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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del progetto di legge, già approvato, in un testo unificato, dalla Camera e modificato dal Senato, d'iniziativa dei deputati Armani ed altri; Benvenuto ed altri; Lettieri e Benvenuto; La Malfa ed altri; Diliberto ed altri; Fassino ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati Antonio Pepe ed altri; Letta ed altri; Lettieri ed altri; Cossa ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati Grandi ed altri: Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari; e dell'abbinata proposta di legge d'iniziativa del deputato Perrotta.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni VI (Finanze) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VI Commissione, onorevole Romoli, ha facoltà di svolgere la relazione.
ETTORE ROMOLI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, colleghi, il testo unificato dei progetti di legge di cui si avvia oggi la discussione si articola in sei titoli, rispettivamente riguardanti: modifiche alla disciplina delle società per azioni, articoli da 1 a 7; disposizioni in materia di conflitti d'interessi e disciplina delle attività finanziarie, articoli da 8 a 17; disposizioni in materia di revisioni dei conti, articolo 18; disposizioni concernenti le autorità di vigilanza, articoli da 19 a 29; modifiche alla disciplina in materia di sanzioni penali e amministrative, articoli da 30 a 40; disposizioni transitorie e finali, articoli da 41 a 44.
In questa sede si ritiene opportuno concentrare l'analisi sugli aspetti del provvedimento modificati o introdotti dal Senato, essendo le sole parti sulle quali la Camera potrebbe eventualmente intervenire ulteriormente. Gli articoli 1 e 2 introducono modificazioni alla disciplina degli organi di amministrazione e di controllo delle società per azioni, in particolare prevedendo la partecipazione di almeno un rappresentante delle minoranze in ciascuno di tali organi delle società per azioni quotate in mercati regolamentati, nonché la limitazione del cumulo degli incarichi negli organi di controllo, rafforzando i poteri degli organi medesimi e dei loro componenti. A tale riguardo si segnala come il Senato abbia introdotto all'articolo 1 la previsione del voto segreto per l'elezione alle cariche sociali delle società con azioni quotate e abbia soppresso all'articolo 2 la disposizione
che estendeva il potere di denuncia degli amministratori al tribunale da parte del collegio sindacale anche al caso di irregolarità non suscettibili di produrre danno alla società o alle sue controllate. L'articolo 3 amplia la facoltà di promuovere l'azione di responsabilità nei riguardi degli amministratori delle società per azioni, estendendone il potere all'organo di controllo e riducendo la quota di partecipazione necessaria per promuovere l'azione sociale di responsabilità.
In merito si rileva come il Senato abbia soppresso la disposizione che prevedeva la revoca degli amministratori in caso di azione di responsabilità deliberata dal collegio sindacale all'unanimità.
Gli articoli 4 (non modificato dal Senato) e 5 intervengono su istituti volti a facilitare la partecipazione delle minoranze alle decisioni assembleari delle società per azioni quotate rispettivamente agevolando la raccolta delle deleghe di voto, nel caso delle società ad azionariato particolarmente diffuso, e consentendo ad una minoranza qualificata di chiedere, a determinate condizioni, l'integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea. In particolare, con riferimento all'articolo 5, il Senato ha anticipato il termine per la pubblicazione delle integrazioni richieste all'ordine del giorno dell'assemblea.
L'articolo 6 reca un complesso di disposizioni volte ad assicurare la conoscibilità dei rapporti fra le società italiane, quotate o ad azionariato diffuso, e le società estere controllate, controllanti o collegate aventi sede in Stati che non garantiscono la trasparenza societaria. Relativamente alle società estere controllate, è prevista inoltre l'allegazione del bilancio di esse al bilancio della società italiana controllante. Per il suo contenuto, gli amministratori di quest'ultima sono sottoposti alla responsabilità civile, penale e amministrativa secondo la legge italiana. A tale proposito, si evidenzia come il Senato abbia introdotto la possibilità di individuare Stati i cui ordinamenti presentino carenze particolarmente gravi, demandando alla CONSOB di determinare le condizioni in base alle quali è consentito alle società italiane di controllare imprese aventi sede in essi.
L'articolo 7, introdotto dal Senato, limita il diritto di voto delle fondazioni bancarie nelle società partecipate nella misura massima del 30 per cento e con decorrenza dal primo gennaio 2006, sostituendo il citato comma 3 dell'articolo 25, nel testo attualmente in vigore, che stabilisce che qualora la fondazione, scaduto il termine del 31 dicembre 2005, continui a detenere partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie ovvero in altre società che non siano strumentali alla sua attività statutaria nei settori rilevanti, alla dismissione provvede, sentita la fondazione e anche mediante un apposito commissario, l'autorità di vigilanza - ossia il Ministero dell'economia e delle finanze - nella misura idonea a determinare la perdita del controllo e nei tempi ritenuti opportuni in relazione alle condizioni di mercato e all'esigenza di salvaguardare il valore del patrimonio.
L'articolo 8, nel testo modificato dal Senato, prevede la determinazione di condizioni da parte della Banca d'Italia per l'assunzione di attività di rischio da parte delle banche nei confronti di propri esponenti, soggetti che detengono in esse partecipazioni rilevanti o altri soggetti che siano in grado di influire sulla loro amministrazione. Esso estende, inoltre, l'ambito di applicazione della disciplina sull'autorizzazione per l'assunzione di obbligazioni da parte degli esponenti bancari nei riguardi della banca stessa. Si segnala al riguardo come il Senato, oltre a numerose modificazioni testuali, abbia soppresso le disposizioni volte ad introdurre un limite quantitativo all'esposizione debitoria dei soggetti detentori di partecipazioni in una banca, nei riguardi della banca medesima, nonché a limitare la possibilità di dare in pegno partecipazioni bancarie a garanzia di crediti.
L'articolo 9 conferisce al Governo una delega legislativa per l'emanazione di una disciplina volta a prevenire i conflitti di interesse nella gestione dei patrimoni di organismi di investimento collettivo del
risparmio, prodotti assicurativi e di previdenza complementare, nonché nella gestione di portafogli su base individuale per conto di terzi. Sotto tale profilo, il Senato ha precisato che l'esercizio della delega non deve comportare oneri finanziari ed ha riferito la disciplina ai soli investimenti in titoli, invece che in qualsiasi prodotto finanziario, ed ha previsto l'intesa tra la CONSOB e la Banca d'Italia per l'attuazione in via regolamentare e per l'esercizio del potere sanzionatorio.
L'articolo 10 prescrive l'adozione di una disciplina per la separazione delle strutture organizzative deputate alla prestazione dei diversi servizi di investimento presso le banche e gli altri intermediari finanziari, determinando apposite sanzioni.
A tale proposito, si rileva come il Senato abbia modificato le disposizioni approvate dalla Camera, rimettendo alla Banca d'Italia, d'intesa con la CONSOB, il potere regolamentare in materia, compresa la determinazione delle attività che debbono essere prestate da strutture distinte, ed eliminando la possibilità di prescrivere la separazione societaria.
L'articolo 11 interviene sulla disciplina della circolazione dei prodotti finanziari. Si prevede, tra l'altro, che, in caso di successiva cessione dei prodotti finanziari, destinati originariamente ai soli investitori professionali e ad acquirenti che non siano investitori professionali, l'investitore professionale cedente debba garantire la solvenza dell'emittente per un anno dalla data di emissione, tranne che nell'ipotesi in cui l'intermediario abbia consegnato all'acquirente un documento recante le informazioni stabilite dalla CONSOB. Viene, inoltre, abolita l'esenzione dagli obblighi informativi e dal prospetto per i prodotti finanziari non azionari emessi da banche e per prodotti assicurativi.
In merito, il Senato ha apportato numerose modifiche rispetto al testo approvato dalla Camera, in particolare rendendo alternative, invece che cumulative, la consegna del documento informativo e la prestazione della garanzia di solvenza, che decorre dall'emissione invece che dalla cessione (come previsto in precedenza nel testo approvato dalla Camera).
L'articolo 12 conferisce al Governo delega legislativa per il recepimento della direttiva 2003/71/CE, relativa al prospetto per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, stabilendone i principi ed i criteri direttivi.
La CONSOB è individuata con l'autorità nazionale competente in materia, che verifica la completezza, la coerenza, la comprensibilità delle informazioni fornite, con la previsione di accordi di collaborazione con la Banca d'Italia in caso di offerta pubblica di titoli di debito bancario non destinati alla negoziazione in un mercato regolamentato.
È prevista l'individuazione dei tipi di offerta a cui non si applica l'obbligo di pubblicare un prospetto, nonché dei tipi di strumenti finanziari alla cui offerta pubblica, ovvero alla cui ammissione alla negoziazione, non si applica l'obbligo di pubblicare un prospetto, e delle condizioni alle quali il collocamento tramite intermediari, ovvero la successiva rivendita di strumenti finanziari oggetto di offerte a cui non si applica l'obbligo di pubblicare un prospetto, siano da assoggettare a detto obbligo.
Inoltre, si prevede la validità dei prospetti approvati dallo Stato membro di origine; è contemplato il diritto di revoca in favore dell'investitore in casi determinati; si prescrive l'individuazione di criteri per il riconoscimento del carattere di investitore qualificato; è prevista una disciplina sulla responsabilità civile per le informazioni contenute nel prospetto; è disciplinato il potere regolamentare della CONSOB e, salve le sanzioni pecuniarie già stabilite per il falso in prospetto, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive; si autorizza la CONSOB a delegare compiti a società di gestione del mercato.
Al riguardo, il Senato ha precisato che l'attuazione della delega non deve comportare oneri finanziari.
L'articolo 13 disciplina la pubblicità dei tassi effettivi globali medi praticati dalle
banche e dagli altri intermediari finanziari per tutte le operazioni di finanziamento comunque denominate.
In merito, si evidenzia come il Senato abbia sostituito la nozione di «tasso effettivo globale medio» con quella di «tasso effettivo globale annuo».
L'articolo 14 modifica il testo delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria intervenendo sui seguenti aspetti: adeguatezza dei prodotti finanziari collocati rispetto al profilo del cliente; disciplina dell'albo dei promotori finanziari; quotazione dei prodotti finanziari emessi dalle società di gestione di un mercato regolamentato; regole e limiti per la quotazione di prodotti emessi da determinati tipi di società; procedimento per le decisioni di ammissione, esclusione e sospensione di strumenti ed operatori delle negoziazioni in mercati regolamentati; comunicazioni delle operazioni compiute sui prodotti finanziari da esponenti aziendali o possessori di rilevanti quote di partecipazione; poteri informativi e cautelari della CONSOB; obbligo di dichiarazione dei conflitti di interesse da parte dei produttori e diffusori di ricerche; vigilanza sulle informazioni relative all'adesione a codici di comportamento; disciplina della finanza etica; individuazione e potere del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari alla determinazione della cui responsabilità prevede il successivo articolo 15 non modificato dal Senato.
Si rileva come il Senato abbia coordinato le modificazioni agli articoli 114 e 115 del TUF con le nuove disposizioni previste dall'articolo 9 della legge n. 62 del 2005 in sede di recepimento della direttiva degli abusi di mercato. Inoltre, l'altro ramo del Parlamento ha escluso le società di rating dagli obblighi ivi stabiliti relativamente alla comunicazione dei conflitti d'interesse ed ha soppresso le disposizioni volte a riorganizzare il procedimento di erogazione delle sanzioni previste dagli articoli 190, 193 e 195 del TUF.
L'articolo 16 disciplina gli obblighi d'informazione al mercato cui devono sottostare le società con azioni quotate che deliberino piani di attribuzione di azioni ad esponenti societari o dipendenti (stock option). In tale materia il Senato ha prescritto per tali piani d'approvazione l'assemblea dei soci, ha modificato le forme di pubblicazione previste ed ha disposto l'adozione di regole volte a prevenire comportamenti contrastanti con l'interesse della società.
PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Romoli, ma il tempo a sua disposizione è terminato. Se lo desidera, può consegnare il testo di ulteriori considerazioni scritte ai fini della pubblicazione in calce al resoconto della seduta.
ETTORE ROMOLI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, non manca molto al termine del mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Romoli, prosegua pure.
ETTORE ROMOLI, Relatore per la VI Commissione. L'articolo 17 introdotto dal Senato consente ai mediatori creditizi di svolgere un'attività di mediazione e consulenza nella gestione del recupero dei crediti da parte delle banche e degli intermediari finanziari.
L'articolo 18 apporta modificazioni al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria relativamente alla disciplina della revisione dei conti. La durata massima dell'incarico di revisione è stabilità in sei esercizi, esso è rinnovabile una sola volta e non può essere rinnovato se non dopo almeno un triennio dal precedente, con la sostituzione del responsabile della revisione. Il responsabile della revisione non può comunque permettere nell'incarico per più di sei anni (anche se per conto di differenti società di revisione). Sono stabilite più rigide fattispecie d'incompatibilità rispetto alla prestazione di servizi diversi dalla revisione da parte delle società o dei suoi esponenti. Si interviene altresì sulle funzioni di vigilanza e sui poteri sanzionatori della CONSOB. Nel caso della revisione sui bilanci consolidati,
è esteso l'ambito di responsabilità del revisore principale. Sono, inoltre, assoggettati agli obblighi di revisione anche le società non quotate che controllino società per azioni quotate e le società sottoposte con queste a comune controllo. Al riguardo si segnala come il Senato abbia apportato alcune modificazioni in particolare eliminando la previsione del parere vincolante del collegio sindacale per il conferimento dell'incarico di revisione, nonché il potere sostitutivo della CONSOB in caso di mancato conferimento. L'altro ramo del Parlamento ha, altresì, stabilito in sei esercizi la durata fissa dell'incarico consentendo un solo rinnovo ed ha elevato da tre a sei esercizi il periodo massimo di permanenza.
L'articolo 30 ha modificato le vigenti disposizioni degli articoli 2621 e 2622 del codice civile, che sanzionano il reato di false modificazioni sociali.
Signor Presidente, poiché vi è una certa fretta...
PRESIDENTE. Onorevole Romoli, non è questione di fretta: è che lei ha esaurito il tempo a sua disposizione.
ETTORE ROMOLI, Relatore per la VI Commissione. Bene, signor Presidente, chiedo allora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la X Commissione, onorevole Saglia, ha facoltà di svolgere la relazione.
STEFANO SAGLIA, Relatore per la X Commissione. Signor Presidente, intendo riferirmi ai successivi articoli del provvedimento.
L'articolo 19, frutto dell'approvazione di un emendamento governativo presentato al Senato, incide sulla organizzazione e sull'attività della Banca d'Italia. Si segnala che sulle previsioni recate da tale disposizione è intervenuto il parere emesso dalla Banca centrale europea il 6 ottobre 2005. Il comma 1 contiene un enunciato meramente ricognitivo dell'assetto di competenze e di rapporti esistente tra il livello nazionale e il livello europeo, dichiarando che la Banca d'Italia è parte integrante del sistema europeo di banche centrali ed agisce secondo gli indirizzi e le istruzioni della Banca centrale europea. Si ricorda in merito che il ruolo svolto dalle banche centrali nazionali all'interno del sistema europeo si esplica sotto un duplice profilo: per un verso, le banche centrali nazionali, tramite la partecipazione dei rispettivi governatori al consiglio direttivo della BCE, sono chiamate a codeterminare la politica monetaria all'interno dell'area dell'euro, dall'altro, a tali banche viene demandato, secondo una logica di decentramento, l'esecuzione delle operazioni deliberate nell'ambito del sistema europeo.
Il comma 2 stabilisce che la Banca d'Italia è istituto di diritto pubblico. A questo riguardo, si osserva come l'individuazione della natura giuridica della Banca d'Italia risulti non semplice, stante la diversità delle funzioni svolte e la complessità del quadro normativo di riferimento. Lo stesso comma 2 prevede che la maggioranza delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia sia detenuta dallo Stato, potendo la restante parte delle quote essere detenuta soltanto da altri enti pubblici.
