COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 12 febbraio 2004


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GUSTAVO SELVA

La seduta comincia alle 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Baccini, sulla situazione in Colombia ed in Venezuela.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Baccini, sulla situazione in Colombia ed in Venezuela.
Invito il signor sottosegretario ad illustrare la sua relazione.

MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per aver voluto dedicare questa audizione alla situazione di due paesi sudamericani ai quali siamo particolarmente vicini e che stanno attraversando, con aspetti e modalità diverse, un periodo cruciale per il loro sviluppo democratico. Una soluzione ai problemi che investono l'intera regione andina è essenziale per consolidare le istituzioni democratiche, combattere le organizzazioni criminali e il terrorismo internazionale.
Come dimostrato dalla recente operazione internazionale condotta dai Carabinieri, il terrorismo internazionale ha stabilito legami operativi con le organizzazioni criminali dedite al traffico di droga. Accanto ai problemi rappresentati dal narcotraffico, dalla criminalità e dalle sperequazioni sociali, la regione andina offre un'opportunità notevole per affermare la vocazione internazionale del nostro sistema-paese, per le sue risorse, per la ricchezza della sua biodiversità e per la volontà di integrazione e di collaborazione, riaffermata con la firma, il 15 dicembre a Villa Madama, dell'accordo di dialogo politico e cooperazione fra l'Unione europea e la comunità andina.
Per quanto riguarda la Colombia, nella giornata di ieri, 11 febbraio, il Presidente Uribe, accompagnato da una folta e qualificata delegazione, ha compiuto una visita di lavoro a Roma, dopo quella effettuata nel luglio 2002, prima ancora di assumere ufficialmente il mandato presidenziale. Da tempo, l'opinione pubblica ed il mondo politico italiani seguono l'evoluzione della situazione in Colombia. Speranze e preoccupazioni si sono alternate nel corso degli anni, in parallelo al succedersi degli avvenimenti. Tuttavia, l'attenzione italiana non è mai venuta meno. Non si tratta di una frase fatta, ma della constatazione di una realtà. La dichiarazione congiunta firmata alla vigilia delle elezioni politiche del 2001 dagli onorevoli Casini e Veltroni, per conto dei due schieramenti che si fronteggiavano, costituisce forse un unicum: i rappresentanti delle due coalizioni si impegnavano, infatti, a mantenere alto l'interesse dell'Italia verso la Colombia, indipendentemente da quello che sarebbe stato il risultato delle elezioni.


Pag. 4


Così è stato e la politica italiana verso quel paese non ha registrato cesure, fin dall'inserimento dell'Italia nel gruppo dei paesi facilitatori nel processo di pace iniziato dal Presidente Pastrana. Ne sono prova gli incontri e le visite, a diverso livello, che si sono susseguite in questi anni. A titolo di esempio, oltre alle visite a Roma del Presidente Uribe, citerò solamente i contatti fra il ministro degli esteri, signora Barco, ed il ministro Frattini in occasione sia dell'assemblea della Banca interamericana di sviluppo (BID), tenutasi a Milano nel marzo 2003, sia della cinquantottesima Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, in settembre. Particolarmente significativo è stato l'incontro organizzato a Cartagena il 24 e 25 aprile 2003, con la partecipazione, oltre che mia, in rappresentanza del Governo, di membri dei parlamenti dei due paesi e di funzionari ed esperti nei diversi settori, dall'economia alla cultura, dalla collaborazione culturale alla cooperazione decentrata.
L'interesse italiano per la Colombia deve andare oltre gli aspetti più tragici della realtà di questo paese che, giustamente e doverosamente, rimangono prioritari nella nostra azione per favorire una soluzione politica al conflitto interno fra il Governo e i gruppi armati illegali e prenderne in considerazione le grandi potenzialità economiche, lo straordinario patrimonio culturale e la grande tradizione nel campo delle relazioni internazionali. In Colombia vive ed opera anche una piccola ma assai attiva comunità italiana, che ha saputo pienamente inserirsi nella realtà locale.
L'Italia, al pari dell'Europa, vuole essere vicina alla Colombia. Non è nostro compito valutare le scelte del Governo di Bogotà. È nostro intendimento, invece, esprimere un convinto appoggio al presidente Uribe ed alla necessità che la Colombia ritrovi la via dello sviluppo e della pacificazione, in un quadro di pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Il conflitto interno ha profonde radici e i diversi gruppi armati hanno assunto forte radicamento in parti significative del territorio colombiano. I legami con il traffico internazionale di droghe sono stati resi evidenti dalla recente operazione che ha condotto al sequestro di un'ingente quantità di cocaina e a numerosi arresti, confermando la necessità di proseguire ed approfondire la collaborazione positivamente avviata con le visite compiute in Colombia dal direttore nazionale antimafia, Vigna.
Ricordo che l'Unione europea ha inserito le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (FARC) e le Autodefensas unidas de Colombia (AUC) fra i gruppi terroristici, proprio per il pericolo rappresentato da tali organizzazioni per la sicurezza internazionale. L'Italia, anche durante il semestre di Presidenza dell'Unione Europea, ha fornito un attivo contributo per rendere più coerente ed efficace il ruolo della comunità internazionale nel favorire una soluzione del conflitto interno colombiano.
L'esigenza di non far venire meno il sostegno internazionale alla Colombia è stata ribadita in occasione dell'incontro internazionale tenutosi a Londra, il 10 luglio 2003.
La dichiarazione finale, sottoscritta anche dal vicepresidente Santos, ribadisce che una soluzione alla crisi potrà essere trovata solamente nell'alveo del rafforzamento delle istituzioni, nel pieno rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani e con il coinvolgimento della società civile.
Tali principi sono alla base delle conclusioni adottate dal Consiglio relazioni esterne dell'Unione Europea il 26 gennaio, all'indomani della visita compiuta in Colombia dal commissario Patten, e continueranno a guidare la politica italiana, in piena sintonia con i partner europei, le Nazioni Unite e l'Organizzazione degli Stati Americani.
L'OSA, appunto, in applicazione di un accordo concluso il 23 dicembre 2003, assisterà il Governo colombiano nell'azione di smobilitazione, disarmo e reinserimento sociale degli ex appartenenti ai gruppi armati illegali. Ci muoviamo lungo molteplici direttrici, nella convinzione che gli sforzi in favore della Colombia possano


Pag. 5

e debbano essere realizzati non soltanto a livello bilaterale ma anche in contesti più ampi.
Abbiamo firmato a Cartagena un memorandum di intesa fra il nostro Ministero delle attività produttive ed il Ministero del commercio estero colombiano che si pone come obbiettivo la collaborazione bilaterale nel settore della micro, piccola e media impresa ed abbiamo dato impulso ad un negoziato per la conclusione di un accordo per la promozione e protezione degli investimenti.
Gli interventi della cooperazione italiana sono volti prioritariamente alla realizzazione di iniziative che sostengano la pace e favoriscano i processi di democratizzazione nel paese.
Un contributo pari a 1 milione di euro affidato all'UNICEF è stato approvato in favore di interventi di emergenza per bambini vittime di violenze.
Sul canale multilaterale è stato molto apprezzato il contributo di 17 milioni di euro concesso, dall'Italia, all'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta alla droga e al crimine, nel 1996, per programmi di lotta alla droga, da realizzarsi in vari paesi andini, mirato in particolare alla sostituzione delle coltivazioni di coca. La parte del contributo a favore della Colombia è stata di circa 15 milioni di euro per la realizzazione di 7 iniziative. Nel 2000 è stato finanziato un contributo volontario all'UNODC (Agenzia delle Nazioni Unite per la lotta alla droga e al crimine) di 1,2 milioni di dollari USA per un programma concernente la lotta alla droga in Colombia.
Nel luglio 2002, è stato approvato un contributo volontario di un milione di euro a favore dell'UNHCR per programmi di sostegno alle popolazioni colpite dal conflitto interno.
Sul canale dell'emergenza, è in corso un programma multisettoriale a favore della popolazione infantile, del valore di 1 milione di euro, alla cui realizzazione concorrono Movimondo e altre importanti ONG di settore. Sono inoltre attive, con propri programmi promossi, cofinanziati dalla direzione generale per un importo complessivo di 3,3 milioni di euro, tante organizzazioni non governative e organismi collaterali. Il COOPI, in particolare, ha ricevuto un contributo di 1,1 milioni di euro per l'istituzione ed il rafforzamento della Scuola di specializzazione latino-americana in cooperazione allo sviluppo, presso l'università San Buenaventura di Cartagena, in collaborazione con l'Università di Pavia.
Nel quadro della posizione assunta dall'Unione europea, che vuole sostenere il processo di pace in Colombia anche attraverso attività di cooperazione a condizione che vengano assicurati il coinvolgimento della società civile, trasparenza e sicurezza, è stata proposta al governo colombiano una linea di credito per le piccole e medie imprese, ispirata al modello realizzato in Argentina - caratterizzata, quindi, da una marcata valenza sociale e focalizzata sul tema dell'occupazione - per un importo di 15 milioni di euro. È in preparazione un'iniziativa con l'Organizzazione internazionale delle migrazioni per sostenere le politiche nazionali in favore dell'infanzia, in particolare attraverso progetti in favore degli ex bambini-soldato. Si prevede inoltre un accentuato impegno delle nostre ONG.
L'azione dell'Italia a sostegno del processo di pacificazione in Colombia si concretizza anche tramite contributi all'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) per la realizzazione di essenziali programmi di sminamento e alle Nazioni Unite per il funzionamento della missione in Colombia di James Lemoyne, rappresentante speciale del segretario generale Annan.
James Lemoyne è infatti incaricato di fornire i buoni uffici delle Nazioni Unite nella ricerca di una soluzione pacifica al confronto fra il governo e i gruppi armati, in particolare con le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (le FARC): l'ala più radicale e violenta della guerriglia, responsabile di attentati e sequestri, anche di personalità politiche fra cui figura la candidata presidenziale Ingrid Betancourt, detenuta dall'aprile 2002. La liberazione degli ostaggi, soprattutto se detenuti per ragioni «politiche», costituirebbe infatti


