto alla disciplina europea in materia, che sono destinate ad incidere anche sull'attività dell'Autorità antitrust. Tali difformità permangono anche dopo le modifiche che sono state nel frattempo introdotte, a partire da maggio. In particolare, l'articolo 8, comma 1, prevede uno scambio di informazioni volto ad assicurare una generale e generica reciproca cooperazione. La previsione in termini così indefiniti di obblighi di trasparenza e scambio di informazioni appare differire dal disposto della disciplina europea, secondo cui le autorità di regolazione e le autorità di concorrenza si forniscono reciprocamente le sole informazioni necessarie per l'applicazione delle direttive sulle comunicazioni elettroniche.
A questo riguardo vorrei aprire una parentesi. Per l'Autorità antitrust, probabilmente, il problema è più acuto che per
altre autorità - in particolare per l'autorità di regolazione - perché noi abbiamo dei procedimenti finalizzati eventualmente, ipoteticamente, a una censura e ad una sanzione. Con un procedimento molto oneroso e di tipo giudiziale e nel quale la confidenzialità delle informazioni che servono a noi per la istruttoria è un passaggio fondamentale. La nostra legge da questo punto di vista risulta molto avara, nel senso che non ci consente di fornire alcuna informazione ad alcuna amministrazione, il che ovviamente può andar bene per le imprese mentre a noi crea qualche volta non poche difficoltà - perché tacerlo - anche di carattere diplomatico con alcune amministrazioni. Tuttavia, questa è la nostra legge e, quindi, è bene essere consapevoli di ciò nel momento in cui si va ad incidere su un passaggio molto delicato della nostra attività.
La medesima previsione dello schema - sto parlando dell'articolo 8, comma primo - appare inoltre contrastare con le esigenze, tutelate anche dal diritto interno, di non divulgazione delle informazioni che, normalmente, caratterizzano l'attività istituzionale dell'Autorità di concorrenza per evitare che le informazioni raccolte nel corso dell'esercizio di autonomi poteri istruttori vengano poi utilizzate per finalità diverse (come vi accennavo poc'anzi). L'Autorità non può inoltre non rilevare come questo sistema di scambio di informazioni nel settore delle comunicazioni elettroniche, quale prefigurato nello schema, rischia di porsi in contrasto con un regolamento del Consiglio di fresca adozione, che entrerà in vigore a maggio del 2004, concernente l'applicazione delle regole comunitarie di concorrenza.
Tale Regolamento prevede infatti un sistema di scambio di informazioni, che possono assumere anche valore di prove nei limiti del network delle Autorità di concorrenza (composto dalla Commissione e dalle 15 autorità nazionali e, comunque, con dei vincoli molto precisi), innanzitutto, nei limiti dello scopo per il quale sono state raccolte queste informazioni e, in secondo luogo, limitatamente ai fini dell'applicazione degli articoli 81-82 del Trattato, eventualmente in parallelo con le norme nazionali.
Stante la vigenza delle suddette disposizioni comunitarie, di cui al regolamento n. 1 del 2003, lo scambio di informazioni potrebbe determinare una situazione di incompatibilità e, comunque, risultare di difficile applicazione (perché se ci sono dei problemi di scambio di informazioni tra all'Autorità antitrust italiana e le amministrazioni italiane, figuriamoci se non ci saranno analoghe difficoltà - se non superiori - per le informazioni scambiate tra l'Autorità italiana e le altre 14 autorità nazionali, più la Commissione).
Per quanto concerne l'individuazione dei soggetti preposti ad esercitare funzioni regolamentari, si deve osservare che la disciplina europea in materia di indipendenza prevede espressamente che le autorità nazionali di regolamentazione debbano essere giuridicamente distinte e funzionalmente autonome da tutti gli organi che forniscono reti, apparecchiature o servizi, di comunicazione elettronica, precisando che gli Stati membri che mantengono la proprietà o il controllo di imprese, che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, provvedono alla piena ed effettiva separazione strutturale delle funzioni di regolamentazione dalle attività inerenti alla proprietà o al controllo (articolo 3.3 della direttiva quadro). Alla luce di ciò, in un contesto quale quello italiano, in cui lo Stato conserva ed esercita poteri di controllo o detiene diritti speciali, sia in alcune importanti imprese operanti nel settore delle telecomunicazioni, sia in imprese che gestiscono reti di radiodiffusione sonora e televisiva, il conferimento di talune funzioni regolamentari al Ministero delle comunicazioni potrebbe essere di dubbia compatibilità con la necessaria separazione tra le funzioni di proprietà e regolamentazione alla base del richiesto requisito di indipendenza e imparzialità del regolatore.