La struttura societaria della Banca d'Italia, di tipo privatistico, venne mantenuta inalterata dalla citata legge bancaria del 1936, che pure dichiarava la natura pubblicistica dell'istituto e procedeva ad una parziale nazionalizzazione. Il legislatore stabilì allora, infatti, che, ai fini della tutela del pubblico credito e della continuità di indirizzo dell'istituto di emissione, gli ex azionisti privati venissero rimborsati integralmente e che il capitale della Banca, pari a 300 milioni di lire, interamente versato e rappresentato da 300 mila quote di partecipazione nominative, potesse essere posseduto esclusivamente da casse di risparmio, istituti di credito di diritto
pubblico, banche di interesse nazionale ed istituti di previdenza e di assicurazione.
Sulla modifica proposta dal comma 2, la Banca centrale europea osserva nel parere che, una volta data piena attuazione alla bozza di articolo, lo Stato sarà il partecipante di maggioranza e forse quasi esclusivo al capitale. Ai sensi dello statuto della Banca d'Italia, attualmente, i partecipanti al capitale nominano, in assemblee separate, presso le sedi della Banca d'Italia, i 13 membri del consiglio superiore (uno per ciascuna sede). Alla luce dei mutamenti nella composizione dei partecipanti al capitale introdotti dalla bozza di articolo, sarebbe utile chiarire e forse semplificare la procedura di elezione di detti membri. Inoltre, il cambiamento nella struttura dei partecipanti al capitale comporta due conseguenze: in primo luogo, sarà necessario rivedere il ruolo del consiglio superiore, compresi gli aspetti relativi alla procedura per la nomina e la revoca del governatore e degli altri componenti del direttorio (tutto questo conformemente all'articolo 14, punto 2, dello statuto); in secondo luogo, è necessario preservare l'indipendenza finanziaria della Banca d'Italia, che è attualmente garantita dalle disposizioni del suo statuto riguardanti l'indipendenza dei membri del consiglio superiore e i limiti alla distribuzione degli utili ai partecipanti al capitale. Pertanto, potrebbe essere necessario modificare l'articolo 54 dello statuto della Banca d'Italia, per assicurare che, come nella situazione attuale, possa essere costituito un ammontare sufficiente di riserve ordinarie e, se necessario, straordinarie, al fine di garantire che la Banca d'Italia abbia i mezzi finanziari per assolvere ai propri compiti statutari.
Il comma 9 demanda ad un regolamento governativo, che andrà assunto entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, il compito di stabilire le modalità di attuazione del comma 2. A questo riguardo, si rileva come il richiamo operato all'articolo 17 della legge n. 400 del 1988 sembrerebbe potersi specificare con riferimento al comma 1, che disciplina l'emanazione dei regolamenti di esecuzione, di attuazione ed integrazione delle leggi.
È altresì previsto che, dalla data di entrata in vigore delle disposizioni in esame e fino al trasferimento delle quote di partecipazione in favore dei soggetti indicati al comma 2, i diritti di voto relativi alle quote di partecipazione in possesso di soggetti diversi da quelli indicati nel comma 2 siano sospesi e vengano esercitati dallo Stato. Al riguardo, il parere della BCE segnala che si dovrebbe valutare attentamente la compatibilità di tale attribuzione automatica dei diritti di voto allo Stato fino al trasferimento delle quote con le convenzioni internazionali e il diritto comunitario.
Il comma 10 reca una disposizione per la copertura dell'onere derivante dal riacquisto delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia da parte dello Stato e di altri enti pubblici, il cui importo è valutato in 800 milioni di euro. Da questo punto di vista rinvio alle considerazioni che il rappresentante del Governo ha svolto nel corso dell'esame in Commissione, che chiariscono, appunto, i temi relativi alla questione della quantificazione finanziaria del valore delle quote della Banca d'Italia. La Commissione bilancio del Senato ha ritenuto di adottare un criterio di attualizzazione basato sul tasso di uno swap ventennale anziché trentennale, pervenendo così ad una quantificazione di 800 milioni di euro. Il comma 10 prevede che al suddetto onere si provveda mediante parziale utilizzo delle disponibilità del fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, fermi restando gli obiettivi di riduzione del debito pubblico. Secondo la relazione tecnica presentata dal Governo al Senato, la previsione di copertura a valere sul fondo trova giustificazione dal fatto che la trasformazione della Banca d'Italia in istituto di diritto pubblico costituisce un'operazione inversa rispetto alle privatizzazioni. Dal punto di vista della formulazione tecnica del testo, si rileva come la disposizione in esame dovrebbe richiamare l'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 398 del
2003, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico, anziché l'articolo 2 della legge n. 432 del 1993, che è confluito nel predetto testo unico.
Il comma 3 stabilisce che le disposizioni normative nazionali, di rango primario e secondario, devono assicurare alla Banca d'Italia ed ai componenti dei suoi organi l'indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria (a questo riguardo si ricorda che le stesse raccomandazioni sono contenute nello statuto della Banca centrale europea).
Il comma 4 riguarda l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, con particolare riferimento a quelle di vigilanza, in quanto la stessa è tenuta ad operare nel rispetto del principio di trasparenza, inteso come naturale complemento dell'indipendenza dell'autorità di vigilanza. In merito si rileva come non risulti chiaro il significato dell'inciso «con particolare riferimento a quelle di vigilanza», posto che non si specifica l'eventuale diverso modo di operare del principio di trasparenza, che pure si vorrebbe prescrivere. Si segnala, inoltre, come i principi di trasparenza e motivazione degli atti siano stabiliti, con riferimento a tutte le autorità di vigilanza, nei successivi articoli 23 e 24.
Il comma 5 dispone che gli atti emessi dagli organi della Banca d'Italia debbano avere forma scritta e debbano essere motivati. Inoltre, prescrive che deve essere redatto apposito verbale delle riunioni degli organi collegiali, al fine di consentire la trasparenza e la sindacabilità del processo decisionale. Il comma 6 obbliga il Governatore ad acquisire il parere preventivo del direttorio per i provvedimenti di sua competenza aventi rilevanza esterna e per i provvedimenti adottati su sua delega. Tale obbligo non si applica, tuttavia, alle decisioni rientranti nelle attribuzioni del Sistema europeo di banche centrali. Si segnala come nel parere della BCE si osservi che, alla luce della pratica diffusa nell'Unione europea per le decisioni in materia di vigilanza, sarebbe auspicabile una modifica dell'attuale bozza di articolo, al fine di introdurre il principio della collegialità.
Il comma 7 prevede che il Governatore duri in carica sette anni e il mandato non sia rinnovabile. Per quanto riguarda il comma successivo, vale la pena di segnalare come nel parere citato della Banca centrale europea le disposizioni del Trattato che tutelano la continuità del mandato del Governatore si applicano altresì agli altri componenti degli organi decisionali delle Banche centrali nazionali coinvolte nell'assolvimento di compiti connessi al Sistema europeo: ciò vale in particolare quando gli altri componenti debbono fare le veci del Governatore. Rilevato che attualmente non vi sono limiti al mandato degli altri membri del direttorio, la BCE osserva che, alla luce dei poteri attribuiti al direttorio, sarebbe opportuna l'introduzione di analoga limitazione del mandato. La BCE nota inoltre che il provvedimento in esame non si esprime in merito all'applicazione delle nuove norme all'attuale Governatore della Banca d'Italia. In questo contesto essa desidera ribadire il parere formulato in precedenza, secondo cui qualsiasi regime transitorio dovrebbe essere compatibile con l'articolo 14.2 dello statuto. Il successivo articolo 20 dispone che le autorità pubbliche che vigilano a vario titolo sui mercati finanziari - ovvero la Banca d'Italia, la CONSOB, l'ISVAP, la COVIP e l'Antitrust - debbano individuare forme di coordinamento per l'esercizio delle competenze ad essi attribuite.
L'articolo 21 non è stato modificato dal Senato.
L'articolo 22 prevede che la Banca d'Italia, la CONSOB, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP), la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato possano avvalersi del Corpo della Guardia di finanza.
Gli articoli 23 e 24, che disciplinano, rispettivamente, i procedimenti per l'adozione degli atti regolamentari e generali ed i procedimenti per l'adozione dei provvedimenti
individuali da parte delle già citate autorità, non stati modificati dal Senato.
L'articolo 25 reca disposizioni che incidono sulla ripartizione delle competenze fra le diverse autorità di vigilanza di settore in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali delle banche, degli intermediari finanziari, delle assicurazioni e dei fondi pensione.
L'articolo 26 trasferisce alle autorità di vigilanza alcune funzioni, nonché i poteri sanzionatori attualmente spettanti ai competenti ministeri. A tale proposito, vorrei segnalare che il Senato ha introdotto la disposizione di cui al comma 2 di detto articolo in forma di novella testuale all'articolo 145 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993.
L'articolo 27 conferisce al Governo una delega legislativa per l'introduzione di procedure di conciliazione, e di un conseguente sistema di indennizzo, per le controversie insorte tra risparmiatori ed investitori e le banche, o gli intermediari finanziari, circa l'adempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza, nonché per l'istituzione di un fondo di garanzia per l'indennizzo dei danni patrimoniali cagionati a investitori e risparmiatori dalla violazione, accertata con sentenza definitiva, delle norme di intermediazione finanziaria. A tale proposito, vale la pena ricordare che questo argomento è trattato anche nel disegno di legge finanziaria, attualmente all'esame della Camera dei deputati.
L'articolo 28, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, consente di aumentare la pianta organica della CONSOB mediante decreto del ministro dell'economia e delle finanze, con onere da coprirsi attraverso le contribuzioni a carico dei soggetti vigilati. Vorrei ricordare che, anche su tale materia, interviene un articolo del disegno di legge finanziaria. Vale altresì la pena ricordare che, in sede di legge comunitaria, l'organico della CONSOB dovrebbe essere aumentato da 450 a 600 dipendenti.
L'articolo 29, infine, prescrive l'adozione di un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari. Vorrei segnalare, a tale riguardo, che il Senato ha rimesso ad una deliberazione del CICR la determinazione dei criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie.
In conclusione, signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione, relative agli articoli successivi, che peraltro sono già note.
PRESIDENTE. Onorevole Saglia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, i colleghi relatori hanno svolto con serietà, così come è loro costume, una relazione puntuale. Essi, ovviamente, hanno omesso di formulare considerazioni politiche e di impartire indicazioni sul modo di procedere in ordine alle questioni poste, con specifiche proposte emendative, da noi deputati dell'opposizione, poiché si sono limitati - ed hanno fatto bene a farlo - a riferire le modificazioni apportate dal Senato al testo licenziato dalla Camera.
Vorrei innanzitutto evidenziare, con nettezza, l'esigenza di approvare il progetto di legge sulla tutela risparmio prima della scadenza dell'attuale legislatura. Infatti, dopo due anni dall'esplosione degli scandali relativi alla Parmalat, alla Cirio, ai bond argentini e via dicendo, occorre dare una risposta sia ai risparmiatori, sia ai mercati finanziari. Si deve trattare non di una risposta qualsiasi, bensì di una
risposta seria, attraverso una legge che sia realmente efficace nel prevenire situazioni come quelle testè ricordate.
Pertanto, credo che sia condivisa, almeno in linea di principio, la necessità di approvare il provvedimento in esame, anche se, come tutti ricorderete, il suo iter parlamentare è stato assai lungo e defatigante, a causa delle divisioni e dei contrasti esistenti all'interno del Governo e della maggioranza.
Ricorderete la stucchevole lotta tra «fazisti» ed «antifazisti», come se una legge sul risparmio dovesse riguardare solo una persona (su cui pure io ritornerò e non sarò certamente tenero). Ma l'esigenza di una legge che riveda sia la governance societaria sia gli assetti delle authority va ben oltre le singole persone, per quanto le medesime possano essere autorevoli.
La Camera dei deputati, in prima lettura, con il contributo di tutti, approvò un testo che noi non votammo, perché non si affrontavano - in maniera netta e soddisfacente - gli aspetti più significativi. Ma, a mio avviso, il peggio non ha mai limite e, purtroppo, il Senato conferma questo detto. Il Senato, dopo lunghi mesi di discussione, ha modificato notevolmente in peius il testo licenziato dalla Camera dei deputati. Lo ha fatto in maniera a volte scientifica, a volte contraddittoria ed a volte anche diabolica.
Signor Presidente, forse sarà inelegante dal punto di vista istituzionale, da parte mia, ma non posso non rilevare come questo testo risenta pesantemente delle vicende che, nei mesi scorsi, hanno interessato la Banca d'Italia e, più specificamente, i comportamenti del Governatore. La maggioranza di centrodestra, al Senato, anziché pensare ai risparmiatori, alle esigenze di trasparenza dei mercati finanziari e all'economia del nostro paese - e, quindi, agli interessi dei cittadini - si è preoccupata anzitutto di approvare una normativa di rafforzamento dei poteri della Banca d'Italia, tanto da fare scudo alla persona del Governatore, che si è trovato sotto i riflettori e sotto gli attacchi anche della stampa, in verità abbastanza puntuale nel dare informazioni su vicende oscure e su intrecci incredibili. Del resto, il messaggio uscito da Palazzo Chigi, con il famoso pranzo «allo Sciacchetrà», reso noto dal solerte senatore Grillo, era stato chiaro e la maggioranza di centrodestra quel messaggio lo ha - ahimè - recepito.
È giunto a noi, quindi, un testo inadeguato, un testo che, a mio avviso, deve essere modificato nell'interesse dei risparmiatori e del paese. Certo, i tempi sono ristretti, ma - almeno nei punti essenziali - è bene che vi sia uno sforzo convergente della maggioranza e dell'opposizione. Noi siamo disposti a confrontarci nel merito, ma non possiamo approvare in via definitiva un testo che è del tutto insoddisfacente. Se non lo faremo, l'intero Parlamento approverà una brutta legge, inefficace, che ci farà arrossire non solo rispetto ai risparmiatori, ma probabilmente rispetto a tutti gli operatori dei mercati finanziari, non solo a livello italiano, ma anche europeo ed internazionale. Da questa considerazione siamo partiti ed in tale direzione vanno i nostri emendamenti.
L'altro giorno, nelle Commissioni riunite - e sul punto avrei voluto che gli amici relatori lo avessero sottolineato -, i nostri emendamenti sono stati respinti da una maggioranza silenziosa quanto imbarazzata, in attesa delle annunziate riflessioni del ministro Tremonti, il quale - come al solito - anziché venire in Commissione o in aula per affrontare un confronto di merito, sceglie sempre sedi extraistituzionali per farci conoscere i propri intendimenti. Sappiamo che egli sta svolgendo un compito importante all'estero, in Israele. Certamente si tratta di un compito importante, perché la pace in quei territori ha priorità assoluta, ma mi auguro che il medesimo trovi il tempo per riflettere, per venire in questa sede, domani o dopodomani, a portarci proposte ed a confrontarsi con l'opposizione. Se così non sarà, pur avendo avuto il ministro (gliene voglio dare atto, per onestà intellettuale), all'atto della presentazione della proposta governativa, a suo tempo, un certo coraggio ed anche un certo spirito riformatore - condivisibile o meno, tale spirito riformatore vi era, infatti, nella
proposta avanzata dal ministro Tremonti - oggi, se accettasse il testo del Senato e non condividesse le esigenze di riformarlo nei punti essenziali, finirebbe con l'avallare l'idea che circolava all'atto delle sue dimissioni, ossia che fosse stato «dimissionato» proprio a seguito dello scontro con il suddetto Governatore, e non per i suoi timidi intenti riformatori.
Mi auguro che il comportamento del ministro Tremonti nei prossimi giorni e le proposte auspicate smentiscano le voci che allora corsero, in lungo e in largo, all'interno del palazzo di Montecitorio e non solo.