Pag. 6

un primo passo nel processo di pacificazione; richiamo al riguardo l'appello rinnovato dal Consiglio relazioni esterne del 26 gennaio.
L'apertura di un dialogo con alcuni gruppi paramilitari, grazie al decisivo contributo della Chiesa colombiana, a fronte di un sostanziale stallo nel processo di pace con la guerriglia delle FARC e dell'ELN, potrebbe avere conseguenze negative per il conseguimento degli obiettivi indicati dal presidente Uribe.
L'approvazione nel dicembre scorso di una legge anti-terrorismo che attribuisce alle forze armate poteri di polizia giudiziaria e la presentazione di una proposta di legge per un'ampia amnistia a favore dei paramilitari fanno sorgere preoccupazioni per il rispetto degli impegni assunti dal governo colombiano in materia di rispetto dei diritti umani e per la necessità che il processo di pacificazione sia globale e riguardi tutti i gruppi armati.
Sul piano dei rapporti commerciali, ci siamo adoperati in sede europea affinché non si creasse una discrasia tra la volontà di favorire colture alternative alla coca e politiche tese invece a chiudere il mercato alle importazioni proprio dei prodotti alternativi. I risultati conseguiti in materia di preferenze generalizzate ci sembrano importanti e continueremo ad operare con gli altri paesi europei e con la Commissione per venire incontro alle esigenze di Bogotà.
Si tratta di scelte compiute dal Governo italiano non certo casualmente, ma nel contesto di una precisa strategia politica. Aiutare la Colombia a svilupparsi e a superare le profonde disuguaglianze sociali che tuttora si registrano, significa ridurre lo spazio per coloro che hanno sostituito il dialogo con la violenza. Significa parimenti diminuire il rischio di conflittualità nell'intera regione. Significa infine aiutare migliaia di persone, intrappolate nel perverso circuito del narcotraffico, ad individuare forme di reddito alternative ed oneste, in grado di promuovere la propria condizione socio-economica ma anche lo sviluppo dell'intero paese.
L'Italia farà dunque la propria parte nella convinzione che il Governo colombiano saprà realizzare quelle riforme strutturali che risultano indispensabili per il progresso del paese. In occasione delle sua visita a Roma, il Presidente Uribe ha ricevuto la conferma che avremmo continuato ad aiutare la Colombia attraverso un'azione articolata dell'intero «sistema Italia», utilizzando tutti gli strumenti di cui disponiamo: politici, economici, culturali. È prova di tale volontà anche il memorandum di consultazioni politiche bilaterali firmato sempre a Cartagena con i colleghi colombiani, che conferma non soltanto l'ottimo stato delle relazioni bilaterali, ma anche il fatto che i nostri rapporti hanno ormai compiuto quel salto di qualità che li pone allo stesso livello di quelli intrattenuti con i principali paesi latino-americani.
Vorrei ora soffermarmi, signor presidente ed onorevoli colleghi della Commissione, sugli aspetti che riguardano il Venezuela. Nello scorso mese dì marzo, di fronte alla terza Commissione del Senato, illustrai quella che era e che continua ad essere la politica del Governo italiano nei confronti del grande paese latino americano. In tale circostanza, conclusi dicendo che l'Italia (al pari della comunità internazionale) doveva mantenere i riflettori puntati sul Venezuela. Ciò per due ordini di motivi: da un lato quello di evitare l'isolamento di una nazione che, mai come in questo momento, ha avuto bisogno del sostegno e dell'incoraggiamento dei paesi amici per superare una delle fasi più travagliate della propria storia recente; dall'altro, per creare un cordone di sicurezza a difesa dei nostri connazionali.
Esprimevo allora tali valutazioni, mentre il Venezuela usciva stremato dal lungo sciopero che ne aveva paralizzato le attività produttive e guardava con preoccupazione ad un futuro dai contorni ancora incerti. Io stesso, reduce da un viaggio appena effettuato a Caracas, evocavo l'immagine di un paese che rischiava di imboccare la tragica via della guerra civile.
Ebbene, le medesime valutazioni sono ancor più valide oggi, mentre il Venezuela


Pag. 7

sta affrontando un processo referendario dal cui svolgimento e dal cui esito dipende non soltanto il futuro del Presidente Chavez, ma il rispetto della democrazia e la stabilità del paese. A tale proposito desidero anche ricordare quanto segnalato dal sottosegretario Mantica allorquando, lo scorso 13 novembre, menzionava il fatto che l'Unione Europea, in sintonia con l'Organizzazione degli Stati Americani, aveva a più riprese ribadito la necessità che governo ed opposizione garantissero la puntuale esecuzione degli impegni sottoscritti.
Il Consiglio nazionale elettorale, organo ufficiale incaricato di organizzare e controllare la regolarità dei processi elettorali, sta esaminando le firme raccolte per la celebrazione dei referendum proposti dall'opposizione e dal Movimento V Repubblica, per la revoca del mandato del Presidente Chavez da un lato e, dall'altro, di parlamentari, governatori e sindaci eletti nelle fila dell'opposizione. Né il presidente Chavez, né l'opposizione sembrano in grado di disporre della forza necessaria per fermare il regolare svolgimento del processo referendario.
Se il Consiglio nazionale elettorale dichiarerà valide le firme raccolte dall'opposizione, il referendum revocatorio sarà celebrato. L'Organizzazione degli Stati Americani e il centro Carter hanno seguito la procedura della raccolta delle firme e stanno continuando a monitorare le procedure di controllo da parte del Consiglio nazionale elettorale, su esplicita richiesta dell'organismo venezuelano. Nei giorni dedicati alla raccolta delle firme per l'indizione del referendum per la revoca del mandato presidenziale, da venerdì 28 novembre a lunedì 1o dicembre, l'ambasciata si è mantenuta in diretto contatto con il Consiglio nazionale elettorale. La sostanziale regolarità della raccolta delle firme è stata attestata da tutti i cinquantadue osservatori internazionali ufficiali accreditati presso le autorità venezuelane. L'unico italiano fra loro, il senatore di Rifondazione comunista Luigi Marino (invitato dal partito di maggioranza Movimento V Repubblica-MVR), ha operato in continuo raccordo con l'ambasciata ed ha dichiarato di avere assistito ad un processo tranquillo, sereno e regolare. In termini analoghi si e espressa l'onorevole Romana Bianchi dei Democratici di sinistra, giunta a Caracas a titolo personale. L'ambasciata ha altresì svolto una opera informale di osservazione, e ha constatato come tutto si sia svolto in condizioni di sostanziale normalità.
Il suggello sulla correttezza dell'operazione di raccolta delle firme è giunto dal segretario generale dell'OSA. La Presidenza italiana aveva segnalato ai partner dell'Unione europea l'opportunità di contribuire all'osservazione della raccolta delle firme. Tuttavia, in mancanza di un invito delle autorità venezuelane, non è stato possibile istituire una missione ufficiale da parte dell'Unione europea, che è pronta ad assicurare, qualora richiesta, l'osservazione degli eventuali referendum o elezioni che si dovessero celebrare in Venezuela. La nostra ambasciata a Caracas e i nostri diplomatici svolgono un compito tanto delicato quanto essenziale. Delicato perché ad essi spetta l'esercizio di un'azione caratterizzata da un necessario equilibrio fra la salvaguardia di un rapporto intergovernativo tradizionalmente solido e le richieste di alcuni nostri connazionali per una linea italiana che, mi sembra, risulterebbe in controtendenza rispetto a quella della comunità internazionale. Tutti ci siamo riconosciuti nella richiesta dell'Organizzazione degli Stati Americani affinché la crisi venezuelana trovasse uno sbocco «costituzionale, democratico, pacifico ed elettorale». Tutti concordiamo sulla necessità di vigilare affinché ciò avvenga. La nostra ambasciata si adopera in tal senso attraverso contatti, oltre che con le autorità, con l'opposizione, con la Chiesa cattolica e con i media.
Segnalavo poc'anzi che il compito dei nostri diplomatici oltre ad essere delicato è essenziale. È grazie alla loro azione ed alla capacità di dialogare con governo ed opposizione che essi possono difendere gli interessi dell'Italia. Interessi che devono essere intesi non solo per quanto riguarda i nostri interessi economici, ma anche con


