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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Tarditi ed altri; Cento; Lucchese ed altri; Trantino; Vitali e Marras; Lucidi ed altri; Mussolini ed altri; Mantini ed altri; Di Teodoro; Mazzuca Poggiolini: Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il Presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Paniz, ha facoltà di svolgere la relazione.
MAURIZIO PANIZ, Relatore. Signor Presidente, il testo unificato delle proposte di legge al nostro esame nasce da un lungo lavoro svolto in Commissione giustizia. A questo proposito, mi corre il dovere di ringraziare tutti i componenti della Commissione e tutti coloro che mi hanno aiutato nella sua elaborazione.
Il provvedimento interviene sull'articolo 155 del codice civile. Il sistema attuale prevede l'affidamento dei figli ad uno dei genitori in caso di separazione. I figli, infatti, nel regime attuale sono affidati o all'uno o all'altro dei genitori secondo il
prudente apprezzamento del presidente del tribunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi. Questo provvedimento si propone di capovolgere il sistema attuale. Quella che attualmente è l'eccezione, cioè l'affidamento congiunto, previsto dalla normativa sul divorzio e non dal codice civile ed esteso dalla giurisprudenza anche alle ipotesi di separazione, dovrebbe nella sostanza diventare l'ipotesi base.
Il capovolgimento prevede che, nel caso di separazione dei genitori, i figli siano affidati come regola ad entrambi e, soltanto come eccezione, ad uno di essi quando in tal senso spinga l'interesse del minore e l'affidamento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso.
Il provvedimento interviene su una situazione che sul piano statistico è particolarmente rilevante nel nostro paese; basti pensare che, come ha indicato lunedì il Giornale in un pregevole quadro sinottico, sono circa due milioni 500 mila le persone separate e i figli minori oggetto di interventi giudiziali sono all'incirca un milione. Due milioni e mezzo di persone separate rappresentano il 5, 2 per cento della popolazione italiana. Si tratta quindi di cifre estremamente importanti. Questo solo dato statistico conforta la convinzione di estrema importanza contenuta nel testo al nostro esame.
Quello attuale è un sistema palesemente inadeguato. Lo conferma innanzitutto il fatto che praticamente tutti i gruppi parlamentari abbiano presentato delle proposte di legge per modificarlo. Vi sono state proposte di legge dirette, quelle ufficiali, e indirette da parte di associazioni di avvocati e di magistrati, tutta una serie di realtà, quindi, che si sono occupate di questo settore sociale.
La situazione attuale non tiene conto del principio della bigenitorialità; un principio affermatosi da tempo praticamente in tutti gli ordinamenti europei. Tale principio ha infatti trovato applicazione in Svezia, Grecia e Spagna fin dal 1981; nel Regno Unito dal 1991; in Francia dal 1993; in Belgio e Russia dal 1995; in Olanda e Germania dal 1998. E tale applicazione è avvenuta con pregevolissimi risultati di cui analizzeremo il contenuto nel prosieguo. In particolare, il sistema attuale non tiene conto di un principio stabilito a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991. In questa Convenzione si fa esplicito riferimento alla bigenitorialità come principio cardine dell'ordinamento, ma, di fatto, tale principio non è tenuto in considerazione dall'articolo 155 del nostro codice civile.
Molte sono le voci che si sono espresse per una modifica del regime attuale. Basti considerare che, mentre la dottrina ha più volte parlato di un regime che contrasta con i principi del diritto privato (si pensi alla privazione, senza attribuzione di colpa, dell'esercizio della potestà genitoriale; in definitiva, vi è una pena senza che vi sia stata colpa), è comune il rilievo, in dottrina e nella giurisprudenza, secondo il quale il regime attuale finisce per fomentare la conflittualità di coppia, posto che scopo di uno dei genitori può essere, molto spesso, quello di individuare, attraverso fonti talvolta anche inventate, le ragioni per le quali l'altro non possa essere considerato idoneo ad avere l'affidamento dei figli. Nel suo Trattato breve di diritto di famiglia, Bruno De Filippis afferma che il regime attuale viola gli articoli 3, 29 e 30 della Carta costituzionale.
Il testo in esame non tende ad una ripartizione analitica dei tempi di convivenza del minore con i genitori: nel testo unificato, affidamento ad entrambi i genitori non significa 50 per cento del tempo del figlio con ciascun genitore né 50 per cento delle competenze, né ping pong tra due case, ma conservazione di effettiva responsabilità genitoriale per entrambi i genitori, con modalità di esercizio della potestà da stabilire caso per caso. Si può anche avere una divisione temporale, se necessario, simile ad un affidamento esclusivo, ma senza rigidità e senza le umilianti discriminazioni che il regime attuale, purtroppo, prevede.
Illustrando il testo del nuovo provvedimento, mi piace citare quanto ha scritto il consigliere della Suprema Corte di cassazione, dottor Mario Finocchiaro, nell'articolo: «Affidamento congiunto: le tante ragioni per aprire le porte ad una rivoluzione», pubblicato su Guida al diritto del 16 febbraio 2002: «Contrariamente a quanto comunemente si crede, non è la conflittualità tra i genitori che impone "l'affidamento esclusivo" a uno di essi, ma è proprio la previsione che la regola sia l'affidamento esclusivo e l'eccezione quello congiunto la fonte della conflittualità». Quindi, dobbiamo intervenire - e con il testo in esame cerchiamo di farlo - alla radice sul fenomeno.
Il nuovo testo si basa su esperienze similari praticate in altri paesi europei, il cui risultato, molto concreto, è stato quello di un abbassamento rilevantissimo della conflittualità. Mi piace richiamare, in particolare, l'esperienza della Germania, dove nel 1998 è stato introdotto un testo sostanzialmente simile a quello che ci accingiamo ad esaminare. Dopo alcuni anni di applicazione della nuova normativa, è stato fatto circolare un questionario tra tutti gli operatori del diritto (magistrati, avvocati e finanche famiglie ed operatori del servizio sociale). Il risultato concreto dell'applicazione del nuovo regime è stato duplice: da un lato, esso ha rafforzato, nei genitori, la capacità di gestire in modo autonomo i problemi e, dall'altro, ha alleggerito le procedure di separazione e di divorzio, facendo diminuire sensibilmente il conflitto genitoriale (invece, se viene dato ad un genitore l'affidamento esclusivo, c'è la tendenza ad un aumento della conflittualità).
Dunque, il testo al nostro esame ha un obiettivo molto concreto che le esperienze sviluppatesi fino ad oggi hanno confermato essere facilmente raggiungibile: costituire un deterrente molto concreto alla conflittualità, diminuire i conflitti tra i genitori e rendere molto più piano il loro rapporto in sede di separazione.
Del resto, anche in Italia sono state fatte esperienze dovute ad un'interpretazione estremamente innovativa dell'attuale quadro normativo: alcuni magistrati hanno ritenuto di fare ricorso all'affidamento congiunto (che, com'è noto, richiederebbe la volontà dei coniugi di mantenere l'affidamento ad entrambi e, quindi, una loro decisione specifica in tal senso) in casi di grave conflittualità tra i coniugi. Ebbene, nel momento in cui l'affidamento congiunto è stato giudizialmente disposto, come per incanto il conflitto tra i genitori è venuto meno e sono venute meno le ragioni dell'acrimonia.
A tal riguardo, vorrei richiamare le decisioni del tribunale dei minorenni di Venezia e del tribunale di Trani che si sono mosse in questa direzione, quasi preveggendo i contenuti della normativa che ci accingiamo ad esaminare.
Il nuovo testo chiede ai genitori, non di andare d'accordo (questo è un luogo comune errato), ma di gestire civilmente il disaccordo e di affrontare in modo culturalmente diverso rispetto a quanto avviene in attualità la loro ragione di conflittualità.