Peraltro, l'importanza dell'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione è stata recentemente evidenziata, con particolare riferimento all'ulteriore
requisito della separazione dal potere politico, dalla Commissione europea nella sua VIII Relazione sull'attuazione della disciplina comunitaria sulle telecomunicazioni, nel dicembre 2002: «Data l'ampia discrezionalità conferita alle Autorità nazionali di regolamentazione nel nuovo quadro, i vincoli stabiliti in quest'ultimo, in particolare per assicurare indipendenza strutturale e operativa dagli operatori di mercato, continueranno a ricoprire un ruolo essenziale (...) in particolare nei casi in cui le decisioni ministeriali connesse all'attribuzione di licenze o al controllo dei prezzi possono essere viste dal mercato come influenzate da considerazioni politiche. A prescindere da tali valutazioni, la performance complessiva di un organismo indipendente può essere semplicemente migliorata attraverso la cessione di tutte le potestà regolatorie da parte del Ministero (...)».
In ogni caso, l'attuale formulazione delle disposizioni dello schema in commento è suscettibile di determinare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze dei due soggetti istituzionali, Ministero delle comunicazioni e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'esercizio della funzione di regolamentazione, con conseguenti difficoltà interpretative in ordine alla titolarità della funzione regolamentare, ciò che potrebbe risolversi a danno dello sviluppo concorrenziale del settore. Emerge, quindi, l'esigenza di norme chiare, semplici e precise.
In conclusione, ad avviso dell'Autorità, la definizione di un quadro regolamentare interno, chiaro e stabile, coerente con i principi comunitari, costituisce una condizione indispensabile per un pieno sviluppo della concorrenza nel settore economico in oggetto, che, è inutile dirlo, è molto importante.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.
CARLO ROGNONI. Ringrazio il presidente dell'Autorità per la sua chiarezza che, tra l'altro, mi ha anche aiutato a capire alcuni passaggi che facevo fatica ad esaminare. Su uno in particolare mi pare che abbia dato una risposta precisa, cioè sul fatto che manca l'accoglimento della direttiva sulla concorrenza. È stato detto che non era necessario perché, di fatto, i contenuti della direttiva erano stati già recepiti.
A me sembra che non sia proprio così, nel senso che, comunque, sia molto importante citarla perché la direttiva della concorrenza riprende, armonizza ed inserisce in un quadro organico tutto ciò che era stato detto precedentemente sui problemi della concorrenza nei vari settori. Tuttavia, aggiungere il settore delle reti televisive, assimilandole a quello delle telecomunicazioni, apre un capitolo del quale non si può non tener conto: quindi, ritengo che tali osservazioni siano decisive anche per il nostro lavoro. Inoltre, il presidente potrebbe aiutarci a capire meglio alcuni passaggi relativi alle direttive, come il problema dell'accesso alle reti e alle frequenze. All'articolo 2, comma 3, si prevede: «Rimangono ferme e prevalgono sulle disposizioni del presente Codice le norme speciali in materia di reti utilizzate per la diffusione circolare di programmi sonori e televisivi» e all'articolo 38, comma 4: «Restano ferme le norme speciali sulle concessioni ed autorizzazioni preesistenti in materia di radiodiffusione sonora e televisiva».
Credo che, in realtà, nel Codice non si recepisca lo spirito di una parte delle direttive europee, che, invece, sono sullo stesso livello: quindi, perché fare queste distinzioni e, comunque, creare questo dubbio? Di conseguenza, diventa ancora più importante avere la citazione della direttiva sulla concorrenza, che, perlomeno, su questo punto fa un po' di chiarezza. Per quanto riguarda l'accesso alla frequenza, all'articolo 27, comma 5, sembra che le frequenze televisive siano concesse, fatto salvo un regime diverso che possa anche non contemplare procedure aperte, trasparenti e non discriminatorie: tutto ciò non va bene, anche rispetto a quello che abbiamo detto.