Pag. 8

riferimento alla tutela della comunità italiana. Ricordo, a tale proposito, che anche a seguito della mia missione in Venezuela, il Ministero degli affari esteri, attraverso i consolati di Caracas e Maracaibo ha messo a disposizione 814 mila euro di aiuti diretti per i connazionali ivi residenti. Ulteriori 220 mila euro di aiuti indiretti sono stati erogati attraverso enti privati e di assistenza.
Quanto alla presenza in Venezuela di migliaia di cittadini cubani, si tratta di un fenomeno la cui portata appare di difficile valutazione, come aveva già segnalato il collega Mantica. Le notizie circa il numero e l'impiego di personale cubano rimangono essenzialmente di fonte giornalistica e le cifre riportate da alcuni organi di stampa venezuelani non sono compatibili con le capacità di trasporto dei vettori aerei e navali fra Cuba e il Venezuela. È innegabile l'ascendente esercitato dalla figura di Castro sul presidente Chavez, come la presenza di medici cubani nell'esecuzione di programmi di medicina sociale promossi dal Governo venezuelano.
Questo non si traduce in una pedissequa adesione da parte del presidente del Venezuela al modello socio-politico di Cuba. Gli obiettivi di politica estera dichiarati dal presidente Chavez consistono nella creazione con Brasile ed Argentina, di un «asse progressista» dell'America latina, che affermi principi di giustizia sociale e di rifiuto dei metodi neoliberisti, soprattutto nell'ambito dei negoziati commerciali e in chiave antagonistica rispetto agli Stati Uniti.
Potremo verificare nei prossimi mesi, dopo le riunioni che il Venezuela ospiterà del G20 e del vertice a tre con Brasile ed Argentina, fino a che punto le aspirazioni venezuelane corrispondano agli interessi degli altri paesi latino-americani. La dipendenza dell'economia venezuelana dalle esportazioni di petrolio, e la necessità di continuare ad attrarre gli investimenti stranieri per l'adeguamento delle infrastrutture e la ripresa della produzione dopo la drammatica crisi dello scorso anno costituiscono fattori non eludibili. Le riserve valutarie del Venezuela sono solide al punto da coprire ampiamente il servizio del debito estero del paese e le esportazioni di prodotti petroliferi sono riprese su livelli sostenuti.
L'Italia continuerà ad adoperarsi per favorire una soluzione della crisi venezuelana secondo quanto indicato dall'OSA e attraverso un'azione equilibrata così come ha sinora fatto. Non è infatti ipotizzabile poter operare in maniera diversa, pena da un lato essere facile oggetto di accuse di ingerenza e dall'altro perdere quella capacità di azione che consente ad ogni ambasciata di difendere gli interessi del proprio paese, delle proprie società, dei propri connazionali.
Si tratta in definitiva di una scelta politica e strategica, che, qualora non correttamente perseguita, potrebbe risultare foriera di ulteriori e ben più gravi conseguenze. Il Governo conferma ancora una volta il proprio impegno a continuare ad operare affinché sia possibile disporre di un sempre più preciso ed approfondito quadro informativo sull'evoluzione della situazione venezuelana, nell'interesse dei nostri connazionali ma, più in generale, nell'interesse dell'intero paese.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario per il suo ampio intervento. Cedo quindi la parola ai colleghi per eventuali domande.

MARCO ZACCHERA. Signor presidente e signor sottosegretario, grazie per questa relazione ampia ed organica. Sono soddisfatto per il fatto che nelle ultime settimane ci si è occupati frequentemente di quest'area meritevole di attenzione da parte della nostra Commissione. Mi si consenta, però, di soffermarmi particolarmente sulla vicenda venezuelana, considerato che quanto è stato osservato a proposito della Colombia mi trova assolutamente d'accordo: mi auguro solo che gli sforzi del Governo nel senso illustrato possano continuare. Quanto al Venezuela, ritengo necessario dividere in due trattazioni gli aspetti più rilevanti della questione. Una parte del problema investe profili di carattere politico, un'altra, invece,


Pag. 9

tocca più direttamente la nostra comunità di italo-venezuelani, intendendo per essi non quelli di discendenza italiana ma semplicemente coloro che hanno mantenuto la cittadinanza o hanno riacquistato la stessa. Partiamo da quest'ultimo punto.
Indipendentemente dalla situazione politica, viene segnalato da fonti dirette un rapido degrado dell'andamento dell'economia venezuelana con conseguenti problemi per la nostra comunità. Si tratta di italiani trasferiti in quel paese da molti anni; è una comunità non gravata precedentemente da problemi economici, e che si è invece ritrovata in grosse difficoltà finanziarie, mentre vede una rete consolare notevolmente ridotta dal punto di vista delle forze in campo. In tal senso, la prima segnalazione che faccio al Governo riguarda proprio la necessità di ampliare l'organico degli uffici consolari, per poter affrontare una situazione di rilievo.
Dobbiamo anche tener conto che, seppur in scala minore, si sta verificando analoga situazione in Argentina, ove si assiste al moltiplicarsi richieste di recupero della cittadinanza italiana per poter rientrare nel nostro paese oppure spostarsi negli Stati Uniti, lasciando un territorio con notevoli difficoltà.
Mi si segnala che al nostro consolato generale a Caracas i tempi d'attesa per essere ricevuti sono di molti mesi. Pare che, nei giorni scorsi, fosse affisso un cartello che invitava a tornare nel mese di agosto (solo per prendere il numero per colloquiare).
A mio parere, sarebbe, dunque, necessario un rinforzo straordinario.
In secondo luogo, vi è l'aspetto economico. Non solo iniziative di carattere governativo, ma anche di carattere umanitario, tentano di offrire un aiuto al Venezuela. Se si tiene conto che si tratta (come abbiamo appreso oggi) di un investimento di circa un milione di euro verso una comunità di circa 200 mila persone (ovviamente, non tutte delle quali in situazione di bisogno), la cifra è molto limitata.
Anche in tal senso, mi domando se non sia necessario un intervento di carattere straordinario per il Venezuela. Ciò anche perché si tratta di comunità italiane stabilite da tempo sul luogo e di persone anziane con un maggior bisogno di assistenza. Rivolgo, su tale tema, un sollecito al Governo.
Per quanto riguarda, invece, l'aspetto politico ed il referendum, quest'ultimo si è tenuto, sostanzialmente nella calma, nel mese di novembre. Abbiamo tentato di disporre della maggior quantità di notizie possibili. Lei stesso, signor sottosegretario, ha affermato che 52 osservatori internazionali hanno riscontrato che le operazioni elettorali si sono svolte correttamente.
Tengo a precisare che ciò è stato compiuto nonostante (a quanto mi risulta) un forte boicottaggio da parte del governo venezuelano, che, ovviamente, non è molto contento del fatto che si raccolgano firme contro il proprio presidente.
In ogni caso, a distanza di tre mesi, non si conosce ancora il numero di firme raccolte. Proprio in questi giorni si sarebbe dovuta avere, finalmente, una formale presa d'atto. La soglia di 2 milioni e 400 mila firme (ne risulterebbero raccolte 3 milioni 450 mila) sarebbe stata raggiunta. Questa notte ho ricevuto via e-mail la comunicazione secondo cui molte firme, controllate e verificate, sarebbero state annullate, poiché (nonostante la firma e l'impronta digitale) non sarebbe la stessa mano ad aver scritto i dati anagrafici delle persone, nella parte anteriore del foglio.
Non so chi possa aver ragione. È chiaro che è difficile affermare che più di un milione di firme (su un totale - ripeto - di 3 milioni 450 mila) sarebbero invalide, tali da far scendere il numero dei voti validi sotto il quorum dei 2 milioni e 400 mila.
Faccio presente che, non più tardi di 5 giorni fa, la procuratrice generale della repubblica, Marisol Plaza, ha dichiarato (la notizia è stata ripresa da tutti i mezzi di comunicazione) che «le leggi e la Costituzione saranno interpretate in accordo con il pensiero e gli interessi della rivoluzione».