È innanzitutto un intervento culturale quello che il nuovo testo si propone di attuare e se al termine del suo iter, in sede di applicazione, questo provvedimento portasse ad una diminuzione della conflittualità, come è avvenuto in Germania, del 30, del 40 ma anche solo del 20 per cento, avremmo ottenuto già un risultato di estremo valore.
In ordine all'applicazione del principio della bigenitorialità nel nostro ordinamento, si sono espressi ormai in molti. Basti citare la risoluzione della Associazione nazionale magistrati del 15 gennaio 2003 e le espressioni di autorevoli magistrati del settore famiglia, sia a livello supremo (Corte di Cassazione) sia a livello di tribunali o Corti d'appello ordinarie. È, dunque, un'esigenza sentita anche nel campo specifico.
Purtroppo, non è sempre facile arrivare a testi di sintesi, quando le proposte sono moltissime, come nel caso specifico. Il relatore ne ha valutate sessantotto (molte sono ufficiali, altre ufficiose, come ho già sottolineato). Recentemente, ne è stata presentata un'ulteriore da parte dell'autorevole presidente della Commissione par
lamentare per l'infanzia, onorevole Burani Procaccini, che purtroppo non è stata presa in considerazione per una variazione del testo, perché la sua filosofia è opposta rispetto a quella del provvedimento in esame. Si tratta di una filosofia adultocentrica che si concretizza anche in un aggravio di oneri nei confronti delle parti, posto che prevederebbe una consulenza tecnica d'ufficio obbligatoria in tutti i casi di conflittualità e finanche una valutazione del contegno dei coniugi all'atto dell'audizione personale come elemento decisivo per l'affidamento dei figli. Su questa strada non era possibile proiettarsi.
Il testo della nuova proposta parte da una considerazione di base, ossia che, dopo la separazione dei genitori, il minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione, istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. In questo senso, vi è un intervento che inserisce anche i nonni nella dinamica di protezione della famiglia, risultato che tiene conto di una serie di considerazioni espresse soprattutto a livello del tribunale dei minori, considerazioni che hanno valorizzato queste figure del contesto della famiglia.
Certamente, esiste la possibilità di conflitto in presenza di pari idoneità genitoriali, ma, se ciò accade, non per questo deve venir meno l'applicazione dell'affidamento condiviso come regola generale. Spetterà al giudice prendere una decisione sulla base dei progetti educativi presentati da entrambi i coniugi. È ciò che avviene anche oggi in ipotesi di separazione giudiziale, dove il giudice, valutato il testo della comparsa di costituzione, decide quale delle ipotesi presentate dai procuratori delle parti possa essere più affidabile e prende conseguentemente le proprie decisioni. Quindi, da questo punto di vista, non si può dire che il testo unificato rappresenti un'ipotesi di impraticabilità nella gestione del rapporto con i figli.
Come ho dichiarato, affidamento condiviso non vuol dire permanente oscillazione dei figli da una casa l'altra. Un conto è l'affidamento, un conto è la collocazione abitativa o la frequentazione. Sono due concetti completamente diversi. Sì può avere una collocazione ripartita secondo standard sostanzialmente attuali, quindi, anche con prevalenza presso l'abitazione di uno dei due genitori, ma senza la discriminazione che oggi comporta l'affidamento esclusivo.
L'ipotesi cardine è che vi possa essere una paritetica idoneità genitoriale, ma non per questo si può assumere l'uno rispetto all'altro dei genitori come più idoneo ad avere l'affidamento.
È dunque giusto che l'affidamento, in quanto tale, sia dato ad entrambi i genitori.
Oltre all'individuazione dell'affidamento condiviso quale regola generale di affidamento dei figli nell'ipotesi di separazione dei genitori, il testo prevede alcune novità consequenziali.
La prima, è data dal mantenimento diretto e discende dell'applicazione del principio dell'affidamento esclusivo; si potrà, in ipotesi, correggere il testo aggiungendo l'opportunità di applicare il mantenimento diretto per capitoli di spesa, ma non può non essere questa la conseguenza diretta dell'applicazione dell'affidamento condiviso. La responsabilizzazione di entrambi i genitori, quando si tratti di decidere dell'affidamento dei figli, deve anche tradursi nella responsabilità paritetica di entrambi quando si tratti di assumere gli oneri che alla loro vita siano connessi.
Naturalmente, ciò non significa che venga meno, come incautamente si è sostenuto da più parti, l'assegno di mantenimento; nel testo, quest'ultimo è previsto in maniera esplicita come assegno perequativo, al fine di evitare eventuali rendite di posizione. È previsto sulla base di tutta una serie di parametri frutto della pregevole elaborazione giurisprudenziale intervenuta nella materia specifica. Al riguardo, si è però introdotto un correttivo molto significativo; viene, infatti, data la possibilità di espletare accertamenti di polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati
a soggetti diversi, in tutti i casi in cui le informazioni di carattere economico fornite da uno dei genitori non risultino sufficientemente documentate.
In tal senso, il testo è assai più garantista rispetto all'attuale normativa che, da tale punto di vista, non prevede alcun tipo di verifica e di controllo, né alcuna possibilità di accertamento concreto nel caso in cui, anche con comportamenti subdoli, uno dei genitori si sottragga al suo dovere di intervento nei confronti dell'altro e, conseguentemente, dei figli minori.
Non solo; il testo interviene anche disciplinando l'ipotesi di figli maggiorenni non indipendenti economicamente, recando, altresì, specifiche previsioni con riferimento ai figli maggiorenni portatori di handicap. Si tratta di settori che, ad oggi, non avevano ricevuto una disciplina normativa esplicita, restando la loro regolamentazione in parte affidata - ciò, per i figli maggiorenni non indipendenti economicamente - all'elaborazione giurisprudenziale; in parte, addirittura, sottratta, spesso, ad un'interpretazione diretta della giurisprudenza.
Vengono aumentati i poteri istruttori del giudice per il quale si stabilisce la facoltà di disporre esplicitamente l'audizione del minore; anche tale elemento rappresenta un punto cardine, richiamato alla nostra attenzione di legislatori dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo adottata a New York: il minore ha diritto di poter esprimere la propria idea anche quando, e soprattutto quando, si tratti di decidere in ordine al suo affidamento.
Due aspetti critici hanno riguardato l'estensione della normativa alle situazioni già coperte da un decreto di omologa della separazione dei genitori; il testo si propone di estendere anche a quanti abbiano già ottenuto una sentenza passata in giudicato, con decreto di omologa già emesso, la possibilità di fruire del nuovo principio. Lo si fa, in conformità con il principio di eguaglianza; naturalmente, senza trascurare la possibilità che situazioni consolidate meritino una attenta e prudente valutazione. Ma, in tal senso, l'intervento del giudice - che dovrà decidere se applicare o meno i nuovi principi a situazioni consolidate - costituisce una garanzia di controllo dell'opportunità dell'intervento; una garanzia, quindi, di verifica dell'effettiva sussistenza dei presupposti.
Il testo, inoltre, si propone di intervenire anche con riferimento ad un'altro ambito significativo, l'estensione dei principi alle coppie di fatto. In tal modo, si rende molto più precisa la normativa del settore e, soprattutto, si evitano le lungaggini tipiche dell'intervento dei tribunali per i minorenni, i quali agiscono con una lentezza statisticamente molto più consistente rispetto a quella dei tribunali ordinari, già, di per sé, non sempre velocissimi.
Per concludere, tengo a rilevare che il nuovo testo, comunque, non si pone in conflitto rispetto alla posizione del coniuge più debole; anzi, si tratta di un testo che interviene proprio a tutela di tale coniuge, colmando alcune lacune normative attuali.
A favore del coniuge più debole, infatti, è prevista, innanzitutto, la possibilità che vengano effettuati accertamenti, da parte della polizia tributaria, sulle condizioni di colui che si sottrae, magari intestando beni a terzi, ai propri doveri, finendo per essere così inadempiente. A favore del coniuge più debole, inoltre, è prevista la corresponsione dell'assegno perequativo.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, si avvii a concludere.
