Resoconto stenografico
AUDIZIONE
La seduta comincia alle 14.10.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Letizia Moratti (che è presente insieme al sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Valentina Aprea) sull'attuazione della legge n. 62 del 2000, recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio.
Preciso che l'odierna audizione segue la presentazione al Parlamento della relazione sullo stato di attuazione della legge n. 62 del 10 marzo 2000.
Ricordo che l'audizione è stata avviata nella seduta del 4 maggio scorso con la relazione del ministro ed alcuni interventi.
Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti al ministro.
DOMENICO VOLPINI. Ringrazio il signor ministro per la relazione che ci ha presentato. Sono d'accordo con il ministro su gran parte delle linee tracciate nella sua relazione, ma ci sono alcuni rilievi che, come relatore della legge n. 62 del 2000 alla Camera, mi sento di dover fare. D'altra parte, non posso non evidenziare che l'azione di Governo in questi due anni non è stata concorde rispetto alle affermazioni contenute nella sua relazione.
Innanzitutto, è vero che il sistema nazionale dell'istruzione, come da lei sostenuto, è un sistema unitario, che non può essere diviso. Mi sono quindi meravigliato del fatto che, nella sua relazione, alla pagina 3 si parla di «sistema di istruzione nazionale unitario», mentre alla pagina 6 si parla di «sistema della scuola paritaria». La scuola paritaria non costituisce un sistema: le singole scuole private che hanno determinate caratteristiche di legge hanno riconosciuta la parità come singoli istituti e non vanno quindi a costituire un autonomo sistema. Ritengo importante sottolineare questo aspetto.
Quanto affermato nella pagina 6 della sua relazione non mi sembra una semplice svista, perché purtroppo nella sua azione di Governo lei è più volte intervenuta discriminando la scuola paritaria. La legge sostiene esplicitamente che i fondi riguardanti l'ampliamento dell'offerta formativa sono destinati agli istituti scolastici, non specificando se statali o paritari. All'epoca, quando fu approvata quella legge, avevamo ben chiaro che la legge di parità era diretta ad evitare discriminazioni, mentre al contrario lei in realtà ha destinato il fondo alle scuole statali e ha riconosciuto alle scuole paritarie soltanto un contributo
di 8 milioni di euro. Il fatto grave è consistito nella rottura dell'unitarietà del sistema.
Le ultime due leggi finanziarie hanno aggravato la situazione. Nella legge n. 62 i finanziamenti erogati per il diritto allo studio sono destinati alle famiglie con reddito più basso e vengono elargiti a tutte le famiglie, indipendentemente dalla scelta del tipo di scuola, se statale o paritaria. Sono stati riconosciuti 90 milioni di euro come finanziamento per il diritto allo studio, che sono stati destinati come contributo alle famiglie che mandano i figli alla scuola paritaria. Tuttavia, avendo lei inserito il criterio del reddito nelle ultime due finanziarie, ciò ha di fatto dato vita ad una distinzione molto grave tra le scuole paritarie e le scuole statali, che a mio avviso provoca danni alle scuole paritarie.
Le famiglie i cui figli frequentano la scuola paritaria devono avere gli stessi di diritti di coloro che scelgono le scuole statali. Nella scorsa legislatura, quando abbiamo incrementato i fondi di 240 miliardi di lire per il diritto lo studio, tale fondo è stato riconosciuto a tutte le famiglie a prescindere dalla scelta del tipo di scuola. Queste sono discriminazioni di fatto che vanno a ledere il principio della parità e della unitarietà del sistema nazionale.
Vorrei spendere una parola sulla scuola paritaria. Nello spirito della legge n. 62 la scuola paritaria è scuola pubblica: esse sono sistema nazionale e svolgono un servizio pubblico.
Le chiedo spiegazioni sulle modifiche da lei introdotte con la legge sull'obbligo scolastico. Lei ha cambiato la terminologia: dal concetto di obbligo allo studio si è passati a quello di diritto-dovere. Mi sono confrontato con alcuni giuristi sulle conseguenze pratiche di questo cambiamento di terminologia: mi è stato detto che l'obbligo è sempre prescrittivo e impone quindi allo Stato di garantire un servizio a prescindere dalla disponibilità o meno delle risorse. Per quel che riguarda il diritto-dovere, questo finisce laddove non ci sono le condizioni per poterlo soddisfare e ciò fa saltare un principio fondamentale nel sistema scolastico italiano. Nella scorsa legislatura avevo presentato una interrogazione al ministro Berlinguer: la Costituzione stabilisce che la scuola dell'obbligo è obbligatoria e gratuita. Con la legge n. 62 le scuole paritarie sono divenute parte integrante del sistema scolastico e quindi era ovvio che il combinato disposto della Costituzione e della legge n. 62 imponesse l'obbligatorietà anche per chi frequenta le scuole paritarie.
Vorrei fare un cenno ai «diplomifici». Sono d'accordo con quanto da lei sostenuto nella sua relazione, ma vorrei farle notare un altro punto della legge n. 62: essa riconosce la parità non ai corsi ma all'istituto scolastico specifico, il quale deve avere almeno un corso completo per vedersi riconosciuta questa parità. Lo Stato deve immettere nel sistema nazionale soltanto le scuole che vantano un certo grado di serietà, per cui, a mio avviso, non è lecito riconoscere la parità ad un corso completo di un istituto che è soltanto un «diplomificio».
Cito soltanto un episodio al riguardo. Nel corso di alcuni incontri informali mi è stata presentata una dirigente del Ministero della pubblica istruzione, una ispettrice, la quale risulta essere anche proprietaria di un istituto paritario: mi sembra che si tratti di un caso di incompatibilità.
