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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza Nazionale desidera ringraziare non solo il viceministro Urso, di cui abbiamo letto ed ascoltato l'orientamento in sede di discussione sulle linee generali delle mozioni presentate, ma anche il puntuale e ricco intervento svolto dal sottosegretario Contento, che tutti sappiamo essere stato particolarmente vicino a questa tematica (evidenziata anche dal nostro gruppo, attraverso la presentazione di una sua mozione), soprattutto per quanto riguarda, ad esempio, il problema delle dogane.
Prima di entrare nel merito delle mozioni presentate, desidero ricordare che, da tempo, l'Italia conosceva perfettamente la scadenza (il 1o gennaio del corrente anno) dell'Accordo multifibre. Si tratta di un accordo che, di fatto, ha protetto per circa quarant'anni l'industria tessile europea.
Senza polemica, desideriamo aggiungere che se l'allora Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, non si fosse eccessivamente rilassato, oggi noi, in questa delicatissima fase, non penderemmo dalle labbra del commissario europeo Mandelson, e non dovremmo affidarci all'abilità certa, sicura ed evidente del sottosegretario Contento e del viceministro Urso. Soprattutto, non dovremmo subire il richiamo - che ritengo anche abbastanza fastidioso - del direttore generale del WTO, il quale, in relazione alla scadenza dell'Accordo multifibre, ha più volte ribadito - cito testualmente - che non è accaduto nulla in una notte, che si trattava di un evento annunciato e che chi avrebbe dovuto e potuto prepararsi non lo ha fatto, facendo riferimento proprio al mancato intervento della Commissione europea, all'epoca presieduta da Romano Prodi.
Chiarito ciò - e non certo per polemica, ma, se non altro, per amor di verità e per cronaca -, passiamo alle mozioni all'ordine del giorno. Abbiamo ascoltato attentamente l'intervento del sottosegretario Contento ed abbiamo altresì letto, con molta attenzione, le mozioni presentate, in particolare quella di cui è primo firmatario il collega Violante, la quale può essere certamente condivisa in buona parte (come è stato affermato, del resto, nell'intervento del sottosegretario).
Occorre altresì ricordare che, in ordine alla crisi del settore tessile e abbigliamento (ed in tale comparto comprendiamo tutto: gli accessori, le calzature e quant'altro), il Governo, nella persona del viceministro Urso, ha condotto, in sede europea, una battaglia non priva di soddisfazioni, come è stato testè ricordato in questa sede.
Ora, per evidenti motivi, la mozione Violante ed altri n. 1-00436 è stata presentata nel mese di marzo ed impegnava il Governo su questioni che - fortunatamente - si sono poi risolte positivamente e nella direzione auspicata dal Governo italiano. Le linee guida riguardanti le cosiddette clausole di salvaguardia, ossia il ripristino di un tetto sulle importazioni, facendo riferimento a quelle dell'anno
precedente, ma aumentate di una percentuale che - se non erro - è pari al 7,5 per cento, sono state pubblicate all'inizio di aprile. Sulla base di tali linee guida, Bruxelles ha aperto, proprio in questi giorni, se non, addirittura, in queste ore, un'indagine sulle importazioni di nove tipologie di prodotti tessili dalla Cina, per capire se sia il caso di imporre le misure di salvaguardia. Al riguardo, sarà sicuramente determinante il ruolo delle dogane, come già ricordato dal sottosegretario Contento, non tanto per il ruolo delle dogane italiane che, è noto, anche con l'ausilio della tecnologia, hanno fatto fronte positivamente all'emergenza, ma soprattutto di quello delle dogane dei paesi del nord Europa.
In effetti, per tornare al discorso che facevo poc'anzi, Italia e Francia hanno chiesto la procedura d'urgenza, che accelererebbe notevolmente i tempi. Inoltre, il Governo italiano ha chiesto, nei mesi scorsi, al commissario europeo Mandelson di avviare le procedure per aggiungere - se non erro - altri 12 articoli, tra tessile ed abbigliamento, ai 58 già colpiti dagli aggravi anti/dumping applicati dall'Unione europea.
Il Governo italiano e la maggioranza tutta non hanno mai nascosto la volontà di riconsiderare il cosiddetto sistema delle preferenze generalizzate, da applicare ai paesi in via di sviluppo, in quanto tra questi ultimi vi sono anche due colossi quali l'India e la Cina. La Commissione, con il tetto del 12,5 per cento, escluderebbe dalle agevolazioni tariffarie, ossia dai bonus, la Cina - se abbiamo ben compreso -, ma non l'India. Pertanto, il Governo italiano ha già richiesto di abbassare al 10 per cento la quota, relativamente ai soli prodotti tessili del totale delle importazioni dell'Unione da tali paesi. Onorevole Contento, mi corregga se sbaglio...
MANLIO CONTENTO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Non sbaglia, onorevole Butti.
ALESSIO BUTTI. Direi che ha fatto di più, attivando anche la cosiddetta «minoranza di blocco». Ha, cioè, aggregato attorno alla propria impostazione - e ciò la dice lunga anche sul ruolo internazionale che l'Italia ha giocato negli ultimi anni e che continua a giocare - il consenso di 11 paesi, che sono concordi circa l'abbassamento della quota.
Apprezziamo, quindi, lo sforzo del Governo ed i risultati che sono stati brillantemente ottenuti. Siamo, tuttavia, un po' scettici ed anche critici, nel senso che cerchiamo di catalizzare l'attenzione del Governo sul problema dell'introduzione della denominazione di origine «paneuromed», che non solo le nostre imprese non vogliono - ed è, purtroppo, un dato di fatto -, ma che rischia anche di trasformarsi in un boomerang, dal momento che l'Italia si è sempre battuta, come ci è stato ricordato, per l'obbligatorietà del marchio «made in» sui prodotti di alcuni settori, tra cui il tessile, l'abbigliamento ed il calzaturiero. Siamo, dunque, un po' preoccupati da questa dizione «elastica» della denominazione di origine «paneuromed».
Euratex, come sa l'onorevole Contento, ha recentemente incontrato il commissario Mandelson, il quale ha garantito che entro giugno adotterà un regolamento per l'obbligo dell'etichettatura, così come richiesto, addirittura fin dal luglio 2003, dal nostro Governo. Il commissario Mandelson proporrà, dunque, tale punto del regolamento citato alla Commissione, che, a sua volta, lo sottoporrà al Consiglio dei ministri per il commercio con l'estero.
Tra l'altro, è stato attivo - ed anche ciò è importante ricordarlo - fino allo scorso 30 aprile un sito Internet presso la Commissione europea, con un questionario, estremamente importante, che aveva l'obiettivo di raccogliere l'orientamento del nostro paese in merito all'etichettatura obbligatoria. Ed è da ciò che si evince, quanto meno, lo scetticismo nei confronti del marchio «paneuromed». Il Governo, dunque, si è impegnato; le aziende hanno molti dubbi e noi ci facciamo portatori presso il Governo di tali dubbi.
Concordiamo anche sulla questione dei controlli doganali: sappiamo di essere in buone mani e che, ad esempio, gli stessi
controlli sono stati irrigiditi. Alle autorità competenti le nostre dogane sono in condizione di fornire una serie infinita di dati relativi alle merci importate. È importante disporre di tale serie infinita di dati, perché sono quelli che possono rivelare la famosa «turbativa del mercato» e, quindi, attivare le clausole di salvaguardia.
L'Italia sta facendo la sua parte egregiamente; come accennavo poco fa, non altrettanto possiamo dire di qualche nazione del nord Europa. È ovvio che, se i dati non rappresentano la situazione dei 25 paesi dell'Unione, non potremo ravvisare la turbativa di mercato e, quindi, attivare le clausole di salvaguardia.
Pertanto, seguiremo le indicazioni avanzate dal Governo anche per quanto concerne la votazione sulle mozioni presentate. Ringraziamo ancora l'onorevole Contento ed il viceministro Urso per quanto hanno fatto ed il Governo per quanto sta facendo, perché finalmente, anche per quanto concerne la politica commerciale, l'Italia svolge un ruolo determinante (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, vorrei svolgere un breve intervento, a nome del mio gruppo, in sede di dichiarazione di voto, su una questione particolarmente importante nel panorama di crisi industriale del nostro paese. Quello tessile costituisce uno dei settori significativi dell'industria italiana. Ne conosciamo l'importanza: vi sono quasi 70 mila imprese e più di 600 mila addetti. Esso ha avuto tradizionalmente un ruolo molto importante come settore dinamico dell'economia industriale del paese.
È un settore fortemente caratterizzato sul piano dell'occupazione, in particolare quella femminile, che vanta una grande capacità di esportazione; è uno degli elementi portanti della capacità di esportazione dell'industria italiana, che è stato caratterizzato da dinamismo fino a non molto tempo fa. Ricordiamo che in Italia, fino al 2003, il settore tessile ha aumentato le sue esportazioni, ma negli ultimi anni sta attraversando una crisi molto grave. Essa è dovuta, in parte, a fattori esterni: il deprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro, la caduta dei consumi dovuta alla crisi economica mondiale, nonché altre ragioni che, in qualche misura, provengono dall'esterno. Ma, evidentemente, la ragione principale della crisi deve ravvisarsi nel cambiamento delle ragioni e delle caratteristiche dei mercati mondiali in settori come quello tessile. Vi è stato un forte spostamento verso altri paesi delle capacità produttive, tra l'altro, oggi, non più caratterizzate soltanto dalla bassa qualità. Conseguentemente, si è registrato un forte aumento delle importazioni verso l'Europa, che, in particolare, si è impennato con lo scadere del cosiddetto Accordo multifibra all'inizio di quest'anno. È un settore, quindi, che vede gravare pesanti interrogativi sul suo futuro e che sa di dover cambiare, perché vi sono elementi di trasformazione strutturale con cui non ci si può non confrontare. È un settore che sa di dover cambiare, ma del quale non si può accettare la frana. Chi è attento e deve guidare le prospettive e le strategie della politica economica e industriale del paese non se ne può disinteressare. È un settore che ha un futuro: oggi, infatti, nel settore tessile vi sono spazi per l'innovazione, per nuovi prodotti, per nuovi materiali, e vi sono spazi per sforzi nuovi sul fronte della qualità delle produzioni.
Si tratta, quindi, di un settore nei cui confronti abbiamo la possibilità di svolgere interventi che non siano di pura difesa e di puro contenimento. Possiamo effettuare sul settore tessile anche interventi che creino prospettive e strategie di sviluppo. Tuttavia, perché ciò avvenga, vi è una condizione: che i problemi del settore tessile vengano posti al centro della politica industriale del paese. Naturalmente, questo lo diciamo per tanti settori. La crisi industriale in Italia è molto profonda e sono molti i comparti che richiedono la definizione di strategie complessive. Certamente, ci troviamo in presenza di un
settore che ha la possibilità di uscire dalla situazione di crisi, se diventa uno dei punti di riferimento, uno dei pilastri portanti della politica industriale dell'Italia.
Ci sono tutte le ragioni. Credo che, come me che vengo dal Piemonte e altri colleghi che provengono da altre regioni, molti parlamentari conoscono le caratteristiche di importanti distretti industriali del nostro paese che sono caratterizzati nella loro storia e nel presente da una economia produttiva sviluppata e dinamica basata sul settore tessile e che non possiamo, evidentemente, abbandonare alle sue difficoltà.
Occorre mettere in campo, quindi, una strategia di politica industriale e una strategia di rete che veda protagonisti tutti i livelli istituzionali che hanno competenza secondo la linea di apertura dei mercati e con regole condivise, che comprendono l'estensione dei diritti dei lavoratori e la tutela sociale. Nessuno di noi e nessuno di coloro che partecipano in queste settimane e in questi mesi al dibattito sulla prospettiva del settore ha interesse ad evitare il confronto con il mercato. Naturalmente abbiamo il problema di confrontarci con un mercato all'interno di un sistema di regole. C'è l'esigenza, quindi, di un'attenzione complessiva. Sinceramente abbiamo qualche difficoltà. Ho ascoltato le opinioni e i pareri espressi dal sottosegretario con puntualità sui contenuti delle mozioni presentate. Però, non riscontriamo l'attenzione che è stata rivendicata e la concreta capacità di rapporto con i soggetti che nel paese vivono le difficoltà del settore.
Dopo l'incontro del 21 aprile del Governo con le parti sociali alla Presidenza del Consiglio, non è successo nulla. Non si è dato corso alla richiesta di istituire un tavolo di concertazione fra le parti sindacali ed imprenditoriali. C'è timidezza nel rapporto con l'Europa, una sorta di atteggiamento tra la timidezza e la propaganda, con prese di posizioni e obiettivi raggiunti che tuttavia, in qualche misura, non sono sufficienti.
C'è bisogno, quindi, dal nostro punto di vista, di una strategia su più livelli perché abbiamo in mente, come ho già detto e lo ripeto, la necessità di un'iniziativa che non sia di puro contenimento e di pura difesa. Il tema del settore tessile è un buon caso di costruzione di una politica industriale moderna che tenga conto della nuova articolazione dei poteri in materia di politica economica che si è affermata non soltanto in Italia ma in tutta l'Europa. Sappiamo bene che oggi le competenze di politica economica degli Stati nazionali sono state trasferite in parte a livello europeo e, in parte, ai poteri locali. Stato nazionale, Europa e regioni sono i tre soggetti che debbono dialogare tra loro per costruire una strategia di politica di sviluppo dei settori produttivi e, per quel che ci interessa oggi, del settore tessile.