Il ministro Tremonti, in verità, insieme a noi, qualche risultato in questo testo è riuscito a conseguirlo, anche se in maniera parziale: in questa sede, è stato fatto riferimento - lo ha ricordato l'onorevole Romoli - alla normativa relativa al mandato a termine del Governatore, che finalmente viene allineata a quella della Banca centrale europea. Il mandato a vita era ed è un'anomalia tutta italiana, che finora ha consentito al Governatore Fazio di sentirsi intangibile ed investito di potere assoluto. Nessun altro, in questo nostro paese, ha avuto i poteri del Governatore della Banca d'Italia.
Questo risultato, però, non è sufficiente, e noi abbiamo proposto un emendamento migliorativo della norma contenuta nel testo licenziato dal Senato. Su questo specifico emendamento noi - e con noi l'opinione pubblica italiana - valuteremo la credibilità delle tante dichiarazioni rilasciate dal ministro relativamente al Governatore nella vicenda dell'OPA lanciata dalla Banca Popolare di Lodi nei confronti della Banca Antonveneta.
Detto chiaramente, in quest'aula si è poco parlato di questa vicenda. Qualcuno lo ha fatto semplicemente in maniera scandalistica, parlando delle intercettazioni, che comunque hanno svelato un modo di procedere assai censurabile ed hanno svelato rapporti tra controllore e controllato, che finiscono con atti di grande commozione e pure con qualche bacio notturno (Commenti del deputato Saglia)... Telefonicamente parlando, ma il bacio notturno sembra che vi sia stato. Questo la dice lunga!
Occorre partire non dalle intercettazioni, ma dai fatti, dai rapporti! Bisogna dire che vi è un problema «Fazio», che pesa come un macigno sull'autorevolezza della Banca d'Italia: esso va risolto nell'interesse dell'Italia. Sarebbero state sicuramente meglio le dimissioni, ma la sensibilità istituzionale è come la dignità ed il coraggio: uno li ha oppure no; oppure si è poveretti!
Sia chiaro, però, che ciò non basta. Ecco perché sfido il ministro Tremonti a pronunciarsi sul nostro emendamento al testo licenziato dal Senato relativamente alla durata del mandato. Non basta limitarsi a dire che esso ha una durata di 7 anni: occorre calcolare in maniera transitoria anche la durata del mandato precedente all'entrata in vigore della legge: così si crea un presupposto importante per rilanciare l'autorevolezza della Banca d'Italia.
Altrimenti, i gesti servono a poco. Il ministro Tremonti può anche recarsi nelle sedi internazionali, ad esempio a New York, e non parlare con il Governatore: è, probabilmente, uno spettacolo in sede internazionale non certamente positivo: ma contano i fatti. E i fatti si sanciscono in questa sede, e con questa legge. Noi vogliamo verificare se il ministro, il Governo e la maggioranza di centrodestra avranno il coraggio di approvare - lo ripeto - quell'emendamento specifico.
Il mandato deve essere a termine e noi, sia chiaro, lo proponiamo anche per tutti gli altri componenti del direttorio, così come deve essere prevista la collegialità delle decisioni assunte dalla Banca d'Italia. Mi pare che il relatore Saglia lo abbia evidenziato e che ciò sia in linea con le osservazioni che ci sono state rivolte dalla Banca centrale europea.
Certo, devo dire con rammarico che in questo testo del Senato, ma anche in quello licenziato dalla Camera precedentemente, c'è una carenza grave, gravissima, ossia il mancato trasferimento della concorrenza all'Antitrust. Voi ricorderete che,
in sede di discussione qui alla Camera, in prima lettura, proponemmo il trasferimento della concorrenza all'Antitrust. Oggi non possiamo più discuterne in questa sede perché, purtroppo, questo aspetto non è stato modificato dal Senato e, quindi, resta escluso.
Posso dire formalmente che lo faremo noi del centrosinistra nella prossima legislatura. Io non appartengo alla schiera di coloro che affermano che vanno abrogate molte leggi approvate dal centrodestra. Certo, molte leggi sono sbagliate, altre vanno salvate in alcune parti e altre modificate.
Una modifica che sicuramente il centrosinistra farà sarà quella di trasferire le competenze in materia di concorrenza dalla Banca d'Italia all'Antitrust. Si tratta di un problema importante, di prima grandezza, come dimostra la vicenda dell'OPA sulla BNL e come esige la normativa europea. Lo esige lo stesso buon senso, per dare un minimo di razionalità alla riorganizzazione delle authority, che dovrebbe essere compiuta complessivamente per finalità. Invece, il fatto di lasciare ancora la competenza in materia di concorrenza alla Banca d'Italia costituisce una scelta irrazionale e non organica rispetto al riassetto delle authority.
La riforma delle authority, così com'è stata confezionata sia dalla Camera nella prima lettura, sia dal Senato, purtroppo, in un certo senso sembra finalizzata a mantenere le cose inalterate nella sostanza. Però, credo che al Senato sia stato fatto qualche passo, non in avanti, bensì indietro. Si è fatto qualche passo che mira a rafforzare i compiti e le intese della Banca d'Italia, anche rispetto alla CONSOB, che, invece, dovrebbe essere l'unica titolata a garantire la trasparenza dei mercati finanziari.
I colleghi ricorderanno che noi, pazientemente, nella sede competente delle Commissioni riunite, svolgemmo un lavoro di attenta attribuzione delle competenze alla Banca d'Italia, all'Antitrust e alla CONSOB, alla quale scegliemmo di affidare tutte le competenze in materia di trasparenza in via esclusiva. Il Senato ha ribaltato questa logica, ha rafforzato i poteri della Banca d'Italia, costringendo con alcune norme la CONSOB ad intese che porteranno semplicemente a complicare il processo di vigilanza.
Quindi, il testo del Senato complica la normativa approvata dalla Camera. Intanto, onorevole sottosegretario, signor Presidente, cosa accade? Questo lo voglio dire, perché ne abbiamo già discusso con il sottosegretario Armosino. Intanto, il Governatore della Banca d'Italia continua a non rendere accessibili alla CONSOB i dati della centrale rischi, nonostante a ciò sia obbligato dall'articolo 9 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
Sette mesi fa questa aula - lo rivendico con orgoglio e senza narcisismi di sorta - approvò una norma che fu proposta dal sottoscritto. Ciò fu deciso unanimemente dalla Commissione finanze e dalle altre Commissioni. Lei lo ricorderà, onorevole sottosegretario, perché espresse un parere contrario nella XIV Commissione.
Quel testo va rispettato, anche dal Governatore della Banca d'Italia.
È un comportamento omissivo, che purtroppo registra un'assordante silenzio da parte del ministro dell'economia e delle finanze. Le leggi però vanno rispettate e quella è una legge importante, perché la conoscenza diretta e tempestiva, da parte della CONSOB, dei dati relativi all'esposizione debitoria (verso il sistema bancario) dei soggetti interessati ad operazioni che si svolgono sul mercato, diventa decisiva ed indispensabile, una conditio sine qua non, per svolgere un'attenta azione di vigilanza da parte della CONSOB medesima. Evidentemente, qualcuno vuole che la CONSOB non venga messa in grado di esercitare le proprie funzioni! E questo con i danni enormi che poi si registrano sul mercato.
Eppure, le vicende Parmalat e Cirio e quelle più recenti delle OPA avrebbero dovuto insegnare qualche cosa! Quante volte, cari colleghi - voi che avete svolto, insieme al sottoscritto, l'indagine conoscitiva sulla Parmalat e sulla Cirio -, è stato detto che, se quei dati della Centrale rischi della Banca d'Italia fossero stati conosciuti
dalla CONSOB, probabilmente non si sarebbe verificato quel crack? Perché sarebbe stata bloccata sul nascere l'emissione delle famose obbligazioni che sono state poi vendute ai pensionati, alle vecchiette e ai piccoli impiegati, che andavano a mettere lì i propri risparmi. Credo che su questo aspetto non possiamo demordere. Ne approfitto, sottosegretario Ventucci, per chiederle di farsi carico di dire al Presidente del Consiglio - e anche al Presidente della Camera - che sarà pure amico del Governatore della Banca d'Italia, ma come Capo del Governo bisogna dire a questo signore che la legge approvata sette mesi fa va rispettata da tutti e in questo caso da lui!
Non la voglio fare molto lunga, signor Presidente, ma alcune cose le devo dire, perché questa è materia della quale si discute e della quale la stampa parla. Basta aprire un giornale qualsiasi, per rendersi conto del marcio che esiste nel sistema bancario e quanta scarsa trasparenza c'è nelle varie operazioni finanziarie, siano esse di collocamento di prodotti finanziari, siano esse acquisizioni bancarie o di altre società. Basta prendere il Corriere della Sera di oggi, nel quale si ricorda il fenomeno diffuso di insider trading, posto in essere dagli amici del banchiere Fiorani, ai quali venivano prestati i soldi e venivano fornite notizie riservate, cosicché essi speculavano e poi dovevano versare una quota del 40 per cento all'interessato che però non la versava nella banca, per i soci, bensì sui propri conti. Si tratta di notizie apparse sul Corriere della Sera di oggi. Sono però fatti quotidiani e non pettegolezzi. Ci sono autorevoli giornali che ci spiegano questi fatti. C'è il Diario di un autorevole giornalista come Deaglio, il quale fa un numero speciale sui furbetti del quartierino, dove ci parla di Fiorani, del Governatore della Banca d'Italia, dei Ricucci e compagnia bella. Non possiamo quindi ignorare quello che avviene, proprio perché siamo chiamati a legiferare, al fine di prevenire questi fenomeni, che sono deleteri per i risparmiatori - voglio ricordare che il risparmio è tutelato dalla nostra Costituzione - e per l'intera economia del paese.
Come è stato sottolineato dagli amici relatori, il Senato ha reintrodotto - e questo è un fatto positivo - sanzioni e pene più stringenti per il reato di false comunicazioni sociali, ripristinando sostanzialmente la normativa previgente a quella di depenalizzazione approvata dal Governo Berlusconi nei suoi primi 100 giorni. Riteniamo che, fra le tante modifiche negative, questa introdotta dal Senato possa essere ritenuta un fatto positivo. Ricordo che, in prima lettura alla Camera, le nostre proposte in merito furono bocciate dalla maggioranza. Questo era uno dei punti, sui quali la maggioranza - lo voglio ricordare senza iattanza - si chiuse a riccio; fu come un solo uomo nel momento in cui votò contro l'emendamento presentato dall'opposizione.
Comunque, verrebbe da dire, meglio tardi che mai e meno male che il Senato vi ha provveduto! Tuttavia, poiché non siamo ingenui, riteniamo di dover far sapere agli italiani, agli eventuali cittadini che, in questo momento, ci ascoltano e non ai pochi colleghi (li ringrazio per la pazienza) presenti come me in quest'aula, che questa norma, che - lo ripeto - è giusta, è stata reintrodotta solo adesso che i problemi giudiziari del Presidente del Consiglio relativi ai reati di falso in bilancio sono stati risolti (Commenti)... Non è inutile! In futuro servirà (ho detto, infatti, che si tratta di una norma positiva), ma è arrivata tardi, perché alla Camera, purtroppo, cari colleghi, non avete approvato i nostri emendamenti! Non vi chiedo di pentirvi (siete capaci di questo e di altro), ma spero che, questa volta, prevalga la saggezza, perché la norma è utilissima!
Il testo in discussione, come risulta evidente dalle relazioni degli amici Saglia e Romoli, si compone di due parti: quella relativa alla governance societaria e quella relative alle authority. L'impianto della parte societaria, come afferma il professore Marco Onado in un articolo apparso recentemente su Il Sole 24 Ore, pur condivisibile,
presenta soluzioni ancora lontane dalle migliori pratiche internazionali.
Abbiamo presentato una serie di emendamenti, molto spesso finalizzati a ripristinare il testo approvato alla Camera, perché, comunque, migliore rispetto alle modifiche apportate dal Senato o, meglio, dalla maggioranza di centrodestra al Senato.
Con riferimento all'articolo 2, per esempio, non si comprende il motivo per cui sia stata soppressa la norma relativa alla possibilità attribuita al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza o al comitato per il controllo sulla gestione, di denunciare, dinanzi a gravi irregolarità nella gestione della società, i fatti al tribunale, ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile. Non si è capito il motivo per cui si è voluto negare tale possibilità e, pertanto, ne riproponiamo il testo.
Riteniamo, infatti, che l'azione del collegio sindacale debba essere stringente e non formale, perché, spesso, le cattive gestioni ed i conseguenti crack sono dovuti anche alla leggerezza o alla complicità dei componenti di questi organi societari.
Certo, va considerata la proprietà, ma non si può privilegiare nella normativa soltanto il capitale sociale. Occorre attribuire al collegio sindacale poteri di intervento, quando ci si accorge che la gestione della società non è corretta.
Occorre, inoltre, responsabilizzare il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza anche per quanto riguarda l'azione di responsabilità cui ha fatto riferimento il collega Romoli.
Uno dei punti essenziali affrontati in modo negativo al Senato è sicuramente quello relativo all'articolo 7 soppresso, che riguarda le cosiddette operazioni con parti correlate.
Noi del centrosinistra riproponiamo il testo approvato alla Camera. La materia è delicata e va affrontata con la consapevolezza di quanto realmente accade quotidianamente in tali operazioni. È una norma che ci sembra punitiva e mi riferisco al divieto per le fondazioni bancarie di esercitare il voto per le azioni eccedenti il 30 per cento. Di tale argomento parleremo nel corso del dibattito (abbiamo in merito presentato alcuni emendamenti).
A mio avviso, occorre stabilire dei limiti e delle regole cui le società devono attenersi, ma non possono essere penalizzate quando ci sono delle proprietà reali che vanno oltre il 30 per cento. A nostro avviso, le società che ricorrono al mercato del capitale di rischio non devono contrarre, direttamente o indirettamente, obbligazioni o compiere atti di compravendita di valore superiore ai 100 mila euro con chiunque abbia, anche indirettamente, una partecipazione di controllo nel loro capitale o abbia un'influenza notevole.
Ecco perché le operazioni con le cosiddette parti correlate costituiscono un aspetto importante se intendiamo prevenire i fenomeni di cui ho parlato in precedenza.
Anche per quanto concerne l'articolo 8 proponiamo il ripristino del testo approvato dalla Camera. La concessione di credito in favore di azionisti e le obbligazioni degli esponenti bancari insieme alle enunciate operazioni con parti correlate costituiscono parte rilevante di quei conflitti di interessi che una seria legge di riforma del risparmio deve normare.
A mio avviso, l'eliminazione operata dal Senato delle disposizioni che ponevano un limite all'esposizione debitoria dei vari soggetti detentori di partecipazioni in una banca nei confronti della banca stessa nonché la limitazione di dare in pegno o partecipazioni bancarie a garanzia dei crediti è molto grave e non tiene conto di quanto accade ed è accaduto anche in occasione delle vicende di cui ho parlato all'inizio del mio intervento. Anche questo è un aspetto che spero sia oggetto di riflessione da parte del ministro Tremonti, che mi auguro possa presentare una proposta da noi condivisibile.
All'articolo 9, oltre alla strana sostituzione operata dal Senato delle parole «prodotti finanziari» con la parola «titoli», si obbliga la CONSOB, che è titolare delle competenze in materia di trasparenza, a stabilire un'intesa con la Banca
d'Italia per quanto riguarda la gestione dei patrimoni di organismi di investimento collettivo e del risparmio.