Ho ricevuto segnalazioni dalle scuole paritarie serie, le quali si lamentano dell'esistenza dei «diplomifici». Quindi o si interviene su questo fenomeno in modo molto severo oppure rischiamo di distruggere la scuola paritaria.
Occorrerebbe maggiore severità nell'ammettere le scuole private al sistema delle scuole paritarie. Mi sorprende il fatto che nel centro-nord la parità sia stata riconosciuta all'86 per cento delle scuole private che hanno richiesto la qualifica di paritarie.
Vorrei ora passare al tema dei finanziamenti. Nel corso della scorsa legislatura, nessuno di noi si è sognato di promettere, come invece hanno fatto Forza
Italia e l'opposizione dell'epoca, la piena e immediata parità economica delle scuole paritarie.
VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Immediata mai!
DOMENICO VOLPINI. Siamo partiti con 205 miliardi di vecchie lire nella finanziaria del 1995 e abbiamo chiuso con 900 miliardi di finanziamento diretto alla scuola paritaria dopo cinque anni. Ogni volta che c'era un aumento, il sottosegretario Aprea mi aggrediva dicendo che si trattava di briciole.
Siete arrivati al Governo ed a consolidamento di bilancio 2001 si è avuto un taglio di 100 miliardi di vecchie lire, che risulta anche da una tabella fornitaci dal Ministero della pubblica istruzione. Mi è stato detto che lei avrebbe presentato un emendamento per la reintegrazione di questi fondi, ma di fatto ciò non è accaduto, perché in realtà questi 100 miliardi sono stati inseriti a debito nel 2002 e poi nel 2003. Con la vostra prima legge finanziaria c'è stato un incremento di 98 miliardi di vecchie lire, ma da allora non si è avuto alcun aumento dei finanziamenti diretti alle scuole paritarie, né è previsto fino al 2006, e le scuole paritarie stanno subendo conseguenze economiche negative dovute alla mancanza di nuovi fondi.
Alla fine della scorsa legislatura era stato consigliato alle scuole elementari che erano divenute paritarie di chiedere contemporaneamente sia la parità che la parifica, in modo da poter usufruire dei fondi. Noi finché siamo stati al Governo abbiamo firmato queste parifiche, poi lei ha emanato una circolare diretta ai dirigenti regionali, con la quale ha bloccato l'iter di tutte le pratiche perché non aveva fondi per pagare le ulteriori parifiche concesse alle scuole elementari; quindi, le ultime delibere sono state firmate dal ministro De Mauro e poi non ne sono state firmate più. Adesso, invece, leggo nella sua relazione che non applicherete l'articolo 7 della legge che, da questo momento, dovrebbe distinguere le scuole paritarie da quelle non paritarie; quindi, scomparendo le scuole parificate, il budget dovrebbe passare a tutte le scuole elementari paritarie, però voi non lo volete fare perché vi mancano i fondi.
Il problema è grave; non si può parlare così disinvoltamente di libertà di scelta educativa delle famiglie e quant'altro quando poi mancano i fondi necessari. Non mi si venga a dire che siamo in periodo di «vacche magre» perché lo Stato è come una famiglia: a fronte di determinate entrate, si fanno le scelte di spesa. È il caso quindi che questo Governo si decida ad adoperare una piccola parte del suo bilancio per salvare la scuola paritaria; sto parlando della scuola paritaria seria, non dei «diplomifici», che vanno a gonfie vele, mentre la maggior parte delle scuole paritarie, a meno che non siano in condizioni privilegiate di ambiente sociale, stanno chiudendo.
A conferma di ciò, porto l'esempio di mia nipote che frequenta la quinta elementare in una scuola di suore e sta cercando una scuola media dove andare, ma nel mio quartiere sono state chiuse 4-5 scuole gestite da religiose che non riuscivano più a sopravvivere economicamente. Il Governo deve dare un minimo segno di apprezzamento nei confronti del lavoro svolto dalle scuole paritarie, almeno da quelle serie, concedendo, nella prossima finanziaria, finanziamenti che diano loro la possibilità di sopravvivere; infatti, non chiedo che seguiate il trend della scorsa legislatura, ma che almeno ci sia un minimo di interesse per la scuola paritaria.
PIERA CAPITELLI. La relazione presentata dal ministro Moratti sullo stato di attuazione, dopo il triennio dall'entrata in vigore, della legge 10 marzo 2000, n. 62, che detta norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio, si pone come la doverosa verifica dei risultati realizzati nel suddetto periodo. Ma una lettura politica della relazione fa emergere anche una vera e propria politica di dilatazione interpretativa della legge n. 62 del 2000; una politica che si è manifestata con uno dei primi atti del Governo di
centrodestra: mi riferisco al caso Lombardia e al ritiro del ricorso presentato dal Governo precedente alla Corte costituzionale contro la legge sul diritto allo studio approvata in quella regione. Questo è stato il primo atto dal quale si intravede la volontà di dare un'interpretazione estensiva della legge sulla parità.
La relazione cerca di convalidare anche scelte recenti di carattere legislativo ed amministrativo che interpretano molto liberamente la legge di parità nei punti fondamentali intorno ai quali essa aveva realizzato, dopo uno stallo durato mezzo secolo, un avanzato equilibrio tra le diverse posizioni politiche e culturali presenti nel paese. Si tratta di modifiche che danno - come dicevo - un'interpretazione molto dilatata dell'articolo 33 della Costituzione; ricordo, infatti, che questo articolo non consente il finanziamento diretto delle scuole private ancorché paritarie.