Si avverte l'esigenza, quindi, di una iniziativa a livello europeo che deve riguardare - ne ha parlato anche il sottosegretario e ne parlano le mozioni - l'introduzione delle clausole di salvaguardia, il riconoscimento delle procedure d'urgenza per la loro introduzione e anche - mi permetto di sottolinearlo - soprattutto le questioni strutturali altrettanto urgenti. Il tema della etichettatura dei prodotti è un tema strutturale che deve essere affrontato. Il tema dell'utilizzo dei fondi europei nelle aree di insediamento tessile per disporre di risorse per finanziare i processi di riqualificazione, riconversione e rilancio deve essere affrontato e definito a livello europeo. Se ne parli nelle prossime settimane e si decida. Accanto alle questioni di contenimento, occorre parlare di tali questioni di prospettiva e assumere iniziative nei confronti dell'Europa su questi temi.
Non meno importante rispetto ai tre poli di intervento che ho citato è la questione delle politiche di sviluppo dello Stato nazionale. Esse non sono meno importanti. Il documento congiunto di politica industriale, che è stato firmato il 21 ottobre dello scorso anno dalle parti sociali, parti datoriali e parti sindacali e che rappresenta il punto di incontro tra gli interessi del settore, non rappresenta un documento di rivendicazione sindacale, ma un documento di proposta.
Esso contiene una serie di titoli, che non intendo approfondire in questa sede, ma che sono molto importanti per definire una strategia di politica industriale del Governo per il paese: l'innovazione e la ricerca, il costo del lavoro, gli incentivi alla formazione e all'utilizzo delle risorse umane, gli ammortizzatori sociali e gli interventi per l'occupazione. Sono titoli importanti di altrettanti capitoli di politiche nazionali, da adottare per creare condizioni e premesse per le politiche di sviluppo e di crescita, nonché per governare i processi di transizione. Anche le regioni, peraltro, hanno competenze in materia di politica industriale.
In conclusione, Presidente, ci troviamo in presenza di un settore che attraversa una transizione molto difficile e complicata. Ci vuole grande intelligenza per gestire queste fasi. Noi auspichiamo che questa grande intelligenza vi sia nelle politiche industriali del Governo, anche sulla base del dibattito che stiamo svolgendo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ottone. Ne ha facoltà.
ROSELLA OTTONE. Finalmente è giunto il momento di votare queste mozioni riguardanti un settore profondamente in crisi nel nostro paese: quello del tessile-abbigliamento-calzature, che, nella sua articolazione di aziende, per lo più piccole e piccolissime, attraversa una crisi strutturale molto profonda. Ciò, anche a causa del fatto che molte aziende produttrici solo raramente producono con un proprio marchio collocato sul mercato; esse agiscono piuttosto quali aziende sub fornitrici di altri committenti e sono pertanto impossibilitate a sviluppare azioni proprie di consolidamento e di ampliamento delle quote di mercato. Tuttavia, queste piccole e piccolissime aziende hanno costituito l'ossatura del settore moda nel nostro paese, proprio perché erano sub fornitrici dei grandi marchi, le cosiddette griffe, e quindi rivestono particolare importanza.
Al contrario, la globalizzazione, che si è ormai pienamente compiuta nel settore tessile a livello mondiale, non lascia più spazio, nelle nostre realtà, ad aziende ormai dedicate alla competizione basata sul basso prezzo e quindi in difficoltà ad offrire al committente un'elevata qualità di prodotto, una buona flessibilità nei tempi di produzione e di consegna ed un'articolata gamma di servizi. In questi ultimi anni, la significativa e costante mortalità delle imprese e la conseguente emorragia occupazionale, a cui si è inoltre accompagnata la dispersione di un patrimonio di professionalità, di cui è assai complesso organizzare il ricambio, segnala che la criticità non è più riconducibile ad una situazione congiunturale e deve essere affrontata in una prospettiva strategica.
In questa situazione, sono in difficoltà gli imprenditori, in prevalenza artigiani, e sono in difficoltà gli operai, in prevalenza donne. Una boccata d'ossigeno si è avuta per le imprese con meno di 15 dipendenti, attraverso l'approvazione della cassa integrazione straordinaria. Però anche questi fondi debbono ancora arrivare alle imprese che ne hanno fatto richiesta e quindi, di conseguenza, ai loro dipendenti.
Noi oggi discutiamo una mozione che è stata presentata lo scorso 16 marzo; pertanto, è giusto sottolineare che molte delle richieste contenute nella mozione hanno avuto già un esito positivo, anche grazie all'impegno di tutti noi, che abbiamo supportato a livello europeo la posizione delle imprese italiane. Dunque, molte cose sono state fatte; vero è, tuttavia, che molte ne rimangono ancora da fare. Tenuto conto che il settore del tessile-abbigliamento, per quanto riguarda l'artigianato, attiene alle competenze regionali, è necessario impostare una strategia per affrontare tali difficoltà. Le misure di salvaguardia recentemente introdotte sono utili ma non bastano a contenere il fenomeno che ci troviamo a contrastare.
Se pensiamo che la popolazione cinese che si occupa del settore tessile è pari a circa 100 milioni di persone, come affermano
le autorità di quel paese, ci rendiamo ben conto che le azioni che la comunità europea potrà introdurre sono poco più di un palliativo. Il dramma rimane per noi e per le nostre imprese!
Pertanto, è necessario impostare strategie organizzative e verificare i fabbisogni delle imprese; in tal senso, si avverte la necessità di approntare misure di supporto attraverso determinate politiche governative che, finora, non mi pare si siano evidenziate. Ritengo, quindi, particolarmente importante che nella mozione presentata vi sia la richiesta al Governo di impegnarsi perché nella riforma dei fondi strutturali europei e nel nuovo programma quadro siano prioritari quegli interventi finalizzati a favorire l'innovazione e la riorganizzazione del settore del tessile, abbigliamento e calzature.
Quindi, si avverte la necessità non solo di un'azione di coordinamento con i livelli regionali e di concertazione con le politiche di settore, ma anche di una presa di posizione dei governi centrali per promuovere l'innovazione ed il rinnovamento del settore del tessile e dell'abbigliamento, attraverso l'adozione di misure specifiche. Mi riferisco, ad esempio, ad investimenti per il potenziamento e la ristrutturazione di attività produttive, a progetti di ricerca precompetitiva, ad investimenti per l'internazionalizzazione delle imprese, a prestiti partecipativi ed assunzione di capitali di rischio a fronte di investimenti innovativi, ad interventi a sostegno del consolidamento e sviluppo di reti di imprese per diverse finalità, fra cui la crescita dimensionale e l'integrazione e ad interventi per favorire l'accesso al credito.
Se è vero che l'occupazione nel settore tessile, per quanto riguarda la Cina (che è stata al centro della nostra attenzione) coinvolge 100 milioni di persone, è pur vero che, nel nostro paese, corriamo il rischio di perdere a breve tempo un milione di posti di lavoro in prevalenza occupati da donne. Quindi, vi è un problema colossale da affrontare ed oggi è positivo che il Governo si impegni in ordine a tali mozioni.
Vi è poi il tema del dumping sociale, più volte sottolineato. È necessario che il Governo si faccia forte nei confronti della Comunità, perché vi sia un sostegno alle imprese che lavorano con sedi di produzione che, anche se delocalizzate, rispettano i parametri della responsabilità sociale e di questi ne fanno anche un baluardo ai fini del proprio marketing.
Vi è ancora in sospeso la questione del «made in». A tale riguardo, non vi è convergenza di opinioni. Pertanto, non possiamo attribuire ad altri la responsabilità di quanto possiamo fare anche noi.
È necessario che i nostri prodotti siano identificati ed identificabili, senza ulteriori perdite di tempo. Quindi, il lavoro da svolgere è tanto.
Colleghi, presso la XIV Commissione è stato recentemente audito il commissario Mandelson, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle azioni che la Comunità vorrà introdurre a sostegno dell'economia, in seguito all'allargamento e, ovviamente, allo sviluppo dei paesi asiatici.
Il commissario ci ha anticipato alcune misure che ha emanato nei tempi previsti, ma è necessario che i tempi si stringano ulteriormente. Tuttavia, manca una strategia utile per affrontare questo problema.
Si sono tenuti anche diversi incontri a livello europeo. Mi riferisco, in particolare, a quello presso la Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia che invita la Commissione per il commercio internazionale presieduta da Mandelson a rispettare alcuni suggerimenti, oltre che manifestare la preoccupazione per la difficile situazione che attraversa il tessile da confezione; bisogna valutarlo come un settore strategico con un grande potenziale futuro, caratterizzato da alta concentrazione regionale e ricorda le sfide immediate che tale settore deve affrontare.
Sono necessarie misure eccezionali di sostegno a tutti i livelli, al fine di agevolare il riordinamento del settore e ovviare agli effetti sociali derivanti da tale processo.
Non si chiedono quindi misure a pioggia sul settore del tessile e dell'abbigliamento, ma misure mirate che consentano, da una parte, attraverso gli ammortizzatori
sociali, di alleviare le difficoltà dei lavoratori e, dall'altra, di prevedere il sostegno alle imprese per la loro trasformazione e la loro ricollocazione.
Vi è soddisfazione per l'accoglimento della piattaforma tecnologica europea del tessile e della confezione, che si impegnerà ad elaborare una strategia globale a lungo termine per il settore stesso. Si chiede alla commissione di prevedere, nel settimo programma quadro ricerca e sviluppo, un approccio ascendente per le piccole e medie imprese, nonché di contribuire a superare le difficoltà di trasferimento, di ricerca e sviluppo alle imprese stesse.
Si sottolinea che l'accesso al finanziamento e il mancato adeguamento di alcuni strumenti finanziari continuano ad essere un grave ostacolo per le piccole e medie imprese del settore. Si chiede quindi alla commissione di attuare quanto prima misure di sensibilizzazione in rapporto alla protezione dei diritti della proprietà intellettuale.
Si insiste, inoltre, sull'importanza di introdurre per i prodotti del settore un'etichettatura di origine, che consenta ai consumatori di riconoscere l'origine dei prodotti stessi, ribadendo la necessità di prendere in esame un approccio settoriale per il comparto, necessario vista l'eccezionalità e l'urgenza delle sfide che il settore deve affrontare.
Quindi, cari colleghi, anche a livello europeo, vi sono richieste specifiche che consentono al nostro settore di smuoversi da questa situazione di crisi, potendosi collocare in un'altra fascia di mercato.
Se è vero che sia esponenti del governo cinese sia esponenti del governo indiano affermano che vi sono fasce di reddito che possono orientarsi verso i consumi del nostro made in Italy, occorre porre in atto strategie che consentano che ciò possa verificarsi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, questa discussione è veramente molto interessante!
Certo, sono cambiate molto cose: è cambiato il clima politico, è cambiato l'atteggiamento. È lontano il tempo in cui l'onorevole Prodi affermava: non con i dazi, ma con unità e rispetto delle regole si vince, quelli della Lega non capiscono niente, i dazi nei confronti della Cina sono impossibili perché l'Italia non può prevedere dazi che, al massimo, possono essere imposti dall'Europa!
Lo sappiamo. Dobbiamo parlare di clausole di salvaguardia e non di dazi in quanto, giustamente, nella vostra mozione - mi riferisco in particolare al collega Violante -, si chiede al Governo di attivarsi affinché si dia applicazione rapida alle clausole di salvaguardia. Bene, complimenti! Ci potevamo arrivare prima? Non lo so. Di questa applicazione rapida delle clausole di salvaguardia l'onorevole Prodi sa qualcosa? Forse sì!
Vorrei ricordare ai colleghi il caso gravissimo e determinante in cui, qualche tempo fa, si è applicata la clausola di salvaguardia: il mandarino candito proveniente dai paesi asiatici.
Infatti, sul mandarino candito proveniente dai paesi asiatici in 15 giorni l'Europa, guidata dal suo prode condottiero Prodi, ha fatto scattare la clausola di salvaguardia. Evviva, evviva, evviva! È stato velocissimo e dopo 15 giorni abbiamo salvato il mandarino candito europeo. A questo punto dovrebbe scattare l'applauso su questa grande operazione di europeismo e quant'altro. La Spagna ringrazia, il Portogallo ringrazia, mentre per l'Italia si è avuto bisogno di qualche mese in più. Forse ci arriveremo anche noi perché qualcuno (o forse tutti) si è accorto che sono a rischio 600 mila posti di lavoro. Forse, invece, qualcuno, girando nei settori tessili di Biella o Prato, ha iniziato ad avvertire vagamente area di crisi. In realtà, credo che si sia arrivati alla canna del gas e che si stiano già perdendo posti di lavoro.
Allora, cari compagni, contrordine! Tuttavia, vi ricordo che avevate già visitato
questi comparti e che a Prato i «compagni» Bersani e Letta si erano già recati ed era stato detto loro che le cose non andavano tanto bene. Bene, adesso ce ne siamo accorti. Quindi, onorevole Bersani, si dice che l'Unione europea deve discutere con la Cina, pur non dimenticando le esigenze degli altri paesi.
PIERO RUZZANTE. Stai governando da quattro anni!
MASSIMO POLLEDRI. Lo so, lo so benissimo che stiamo governando. Tuttavia, anche voi avete il dovere di dire la verità.