Pag. 10


Tali frasi lasciano a bocca aperta. Chi, infatti, riveste la carica di procuratrice generale della repubblica dovrebbe limitarsi a fare applicare la legge e non interpretare la legge stessa «in accordo con il pensiero ed gli interessi della rivoluzione».
È notizia di ieri: il ministro Diosdado Cabello, uno degli uomini più fedeli a Chavez (anche lui, un ex militare, condannato per insurrezione armata e, poi, graziato) dichiarava che, anche qualora l'opposizione raggiungesse il tetto delle 2 milioni e 500 mila firme, esse non saranno comunque sufficienti, poiché il tetto stesso (e la norma precedentemente stabilita, del venti per cento del corpo elettorale) non può essere preso in considerazione.
Sono fatti preoccupanti che, mi auguro, saranno ben monitorati dalle organizzazioni internazionali, per evitare che le manifestazioni, previste per la giornata di sabato, da parte delle opposizioni, non degenerino in scontri simili a quelli dello scorso anno.
È evidente che, a distanza di tre mesi, sapere quante firme siano state raccolte è essenziale per capire quali soluzioni siano da adottare per il futuro.
Come italiani, non dobbiamo interferire nei problemi interni di una nazione, ma dobbiamo fare di tutto affinché le nazioni (ciò vale anche per la Colombia) restino, per quanto possibile, all'interno di un alveo democratico, in cui tutte le forze possano esprimersi, scegliendo il regime che preferiscono (purché, naturalmente, alla fine di un certo periodo, si abbia il controllo dell'elettorato su tale regime).
Mi rendo anche conto che il Venezuela è un partner importante per noi. Come si è letto sui giornali, la scorsa settimana, l'ENI ha sottoscritto un importante contratto per lo sviluppo petrolifero, anche a vantaggio delle imprese italiane.
Non possiamo, dunque, non tenere conto di tale real Politik. Ritengo, tuttavia, che la real Politik debba essere conciliata con il mantenimento dei principi democratici.
Trovo, pertanto, che la soluzione indicata dal Governo sia quella più giusta: non ingerenza, ma controllo (e - aggiungo io - immediata denuncia internazionale, qualora fossero provate determinate situazioni contrastanti con la legge o le norme internazionali).
Non desidero che il Venezuela sia isolato. Al contrario, l'Italia deve stringere rapporti con tale paese, poiché sappiamo che essi sarebbero un ottima «rete» per tenere insieme una nazione così importante del Sudamerica.
Non possiamo, però, chiudere gli occhi, quando ci accorgiamo di fatti non accettabili. Non vi è dubbio che alcune iniziative del Presidente Chavez siano censurabili (ne abbiamo già parlato, le conoscono sia il sottosegretario, sia l'ambasciatore: chiusura dei canali di opposizione, sequestro di rotative di giornali, impossibilità di una libera manifestazione del voto e boicottaggio per la raccolta delle firme).
Concludendo, ritengo che sia nostro interesse - ripeto, pur nella non ingerenza nelle questioni interne di un paese sovrano - dimostrare che l'Italia è molto attenta alla situazione di tale paese, anche perché collegata ad una crisi generale dell'area.
Sottolineo, da ultimo, l'importanza di un aiuto particolare in favore della nostra comunità, per permettere a chi voglia tornare ad avere la cittadinanza italiana, di ottenerla.

RAMON MANTOVANI. Ringrazio il sottosegretario e l'ambasciatore. Onorevole Baccini, si tratta di un ringraziamento non formale, perché considero la sua relazione sulla situazione in Colombia e in Venezuela sostanzialmente corretta dal punto di vista del Governo.
In particolare, ne apprezzo l'equilibrio su alcuni punti controversi e fondamentali. Tuttavia, a me compete parlare di questioni che lei non ha menzionato (immagino le abbia omesse nel suo discorso per prudenza diplomatica o, forse, per sottovalutazione) e su cui le rivolgerò alcune domande.
Vi sono questioni che, invece, non mi trovano d'accordo. Solleverò anch'esse, nel corso del mio intervento.


Pag. 11


Per quanto riguarda la Colombia, lei, sottosegretario Baccini, non ha fornito a questa Commissione un giudizio sull'andamento della situazione politica interna e sulla stabilità del governo di tale paese. Il Governo Uribe ha vissuto una fibrillazione molto grave, in tempi molto recenti. Vi sono stati - se non erro - cinque ministri che si sono dimessi dalla propria carica, alcuni dei quali in aperta e polemica contraddizione con il presidente.
Il governo aveva indetto un referendum, modificando la legge. Che differenza, onorevole Zacchera, tra il Venezuela e la Colombia! In Venezuela vi è un signore, accusato di essere antidemocratico, che modifica la legge e la Costituzione, prevedendo la possibilità di revocare lui stesso dal mandato di presidente...

MARCO ZACCHERA. Se lascia fare il referendum!

RAMON MANTOVANI. Questa è un'affermazione del tutto infondata!
In Colombia vi è un presidente che stabilisce che un provvedimento economico che riguarda i singoli cittadini e le imprese possa essere confermato con solamente il 25 per cento dei votanti. Egli impone tale referendum e non ottiene nemmeno il quorum del 25 per cento dei votanti.
Sono state celebrate le importantissime elezioni nella capitale dello Stato e, per la prima volta, in Colombia un uomo della sinistra, candidato alla presidenza assieme ad Uribe (che ha raccolto il 5 per cento dei voti), ha stravinto le elezioni della capitale, Bogotà, che, come è noto, rappresenta il secondo pilastro fondamentale del paese, dopo quello del governo nazionale.
Non credo che il Governo vorrà esprimere giudizi su tali questioni. Lo farò io, per la mia parte, perché ho il diritto e anche il dovere di esprimere opinioni.
La Colombia non presenta soltanto una normale vita politica. Questo è un punto sul quale non sono d'accordo. Se il governo Pastrana aveva deciso di tentare quella soluzione politica che lei stesso auspica, sottosegretario Baccini, a nome del Governo italiano, significa che, perlomeno, aveva riconosciuto una situazione di fatto inconfutabile e, cioè, che le Colombia è dilaniata da una guerra civile che dura da quarant'anni. In Colombia, non siamo in presenza di un gruppo terroristico - secondo la definizione con cui il presidente Uribe indica i gruppi armati della guerriglia - che compie stragi e agisce nella clandestinità. Non è così. In Colombia, c'è un conflitto armato da quarant'anni e ci sono stati numerosi tentativi di avviare un processo di pace. Lo ricordo, perché non tutti i colleghi, probabilmente, conoscono alla perfezione queste cose. Con le FARC, nel 1985, già si svolse un processo di pace, che permise la costituzione di una forza politica che si presentò alle elezioni e riportò risultati, per così dire, lusinghieri ottenendo, in numerose città, la responsabilità delle amministrazioni locali ed eleggendo gruppi parlamentari significativi, sia al Senato, sia alla Camera.
Onorevole Baccini, lei appartiene ad un partito politico italiano, come l'onorevole Zacchera e come tutti noi. In due anni, secondo i dati dello Stato, non secondo i dati presentati dalle vittime, furono uccisi 2 mila 500 dirigenti politici di quel partito (definiamolo partito, anche se si trattava di qualcosa di diverso, di un movimento, di una coalizione di forze che si chiamava Unione patriottica), a partire dal candidato alla presidenza e proseguendo con i deputati, i senatori, i dirigenti politici, i sindaci e i consiglieri comunali. Se uno dei partiti ai quali appartenete, in Italia, subisse attentati che comportassero l'uccisione di 2 mila 500 dirigenti, a cominciare dai parlamentari, non so se parlereste di Stato democratico.
Nel corso della visita compiuta da una delegazione della Commissione affari esteri e comunitari, guidata dal presidente Selva - spero che la ricordi - un responsabile del governo colombiano per la questione dei diritti umani, di fronte ai componenti della nostra Commissione, ha dichiarato che, all'epoca cui ho fatto riferimento, lo Stato concluse un patto con i paramilitari in base al quale questi ultimi