In breve, non solo in questo articolo ma anche in altri, si ampliano le ingerenze della Banca d'Italia o si obbliga, comunque, la CONSOB ad effettuare intese con essa. A tale proposito è emblematico il testo dell'articolo 10, del quale proponiamo la sostituzione con quello a suo tempo approvato dalla Camera, in quanto sicuramente migliore e più efficace. Questo articolo, come riscritto dal Senato, elimina di fatto il potere regolamentare della CONSOB circa l'obbligo dei cosiddetti chinese walls per la separazione delle varie attività organizzative all'interno delle singole banche. Il conflitto di interessi, e quello dei chinese walls è un tema rilevante; ricordo che la Sec americana nel 2002, al termine di un'indagine, accusò l'Investment Bank di un enorme conflitto di interessi, imponendo una separazione più credibile delle varie attività condotte nell'ambito delle istituzioni finanziarie. La Sec, infatti, aveva accertato che, tra gli analisti legati ai responsabili del collocamento titoli, alcuni possedevano titoli delle società di cui si occupavano, eccetera...
PRESIDENTE. Onorevole Lettieri, deve concludere.
MARIO LETTIERI. Presidente, ho già terminato il tempo a mia disposizione?
PRESIDENTE. Sì, onorevole Lettieri, sono trascorsi già 30 minuti.
MARIO LETTIERI. Va bene, Presidente, concludo immediatamente.
Il tema del conflitto di interessi va affrontato sicuramente in maniera più puntuale e il testo del Senato necessita di alcune modifiche. Mi auguro che il ministro possa presentarci una proposta al riguardo. Quindi, la parte relativa alla governance societaria può essere condivisa se verranno apportate alcune modifiche.
Per quanto concerne la parte relativa alle authority, ho accentuato la parte relativa alla Banca d'Italia sapendo che il controllo sulle attività bancarie e finanziarie è necessario, altrimenti il mercato muore (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, come già accaduto in Commissione, l'opposizione si impegnerà anche in aula per tentare di introdurre modifiche ad un provvedimento assai deludente sotto molti aspetti.
È però probabile che una maggioranza sempre più preda di forzature reciproche ed impegnata in una sorta di road map tra la legge finanziaria, la legge elettorale e la devolution, decida, come è accaduto in Commissione, di adottare una procedura blindata anche per questo provvedimento, preferendo al confronto di merito l'approvazione di una legge, qualunque essa sia.
Tuttavia, è abbastanza facile scorgere, dietro l'urgenza della maggioranza e del Governo di approvare una legge purchessia, preoccupazioni di natura prevalentemente elettoralistica. Questo, infatti, è, a mio parere, il punto. Nella versione licenziata dal Senato, che, salvo imprevisti o colpi di scena dell'ultima ora, sarà verosimilmente confermata dalla Camera in seconda lettura, il provvedimento sul risparmio si configura come l'ennesima legge manifesto, assolutamente al di sotto delle esigenze reali dei mercati finanziari e dei risparmiatori italiani.
C'è un'osservazione preliminare da fare. Lungi dall'affrontare la questione fondamentale richiamata nello stesso titolo del provvedimento, vale a dire la tutela del risparmio e dei risparmiatori, Governo e maggioranza, travolti dall'emergenza dell'affaire Fazio, si sono concentrati sulla questione dell'assetto della Banca d'Italia e della durata in carica del Governatore, rendendo peraltro evidente, nella soluzione che ci propongono e che hanno trovato, la condizione di scacco in cui versano nei confronti di Antonio Fazio e del suo potere.
Ciò ha contribuito a produrre un testo legislativo deludente e inadeguato, che oltretutto non ha voluto, o non ha saputo, recepire alcunché del lungo lavoro svolto in sede di indagine delle Commissioni riunite finanze e attività produttive di Camera e Senato. Tracce consistenti di quel lavoro erano rinvenibili nel testo licenziato dalla Camera, soprattutto in materia di governance delle società, di controlli societari e di conflitti di interessi, così come era presente, nell'ex articolo 14 relativo ai depositi bancari dormienti, il tentativo di dare basi solide alla costituzione di un fondo di garanzia per i risparmiatori.
Dunque, anche se su diverse ed importanti problematiche l'opposizione aveva manifestato fermo dissenso, con il conseguente mancato voto favorevole sul provvedimento, quest'ultimo conservava parti condivise e non rinunciava a priori a dare risposte ai problemi manifestatisi. Il passaggio al Senato si è invece rivelato, da questo punto di vista, esiziale. La maggioranza ha scelto di emendare il testo licenziato dalla Camera nelle parti che maggiormente conservavano un'impostazione condivisa e che, semmai, avrebbero dovuto essere rafforzate, alla luce delle note vicende finanziarie dei mesi estivi, con le manovre spregiudicate dei già ricordati «furbetti del quartierino» e con il braccio di ferro tra Esecutivo e Governatore della Banca d'Italia, risoltosi, di fatto, in una «Caporetto» del Capo del Governo e del ministro dell'economia, con pesanti riflessi sulla credibilità, anche internazionale, del nostro paese.
Nel merito, sono almeno tre i versanti su cui il testo del provvedimento evidenzia lacune gravi e contraddizioni. In primo luogo, gli articoli dall'1 al 18, dedicati al tema della governance della società per azioni e alle modalità con cui debbono operare sui mercati le società che svolgono la loro attività nell'ambito dell'intermediazione finanziaria, hanno visto l'introduzione, da parte del Senato, di numerose modifiche, spesso neppure coerenti fra di loro, destinate a indebolire significativamente le necessarie garanzie di trasparenza, di correttezza, di rappresentanza delle minoranze azionarie, di informazione ai risparmiatori e di rigore nella nomina dei revisori dei conti.
Cito, per tutti, tre articoli. L'articolo 2, che disciplina la fattispecie delle irregolarità commesse dagli amministratori delle società, nella versione licenziata dal Senato limita in misura consistente la facoltà del collegio sindacale di denunziare al tribunale tali irregolarità. Ne risulta, ovviamente, indebolito il ruolo stesso dell'organismo di controllo.
L'articolo 8, in materia di concessione di credito da parte delle banche ai propri azionisti, rimette al potere regolamentare della Banca d'Italia la definizione delle condizioni per l'esercizio delle attività di rischio. Ciò contrasta decisamente con le esigenze che emergono dai già citati avvenimenti estivi e che, semmai, richiederebbero meccanismi e strumenti di controllo certi e predefiniti.
L'articolo 10, in materia di conflitti di interesse nelle prestazioni dei servizi di investimento, attribuisce di nuovo alla Banca d'Italia e non alla CONSOB, come prevedeva il testo della Camera, il potere di definire le situazioni che possono dar vita a conflitti di interesse.
Inoltre, come già ricordava il collega Lettieri, è scomparso qualunque obbligo di separazione societaria nella prestazione dei servizi di investimento. È del tutto evidente, dunque, che l'impianto di questa prima parte, un impianto debole relativamente a materie così importanti, è destinato a proiettare pesanti ombre sulla credibilità complessiva del sistema e dei mercati finanziari italiani.
Il secondo versante è rappresentato dagli articoli dedicati al sistema delle authority. Si tratta di disposizioni che, di fatto, evidenziano una soluzione che ricalca sostanzialmente, salvo alcuni lievi aggiustamenti, l'assetto esistente: un assetto che non ha certo dato gran prova di sé, né in materia di tutela dei risparmiatori dai gravi scandali finanziari che si sono succeduti in questi anni, né in materia di garanzia della concorrenza e della trasparenza del mercato bancario. Così,
invece di procedere come aveva cercato di fare la Camera, peraltro non riuscendovi appieno, ad una riforma per funzioni del sistema delle authority, assegnando alla Banca d'Italia, insieme a COVIP ed ISVAP per le materie di loro pertinenza, la prerogativa di vigilare sulla stabilità del sistema bancario, trasferendo tutte le competenze in materia di concorrenza bancaria all'Antitrust e attribuendo competenze esclusive in materia di trasparenza ad una CONSOB rafforzata anche nelle disponibilità di organico, si è preferito, al contrario, riproporre un sistema misto, che di fatto perpetua un rapporto squilibrato tra le authority a tutto vantaggio della Banca d'Italia. Inoltre, nel merito dell'articolo 19 non si può non rilevare come la soluzione prospettata non tenga in alcun conto - del resto, lo riconosceva, almeno parzialmente, anche il relatore Saglia - le osservazioni formulate dalla BCE, in particolare sulle questioni relative alla collegialità delle decisioni della Banca d'Italia.
Anche con riferimento a tale profilo, ripresenteremo in Assemblea gli emendamenti respinti in Commissione, che riconducono la decisionalità al direttorio della Banca d'Italia, con la presenza del Governatore. A proposito del Governatore, lo ha ricordato il collega Lettieri, se è vero che il testo approvato dal Senato fissa in sette anni la durata in carica, si deve altresì ricordare che ciò non ha alcun effetto pratico sulla situazione di Antonio Fazio, uscito di fatto vincitore da una prova di forza con un Governo che lo ha più volte sfiduciato senza cavare un ragno dal buco.
Terzo ed ultimo aspetto. Non si può non sottolineare come dal testo siano state espunte quelle parti che, seppure in misura non del tutto soddisfacente, introducevano elementi di garanzia e prevedevano un risarcimento dei risparmiatori coinvolti da scandali finanziari, cercando di mettere il sistema bancario di fronte alle sue responsabilità. In particolare - lo ho già ricordato prima - è scomparso l'articolo 14, che prevedeva l'istituzione di un fondo di garanzia per gli investitori ed i risparmiatori da finanziare con il cinquanta per cento delle somme ricavate dall'estinzione dei cosiddetti depositi dormienti, cioè quelli per i quali non è più possibile risalire ad un titolare, giacenti presso le banche. Peraltro, il venir meno dell'articolo 14 svuota il riferimento al fondo, che rimane nell'articolo 27.
La materia è stata trasfusa, in modo a mio parere assai parziale e insoddisfacente, nel disegno di legge finanziaria. La cosa non può che suscitare ulteriori, fondate preoccupazioni, perché, oltre all'inadeguatezza di quanto previsto in finanziaria nella formulazione attuale, l'esperienza di questi ultimi anni ci insegna che molto spesso la versione definitiva della legge finanziaria è assai diversa, ai limiti della irriconoscibilità, da quella presentata in prima battuta. Sarà, quindi, da verificare se queste misure saranno presenti, pur nella loro inadeguatezza, nel testo finale.
A queste gravi carenze si deve aggiungere che è ormai bloccato in Senato il provvedimento sulla class action, che prevede la possibilità per i piccoli azionisti ed i risparmiatori di ricorrere all'azione di responsabilità collettiva. Già alla Camera era stato respinto un emendamento presentato dall'opposizione che cercava di richiamare il sistema bancario alle sue responsabilità nei confronti dei piccoli risparmiatori detentori dei bond argentini.
È infine, di fatto, bloccata, per non dire boicottata, la costituzione di una Commissione di inchiesta sulla vicenda dei medesimi bond argentini. Allo stato dei fatti, si deve purtroppo concludere che, per quanto riguarda l'esigenza di intervenire in favore del risparmio ed a sostegno della credibilità del nostro mercato finanziario, il Governo Berlusconi e la maggioranza che lo sostiene sembrano di fatto determinati a scaricare sul Parlamento e sul Governo che verranno dopo le elezioni della prossima primavera - qualunque sia il colore politico di quella maggioranza e di quel Governo - la responsabilità di una vera riforma.
L'attuale maggioranza ha, tuttavia, ancora una possibilità per dimostrare di essere intenzionata all'approvazione non dell'ennesima legge-manifesto ma di una norma realmente efficace. Questa occasione
è rappresentata dal dibattito qui alla Camera sul provvedimento in esame, che noi ci auguriamo non rappresenti una semplice conta su un testo blindato o, peggio ancora, non riproponga, nel caso la maggioranza e il Governo trovino un accordo su eventuali modifiche, un ennesimo voto di fiducia. Ciò perché questa di cui si discute non è una materia che riguardi esclusivamente la maggioranza o il Governo. Noi ci auguriamo che su tale materia si possa svolgere un confronto di merito in cui si manifesti la disponibilità a trovare intese ed a recuperare convergenze sui punti cruciali del provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, concordo con il giudizio espresso poc'anzi dal collega Lettieri sulla qualità delle relazioni svolte dagli onorevoli relatori, che sono sicuramente apprezzabili sotto il profilo del dettaglio tecnico ma - non me ne vogliano per questo -, proprio per questa ragione, appaiono del tutto lontane, estranee ed inadeguate alla enormità del problema economico, sociale e politico che abbiamo di fronte. È proprio tenendo conto di tale problema che noi abbiamo cercato di affrontare la discussione, certamente difficile, inizialmente persino con qualche ambizione bipartisan, sulla riforma della legislazione in materia di risparmio che approda oggi, per un'ulteriore lettura, qui alla Camera.
Sul provvedimento in esame aleggia l'incertezza che la discussione si riveli, alla fine, inutile qualora l'esame dello stesso, come ci è parso di capire già nel corso delle sedute delle Commissioni, sarà blindato dalla maggioranza, oppure, e le due cose non sarebbero in contraddizione l'una con l'altra, la stessa maggioranza, sulla base di una riflessione, di cui si può anche apprezzare la qualità tecnica, vorrà portare l'esame del provvedimento, come si evince dalla lettura de Il Sole 24 Ore, fino a questo punto a seguito del convegno Aspen.
Desidero soffermarmi sull'essenza del problema; dopodiché, mi esprimerò nel dettaglio anche sulla principale novità, introdotta al Senato con un emendamento presentato dal Governo, cioè il riordino degli assetti interni alla Banca d'Italia.
Onorevoli colleghi, ritengo che con il provvedimento al nostro esame si sia persa, e in limine mortis l'ha persa soprattutto la maggioranza, l'occasione di introdurre finalmente una modifica che risponda effettivamente alla tutela dei risparmiatori e anche degli azionisti, resasi necessaria dopo i clamorosi casi di Cirio e di Parmalat.
Per far vedere che non la butto tutta sulla responsabilità del Governo italiano o dei manager italiani o del Governatore della Banca d'Italia, dico che la questione non è solo italiana: si tratta di una malattia tipica del capitalismo finanziario a livello mondiale. Essa ha avuto le sue manifestazioni più eclatanti nel tempio del capitalismo contemporaneo, vale a dire negli Stati Uniti d'America, ma con una differenza che è sostanziale: negli Stati Uniti d'America, il caso Enron è stato devastante; tuttavia, quel paese è intervenuto successivamente, a distanza di non moltissimi mesi, con un provvedimento legislativo che metteva mano all'intera materia (la cosiddetta legge Sarbanes-Oxley) e con interventi giudiziari che hanno portato alla condanna dei responsabili di quel crack addirittura a 25 anni di prigione.
Non desideriamo altrettanto - soprattutto da parte di chi non ha mai pensato che esista una via giudiziaria al socialismo e che, quindi, respinge il giustizialismo in tutte le sue forme ed in tutte le sue espressioni -, ma tra quegli eccessi ed il nulla totale (ed il fatto che un Governatore stia lì malgrado gli dicano tutti di andare via) ci saranno pure misure intermedie, onorevoli colleghi, che noi possiamo adottare!
Invece, la legge che ritorna alla Camera, con la doppia prospettiva indicata - o è blindata o verrà modificata, ma soltanto dalla maggioranza -, è un'occasione perduta e non risolve i problemi di fondo del sistema. Sono d'accordo con chi ha
autorevolmente scritto, in questi giorni, che la legge manca quelli che potevano essere i suoi obiettivi e che, sostanzialmente, non nel dettaglio delle norme (su cui mi soffermerò tra poco), ma nell'impianto, nella filosofia, nello schema legislativo complessivo, non affronta due questioni che sono della massima grandezza. Ed io vorrei, colleghi del centrosinistra, che, oltre a porre fine al governatorato a vita di Fazio, quando avremo vinto le elezioni, ci occupassimo di due grandi questioni, che sono ben più complesse.