Inoltre, all'articolo 14, comma 3, si prevede che anche per il trading delle frequenze è fatto salvo un regime speciale per le reti televisive: ma nelle direttive europee dove sta scritto che per le reti televisive sia fatto salvo un regime speciale? Anzi mi pare che in questo caso trasgrediremmo le direttive.
Questi sono passaggi importantissimi e delicati, anche perché precedono il lavoro che, prossimamente, dovremo fare sulla legge Gasparri, che, di fatto, unisce reti digitali ed analogiche, cioè cose che non stanno insieme. La direttiva europea riguarda le reti digitali ed ha delle regole ben precise. Quindi, vogliamo che il Codice sia varato, sia pure con le necessarie correzioni, perché è giusto che venga approvato nei termini. Sappiamo tutti che abbiamo la Presidenza del semestre europeo e, quindi, è bene firmare e sottoscrivere per primi, ma facciamolo con le correzioni necessarie perché siano davvero in sintonia con le direttive europee, senza apparire come veloci firmatari ma trasgressori dello spirito di queste regole. Tali modifiche saranno fondamentali nell'analisi delle legge che ritornerà dal Senato perché, altrimenti, alcune parti del provvedimento non saranno adeguate.
PAOLO GENTILONI SILVERI. Anch'io mi associo al riconoscimento dell'importanza e della serietà di questo lavoro. Voglio chiedere due chiarimenti al professor Tesauro. In primo luogo, ricollegandomi a quanto osservava l'onorevole Rognoni, mi sembra di poter dire che il parere dell'Autorità suggerisca una necessità di armonizzare la disciplina delle radiodiffusioni alle normative comunitarie. Infatti, si osserva che il disegno di legge in discussione al Senato, facendo salva l'attuale situazione di occupazione di fatto delle risorse frequenziali, non apparirebbe conforme ai principi comunitari di trasparenza e non discriminazione.
Volevo chiedere al professor Tesauro un chiarimento sul periodo immediatamente successivo. A pagina 7 della relazione, ultimo periodo del secondo capoverso, si legge che le difficoltà interpretative della citata disposizione dello schema in esame potrebbero essere eliminate a seguito della fedele attuazione della direttiva n. 2002/77/CE, in base alla quale i criteri specifici nazionali resterebbero - possono restare - impregiudicati nella misura in cui essi siano funzionali al perseguimento di obiettivi di interesse generale conformemente al diritto comunitario. Se ho ben capito, qui si configura una possibile eccezione, giustificabile se questa specificità nazionale - questa eccezione - è funzionale al perseguimento di obiettivi di interesse generale conformemente al diritto comunitario.
Vorrei però capire meglio in cosa si concretizzi questa ipotetica eccezione, in altri termini, quale possa essere una fattispecie per cui la specificità - l'eccezione - è giustificata dal perseguimento di obiettivi di interesse generale conformemente al diritto comunitario. Insomma, questa eccezione è invocabile nel caso italiano in esame?
Un secondo aspetto che mi piacerebbe potere chiarire meglio riguarda il fatto che, anche in occasione dell'audizione del professor Cheli, è stato messo in evidenza un certo rischio di sovrapposizione di competenze in materia regolativa tra il Ministero delle comunicazioni e l'Autorità garante per le comunicazioni (rischio che, mi pare, venga ripreso anche nel vostro parere, in particolare nella nota n.2 a pagina 10 della relazione). Sarei lieto di venire smentito qualora non fosse questa l'interpretazione corretta ma, se ho ben capito, da questo vostro parere si deduce che, alla luce della normativa europea, voi stessi suggerite che questa sovrapposizione venga risolta attribuendo le competenze in oggetto più all'Autorità che non al Ministero, anche per evitare - così ho capito - un rischio di dubbia compatibilità tra attribuzioni al Ministero e capacità regolative.