Pag. 12

avrebbero potuto effettuare traffici di droga e in cambio avrebbero dovuto uccidere i rappresentanti dell'opposizione. Questa è una dichiarazione resa dinanzi al collega Bianchi, al collega Rivolta e al collega Malgieri, da un rappresentante del Governo di Uribe. Faccio questa precisazione, perché, altrimenti, non si sa di che cosa si stia parlando e quale paese si stia descrivendo.
Quella strage non si è fermata e continua tutt'oggi. È di qualche giorno fa l'omicidio, nella sua abitazione in un piccolo centro vicino a Bogotà, di un dirigente comunista. Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui diritti umani, che si svolge presso l'omonimo Comitato di questa Commissione, ha reso una deposizione un responsabile della associazione degli avvocati e dei giuristi che si occupano di diritti umani. Si tratta di persona amica. Ha evitato di riferircelo direttamente - in quanto restio a parlare di questo - ma suo fratello, giurista e avvocato, dopo essere stato fermato dalla polizia, è scomparso, un anno e mezzo fa. Non se ne è avuta più alcuna notizia né traccia. Conosco numerosi esuli che sono impossibilitati a tornare in Colombia. Le AUC, le Autodefensas unidas de Colombia, cioè quei paramilitari che furono creati dallo Stato e che spesso sono nient'altro che militari che cambiano casacca e, nelle zone in cui operano i contingenti militari, agiscono sotto mentite spoglie, vale a dire come paramilitari, hanno la responsabilità, secondo tutte le stime realizzate da Amnesty international e dalle altre organizzazioni che si occupano di diritti umani, di oltre il 90 per cento delle stragi e delle uccisioni di civili in Colombia.
La guerriglia non è adusa a compiere attentati e stragi tra la popolazione civile. Naturalmente, anche la guerriglia ha gravi responsabilità sulla violazione dei diritti umani e compie misfatti. Non ho dubbio in merito. Però, stranamente, il presidente Pastrana, il quale aveva dichiarato solennemente di volere un processo di pace con l'organizzazione delle FARC e con quella dell'ELN, peraltro intavolando due tavoli di pace separati, dichiarò categoricamente che era impossibile avviare qualsiasi negoziato politico con le AUC, considerate organizzazione di narcotrafficanti e di terroristi (quelle sì!), in quanto dedite all'eliminazione fisica degli oppositori e alla eliminazione fisica di interi villaggi, per impossessarsi delle terre da destinare alla produzione di coca. Con uno splendido provvedimento del presidente Uribe, queste terre, che le AUC, nel corso di vent'anni, hanno conquistato compiendo stragi e mettendo in fuga i civili, saranno consegnate a questi signori.
È strano che alcune delle cose da lei affermate, signor sottosegretario, fossero esattamente nell'agenda del processo di pace. La sostituzione delle coltivazioni fu una proposta della guerriglia, sia dell'ELN sia delle FARC, in tutti e due i tavoli del negoziato. Anzi, le FARC proposero che si celebrasse una conferenza, alla presenza della comunità internazionale, affinché il governo colombiano - da questo punto di vista, le FARC erano pronte ad assumersi le loro responsabilità, perlomeno nei territori che furono smilitarizzati e che erano controllati direttamente da questa organizzazione - procedesse subito alla sostituzione delle coltivazioni.
Naturalmente, i contadini chiedevano che non fossero sottovalutati i problemi delle coltivazioni di prodotti sicuramente molto meno remunerativi della coca. Il Governo colombiano, a pochi giorni dalla celebrazione di quella conferenza, addusse il pretesto del compimento di un attentato attribuito alle FARC; circostanza della quale, quando riallacciò il dialogo, dovette scusarsi in quanto era provato che non fosse un attentato compiuto da detto gruppo. Tuttavia, in un paese dove si verificano uccisioni ed attentati, praticamente, tutti i giorni, il governo, pochi giorni prima della conferenza internazionale, interruppe il dialogo. La scadenza venne perciò posticipata e si celebrò poi, ormai a ridosso della fine, sostanzialmente, del processo di pace, ed in tono minore.
Guardi, davvero potrei proseguire a lungo; ma ritengo di poter concludere il mio intervento sulla questione della Colombia


Pag. 13

ponendole ancora una domanda. Apprezzo che lei ritenga necessaria una soluzione politica; considero la sua dichiarazione una affermazione di buonsenso. Il Governo Uribe, che ha proclamato, in pompa magna, di voler risolvere il problema, in realtà lo ha addirittura accresciuto. Il reclutamento di un milione di cittadini affinché facciano i delatori, le spie, gli informatori stipendiati, non funziona. Quanto lei denuncia come un problema che preoccupa l'Unione europea - ovvero, l'attribuzione di poteri di polizia giudiziaria all'esercito - non avrà efficacia in quanto quel conflitto non è (diversamente da quanto, invece, Uribe sostiene) tra bande di criminali. È un conflitto che affonda le sue radici in una profonda ingiustizia esistente nel paese e che, naturalmente, si contamina con la questione del narcotraffico. Ma è curioso, veramente curioso, che chi è stato sindaco di Medellin, quando operava il cartello di Pablo Escobar, chi è stato responsabile dell'aviazione civile ed ha firmato, di suo pugno, l'autorizzazione per decine di aeroporti, nella selva e nelle zone di produzione della coca, per scopi di trasporto di merci, ovvero l'attuale Presidente della Colombia Uribe, si erga a paladino della lotta contro il narcotraffico.
Il ministro dell'interno, anche lui grande paladino della lotta contro il narcotraffico - ora, ex ministro, in quanto dimessosi -, ebbene, secondo quanto risulta dal fascicolo datoci dalla Camera dei deputati quando ci siamo recati in Colombia, è un avvocato che, nella sua carriera, ha spesso difeso i narcotrafficanti. Ex ministro dell'interno...
Quindi, con estrema sincerità, vorrei chiarire come non mi trovi in questa sede per affermare che in Colombia vi siano santi e demoni: se vi sono demoni, demoni lo sono tutti; se, infatti, esiste un solo colombiano che, anche solo indirettamente, non abbia, per così dire, nulla a che vedere con il traffico della droga e con i relativi proventi, vorrei conoscerlo. L'intera economia colombiana è segnata da tale attività, che è di gran lunga l'industria principale del paese. Ma che si voglia confondere il problema del conflitto armato, della guerra civile che insanguina la nazione da quarant'anni con la lotta al narcotraffico - in tale senso, si è espresso irresponsabilmente il signor Vigna; un irresponsabile, che non sa neanche di cosa parla - è un'operazione sporca, che favorisce i veri narcotrafficanti.
Vorrei far notare che, peraltro, sicuramente la guerriglia ha delle connessioni: a tale riguardo, le due sigle dichiarano di non averne con il traffico; piuttosto, tasserebbero la produzione di coca esattamente come fanno - secondo il governo, illegalmente - con quella del caffè, delle banane o petrolifera. Però, il fior fiore dei rappresentanti dei governi precedenti sono stati incriminati per narcotraffico, a cominciare dal presidente Samper: anche lui era un grande combattente contro il narcotraffico. Oggi, non può mettere piede negli Stati Uniti perché è accusato di essere un narcotrafficante. Non solo; anche importanti diplomatici statunitensi a Bogotà sono stati implicati nel narcotraffico; peraltro, aerei militari dell'esercito colombiano sono stati sorpresi a trasportare ingenti quantitativi di cocaina a Miami. Che tutti costoro vogliano, per così dire, fare la predica sul come si conduce la lotta al narcotraffico è piuttosto significativo.
Aggiungo solo questo, che non vi è alcuna alternativa al negoziato politico e, tuttavia, la politica del presidente Uribe si pone su una linea di guerra. L'unico negoziato è stato realizzato con i terroristi; ma lo ha stretto con se stesso, in quanto è lui il terrorista.
Voglio essere chiaro, sottosegretario; lei sa anche quanto alcune vicende mi stiano a cuore. Mi riferisco in particolare alla vicenda dei sequestrati; come è a lei noto, il governo colombiano ha preso una posizione. Sarebbe pronto - anzi, lo proporrebbe addirittura - a negoziare l'eventuale liberazione di ostaggi, per motivi umanitari, all'estero (anche Roma avrebbe potuto essere sede del negoziato); le FARC avevano una diversa posizione, chiedendo che il negoziato avvenisse in Colombia;


Pag. 14

l'ELN, un'altra ancora, in base alla quale hanno, infatti, avviato un negoziato all'estero, poi interrottosi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE UMBERTO RANIERI