Anche l'onorevole Lulli giustamente cita una risoluzione risalente al settembre 2004 (firmata dallo stesso parlamentare) in cui si chiedeva l'applicazione delle clausole di salvaguardia. Tuttavia, l'onorevole Lulli eccepisce il fatto che non si sia fatto cenno all'osservatorio internazionale. Si riferisce all'osservatorio internazionale che stabilisce quando un settore è in crisi in base ad alcuni valori sotto i quali scatta l'allarme, così come previsto dalle clausole di salvaguardia, non da qualche pazzesca legge approvata da un fantomatico parlamento padano o dal comune di «rocca pelata fritta», nelle montagne bergamasche. Quindi, si tratta della normativa europea, che forse poi andremo a ripassare.
Allora si è replicato che forse l'osservatorio in questione non ha funzionato troppo bene. Invece ha funzionato benissimo e in proposito cito a lor signori qualche dato. Infatti, prendiamo in considerazione le t-shirt o i pullover, dopo i primi tre mesi della grande liberalizzazione. Vi ricordo che in proposito che siete stati voi, signori della sinistra, ad aprire l'Europa gridando: «Sì, lanciamo l'Italia a competere con il mondo in nome della ricerca o di quant'altro e ne usciremo vincitori». Al contrario, con l'euro e con le vostre liberalizzazioni siamo usciti con le ossa rotte. Avete messo al paese una tagliola da cui non riusciamo più a liberarci.
Comunque, torniamo alle importazioni nel primo trimestre, secondo i dati forniti dal fantomatico osservatorio - che non esiste, ma che è pubblicato su un sito Internet - che leggerò e poi lascerò agli atti: per le t-shirt si è verificato un aumento del 315 per cento, con un decremento del prezzo medio in Italia corrispondente a -43 per cento; per i pullover, l'aumento è stato dell'819 per cento, con un decremento di costo pari a -33 per cento; per i pantaloni, l'aumento di importazioni dalla Cina nei primi tre mesi è stato del 650 per cento. Onorevoli colleghi, si tratta di un aumento del 650 per 100!
Allora direte che siamo in una situazione di allerta. Certo, esistono alcune categorie Euratex che hanno raggiunto i requisiti per far scattare le clausole di salvaguardia. Se controllate, ad esempio, i dati sui pullover, la salvaguardia sarebbe dovuta scattare già quando si fosse raggiunto il dato del 202 per cento. Ebbene, siamo al 534 per cento.
Il campanello è suonato da un pezzo, e non deve essere l'Italia o il Governo Berlusconi ad intervenire, ma deve essere l'Europa! Certo, che se voi vi mettete a strillare tutte le volte che qualcuno parla di dazi, dicendo: ma no, non si può parlare di dazi... parliamo di clausole di salvaguardia. Ma chi pone le clausole di salvaguardia? La Commissione europea, senza bisogno di sentire nessuno! Si tratta di un procedimento disciplinato da un regolamento ad hoc, il n. 427/2003, in virtù del quale la Commissione non deve sentire nessuno, non deve sentire il Consiglio dei ministri. Ma chi era presidente della Commissione europea, fino a pochi mesi fa? Non lo ricordo...!
Questi sono i dati: noi governiamo in Italia, ma nella Commissione europea c'era il vostro leader, e se abbiamo già perso centinaia di migliaia di posti di lavoro, forse avreste potuto fare qualcosina in più! Certo, qualcosa in più avrebbe potuto fare anche questo Governo, ma si spaventa quando voi parlate! Tutte le volte che voi parlate e gridate un po', noi siamo sulla difensiva: ma non saremo mica antieuropeisti...? No! Noi vogliamo bene all'Europa, vogliamo bene all'euro! Andatelo a raccontare a coloro che a Prato
e a Biella sono in cassa integrazione, e che forse si salvano anche con alcune misure di questo Governo! È infatti questo Governo che ha dato la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione anche per gli artigiani. Dite: lo volevamo anche noi! Sì, ma non lo avete fatto.
Capisco che sulla strada di Damasco qualcuno si possa convertire, e ci fa piacere. Ci fa piacere essere in molti su questa strada, ma credo che a questo paese debba essere raccontata la verità: la dobbiamo raccontare ai cittadini e agli elettori ma soprattutto alle categorie produttive che avvertono in modo particolare questa crisi.
Sono dunque condivisibili le mozioni presentate dalla maggioranza. La mozione Cè ed altri n. 1-00449, presentata dalla Lega Nord, al pari di quella approvata da questo Parlamento lo scorso anno, richiama con forza la necessità di un impegno concreto, e non per nulla vi è stata un'intensa discussione anche in occasione del provvedimento sulla competitività. Voteremo contro la mozione Violante ed altri n. 1-00436, perché è semplicemente irricevibile per senso del pudore, mentre voteremo a favore delle mozioni presentate dalla maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Avverto che la mozione Violante ed altri n. 1-00436 è stata sottoscritta anche dagli onorevoli Pistone e Maura Cossutta.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.
LORENZO RIA. Signor Presidente, da molti mesi a questa parte, in particolare da quando sono cadute tutte le barriere commerciali, si sono moltiplicati in ogni sede istituzionale, incluse le aule parlamentari, i documenti che invocano la tutela e il sostegno del made in Italy. Si tratta di un tema che rappresenta un elevato punto di crisi nazionale e che si pone, seppure in forme meno drammatiche, in molti altri paesi europei.
La mozione Violante ed altri n. 1-00436, relativa ad un qualificatissimo segmento del made in Italy, vale a dire ai prodotti dei settori tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero, non è a mio avviso condizionata da questo generalizzato clima di angoscia. Si tratta di una mozione che, come è giusto che sia, è tecnica nell'analisi dei pericoli attuali ed imminenti ed è fredda anche nell'indicazione delle sedi in cui intervenire, nell'individuazione delle occasioni da utilizzare e nella definizione delle soluzioni di merito da proporre.
Proprio l'asettica stringatezza di questa mozione dà, però, il segno della nostra preoccupazione, tesa ad evitare che, mentre a Bruxelles e a Roma si discuta oltre ogni ragionevole buonsenso per ricercare soluzioni perfette a tutela del mercato e delle sue libertà, nel frattempo proprio il libero mercato reale si estingua davvero prima di aver trovato le soluzioni ottimali.
Sappiamo bene che il rafforzamento e la competitività del nostro paese richiedono enormi investimenti in conoscenza, ricerca e tecnologia. Sappiamo, però, ugualmente bene che tutti questi elementi di conoscenza, di ricerca e tecnologia non salveranno il made in Italy, ed in particolare i prodotti del settore tessile, abbigliamento e calzaturiero, se già oggi non si interverrà con strumenti integrati di tutela e garanzia, da assumere a livello europeo, nazionale ed anche locale.
In molte regioni d'Italia istituti ed osservatori specializzati studiano permanentemente l'andamento congiunturale dei settori industriali in crisi e in particolare nel settore tessile, abbigliamento e calzaturiero, aggiornando coerentemente in tempo reale le strategie di sviluppo dei territori e delle imprese. I più recenti rapporti evidenziano che le soluzioni non risiedono più nei singoli territori, né nelle regioni, mentre lo sono solo in parte in ambito nazionale. Tali rapporti, in realtà, chiariscono che le aspettative imprenditoriali sono ormai prevalentemente indirizzate alla dislocazione extraeuropea. La combinazione dei fattori basso costo del lavoro, basse garanzie ambientali, sindacali
ed etiche, fenomeni imitativi (tollerati e a volte legittimati) e le delocalizzazioni delle imprese italiane (legittimate ad importare in Italia prodotti interamente realizzati all'estero) hanno dato vita ad un corto circuito economico, industriale e commerciale di cui non si sono ancora manifestati, a mio avviso, gli aspetti più gravi.
Per questa ragione, ci affidiamo alla riflessione e puntiamo con determinazione alla qualità delle nostre proposte (contenute nella mozione da noi presentata); penso sia nell'interesse primario del Governo cogliere tali spunti, come mi sembra abbia fatto - glie ne do atto - il sottosegretario Contento, ma al contempo è necessario fornire concreti sbocchi operativi.
Il sistema di preferenze generalizzate che la Commissione europea si accinge a definire deve prevedere per ogni paese una soglia significativamente più bassa del 12,5 per cento del totale delle importazioni nell'Unione europea.
Se passasse la proposta di una quota limite del 12,5 per cento, oggi fermeremmo soltanto la Cina ma manterremmo e alimenteremmo le importazioni di tanti altri Stati importatori, tornando, così, al punto di partenza nel volgere di qualche anno.
Mentre a Bruxelles si continua a discutere degli indirizzi per attivare clausole non troppo automatiche di salvaguardia, così da non limitare eccessivamente la libera circolazione delle merci, in Europa si vanno strutturando moltissime anomalie concernenti incrementi di importazioni e anomale riduzioni dei prezzi, che diventeranno la base di riferimento obbligato per le scelte da compiere.
Mentre oggi tutto ciò già accade, sappiamo con certezza che questi incrementi di importazioni e riduzioni dei prezzi sono incompatibili, già ora, con un libero mercato. Nei territori che oramai da molti anni hanno puntato sul settore tessile, abbigliamento e calzaturiero - la Puglia nella sua interezza, le province di Lecce e Brindisi in particolare - si registrano questi livelli di insostenibilità, evidenziati nei dati statistici regionali aggiornati e comparati sull'andamento occupazionale nel settore, sul valore aggiunto delle imprese del settore tessile, abbigliamento e calzaturiero e sulla riduzione del volume complessivo dell'export.
Solo in provincia di Lecce il comparto tessile, abbigliamento e calzaturiero ha registrato nel 2004 la soppressione di 1.275 posti di lavoro, con un incremento delle cessazioni di più del 28 per cento rispetto al 2003, che pure è stato un anno di crisi. La drammaticità di questa situazione è descritta, inoltre, da 4.873 lavoratori in mobilità alla data del 31 dicembre 2004, la gran parte dei quali legati al settore tessile, abbigliamento e calzaturiero.
Libero mercato è quello che tendenzialmente mette tutti nelle condizioni di operare in situazioni di eguale opportunità; non è mercato e, soprattutto, non è libero mercato quello in cui si compete con manufatti e prodotti in situazioni di dumping sociale ed ambientale.
Concludendo, la gravità e la complessità di queste situazioni che sono sociali, soprattutto, è il dato reale che sta dietro il linguaggio, come dicevo all'inizio, freddo, forse algido e le rigorose proposte tecniche contenute nella nostra mozione. Questa gravità e questa complessità intendiamo affrontare con le nostre proposte che consegniamo al Governo di cui, come dicevo prima, apprezziamo l'impegno assunto di tradurle in provvedimenti ed intenti concreti e in comportamenti soprattutto nelle competenti sedi europee (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taborelli. Ne ha facoltà.
MARIO ALBERTO TABORELLI. Signor Presidente, come comasco e rappresentante di un territorio per vocazione da sempre tessile, seguo evidentemente molto da vicino la crisi del tessile e dell'abbigliamento e l'evoluzione degli scambi internazionali dei prodotti tessili e del contesto in cui avvengono.
Siamo consapevoli che la globalizzazione sia un evento epocale inarrestabile che non possiamo né vogliamo contrastare. È necessario, tuttavia, che, insieme alla liberalizzazione, possano maturare condizioni di autentico fair trade che oggi non esistono. Solo un sano e corretto rispetto delle regole del libero commercio può, infatti, aiutarci a vedere la concorrenza non più come qualcosa di dannoso per noi ma piuttosto come una opportunità. Si parla tanto di Cina, ma non dimentichiamo che anche l'India è un formidabile concorrente ed è anche un paese con barriere all'importazione assai più sostenute.
Il Governo italiano, come è noto - e lo ringraziamo -, si è adoperato e si sta adoperando per far attivare dalla Commissione europea misure protezionistiche nei confronti di alcuni settori merceologici, quali il tessile e l'abbigliamento, settori che, anche a causa dell'assente politica commerciale della passata Commissione europea, vedono le nostre imprese deboli di fronte al mercato europeo mondiale. Le nostre imprese, infatti, di fronte all'apertura dei mercati, si sono trovate schiacciate da altre società straniere ben più mature e sicuramente più capaci di sostenere una concorrenza senza frontiere.
Si condivide quindi l'attenta e rigorosa politica che il centrodestra sta proseguendo per fare in modo che la nostra nazione possa far crescere e rendere competitivi quei settori ancora deboli e affinché l'Italia possa giocare un ruolo determinante in quello che può essere tranquillamente definito un villaggio globale.
Accanto a questa attenta politica, però, occorre tenere presente che non tutti i settori merceologici del tessile e dell'abbigliamento necessitano di barriere all'ingresso del mercato. Non tutti i settori devono essere considerati bisognosi di protezione. Per quanto riguarda la specificità dei prodotti serici, dobbiamo avere un approccio molto pragmatico.
Il problema Cina deve essere affrontato caso per caso. Nel caso del poliestere, ad esempio, ci si è mossi già da tempo e si è ottenuto dalla Commissione europea, grazie all'opera del sottosegretario, l'istituzione di un dazio anti dumping sui tessuti cinesi tinti e stampati. Nel caso della seta il quadro è completamente diverso per la specificità della fibra e per il rapporto di interdipendenza che esiste con la Cina. Riteniamo, quindi, che l'approccio debba essere collaborativo.