SERGIO IANNUCCILLI. Mi rivolgo al professor Tesauro per domandargli a chi crede debba essere affidato il compito di controllare il cosiddetto mercato secondario
delle frequenze (in altri termini, la possibilità per l'operatore assegnatario di rivendere ad altri operatori le frequenze di cui è titolare senza rinunciare alla licenza).
Nel testo attuale sono attori la sua Autorità ed il Ministero: non crede che casi tipo quello di IPSE, che non fallisce attendendo di poter vendere le sue frequenze, consiglino un ruolo dell'arbitro specifico di quel mercato, in grado di poter meglio valutare la necessità di imporre eventuali misure compensative?
Inoltre, lo spirito che permea le direttive comunitarie è la separazione di ruoli tra regolazione e tutela della concorrenza, ricondotte ad unità dalla collaborazione che deve ispirare lo svolgimento delle reciproche competenze. Di fronte a due recenti casi di sovrapposizione di attività, tra l'Autorità da lei presieduta e l'AGCOM di Cheli (mi riferisco all'apertura di una sua indagine sul mercato TV sincronica alla chiusura di analoga attività di Cheli - istruttoria per gli anni 1998-2000 sulle posizioni dominanti, chiusa venerdì scorso dall'AGCOM con un nulla di fatto e con la contestuale prosecuzione di indagine sul triennio 2001-2003 - e all'indagine su alcuni comportamenti dell'ex monopolista di telefonia fissa nel mercato affari, sia pubblico - gara Consip - che grandi utenze private) è forte l'impressione che manchi il dovuto rispetto delle competenze altrui.
Ritiene che simili problemi si possano ripetere anche nel nuovo quadro normativo, ove anzi le occasioni di contatto tra le due istituzioni saranno maggiori? Quali rimedi dovrebbe adottare il legislatore per evitare il rischio di simili sovrapposizioni?
A giustificazione della divisione tra regolazione e antitrust si afferma che il giudizio antitrust propenda per ottiche di breve periodo, mentre lo sviluppo del mercato e degli investimenti richiede, nella stessa tutela degli utenti, un giudizio più complesso con orizzonte temporale più ampio. Quale sarà il contributo che l'antitrust potrà fornire al regolatore nei settori in cui sono chiamati a collaborare in maniera più stretta?
GIORGIO PANATTONI. Ringrazio molto per il parere presentatoci che mi pare di grandissima rilevanza. Oltre a quanto già affermato dal collega Gentiloni, il quale ha sollevato esattamente le due domande che avrei desiderato porre io, vi sono altri due punti sui quali mi piacerebbe fare un po' più di luce. Il primo riguarda l'eventuale sovrapposizione di attività o di competenze tra le due autorità, quella per la regolazione delle comunicazioni e quella antitrust, il secondo concerne invece il rapporto con la normativa europea. Mi domando, infatti, se vengano in qualche modo ridefiniti i ruoli, chiarite le posizioni o si tenda a sanare delle situazioni, ciò comportando anche qualche intervento di modifica sulle attuali competenze delle due autorità.
Infine, vorrei porle una domanda relativa alla banda larga. Se ho ben capito, in questo parere si sostiene la tesi che adoperare un sistema di promozione specifico per la banda larga, non propriamente definito, tende a creare asimmetrie di comportamento nelle regolazioni, tali da essere nocive per un regime di piena concorrenza. Può chiarire meglio questo aspetto, data la grande rilevanza del tema della diffusione della banda larga? Che cosa significa tutto ciò esattamente e che tipo di azione si prevede a riguardo? Oppure, per converso, se questo regime dovesse rientrare in quello, per così dire, standard - cioè uguale a quello di tutti gli altri - che cosa dovrebbe cambiare sotto questo profilo? Quali sono, cioè, gli interventi che giustificano un trattamento un po' diverso della banda larga rispetto a tutto il resto e che cosa significherebbe riportarla nell'ambito della normativa di carattere generale?
PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do ora la parola al professor Tesauro per la sua replica alle domande poste.