MAURIZIO PANIZ, Relatore. A favore del coniuge più debole è previsto un intervento in sede penale, e non solo penale, per la violazione dell'obbligo di mantenimento diretto, nonché è disposta la possibilità di operare la conversione del mantenimento diretto in mantenimento indiretto. Sono previste, infine, sanzioni penali più gravi nei confronti del coniuge inadempiente.
Per queste ragioni ho illustrato il testo del provvedimento in esame, ringraziando ancora tutti coloro che hanno contribuito alla sua predisposizione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MICHELE SAPONARA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Tarditi. Ne ha facoltà.
VITTORIO TARDITI. Signor Presidente, vorrei rivolgere innanzitutto un doveroso ringraziamento al relatore, onorevole Paniz, per il lavoro svolto nell'ambito della Commissione, nonché a tutti i componenti della Commissione stessa, i quali, lavorando sulle diverse proposte di legge presentate sull'argomento, hanno consentito al relatore di elaborare un testo di sintesi.
Il relatore, pertanto, ha illustrato un testo unificato che prende le mosse dalle diverse proposte di legge presentate in Parlamento su tale materia - e, mi si permetta, significativamente dal primo progetto presentato, di cui sono primo firmatario -, frutto anche del lavoro già svolto nel corso della precedente legislatura (si tratta, infatti, di un lavoro che si protrae già da numerosi anni) e che ha riportato, in sede referente, un consenso che definirei ampio.
Ciò di cui voglio parlare quest'oggi, tuttavia, è anche un riferimento preciso alle difficoltà incontrate nella revisione delle norme sull'affidamento dei figli e che, in sostanza, è la storia di una grande ipocrisia, nonché di un'enorme mistificazione, che si veste da accorata apprensione per la sorte dei minori. Un conto, infatti, è ciò che propone il provvedimento in esame, mentre tutt'altro conto è ciò che si dice di esso. Perfino il nome, «affidamento condiviso», è un termine che a molti rimane ancora sconosciuto e che altri impiegano a sproposito. Molti, difatti, lo confondono ancora con l'affidamento congiunto, al punto da usare tale definizione al posto dell'istituto in esame; altri adoperano la parola «condiviso» nel senso italiano, anzi, in uno solo dei possibili significati posseduti dalla parola nella nostra lingua, dimenticandosi che si tratta di un termine giuridico che, all'interno di una legge, assume valenze che è la legge stessa a fornire.
Si fa, quindi, dell'ironia sul cosiddetto obbligo di andare d'accordo, condividendo ogni decisione, imposto a persone che si dimentica che, nel contesto giuridico, sono incapaci di condividere alcunché. Si dimentica, inoltre, che, nell'ambito dello stesso contesto giuridico, l'affidamento condiviso intende solamente sottolineare la partecipazione di entrambi i genitori alla cura ed all'educazione dei figli: si tratta di una partecipazione augurabilmente concordata, ma anche gestibile in assenza di accordo, secondo le regole stabilite dal giudice.
Si contestano al progetto di legge, per di più, l'unicità della soluzione e la mancanza di alternative, dimenticando che, in realtà, si intende solo rendere impossibile sottrarre ad un genitore un suo diritto-dovere se non per le sue individuali carenze, e non a causa di una relazione con un altro soggetto, diverso dai figli, che è diventata pessima.
Il che significa che ciò che resta automaticamente garantito al genitore che è sempre stato presente, così come al figlio che di tale genitore ha bisogno, è la continuità nella qualità del rapporto, nulla dicendosi, a priori, sulla quantità, sulle modalità e sui tempi, fattori che verranno decisi dal giudice, caso per caso, se vi è disaccordo. Non vi è, quindi, alcuna rigidità, ma una flessibilità nell'applicazione, che si affianca alla dovuta garanzia dei diritti e dei doveri.
Mi sembra un concetto semplice e chiaro. Eppure, nel passato, ho sentito parlare di «figli sballottati», di «cinquanta per cento per uno», di «ping-pong» tra due case, di mancanza di punti di riferimento. Qualcuno sostiene addirittura che è il figlio che resta nella casa da solo e che i genitori si alternano presso di lui. Non so dove l'abbiano letto, così come non so dove è scritto che la casa resterà al proprietario.
Ma non vi è un solo aspetto della proposta in esame che si salvi da una denigrazione sistematica e gratuita: si ha il coraggio di sostenere che le questioni familiari sono talmente delicate e personali che ciascun individuo ha il diritto di trovare le soluzioni da solo, senza che la legge imponga alcunché e che, in nome di ciò - si badi bene -, è da respingere l'affidamento condiviso, all'interno del quale sarà la coppia a costruirsi le regole nella maggior parte dei casi, a vantaggio dell'affidamento esclusivo, considerato soluzione libertaria e volontariamente adottata, dimenticandosi, ovviamente, che per sentenza le regole che sono «calate» come una mannaia sulla testa di ciascuna delle parti sono, in realtà, imposizioni e non scelte di libertà.
Stessa argomentazione vale per la pretesa «rigidità» del provvedimento. Vi è chi sostiene che il testo, in tutti i suoi passaggi, deve assumere l'interesse del minore come criterio prioritario, ovvero come la regola per individuare, di volta in volta, i modelli più idonei. É la formula che si vorrebbe introdurre contro la pretesa imposizione di una sola soluzione per tutte le situazioni. In realtà, ciò vorrebbe dire lasciare la famiglia separata nella più assoluta incertezza e riservare al giudice la possibilità di continuare ad utilizzare la conflittualità nel procedere ad un affidamento esclusivo. Ciò significherebbe che ciascun genitore, per quanto con la coscienza a posto, perderebbe, come oggi, ogni garanzia e sarebbe costretto a rivolgersi all'avvocato, per evitare il rischio di rimanere emarginato.
Fornisco alcuni dati: a Bari, nel 2002, l'affidamento congiunto ha rappresentato lo 0,9 per cento delle decisioni; a Brindisi, il 18,3 per cento; a Vercelli, il 6,9 per cento; ad Alba, il 77,8 per cento. È evidente che a determinare tale estrema variabilità delle percentuali in tribunali vicini - o non vicini - non è la diversa cultura locale delle coppie, ma semplicemente le personali convinzioni e le capacità del giudice, con buona pace della certezza e dell'uniformità del diritto.
Non ritengo che una materia così delicata e umanamente rilevante, quali le scelte che riguardano la famiglia, possa essere giocata nella casuale assegnazione della lite ad un giudice anziché ad un altro. È altresì inaccettabile l'affermazione secondo cui il provvedimento in esame è «adultocentrico» e «maschiocentrico». Premesso che il provvedimento in esame nasce dalla società civile e dal volontariato, volontariato fatto anche da numerose associazioni femminili composte da donne separate, è ancora una volta il confronto con la soluzione che si vorrebbe continuare a privilegiare, ossia l'affidamento esclusivo, che mi fa cogliere tutta l'insostenibilità delle critiche mosse al provvedimento. La discussione, sia in Commissione giustizia, sia nelle altre Commissioni interpellate in sede consultiva, ha abbondantemente chiarito che quanti rimproverano al progetto di riforma in esame di non pensare abbastanza ai figli, all'atto pratico vogliono effettuare sistematiche scelte che lo mettono in secondo piano: è così quando si nega al figlio possibilità di riferirsi liberamente a ciascuno dei suoi genitori, per tenerlo «ammanettato» alle regole stabilite inizialmente in sentenza; quando gli si nega la flessibilità della frequentazione, per dare la possibilità all'adulto di spostarlo come un oggetto; quando si protesta perché, pur consentendo a ciascuno dei genitori di trasferirsi dove vuole, si afferma che la sorte del figlio deve essere valutata di volta in volta, e che questi non è una delle «valige» del genitore oggi detto affidatario, domani detto di riferimento; quando si critica la scelta di assegnare la casa a familiari, in modo da rendere minimo il disagio dei figli, preferendo che essa sia affidata ai genitori conviventi; è ancora così quando si vuole che l'assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne sia versato sul conto corrente del genitore convivente, anziché esserne egli stesso, minore, titolare, ovviamente previo accordo con il genitore per dividere gli oneri familiari. L'interesse del figlio è continuamente deprivato
e saccheggiato, ma si sostiene ancora che l'affidamento condiviso è «adultocentrico».