La Cina e anche l'India, di cui si parla meno, possono infatti tranquillamente essere considerati, per il comparto seta, ma non solo per questo, come dei nuovi mercati da conquistare in cui è possibile vendere i nostri prodotti, in cui è possibile reperire materie prime a basso costo e, infine, con cui instaurare solidi rapporti commerciali. In primo luogo, infatti, secondo una recente ricerca fatta da una grande maison francese, nella Cina continentale i consumatori di generi di lusso con un reddito annuale di oltre trentamila dollari USA (un reddito altissimo per la Cina) sono circa 160 milioni e potranno arrivare, in base a delle stime, a 250 milioni nel 2010. Da questa ricerca emerge inoltre che la maggior parte di queste persone hanno un'età inferiore a quarant'anni, e i loro consumi si concentrano su accessori personali, quali appunto l'abbigliamento. In secondo luogo, la Cina è il primo produttore di seta, da cui noi siamo dipendenti e da cui dobbiamo attendere e pretendere una certezza di qualità di prodotto. La Cina, infine, può essere considerata anche un paese con cui instaurare solidi rapporti commerciali a beneficio degli uni e degli altri. Difatti, la Cina seppur domina il settore della produzione serica - ricordo che il 90-95 per cento dei prodotti serici venduti in Giappone, negli Stati Uniti e in Europa, è di produzione cinese - non può far nulla senza l'Europa, la quale gioca un ruolo fondamentale per spingere il consumo della seta nel mondo.
Ma la collaborazione esistente tra Cina ed Europa è venuta meno con il tempo a causa del deterioramento dei rapporti, delle clausole di salvaguardia e dei cambiamenti verificatisi nelle aree di produzione. Il collasso dell'associazione serica internazionale n'è una sola conseguenza. Dobbiamo dunque aprirci al dialogo; ci
sono ampie motivazioni per un colloquio tra Europa e Cina. La soluzione è, quindi, un approccio collaborativo - il vero fair trade -, da perseguire attraverso le normali misure a tutela della concorrenza e non già del protezionismo. Un buon esempio possono essere i dazi anti dumping che non colpiscono le importazioni nella sua globalità, ma solo ed esclusivamente a chi gioca a fare il furbo senza alcun rispetto delle regole, dei principi sociali ed economici. Ad esempio, i dazi anti dumping hanno già svolto una discreta funzione a tutela del mercato dei prezzi nei confronti dei tessuti cinesi tinti o stampati.
Un'altra soluzione potrebbe essere sicuramente l'adozione di un regolamento internazionale preposto ad individuare linee di condotta appropriate miranti a sviluppare il commercio e soprattutto il consumo. Importante sarebbe anche abbassare il parametro per il sistema delle preferenze generalizzate, concesso dall'Unione europea nei confronti dei paesi in via di sviluppo, a non più del 10 per cento, in quanto ciò consentirebbe di escludere oltre alla Cina anche l'India dal beneficio della riduzione daziaria.
Fondamentali ritengo debbano essere le azioni per il rafforzamento dei legami commerciali con i paesi dell'est europeo, oltre ai 25 che già fanno parte dell'Unione europea e quelli che entreranno prossimamente. Anche lo snellimento delle procedure anti dumping è in grado di comportare una maggiore tutela e una maggiore certezza dei diritti a chi rispetta le regole del mercato e soprattutto quelle della concorrenza: troppo lunghi sono adesso i tempi per arrivare ad un procedimento.
E, infine, anche una politica incentrata sulla qualità attraverso il rafforzamento del made in Italy o aiutare in modo considerevole le imprese italiane alla creazione di un mercato di nicchia.
Per il tessile serico bisogna seguire un percorso ad hoc, un percorso di apertura non di chiusura. Un percorso come quello già intrapreso con l'invio del documento all'Unione europea condiviso anche dall'industria francese in cui si chiede l'instaurazione di un tavolo in grado di avvantaggiare gli uni e gli altri anche in quanto i dazi europei sugli articoli di seta cinese non producono effetti reali sulla competitività dei prezzi europei rispetto a quelli cinesi.
Voglio ricordare che una camicetta di seta cinese costa sul mercato americano il 13 od il 14 per cento di quella prodotta in Italia o in Francia ed una cravatta il 7 o l'8 per cento!
Perciò, mi sembra impossibile che con un dazio anti dumping sugli articoli di seta si possa risolvere il problema della produzione: soltanto la reciproca cancellazione dei dazi potrà condurre, in tale campo, ad uno spettacolare sviluppo degli affari e ad un conseguente rilancio del nostro comparto serico.
Nel concludere, riaffermo che i deputati del mio gruppo voteranno a favore anche per esprimere al Governo un ringraziamento per l'impegno e la sensibilità dimostrati nei confronti del settore tessile.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, il mio intervento sarà breve poiché è già intervenuto il collega Polledri.
Innanzitutto, debbo esprimere un ringraziamento per il fatto che, finalmente, possiamo discutere le mozioni in esame. Soprattutto, ringrazio i colleghi di destra e di sinistra per avere letto bene - devo riconoscerlo - le dichiarazioni che la Lega ha fatto, sei mesi o addirittura un anno fa, negli interventi in quest'aula, nelle interviste rilasciate ai giornali e nelle conferenze stampa. Infatti, tutti ripetono, oggi, esattamente le cose che noi diciamo da due anni. Peccato che, mentre due anni fa quelle affermazioni avevano un senso, oggi ne hanno un po' di meno! Evidentemente, qualcosa bisogna pur fare, ma quello che possiamo fare oggi ha molto meno senso di quanto ne avrebbe avuto se ci fossimo mossi in tempo utile.
Del resto, fino a qualche tempo fa, la stampa amica del centrosinistra, come Il
Sole 24 Ore, definiva «miserabili» - in prima pagina - le posizioni della Lega. Dal canto suo, l'ineffabile Prodi, che è stato, fino a poco tempo fa, Presidente della Commissione europea, dice ancora oggi - l'ha dichiarato in televisione ieri o l'altro ieri -, le stesse cose che diceva sei mesi o un anno fa, peraltro in dissonanza con i suoi stessi colleghi del centrosinistra. Lo stesso Prodi, poiché rappresenta una maggioranza di centrosinistra fortemente sindacalizzata, non ha nulla da dire sul fatto che una ditta di servizi di pulizia può assumere un operaio in Romania per farlo lavorare a Roma a 200 euro al mese. Ci rendiamo conto, allora, della chiarezza di idee che questo personaggio può avere anche su tutte le altre cose!
Al di là del fatto che queste cose andavano fatte quando era il momento, mi preme sottolineare che bisogna comunque avere le idee chiare su cosa sia il tessile in Italia. Il collega Taborelli ha fatto una disamina precisa sul comparto serico, che, però, è soltanto una parte del comparto tessile. In realtà, il comparto tessile italiano è fatto di produzioni di grande qualità, ma anche di produzioni di serie, di produzioni cosiddette normali. Non tutti sanno, ad esempio, che a Busto Arsizio, una piccola cittadina, è stato prodotto, fino a poco tempo fa, il tessuto delle Lacoste per tutto il mondo e che nelle aziende tessili di Bergamo si producono ancora oggi (e si produrranno non so per quanto tempo ancora) la maggior parte del tessuto per le camicie che vengono realizzate in tutta Europa ed il tessuto per i jeans che viene utilizzato praticamente in tutto il mondo.
In queste tecnologie, colleghi di sinistra - che vi riempite la bocca con i soliti discorsi di qualità e di investimenti - c'è poco da inventare: siamo stati noi italiani ad inventare tutto! Oggi, i cinesi lavorano con i telai italiani o con le copie dei telai italiani che hanno comprato dieci anni fa, cinque anni fa o due anni fa e che poi hanno replicato abbondantemente fotocopiando, per così dire, il più piccolo particolare del macchinario. La differenza è che, in Italia, un operaio costa, giustamente, duemila euro al mese, mentre lì costa 50 dollari e lavora il doppio delle ore!
A fronte di queste cose, non ci sono tecnologie o interventi di sorta che tengano: si tratta di due mondi diversi! Oggi, dobbiamo soltanto decidere se vogliamo che, in Occidente, il tessile ci sia ancora - per un po' o magari per sempre - oppure se, come si suole dire, vogliamo metterci una croce sopra, fare finta di niente e farlo chiudere pian piano.
Il commissario Mandelsson, il quale ci dava degli imbecilli (anche lui) fino a qualche settimana fa - quando diceva: il problema non esiste; vedremo come avrà andrà a finire dopo il contingentamento -, dopo due mesi, può leggere i dati riferiti dal collega Polledri: mediamente, tutto è aumentato di quindici o venti volte! Come se fosse impossibile prevedere questi dati sei mesi fa, prima che si arrivasse al 31 dicembre 2004.
Basti leggere i resoconti parlamentari dei nostri interventi in quest'aula! Già un anno fa dicevamo queste cose! Prorogare il contingentamento per evidenti ragioni di opportunità sarebbe stato facile, avrebbe eliminato i problemi che oggi vive il comparto tessile in Italia (e quel poco che è rimasto in Europa). E le aziende che ogni giorno chiudono non saranno mai più riaperte! Oltretutto, ciò che sta compiendo l'Europa è di una velocità tale (do atto al Governo per le iniziative che sta assumendo, anche se, devo dire, in ritardo) che quando avrà tirato le somme e preso le decisioni, probabilmente, in Italia non ci sarà più una sola impresa tessile aperta.
Evidentemente, non è questo il modo di affrontare il problema, anche perché ciò che oggi viviamo nel comparto tessile lo vivremo presto in tutti gli altri comparti. I cinesi, infatti, non sono arretrati; sono partiti dalle tecnologie più semplici (il telaio è la prima macchina industriale che l'uomo ha inventato), ma, rapidamente, stanno arrivando in tutti gli altri settori industriali! Sono già arrivati anche nel settore agroalimentare. Oggi, in Italia, il paese del sole, del mandolino e quant'altro, metà della produzione di pomodori è
di origine cinese (150 mila tonnellate all'anno di passato di pomodoro!) Vuol dire che, tra sei mesi, un anno o due anni, nel sud non si produrranno più pomodori! Mi rivolgo a chi vuole sviluppare il Meridione e che fa le riunioni delle regioni del Sud (la Padania non esiste, ma il Meridione si!): preoccupatevi di queste cose! Tra due anni, in Italia, non si riuscirà più a vendere un pomodoro di produzione italiana (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)!
Evidentemente, si stanno scontrando due mondi diversi e due civiltà. Il problema non si affronta con il fioretto. Si deve intervenire con intelligenza (apprezzo gran parte dell'intervento del collega Taborrelli). Dove si può intervenire con intelligenza, è giusto farlo, ma occorre decidere se l'Europa vuole restare un continente industriale o se, un pezzo alla volta, vuole deindustrializzarsi. Postilla: quando si è deindustrializzati e si vive in un posto che non ha petrolio, non ha carbone, non ha diamanti, non ha oro, vuol dire vivere da morti di fame! Spero che gli europei, i commissari europei ed i politici europei non vogliano questo!
La Cina, probabilmente, sarà una grande opportunità, ma ancora non lo è, come, invece, sosteneva sei mesi fa il Presidente Ciampi, lì in visita con Montezemolo. Oggi, la Cina non è opportunità. Oggi, è un rischio è basta! Probabilmente fra quindici, venti anni, quando, invece che centocinquanta, i cinesi ricchi saranno un miliardo, diventerà un grande mercato, ma la decisioni che oggi dobbiamo prendere è se noi, fra vent'anni, ci saremo o non ci saremo più da un punto di vista industriale. Credo che se andiamo avanti di questo passo, tra venti anni non ci saremo più. Loro saranno semplicemente i padroni del mondo e noi, a posizioni invertite, saremo diventati il terzo mondo del 2030. Siccome sono varesotto, lombardo ed europeo, vorrei che questa cosa non accadesse. Vorrei che l'Europa restasse una grande potenza industriale, oltre che civile e sociale.
Bisogna prendere atto di ciò e attuare adeguati interventi. Bisogna obbligare la Cina, con gli strumenti più opportuni (noi abbiamo indicato i dazi, un modo per far capire all'immaginario collettivo quello di cui stavamo parlando, ma i mezzi tecnici, le tecnicalità possono essere tante), a diventare velocemente un paese normale, dove la gente guadagna un po' di più e, invece che vivere sedici ore in fabbrica e dormire in fabbrica, ha il piacere di uscire la sera e di avere dieci dollari in tasca per andarsi a mangiare, se non la pizza, un piatto di riso con dentro i nidi di rondine, come piace a loro.
Finché non arriviamo a questo, loro continueranno a produrre; per gli operai, per la manovalanza, per i proletari cinesi, che dovrebbero stare tanto a cuore, non ci sarà alcun vantaggio, perché erano e resteranno poveri. Noi però rischiamo di scomparire.
Il dazio deve essere un modo per far capire a questa gente che o ci si avvicina rapidamente ad un modo di vivere e di produrre più accettabile - allora sì, diventeranno un grande mercato, un'opportunità di allargamento dei mercati oggi esistenti, con vantaggi anche per i normali cittadini cinesi - oppure le cose da intraprendere sono di tipo diverso.
Ringrazio i colleghi per questa riconversione ideologica, ringrazio per aver letto con attenzione gli interventi che abbiamo fatto negli anni scorsi e spero che, da parte del Governo, in Europa, ci sia la dovuta determinazione per portare avanti queste posizioni (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.