La stessa relazione non ignora questo incontestabile dato di fatto - cioè l'articolo 33 - quando enumera le tipologie di intervento finanziario preesistenti nel settore delle scuole non statali, prima dell'approvazione della legge n. 62 del 2000; tuttavia, non riesce a giustificare le numerose scelte amministrative e legislative effettuate successivamente. Le tipologie di finanziamento preesistenti nella scuola dell'infanzia non risalgono, come si afferma nella relazione, al testo unico approvato con regio decreto n. 577 del 1928, ma alla legge n. 1073 del 1962 e alla legge n. 444 del 1968, poi confluite nel testo unico del 1994. Queste leggi prevedono contributi per le scuole non statali dell'infanzia - allora chiamate materne - in misura dipendente dall'accoglimento gratuito di alunni di disagiate condizioni economiche e/o dalla somministrazione a questi della mensa gratuita. Gli interventi finanziari per la scuola dell'infanzia, non indicati nella relazione come preesistenti alla legge n. 62 del 2000 e riguardanti l'erogazione di sussidi per il sistema prescolastico integrato, erano in realtà già stati approvati nella legge di bilancio per l'esercizio finanziario 2000, cioè prima dell'approvazione della legge di parità.
Per la scuola primaria, gli unici finanziamenti preesistenti alla legge di parità riguardavano le scuole parificate che stipulavano particolari convenzioni con le quali, fra l'altro, assumevano con l'amministrazione scolastica impegni in materia di accoglienza gratuita degli alunni, di organizzazione delle attività didattiche e di formazione delle classi. Per la scuola secondaria di primo e di secondo grado non erano mai stati previsti contributi di alcun tipo e solo per via amministrativa, prima nel 1998 e nel 1999 in relazione alla sperimentazione dell'autonomia scolastica, poi con la legge di bilancio del 2000, furono istituiti i capitoli 3691 e 3692 per sostenere particolari progetti di innovazione.
In sostanza la legge di parità, come conferma la stessa relazione, non ha previsto alcun finanziamento diretto per le scuole paritarie coerentemente con la norma costituzionale, cioè con l'articolo 33. Ciò - posso dirlo tranquillamente - perché il contributo di 280 miliardi di lire per la realizzazione del sistema prescolastico integrato e i 60 miliardi di lire per le scuole elementari parificate finanziano misure preesistenti alla legge di parità con caratteristiche di interventi per il diritto allo studio; quindi, interventi che vengono erogati ancora oggi a scuole cui non è richiesto il requisito della parità.
Di nuovo la legge sulla parità ha introdotto per tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie, al comma 9, l'erogazione di borse di studio di pari importo, per un ammontare di 300 miliardi di lire a decorrere dal 2001, a sostegno della spesa per l'istruzione sostenuta e documentata. Al comma 14 ha autorizzato, a decorrere dal 2000, la spesa di 7 miliardi di lire per assicurare interventi di sostegno previsti dalla legge n. 104 del 1992 per le istituzioni che accolgono alunni con handicap.
La relazione del tutto impropriamente inserisce al capitolo V, che riguarda i finanziamenti conseguenti all'entrata in vigore della legge n. 62 del 2000, quelle misure che la maggioranza di centrodestra ha realizzato in sede di leggi finanziarie o
per via puramente amministrativa. Tali finanziamenti si dovrebbero eventualmente iscrivere in un diverso capitolo, da istituirsi a seguito di modifiche esplicite - di carattere legislativo - alla legge n. 62 del 2000, ovviamente previa verifica costituzionale.
La relazione del ministro parla di coerente attuazione della legge n. 62 del 2000 ed evoca i principi costituzionali riaffermati dalla medesima legge e realizzati solo parzialmente. Non è così. In vari passaggi, la relazione sostiene la tesi secondo cui la legge n. 62 citata non realizza il dettato costituzionale dell'articolo 30 della Costituzione. Citando tale articolo e la libertà di scelta, tale relazione non ricorda che, in tanti anni di ricorsi alla Corte costituzionale, le uniche sentenze a più riprese emesse riguardavano l'intangibilità dell'interpretazione dell'articolo 33, intesa come divieto di finanziare direttamente le scuole non statali. Mai ci furono sentenze che spingessero a una revisione dell'articolo 30 della Costituzione.
Infine, vorrei precisare che la legge per la parità riconosce il carattere pubblico del servizio svolto dalle scuole paritarie e, contestualmente, prevede gli obblighi loro derivanti da tale status ma non il loro status di scuole pubbliche. Particolarmente rilevanti sono alcuni obblighi che lo status di scuola paritaria impone. Tra essi, quello dell'apertura a tutti e quello di prevedere attività extracurriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una determinata confessione religiosa. Di questi importanti obblighi delle scuole paritarie nella relazione non appare traccia.
Non si rileva peraltro, nel medesimo testo, neppure una adeguata valutazione circa l'assolvimento da parte delle scuole non statali dell'infanzia e delle scuole elementari parificate degli obblighi che le leggi preesistenti alla parità hanno stabilito come condizione per l'erogazione dei contributi. Credo di poter affermare che c'è un problema grave nel sistema ispettivo e che, probabilmente, c'è sempre stato. Però, in questi tre anni non si è fatto alcunché per rimediare. La legge di parità avrebbe dovuto rappresentare l'occasione per compiere una importante verifica circa l'efficacia del sistema ispettivo. Ciò non è avvenuto. Intanto, noi continuiamo a chiederci la ragione della mancata applicazione del trasferimento alle regioni di tale competenza, come stabilito dall'articolo 128, terzo comma, lettera c), del decreto legislativo n. 112 del 1997.