Naturalmente, questa analisi sarebbe sterile, se non servisse a chiarire a cosa si vuole arrivare, con le critiche che ho appena elencato, e quali sono gli scopi dell'attacco a questo provvedimento. Certamente non si punta al suo miglioramento, ma alla sistematica demolizione di tutti gli aspetti sostanziali: si vuole mantenere in piedi l'affido esclusivo e l'assoluta mancanza di certezze, la necessità di una scelta tra due genitori, che porta di filato alla lite, nel naturale desiderio di ciascuno di essere il genitore prescelto, se deve essere uno solo. Si vuol mantenere in piedi un sistema per il mantenimento dei figli che non ha mai funzionato: ossia tutto mediante assegno, perché se si afferma che un assegno deve passare da un genitore all'altro, per una cifra apprezzabile, vi sarà anche l'interesse dell'altro genitore ad ottenere che tale cifra sia la più alta possibile e, quindi, si determinerà uno scontro in sede giudiziaria, con la tentazione di ricorrere al consulente che può garantire l'ottenimento dei migliori risultati o, quanto meno, lo promette.
Questa è la filosofia degli avversari della riforma: tenere in piedi un sistema che ruota intorno al disagio della famiglia separata. La dimostrazione più lampante della bontà della mia tesi sta nella pervicace ostilità alla mediazione familiare. Si era pensato ad un passaggio preliminare, obbligatorio solo riguardo all'informazione sulle potenzialità di un percorso che rimane eventuale, che la coppia rimaneva libera di effettuare o meno, potendolo interrompere in qualsiasi momento. È chiaro che la mediazione ha tante più alte probabilità di riuscita quanto più precocemente viene effettuata, quanto meno pesante è stato l'intervento dell'apparato legale, della macchina giudiziaria, con i suoi scontri e le sue lacerazioni.
È altrettanto evidente che, se è obbligatoria solo l'informazione, non si esercita alcuna coercizione sulla volontà delle parti. Si danno solo ad esse possibilità in più, senza nulla togliere alla possibilità di rifiuto.
È altrettanto evidente che la tesi secondo cui la mediazione ha scarse probabilità di riuscita se non è scelta volontariamente, pur essendo accoglibile, nulla toglie alla validità del nostro suggerimento. Anzitutto, la volontà può determinarsi proprio grazie alle conoscenze acquisite con l'informazione. E, poi, la mediazione è pur sempre innocua: anche quando non riesce, nulla toglie alla coppia. Anzi, getta dei semi, suscita il dubbio, apre alle riflessioni. Potrei sostenere che la mediazione non fallisce mai del tutto. Dunque, l'ostilità della mediazione ispirata ad una logica di potere e di vantaggio, che non appartiene alla mediazione stessa, si salda perfettamente all'idea che una separazione debba necessariamente concludersi con un affidamento esclusivo.
L'attacco alla mediazione è un attacco alla bigenitorialità e, in effetti, in questa logica, la tesi appare coerente, proprio perché la mediazione non opera in un'ottica «vinci-perdi», sanzionatoria, ma riparativa delle modalità di relazione. L'intento è quello di riparare il danno senza cercare il colpevole, generando attraverso tale percorso una realtà nuova, che prescinde dall'evento che ha innescato il processo.
In questo senso, mentre l'affidamento esclusivo si propone di arrivare ad una decisione attraverso una scelta costrittiva e forzante operata da un terzo (come la sentenza di un giudice), la mediazione suggerisce un accostamento ad un concetto più alto di legalità, poiché indica una via per comprendere le ragioni profonde, educando al rispetto di esigenze collettive. In questo senso, educa ad educare. È, dunque, sintomatico che si voglia spostare in ambito giudiziale. Si preferisce che di mediazione parli il magistrato, il tribunale, con la coppia già in lite e l'avvocato accanto a ciascuna delle parti. Si sostiene che non ci sia coercizione nel pretendere che chi non voglia andare debba rifiutare apertamente un invito, non conoscendo ancora quale sarà l'atteggiamento dell'al
tra parte. E si è aggiunto che non esistono centri di mediazione sufficienti. Una recente indagine ne ha individuati 250 pubblici e gratuiti e più di 700 privati, sparsi su tutto il territorio nazionale. I tribunali ordinari - ricordiamolo - sono oggi circa 165. Ciò dà una risposta anche all'obiezione secondo la quale non si può chiedere alla coppia di sostenere un'ulteriore spesa (abbiamo detto: 250 centri pubblici e gratuiti!).
Mi sembra evidente che il senso di questa bocciatura è ben altro: il desiderio di mantenere in ambito giudiziale il conflitto di coppia; il desiderio di mantenerlo elevato e frequente. È per dire «no» a tutto ciò che ho riproposto attraverso gli emendamenti il passaggio preliminare informativo. Il fatto che l'avvocatura (non a caso dico «avvocatura» e non avvocati, perché intendo riferirmi alle rappresentanze ufficiali che legittimamente si sentono obbligate a muoversi per gli interessi di categoria) si sia spesso pronunciata contro la riforma non è che la cartina di tornasole del senso in cui, per unanime previsione, opererà la riforma nei confronti del conflitto.
Si dice che la conflittualità andrà alle stelle. Perché fare previsioni? Una legge simile a quella che vogliamo introdurre in Italia opera in Francia dal 1993 (lo abbiamo sentito dal relatore), in Germania dal 1998 ed è applicata in altri paesi europei: la conflittualità, ovunque, si è drasticamente ridotta. L'allarme è plausibile, ma non nel senso che si pretende. Anzi, per la verità, sono convinto che motivi di preoccupazione non ve ne siano affatto. I timori non sono fondati, il contenzioso, effettivamente, ha ottime probabilità di ridursi. Ma nel suo insieme il complesso degli interventi non riduce le prospettive della costruttiva necessità della presenza di un avvocato per la famiglia e per i minori.
Mettere il figlio al centro della nuova normativa significa anche prevederne in qualche modo la tutela legale, che si tratti di un avvocato o di un curatore. Allo stesso modo, incentivare la mediazione aperta a una quantità di categorie professionali significa anche creare nuove possibilità occupazionali all'esperto di diritto che, nella mediazione o accanto ad essa, troverà una necessaria collocazione.
Penso di poter concludere questo mio intervento invitando il Parlamento a compiere una scelta chiara e netta. Introdurre emendamenti che distruggano le linee guida del progetto, rendendo irrealizzabili i suoi obiettivi, dando al principio della bigenitorialità un riconoscimento del tutto teorico, ma rendendo praticamente impossibile la sua attuazione, sarebbe una beffa che le famiglie separate, con tutta la loro sofferenza, non meritano e - direi - che non renderebbe onore a nessuno di noi.
Le riforme o si fanno o non si fanno! Non è questo il terreno per compromessi. Bisogna scegliere da che parte stare.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Burani Procaccini. Ne ha facoltà.
MARIA BURANI PROCACCINI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale non tanto come parlamentare, quanto come presidente della Commissione bicamerale per l'infanzia, che fu istituita nel 1997 con la legge n. 451 con «compiti di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione degli accordi internazionali e della legislazione relativa ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva».