ANDREA LULLI. Signor Presidente, abbiamo presentato questa mozione ritenendo che debba esservi piena consapevolezza dell'importanza che il sistema moda e, in particolare, nel caso di specie, il comparto tessile e abbigliamento-calzature rivestono nell'economia del nostro paese; infatti, si tratta di un settore con un alto tasso di occupazione, che rappresenta,
in vari insediamenti territoriali, un forte elemento di coesione sociale costituendo, inoltre, un tratto distintivo e di prestigio internazionale per il paese. È, dunque, un comparto che ha creato, e crea, quella ricchezza che ci consente, spesso, di far fronte alla bolletta energetica e a tante altre situazioni di deficit economico. Ritengo che ciò costituisca, quindi, un elemento che noi dobbiamo tenere ben presente per capire quale importanza abbia tale settore e per denunciare quanta poca attenzione si sia avuta nelle politiche industriali ed economiche di questi anni. Politiche che non hanno affrontato le difficoltà reali attraversate dal sistema delle imprese operanti in tali settori.
Onorevole Polledri, anche lei è intervenuto nel dibattito; ebbene, onorevole, se il Governo si fosse attardato un po' meno ad insistere sull'adozione dei dazi e avesse, invece, perseguito politiche industriali ed economiche tali da mettere in condizioni le imprese, industriali ed artigiane, di avviare processi di innovazione e di ristrutturazione della propria base produttiva, probabilmente, oggi, affronteremmo meglio le attuali difficoltà. Mi riferisco all'affacciarsi possente delle economie asiatiche sullo scenario mondiale, in particolar modo di quelle cinese ed indiana; un dato di fatto che nessuno può pensare di esorcizzare. Soprattutto, nessuno può ritenere di affrontare tale situazione con una politica di chiusura miope nei propri confini nazionali, con un protezionismo fuori tempo e assolutamente contrario agli interessi di chi lavora e a quelli delle nostre imprese.
Il deputato della maggioranza, onorevole Taborelli, deputato di Como, ha fatto riferimento, ad esempio, ad alcune norme sui filati acrilici, relative all'imposizione di dazi ed anti dumping; ebbene, in tali casi, per alcuni settori, si è trattato di una boccata d'ossigeno ma, per la gran parte del sistema produttivo tessile - proprio quel comparto sul quale è intervenuto, poc'anzi, anche il deputato Dario Galli -, ciò ha rappresentato un elemento di ulteriore difficoltà e crisi.
Bisogna chiarire tale aspetto: un conto è parlare di una politica protezionistica fondata sui dazi, corrispondente ad una visione retrograda e assolutamente antimprenditoriale e nemica del lavoro e dei lavoratori in modo particolare; altro conto è affrontare le questioni connesse ad una politica difensiva che ci consenta, per determinati prodotti e in alcuni settori, di contrastare una politica di dumping. Politica di dumping che non è solo frutto dei grandi paesi come la Cina: cari colleghi, la verità intera è che una politica di dumping viene perseguita anche, spesso, da grandi concentrazioni imprenditoriali e commerciali le quali, a volte, hanno la loro sede in Europa (e qualcuna, forse, anche in Italia).
Dunque, il punto è cosa, in questo contesto, vogliamo chiedere al Governo. Abbiamo sempre ammesso, in questi anni, di apprezzare l'attività e l'attivismo del viceministro Urso che, a mio parere, non sempre hanno coinciso con un impegno di tutto il Governo.
Non ho mai visto, a differenza di quanto fatto da Chirac per la Francia, ad esempio, il nostro Presidente del Consiglio impegnarsi su questi temi; e su tale aspetto potrei dilungarmi ancora molto.
Oltre a mobilitarsi, in sede di Unione europea, per ottenere clausole di salvaguardia, ritengo occorra adoperarsi di più. Anche in tal caso, lasciatemi dire che va bene la polemica politica, perché la Commissione europea, anche quella presieduta da Romano Prodi, non può essere esente da qualsiasi critica; tuttavia, vorrei ricordare che l'Accordo multifibre è scaduto il 31 dicembre 2004 ed i contingenti sono liberalizzati a partire dal 1o gennaio 2005. È chiaro, allora, che l'attivazione delle procedure, ove se ne ravvisi la necessità, spetta all'attuale Commissione.
Il problema di fondo, tuttavia, è come attivare, accanto ad una politica difensiva, che sicuramente si rende necessaria, misure adeguate a restituire competitività al nostro sistema produttivo; in altri termini, si tratta di riuscire a favorire l'innovazione e la riorganizzazione del sistema imprenditoriale,
per offrire una prospettiva di crescita e di sviluppo ad un settore strategico del nostro sistema economico.
Questo è il punto, e mi permetto di ricordare che vi è un ritardo pesante del nostro paese, che sicuramente non risale sono agli ultimi quattro anni, perché viene da più lontano, ma di cui tutti noi dovremmo farci carico, nell'interesse generale del rilancio dell'economia italiana.
A tale proposito, vorrei ricordare che, nella mozione Violante ed altri n. 1-00436, non si chiede soltanto di attivare le clausole di salvaguardia: infatti, abbiamo posto anche la questione del sistema di preferenze generalizzate. Come è stato già sostenuto da altri colleghi (e per tale motivo, non intendo soffermarmi nuovamente), si tratta di strumenti importanti, poiché possono consentire di raggiungere proprio gli obiettivi di cui si è parlato, vale a dire stringere un rapporto di maggiore collaborazione con i nostri competitori, comprese la Cina e l'India, stabilendo rapporti commerciali positivi e favorendo, altresì, l'integrazione di tali economie. Anche attraverso questa strada, è sicuramente possibile procedere verso quella direzione.
D'altra parte, sul piano delle politiche commerciali, vorrei ricordare che sia in questa Assemblea sia in sede di Commissioni abbiamo affermato, sin dal settembre 2002 (vale a dire, prima dello svolgimento dei negoziati di Doha), la necessità di perseguire la reciprocità in tema di dazi, di tariffe e di barriere burocratiche: si tratta, infatti, di elementi che mettono in difficoltà il sistema delle piccole imprese. Quando parlo di reciprocità delle tariffe e di abbattimento delle barriere non tariffarie (ossia gli ostacoli burocratici), mi riferisco non soltanto alla Cina o all'India, ma, ad esempio, agli Stati Uniti, i quali spesso fissano dazi squilibrati in questi settori, mettendo in difficoltà soprattutto le piccole aziende.
Anche su questo aspetto, vorrei rilevare che occorre assumere un'iniziativa. In altri termini, vorrei osservare che la reciprocità dei dazi ed il superamento delle barriere burocratiche facilita l'apertura delle economie, favorendo altresì una maggiore circolazione delle merci e dei prodotti che può valorizzare veramente le nostre potenzialità, rappresentate dal «saper fare» di milioni di lavoratori e di lavoratrici, dal know-how delle aziende artigiane, dalla creatività dei nostri imprenditori e dalla capacità dei nostri tecnici di farsi apprezzare sui mercati internazionali.
I mercati, tuttavia, devono avere regole valide per tutti e non essere «drogati» da dumping o da misure tariffarie e burocratiche adottate, magari proprio nei paesi più forti, a danno anche delle nostre produzioni.
Allo stesso modo, ritengo necessario ed importante sviluppare un ragionamento sulla tracciabilità e sulla definizione dei marchi.
Vi è un punto politico importante. So dell'impegno del Governo italiano, tramite il viceministro Urso. Ho visto poco il ministro precedente e spero di vedere quello nuovo più impegnato su questa frontiera.
Anche sulla questione della tracciabilità, non vi può essere solo quella che viene dalle merci che entrano in Europa. Vi è un problema che riguarda anche le merci prodotte e circolanti in Europa. Vale a dire che l'informazione al consumatore ed all'utilizzatore finale deve essere resa il più trasparente possibile, affinché si possa decidere di pagare di più un capo confezionato in un certo modo. Sappiamo che questa è una possibilità a nostra disposizione.
Nella nostra mozione chiediamo, inoltre, al Governo italiano di impegnarsi presso l'Unione europea, poiché si parla di riforma dei fondi strutturali e dei nuovi programmi quadro nella ricerca, affinché sia data priorità al settore del tessile, dell'abbigliamento e dell'industria della moda. Vi è bisogno di più innovazione, di più coraggio, di più fiducia. Vi è bisogno di sfruttare le energie presenti nel mondo del lavoro e nel mondo imprenditoriale. Credo che una classe politica che si rispetti dovrebbe anzitutto avere a cuore tale interesse generale (Applausi dei deputati
dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e del gruppo Misto-comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Delmastro Delle Vedove. Ne ha facoltà.
SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Signor Presidente, signor sottosegretario, sono anch'io particolarmente lieto del dibattito che stiamo svolgendo nella giornata odierna, anche perché mi sembra di individuare momenti di volontà costruttiva da parte di tutte le forze politiche, richiamate a questo senso di responsabilità dalla gravità di una crisi che ha colpito il settore tessile e dell'abbigliamento, settore non soltanto di grande rilevanza economica, ma soprattutto, come è già stato rilevato da coloro che mi hanno preceduto, di grande prestigio per il nostro paese.
Mi pare di aver accolto anche alcune piccole sfumature polemiche, alle quali peraltro non posso - e non debbo - sottrarmi, perché in Parlamento, anche quando si converge su un documento che può essere sostanzialmente considerato comune, considerato l'alto grado di compatibilità di tutte le mozioni presentate, non si deve rifuggire all'idea di contestare talune affermazioni.
Per paradosso, sono quasi in contrasto con il collega del mio gruppo che mi ha preceduto, onorevole Butti, nel momento in cui quest'ultimo ha voluto rilevare, con estrema indulgenza e dolcezza, il ruolo dell'ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Anche dall'onorevole Lulli ho ascoltato una difesa del comportamento dell'ex presidente della Commissione europea. Mi sembra, invece, giusto consegnare agli atti del Parlamento il rilievo che l'onorevole Romano Prodi ha avuto una formidabile responsabilità nel ritardo con cui si sono affrontati questi temi ed un'altrettanto formidabile ed inescusabile responsabilità per non aver saputo organizzare in Europa un dibattito che obbligasse tutti gli Stati, anche quelli che, ancora oggi, sono renitenti su talune impostazioni, a costringere la Cina ad accettare regole condivise dei mercati internazionali e a non muoversi con fare anarcoide, sì da rendere vane tutte le sollecitazioni che provengono dall'Europa.
SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Fino a due mesi prima della data di scadenza dell'Accordo multifibre, infatti, Romano Prodi aveva tale possibilità; non l'ha voluta sfruttare. Non avremmo certo potuto immaginare da quest'ultimo importanti chiavi risolutive del problema e non avremmo potuto neanche chiedergli un'ulteriore «seduta spiritica», per tentare di darci spiegazioni o soluzioni. Certo è che bisogna smetterla - e, sul punto, condivido perfettamente il pensiero dei colleghi Polledri e Dario Galli, che mi hanno preceduto - con la demagogia facile.
Possiamo tenere tutti gli incontri possibili a Palazzo Chigi a livello interregionale; possiamo attivare tutte le concertazioni possibili ed immaginabili. Resta il fatto che ci troviamo di fronte ad una concorrenza praticamente imbattibile sul piano dei costi, che viene aggravata dal fatto che - come tutti sappiamo - la Cina dispone di una moneta, lo yuan, che viene modellata senza regole precise, semplicemente in base al suo interesse egoistico; per converso, viviamo in un momento in cui vi è un euro particolarmente forte che crea un ulteriore ostacolo alle nostre produzioni.
È anche vero che dobbiamo smettere di immaginare che il solo «made in» possa essere risolutivo del problema, anche se la sua importanza è fondamentale. Infatti, come giustamente ricordava l'onorevole Dario Galli, non vi è soltanto l'industria tessile di altissima moda, ma vi è soprattutto un'industria tessile delle piccole e medie imprese, che non attiene al sistema moda nel senso più prestigioso del termine e che, senza forti aiuti, non ha alcuna possibilità di reggere la concorrenza cinese.
Addirittura, a Shangai, recentemente, è stata chiusa una filatura con 3 mila operai cinesi. Infatti, i cinesi stessi hanno ritenuto di dover, a loro volta, delocalizzare questa struttura, parte in Bangladesh e parte in Vietnam, perché i costi della manodopera erano esattamente del 50 per cento inferiori a quelli della manodopera cinese.
Allora, di fronte a fatti di questo genere, è chiaro che le posizioni devono essere decise e determinate. Non si può immaginare di resistere sul piano economico ad una concorrenza di questo tipo con le conferenze di servizi o con tutte le amenità che abbiamo sentito menzionare anche nel dibattito odierno.
Dunque, occorre un discorso politico più ampio che doveva essere svolto dalla precedente Commissione europea nel momento in cui è scaduto l'Accordo multifibre, per imporre alla Cina l'obbligo di rispettare le regole internazionali del commercio. Ciò per evitare che talune imprese possano lavorare bellamente nel settore tessile (ma anche in quello calzaturiero ed in altri settori) sottocosto (parlando già dei costi cinesi), in quanto un sistema bancario ancora vagamente e genericamente paracomunista le sostiene e consente loro di importare (come, ad esempio, è accaduto nei primi mesi del 2005) calzature a 2,90 euro, che vengono poi vendute sui mercati a 20 euro, consentendo a tutti noi di fare, tra virgolette, un «enorme affare», realizzando un utile pari a sei o sette volte il costo d'importazione e distruggendo praticamente l'industria calzaturiera italiana.
Allora, come non ringraziare questa forte attività svolta dal Governo italiano e, in particolare, dal viceministro Urso, che ha seguito la buona, saggia ed antica abitudine di visitare tutti i distretti tessili italiani, prima di sedersi in Europa e trattare i problemi dei nostri distretti tessili? Lo ha fatto da parte sua, con grossi risultati e con le difficoltà da superare nei confronti di quei paesi che il signor Romano Prodi non aveva minimamente convocato in quei cinque anni in cui si è preoccupato più di Silvio Berlusconi e del suo rientro in Italia, che non dei grandi problemi dell'industria calzaturiera, tessile e non del nostro paese.