La relazione del ministro presenta come un naturale ed ovvio sviluppo della legge n. 62 del 2000 due provvedimenti approvati dal Governo di centrodestra che, invece, sono in contrasto con essa. In primo luogo, si tratta dell'articolo 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002 - la legge finanziaria per il 2003 - che ha avuto una discutibile applicazione con il decreto interministeriale n. 8177 del 28 agosto 2003. Tale norma di legge introduce un contributo alle famiglie versato direttamente alle scuole paritarie per un ammontare di 30 milioni di euro. L'articolo 2 si riferisce a tutti gli studenti delle scuole paritarie, ma il decreto interministeriale citato interpreta tale disposizione prevedendo che ne possano beneficiare, oltre alle scuole primarie non parificate, anche le scuole secondarie paritarie di primo grado e le prime classi delle scuole secondarie paritarie di secondo grado. Peraltro, la relazione ammette che tali scuole non erano previste quali destinatarie di finanziamenti in base alla legge n. 62 del 2000.
PIERA CAPITELLI. Il secondo provvedimento riguarda i finanziamenti alle scuole paritarie a norma della legge n. 440 del 1997. Se nella direttiva del 2001 si era verificata una utilizzazione della legge n. 440 per i finanziamenti alla formazione e all'aggiornamento del personale preposto alla direzione delle scuole paritarie, nella direttiva del 2002 e in quella del 2003 a tale voce si affiancano i finanziamenti diretti alle scuole per progetti destinati al miglioramento dell'offerta formativa. Anche queste misure non sono previste dalla legge di parità.
Molto interesse ha suscitato l'anticipazione sulla stampa di quella parte della relazione del ministro che, a proposito degli esami terminali della scuola secondaria superiore, denunciava il fenomeno della lievitazione del numero degli iscritti all'ultimo anno. Ho poco da dire in proposito perché, dopo l'esplosione dello scandalo e dopo l'intervento - corretto - nei confronti dei commercianti di titoli, credo che sia necessario osservare e analizzare adeguatamente le cause strutturali di tale situazione, che deve ricondursi anche, benché non esclusivamente, al mancato esercizio dei controlli da parte degli uffici nonché agli effetti della riforma degli esami di Stato. Quest'ultima, infatti, ha consentito alle scuole paritarie di accogliere candidati privatisti esterni ed ha eliminato i componenti esterni dalle commissioni di esame, riducendo il presidente ad una inutile propaggine burocratico-amministrativa. Credo che sulla questione degli esami di Stato si debba ritornare con una analisi a posteriori che sia critica anche in virtù di quanto è accaduto, per fare in modo che non si ripeta.
FABIO GARAGNANI. Ho ascoltato, oltre alla relazione del ministro, gli interventi dei colleghi e ho notato la diversità di approccio tra la collega Capitelli e il collega Volpini. Cito l'intervento del collega Volpini, in particolare, perché ho condiviso il suo appello accorato per la tutela delle scuole paritarie.
PIERA CAPITELLI. Mi posso associare a tale appello.
FABIO GARAGNANI. Non faccio un processo alle intenzioni, ma ho notato una diversità di tono e di approccio, non soltanto oggi ma anche in altre occasioni, rispetto alla concezione statalista espressa dalle colleghe del gruppo dei Democratici di sinistra, vale a dire dalla collega Capitelli, dalla collega Sasso e dalla collega Grignaffini. Come hanno ammesso, c'è una ovvia e logica prevalenza, all'interno della strategia dei Democratici di sinistra, della concezione statalista della scuola. Faccio riferimento agli interventi ascoltati nel corso della precedente seduta in cui si è svolta la prima parte di questa audizione.
Si tratta di essere coerenti e conseguenti perché non ci si può esimere - questa è solo una considerazione critica - dal trarne le conseguenze. Si può auspicare - ed anch'io auspico - giustamente e opportunamente un più deciso intervento dello Stato a tutela della scuola paritaria. Però, bisogna porsi anche il problema di riconoscere che lo Stato è intervenuto a favore della scuola statale colmando una serie di vuoti degli organici e facendosi carico di problemi che le minoranze continuano a negare. Lo Stato se ne è fatto carico anche in modo eccessivo e non intendo ribadire quanto pesi sul bilancio del Ministero dell'istruzione lo sforzo e l'investimento in personale docente, che pervade quasi tutta l'attività del Ministero impedendo di investire, ad esempio, in qualificazione dei progetti scolastici, in ricerca e così via.
Stendo un velo pietoso sulla selezione degli insegnanti, su come sono stati immessi in ruolo, in pratica su tutta una serie di indici che non depongono certamente a favore di tutto il corpo docente, poiché se buona parte di esso è preparato, su questo punto occorrerebbe dire di più. Tuttavia, c'è stato un serio impegno del Governo a favore della scuola statale. Non a caso la legge di riforma, la cosiddetta legge Moratti, dal ministro che l'ha proposta, è tutta imperniata su un deciso intervento a favore della scuola di Stato.
Venendo all'argomento oggetto della relazione del ministro, ho notato in tale relazione (ne ho parlato anche con i colleghi del gruppo di Forza Italia) un coraggio nel senso che il ministro si è sforzato di mettere a norma, registrare, attuare pienamente i principi fondamentali della legge n. 62 cercando però (questo è il punto di divaricazione fra noi e la minoranza di centrosinistra) di proiettarsi in avanti, tenendo conto dell'evoluzione della nostra società, della situazione politica europea e anche di un bisogno comunemente avvertito dall'opinione pubblica e molto diffuso: quello di una migliore
qualità degli studi e di favorire il diritto-dovere all'istruzione e, nel contempo, la libertà di scelta dei genitori.
La relazione si è fatta carico di queste esigenze ribadendo alcuni punti fermi, come l'unitarietà del sistema dell'istruzione e, nel contempo, ha anche sottolineato la libertà di scelta educativa e di insegnamento: mi pare un principio fondamentale che non è stato sufficientemente chiarito. Quando si parla di sistema unitario, di sistema pubblico, si parla di un sistema statale: ribadire la libertà di scelta educativa e di insegnamento è un principio che va incontro alle esigenze di gran parte dell'opinione pubblica.