La stessa legge istitutiva prevede che la Commissione formuli osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull'eventuale necessità di un adeguamento della legislazione vigente, in particolare «per assicurarne la rispondenza alla normativa dell'Unione europea ed in riferimento ai diritti previsti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1998».
Tra i più importanti atti internazionali in materia di diritti dei minori vi è la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia nel 2003.
Ho voluto fare questa premessa per dire che non parlo alla cieca, né perché ho voluto colpire una proposta di legge, con le
mie osservazioni già svolte in Commissione giustizia, che alla sua origine ha un principio giustissimo, quello della condivisione della genitorialità tra padre e madre nei confronti della prole. No, qui voglio ribadire la necessità di una legge che veramente ponga il fanciullo, come prevedono la Convenzione di New York, la Convenzione di Strasburgo ed altri atti, al centro della legge sul cosiddetto affido condiviso.
A proposito di affido condiviso, vorrei ricordare al relatore la normativa internazionale. Con regolamento della Comunità europea n. 1347 del 2000, in vigore dal 1o marzo 2005, il concetto di potestà ed affidamento è stato superato e si utilizza ormai il termine di responsabilità genitoriale. Quindi, questo concetto è già superato proprio perché si è visto che la questione dell'affidamento cambia continuamente nelle norme che già esistono anche nell'ordinamento italiano.
Questa legge va rivista profondamente e sul punto avevo avuto delle assicurazioni da parte del presidente della Commissione giustizia e avevo percepito una certa disponibilità da parte del collega Paniz ad operare una profonda revisione, nel senso di centrare la legge sugli adolescenti e sui bambini coinvolti nel processo di affidamento.
La legge è adultocentrica perché c'è una serie di problemi legati ad essa. Per esempio, qui, in effetti, si può parlare di genitore di area. Infatti, i genitori si dividono le aree di competenza relative ai bambini. C'è il genitore competente per la scuola e quello per lo sport. C'è il genitore competente per le scarpe e quello per i vestiti. Veramente siamo arrivati ad un assurdo per cui, per voler fare del bene, si finisce per fare del male a tutti, all'uomo, alla donna e al bambino, che sono coinvolti in questo momento doloroso rappresentato dalla divisione famigliare.
Inoltre, vi è la mancata previsione della residenza abituale del minore. Dal collega Tarditi sono state dette alcune cose assurde: la normativa va letta! Io l'ho letta e vorrei farvi vedere i pacchi di corrispondenza che mi sono arrivati da tutte le camere minorili e dall'associazione magistrati minorili italiani: sono tutti concordi nel dire che uno dei punti negativi del provvedimento è la possibilità di accordo tra i genitori sullo «sballottamento» dei figli da una residenza all'altra. Il bambino avrà una residenza? In quale stato di famiglia verrà iscritto? Quale genitore percepirà gli assegni familiari? Qual è la sua zona scolastica? Qual è la ASL di competenza? Come viene assegnata la casa familiare? Volete pensare cosa incide sulla mente di un bambino e sul suo sviluppo? Volete considerare, ad esempio, che al figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente viene corrisposto direttamente l'assegno? Ebbene, se il genitore che deve corrispondere l'assegno non lo fa, il ragazzo cita in giudizio il genitore inadempiente agli obblighi di mantenimento?
Se vi fosse una reale riforma del diritto di famiglia che realizzasse quel famoso tribunale della famiglia e dei minori in grado di accorpare tutta la materia riguardante la giustizia minorile, allora si potrebbe parlare di una legislazione che porta calma e serenità nelle famiglie che si separano. Infatti, i motivi possono essere i più seri del mondo ed è giusto che la pace torni a stabilirsi, soprattutto per il benessere del fanciullo. Il provvedimento non realizza tutto ciò.
Ad esempio, il problema dell'ascolto del minore non può essere rimesso all'eventuale valutazione del giudice. Non può essere considerato solo un accertamento istruttorio, così come viene previsto dall'articolo 155-sexies. Il minore viene considerato fonte di prova? Vi rendete conto di cosa succede? Già il minore viene adoperato come una pallottola nei confronti dell'altro coniuge, figurarsi se addirittura fosse fonte di prova! L'ascolto del minore è chiesto dalla Convenzione di Strasburgo. Non è una cosa si può fare o non fare! Sapete che in Germania un bambino di cinque anni viene ascoltato? Si parla tanto delle leggi francesi e tedesche. Allora, facciamole le leggi come quelle della Francia e della Germania!
MARCELLA LUCIDI. Brava!
MARIA BURANI PROCACCINI. Vorrei che il relatore ed i colleghi che sono intervenuti veramente le leggessero quelle leggi e le applicassero. Allora sarei pronta anch'io a sottoscrivere tale tipo di normativa! L'ascolto del minore è necessario. Io ho il dovere istituzionale di presidente di una Commissione bicamerale costituita perché le convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo venissero rispettati di farle rispettare in questo Parlamento. Colleghi della mia stessa maggioranza e del mio stesso gruppo sostengono tale proposta di legge. Questa, però, non ottempera ai principi fondamentali della Convenzione di New York e delle convenzioni internazionali che proteggono il fanciullo, quelle per le quali andiamo itineranti nel mondo facendo vedere che la legislazione italiana è d'avanguardia. Dunque, mi dispiace ma mi troveranno contraria.
Spero ci siano il tempo e la volontà di tornare su questo provvedimento per mettere davvero il fanciullo al centro del sistema. Il fanciullo nel provvedimento in esame non è al centro, appare sullo sfondo come un personaggio da chiudere in un cassetto o nell'altro. È vero che adesso le cose non vanno bene, ma con il provvedimento in esame le cose andrebbero ancora peggio. Ripeto, parlo come presidente di una Commissione bicamerale costituita proprio per difendere i diritti del minore, e si tratta di un baluardo che costituisce un vanto per il Parlamento italiano. Ho già presentato alcuni emendamenti a favore del fanciullo che certamente intaccano profondamente il provvedimento in esame, ma sono emendamenti che questo Parlamento ha il diritto-dovere di tenere in considerazione (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lucidi. Ne ha facoltà.
MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento sull'affidamento condiviso dei figli nelle separazioni arriva all'esame dell'Assemblea alla fine di un percorso molto lungo, iniziato in Commissione giustizia già nella scorsa legislatura e sollecitato ancora prima con varie proposte di legge. Tanto tempo non è servito a farci maturare una convergenza sul testo. Per molti aspetti non siamo in sintonia e sono così affidate a questa parte del dibattito scelte che giudichiamo delicate ed importanti.
Dico questo con molto rammarico, perché avrei preferito che questa materia fosse diligentemente sottratta alle dinamiche tipiche del confronto parlamentare, alle quali invece mi sembra destinata a sottostare. Avrei voluto che fossimo in grado, con il confronto, di disegnare una rotta, in grado di orientare e giustificare le soluzioni normative che dovremo adottare. La politica del diritto ci invita, infatti, ad adoperare cautela e saggezza ogni volta che decidiamo di trattare il diritto di famiglia. Lo compresero bene i padri e le madri della nostra Costituzione, quando scrissero gli articoli 29 e 30. Lo rammentarono i nostri predecessori, quando misero mano al codice civile e poi alle sue modifiche. Le norme giuridiche finora scritte, pur essendo figlie di un tempo, di una società, di un ordine, hanno sempre espresso quale può essere un rapporto tra diritto e vita familiare, tra diritto e conflitto familiare, tale da consentire al diritto di non essere inane, ma di poter svolgere una funzione. Hanno enunciato principi, clausole, criteri guida, per orientare le parti coinvolte ad assumere una decisione, senza imporla o senza addirittura anteporla alla realtà, anzi alle realtà familiari.