Cari amici, vi è la necessità di tornare a discutere con estremo realismo di una situazione che, probabilmente, è molto più grave di come oggi è stata tratteggiata in quest'aula. Gli amici della Lega, forse con un'eccessiva vigoria, soprattutto da parte dell'onorevole Dario Galli, hanno comunque posto l'accento su temi profondamente importanti, che ci devono spingere a riflessioni serie. L'invito ai parlamentari dell'opposizione che, come noi, vivono nei distretti tessili è proprio quello di abbandonare frasi che hanno poco significato pratico. Infatti, se si continua a parlare di innovazione e di ristrutturazione degli apparati produttivi, senza che qualcuno ci dica come fare per evitare che vengano importate t-shirt al costo di 2 mila lire, mentre le nostre costano 20 mila lire, in tal caso, la battaglia è persa, prima di tutto in quest'aula.
Invitando tutti ad un grande senso di responsabilità su questi argomenti e ringraziando il Governo e, in particolare, il viceministro Urso per l'attività proficua che ha svolto e che continua a svolgere a livello europeo, credo di poter dire che tutti insieme, se abbandoneremo la demagogia e collaboreremo con il Governo, avremo la possibilità di salvare una serie di imprese e i distretti tessili italiani, che rappresentano non solo un momento di grande portata economica ma, soprattutto, un momento di grande prestigio per il nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Siamo anche noi qui a dare atto al viceministro Urso e al sottosegretario Contento di avere valutato con serietà e senza pregiudizio la mozione Violante, presentata dall'opposizione, e di avere espresso parere favorevole, così come non abbiamo alcuna difficoltà a dare atto di quanto è stato fatto
e delle iniziative che sono state assunte in Europa sulle questioni sollevate da queste nostre mozioni.
Diamo atto del lavoro compiuto, ma ci sia consentito e lo sia soprattutto a uno come me, che ha la possibilità di parlare dopo altri interventi che sono entrati molto nel merito e che hanno potuto sviscerare le questioni, i dettagli e i contenuti di questa crisi che sta investendo settori importanti del manifatturiero italiano, di affermare in conclusione del dibattito - vorrei richiamare l'attenzione del sottosegretario Contento - che ormai abbiamo detto tutto il dicibile sulla qualità, sui contenuti e sulle condizioni dei settori tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero italiani.
Credo che possiamo dire che a questo punto è necessario uscire da una mera strategia di difesa. Sia chiaro: occorre difendere questi nostri settori e i nostri operatori. Anche io sono un deputato eletto in un distretto produttivo, Carpi-Correggio, segnato dalla crisi di questo settore. Eppure, ci rendiamo conto tutti, e ci siamo resi conto anche noi che siamo intervenuti oggi pomeriggio, che nei nostri discorsi non c'era via di uscita. Nei nostri discorsi c'è la lamentazione di una situazione che è oggettivamente molto difficile, ma non c'è via di uscita.
Il mercato, cari colleghi, abbatterà tutte le difese che ci illudiamo di costruire, anche quelle che pensiamo siano solide. La forza del mercato è prepotente. Prima ne prendiamo atto e meglio è. Infatti, siamo arrivati a questo punto anche perché abbiamo sottovalutato il fatto che sarebbe arrivato questo momento.
Le regole del mercato non sono state inventate dai cinesi. Non possiamo far carico ai cinesi di avere inventato queste regole, ma semplicemente essi si limitano ad usarle. Mi rivolgo soprattutto ai banchi della maggioranza, che osa definirsi Casa delle libertà e, quindi, della cultura liberale. Sarà bene che facciamo i conti con questo dato. La Cina sta usando le regole del mercato! Cari colleghi, non riusciremo a fermare una frana delle dimensioni di quelle che avete descritto - e sono proprio quelle - con le mani! Non riusciremo a fermare la valanga della Cina, dell'India e dei paesi produttori dell'Estremo oriente con le mani, con le difese, con i dazi e con i dazieri. Non sono questi gli strumenti per difendersi da ciò che sta accadendo.
Siamo arrivati al punto che l'addetta commerciale dell'ambasciata cinese, che è stata udita dalla XIV Commissione permanente - io non ero presente, ma ho letto gli atti - si è permessa persino di provocarci, dicendoci: sono dieci anni che sapete che c'è questa data, quella del 1o gennaio 2005; lo sa l'Europa, ma lo sa anche l'Italia, e sono quattro anni che governate. Ma soprattutto fate come fanno altri: avete marchi, avete brevetti, venite e registratevi. Una vera provocazione dell'addetta commerciale della Cina, che ci insegna qual è la regola del mercato!
Siamo d'accordo sulla necessità di allestire strumenti di difesa, ma dobbiamo anche essere consapevoli che questi non ci consentiranno di andare molto lontano. Sono giuste le iniziativa comunitarie: sacrosante, benedette e condivise. Aumentiamo i controlli all'import. Da quanti anni arrivano tutte le mattine alle banchine del porto di Napoli decine di container di prodotti cinesi? Aumentiamo i controlli all'importazione clandestina e all'importazione del contraffatto. Ma aumentare i controlli vuol dire aumentare l'efficienza e la qualità amministrativa dei controlli, così come il lavoro della polizia di frontiera. Aumentiamo tutto questo.
Si abbia però anche la consapevolezza della complicità produttiva di alcuni grandi marchi italiani, che negli anni passati si sono avvantaggiati dell'importazione di semilavorati o di lavorati finiti solo da etichettare, costruendo così la loro rendita ed il loro profitto su questo tipo di speculazione: i prodotti in dumping, come le magliette t-shirt, ad esempio, venivano comprati a mille lire al pezzo e poi venivano etichettati da aziende italiane. Abbiamo approfittato, anziché investire e prepararci all'ora «x». Abbiamo fatto i furbi ed oggi paghiamo il prezzo di questa situazione.
Allora, va bene la strategia di difesa - lo voglio dire al Governo - ma è giunto il momento di cominciare a parlare di una strategia più dinamica e più aggressiva. Vedete, la Francia ha assunto come noi questa iniziativa in sede comunitaria - lo voglio dire ai colleghi Polledri e Galli, i quali hanno svolto due interventi piuttosto netti - ma, mentre chiede l'applicazione delle regole di salvaguardia, aggredisce il mercato cinese con l'EDF e la sua industria aerospaziale, al seguito dei quali (i due pionieri) sta entrando tutto un sistema produttivo. E la Francia è pronta a trattare con la Cina e a scambiare condizioni.
Dunque, quello che voglio dire è che anche noi dobbiamo cominciare a ragionare in termini di aggressività verso quel mercato. Vedete, colleghi, in Cina vi sono mille aziende italiane: ognuna è andata là per proprio conto, da sola; sono tutte piccole aziende. Tutti i grandi operatori ci dicono che in Cina ci si va come sistema paese, così come hanno fatto la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. In Cina ci si va con una strategia. Ci si va appunto come paese. Berlusconi - lo dico non polemicamente - è andato in Cina una sola volta, essendovi obbligato per un'iniziativa già programmata durante la Presidenza del semestre italiano. Invece, il Presidente francese ci è andato decine di volte. Noi siamo andati dall'amico Putin decine di volte, ma inutilmente ai fini del nostro sistema produttivo. Dobbiamo invece cominciare a porci questi problemi come sistema Italia.
Il problema è la Cina, è l'Europa. Ne avete dette di cotte e di crude su Prodi. Ma il problema è l'Italia. Sono quattro finanziarie che approviamo prive di tracce di politica industriale! Sono quattro anni che non c'è un segno di strategia di politica industriale, nella politica del Governo! Occorre, cari colleghi, che anche l'Italia si ponga il problema di favorire le dimensioni più grandi, le integrazioni, l'internazionalizzazione delle nostre imprese. Occorre intervenire - lo abbiamo detto quante volte? - nel settore dell'innovazione e della ricerca, dell'aggregazione di filiera e non, di sostegno ai distretti produttivi, di sostegno e di incentivazione ad un sistema bancario che accompagni queste strategie.
Oggi si sta ridescrivendo il paesaggio del sistema bancario italiano, al di fuori di un qualsiasi disegno discusso in sede politica.
Nessuno sa con precisione ciò che sta accadendo. Noi abbiamo bisogno, come accade in Francia e in Germania, che il sistema bancario accompagni questi processi di ristrutturazione. Occorre negoziare con l'Unione europea, perché il settore tessile e dell'abbigliamento è in crisi.
Come in passato è accaduto per l'acciaio (il paragone può essere ardito), si tratta di un settore in crisi che deve esser affrontato con la predisposizione di misure di sostegno, di iniziative volte a contrastare la chiusura delle aziende e a favorire la loro riconversione, delocalizzazione ed aggregazione, nonché di ammortizzatori sociali che dovrebbero accompagnare queste fasi di trasformazione.
Dovremmo chiedere all'Unione europea la predisposizione di politiche di sostegno, ma non perché intendiamo ripristinare una politica dirigista o statalista. Dal momento che intendiamo favorire una politica di mercato, abbiamo bisogno di accompagnarla con una serie di provvedimenti ed è in tale contesto che occorre rapportarsi con l'Europa.
Avete espresso una serie di considerazioni su Romano Prodi e ciò fa parte della propaganda politica (continuate pure), ma a nessuno passa per la testa fare riferimento alle competenze della Commissione europea, del presidente della Commissione, del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri.
Quando si tratta di iniziative politiche strategiche, la sede propria non è quella della Commissione europea, poiché si tratta di un'istituzione comunitaria con funzioni esecutive. La responsabilità è propria dei Governi rappresentati nel Consiglio europeo e nel Consiglio dei ministri.
Noi, nel corso di questi quattro anni, abbiamo anche avuto la ventura di assumere
la Presidenza dell'Unione europea per un semestre, senza, tuttavia, adottare alcuna di queste iniziative.
Come è possibile aggredire continuamente l'Europa (lasciate stare Romano Prodi che lì non c'è più!), in particolare, la Commissione europea, l'euro e la Banca centrale europea, e chiedere poi alla stessa, in un momento in cui un settore importante dell'Italia è in difficoltà, misure di sostegno? Ci è stato detto dal Governo che il 14 giugno vi sarà una riunione a Bruxelles per discutere dei fondi strutturali da destinare a questo settore in crisi.
Signor sottosegretario, lei sa bene che non ci sono più i fondi strutturali (nel 2006 si esauriranno; ormai, si sono già esauriti!). Il capitolo è ancora presente, ma mancano le risorse.
PRESIDENTE. Quello che è passato è il tempo!
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Stiamo pagando la miopia che non è stata solo del Governo italiano, ma anche della maggioranza dei Governi europei che hanno lesinato le risorse messe a disposizione dall'Europa e oggi l'Europa non ha le risorse da ridistribuire ai paesi che avvertono difficoltà in determinati settori come noi.
Oggi paghiamo la nostra pigrizia, perché abbiamo pensato di risolvere i problemi da soli, senza aver bisogno dell'intervento comunitario.
Cari colleghi, vorrei invitarvi a riflettere su questo dato: «sì» a tutte le strategie di difesa, ma smettetela con queste polemiche antieuropee che danneggiano la causa, il nostro sistema produttivo, la credibilità del nostro paese e, soprattutto, trasmettono all'esterno l'idea che l'Italia non capisce quali sono i processi in atto e che non accetta di inserirsi da protagonista in questi processi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Castagnetti, di aver sollecitato la conclusione del suo intervento, ma il tempo è uguale per tutti, come dovrebbe essere la legge!
Ho il piacere di salutare gli studenti ed i docenti presenti in tribuna dell'istituto professionale «Giovanni Falcone»! - grande nome - di San Marzano di San Giovanni di Taranto (Applausi). Sono contento di vederli!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor sottosegretario, potrei dichiararmi abbondantemente soddisfatto del fatto che la nostra mozione e le sollecitazioni in essa contenute siano state recepite dal Governo.
Spero che i colleghi, riguardo al mio intervento, abbiano la cortesia di assecondare questa mia fatica con attenzione, soprattutto con riferimento ad alcuni aspetti particolari del settore, come ha avuto modo di sostenere l'onorevole Castagnetti complessivamente per il sistema Italia.
Forse è proprio l'intervento dell'onorevole Castagnetti che, in qualche modo, fornisce alla vicenda in oggetto un significato più ampio. E comincerei proprio dalle sue parole, dal plauso che ha avuto nei confronti del Governo, in particolare del viceministro Urso, per l'attivismo posto in essere per l'attività di sostegno al made in Italy, guardando con attenzione - parole sue - i distretti dai quali nasce la vicenda organizzativa del sistema imprenditoriale italiano.
Non è vero che nei discorsi vi siano solo lamentazioni e che non vi sia la volontà di guardare con attenzione la prospettiva di una via di uscita. Se abbandoniamo questi settori, che vengono considerati ormai dal sistema tradizionali e maturi, rischiamo nel breve termine di creare un sistema privo di garanzie, soprattutto per quanto concerne il tema sociale nel nostro paese.
Dal 1991 al 2001, nel settore si è registrata una percentuale pari al 18 per cento di occupati in meno. Ciò significa che se verificassimo in prospettiva cosa
può capitare, sottolineando che questo è stato per molti anni un settore trainante del sistema del made in Italy, dovremmo sostenere che, abbattuto tale sistema, potrebbe essere abbattuto complessivamente l'intero sistema manifatturiero tradizionale del nostro paese.