La prima è la seguente. Noi assistiamo, nel capitalismo mondiale, ad una terribile malattia, che consiste, sostanzialmente, nella fame - quasi una mania! - di acquisizione di imprese, non per diventare più grandi sul terreno precipuamente industriale, non per una scelta che deriva da un piano industriale (discutibile o meno), ma semplicemente per diventare più cari in borsa, al fine di non essere acquisiti a propria volta da altri: le acquisizioni non derivano da un piano industriale, ma dall'assoluta prevalenza del carattere speculativo-finanziario nell'impiego del capitale rispetto ad una sua finalizzazione produttiva.
Si tratta, quindi, di una malattia interna al detto sistema capitalistico: la malattia di base che corrompe e spinge alla disonestà, fino ai casi più gravi, coloro che fanno parte del management delle diverse imprese, i quali sono spinti alla disonestà - oltre che, in molti casi, da fenomeni di cattiveria soggettiva - dal sistema, che impone loro di nascondere le condizioni reali dei bilanci, di truccare lo stato di salute delle imprese, di fare capriole prive di base di ricaduta e di rete di protezione che, poi, vengono inevitabilmente scaricate sugli azionisti, sui risparmiatori, sui lavoratori dell'impresa, sulla comunità dei cittadini.
La seconda questione, conseguente o, comunque, collegata alla prima, è che abbiamo un sistema mondiale - a preoccuparsene dovrebbero essere soprattutto, non i detrattori del capitalismo (tra i quali mi iscrivo), ma i suoi fautori e sostenitori - in base al quale i veri padroni delle imprese quotate in borsa sono, ormai, investitori istituzionali: i fondi pensione (il capitalismo dei fondi pensione è uno dei termini più usati anche a livello delle varie economic school del mondo), i fondi di investimento, le compagnie di assicurazione, eccetera, eccetera, eccetera.
È inutile rilevare come il conflitto d'interessi, di cui il Presidente del Consiglio è uno degli emblemi su scala mondiale, venga riprodotto anche in altri paesi e, comunque, continuamente alimentato da questo sistema malato. Negli Stati Uniti d'America, i primi 25 investitori istituzionali controllavano, fino a poco tempo fa, un quarto delle azioni circolanti. Questo è lo stato del sistema e un'iniziativa legislativa che si ponga al di sotto di queste enormi problematiche è un'iniziativa legislativa che fallisce il compito di tutelare risparmiatori, azionisti, cittadini e lavoratori delle imprese che sono state al centro degli scandali noti.
Le Commissioni di indagine sulla vicenda Cirio-Parmalat hanno messo in luce due tipologie, due caratteristiche in cui si è esercitata la malversazione. Naturalmente parlo di aspetti prevalenti, nel senso che in entrambi i casi si è verificato, diciamo così, di tutto e di più; ma, se vogliamo vedere le cose nella loro essenza e cogliere anche qualche differenza che potrà esserci utile, il caso Parmalat indica una sistematica falsificazione dei bilanci, la trasformazione dell'impresa societaria in un'associazione a delinquere, con una corresponsabilizzazione delle società dei revisori e di tutti coloro che intervengono nel sistema imprese. Altrimenti, onorevoli colleghi, sarebbe stato impossibile evadere l'allarme che, già nel 1989, gli organi dirigenti del Monte dei Paschi di Siena, seppure a minoranza, elevarono nei confronti di un modesto credito che si voleva concedere alla Parmalat (e sono passati 17 anni!). Altrimenti, sarebbe stato impossibile per quel management sostenere di avere venduto latte in polvere a Cuba in quantità tale che, se fosse stato vero, l'intera isola caraibica, che piccola non è, sarebbe stata sepolta da polvere bianca, in quel caso latte in polvere.
Mi domando come sia stato possibile se non sulla base dell'esistenza di un'associazione a delinquere per cui uno ha falsificato, un altro ha coperto, il terzo ha certificato la falsificazione, il quarto ha protetto il certificatore del falso e così via dicendo. Vi è un tema che esula dalla tecnica finanziaria e riguarda l'intero sistema di controllo delle imprese quotate in borsa, ma anche di quelle che non lo sono, onde evitare che l'interesse primario dei cittadini venga sepolto dalle speculazioni e dalla mancanza di alcun senso di responsabilità sociale di pochi.
Il secondo caso, quello della Cirio, indica - se ho ben capito, non essendo esperto del settore - un'altra fattispecie di delinquenza, diciamo così, che ha comportato un cambiamento radicale, nella pratica non nel diritto, di quella che dovrebbe essere la funzione nel sistema obbligazionario dell'emissione di bond, i quali sono stati usati per coprire esposizioni debitorie che il gruppo aveva nei confronti delle banche, mentre queste procedevano alle emissioni.
Dobbiamo intervenire su questo sistema? Sì, ma allora ritorniamo al secondo «buco» di cui parlavo prima: o si interviene sul nesso che esiste tra banche e sistema di imprese, oppure riscaldiamo l'acqua tiepida. In altre parole, con questo testo di legge non se ne esce.
Eppure, in tale testo avevamo sperato, proprio per la considerazione iniziale che esso, logicamente, rientrava più negli interessi dei fautori del capitalismo che non in quelli dei loro detrattori e, dunque, si sarebbe potuta anche vagheggiare l'idea che un certo spirito benefico riformatore fosse finalmente entrato nei sostenitori di questo sistema sociale. E invece no! Credo francamente che il testo licenziato dal Senato, con le modifiche introdotte dalla maggioranza, non risolva il problema.
Qui naturalmente il dibattito è aperto anche a sinistra. Infatti, non nasconderò - del resto, l'ho scritto sul mio «samizdat» di Liberazione (non so se qualcuno l'ha letto) - che il principio della pubblicizzazione della proprietà della Banca d'Italia è giusto. Non riesco a capire chi a sinistra dice che la proprietà non conta. Non conosco un sistema economico al mondo nel quale la proprietà non conti; essa, in realtà, conta quando c'è e anche quando non c'è. Mi si indichi un paese, per favore; si alzi uno e mi indichi un paese nel quale la proprietà non conta o non esiste! Sono formulazioni teoriche prive di sostanza, cattiva ideologia, falsa rappresentazione della verità (come avrebbe detto il «vecchio»)!
Dunque, la proprietà conta, e il problema - lo ricordava anche l'onorevole Saglia, se non mi sono distratto - è semplice: nel 1936, quando venne definita la legge su cui poggia il sistema, eravamo di fronte a ben altro assetto proprietario complessivo delle banche, per cui si sarebbe potuto anche concepire un istituto di carattere pubblico appartenente a diversi istituti bancari, dal momento che questi erano sostanzialmente pubblici. Ma da quando si è messa mano alla famosa «foresta pietrificata» del sistema del credito italiano, peggiorando le cose - mi riferisco al periodo dal 1992 in poi - , abbiamo avuto una privatizzazione che ha comportato peraltro una concentrazione di grandi gruppi bancari, a dimostrazione che la privatizzazione non risolve i nodi del sistema. Per questo, siamo di fronte ad una proprietà privata di un istituto di funzione pubblica. È questa, oltre la durata eterna del Governatore Fazio, l'altra grande anomalia che noi abbiamo nel sistema europeo. Non esistono altri paesi - o ne esistono davvero pochi - nei quali la Banca centrale non sia saldamente in mano al sistema pubblico - anche sotto il profilo proprietario - , quanto meno per ciò che riguarda la sua maggioranza e la sua potestà decisionale.
Il testo del Senato, come al solito, è una pentola di cui non son fatti i coperchi, considerato che sembra impossibile capire - vero, collega Armosino? - quale sia l'entità del capitale della Banca d'Italia. Se non sono distratto, tra Governo, giornali, economisti, competenti o presunti tali, sono state espresse diverse valutazioni (si va da 1 a 14 o da 1 a 15), come se si
trattasse di bruscolini, per cui, in caso di ripubblicizzazione, non si capirebbe il suo costo.
È per questo - detto per inciso - che io propongo un esproprio, in questo caso non proletario, ma governativo, in modo da riportare - e ne riparleremo in sede emendativa - la proprietà in mano al pubblico.
In ogni caso, il fondo a cui il collega relatore faceva riferimento ha, a tutta evidenza, una capienza non sufficiente, per quanto riguarda la maggioranza delle valutazioni dell'entità di questo capitale, per risolvere il problema. Quindi, rischiamo di avere una grida manzoniana, puramente priva di una possibilità di avere efficacia. Evidentemente, il giochino di privare del diritto di voto le banche attualmente esistenti può avere un valore sotto il profilo transitorio, ma non può rappresentare una situazione di stabilizzazione. Il secondo problema con riferimento al quale «casca l'asino» riguarda la durata in carica del Governatore. Finalmente ci si accorge che un incarico a vita è un'anomalia, l'unico incarico e l'unico Governatore, il quale peraltro - lo dico per inciso, per non sembrare un rozzo economista -, secondo le informazioni della pubblicistica internazionale, che è fatta non solo da comunisti ma anche da capitalisti, riceve uno stipendio inferiore solamente al banchiere capo di Hong Kong. Quindi, siamo di fronte ad una persona che in ogni momento potrebbe andare in pensione senza tremare per il proprio futuro. Naturalmente, se continuasse a rimanere lì, guadagnerebbe ancora di più, ma non mi pare questa la sua funzione sociale.
In questo caso, sussiste un equivoco di fondo rispetto alla sua durata. Sulla base di quel testo, Fazio potrebbe legittimamente intendere che gli spettano altri sette anni, oltre quelli precedentemente trascorsi. Può un Parlamento essere preso in giro fino a questo punto?
Presidente, la vedo così attenta... La domanda è rivolta a lei, che lo presiede e lo tutela: può un Parlamento essere - domanda retorica: deve rispondere di no - preso in giro fino a questo punto? No, evidentemente!
PRESIDENTE. Il Presidente non risponde...
ALFONSO GIANNI. Basta un cenno. Lei ha una mimica facciale così espressiva che basta un cenno ed io, come gli altri colleghi, la intendo. No, non può! Allora, noi abbiamo il nostro emendamento, altri i loro e, quindi, la fantasia non ci manca in questi banchi: almeno questa non l'abbiamo perduta in questi anni non sempre eccellenti e di divertimento...
PRESIDENTE. Su questo esprimo il mio assenso.
ALFONSO GIANNI. Vede, lei è come Croce, che alle riunioni del Consiglio dei ministri dormiva e, quando si parlava di terra, cioè di un interesse, si svegliava...
Allora, onorevoli colleghi, una soluzione va trovata. Possiamo permettere che il Governo venga preso in giro? Lo dico agli onorevoli colleghi che hanno a cuore le sorti dell'onorevole Berlusconi, anche perché alle sue sono legate la loro sorte e la loro continuità in questi banchi. Dico ciò senza disprezzo: lo comprendo e lo capisco perché è la logica dell'appartenenza alla maggioranza. Vi pare che il Presidente del Consiglio faccia una bella figura quando dice in televisione che non ha più fiducia nel Governatore e non succede niente? Quello sta lì, quasi gli avesse detto: «guarda, ti voglio bene», solo con quei titoli che si facevano una volta nelle polemiche sui giornali: «ti odio, ti caccio, anzi ti bacio». Sembra la stessa cosa. Francamente, fa una brutta figura e si provoca una perdita evidente dell'effettività del potere politico in questo paese rispetto alle istituzioni economiche. Ripeto, questo è un problema anche per i fautori del capitalismo perché, se il potere economico fosse talmente strapotente rispetto alle forme di rappresentanza politica, sarebbe finita anche per chi lo sostiene,
se non all'interno di una logica puramente e squisitamente aziendale.
Allora, questo testo non è soddisfacente e cercheremo di emendarlo nei punti più importanti e più delicati che ho qui ricordato. Tra questi, vi è anche la questione delle fondazioni, forse una delle poche cose positive sotto il profilo riformatorio che è stato fatto in questi anni, la cui funzione extra finanziaria e di tipo sociale andrebbe difesa, mentre non si capisce perché debbono essere mortificate nel loro potere di intervento e di indirizzo nonché nel peso del loro voto negli organismi che contano.
Insomma, non ci siamo: per questo motivo, se non vi saranno (come certamente accadrà) modifiche decisive, è chiaro che il mio gruppo esprimerà un voto contrario.
In conclusione - forse ho ancora qualche minuto di tempo a disposizione -, vorrei tornare a sottolineare l'enorme rilevanza del tema che stiamo affrontando. Vedete, onorevoli colleghi, oggi in questa sede siamo in pochi - pertanto, non mi potrete accusare di incitamento alla criminalità! -, ma ricordo sempre (anche perché si tratta di quelle letture formative che non ti abbandonano più per tutta la vita) che il grande poeta e drammaturgo del Novecento, Bertolt Brecht, si domandò, con quella carica di provocazione intellettuale che egli seppe rivolgere tanto a destra quanto a sinistra (era un po' un Pasolini del suo tempo), se fosse più criminale fondare una banca o rapinarla!
Si tratta di una riflessione che possiamo riprendere «a tutto campo». Sapete, onorevoli colleghi, mi ha colpito leggere - ogni tanto mi capita! - che un banchiere che ha fatto una brutta fine, Guido Calvi, considerava come miglior banchiere mai nato e mai esistito John Law. Si tratta di colui che, in pratica, inventò nel Seicento la divisa monetaria cartacea, sostituendola alle monete. John Law era un libertino, un giocatore di carte ed un matematico: era esperto nel calcolo delle probabilità, e quindi fregava tutti al tavolo di gioco; inoltre, era un bell'uomo e piaceva alle dame. Ricordo che quando uccise in duello un suo pari venne rinchiuso e condannato all'impiccagione, ma una dama lo fece fuggire.
Egli arrivò poi in Francia, dove vi era un re disperato che non sapeva più che pesci prendere, poiché l'economia andava male, e si inventò, per l'appunto, di sostituire la moneta metallica con la produzione non di biglietti di durata provvisoria, ma di carta moneta vera e propria. Piccolo difetto (come sempre capita ai principianti in questo campo): si dimenticò di porre un limite all'emissione dei biglietti, e dunque creò la prima grande «bolla», che scoppiò successivamente.
Egli fuggì, poiché era abituato a scappare - e, personalmente, se la cavava sempre -, lasciando più di mezzo milione di persone (allora erano in meno a popolare l'Europa) in una condizione di totale miseria. Forse Brecht pensava a lui, con quella frase, poiché Voltaire, riferendosi all'esperienza di John Law (la vicenda narrata risale al 1715), scrisse al riguardo: finisce così il sistema della carta moneta, che ha arricchito un migliaio di «pezzenti» ed ha impoverito centinaia di migliaia di galantuomini. Voltaire aveva rovesciato la morale comune, poiché anche allora si riteneva che i galantuomini fossero quel migliaio che vinceva ed i «pezzenti» quel centinaio di migliaia che veniva fregato!
Non ci dice niente tale situazione a proposito della Enron, della Cirio, della Parmalat, delle telefonate di Fazio e delle scalate bipartisan, completamente incomprensibili sotto il profilo dell'adozione di un piano industriale, ma logiche, invece, dal punto di vista dell'acquisizione di potere e del rigonfiamento di sé stessi fino a scoppiare? Ci dice, ci dice qualcosa!
In fondo la storia, anche la peggiore, non sarà passata invano, se coloro che l'hanno seguita la studiassero almeno ogni tanto non per sapere ciò che devono fare, ma per evitare gli errori che già altri hanno commesso! Non so se ciò accadrà: in ogni caso, ribadisco che voteremo contro il provvedimento al nostro esame (Applausi dei deputati dei gruppi di
Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scherini. Ne ha facoltà.
GIANPIETRO SCHERINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, la sicurezza del risparmio e la sua tutela da comportamenti distorti rappresenta un'esigenza fondamentale per il sano sviluppo di ogni economia. Tale considerazione, tuttavia, risulta ancora più forte per quanto riguarda l'economia italiana, a causa di una molteplicità di motivazioni.