PRESIDENTE. La legge sull'autonomia scolastica ribadisce questi principi.
FABIO GARAGNANI. Però si tratta di principi contenuti anche nella relazione del ministro. Mi permetta quindi di citare anche tale fonte.
Un altro punto fondamentale è il riconoscimento delle scuole statali paritarie, che esercitano una funzione pubblica, però attuando il principio di sussidiarietà, che è essenziale. Il riconoscimento di tale principio è qualcosa che, personalmente, ritengo si distanzi in meglio, in positivo da una mera applicazione, elaborazione dei principi fondamentali della legge n. 62, perché tale principio riconosce la preesistenza allo Stato di istituti, enti, formazioni che, ovviamente, hanno il diritto di esistere in quanto preesistono allo Stato che ne riconosce il ruolo: cioè non è lo Stato che li riconosce, ma sono essi che preesistono. Ritengo che questa affermazione sia estremamente significativa e pesante se vogliamo trarne le conseguenze (credo di poter parlare a nome di tutta la Casa delle libertà).
Un'altra affermazione che ribadisco è quella secondo cui le famiglie devono essere messe in condizione di esercitare il loro diritto-dovere di istruire ed educare i figli. A questo proposito si riconosce la validità dell'articolo 33 della Costituzione non tenendo conto della evoluzione della giurisprudenza, della dottrina, del sistema politico che ci governa; nel contempo, però, non si trae, da parte di qualche collega del centrosinistra, la conseguenza che discende da tale articolo nel suo significato più pregnante: il diritto-dovere di istruire ed educare i figli comprende anche la libertà di scelta della scuola. Questo punto ci sembra essenziale. Un sistema scolastico sarà veramente libero il giorno in cui si consentirà ai genitori questa libertà di scelta. Oggi viviamo in una situazione di monopolio pubblico, che piaccia o meno, storicamente formatasi nel corso degli anni, che comprime questa libertà di scelta perché, per ragioni di tutta evidenza, non si consente di scegliere in libertà, a causa innanzitutto dei costi economici. Ciò significa, evidentemente, non consentire una reale parità.
Rispondendo anche al collega Volpini, del quale condivido l'approccio culturale e molte altre affermazioni in questa sede, non è assolutamente vero che c'è stato un disimpegno da parte del Governo e della maggioranza nei confronti della scuola privata o paritaria. C'è stato, invece, un contributo alle famiglie in presenza di una situazione economica che, come ricordava il collega Volpini, ci paralizza in ogni possibilità di intervento, stanti il costo della scuola di Stato e gli enormi oneri complessivi ai quali, soltanto per pagare gli stipendi agli insegnanti di Stato, dobbiamo fare fronte. È chiaro che non si riesce a programmare un'attività seria e precisa sul territorio nazionale per quanto riguarda la scuola tout court. Dovremmo porci il problema di una migliore qualità degli studi.
Ritengo che una migliore qualità degli studi si avrà soltanto nel giorno in cui le famiglie saranno poste in condizione di scegliere in un sistema realmente integrato, dove pubblico e privato saranno in grado di competere e offrire al cittadino, utente e genitore, la possibilità di accedere al sistema di istruzione che ha raggiunto determinati livelli e che si è qualificato anche in riferimento al tipo di offerta culturale predisposta.
Sui «diplomifici» ritengo che la relazione del ministro sia stata chiara. Siamo
decisamente d'accordo nel condannare un certo tipo di scuola che tale non è ma che serve soltanto per accedere a certi livelli di istruzione. Ribadisco che le giuste critiche di molti colleghi a questo sistema scolastico dei «diplomifici», cioè modi molto spesso illeciti di ottenere un titolo di studio, dovrebbero però estendersi anche a tante scuole di Stato dove non è posta in essere la necessaria selezione, dove gli strumenti di promozione degli studenti lasciano alquanto a desiderare e dove l'accesso generalizzato alle classi successive avviene senza alcuna verifica: ci sono «diplomifici» anche in molte scuole statali in cui il concetto di selezione, severità, meritocrazia è pressoché scomparso, dove intere generazioni di docenti formatisi in un certo momento politico della nostra storia teorizzano, ancora oggi, la promozione indiscriminata per tutti. Anche su questo punto, dobbiamo misurarci per il ripristino di alcune condizioni necessarie.
Dobbiamo essere estremamente chiari sulla materia e occorrerebbero un deciso intervento e una migliore conoscenza per un utile confronto su questi temi. Ritengo che la relazione del ministro sia stata precisa e puntuale. Personalmente, penso che occorra andare oltre e, non a caso, abbiamo presentato con molti colleghi di Forza Italia una proposta che si fa carico dell'esigenza di ampliare il concetto di diritto allo studio e di parità, perché per Stato non si intende soltanto quest'ultimo ma anche le regioni e le province. Deve esservi, cioè, la possibilità per le regioni di governare il sistema dell'istruzione.
Nel momento in noi ci misuriamo con la legge n. 62 del 2000 non possiamo prescindere dalla legge n. 53 del 2003 e dall'approvazione della legge costituzionale del 2001. Il quadro normativo e istituzionale è mutato e noi dobbiamo prendere atto di questo mutamento nel momento in cui affrontiamo un dibattito sulla situazione dell'istruzione nella scuola paritaria. Non possiamo non riconoscere il ruolo rilevante che ormai hanno le regioni in materia, sul quale si sono soffermati molte volte il ministro Moratti ed il sottosegretario Aprea.