È un bel dire quello della Cina: se avete brevetti o marchi, brevettateli e venite da noi! Sì, per poi essere immediatamente copiati utilizzando regole al di fuori del mercato!
Sotto tale aspetto vi è la necessità per il settore di guardare a due importanti impegni che il Governo dovrebbe assumere. Non soltanto quello già avviato, mi pare con abbondante successo, in sede di Unione europea, ma soprattutto quello di verificare cosa sia possibile attuare nel nostro paese per tutelare un settore molto importante per il sistema Italia.
In primo luogo occorre considerare che l'occupazione in questo settore è largamente femminile (circa l'80 per cento), dunque quando si tocca questa realtà si tocca una parte debole del sistema paese. Pertanto, è importante che la difesa del sistema sia attuata anche per difendere un sistema di occupazione debole con forti ripercussioni sul tema della famiglia nel nostro paese.
Vi è la necessità, allora, di sostenere le attività di innovazione e sviluppo, ad esempio nella realizzazione dei campionari, che rappresentano l'essenza del settore tessile e la forma privilegiata di ricerca applicata al sistema. Unico strumento attraverso il quale è possibile far valere il valore aggiunto del sistema del made in Italy.
Ha ragione l'onorevole Castagnetti quando afferma che la nostra presenza in Cina è determinata da una miriade di piccole imprese e non da un sistema-impresa che si affermi in quel mercato con la capacità di occuparne specifiche fette; dunque vi è l'esigenza della fusione e dell'acquisizione delle aziende, argomento che è stato posto all'attenzione anche del decreto-legge sulla competitività.
Occorre favorire gli investimenti e l'informazione continua del personale. Infatti, la qualità e la professionalità della risorsa umana garantiscono indubbiamente un vantaggio competitivo rispetto ad altre realtà economiche emergenti, che possono attingere ad un bacino di manodopera pressoché sconfinato, ma anche generalmente privo di competenze pregiate.
È inoltre necessario - in questo caso, in particolare - abbattere l'IRAP, soprattutto per quelle imprese caratterizzate da una elevata incidenza della componente lavoro nell'ambito delle proprie dinamiche produttive.
Questa misura permetterebbe di mantenere sul territorio alcune tipologie di produzione altrimenti destinate ad essere spazzate via dalla concorrenza straniera.
Esiste la necessità di ricorrere ad ammortizzatori sociali e ad agevolazioni contributive per l'assunzione di lavoratori in mobilità e cassa integrazione, anche in sede di trasformazione e riconversione delle attività delle imprese.
L'elevato costo dell'energia è un altro tema su cui riflettere e che non riguarda esclusivamente il settore tessile, bensì l'intero sistema Italia.
PRESIDENTE. Onorevole D'Agrò, mi scusi se la interrompo. Vorrei pregare i colleghi di parlare tra di loro in maniera tale da permettere, a chi lo vuole, di poter ascoltare. I colleghi parlino pure tra di loro, tuttavia lasciando che gli altri ascoltino gli interventi, dal momento che il tema è molto interessante.
LUIGI D'AGRÒ. Grazie, signor Presidente.
Ad esempio, il tema della riduzione dei costi energetici non credo che sia importante soltanto per il settore tessile, bensì per l'intero sistema manifatturiero del nostro paese (Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi!
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, capisco che vi siano alcuni deputati che dicono: «Basta! A casa». Tuttavia, vorrei ricordare loro, visto che la loro educazione indubbiamente...
PRESIDENTE. Sono il «parlamento», visto che parlano tra di loro; tuttavia, forse, sarebbe bene che diventassero anche «ascoltamento».
LUIGI D'AGRÒ. Gli utili di ENI ed ENEL in questo paese non hanno mai raggiunto livelli così elevati. Ci si dovrebbe chiedere se non sia opportuno ridisegnare la geografia di questi enti, in funzione dell'abbattimento dei costi energetici in Italia, per il 30 per cento al di sopra della media europea.
Esiste la necessità di un rafforzamento dei controlli alle dogane. È stato abbondantemente riferito da altri che soltanto il 5 per cento delle merci introdotte in Italia vengono controllate. Questo significa che già molte volte all'origine è noto quali siano le merci che verranno controllate e che quindi non dovranno essere rispedite al paese di provenienza.
Sarebbe opportuna l'introduzione di un'etichetta con doppia obbligatorietà, sia per le merci provenienti dai paesi extracomunitari, sia per quelle europee. Tale previsione è giustificata da evidenti motivi; infatti, la collocazione all'interno dell'«area Schengen» può comportare l'importazione di prodotti cinesi senza che preventivamente nessuno possa controllarne l'origine.
Inoltre, esiste la possibilità di introdurre la reciprocità dei dazi. Questo non significa introdurre il dazio perché non si tratta di un ritorno al protezionismo. Tuttavia, tale previsione potrebbe dare reali opportunità ai mercati emergenti, quali Cina, India, Federazione russa ed altri paesi in via di sviluppo. Tale provvedimento acquista una particolare rilevanza soprattutto vista la crescita esponenziale dell'import dalla Cina e le barriere che questo paese conserva anche dopo l'adesione al WTO per scoraggiare l'ingresso di prodotti stranieri sul proprio un mercato domestico.
Infine, esiste la necessità di progetti di internazionalizzazione di piccole e medie imprese. Sotto questo profilo qualcosa è stato fatto tramite lo sportello Italia. In questo senso credo che sia necessario tentare di salvaguardare un aspetto importante del modello di sviluppo che certamente ha interpretato nel migliore dei modi il tema della qualità della made in Italy nel nostro paese.
Come ultima considerazione, vorrei ricordare che ho spesso sentito parlare di innovazione e ricerca. Ma siamo sicuri che nei settori del tessile e dell'avviamento non sia stata fatta fino in fondo la ricerca di innovazione e non sia stato prodotto tutto quanto era possibile per arrivare ad una competizione che tenesse alto il valore qualitativo del nostre merci? Molte volte questo è stato fatto, ma dobbiamo pur dire che queste parole magiche, che in quest'aula spesso continuiamo a ripeterci, non servono.
Sono necessari altri meccanismi ed è necessario, in sede europea ma anche in sede internazionale, tutelare nel breve periodo la dimensione del sistema Italia, la cui sconfitta avrebbe gravi ripercussioni sulla situazione occupazionale e sociale del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, il tema che stiamo affrontando è indubbiamente di notevole importanza. Il settore tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero sta vivendo effettivamente una crisi molto grave, dovuta alla caduta dei consumi e ad un forte aumento delle importazioni. Ciò evidenzia tuttavia come regioni particolarmente colpite, con distretti industriali importanti, non abbiano bisogno di essere assistite, ma abbiano bisogno di attenzione e di essere rilanciate. Dunque, interessi e scelte regionali devono essere parte di una strategia nazionale, che va inserita a pieno titolo e con autorevolezza nella strategia europea.
È indispensabile un'iniziativa europea che deve certamente riguardare la clausola di salvaguardia, ma nel contempo avere
una visione strutturale, utilizzando fondi strutturali europei per sostenere la ricerca e l'innovazione e la riorganizzazione dei settori tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero, che potrebbero espandersi, anche con nuovi prodotti di qualità, con nuove fibre e con nuovi materiali in grado di offrire prodotti di livello. Dunque, una strategia non di contenimento e di difesa, ma di rilancio e di sviluppo.
I problemi del tessile rientrino a pieno titolo nell'agenda governativa. L'unica soluzione praticabile, accanto alla clausola di salvaguardia, che è importante ma è un palliativo di carattere transitorio, è costituita dal rilancio della competitività e della crescita del nostro paese. Si tratta di un'esigenza fondamentale. Va altresì tenuto presente il fatto che nel settore saranno necessari ammortizzatori sociali, in quanto occorrerà procedere alle dovute ristrutturazioni e riconversioni, rapide ma con una ricaduta sociale tollerabile dalle migliaia di lavoratori interessati. La nostra responsabilità è infatti quella di non farci cogliere impreparati di fronte a queste evenienze che, come ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto, sono assolutamente prevedibili. Alcuni paesi si sono già dotati di fondi per far fronte alle eventuali necessità di ristrutturazione o di riconversione.
Occorre essere consapevoli del fatto che tali situazioni non si combattono né con dazi né con clausole di salvaguardia valevoli all'infinito. La liberalizzazione è in atto, onorevoli colleghi, e la Cina ha usato e sta usando le regole del mercato. La data del 1o gennaio, che ha segnato l'inizio della liberalizzazione, era nota a tutti fin da quando si conclusero gli accordi internazionali. Anche durante l'Uruguay round gli europei hanno introdotto le clausole di salvaguardia, che dunque erano già applicabili. Occorre tuttavia comprendere quanto tali clausole di salvaguardia e quanto una politica di dazi e di protezionismo possano essere effettivamente valide nei confronti di un sistema che non sarebbe comunque in grado di arginare questa esposizione.
Allora, è necessario essere capaci di investire in questi paesi, essere fautori di accordi piuttosto che di scontri o della volontà di far prevalere dei diritti acquisiti. Dobbiamo essere in grado di modificare le regole nel reciproco rispetto, avendo la capacità di portare avanti una trattativa che possa vedere entrambi vincitori in campo avverso.
È questa la strategia che si può attuare; è questo l'obiettivo che il nostro Governo dovrebbe perseguire, agendo a livello europeo e internazionale per salvaguardare davvero i nostri prodotti e la nostra industria, sempre più terribilmente colpita (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Mi permetto di sottolineare che, a volte, mi sembra di assistere ad un Parlamento distaccato dalla realtà di questo paese. Con grande onestà dovremmo ammettere che questo paese giunge con 15 anni di ritardo nel processo di globalizzazione. Quando uso la dizione «questo paese» mi riferisco al suo sistema industriale e ai governi che si sono succeduti in questi quindici anni.
Poc'anzi si è fatto riferimento agli americani, ai tedeschi e ai francesi. Tali paesi, però, tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta erano già presenti in Cina ed in India, dove avevano realizzato delle reti industriali e commerciali! Dov'era l'Italia in quel periodo? Certo è che, in quella fase, il nostro sistema economico si accontentava della svalutazione della lira, che andava bene anche ai nostri industriali per vendere a basso costo. I Governi di allora erano poco interessati allo sviluppo dei mercati internazionali. La nostra rappresentanza in Europa non contava nulla, e questa situazione è proseguita per anni.
Oggi, infatti, paghiamo il prezzo di normative che hanno aiutato molto le imprese del nord Europa, a danno delle nostre aziende artigianali. Qualcuno nel
1996 era in giro per l'Italia in pullman, a sostenere quanto fossero belli i piccoli distretti, le piccole imprese e la piccola dimensione italiana. Oggi paghiamo le conseguenze di un sistema industriale afflitto da nanismo! Nel mercato globale con il nanismo si percorre poca strada!
È, dunque, con grave ritardo che ci accorgiamo di queste difficoltà: e dopo cinque anni di un presidente di Commissione europea... Caro Castagnetti, non è vero che la Commissione europea conta poco. Quello che gli interessava, Prodi lo ha ottenuto. La verità è che nei cinque anni di presidenza Prodi noi non abbiamo contato nulla!
La grande impresa del nord, i grandi commercianti del nord Europa, che oggi sono in conflitto con le nostre industrie tessili perché importano dalla Cina e rivendono in Europa, hanno usufruito di normative tutte a loro favore e tutte a danno delle nostre industrie. Di fronte a ciò noi abbiamo taciuto! Dove era il Governo italiano? Dov'era Prodi negli anni in cui si varavano queste normative?
Credo che l'attuale Governo, invece, abbia inviato un segnale forte: aver ottenuto dal commissario Mandelson l'apertura di un processo di infrazione nel settore tessile e calzaturiero nei confronti della Cina è un risultato importante. Ed aver convinto lo stesso commissario che è giunto il momento di affrontare il tema delle etichettature, non quelle del made in Europa ma, quelle a tutela del made in Italy, è un importante risultato ottenuto dall'attuale Governo.
Ricordo, in risposta all'onorevole Castagnetti, che in questi anni l'attuale esecutivo ha accompagnato il sistema industriale italiano nel mondo. Durante l'emergenza SARS, solamente un esponente dei Governi europei si è recato in Cina, per portare solidarietà al governo di quel paese e, al contempo, raggiungere l'accordo sul carbon coke. Il protagonista di questo risultato è il viceministro Urso.
Capisco che siete afflitti dal problema di Berlusconi, ma questo Governo è composto da ministri, viceministri e sottosegretari che, in questi anni, si sono impegnati in prima persona in giro per il mondo a favore delle nostre imprese, cosa che voi non avete fatto.
Quando chiedete questo, giustamente, confutando chi oggi chiede i dazi che non possono essere adottati per l'esistenza di norme internazionali, chiedete che l'Italia si faccia sentire negli organismi internazionali che regolano il commercio internazionale. Sono d'accordo, ma vi domando, visto che ero presente a Cancun e al WTO, perché i rappresentanti parlamentari della sinistra, invece di essere con noi e con il Governo italiano a sostenere la tutela dei marchi di origine (i quaranta marchi che l'Unione europea ha portato per i prodotti agricoli) o i quattro issues di Singapore in cui chiedevamo il rispetto dei diritti dei lavoratori anche nei paesi del terzo mondo, quello delle regole sulla produzione per l'ecosistema anche nei paesi del terzo mondo, la trasparenza sugli appalti pubblici e la fine dei dazi doganali, erano dall'altra parte con i global a tirare i pomodori e le uova (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)! Questo facevano i vostri rappresentanti a Cancun!