GIUSEPPE TESAURO, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il quadro che ci occupa in questo momento (cioè lo schema recante il Codice delle comunicazioni) riguarda le comunicazioni elettroniche e tutto ciò che attiene al capitolo delle telecomunicazioni. Il capitolo relativo alla televisione, evidentemente, è formalmente fuori da questo quadro. Tuttavia, è chiaro che i principi dell'assetto del mercato delle comunicazioni costituiscono un capitolo che, certamente, interessa anche la televisione, per cui non si possono avere regimi molto diversi (ecco perché, qualche volta, c'è un punto di contatto, così come vi è il richiamo ai principi inseriti in queste quattro direttive, che sono proprie anche del regime «Televisioni senza frontiere»).
Da questo punto di vista in particolare, ci siamo soffermati su un paio di aspetti. Il primo riguarda il tentativo di «azzerare» il passato, cioè di ridurre al regime (che risulta abbastanza razionale) delle autorizzazioni generali, anche il passato. Nella direttiva, c'è un'indicazione su ciò che è consentito fare in via di deroga, eccezionalmente a patto che abbia a che fare con un interesse generale del paese membro e sia riconoscibile a livello comunitario. Questa è una costante del sistema comunitario complessivamente considerato: tutte le norme, o meglio, il sistema nel suo insieme, incontra un limite (che ritroviamo in molti settori) nell'interesse generale dello Stato membro.
Naturalmente, si tratta di un interesse generale che deve essere riconoscibile e riconosciuto dalla Comunità, non essendo possibile inventare un interesse generale con troppa fantasia! Da questo punto di vista, ci sarebbero mille e nessun esempio da citare ma il problema italiano è più specifico perché nel regime passato noi abbiamo avuto un'occupazione di fatto delle frequenze. Questo è un modello che non corrisponde ad alcun sistema esistente e, quindi, il suo permanere (non trasformandolo in un modello nuovo, cioè in quello dell'autorizzazione generale), evidentemente, costituisce un problema tutto italiano. Quindi, è un qualcosa che dobbiamo risolvere. Ripeto, visto che nella direttiva esiste la possibilità di un'eccezione, sfruttiamola e cerchiamo di rientrare quanto più possibile in quel modello di deroga, senza andare troppo oltre. La seconda osservazione riguarda le sovrapposizioni tra le autorità di regolazione - premetto che non ci riguarda ma interessa soltanto il rapporto tra il Ministero e l'Autorità di Napoli - e, in quel caso, nella normativa europea esiste un'evidente indicazione che, sostanzialmente, riguarda l'indipendenza.
Per fortuna, anche in altri paesi sussiste il problema di uno Stato che regola e di uno Stato che è proprietario di aziende o che, comunque, partecipa attivamente al mercato (da noi basti pensare a Wind o al problema della golden share). Anche in Francia esiste un'autorità di regolazione che è divisa tra ministero ed autorità indipendente e stanno cercando di superare il problema. A proposito delle sovrapposizioni, il tema che ha monopolizzato la seconda parte delle domande, vorrei essere molto chiaro. Ritengo che un conflitto ed una sovrapposizione reale esistano solamente quando siano chiamati a decidere due organi. Invece, quando uno è chiamato a decidere e l'altro a dare un parere, non esiste né sovrapposizione né conflitto: questo è il caso del rapporto fra l'Autorità antitrust e quella di Napoli. L'Autorità di Napoli decide su determinate questioni e sulle stesse - eventualmente, non in tutte - l'Autorità antitrust fornisce il proprio contributo consultivo. Viceversa, quando noi siamo chiamati a decidere nel settore delle comunicazioni, l'Autorità di Napoli - che è il tecnico di quel settore - dà un parere, del quale siamo contentissimi: comunque, non abbiamo mai considerato che ci fosse una sovrapposizione o un conflitto fra le due autorità. Un paio di volte la questione è stata posta su sollecitazione di un'associazione di consumatori, ed è arrivata addirittura al giudice, il quale non ha sprecato molte parole per ricordare i confini fissati dal legislatore.
Scendendo nel merito, della concorrenza ci occupiamo noi e della regolamentazione del settore - quindi, per definizione ex ante - si occupano loro. Sono stati emblematicamente evocati due episodi di sovrapposizione di attività tra la nostra Autorità e quella di Napoli: la prima riguarda un'indagine conoscitiva sulla pubblicità. L'indagine conoscitiva è uno strumento che usiamo con grande sobrietà ma che ci serve per conoscere un mercato quando ci pone dei problemi dal punto di vista concorrenziale. Si tratta di uno strumento molto soft, per non dire garbato, per fare una fotografia, che non vuole penalizzare né censurare nessuno, del mercato quando ci rendiamo conto che esiste un problema di concentrazione.