In primo luogo, il nostro paese ha fondato il suo straordinario sviluppo di questi ultimi sessant'anni proprio sulla grande disponibilità di risparmio interno che, a sua volta, deriva dalla fortissima propensione al risparmio delle famiglie italiane, che viene superata solo da quella che si registra in Giappone. Il risparmio ha finanziato sia lo sviluppo sia il ricorso all'indebitamento da parte dello Stato. Proprio l'inadeguatezza delle norme che regolano il mercato finanziario nazionale ha ostacolato uno sviluppo del mercato borsistico in linea con le esigenze dell'economia produttiva e ciò ha rappresentato una debolezza per le imprese italiane, che sono state costrette spesso a ricorrere all'indebitamento bancario che, in genere, è più costoso rispetto all'emissione di titoli azionari ed obbligazionari, non assorbiti da un mercato borsistico limitato.
Tale stato di cose, che è negativo, si è andato attenuando a partire dagli anni Ottanta, con una crescita del mercato finanziario interno che ha consentito alle imprese di attingere, in misura maggiore rispetto al passato, al mercato borsistico per le proprie esigenze di sviluppo. Successivamente, negli anni terminali della «prima Repubblica», caratterizzati da un crescente indebitamento dello Stato, i titoli pubblici con rendimento a due cifre hanno fatto una dura concorrenza alle azioni ed alle obbligazioni industriali e ciò ha deviato i flussi di risparmio dagli investitori produttivi al finanziamento del debito pubblico. Tale situazione è stata, successivamente, superata grazie al varo di politiche di contenimento del deficit e, quindi, del debito pubblico, che hanno consentito di liberare risorse finanziarie da destinare al finanziamento degli investimenti produttivi. Ma tale evoluzione politica, che ha rappresentato in sé una modernizzazione dell'assetto economico del nostro paese, ha subito, poi, una sostanziale battuta d'arresto, a causa di dissesti finanziari, che hanno ingenerato nei risparmiatori seri dubbi sulla solidità delle regole che presiedono al finanziamento dei mercati finanziari e borsistici. I gravi scandali finanziari verificatisi, dall'ottobre 2001, in tutto il mondo occidentale hanno imposto ai principali paesi coinvolti profonde riforme dell'assetto delle autorità di regolazione e, soprattutto, della disciplina dei mercati finanziari stessi. Quindi, non si tratta di un fenomeno limitato all'Italia: Enron è costato ai risparmiatori americani 83 miliardi di dollari, seguito da Worldcom, Vivendi in Francia, Ahlod in Olanda e da un notevole numero di scandali e di frodi di dimensioni più contenute.
In Italia, nello stesso periodo, sono emerse tre questioni rilevanti, con grave danno per i risparmiatori: il collocamento dei bond argentini, lo scandalo Cirio e lo scandalo Parmalat (solo le dimensioni di quest'ultimo si aggirano attorno ad un punto di prodotto interno lordo; sottolineo, un punto del nostro PIL). A questi, si sono aggiunti i casi di frode connessi a prodotti strutturati: My Way e 4 You o fallimenti - uno per tutti: Giacomelli -, che hanno coinvolto grandi numeri di risparmiatori. In tale contesto, la capacità di reazione del nostro paese è stata rapida. Alcune soluzioni sono state introdotte nell'ordinamento con il recepimento della direttiva europea sugli abusi di mercato: la legge n. 62 del 2005; con il decreto correttivo del diritto societario, del dicembre 2004, che interveniva sull'emissione dei corporate bond, ossia obbligazioni di imprese emesse da società estere e sulle operazioni con parti correlate; con la riforma del diritto fallimentare, attesa da
decenni, ed introdotta con il decreto-legge sulla competitività, del 2005, in particolare per ciò che riguarda le revocatorie e la bancarotta preferenziale.
Il cerchio si chiude con l'istituzione di un fondo per i risparmiatori vittime di frodi finanziarie, nella legge finanziaria per il 2006 (commi 244-246). Questo, però, è un tema del quale discuteremo, ovviamente, quando si esaminerà il disegno di legge finanziaria, quindi tra pochi giorni in quest'aula.
Il progetto di legge di cui la Camera avvia l'ultima lettura è la risposta sistematica ed organica ai problemi evidenziati, innovando sul piano della governance (amministratori e sindaci), della tutela degli investitori, nonché sul piano dei rapporti con le società di revisione, delle autorità di mercato, delle sanzioni.
La Casa delle libertà - e Forza Italia, in particolare - è fortemente impegnata per l'approvazione del provvedimento per la tutela del risparmio prima della fine della legislatura, tenendo conto della ristrettezza dei tempi e dell'affollamento dei calendari parlamentari. Questi sono, ovviamente, dati oggettivi. Con questo provvedimento l'Italia disporrà di uno dei sistemi normativi più avanzati d'Europa per quanto riguarda le logiche del mercato del credito.
Peraltro, dobbiamo respingere l'accusa di una risposta tardiva ed «annacquata» alle esigenze dei risparmiatori truffati. I tempi di discussione sono stati di 17 mesi alla Camera nella prima tornata (non sto ad enumerare le sedute, le audizioni, le ore di lavoro: potrei citarle in maniera certosina, ma non mi pare il caso di tediare i colleghi con i ricordi di un lavoro che ci ha tenuto impegnati 17 mesi) e di 6 mesi al Senato. Questi tempi, anche se appaiono lunghi, devono essere considerati ragionevoli, se si considera l'importanza e la complessità di un provvedimento come questo e se si fa il confronto con gli interminabili passaggi parlamentari di talune leggi di rilievo, ma certo di minore complessità. Vi sono leggi che sono state discusse per più di una legislatura e ancora oggi sono pendenti. Quindi, l'aver lavorato 24 mesi su una legge complessa come questa penso non possa far gridare nessuno allo scandalo. Il rallentamento del processo decisionale è uno dei difetti - se si vuol così definire - del nostro bicameralismo, che è stato più volte anche sottolineato dal Presidente del Consiglio. Ma questa non è la sede per discuterne.
Sul testo prodotto alla Camera in un clima di grande collaborazione - e credo che ciò vada, ad onor del vero, riconosciuto - e di aperto confronto tra tutte le forze politiche, il Senato ha svolto un lavoro di completamento. Anche se l'impianto è rimasto quello delineato dalla Camera dei deputati, vi sono state alcune modifiche significative.
L'elemento dominante del testo in discussione può racchiudersi in una parola chiave: responsabilità. Sono state rafforzate le sanzioni nei confronti dei sindaci e dei collegi dei revisori che si rendessero responsabili di irregolarità. Sono state rese più cogenti le misure a contrasto dei cosiddetti paradisi fiscali. Nel rapporto tra banca ed impresa è stato rafforzato il ruolo dell'organo di vigilanza. È stato introdotto l'obbligo del prospetto per le società che emettono prodotti finanziari, proprio per rendere tale operazione più trasparente. È stato completato anche il quadro della tutela delle minoranze. Sono individuate in maniera chiara le responsabilità dei gestori, quelle dei sindaci e quelle delle società di revisione e di rating.
Meritano attenzione anche le disposizioni finalizzate a rendere più stringente la disciplina relativa alle operazioni con società aventi sede legale all'estero, le cosiddette off shore, i paradisi fiscali e i paradisi legali sui quali, prima o poi, la Comunità internazionale dovrà interrogarsi e dovrà intervenire.
È stato affrontato e risolto il problema dei conflitti di interesse tra banca e impresa, trovando un equilibrio accettabile. Sono state dettate, inoltre, disposizioni volte ad evitare che insorgano conflitti di interesse nella prestazione dei servizi di investimento da parte delle banche. È stato fatto in modo che non sarà più possibile piazzare titoli poco affidabili e
molto rischiosi (i bond), senza prospetto, emessi solo per investitori internazionali, venduti poi sui mercati nazionali, accollandone il rischio, come avveniva in passato, al risparmiatore, senza che quest'ultimo fosse in grado di valutare approfonditamente la rischiosità dell'investimento.
Quanto all'apparato sanzionatorio, il Senato ha aumentato tutte le sanzioni e le pene, ritornando a quelle previste nel codice del 1942. In materia, citerei, per ciò che concerne le modifiche apportate all'articolo 30, la disciplina sulle false comunicazioni sociali. Si deve evidenziare come queste risultino e realizzino un complessivo peggioramento del testo, non tanto e non solo per quanto riguarda l'inasprimento delle pene previste, quanto piuttosto in merito all'introduzione di un elemento di incertezza nella determinazione della fattispecie, dal momento che l'eliminazione delle soglie quantitative al di sopra delle quali si applica la norma comporta il rischio di reintrodurre quegli elementi di incertezza sull'interpretazione della disposizione che erano emersi in precedenza e che il testo, così come approvato dalla Camera, eliminava. Si trattava di un testo che sottolineava e sostanzialmente confermava la normativa dell'attuale codice civile, stabilita nel 2002. Queste considerazioni sono state formulate anche dai relatori in Commissione.
Infine, vi è la questione della Banca d'Italia. La riforma dell'istituto prevede un mandato a termine di sette anni non rinnovabile per il Governatore, il cambiamento dell'assetto proprietario con la maggioranza delle quote di partecipazione al capitale di via Nazionale in mano allo Stato e il resto ad altri enti pubblici nonché il parere preventivo del direttorio per i provvedimenti del Governatore di rilevanza esterna, con previsione della forma scritta e la motivazione degli atti adottati.
GIANPIETRO SCHERINI. La questione relativa alla scadenza dell'attuale mandato del Governatore è stata sospesa, anche tenendo conto del parere della BCE, dal quale si ricava che le scelte sulla durata del mandato del Governatore della Banca d'Italia non possono avere decorrenza ex nunc, ispirandosi all'articolo 14, punto 2, dello statuto del Sistema europeo delle banche centrali (SEBEC), che prevede un periodo minimo di transizione di cinque anni.
Peraltro, la fase di transizione sarà delicatissima, in particolare nel trasferimento delle quote di partecipazione al capitale di Bankitalia. Occorrerà evitare una serie di rischi non secondari: espropriazione senza equo indennizzo, finanziamento monetario del tesoro, regime del debito pubblico ed altro.
Proprio dalla posizione della BCE sono sorte talune perplessità che hanno portato la maggioranza, compreso il sottoscritto, a presentare emendamenti in Commissione, per poi ritirarli dopo la decisione di poterli ridiscutere in Assemblea.
Si tratta di temi che meriterebbero un ulteriore e maggiore approfondimento, quale l'assetto proprietario di Bankitalia, la collegialità del suo direttorio, il mandato a termine anche di quest'organo, i limiti posti alle fondazioni bancarie e talune perplessità sollevate anche sulla eccessiva durezza delle modifiche apportate dal Senato alla disciplina del falso in bilancio.
Ciò, nonostante il fatto che il testo approvato dalla Camera fosse stato giudicato valido dalla Corte di giustizia europea. Sarebbe opportuno esaminare tali temi nuovamente, nell'auspicio che, tramite gli opportuni contatti con il Senato, sia possibile individuare un percorso che consenta un'ulteriore, rapidissima lettura presso quel ramo del Parlamento, a seguito dell'approvazione di alcuni emendamenti - eventuali - alla Camera.
Quel che contestiamo è l'opinione propagandistica di molti esponenti dell'opposizione secondo cui si tratterebbe di una «riformicchia», peraltro giunta in ritardo. Voglio ricordare che molte norme sono state scritte a quattro mani nei lunghi mesi in cui le Commissioni finanze e
attività produttive hanno esaminato e lavorato su questo testo. Voglio anche ricordare il clima estremamente collaborativo di quei giorni, un evento che, per questa legislatura, rappresenta un caso abbastanza raro. Si tratta quindi, ritengo, di un commento ingrato, ma prevedibile, in quanto stiamo vivendo un momento troppo a ridosso di una campagna elettorale spiccatamente propagandistica, che monta con l'avvicinarsi delle elezioni.
Viceversa, ritengo che, con l'approvazione di questo provvedimento, non abbia vinto nessun partito, nessuna fazione. Ha vinto invece la centralità del Parlamento, il popolo dei risparmiatori, che sarà più tutelato, gli investitori internazionali, che potranno tornare ad investire nel nostro paese, e il sistema economico italiano, che riacquisterà più credibilità e fiducia.
In conclusione, possiamo affermare che, con la massima celerità di tempi possibili, questo Parlamento adotta una misura che senz'altro sarà a presidio del risparmiatore italiano e costituirà anche un elemento di credibilità rispetto ai mercati internazionali. Certo, nella scelta tra una norma perfetta, ma di là da venire, e l'urgenza dettata dalla necessità di tutelare i risparmiatori e rassicurare i mercati, si può essere obbligati a percorrere questa seconda strada. Ogni norma è perfettibile, a seconda dei tempi e dei luoghi.
Infine, non mi resta che ringraziare i presidenti delle Commissioni finanze e attività produttive, i membri del Governo, in maniera particolare il sottosegretario onorevole Armosino, che ci è sempre stata vicina in questa lunga discussione, i colleghi di ogni parte politica e tutti coloro i quali hanno offerto il proprio contributo fattivo e talvolta oscuro per riuscire ad elaborare questa legge, che, ripeto, può anche essere considerata non perfetta, ma che il popolo dei risparmiatori e l'Italia tutta stanno aspettando (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crisci. Ne ha facoltà.
NICOLA CRISCI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il sistema bancario italiano ha avuto negli ultimi anni una grande trasformazione, sotto l'alta e talvolta discutibile vigilanza della Banca d'Italia, che ha tra l'altro favorito il proliferare di sportelli bancari, la cui apertura è stata scientemente e un po' colpevolmente autorizzata, con l'obiettivo di aumentare la concorrenza interna, la qualità e l'economicità dei servizi offerti alla clientela e la riduzione del pericolo di una possibile, crescente presenza di banche straniere sul mercato italiano.
Con la stessa larga discrezionalità, che dovrebbe essere propria solo di un organo politico, l'Istituto di vigilanza ha successivamente condizionato, consentito e deciso, attraverso il suo Governatore, fusioni, incorporazioni, scalate ed acquisizioni di banche, operando con logiche e finalità che sono andate anche oltre i compiti propri della vigilanza.
Il costo di questa gigantesca trasformazione, giustificata anche dalla necessità di avere un sistema domestico in cui le dimensioni delle banche fossero in grado di resistere alla concorrenza esterna e di rispondere adeguatamente alle nuove esigenze poste dalla globalizzazione, è stato largamente trasferito sulle imprese e sui cittadini clienti.
Si è assistito, infatti, ad un crescente quanto ingiustificato aumento dei costi di gestione dei conti correnti, ad incrementi immotivati delle spese relative ai vari servizi offerti, ad un accesso al credito molto oneroso per la clientela più debole e spesso marginale, ad una riduzione dei tassi praticati sui depositi che ha prodotto livelli di remunerazioni risibili (sovente, neanche tali da assicurare la salvaguardia del valore nominale delle somme depositate) ed, infine, a perdite consistenti su operazioni di finanziamento perfezionate sovente non in base all'effettivo ed oggettivo merito creditizio dell'affidato, ma solo in conseguenza di valutazioni dettate esclusivamente dal perverso e diffuso intreccio tra banche ed imprese commerciali.
Così, a differenza di quanto è avvenuto ed avviene in altri paesi occidentali, il costo effettivo globale dei conti continua a crescere e la tanto conclamata liberalizzazione bancaria ha portato e porta solo benefici ai bilanci degli istituti di credito che hanno largamente aumentato i loro profitti a danno, soprattutto, delle piccole imprese, dei titolari di conti correnti e depositi e dei risparmiatori privi di un reale potere contrattuale.