Allora, diventa oggi difficile venire in questa sede a fare il paladino delle nostre imprese, quando nelle sedi deputate a farlo voi non c'eravate: eravate con i contestatori, con i no global, con coloro ai quali non interessa il nostro sistema produttivo!
Siamo, dunque, qui per dire che questo Governo si è fatto rispettare nell'Unione europea, al contrario di altri che non si sono mai fatti sentire, andando in giro per il mondo a difendere le nostre imprese e, come lo ha già fatto, lo farà ancora! Vi è una grande assenza della sinistra su questo dibattito, mentre oggi fate semplicemente demagogia e speculazione su una situazione congiunturale che, certamente, non dipende da questo Governo.
Bisognerebbe avere maggiore franchezza e serietà nell'affrontare questi problemi che toccano tutto il sistema paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, anche il gruppo di Forza Italia voterà a favore della mozione presentata dai vari gruppi della maggioranza. Si tratta di un problema da questa già a suo tempo affrontato (in prima linea, debbo ammetterlo, dai colleghi della Lega) e che in questo periodo è stato affrontato con decisione e determinazione da parte del Governo, tanto è vero che il sottosegretario Contento ha avuto gioco facile nell'accogliere gli impegni rivolti al Governo nella mozione dell'opposizione poiché si trattava di cose già fatte.
Tutte le ragioni esposte in quest'aula oggi ci inducono a condividere appieno l'azione del Governo che si è mosso, per la verità, con grande tempismo ed energia e che ha sottolineato la necessità assoluta di interventi di emergenza per impedire che si producano gravissimi danni ad un intero settore industriale.
La crescita esponenziale di importazioni tessili dalla Cina sta mettendo in crisi le industrie di mezza Europa e fa bene il Governo a chiedere che si rompano definitivamente gli indugi e che si introducano misure immediate di salvaguardia. Siamo convinti che il libero commercio sia un princìpio da rispettare, ma non tale da consentire che, in nome del libero commercio, venga messo in pericolo il lavoro e il reddito di centinaia di migliaia di lavoratori ed anche un grandissimo patrimonio di conoscenza e di esperienza nel campo industriale e in quello della creatività, tipica delle nostre produzioni.
I mutamenti nei flussi commerciali internazionali debbono essere graduali e non a valanga, in modo tale da dare il tempo di operare le necessarie ristrutturazioni industriali produttive e consentire di assorbire senza grossi contraccolpi sul piano economico e sociale i cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro.
Per tali ragioni non vogliamo solamente contrastare il princìpio del libero commercio, ma intendiamo solo che esso sia disciplinato in modo razionale: esigiamo soprattutto che le pratiche di contraffazione siano drasticamente stroncate e sanzionate. A tal fine chiediamo, ed è questo il punto qualificante della nostra mozione, una forte azione diplomatica nei confronti della Cina e degli altri paesi dell'Estremo oriente e del sud-est asiatico.
Non è affatto detto che economie avanzate come quella italiana debbano rinunziare ad interi settori produttivi considerati maturi.
Noi abbiamo nel comparto tessile e dell'abbigliamento, in particolare in alcune specifiche produzioni, un'indiscussa leadership mondiale, ed abbiamo le carte in regola, puntando sulla qualità dei prodotti, per contrastare efficacemente l'invasione di prodotti a bassissimo costo e di relativa qualità. In altri termini, cari colleghi, dobbiamo evitare gli errori che sono stati compiuti nel passato, a causa dei quali abbiamo lasciato sguarniti settori importantissimi considerati maturi quali, ad esempio, la cantieristica navale, dove continuano ad eccellere paesi industrialmente avanzati attraverso una radicale modernizzazione dei processi produttivi. Lo stesso errore lo abbiamo commesso in settori ad alto contenuto tecnologico quali l'elettronica, l'informatica, la chimica fine, le biotecnologie e le costruzioni aeronautiche, dove nei decenni scorsi si sono perdute occasioni storiche che adesso paghiamo duramente sulla nostra pelle.
Siamo convinti che l'azione del Governo, anche con il pungolo dell'intera maggioranza, potrà colmare il vuoto che c'è stato in Europa quando questa è stata diretta da un nostro connazionale, il quale non ha messo mano a quei settori produttivi che potevano costituire il rilancio dello sviluppo per il nostro paese. Ed è per tali ragioni che condividiamo l'azione fin qui svolta dal Governo a difesa dei legittimi interessi economici e commerciali del nostro paese e lo invitiamo, anche attraverso la nostra mozione, a proseguire su questa linea con rinnovato vigore e determinazione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Provera. Ne ha facoltà.
MARILDE PROVERA. Signor Presidente, il dibattito di oggi, con qualche perplessità di troppo, riscopre, con accenti protezionistici o entusiastici, il libero mercato in un mondo globalizzato e la globalizzazione come elemento indiscutibile e ineluttabile. Un mercato come un'entità superiore in sé. Ma non è così! Il mercato non è un'entità superiore indiscutibile! Non è un'entità che può essere affrontata con una visione aggressiva da chi si sente aggredito: pensiamo che ci stiano invadendo e allora, a nostra volta, poniamo in atto degli strumenti di invasione.
Sicuramente si compete su una base qualitativa oltre che quantitativa, ma si compete soprattutto su una base qualitativa. Sarebbe comunque sbagliato agire solo nell'ottica di superare per invadere, per riuscire ad essere primi e non consentire uno scambio di civiltà e di prodotti, e di competere sulla base di regole che proteggano a priori. In realtà, noi abbiamo bisogno sì di regole, ma esse debbono rendere possibile il miglioramento delle condizioni di vita per tutti e, come tali, devono ampliare diritti e possibilità di vita in tutti i paesi. Invece, in questi anni, e in questi ultimi anni con più tenacia ancora, si sono ristretti i margini di circolazione delle persone e si sono allargati a dismisura i margini per la circolazione dei capitali, delle finanze, a prescindere dal fatto che essi portassero civiltà, benessere e beni alla portata di tutti.
Sulle persone si sono immaginate le più atroci restrizioni e si sono considerati coloro che cercavano di emigrare, anche per motivi umanitari, al massimo come merci sulle quali stabilire, lì sì, delle regole molto restrittive, e che dovevano rispondere ad esigenze di mercato, così da rappresentare valore di merce quando ce n'era bisogno e da essere espulsi quando questo bisogno non ci fosse più. Al limite, si consente loro di venire in Italia, ma non gli si garantiscono - qualora si fermino, come richiesto dal mercato, per periodi brevi - neanche i diritti minimi, per rispedirle poi a casa. Così si sono trattate le persone, pensando di essere onnipotenti sul mercato! Pensando che il mercato fosse nostro, dell'Occidente!
Cari colleghi, ma la Cina ha avuto un Governo meno supino perché anch'esso aggressivo; però, meno supino dei governi del Sudamerica o dei governi che sono crollati via via nei paesi dell'est o, peggio ancora, in Africa.
È stata anch'essa un paese aggressivo. I cinesi hanno agito sfruttando alcune delle nostre contraddizioni, noi, alfieri del mercato, del libero mercato; hanno sfruttato queste nostre aziende, così aggressive nell'andare sul loro territorio con joint venture per dare loro i nostri macchinari più obsoleti e per guadagnare sul mercato finanziario, indebolendo il nostro mercato interno; hanno sfruttato le multinazionali, che ancora oggi producono sul loro mercato e da lì esportano, magari con marchi occidentali; sfruttano ed aggrediscono, a loro volta, i nostri paesi. E bene fanno, poi, a prenderci in giro (questo vale per tutti coloro i quali pensano che il mercato sia cosa buona e giusta se ci si sa stare dentro, se ci si sa «nuotare»)!
Si pensa che le privatizzazioni siano cosa buona; in realtà, si indebolisce, come si è fatto in Italia, il mercato dell'acciaio e delle estrazioni. Quanto all'acciaio, l'Italia è ridotta, oggi, ai minimi termini: l'industria dell'acciaio più forte sul mercato italiano non è italiana, ma tedesca; quando deciderà di chiudere il reparto magnetico, se ne andrà e ci lascerà Riva, rottamaio italiano che ha distrutto l'altra parte di industria rimasta dopo le privatizzazioni, dopo che l'acciaio di Stato è stato distrutto, dopo che è stata distrutta la competitività italiana in quel settore! Allora, quella privatizzazione si segnala come un elemento di impoverimento, di incapacità di reggere, di impoverimento anche della capacità italiana.
Ma non è stato un indebolimento anche l'avere abbassato le regole di difesa dei lavoratori italiani, cercare di competere con paesi dove il costo del lavoro è più basso, diminuendo i diritti in Italia, abbassando
le regole che disciplinano la vita lavorativa dei lavoratori, abbassando anche le regole della loro tutela dopo che essi hanno visto tagliate e taglieggiate le pensioni ormai da molti anni a questa parte? Con quale risultato? Con il risultato che, fatto 100 il nostro costo e 2 quello di un paese dove non vi sono diritti, non vi è competizione su quel terreno. Eppure, ancora oggi, le nostre industrie ci chiedono di competere, riducendo il costo del lavoro! È un altro terreno sbagliato su cui ragionare e lavorare!
Non è, forse, più giusto essere in grado di batterci contro le regole del WTO? Sì, noi abbiamo partecipato e continueremo a partecipare ai movimenti no-global, di quella lettura della globalizzazione, non della esportazione dei diritti e del benessere per tutte le persone! Non è giusto trovare una strada per battersi contro le predette regole anche attraverso la richiesta dell'imposizione della Tobin tax soltanto sulla circolazione sul mercato finanziario, soltanto per coloro che speculano muovendo i capitali non per rilanciare le imprese e gli investimenti, ma per il libero profitto delle proprietà? Non è giusto battersi per imporre regole diverse, per abbattere il debito dei paesi più poveri, che sono stati taglieggiati dai nostri e, quindi, per permettere loro di elevare le condizioni di vita delle loro popolazioni? Tornino in quei paesi le risorse per poter far vivere le popolazioni in condizioni migliori! Si impongano quelle regole che, nel mercato, possono difendere i lavoratori più poveri e, nel contempo, i nostri lavoratori, a pari livello!
Non condividiamo, quindi, il modo in cui la discussione odierna si è sviluppata: soltanto sul mercato, su una situazione data, su una situazione vista come ineludibile. Viene fuori una posizione debole dai banchi di questo Parlamento, che non vede il mondo, che parla del mondo, che parla della globalizzazione, ma che è chiuso in una visione affatto provinciale e totalmente subalterna a meccanismi dati!
Noi abbiamo bisogno di una visione meno provincialistica, meno chiusa, che sappia pensare alle regole per la persona, per l'uomo, aprendo gli orizzonti, non chiudendoli e non aprendo solo ai capitali, agli imprenditori, ma pensando all'evoluzione della persona, al progresso dell'uomo e, quindi, su quella base, ridistribuire anche le capacità in tutto il mondo.
Per questo motivo, ci sembrano totalmente insufficienti le parole spese oggi ed il modo con il quale si tende a difendere anche la nostra industria tessile e calzaturiera, che si tenta di far rientrare in quelle regole, ma che, su quella base, non riuscirà mai a vincere una scommessa. In realtà, non riuscirà mai a vincere la scommessa tra paesi che hanno un costo più alto e paesi che hanno un costo più basso, salvo abbattere totalmente le nostre condizioni di vita e, così come venne fatto negli anni Sessanta, cercare altre modalità nell'abbattimento, su una concorrenza povera, sull'impossibilità di scommettere sulla persona e sull'avanzamento delle possibilità, che ci sono, di rendere più giuste e più uguali le regole di vita del mondo!
Per questo, a nostro avviso, nella discussione svolta oggi non emergono le condizioni per ridare una possibilità di difesa effettiva della nostra industria si dovrebbe invece aprire un dibattito ben più di fondo su come il nostro Governo nelle istituzioni internazionali si batta per dare fiato e forza al recupero della vita in quei paesi, per fornire aiuti e strumenti per l'evoluzione di quei paesi, in modo che non si competa più in concorrenza, cercando di invadersi, ma alla pari, nell'esportazione del meglio che ogni paese può produrre, non in concorrenza sulle persone, ma su una capacità di qualità e di elevazione dei diritti per tutti (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, sono totalmente d'accordo con ciò che ha dichiarato la mia collega e compagna
Marilde Provera. Tuttavia, mi sono sentito chiamato in causa dall'onorevole Raisi che ha accusato alcuni deputati di aver partecipato alle manifestazioni a Cancun: eccomi qua! Ho partecipato a quelle manifestazioni in contestazione dell'Organizzazione mondiale del commercio, lo rifarei e ritengo un successo che quel round negoziale sia fallito.
Ma vorrei informare l'onorevole Raisi che i contadini che manifestavano, con i quali ho manifestato, si sentivano solidali con la richiesta del Governo italiano della difesa dei prodotti agricoli tipici italiani e se ne è accorto anche il ministro Alemanno, che, al contrario di ciò che ha detto l'onorevole Parisi, ha apprezzato quelle manifestazioni al punto da chiedere un incontro con quei contadini, incontro per la celebrazione del quale ho anche svolto un qualche ruolo.
Quindi, a volte, onorevole Raisi, bisogna spogliarsi della cecità indotta da una polemica senza motivo e dar conto delle posizioni altrui, rispettandole, come io ho rispettato la posizione assunta dal viceministro Urso e dal ministro Alemanno, diversa da quella del commissario Lamy; dal mio punto di vista, si sono comportati meglio loro che la Commissione europea (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
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