La legge n. 53 del 2003 parla del diritto-dovere all'istruzione e stabilisce che le famiglie devono essere messe nelle condizioni di esercitare il loro diritto-dovere di istruire ed educare i propri figli. Non possiamo sottovalutare il fatto che questo diritto-dovere oggi in Italia, almeno per i livelli essenziali, non è assolutamente riconosciuto perché esistono tra regione e regione situazioni profondamente divergenti. Infatti, si passa da interventi, come quello messo in atto dalla regione Lombardia, che addirittura superano il concetto di buono scuola, ad interventi che restringono nell'ambito pubblico questo diritto, come nel caso della Toscana e dell'Emilia Romagna. Altre regioni, pur riconoscendo il diritto-dovere all'istruzione, non ipotizzano assolutamente interventi in materia.
Partendo da questi presupposti, ritengo che, senza vincolare la libertà delle regioni, dobbiamo creare uno strumento che salvaguardi questo diritto-dovere all'istruzione e alla libertà di scelta educativa su tutto il territorio nazionale, partendo dalla legge n. 62 del 2000, che però ha mostrato evidenti limiti, in quanto non tiene conto dell'evoluzione delle regioni, che oggi hanno una competenza precisa, riconosciuta in termini espliciti. Non a caso si fa spesso riferimento alla regione Lombardia, ma è stata riconosciuta alle regioni, anche davanti alla Corte costituzionale, la piena competenza di normare gli interventi per il diritto allo studio in una cornice di tutela della libertà di scelta della famiglia, che va oltre il diritto allo studio stesso. In sostanza si tratta di andare oltre la situazione attuale, definendo un quadro normativo che tenga conto di questi cambiamenti.
Oggi vi è la necessità di garantire da un lato il diritto di scelta, dall'altro il miglioramento della qualità degli studi, che può essere assicurata soltanto da un sistema non mercantile, culturalmente competitivo, che affianchi scuole statali e non, ponendo la società in grado di scegliere. Soltanto in questo modo noi arricchiremo questa nostra società con una serie di proposte culturali che rispondano ad una
realtà in continuo cambiamento. Il diritto allo studio così com'era concepito negli anni settanta e ottanta, agli albori dell'istituzione delle regioni, è in fase di netto superamento. Oggi per diritto allo studio si intende non più l'assistenza all'handicap, la tutela dei non abbienti o la fornitura dei mezzi di trasporto, ma qualche cosa di più articolato, si intende un'assistenza integrale alle famiglie nel momento in cui intendono optare per una scelta educativa precisa. Questo concetto è stato applicato pienamente nelle regioni Veneto, Lombardia e Piemonte. Attualmente il diritto allo studio inteso in termini assistenziali non ha più ragione di essere, almeno nelle regioni del centro-nord, perché è stato completamente superato dalla realtà; oggi le famiglie chiedono qualcosa di ben più deciso, mentre probabilmente in certe regioni del meridione tale diritto è ancora agganciato all'interpretazione degli anni settanta. Tuttavia lo Stato non può prescindere da un livello minimo di intervento e dall'unitarietà di questi interventi.
A proposito della legge n. 62 del 2000, vorrei sottolineare che la discrezionalità meramente tecnica degli ispettori dello Stato deve salvaguardare rigorosamente l'autonomia educativa, perché il giorno che scomparisse questa autonomia educativa si andrebbe verso un sistema monocorde che imporrebbe a tutti un medesimo verbo senza il minimo pluralismo; ma credo che anche il ministro la pensi allo stesso modo e operi per applicare tale salvaguardia. Occorrono dei controlli per distinguere i «diplomifici», ma essi devono essere all'interno del quadro costituzionale, salvaguardando questa libertà di educazione. Anche in questo caso vi è un singolare paradosso, perché in un momento di autonomia scolastica, dove all'interno delle scuole di Stato si parla giustamente di salvaguardare l'autonomia del corpo docente, si vorrebbe comprimere questa autonomia nelle scuole private. Cerchiamo di essere coerenti anche in questo caso, altrimenti si rischia di instaurare una forma di giacobinismo di ritorno assolutamente da evitare.
Credo di avere esposto le riflessioni del gruppo di Forza Italia sulla materia. Ringrazio ancora il ministro Moratti ed il sottosegretario Aprea per la loro disponibilità e, soprattutto, per aver lasciato ampi spazi ad un'evoluzione del concetto di intervento statale in materia di parità scolastica che lascia ben sperare. Riconoscimenti che noi cerchiamo di tradurre nella realtà di ogni giorno, dei quali diamo atto volentieri.
PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, do ora la parola al ministro per la replica.
LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Innanzitutto, vorrei fare una riflessione sul tema delle verifiche, toccato da più commissari nel corso dei loro interventi. Credo sia importante distinguere i due momenti che riguardano la legge n. 62 del 2000. Il primo momento è quello contestuale alla sua adozione, gestito quindi nella precedente legislatura, in cui l'amministrazione ha affidato all'autocertificazione la parità, senza verifiche. Questa scelta, sicuramente determinata dalla volontà di dare immediata attuazione alla legge e, ovviamente, anche dalla difficoltà di reperire un numero adeguato di ispettori per poter concedere la parità a tutte le scuole che l'avevano richiesto, ha tuttavia creato dei problemi. Al riguardo, ricordo le cifre perché sono significative. Nel periodo 2000-2001 è stata riconosciuta la parità a 9 mila scuole, mentre dal 2001 al 2003 le scuole che hanno visto riconosciuta la parità sono passate da 9 mila a 13 mila; quindi il primo periodo è stato caratterizzato da un'entrata massiccia nel sistema unitario, con difficoltà da parte del Ministero di effettuare delle verifiche, tanto è vero che è passata la scelta dell'autoverifica.