Ancora oggi la potenza del diritto, e quindi non la sua prepotenza o la sua impotenza, sta negli strumenti di orientamento che può offrire a chi si muove sulla scena delle liti o delle fratture familiari e a chi, a riguardo, è chiamato a decidere. Non si tratta di dare al giudice ampia discrezionalità, ma di chiedergli una capacità di discernimento e di giudizio orientata dal diritto. A questo fine, è necessario che il diritto osservi un'altra condizione: deve saper concepire più sistemi, più luoghi di composizione dei conflitti familiari, per evitare che si attribuiscano al giudice compiti che egli non può
avere e per evitare che il giudice svolga un'indebita supplenza, a scapito del compito che invece gli è proprio, quello di decidere il diritto e sui diritti.
Ci dice il professor Resta: non dovete pensare che l'intervento del giudice, all'interno dei conflitti familiari, possa essere il modo attraverso il quale si risanano le vite degli individui, si ricostruiscono sfere di felicità, né tanto meno il modo con cui si possono rimettere in piedi i principi di un'etica privata e pubblica. Allora, mentre c'è una forte domanda di non restringere il conflitto familiare nelle aule dei tribunali, vi è invece una forte tentazione di portare in quelle aule esigenze che meritano altri percorsi. È il caso della mediazione familiare. Questo servizio rappresenta una buona opportunità sociale, e non giudiziaria, di composizione del conflitto, supportata da un terzo non giudicante e favorita dalla volontà delle parti di sperimentare un percorso alternativo al processo.
A cosa rispondeva l'obbligatorietà della mediazione prefigurata nel testo e a lungo tempo difesa, se non a legare questo strumento alla lite giudiziaria, violando, come ha ricordato il professore Schlesinger, il diritto inviolabile dei cittadini di potersi sempre rivolgere ai giudici liberamente ed incondizionatamente? Alla fine abbiamo evitato questo errore. Ma, dopo avere restituito la mediazione familiare al suo giusto contesto ed alla sua funzione, resta inevaso il bisogno che essa diventi una realtà sociale, un servizio accessibile, volontario e gratuito, praticabile per chi intenda avvalersene. Ho appreso questa mattina dal collega Tarditi che in Italia ci sono 250 centri pubblici gratuiti. All'onorevole Tarditi chiederei di dirci la fonte di questo dato, perché delle due l'una: o l'onorevole Tarditi conosce dati, che il Governo ignora - e ciò è grave -, oppure l'onorevole Tarditi si è rivolto ad una fonte infondata.
Detto ciò, resta da sviluppare una cultura della mediazione che si affianchi, senza confondersi, a quella della giurisdizione, e questo è l'impegno che intendiamo assumerci.
Tornando al testo, cosa è che spinge oggi ad interpellare il diritto chiedendogli di stabilire nuove norme da riservare ai figli quando i genitori si separano? È la constatazione di una distanza del diritto, in particolare del nostro diritto e delle consuetudini giudiziarie, dal legame che, anche dopo la separazione coniugale, continua ad unire il figlio ad entrambi i genitori; un legame che chiede un riconoscimento di principio che, oggi, non è debitamente affermato.
Credo di aver con questo chiarito ai colleghi che sono intervenuti prima di me quale sia la nostra posizione sul principio ispiratore di questo testo.
Al di là delle soluzioni concrete che possono imporsi, e sulle quali intendo poi tornare, e dei dati che evidenziano una forte prevalenza dell'affidamento dei figli ad un solo genitore, vi è, oggettivamente, uno scarto tra le previsioni del nostro codice e la considerazione di una bigenitorialità che sopravvive alla fine del rapporto coniugale.
Cessare di essere marito e moglie non significa non essere più padre e madre; anzi, impone di mantenere una responsabilità verso i figli, protagonisti di una vicenda che non hanno scelto, della fine - come diceva Luigi Cancrini - e della morte di qualcosa che è stato importante anche e soprattutto per loro. Non significa, inoltre, cessare di essere figli nei confronti di entrambi i genitori e, pertanto, non poter continuare a vivere e ad alimentare due relazioni diversamente significative. Se possiamo dire che l'evoluzione della disciplina sull'affidamento dei figli ha gradualmente considerato e favorito la bigenitorialità, si può allora chiedere che il diritto l'affermi espressamente come principio orientativo di ogni decisione da assumere? Credo proprio di si!
Allora va bene, va benissimo che il capitolo della separazione che tratta dei provvedimenti riguardanti i figli affermi e riconosca il diritto ad avere ed a mantenere rapporti continuativi e significativi con entrambi i genitori! Va bene, va benissimo anche che si affermi, come proponiamo, che la responsabilità dei genitori
verso i figli prosegua oltre lo scoglio della separazione, non venga meno, dovendo da ciascun genitore essere riconosciuta per sé e per l'altro!
Affermata questa necessità di un riequilibrio di principio della legislazione sull'affidamento - non è poco per chi considera i principi come il migliore orientamento che il diritto di famiglia può dare -, sapendo che questo riequilibrio nei fatti consente una diversa considerazione della figura paterna insieme a quella materna, si può anche affermare che ne deve sempre conseguire l'affidamento condiviso dei figli, che nel testo viene rigidamente disciplinato nelle sue modalità.
In altre parole, è sempre possibile concepire che su ogni scelta quotidiana relativa ai figli - perché di questo si tratta - entrambi i genitori possano esercitare la loro potestà e abbiano il potere di decidere? Intendo ragionare di questo a partire dall'altro principio che la cultura giuridica ci ha consegnato e che il diritto positivo, a più alti livelli, ribadisce. È il principio del superiore interesse del minore, che considero una lente con la quale osservare e valutare la praticabilità concreta di qualsiasi regime di affidamento.
Dico praticabilità concreta, perché penso che un tale principio serva proprio a vestire il diritto addosso al figlio, a quel figlio con la sua storia familiare, il suo vissuto trascorso ed attuale che egli stesso - lo ricordava prima la collega Burani Procaccini - è in grado di raccontare. Parlo di qualsiasi regime di affidamento, perché non ho in mente un modello che possa servire astrattamente meglio di un altro a garantire l'interesse del minore, dal momento che ciascuno di essi può essere valido nella realtà se risponde meglio di un altro a quell'interesse.
Se vi sono stati, colleghi, casi in cui l'affidamento esclusivo ad un solo genitore rigidamente affermato e praticato ha nei fatti ostacolato, se non ingiustamente escluso, un genitore rispetto alla vita di un figlio, vi sono stati sicuramente casi nei quali si è rivelato una buona scelta.
Allora, la questione è sostituire alla rigida applicazione dell'affidamento esclusivo quella altrettanto rigida dell'affidamento condiviso dei figli o piuttosto affermare che l'affidamento condiviso è una priorità da perseguire ove corrisponda all'interesse di un figlio? Non basta rispondere che il testo attuale salvaguarda l'interesse del minore quando esclude l'affidamento condiviso ove sia di pregiudizio al minore. Affermare che si vuole l'interesse del minore non è lo stesso che dire di non volere il suo pregiudizio, dire di voler fare il bene non è lo stesso che dire di non voler fare il male.
Considero inoltre questo cambio dei termini un arretramento della nostra cultura giuridica rispetto a quanto previsto non solo nelle nostre leggi, ma anche nelle leggi che altri paesi europei hanno adottato nella stessa materia. Quelle leggi che voi avete richiamato e che ritengo siano giuste in quanto, in ogni caso, rispetto alle norme che introducono, stabiliscono che vale sempre il limite dell'interesse del minore. È proprio per questo che stanno funzionando negli altri paesi!
L'interesse del minore in quelle leggi è considerata la condizione legittimante di qualsiasi scelta di affidamento. Il comma 3, dell'articolo 9, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo - che lei, onorevole Paniz, ha ricordato - afferma che gli Stati-parti devono rispettare il diritto del fanciullo, separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò sia contrario all'interesse superiore del fanciullo. E la Carta europea dei diritti fondamentali conferma tale principio stabilendo che ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo o qualora ciò sia contrario al suo interesse. In nessuno di questi atti si parla di pregiudizio, ma dell'interesse del minore.