RAMON MANTOVANI. Ritengo che ad un certo punto le FARC abbiano cambiato opinione; hanno deciso di stabilire contatti per la liberazione della signora Betancourt, il che avrebbe poi aperto la strada alla liberazione, per motivi umanitari, di altri ostaggi. Hanno inviato un loro rappresentante, peraltro membro del tavolo del negoziato di pace e noto ai colleghi italiani che sono stati, nella scorsa legislatura, membri della ricordata delegazione in Colombia (era, infatti, uno dei nostri interlocutori). Ebbene, con una operazione condotta dai servizi e dalla polizia colombiana, il comandante delle FARC, inviato per avere un contatto con le Nazione Unite e con il governo francese, è stato arrestato - o, per meglio dire, sequestrato in territorio non colombiano - e tradotto in carcere in Colombia. Dunque, manca una vera intenzione del governo di procedere ad una trattativa qualsiasi per ottenere la liberazione della signora Betancourt; la famiglia, infatti, sostiene che il governo non ha tale intenzione.
A mio avviso, la guerriglia ha tutto l'interesse a liberare ostaggi per motivi umanitari; lo ha già fatto. Per mantenere in vita il processo di pace, il Governo Pastrana chiese una dimostrazione di volontà; le FARC, se ricordo bene, avevano in ostaggio 560-570 prigionieri dell'esercito e della polizia colombiane: ne liberarono 500, unilateralmente. Alla cerimonia di liberazione, fu invitato il Governo italiano e l'allora ambasciatore Scauso si recò sul posto; i 500 ostaggi, soprattutto militari dell'esercito, furono liberati con grande clamore e sotto le telecamere di tutte le televisioni del mondo. In cambio, le FARC chiesero l'approvazione di una legge - che, peraltro, in Colombia era stata discussa sia al Senato sia alla Camera - che promuovesse lo scambio di prigionieri, in qualsiasi modo: ufficialmente, per scopi umanitari o per qualunque motivo.
La risposta del governo fu negativa; è evidente che, se esiste il problema dei sequestrati - ma esiste, ed è un problema umanitario, soprattutto per quanti non sono prigionieri di guerra -, occorre la volontà politica del governo di procedere ad atti che siano utili alla loro liberazione. Non ad atti che, alla fine, determinino dei morti affinché, poi, possano essere attribuiti alla guerriglia. Mi sono dilungato ma tenevo a tali dichiarazioni, soprattutto in una sede ufficiale come questa.
Sul Venezuela, non ho molte osservazioni da fare, signor sottosegretario. Lei ha detto cose corrette, spiegando come la cosiddetta notizia sulla presenza di migliaia di cubani in Venezuela riguardi un fatto apparentemente osservato solo dai giornalisti che hanno scritto articoli in proposito, ma non dall'Organizzazione degli Stati americani, non dalla fondazione Carter, né da alcuno. Vive nella fantasia di organi di informazione che pubblicano le loro notizie su Internet e di cui conosco anche i redattori, così come il loro operato.
Si dice che in Venezuela esisterebbe una minaccia alla libertà di stampa. Ma tutte le televisioni, tutti quotidiani sono all'opposizione del governo. Come si può minacciare la libertà di stampa quando tutte le televisioni, tranne un canale pubblico, e tutti i quotidiani sono in mano all'opposizione? Allora, in Italia, dove siamo? Altro che libertà di informazione minacciata!
Non so se si celebrerà il referendum. L'onorevole Zacchera ha le sue informazioni e io le mie. Ma io non pretendo che le mie opinioni diventino una risoluzione, mentre l'onorevole Zacchera ne ha presentata proprio una apposita in tal senso. Ebbene, a me risulta strano che chi ha raccolto le firme con grande clamore, dichiarando di averne a sufficienza persino per superare la soglia del 50 per cento degli elettori e così promuovere direttamente la revoca del mandato presidenziale, senza in ogni caso rivelare il numero esatto delle firme stesse, abbia poi


Pag. 15

atteso più di un mese e mezzo per consegnarle. Adesso, infine, ci si lamenta di non conoscere il dato relativo alla raccolta richiamata. E come mai, allora, questi signori che avevano una così grande fretta di rovesciare il governo hanno atteso più di un mese e mezzo per quella consegna? Ci sono state irregolarità nella raccolta delle firme? Sì, sicuramente ce ne sono state. In primo luogo irregolarità dei lavoratori minacciati di perdere il proprio posto di lavoro se non avessero esibito una ricevuta di aver firmato per la destituzione del presidente: decine sono i casi di imprese che hanno adottato questo criterio nei confronti dei loro dipendenti.
Vi sono state poi irregolarità nella stessa consegna delle ricevute ai firmatari, segni indelebili sulla persona interessata, pressioni di varia natura per assicurare che un certo dipendente avesse votato come voleva il padrone, contro il presidente della Repubblica. In ogni caso, come da legge, le firme sono state raccolte e tutte controfirmate anche da rappresentanti governativi.
Esiste un organismo preposto al controllo delle firme. In più di una occasione, alcuni organismi si sono espressi contro il governo e il presidente. Spero solamente che qualunque sia la decisione dell'organo competente, essa venga rispettata. So per esperienza che l'opposizione non è propensa a rispettare tali regole, intanto perché ha promosso un colpo di Stato che è naufragato e che tuttavia rimane iscritto nella storia di quel paese. È stato arrestato il presidente, così come i ministri. Il presidente della Confindustria ha proclamato, davanti alle telecamere televisive, lo scioglimento del Parlamento, e questi stessi signori, adesso, invocherebbero il rispetto delle regole sulla raccolta delle firme protestando per la mancanza di qualche verbale in alcune circoscrizioni.
Questa opposizione non esiste, a mio parere, programmaticamente, ma solo come espressione di un privilegio, che per quarant'anni si è imposto in quel territorio e di cui non intende essere privata, avendogli consentito di concentrare sul 3 per cento della popolazione il 90 per cento della ricchezza del paese. Non lo tollera. Fra questi ci sono anche italiani. A me non interessa affatto se siano cittadini italiani, allorché si tratti di latifondisti arricchiti sulle spalle della povera gente. Perché anche in Venezuela esistono gli squadroni della morte, che uccidono i contadini quando non ottemperano perfettamente agli ordini dei proprietari terrieri.
Questo sta succedendo ancora oggi. Ebbene, l'oligarchia che ha governato - o per meglio dire malgovernato - il paese, sconfitta democraticamente alle elezioni, è attualmente propensa a tentare di rovesciare il sistema. Di essa facevano parte i partiti politici cosiddetti di destra e di sinistra, che si sono semplicemente spartiti il bottino per quarant'anni. Altro che democrazia! È un paese dove il 3 per cento della popolazione si è impossessato di tutto, lasciando alla fame gli altri cittadini, un paese dove tutti avrebbero potuto vivere come in Svezia, se solo fossero state ripartite le risorse e i proventi della vendita del petrolio. Questa opposizione non ha nessun programma se non quello di rovesciare con qualsiasi mezzo il sistema attuale. Lo strumento violento del colpo di Stato non è andato bene, poi si è provato con la serrata - cosa ben diversa dallo sciopero - e infine si tenta ora di ricorrere ad un referendum. Spero che si rassegnino ai valori della democrazia. L'organismo preposto deciderà se indire o meno il referendum; in caso negativo, quando si terranno le prossime elezioni - tra due anni - il Presidente Chavez potrà essere comunque cacciato dal governo. Occorrerà, in questo senso, avere la forza e la capacità di farlo.