Quando abbiamo assunto la responsabilità di Governo, abbiamo scelto di operare le verifiche sulle scuole che chiedevano la parità a partire dalla seconda metà del 2001. Da quel momento, in alcune regioni integralmente e in altre a
campione, sono state eseguite le verifiche per l'ammissione al sistema pubblico nazionale delle scuole paritarie.
Dal 2001 al 2003 è stata data priorità alla costruzione di una anagrafe nazionale delle scuole paritarie, che prima non esisteva. Questo rappresentava un ulteriore dato importante da ottenere. Si è poi toccato un altro aspetto relativo agli esami di maturità: al riguardo, sottolineo che il Ministero non ha mancato di attivare iniziative e misure volte a garantire l'esame di Stato; tuttavia, la legge n. 425 del 1997 ha previsto la possibilità di applicare disposizioni derogatorie, pertanto le soluzioni estensive non appariranno sempre in linea con il rigore che dovrebbe caratterizzare l'esame di Stato.
Abbiamo cercato di adottare un massiccio piano di visite ispettive, svolgendo controlli nel corso del 2001 e avvalendoci di 116 ispettori dell'amministrazione scolastica: a costoro sono state fornite linee guida cui attenersi, contenenti indicatori quantitativi e qualitativi, da tenere presente nell'esame e nella valutazione delle singole situazioni, con particolare riferimento al fenomeno degli «ottisti» e al caso del numero di esterni troppo elevato rispetto a quello degli interni, nell'esame di maturità (ipotesi sottolineate anche nella mia relazione). Queste situazioni di criticità sono anche state segnalate ai direttori regionali e peraltro ho provveduto ad evidenziarle nella relazione presentata al Parlamento. Ciò vale per gli anni scolastici 2001 e 2002.
Per l'anno scolastico 2003-2004, è stato predisposto un altro piano di vigilanza, finalizzato al controllo delle attività degli istituti paritari e delle scuole legalmente riconosciute. Vorrei sottolineare che, d'ora in avanti, procederemo a svolgere verifiche sistematiche sulla permanenza dei requisiti previsti dalla legge n. 62 per tutte le scuole paritarie e lo faremo a partire dalle scuole secondarie di secondo grado, dovendo individuare precise priorità di azione. Ove venisse riscontrato il mancato possesso dei requisiti previsti, si procederà alla revoca del riconoscimento della parità. Ciò avverrà in assoluta coerenza con i principi e i criteri stabiliti dalla disciplina vigente.
Nell'imminenza delle operazioni conclusive dell'anno scolastico, abbiamo rafforzato la vigilanza, impiegando 160 ispettori, solamente per svolgere il controllo degli esami di Stato e quindi per verificare la composizione dei maturandi in relazione alla commissione. Però, purtroppo, gli interventi correttivi apportati quest'anno dall'amministrazione, in alcune regioni sono stati vanificati da pronunce del TAR e del Consiglio di Stato; pertanto l'amministrazione si è trovata nell'impossibilità di far valere le regole rigorose nella composizione del numero di maturandi esterni, in relazione a quelli interni.
Quanto, poi, alle recenti vicende, anche giudiziarie, per assicurare il necessario rigore all'esame di Stato abbiamo costituito una commissione di indagine, interna al Ministero, con il compito di approfondire i profili più complessi e problematici della parità scolastica, formulare delle proposte di intervento, individuare le modifiche da apportare alla normativa vigente. Al termine dei lavori della commissione, sulla base dei dati che saranno emersi, si procederà all'assunzione delle misure necessarie, sospendendo o revocando il riconoscimento della parità, in particolare per porre fine al fenomeno dei «diplomifici» e assicurare il giusto riconoscimento alle scuole paritarie di qualità. Queste non meritano, infatti, di essere assimilate a scuole prive di quegli stessi requisiti. Ciò allo scopo di ottemperare a quella competizione culturale di qualità, appunto, di cui parlava l'onorevole Garagnani.
Oltre a queste misure, intendiamo porre rimedio alle anomalie emerse e alle criticità evidenziate nel corso delle ispezioni, nell'esercizio della vigilanza che abbiamo posto in essere, con interventi amministrativi o normativi, i quali dovranno prevedere: un numero minimo e massimo di studenti per classe; la frequenza obbligatoria dell'intero corso per poter sostenere l'esame come allievo di scuola paritaria (e questo anche per gli studenti
adulti); la media dell'otto negli ultimi due anni del regolare corso di studi, per poter accedere agli esami di Stato un anno prima; infine, la revisione delle deroga prevista dalla legge n. 425 del 1997, circa l'assegnazione dei candidati esistenti alle commissioni di esame, con criteri nuovi e più rigorosi, volti ad impedire la composizione di commissioni con numero troppo elevato di candidati privatisti.
Quanto agli altri temi affrontati, mi soffermerò in primo luogo sul problema dei finanziamenti. Vorrei precisare, in proposito, che la mia relazione non conteneva un esplicito riferimento alle risorse finanziarie erogate, non essendo richiesto dalla legge n. 62.
In ogni caso, in linea con l'intervento dell'onorevole Volpini, ciò che intendiamo fare è dare compiuta attuazione - compatibilmente con le risorse esistenti - a quanto previsto; in tal senso, abbiamo iniziato, conformemente alla legge n. 440, a concedere finanziamenti, come è stato ricordato, sia per la formazione degli insegnanti, sia per la realizzazione di progetti, ritenendo che il sistema di istruzione abbia un carattere unitario, a cui concorrono scuole statali e paritarie. Per questo motivo, dovremo dare attuazione alle norme vigenti, adottando tutti quei provvedimenti che siano riferiti all'intero sistema pubblico, composto da scuole statali e, appunto, paritarie.