È un atto di fedeltà al minore questo legame che si afferma tra un suo diritto e il suo interesse, riconosce una soggettività del minore non in astratto, all'interno di un diritto pensato dagli adulti, ma in concreto. Il professor Nicola Scannicchio
- lei, onorevole Tarditi, dovrebbe conoscerlo perché lo cita nella relazione al suo progetto di legge - commenta il testo al nostro esame, affermando che l'esistenza di un armonico rapporto con entrambe le figure parentali costituisce la massima realizzazione del detto interesse, che è nell'interesse del minore perseguirlo se esso non esiste, che si deve tener conto della detta esigenza quando esso non esiste o non può essere perseguito. Tutto ciò è senza dubbio vero, ma che l'interesse del minore corrisponda sempre e necessariamente con la parità di posizioni dei genitori nella gestione del rapporto e possa dunque esaurirsi in ciò che risulta dal citato primo comma, invece, non è vero affatto.
Come per la scelta del regime di affidamento, lasciamoci guidare dall'interesse del minore anche per decidere sul suo diritto a ricevere dai genitori un mantenimento. Il testo afferma che ciascuno dei genitori provvede in forma diretta al mantenimento dei figli, rispondendo in tal modo ad un'esigenza che considero giusta, quella che un genitore può avere di voler provvedere personalmente ad alcune spese per il figlio, senza doversi limitare a corrispondere un assegno all'altro genitore.
Ma preoccupiamoci anche del figlio. Ha senso prevedere un suo mantenimento diretto senza determinare esattamente l'obbligo economico che ciascun genitore ha nei suoi confronti, rendendo così il diritto del figlio al mantenimento indeterminato, incerto e non esigibile? Davvero il mantenimento diretto è la sola formula valida - lo vede, onorevole Tarditi, che non sto difendendo l'assegno di mantenimento - oppure ce ne sono altre che possono anche tenere insieme le esigenze rappresentate?
Ancora, si parla di un assegno perequativo periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità. Cosa indica questa formula così impegnativa? Che un genitore dà un assegno all'altro perché i due redditi siano proporzionati. Ma qual è il fine? Si tratta di un regolamento dei conti tra i genitori o piuttosto si intende assicurare al figlio il diritto di godere il medesimo tenore di vita presso ciascun genitore? Ritengo che sia così e che così dovrebbe essere scritto.
Intendo infine soffermarmi sull'articolo conclusivo del testo, che consente la riapertura di tutti i procedimenti, di tutti i giudizi - anche quelli conclusi da molto tempo -, al fine di poter chiedere al giudice l'applicazione del regime di affidamento condiviso. Domando ancora: dov'è il minore in questa scelta legislativa?
Ciascun genitore, affidatario o meno, può davvero riaprire un procedimento a prescindere dal suo interesse?
Può prevalere una modifica normativa che bene potrebbe in alcuni casi recuperare alla vita di un figlio una figura genitoriale ingiustamente esclusa e male potrebbe in altri forzare le circostanze concrete, già indagate e valutate, che hanno portato a scegliere tra le varie forme di affidamento quella ad un solo genitore come meglio rispondente al suo interesse?
Sono domande che pongo in modo pacato, ma anche imponendo a me stessa un estremo rigore di ragionamento. Sono certa che ad impormelo non è una posizione ideologica o pregiudizialmente contraria ad alcune scelte fatte. Lo dico perché in questi mesi, anzi in questi anni, non ho cessato di lasciarmi interrogare da tanti casi e tante storie, alcuni incontrate nel corso della mia professione, altre in occasione di questo percorso legislativo.
Onorevoli colleghi, penso che non risieda nella rigidità della norma - e in assoluto in ogni rigidità, compresa quella del pensiero - la soluzione migliore da adottare. In tal modo chiederemmo alla legge di fare quello che la legge non è in grado di fare. Penso che nessuno, neppure il giudice, debba avere un approccio rigido su questa materia. Penso che gli vadano forniti gli strumenti per decidere laddove i genitori non sono riusciti a ricomporre il loro conflitto. In ogni caso, ritengo che il riferimento della decisione non debba essere il genitore né la madre, bensì il figlio.
Onorevole Tarditi, vorrei risponderle: decidiamo da quale parte stare. Vorrei anche dire al relatore che ancora coltivo la
voglia di provare con il confronto ad affidare al diritto il compito di stare, anche in questo caso, dalla parte del figlio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, la riforma che ci apprestiamo a discutere si collega alle trasformazioni dei modelli familiari che il legislatore non può continuare ad ignorare. Princìpi quali la bigenitorialità e il tendenziale superamento del concetto di genitore affidatario sono elementi già maturi nelle coscienze e nei modelli sociali del paese che però hanno stentato - e stentano ancora - a trovare una soluzione anche in Parlamento a causa della ben nota, umana tendenza a conservare i vecchi schemi mentali.
La scelta dell'affidamento ad un solo genitore oppure ad entrambi indubbiamente comporta un'impostazione concettuale diametralmente opposta. Da una parte, l'istituto dell'affidamento condiviso si muove dal presupposto che entrambi i coniugi sono tenuti ad adoperarsi per mantenere attivo il nucleo familiare di partenza, pur essendosi verificata una frattura che ha portato alla separazione della coppia coniugale. Si smette di essere coniugi, ma non si smette di essere genitori: è questo il concetto fondamentale ed importantissimo che sta dietro all'affido condiviso. Quindi, le ragioni dell'uno e dell'altro genitore perdono valore e significato di fronte al meritevole tentativo di consentire a ciascuno di continuare ad occuparsi dei figli.
L'affidamento esclusivo - e vediamo anche poi nella prassi come è stato applicato - opera e innegabilmente viene percepito dal genitore non affidatario come il frutto di una logica sanzionatoria. Volutamente o meno, l'indicazione di un solo genitore suona come una censura per l'altro e questo aumenta la conflittualità e al contempo l'attenzione da parte di entrambi i genitori a seguire passo passo, anche sotto il profilo economico, tutti i doverosi percorsi della crescita del bambino. Quindi, l'affidamento esclusivo diventa tanto più inammissibile quando entrambi i genitori sono idonei a provvedere alla cura dei propri figli ed hanno la volontà di fare fino in fondo il loro dovere.
Pertanto, appare profondamente diseducativo e antisociale l'atteggiamento di quanti, di fronte agli ostacoli della conflittualità, anziché chiedere agli adulti di imparare a gestire civilmente il proprio disaccordo - questo vuol dire perseguire l'interesse del minore - preferiscono semplicisticamente l'affidamento esclusivo, con il risultato di sottrarre un genitore al figlio incolpevole.
La bigenitorialità è un diritto che è riconosciuto dall'articolo 30 della Costituzione e che dunque non dovrebbe mai essere messo in discussione, anche se abbiamo constatato che nella prassi giudiziaria, nei casi di separazione e divorzio, ciò non accade, per numerosi motivi. Il contenzioso per separazione e divorzio è molto elevato (dalle statistiche emerge purtroppo un costante aumento) e nei tribunali italiani, salvo qualche rara eccezione, non esistono sezioni specializzate per la famiglia. L'onorevole Burani Procaccini ha sottolineato la necessità di promuovere riforme per i minori e per la famiglia. Osservo al riguardo che questo Parlamento, purtroppo, ha perso una grande occasione di riforma in questo settore.