MARINA SERENI. Cercherò di essere sintetica, signor presidente, sebbene si tratti di affrontare questioni molto complesse relative a paesi come la Colombia e il Venezuela. Reputo che non sia propriamente questa la sede in cui ognuno di noi possa esprimere tutte le opinioni su queste realtà. Personalmente, cercherò di soffermarmi sui temi che riguardano i nostri rapporti tra l'Italia e questi Stati. Ringrazio


Pag. 16

il sottosegretario per la sua introduzione che traccia un quadro piuttosto complesso delle situazioni esaminate.
Partirò dalla Colombia. Sembra difficile riflettere sulle relazioni bilaterali con la Colombia senza toccare il nodo della violenza e del terrorismo. È evidente che la Colombia è molto più di questo e che ci sono altre questioni relative alle vita sociale, economica e democratica di quel paese, ma sarebbe alquanto singolare se non partissimo da tale punto.
Non me la sento - né ritengo sia la sede appropriata per farlo - di condurre un'analisi sui caratteri dei gruppi che si sono resi protagonisti in tutti questi anni di fatti violenti. Ritengo, però, che sia sbagliato non vedere come ci siano intrecci sempre più torbidi tra gruppi violenti, armati e narcotraffico. Non credo che si possa derubricare - come faceva poco fa il collega Mantovani - il tema dei rapporti fra il narcotraffico e i gruppi armati ad una semplice questione di tassazione di una delle industrie del paese. Mi pare che oggi siamo in presenza, anche perché quella guerriglia si era contrassegnata come una guerriglia politica, di un intreccio molto torbido tra i gruppi armati e i soggetti che gestiscono il traffico di droga.
Il secondo aspetto da trattare riguarda il fatto che il Governo Uribe è stato eletto democraticamente.
Ritengo che proprio il fallimento del processo di pace sia stato uno dei fattori che ha portato alla vittoria tale governo.
Mantovani si è soffermato sulle cause del fallimento del processo di pace.
Registrerei come un dato politico incontrovertibile che la risposta della mano dura militare (tra i fattori della vittoria elettorale di Uribe) giunge in seguito ad un devastante fallimento del processo di pace, rispetto al quale non mi sembra che i gruppi armati - e le FAC in particolare - possano essere considerati esenti da responsabilità.
Detto ciò, ritengo, però, che sia necessario osservare ciò che sta accadendo oggi in Colombia ed il percorso del governo Uribe. Mi sembra che dobbiamo riconoscere onestamente che la politica della mano dura militare si sta dimostrando incapace di ridurre il tasso di violenza che affligge tale paese.
Mi pare sia necessario - ho notato che tale punto è stato segnalato nella relazione del sottosegretario - rilevare come, in nome della lotta al terrorismo ed alla violenza, si rischino di mettere in discussione libertà e diritti umani, che consideriamo fondamentali ovunque.
Mi sembra che tale allarme sia avvertito da più parti: mi riferisco a segnalazioni che provengono da organismi internazionali indipendenti; dall'interno della Colombia; da autorità, quali il difensore civico; dalle ONG italiane, europee e colombiane. Vi è un allarme per ciò che, in nome della lotta alla guerriglia ed al terrorismo, sta avvenendo sul terreno delle limitazioni della libertà della società civile colombiana (che è uno degli anticorpi possibili alla violenza ed al terrorismo).
Dobbiamo necessariamente osservare come le limitazioni, per esempio, alle attività di organizzazioni non governative, espressione dell'associazionismo della società civile e della solidarietà (colombiana ed internazionale), possano costituire nuova benzina gettata sul fuoco della violenza e del terrorismo.
Credo che le ultime elezioni amministrative colombiane abbiamo dato un segnale: vi è una forte opposizione democratica, di sinistra, che ha rifiutato nettamente la violenza ed il terrorismo, che esprime un'opinione, un sentimento diffuso in larga misura nell'opinione pubblica.
Si tratta di un'opinione pubblica che sceglie di eleggere sindaci e presidenti di regione diversi da quelli del partito di Uribe, anche nella convinzione che contro la guerriglia e la violenza non si possano adottare sistemi altrettanto irrispettosi della vita e delle libertà umane.
È stato già citato il caso di Bogotà, ma si può nominare anche la regione della Valle del Cauca e di Medellin. Vi sono molti, importanti centri colombiani che, nelle ultime elezioni amministrative hanno visto prevalere personalità democratiche, che hanno ottenuto un grande consenso in


Pag. 17

nome di una critica al governo di Uribe sugli strumenti messi in campo contro la guerriglia e il terrorismo.
Su tale punto credo sia necessario chiedere al sottosegretario Baccini se vi siano novità sul versante del gruppo dei paesi facilitatori. L'ultima presidenza del gruppo di tali paesi fu italiana. Non credo che tale gruppo di paesi si sia più riunito, proprio perché, mentre si è concluso un accordo - alquanto discutibile - con i gruppi paramilitari, non vi è stato - fino ad oggi - alcun tipo di contatto e nessuna ripresa di negoziato con gli altri gruppi.
Ripeto, considero anche tali gruppi responsabili del fallimento del processo di pace che la Colombia ha alle spalle. Tuttavia, ho l'impressione che solo la ripresa di un dialogo e di un negoziato di pace possa consentire alla stessa Colombia di uscire dall'incubo che sta attraversando.
Mi permetto, pertanto, di chiedere al sottosegretario Baccini se tale tema sia stato affrontato con il presidente Uribe, essendo stato il nostro paese, ai tempi del governo Pastrana, l'ultimo presidente del gruppo dei paesi facilitatori.
La relazione di Baccini fa, poi, riferimento al vertice che, nel luglio scorso, i paesi europei hanno tenuto a Londra e che ha dato luogo all'adozione di un documento. Tale documento rivolgeva numerose raccomandazioni al Governo di Uribe.
Mi risulta che tali raccomandazioni siano state sottovalutate da quel Governo e credo debbano tornare ad essere oggetto di confronto tra lo stesso e l'Unione europea.
Vorrei capire, anche su tale punto, se vi sia stato un approfondimento e se l'Italia, come esponente dell'Unione europea ed ancora membro della troika, abbia colto l'occasione della visita del presidente colombiano per chiedergli, assieme al suo governo, di procedere nell'attuazione delle menzionate raccomandazioni.
Da ultimo, segnalo al Governo che in aula vi è una mozione sulla questione di Ingrid Betancourt. Credo che il dibattito debba aiutarci a capire se vi sia un accordo tra le forze del Parlamento italiano per sottolineare e rilanciare l'esigenza di un'iniziativa per la liberazione della Betancourt.
Sul Venezuela sarò ancora più telegrafica: nei giorni scorsi, abbiamo ospitato un illustre intellettuale venezuelano (ringrazio il presidente Selva ed anche il Ministero degli affari esteri per l'incontro di carattere privato avuto con tale personalità). Si tratta di un uomo di sinistra, che vede con occhio assai lucido l'attuale situazione del Venezuela.
Siamo in presenza di una forte polarizzazione di tale società, che a noi forse sfugge e rispetto alla quale non mi sembra molto utile che gli italiani si mettano a « tifare » per l'una o per l'altra parte. Mi sembra, infatti, un atteggiamento alquanto singolare l'essere parte di un conflitto politico che si svolge in un paese molto distante da noi.
Anche Chavez è stato eletto democraticamente, per quanto abbia esercitato, a suo tempo, il tentativo di un golpe. Siamo in presenza anche di una forte opposizione e di un'altrettanto forte polarizzazione di tale società.
Nella relazione del sottosegretario Baccini ho riscontrato molte affermazioni positive e credo sia interesse dell'Europa e dell'Italia far svolgere il referendum in tale paese. È interesse di chi guarda con attenzione - ed anche con apprensione - alla possibilità che il Venezuela non trovi elementi di stabilizzazione e di uscita democratica dall'attuale crisi, economica, politica, sociale ed istituzionale. Credo, dunque, che il referendum sia una carta importante, una possibilità di uscita democratica. La verifica delle firme (per quello che so) procede, seppure lentamente.
Mi permetto di sottolineare ancora al Governo, come già avvenuto con il sottosegretario Boniver, l'esigenza di seguire con costanza l'evoluzione di tali passaggi e di non far sentire sola la comunità italiana. Credo sia importante far sentire la vicinanza delle istituzioni italiane, in particolare del Governo e del Parlamento, ad


Pag. 18

una comunità molto numerosa e che vive gravi conseguenze del presente stato di crisi del paese sudamericano.

PRESIDENTE. Do la parola, per la replica, al sottosegretario Baccini.

MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ringrazio anzi tutto i colleghi per l'attenzione prestata nell'ascolto della relazione.
Ritengo importanti gli argomenti (anche ulteriori) portati alla mia attenzione da parte dei colleghi intervenuti. Sono temi che il Governo avrà sicuramente la sensibilità di inserire nel progetto programmatico per l'America latina, anche perché il Venezuela e la Colombia rappresentano due punti di riferimento importanti.
Per quanto riguarda la questione del personale, onorevole Zacchera, volevo ricordare che già sono stati adottati provvedimenti, anche importanti, per aumentare il personale nei consolati, tenendo conto che laddove c'è una tensione, laddove c'è un problema, non c'è ordinaria amministrazione. In un paese in cui, in pochissimo tempo, la comunità italiana, o meglio, tutti coloro che potrebbero ottenere il passaporto italiano, e quant'altro, hanno presentato le relative richieste, il personale che di prassi segue le pratiche connesse ad una normale attività si è trovato a fronteggiare situazioni di ogni tipo. Perciò, pur avendolo incrementato, non è sicuramente sufficiente per far fronte alle immediate richieste, in un paese con le caratteristiche del Venezuela. Gli stessi problemi li abbiamo avuti in Argentina. Non appena tale paese ha avuto alcune difficoltà, il meccanismo dell'ordinaria amministrazione è saltato e siamo entrati nella straordinaria amministrazione. Tuttavia, né quest'ultima, né altro, potrebbe consentire di dare risposte immediate, perché quando in una comunità importante tutti presentano richiesta di passaporto e di quant'altro il sistema incontra oggettive difficoltà. Sarà mia cura fornire risposte immediate anche alle osservazioni formulate, perché il Governo ha ben presenti le difficoltà dei connazionali e di tutti coloro che hanno un'esigenza di contattare gli uffici consolari, anche in Venezuela.
Per quanto riguarda gli investimenti a beneficio della comunità, il Governo si è già impegnato e ha intrapreso iniziative finanziarie importanti. Sicuramente, possiamo fare qualcosa in più sia rispetto alla prossima legge finanziaria sia, comunque, per quanto riguarda l'intervento del Governo. Valuteremo anche il modo di reperire i fondi necessari. In questo momento non è facile vista la situazione in cui versano i capitoli di spesa predisposti per queste iniziative. Tuttavia, credo che una maggiore attenzione potrà essere rivolta a progetti obiettivo mirati che possano risolvere situazioni di emergenza. Dotare l'ambasciata di strumenti finanziari maggiori potrebbe essere una tra le soluzioni possibili.
Volevo aggiungere qualcosa anche in merito alla denuncia internazionale, se ci saranno violazioni. Non a caso, nel momento di maggiore crisi e di maggiore isolamento potenziale della cosiddetta comunità italiana in Venezuela sono andato a Caracas, proprio per far sentire l'interesse e la presenza del Governo italiano. Era un momento difficile, in cui si avvertivano i primi sintomi di una guerra civile annunciata. Ci sono stato, ho parlato con la comunità italiana. Noi non facevamo parte del tavolo degli amici del Venezuela, non perché non siamo amici ma perché nessuno, in quel momento, aveva indicato anche l'Italia: è stata un'operazione condotta dalla Spagna, dal Portogallo e così via. Tuttavia, questo non ci ha impedito di essere presenti e, nel corso dei colloqui con lo stesso Chavez, di far capire che l'Italia era presente, stava accendendo un grande riflettore sul Venezuela e, in virtù del ruolo che svolge in Europa, era pronta a denunciare qualsiasi forma di violenza istituzionale, costituzionale e nei processi democratici del paese. Questo continueremo a fare, nei modi e nelle forme compatibili con il rispetto della sovranità del Venezuela. Laddove sarà necessario, la


Pag. 19

denuncia non mancherà, nelle sedi istituzionali, qualora accertassimo l'esistenza di un problema di questo tipo.
Quanto al Venezuela, vorrei sottolineare un altro aspetto, emerso nel corso del dibattito da parte dei colleghi che sono intervenuti. Mi riferisco alla preoccupazione, vista anche la pressione della comunità italiana, di assumere una posizione forte, dura nei confronti di Chavez, della sua amministrazione e del suo governo. Ho avuto un colloquio con la comunità italiana, nel corso di una grande assemblea cui partecipavano i capi di questa comunità e delle diverse associazioni. Ho spiegato che il Governo italiano poteva anche assumere una posizione dura di contrasto nei confronti del governo venezuelano e di Chavez ma, subito dopo una dichiarazione di questo tipo, sarebbe stato fuorigioco e non sarebbe potuto intervenire, a nessun titolo, per difendere le regole del referendum e tutte le altre cose che potevano essere utili. Quindi, la scelta del Governo italiano è stata una scelta di equilibrio e, sostanzialmente, di tutela sia della comunità sia, ovviamente, di un rapporto formale con il governo del Venezuela. Questo consente, oggi, al nostro ambasciatore e ai nostri diplomatici di intervenire, in qualsiasi momento, perché non incontrano alcun rigetto, in questo senso.
Desidero ringraziare l'onorevole Mantovani per alcuni accenni di condivisione della posizione del Governo e per il riconoscimento di alcuni punti, che mi fa molto piacere. Però, il giudizio politico cui si fa riferimento è nelle parole, nella sostanza e nell'atteggiamento. La Colombia vive un momento di grande difficoltà. Il riferimento è ai quarant'anni di guerra civile, per così dire, che esiste. Quest'ultima ha subito anche una evoluzione, o involuzione, a seconda del punto di vista da cui la si interpreti. Probabilmente, immagino, vent'anni fa ancora c'erano le ragioni ideali di questo conflitto. Certamente, dura da quarant'anni. Ci sono classi dirigenti nuove, da una parte e dall'altra, che si combattono ormai da molti anni. Questa guerra civile, probabilmente, nasce da una forte tensione ideale, politica e di contrasto ma, oggi, credo che questa vocazione politica e ideologica sia molto limitata. Questo è il mio pensiero. Pervengono, dalle agenzie delle Nazioni Unite alcuni dati. Infatti, anche in sede ufficiale, come Governo, dobbiamo attenerci ai dati reali e non possiamo più avere posizioni di carattere personale. Noi abbiamo dati sui volumi di affari che sono regolarmente realizzati nel mercato della droga e del narcotraffico, in tutta l'America latina e non solo, di grande esposizione.

RAMON MANTOVANI. È Uribe che pratica il narcotraffico! Mi scusi, signor presidente, ma le interruzioni sono permesse...

PRESIDENTE. Dal presidente...

RAMON MANTOVANI. Bisognerebbe portare le motivazioni e le prove, signor sottosegretario. Per quanto riguarda la guerriglia e i narcotrafficanti si dica quando, come e dove, un solo comandante della guerriglia delle FARC è stato sorpreso, negli Stati Uniti, in Europa o in qualsiasi altra parte del mondo, a commerciare droga. Gli esponenti del governo e della ambasciata statunitense sono stati arrestati, i guerriglieri no. Chissà perché i guerriglieri sono narcotrafficanti e l'ambasciata degli Stati Uniti non lo è.

MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Come Governo, non entriamo nel merito delle vicende e delle persone coinvolte; esiste, però, un fenomeno di narcotraffico, con una localizzazione geografica ben precisa, che suscita, al fine di evitarne gli effetti nefasti, grande attenzione sia da parte delle organizzazioni internazionali sia da parte del Governo italiano.
Detto ciò, la linea del Governo - perseguita tramite i rapporti con le organizzazioni internazionali, sia in sede di Unione europea sia, soprattutto, con l'OSA, l'Organizzazione degli Stati americani - vuole evitare che l'esercizio del


Pag. 20

potere, anche con riferimento all'azione del governo colombiano, possa diventare un abuso. Sotto tale profilo, sussiste una forte attenzione, da parte non solo dell'Italia ma anche degli organismi internazionali, al fine di equilibrare le situazioni.
L'azione dell'Italia, anche a livello multilaterale, è molto forte ed efficace; penso, ad esempio, ai profughi in Venezuela, a quanti siano coinvolti da questa guerra civile e alle famiglie che hanno problemi di sopravvivenza quotidiana. Quando, come ricordava Mantovani dianzi, si creano, tra i paramilitari, certe tensioni - è poi difficile andare a verificare esattamente come stiano i fatti -, è certo che centinaia di migliaia di persone finiscono al centro di questo conflitto, venendo quotidianamente sfollate e incontrando grandi difficoltà. L'azione svolta dall'Italia è anche a favore di tutti costoro, con interventi presso agenzie specializzate delle Nazioni Unite, che stanno dando un sostegno molto forte.
Inoltre, vorrei dare all'onorevole Sereni la garanzia che il Governo italiano è molto attento anche nell'opera di pacificazione del conflitto esistente in Colombia; la visita del presidente Uribe è stata importante al fine di poter inserire altri elementi di valutazione nei nostri dossier, proprio per incrementare l'azione. Il Governo italiano, ormai da qualche tempo, oltre ad esercitarsi attraverso i rapporti bilaterali - che sono costanti, attesa anche la nutrita presenza di delegazioni parlamentari che si succedono nelle visite in Colombia -, è impegnato a svolgere un'azione comune con i paesi europei e, soprattutto, ad instaurare un forte collegamento con l'Organizzazione degli Stati americani. Ciò, affinché il monitoraggio dei problemi, sia del Venezuela, sia della Colombia, venga espletato in modo costante; ci rendiamo conto, infatti, che la questione non può risolversi a livello bilaterale ed ha bisogno di una costante azione politica nonché, soprattutto, di un costante intervento della comunità internazionale.

PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il sottosegretario Baccini e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.