Nel corso degli interventi che si sono susseguiti, si è svolta anche qualche riflessione sulla correttezza dei finanziamenti, facendo richiamo agli articoli della Costituzione. In merito a ciò, vorrei soltanto esprimere alcune considerazioni, richiamando anche le normative e il testo unico, già citato nella mia relazione. Ovviamente, ho sintetizzato per brevità, parlando del solo testo unico, perché questo riassume la situazione normativa pregressa. Per quanto riguarda il tema dei finanziamenti, reputo importante sottolineare che la legge sulla parità sancisce quanto già esisteva negli anni precedenti. Mi riferisco, cioè, a finanziamenti erogati a titolo diverso, e in forme e modalità differenti, riconosciuti a famiglie e a scuole rispetto ai vari articoli del dettato costituzionale. Non a caso nella mia relazione non ho richiamato solo l'articolo 33 della Costituzione, ma anche gli articoli 30 e 34; alla luce di ciò, la legge n. 62 rappresenta una tappa essenziale, la quale, però, non potrà prescindere dalle forme di finanziamento concesso negli anni precedenti.
In definitiva, possiamo sostenere che la legge n. 62 continui a finanziare quanto lo Stato già finanziava e che lo faccia aumentando i fondi e introducendo il pari diritto per le famiglie, nell'ambito del sistema nazionale di istruzione statale e paritario, di essere sostenute economicamente per le spese di istruzione. Abbiamo operato in questa linea, nel rispetto delle norme costituzionali, ampliando - attraverso la legge finanziaria - l'intervento a sostegno dei nuclei familiari che si avvalgano della scuola paritaria.
In ordine ai criteri su cui si è soffermato l'onorevole Volpini, abbiamo utilizzato quello reddituale, ovvero il sistema ha concepito gli interventi a partire dalle famiglie con un certo livello di reddito. Questo criterio, ovviamente, potrà essere superato, ma solo gradualmente, in funzione delle risorse.
Per quanto riguarda gli organi collegiali, la legge annovera tra i principi come requisiti la presenza di questi organi; quindi, il Governo ha posto in essere tutte le iniziative e gli accertamenti - avviati da tempo - finalizzati a verificare l'esistenza di tale requisito, la cui mancanza sarebbe fonte di revoca di parità.
In riferimento al problema posto dall'onorevole Volpini riguardante il diritto-dovere e l'obbligo scolastico, penso di poter affermare che leggendo l'articolo 1, comma 2 del decreto sul diritto-dovere i dubbi dovrebbero essere fugati, perché in questo articolo si parla esplicitamente di obbligo scolastico; quindi, credo che non possa più sussistere nessun dubbio su cosa si intende per diritto-dovere. Comunque nel decreto legislativo è tornata la definizione di «obbligo scolastico».
Per quanto riguarda il tema richiamato dall'onorevole Volpini concernente il rapporto tra vigilanza e incompatibilità, ovviamente
confermo che non può essere compatibile che un organo di vigilanza possa avere interessi in scuole paritarie; quindi verificheremo se esiste questa fattispecie e naturalmente prenderemo i provvedimenti necessari.
Riguardo ai finanziamenti, credo di aver già risposto all'onorevole Capitelli su tutti i temi riferiti a questo argomento, mentre vorrei precisare all'onorevole Volpini che i 100 miliardi che erano stati tagliati nel 2001 sono stati riassegnati nell'assestato del 2003.
A questo proposito voglio solo ricordare - senza entrare nei dettagli - la difficile situazione che noi abbiamo ereditato quando è iniziata la nostra attività di Governo e i debiti che abbiamo dovuto ripianare a causa del varo di leggi di spesa non coperte. Di queste ne potrei citare molte, ma accenno solo a due: la legge per i lavoratori socialmente utili, che aveva una copertura di spesa per 12 mesi e una convenzione per 60 mesi; la statizzazione di 70 mila bidelli che sono passati dai comuni allo Stato senza nessuna copertura. Tutto ciò ha portato il Ministero dell'istruzione ad avere un debito, ovviamente ripianato, che ha pesantemente nuociuto nell'ammodernamento del sistema, nella valorizzazione della qualità dell'offerta formativa e in tutte le azioni di Governo, ivi incluso il sostegno alla libertà di scelta e quindi un maggior impegno per le scuole paritarie, perché la situazione che abbiamo trovato ci ha tenuto impegnati, per tutti questi anni, a risanare una situazione debitoria onerosa.
Il primo debito ammontava a qualche miliardo di euro. Parliamo, quindi, di debiti molto sostanziosi e ritengo giusto rammentarlo, perché nello stesso momento in cui ci viene richiesto di impegnarci anche sul fronte delle scuole paritarie bisogna tener presente che noi abbiamo il dovere di occuparci di tutto il sistema che - come ricordava l'onorevole Garagnani - è un sistema gravoso, su cui la componente statale pesa per il 96 per cento circa delle risorse e comunque, in aggiunta a questa evidente destinazione che noi dobbiamo rispettare - perché credo che sia corretto -, abbiamo in più, purtroppo, l'onere di debiti che dobbiamo ovviamente onorare.
In conclusione vorrei ricordare che l'onorevole Garagnani ha toccato un argomento importante come quello del diritto allo studio, visto nella sua accezione anche di rapporto con il nuovo quadro istituzionale derivante dal titolo V della Costituzione. Ritengo che questo sia un tema sul quale dovremo lavorare di intesa con le regioni e anche in un'ottica - come ricordava l'onorevole Garagnani - non più di mera assistenza, ma di sostegno anche al merito. Ciò naturalmente vale sia per la scuola, sia per l'università.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Moratti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.25.