Tutto ciò è accaduto e continua a verificarsi nel silenzio e nell'inerzia della Banca d'Italia, che, pure, tra i suoi compiti, ha quello di difendere il risparmio. Quella Banca d'Italia che non è intervenuta per cercare di impedire che abili e, troppo spesso, ossequiati banchieri disponessero il trasferimento dei titoli Cirio dai bilanci delle proprie banche ai portafogli di ignari risparmiatori prima del fallimento dell'azienda! Quei banchieri che hanno collocato, con perizia e spregiudicatezza, le obbligazioni argentine e che hanno incassato laute provvigioni per facilitare la sottoscrizione di titoli della Parmalat! Quel sistema di sorveglianza che, colpevolmente e nella generale indifferenza, consentì alcuni anni fa al Banco di Napoli l'emissione ed il collocamento di azioni di risparmio ad un prezzo certificato molto superiore al valore reale e che procurò ai sottoscrittori ed ai cassettisti perdite pesantissime, anche del 50 o 60 per cento del capitale investito! Anche allora, come tre anni fa con Cirio e due anni fa con Parmalat, sono stati i risparmiatori a subire perdite ingenti quanto ingiuste. Il danno subito da tanti risparmiatori, l'indignazione dell'opinione pubblica, le accertate ed intollerabili carenze dell'attività di sorveglianza a tutti i livelli hanno determinato l'avvio di una procedura legislativa ordinaria per cercare di assicurare un'adeguata e corretta regolamentazione dei mercati finanziari e per dare al paese una moderna tutela del risparmio.
Tuttavia, nonostante la disponibilità e le proposte costruttive dell'opposizione, dopo circa 20 mesi di lavori parlamentari, il testo licenziato dal Senato risulta insoddisfacente, lacunoso e peggiore del provvedimento approvato alla Camera.
Sarebbe stato utile ed opportuno confrontarsi costruttivamente nelle Commissioni di merito, ma la maggioranza ha blindato il testo ed ha voluto chiudere la pratica, accontentandosi di una piccola riforma che è tale solo nel titolo della legge, che lascia irrisolti i problemi di fondo e che non tiene neanche conto del parere espresso dalla Banca centrale europea, che, giustamente, chiede un termine di mandato per tutti i membri del direttorio ed un'effettiva collegialità delle decisioni, con la fine dell'attuale regime monocratico.
Il testo in discussione prevede la riforma della Banca d'Italia, con il mandato a termine di sette anni, non rinnovabile, del Governatore, nonché nuove regole sulla proprietà dell'istituto, con la previsione che le quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia vengano determinate non più dalle banche, ma dallo Stato, in maggioranza e da altri enti pubblici.
Il testo prevede inoltre una regolazione meno stringente del conflitto di interessi tra banche ed imprese, una nuova disciplina del reato di falso in bilancio e la sterilizzazione dal 1o gennaio 2006 del diritto di voto delle fondazioni bancarie per la quota eccedente il 30 per cento delle azioni possedute. Tutti temi rilevanti, sui quali abbiamo cercato di fornire il nostro contributo costruttivo con proposte emendative che sono state regolarmente respinte, senza neanche avviare una pur minima discussione, e che sarà nostra cura ripresentare in aula convinti della loro bontà e della necessità di cercare di migliorare un testo deludente e che sembra risentire troppo del nuovo clima che si respira tra parti consistenti della maggioranza e l'intoccabile Governatore della Banca d'Italia.
In questa ottica di partecipazione costruttiva per il miglioramento del provvedimento, mi soffermerò in particolare sul contenuto di un articolo aggiuntivo, proposto e respinto in sede di Commissioni
riunite, che prevede la disciplina dei depositi dormienti e l'istituzione di un fondo di garanzia a reale tutela degli investitori e dei risparmiatori. Si tratta di un fondo alimentato non da interventi dello Stato, ma esclusivamente da somme disponibili all'interno del ricco sistema bancario.
Si tratta di una proposta con la quale si vuole cercare di recuperare e migliorare la disciplina prevista dall'articolo 14, approvato dalla Camera in prima lettura ed inspiegabilmente e irragionevolmente soppresso dal Senato per consentire una frettolosa quanto indefinita e inapplicabile previsione nella finanziaria di un ingannevole ristoro ai cosiddetti risparmiatori traditi; ristoro da realizzare attraverso l'utilizzo di risorse la cui disponibilità è incerta nell'ammontare, nelle modalità e nei tempi di fruibilità, che decorrono solo dopo molti anni dall'accertamento della mancanza di movimentazione sul deposito dichiarato giacente. Si tratta quindi di un'operazione mediatica e di una ulteriore illusione.
Al contrario, l'approvazione dell'articolo aggiuntivo proposto, oltre a riconoscere la qualità del lavoro svolto dalle Commissioni di merito alla Camera - lavoro mortificato dalla perentoria decisione del Senato -, consentirebbe di non deludere completamente le aspettative di quanti vedevano in questo intervento legislativo la possibilità di considerare realmente gli interessi dei risparmiatori, in coerenza con l'articolo 47 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Ma questo, come altri contributi, sarà spazzato via dalla legge dei numeri e dalla protervia, per certi versi, di questa maggioranza.
Onorevoli colleghi, concludo il mio intervento ricordando alcune considerazioni svolte dal Presidente Ciampi il quale, in occasione di una visita nella regione Marche, ha detto che, in un mondo che corre, fermarsi vorrebbe dire rimanere indietro e, invitando gli italiani ad essere responsabili e lungimiranti, ha affermato che, per meglio affrontare i problemi del paese, occorrono interventi strutturali sui mercati finanziari e sui regolamenti del commercio, delle professioni e dei servizi.
Anche alla luce delle preoccupazioni e delle raccomandazioni del Presidente della Repubblica, sarebbe opportuno che la maggioranza rivedesse la sua posizione di chiusura nei confronti delle nostre proposte, al fine di evitare l'approvazione di una legge deludente e contraddittoria, che rappresenta un'altra occasione perduta, un'opportunità sprecata per assicurare una seria disciplina dei mercati finanziari ed una credibile tutela del risparmio; risparmio ferito da un sistema bancario ricco, potente ed ingiustamente troppo protetto, che continua a dominare il mercato del credito e del risparmio dettando le condizioni, spesso molto onerose, al contraente più debole e scaricando sulla clientela le proprie inefficienze e talvolta anche i propri errori.
Per disciplinare con efficacia il complesso e forte sistema creditizio e finanziario, poco incline ad accettare regolamentazioni ed interventi esterni al proprio mondo, anche quando a produrli è il potere legislativo, bisogna dare risposte robuste, libere e di lungo respiro.
Le soluzioni prospettate, invece, esprimono tutta l'impotenza di questa maggioranza e la sua dipendenza dal volere dei poteri forti, particolarmente presenti ed attenti nel sistema creditizio e finanziario italiano. Ma su temi delicati e complessi, come quelli che stiamo discutendo, non sono ammesse risposte deboli, confuse e lacunose, né è giustificabile l'adozione di provvedimenti di natura propagandistica, che annunciano discipline organiche ed incisive che tali non sono e che rischiano di generare solo confusione e di rinviare di fatto nel tempo l'assunzione di provvedimenti urgenti e necessari per il buon funzionamento dei mercati finanziari e per dare fiducia a quanti si avvicinano con diffidenza e timore al sistema bancario, troppo spesso opaco, egoista ed irrispettoso delle ragioni e degli interessi dei risparmiatori e degli operatori più deboli.
Per queste e per altre considerazioni auspichiamo che l'Assemblea discuta in modo serio ed approfondito il brutto testo
licenziato dal Senato, e che la maggioranza eviti di ridurre la Camera dei deputati a svolgere un'inaccettabile funzione di mera vidimazione del provvedimento approvato dall'altro ramo del Parlamento, che invece non ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo ed ha modificato profondamente la disciplina prevista nella prima lettura.
Onorevoli colleghi, approvare una buona legge di settore credo sia doveroso, e credo sia ancora possibile. La maggioranza non si chiuda a riccio, ma per una volta provi ad ascoltare anche le ragioni e le proposte dell'opposizione, che ha dimostrato chiaramente e ripetutamente di essere interessata ad approvare una buona e condivisa regolamentazione dei mercati finanziari ed una credibile ed efficace tutela del risparmio. Ma mi pare che Tremonti incalzi, ed è sempre più amaro ma realistico pensare che, come per la legge finanziaria, anche per il disegno di legge sul risparmio vi sarà un'approvazione con un voto di fiducia.
Mi verrebbe da dire, in conclusione: la fiducia della maggioranza l'avrete, quella degli italiani continuerete a perderla (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.
ALDO PERROTTA. Signor Presidente, come sempre, nel corso della discussione sulle linee generali, i colleghi del centrosinistra argomentano in generale, accusano, senza mai entrare nei particolari, perché se entrassero nei particolari probabilmente coloro che ci ascoltano - non dimentichiamo che ci seguono anche gli ascoltatori di Radio radicale e i telespettatori di Sky, per cui vi è sempre un'audience pari a circa 600-800 mila persone - potrebbero, non conoscendo la legge, farsene un'idea.
Proverò ad elencare alcuni aspetti che hanno colpito l'opinione pubblica e le misure da noi proposte. Quando ci si accusa di aver fatto una cattiva legge, non si dice che all'articolo 6 abbiamo introdotto controlli sulle società che hanno controllate nei paradisi fiscali: abbiamo introdotto controlli sulle società che cercano di evadere ponendo la sede delle loro società controllate nei paradisi fiscali. Ciò non era previsto dalla legislazione precedente. Osservo inoltre che il centrosinistra, che sbraita, dimentica che ha governato per cinque anni, e questo non lo ha fatto.
Vorrei ricordare che all'articolo 8 assoggettiamo a norme la possibilità, da parte delle banche, di concedere prestiti ai propri azionisti. Tutti ricordano che gli azionisti della banche spesso ottenevano prestiti a tassi notevolmente bassi e di importo notevolmente superiore rispetto alle garanzie offerte, il che ha portato a squilibri e a situazioni assurde, con fallimenti delle società.
Vorrei poi ricordare l'articolo 19. Perché è importante questo articolo? Chi ci ascolta deve sapere che la Banca d'Italia era l'unica tra le banche centrali del mondo ad avere tra i propri azionisti le stesse banche che doveva controllare. Vi sembra naturale questo? Perché non avete modificato questa situazione? Perché oggi gridate allo scandalo contro questa legge che rimette i poteri nelle mani dello Stato, in modo che il cittadino sia garantito dallo Stato e che i controlli sulle banche siano effettivamente compiuti?
Vorrei poi ricordare l'articolo 27. Il centrosinistra ha tuonato contro gli scandali della Parmalat, della Cirio, dei prodotti My Way e 4 You, dei bond argentini. A questa lista io aggiungo, ma lo ha già fatto anche un mio collega, Giacomelli e la cooperativa Argenta. Non bisogna confondere la gente, perché questi scandali si sono verificati quando eravate al potere. Voi non avete compiuto i controlli necessari e oggi non potete dire che si tratta di una questione a cui bisogna rimediare, dovevate farlo voi quando eravate al potere! Quando non dovevate approvare la legge n. 58 del 1998, la cosiddetta legge Draghi! Con Visco come ministro delle finanze, Draghi era il suo capo gabinetto, fu estesa una legge che ha tolto i poteri di controllo alla Banca d'Italia su queste
società. Oggi vi lamentate dello scandalo! Perché avete approvato quella legge? Senza di essa la Banca d'Italia sarebbe sicuramente potuta intervenire. Avete, invece, lasciato che quei poveri cristi dei cittadini comprassero azioni senza che qualcuno controllasse un tubo a causa della vostra legge!
Al riguardo, noi, oltre a tutta una serie di controlli cui hanno già fatto cenno i miei colleghi e su cui ritornerò al termine del mio intervento, abbiamo istituito per il futuro un fondo di garanzia. Io personalmente ho presentato una proposta di legge - a tale proposito ringrazio le Commissioni per aver fornito il proprio assenso all'abbinamento - relativamente all'istituzione di questo fondo di garanzia, così come mi era stato suggerito dall'Assoconsum. Ho poi scoperto con piacere che al riguardo aveva provveduto anche il Governo. Tale fondo potrà garantire quantomeno un rimborso parziale, se non totale, agli investitori che si troveranno ad affrontare situazioni come quelle verificatesi in questi anni, anche se con i controlli che abbiamo istituito escludo che qualcosa possa sfuggire alle maglie della vigilanza. Se comunque dovesse verificarsi un nuovo scandalo, perché, purtroppo, «fatta la legge, trovato l'inganno», perlomeno avremo un fondo di garanzia che prima non era previsto. Non potete dire che tale previsione non rappresenti un fatto positivo.
Vorrei, inoltre, ricordare che abbiamo aumentato le pene per tutti quei reati connessi a questi scandali. Si tratta di reati per i quali erano previste pene talmente minime da invogliare la gente a commetterli senza preoccupazione. Abbiamo aumentato le pene per le false comunicazioni sociali. Con l'articolo 33 abbiamo aumentato la pena per il reato di mendacio bancario e per chi fornisce false informazioni sulla situazione economica all'acquirente, in modo che non si potrà più ripetere l'effetto bond argentini. Con l'articolo 34 abbiamo modificato la fattispecie del reato di falso in materia di prospetti da pubblicare o da presentare agli investitori. Abbiamo poi introdotto una sanzione amministrativa per le false comunicazioni al pubblico attraverso l'articolo 36.
Finalmente, con l'articolo 41 abbiamo eliminato il carrozzone che vigilava sull'istituto di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca. Una cosa inutile che, però, serviva a sprecare centinaia di migliaia di euro, consegnandoli in mano a persone che obiettivamente facevano poco o nulla.
Importantissimo è l'articolo 44. Con lo scoppio di questi scandali - bond argentini, Parmalat e così via - si è scoperto che molte di queste società si servivano di società di revisione da loro controllate. Sarebbe stato mai possibile che tali società, controllate dalle società che imbrogliavano, potessero denunciare gli imbrogli che quelle praticavano? Evidentemente, non era possibile. Proprio per questo motivo, con il provvedimento in esame abbiamo previsto delle sanzioni da applicare qualora si dovessero ripresentare nuovamente casi del genere, e si è anche previsto che i contratti di revisione contabile di quella tipologia dovranno essere eliminati entro un anno senza possibilità alcuna di rinnovo.
Quello al nostro esame è un provvedimento che doveva essere approvato prima del 2001 proprio per evitare tutti questi fallimenti e, quindi, evitare che i cittadini ci rimettessero centinaia di migliaia di miliardi. Oggi, predisponendo quella che io considero, se verrà approvata, una discreta legge, noi tentiamo di razionalizzare il settore, e riteniamo che essa consentirà di evitare quello che è successo antecedentemente al 2001, ovvero i mancati controlli sia sulle società che intendevano truffare gli azionisti sia sulle banche che si sono comportate, a dire la verità, in un modo che definirei molto spregiudicato. Pertanto, non accettiamo che chi non ha fatto nulla fino al 2001 ci dia oggi lezioni su questa materia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.
GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, esprimo grande imbarazzo nell'intervenire in sede di discussione sulle linee generali del provvedimento per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari. Dico ciò perché ravvisiamo una grande contraddizione tra le aspettative del paese, le richieste provenienti dal mondo dei risparmiatori, e dagli operatori economici e le sollecitazioni rivolte al nostro paese, a livello europeo e internazionale, e il testo del provvedimento, su cui oggi discutiamo, così come esso è stato modificato e innovato al Senato, il quale non risponde a quelle attese e a quelle sollecitazioni.
Le critiche non provengono soltanto dall'opposizione, ma anche dalla Banca centrale europea, la quale negli ultimi giorni ha sottolineato come il testo del provvedimento sia profondamente inadeguato, e dall'interno del Governo stesso.