Quindi, da questo punto di vista non avvertiamo alcuna sovrapposizione con l'Autorità di Napoli perché, ancora una volta, ci occupiamo del profilo squisitamente concorrenziale. Forse, esiste qualche equivoco quando loro si occupano della posizione dominante ma, per esempio, loro se ne occupano perché nel settore televisivo la posizione dominante è in quanto tale di possibile illegittimità. Da noi non esiste questa nozione ma abbiamo bisogno dell'abuso di posizione dominante. Quindi, a loro è sufficiente uno statistico per analizzare e verificare le quote di mercato, mentre noi dobbiamo considerare il comportamento dell'impresa. Di conseguenza, per noi un'impresa con una posizione dominante all'80 per cento può non costituire un problema perché, pur in tale percentuale, vive e lascia vivere gli altri operatori del mercato; invece, per loro può esserlo perché, se esiste una regola che fissa una certa percentuale, devono stare attenti a non farla superare: quindi, tra noi e loro esiste una differenza fondamentale che non consente sovrapposizioni.
L'analisi di posizioni dominanti e di ipotesi di comportamenti censurabili di un operatore delle comunicazioni in materia di accesso per noi costituisce un'ipotesi tipica di abuso di posizione dominante. Ogni volta che abbiamo il sospetto che ci sia un abuso di posizione dominante da parte di un operatore andiamo a verificare, aprendo un'indagine (come quella delle gare Consip del 2002). Quindi, di altre indagini che si sovrappongono a quelle pubbliche dell'Autorità di Napoli non sappiamo nulla; comunque, se esistono, sono finalizzate a vedere lo sforamento della quota di mercato o, forse, altri aspetti dell'attività dell'operatore incumbent ma, certamente, non l'abuso di posizione dominante, del quale possiamo occuparci solo noi.
Ci siamo preoccupati della possibile sovrapposizione tra il Ministero e l'Autorità di Napoli ma, anche se qualcuno potrebbe dire che non dovevamo esternarla noi, l'anima comunitaria che ci caratterizza ci ha portato a commentare e a segnalarvi questo piccolo problema facilmente risolvibile. Nello schema non intravediamo, nemmeno potenzialmente, sovrapposizioni tra noi e l'Autorità di Napoli e la legge n. 287 del 1990 rimane impregiudicata rispetto a qualunque altra norma. L'unica difficoltà riguarda lo scambio di informazioni. Infatti, potrebbe esserci una difficoltà di interpretazione parallela tra la norma sugli scambi di informazioni tra noi ed il Ministero e le norme relative alla legge n. 287 del 1990 in materia di confidenzialità delle informazioni commerciali delle imprese.
Questo per noi è un problema serio, perché fa parte della nostra attività quotidiana e sappiamo che si tratta di un argomento molto delicato. Per il resto, francamente, non sentiamo alcuna sovrapposizione, né di funzioni, né di attività e ogni qual volta leggiamo sui giornali notizie in proposito, sorridiamo (non solo noi ma anche l'Autorità di Napoli). È un po' ciò che avviene anche con la Banca d'Italia: è la stessa cosa!
Per quanto riguarda l'ultima domanda, che si riferisce alla banda larga, l'imposizione di obblighi all'impresa che detiene un significativo potere di mercato, posto che sia stata accertata la sussistenza di condizioni non concorrenziali - che poi è alla base di tutto - non può essere condizionata dal perseguimento della promozione
delle reti e dei servizi a banda larga. In altri termini, la promozione della banda larga non può essere utilizzata come una copertura per giustificare una restrizione, un abbassamento, una riduzione delle dinamiche concorrenziali, anzi, la banda larga dovrebbe essere un volano per aumentare la vivacità nel campo della sua applicazione, un po' come avviene per il digitale terrestre. Tutto ciò non può che far piacere all'Autorità antitrust, in quanto fenomeni tecnologici che aiutano la concorrenza.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Tesauro per il suo contributo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.