Mentre l'opposizione ha presentato tutta una serie di proposte emendative, noi ci siamo trovati, sia nel corso del dibattito svoltosi nelle Commissioni sia ora qui, in Assemblea, di fronte al silenzio del Governo e della maggioranza. Una maggioranza e un Governo che per la verità sono silenti nelle sedi parlamentari e loquaci quando affrontano questo tema in altre sedi (con la stampa, in televisione e così via). Un tema affrontato - ed è questo un altro motivo che ci crea imbarazzo e fa sorgere preoccupazioni - in modo contraddittorio e non risolutivo.
Siamo alla vigilia dell'esame degli emendamenti in Assemblea e non sappiamo ancora se il Governo intenda o meno introdurre delle modifiche al testo del provvedimento o se terrà o non terrà conto delle osservazioni rivoltegli dalla Banca centrale europea e se intenderà, infine, dare una risposta anche alla nuova proposta fatta sull'assetto della Banca d'Italia. Ci troviamo, quindi, di fronte alla sottrazione al dibattito fra le forze politiche in Parlamento, proprio perché esso avviene in altre direzioni e in altri settori.
Abbiamo letto di queste riunioni all'Aspen nelle quali si tenta di individuare una risposta. Nel corso di tali riunioni, il ministro dell'economia e delle finanze - il quale non ha ancora avuto modo di farci sapere, in Parlamento, cosa intende fare - ha dichiarato che sta pensando, che deve ancora sciogliere il nodo, che si terrà un Consiglio dei ministri, domani o dopodomani, per verificare se, magari ricorrendo ad un voto di fiducia, sia possibile introdurre una modifica al fine di giungere ad una conclusione che, se non proprio all'altezza, sia almeno in grado di rispondere alle aspettative del paese.
Abbiamo anche avuto modo di leggere che il nostro ministro dell'economia, onorevole professor Giulio Tremonti, in questi giorni, è stato percorso, agitato da una serie di dubbi amletici, uno dei quali ci ricorda Bertolt Brecht quando si domandava se fosse più grave rapinare una banca o fondarne una ...! Per la verità, l'onorevole Tremonti ha superato il predetto dubbio: ha «rapinato» una banca, con il provvedimento che il Senato ha approvato riguardo alla limitazione, alla sterilizzazione delle azioni delle fondazioni e, non contento, ha pensato anche di «fondare» una banca, una banca per il Mezzogiorno!
Ci troviamo, quindi, di fronte ad un ministro che non ha le idee chiare, ma che deve sciogliere il nodo e deve assumersi qualche responsabilità. Non possiamo assistere a questa situazione: l'Italia arriva ultima, buon'ultima, ad affrontare il problema di cosa fare dopo gli scandali finanziari! Siamo gli ultimi nel contesto europeo e nel mondo più industrializzato! L'Italia deve sciogliere questo nodo e non se la può cavare così mentre assistiamo a fatti che indeboliscono gravemente la credibilità del nostro paese.
Mi riferisco alle vicende ben note - dove va il Governatore della Banca d'Italia non va il ministro dell'economia; dove va il ministro dell'economia, non va il Governatore della Banca d'Italia! - ma, d'altra parte, ritengo che non possiamo più assistere a quello che è avvenuto nella «Giornata del risparmio», celebrata alla fine del mese di ottobre. Al riguardo, mi astengo da commenti personali e lascio
questo compito ad un noto editorialista del più importante giornale italiano, il Corriere della Sera.
A proposito di un incontro al quale era assente il ministro dell'economia - era presente, invece, il viceministro dell'economia ed era rappresentato tutto il mondo delle banche e delle fondazioni -, l'editorialista in parola ha descritto una strana, grottesca riunione, nella quale tutti hanno criticato il provvedimento in esame e nella quale le critiche più severe sono state espresse proprio dal viceministro dell'economia, il quale ha affermato che il provvedimento medesimo è sbagliato e non affronta il nodo delle competenze tra le diverse authority. Interrogatosi, poi, circa le reazioni dei risparmiatori, l'editorialista ha commentato: saranno rimasti malissimo, perché si voleva celebrare la «Giornata del risparmio», ma sembrava una riunione nella quale le volpi si ritrovavano insieme dopo avere saccheggiato, razziato i pollai! È questa la situazione nella quale ci troviamo!
Il provvedimento è inferiore alle attese. Esso ha perso quell'occasione importante che aveva permesso a maggioranza e opposizione di elaborare un testo comune. Durante il lungo cammino di un anno, il provvedimento ha finito per perdere per strada gli aspetti riformatori: ne è scaturito un risultato che è inadeguato non soltanto secondo l'opposizione, ma secondo il giudizio largamente generalizzato nel nostro paese e all'estero.
Cosa proponiamo? Non abbiamo fatto ostruzionismo: in questa situazione arroventata di fine legislatura, siamo convinti che il provvedimento debba essere approvato, ma, come abbiamo già fatto nelle Commissioni, non rinunceremo a presentare le nostre proposte nemmeno in Assemblea. Ci batteremo affinché il provvedimento possa essere modificato e possa essere in grado di fornire risposte. Non sarà possibile fare una riforma completa e generale, ma si possono fissare alcuni paletti.
È questo il senso degli emendamenti che poniamo all'attenzione della maggioranza e che indichiamo anche al paese come una proposta dell'opposizione per intervenire dando risposte «vere» al risparmiatore senza fare semplicemente propaganda con posizioni che «non stanno né in cielo né in terra» e senza eludere e raggirare ancora i risparmiatori.
Indicherò rapidamente quelli che riteniamo i nodi di carattere fondamentale. Il primo nodo, se si vara un provvedimento per tutelare e valorizzare il risparmio, è il seguente: non si può «espiantare» dal provvedimento qualunque misura che riguardi la tutela dei risparmiatori. L'articolo importante, che avevamo «costruito» assieme, maggioranza ed opposizione, che prevedeva l'utilizzo dei fondi «dormienti» e la possibilità di costituire un fondo per aiutare i risparmiatori ingannati in questi anni di crack, dalla Parmalat, alla Cirio, ai bond argentini ed a quella lunga teoria che ha riguardato 850 mila risparmiatori, con una perdita di 30 miliardi di euro, era la soluzione individuata. È invece avvenuto che, dopo che è stata «sterilizzata» la proposta approvata dalla Camera per rafforzare il potere delle associazioni dei consumatori e favorire una semplificazione del ricorso attraverso l'azione collettiva nei tribunali, ebbene quella norma importante è stata tolta dal provvedimento in esame ed inserita nel disegno di legge finanziaria e praticamente privata di qualsiasi possibilità di essere realizzata. Ci troviamo dinanzi all'abile proposta governativa di considerare genericamente un fondo dal titolo particolarmente pomposo, «Fondo per l'indennizzo per i risparmiatori vittime di frodi finanziarie», che però, se leggiamo la scheda tecnica, capiamo essere una vera e propria operazione di raggiro.
Ancora una volta, il Governo, a proposito della tutela dei risparmiatori cerca di «menare il can per l'aia», evitando di prendere impegni precisi. Pensando agli investitori dei bond argentini ed agli altri che per far valere le proprie ragioni debbono ricorrere al tribunale, credo che l'obiettivo coperto del Governo sia di far passare il tempo necessario perché, conseguentemente
alla prescrizione, i risparmiatori traditi non possano più sostenere i propri diritti.
Abbiamo proposto emendamenti, votati alla Camera, e successivamente bloccati, in cui cercavamo di indicare criteri certi ed esigibili per tutelare il piccolo risparmiatore, che non ha nulla a che vedere con coloro che rischiano ed investono, gli investitori istituzionali che conoscono i problemi. Mi riferisco ai risparmiatori danneggiati da avventurose promesse, ed ancora di più dalla «rocambolesca» gestione che emittenti ed intermediari hanno compiuto dei loro risparmi. Ecco la prima questione.
Chiediamo che si inserisca nel provvedimento al nostro esame un testo organico che permetta l'utilizzo di un fondo spendibile per i risparmiatori.
Siamo contrari a questa soluzione negativa, siamo fortemente e ferocemente critici nei confronti di un Governo che, per esempio, sulla questione dei bond argentini, in quattro anni, non ha mai aperto una seria trattativa con il Governo argentino, per tutelare i risparmiatori. Mai una occasione di incontro, di verifica! Il Governo è stato latitante e sordo alle indicazioni di chi è stato pesantemente raggirato.
Seconda questione. Chiediamo che il lavoro svolto, che si basa sulle indicazioni acquisite nel corso dell'indagine conoscitiva e che tiene conto di ciò che è avvenuto in quest'ultimo anno, porti ad individuare delle soluzioni ragionevoli che permettano di superare il conflitto di interessi. Non è possibile avere, allo stesso tempo, un Governo che dichiara di favorire il mercato e la concorrenza ed un sistema (così come risulta dall'ultima versione del testo corretto al Senato) nel quale, praticamente, il conflitto di interessi all'interno delle banche non viene superato. Possiamo arrivare addirittura all'assurdo di sottoscrittori, di azionisti delle banche che si fanno dare i prestiti da queste stesse banche, che comprano con i loro prestiti!
Avevamo fatto un ottimo lavoro alla Camera, ma al Senato questa strada è stata smarrita. Superare il conflitto di interessi rappresenta una questione fondamentale, non per l'opposizione, ma per il paese, per il sistema delle piccole e medie imprese, per dare sostegno ad una nazione che ha bisogno di una politica del credito che non abbia le caratteristiche che ha avuto nell'ultimo periodo. Questo è tanto più necessario nel momento in cui attuiamo i nuovi principi di Basilea 2, tanto più necessario in un momento in cui siamo aperti alla concorrenza. Quindi, noi formuliamo delle ipotesi che vanno nella direzione di una politica del credito diversa, per un utilizzo del credito diverso, in modo da superare questa anomalia assurda, per la quale, oggi, nel nostro sistema economico, abbiamo famiglie in difficoltà, il paese in difficoltà, piccole e medie imprese in grandissima difficoltà - come il mondo dell'artigianato -, mentre il sistema delle banche e delle assicurazioni ha triplicato, quintuplicato, decuplicato i propri profitti!
Le proposte che formuliamo non sono eversive, sono ragionevoli, servono per introdurre la concorrenza nel mercato e per introdurre delle regole che intacchino i santuari che hanno determinato le situazioni che poi, comunemente, maggioranza ed opposizione hanno criticato.
La terza questione riguarda il problema delle vigilanze, che deve trovare una soluzione. Non possiamo avere un sistema che prevede cinque autorità che vigilano; dobbiamo trovare una soluzione ragionevole. Devo riconoscere che il Governo è stato cauto al Senato: esso si è rimesso al giudizio dell'Assemblea per quanto riguarda l'annoso problema della ripartizione delle competenze tra Antitrust e Banca d'Italia e non ha assunto una posizione pregiudiziale, ma devo constatare anche che il risultato è rimasto lo stesso, considerato che noi restiamo una anomalia.
Questa anomalia aveva un senso quando venne introdotta, all'inizio degli anni Novanta, nel momento in cui lo stesso Carli consigliò di fare in modo che la materia della concorrenza rimanesse, nella fase iniziale, di competenza della Banca d'Italia. Carli, allora ministro del
tesoro, sosteneva che il sistema bancario dovesse essere migliorato e fortificato (non essendoci ancora la legge Amato) e riteneva giusto, nella prima fase, che il potere della Banca d'Italia riguardasse anche la concorrenza. Ma sono passati 15 anni, ed in 15 anni di cammino se n'è fatto! Il sistema economico del paese è cambiato: si deve andare verso una ripartizione delle authority per funzioni! Si possono individuare anche delle strade intermedie, per quanto riguarda il problema complesso della COVIP e dell'ISVAP, però bisogna andare in quella direzione.
Di fatto, oggi, l'anomalia di fondo presente nel sistema bancario è che un unico soggetto deve garantire contemporaneamente la stabilità e la concorrenza le quali, invece, non possono essere in capo alla stessa persona. Quindi, per noi occorre procedere in una direzione di cambiamento e affrontare il problema che, invero, «azzoppa» il nostro sistema economico e ci pone in una condizione di grave difficoltà.
Giungo così all'ultima considerazione, concernente la vicenda della Banca d'Italia; al riguardo, deploro la circostanza che se ne sia fatta, spesso, una questione di carattere personale. Ne faccio, piuttosto, una questione di carattere sostanziale: la Banca d'Italia, così come è organizzata oggi, è in grado di poter prevenire le situazioni e tutelare i risparmiatori? È in grado di far fronte alle evenienze dinanzi alle operazioni di speculazione e di pirateria finanziaria cui il fenomeno della globalizzazione ci ha abituato? No, non è in grado; non lo sosteniamo solo noi: lo afferma la Banca centrale europea, la quale ha fatto osservare al Governo italiano che è inconcepibile ritenere che il problema possa essere risolto a livello europeo quando, invece, va risolto a livello nazionale in quanto l'architettura della Banca d'Italia - sostiene la Banca centrale europea - non corrisponde alla realtà a livello europeo.
GIORGIO BENVENUTO. Concludo, signor Presidente. Quindi, noi poniamo, in tale caso, il problema di individuare una soluzione; ciò, anche perché la Banca d'Italia, che doveva prevenire tali vicende, è stata, invece, la prima, per così dire, ad incappare nei guai finanziari. Infatti, la Banca d'Italia è una delle vittime illustri del crack della Parmalat: tra gli investitori, i fondi pensione non hanno investito nelle azioni della Parmalat mentre il fondo della Banca d'Italia, che non è controllato dalla COVIP, ha investito in tali azioni - e ci ha rimesso, come risulta dalla documentazione - in quanto non è stata in grado, essa che doveva sorvegliare, di verificare quanto è avvenuto.
Ancora, perché continuare a tenere in capo alla Banca d'Italia tutte le prerogative e le responsabilità? Il collega Lettieri si è riferito alla vicenda incredibile dell'accesso alla «centrale rischi» della Banca d'Italia: ma come possiamo far finta di non vedere o di non sentire quando il presidente della CONSOB ha dichiarato che, se fosse stato possibile, per la CONSOB, avere accesso alla Centrale rischi, non si sarebbe verificato il crack della Parmalat. Ecco, ritengo che in tal caso non si pongano questioni personali ma sussista, invece, un problema sostanziale; occorre superare il meccanismo monocratico della Banca d'Italia mentre le correzioni effettuate sono «acqua fresca» rispetto alle indicazioni ancora ieri ribadite dalla Banca centrale europea. Sotto tale profilo, abbiamo presentato proposte emendative che tendono, pur con gradualità ed attenzione, ad individuare una soluzione che ponga un limite temporale al mandato del Governatore della Banca d'Italia e che introduca il meccanismo della collegialità.
Chiediamo, anche, di discutere circa l'assetto conferito alla Banca d'Italia perché si tratta di questione non risolvibile con un'improvvisazione, come è avvenuto al Senato; piuttosto, si tratta di una questione sulla quale è fondamentale intervenga un dibattito vero, serio e approfondito.
Concludo precisando come tutte queste ragioni ci inducano ad invitare la maggioranza a discutere in Parlamento, a rispettarne l'ambito, ad affrontare, quindi, la
materia rispondendo ai problemi da noi sollevati. Ribadisco che abbiamo presentato proposte emendative che vanno nel senso di rendere la riforma spendibile, credibile, in linea con le indicazioni che vengono dai mercati e dal livello europeo.
Ci attendiamo che, in Assemblea, non vi sia lo stesso atteggiamento che abbiamo registrato in sede di Commissioni riunite; auspichiamo, altresì, che in questa sede vengano assunte delle responsabilità e che si sviluppi un confronto sereno e costruttivo. Noi ci batteremo affinché il Governo si assuma, fino in fondo, le proprie responsabilità.
Non praticheremo alcun ostruzionismo, dunque, ma avanzeremo proposte costruttive. Siamo convinti, infatti, che una buona legge sulla tutela del risparmio non solo debba rafforzare e valorizzare il risparmio stesso, ma rappresenti, altresì, uno degli elementi fondamentali per permettere al paese di riprendere la strada dello sviluppo, consentendogli di essere competitivo in Europa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
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