Si parla di interesse superiore del minore: mi si deve dunque spiegare la motivazione per cui, ancora oggi, non esista un giudice specializzato che si occupi esclusivamente delle questioni minorili. Da un lato, infatti, esiste un'ingiusta discriminazione tra figli nati dal matrimonio, sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario che nella maggior parte dei casi non è un giudice specializzato, e figli nati fuori dal matrimonio, di cui si occupa il tribunale per i minorenni. Per tale motivo, il testo in esame contiene un ulteriore principio molto importante, relativo all'estensione della normativa anche alle coppie di fatto, e prevede la sottrazione di tale
competenza al tribunale per i minorenni (si tratta di un aspetto che peraltro dovrà essere, a mio avviso, specificato con apposite proposte emendative): poniamo fine a questa discriminazione e creiamo un giudice unico per la famiglia e per i minori!
Sono state richiamate le convenzioni internazionali, e in particolare la Convenzione di New York, ratificata dal nostro paese. Condividiamo tale richiamo; tuttavia, occorre chiedersi cosa sia l'interesse superiore del minore, di cui peraltro il testo in esame tiene pienamente conto: il progetto di affidamento condiviso, infatti, deve essere predisposto nell'interesse del minore e non può essere accettato quando contrasti palesemente con tale interesse. Si tratta di una formulazione assolutamente necessaria per evitare che l'interesse del minore venga utilizzato in contrasto con la volontà effettiva che il progetto di legge intende perseguire. Il principio dell'interesse del minore è sacrosanto e fondamentale, e il testo ne tiene conto, ma viene utilizzato dal centrosinistra per fare in modo che alla fine nulla cambi. La volontà del centrosinistra è infatti quella di ricorrere, ancora una volta, a un'enunciazione di principio, senza dare una risposta concreta all'attesa che esiste nel paese e nella società civile. Qual è l'interesse superiore del minore? È certamente quello di avere due genitori che lo accompagnino fino all'età adulta e in tutto il percorso della sua vita.
Veniamo ad alcune obiezioni che sono state formulate. È evidente che occorre un profondo mutamento culturale. Alcuni ritengono che il provvedimento in esame sia contro la donna, contro il coniuge debole. In realtà, non è così: anzi, spesso l'affidamento esclusivo, che è disposto nel 90 per cento dei casi in favore della donna, preclude alla donna stessa alcune possibilità, come ad esempio quella di poter usufruire di pari opportunità in campo lavorativo e di poter dare adeguato spazio alla propria vita privata. Nella proposta in esame si tenta di raggiungere un bilanciamento e, soprattutto, la condivisione e la suddivisione delle responsabilità. Non si tratta dunque di misure contrarie alle donne.
La preoccupazione principale è costituita dall'assegno di mantenimento, e dunque dal vantaggio economico. Va comunque osservato che la spersonalizzazione di tale contributo determina già oggi numerose difficoltà applicative: l'assegno di mantenimento, come è noto, viene purtroppo corrisposto regolarmente in meno del 50 per cento dei casi.
Dobbiamo aggiungere che, nonostante nel provvedimento in esame sia affrontato il tema fondamentale del mantenimento diretto (che a mio avviso deve essere conservato), è necessario apportare dei correttivi. A tal fine, infatti, abbiamo presentato degli emendamenti che specificano meglio la forma del mantenimento diretto, ripristinando il ricorso ai capitoli di spesa, come era già stato deciso in Commissione, anche se poi, nel prosieguo dell'iter tale misura era stata soppressa. Tale soluzione consentirà di raggiungere una maggior esecutività ed un più rilevante effetto vincolante della forma del mantenimento diretto. Riteniamo che questo strumento vada difeso, anche perché è prevista la perequazione tra coniugi. Infatti, come ricordato anche dal relatore, permane la formula del mantenimento indiretto sotto forma di assegno perequativo.
Un altro aspetto fondamentale - che è a favore delle donne, non certo contro - è rappresentato da un'adeguata valutazione del lavoro di cura. Mai in passato si era tenuto conto di questo aspetto, né mai era stata quantificata economicamente l'attività del lavoro di cura, che riguarda principalmente le donne! Pertanto, la valutazione economica rappresenta sicuramente un importante e qualificante passo avanti compiuto da questa riforma.
Segnalo inoltre l'obiettivo della fine delle dichiarazioni mendaci. Anche in questo caso abbiamo previsto l'obbligo - e non più la facoltà - da parte del giudice di disporre gli accertamenti della polizia giudiziaria ogni qual volta una dichiarazione dei redditi sia contestata dall'altro genitore. Si ipotizza di indagare, inoltre,
anche su quei beni alienati che risultino, tuttavia, nel godimento diretto od indiretto di uno dei genitori. Effettivamente si introducono molte garanzie, che fanno venir meno molte delle obiezioni sollevate.
Mi preme intervenire anche in riferimento ad una difficoltà attuativa di questa legge, relativa, soprattutto, alla eliminazione del percorso obbligatorio di mediazione. Devo ricordare che, sulla obbligatorietà della mediazione, il nostro gruppo, da sempre, nutre delle riserve. Così come è stata formulata, la disposizione relativa al percorso di mediazione poteva apparire come un ulteriore gravame per l'iter procedurale della separazione, che sappiamo essere già farraginoso e difficile. Non si intendeva introdurre un'ulteriore condizione di procedibilità. Bisogna anche tenere presente che per realizzare una fattiva e concreta mediazione occorre investire, occorrono risorse economiche. Questo tema sicuramente dovrà essere riesaminato.
Il nostro gruppo politico ha presentato un testo di riforma dell'istituto del consultorio familiare, che potrà essere utilizzato nei percorsi di mediazione che accompagnano i coniugi a creare un progetto di affido condiviso, al fine di eliminare le conflittualità e compiere quel passaggio culturale che consenta al bambino di non essere più strumento di ricatto. Onorevole Burani Procaccini, l'interesse superiore del minore si realizzerà solo se le questioni degli adulti saranno separate da quelle del fanciullo. Solo in questo modo il bambino non sarà utilizzato come «proiettile», come strumento utilizzato, purtroppo molte volte, per soddisfare delle pretese economiche: la prassi giudiziaria ci dimostra proprio questa condizione.
Dobbiamo ripensare sicuramente alla mediazione e agli istituti che attualmente la realizzano. Penso ai consultori familiari, che svolgono, per lo più, un ruolo burocratico o di presidio sanitario. Considerata in questa fase la rinuncia, per le ragioni che ho ricordato, a tali ipotesi, abbiamo presentato degli emendamenti che propongono una soluzione alternativa.
Essi prevedono, infatti, il tentativo di conciliazione, già previsto per il percorso di separazione, da noi concepito per arrivare ad un progetto di affidamento condiviso.
Al fine di giungere alla stesura di tale progetto (il percorso di conciliazione), che le coppie sono invitate e tenute a fare, esse possono farsi aiutare dai rappresentanti di associazioni che da anni sono impegnati in tale materia, sulla quale hanno, dunque, una profonda conoscenza e che sono in grado di dare alla coppia l'apporto psicologico necessario per affrontare quel percorso doloroso rappresentato dalla separazione e per aiutare a comprendere che, ritorno a dirlo, si cessa di essere coniugi ma non si cessa di essere genitori.
Un altro punto che è stato criticato è quello della gravosa procedura prevista dall'articolo 155-bis, che riguarda l'esclusione da parte di uno dei due genitori dall'affidamento dei figli, essendo richiesta un'istanza di parte volta a provare che dall'affidamento anche all'altro genitore potrebbe derivare un danno per il minore; in modo particolare, si è detto che in tale caso si potrà intervenire a posteriori quando ormai il danno per il minore è avvenuto. In realtà, ciò non corrisponde assolutamente al vero, poiché il fatto di stabilire che un genitore possa essere escluso dall'affidamento condiviso quando ciò non costituisca fonte di pregiudizio futura ed eventuale per il minore, offre quelle garanzie che pongono al riparo da questo rischio.
Perché è importante scrivere ciò nell'articolo? Perché il fatto di inserire il termine «pregiudizio» sta a significare che si dovrà puntare ad arrivare ad un affidamento condiviso, che abbassi e riduca la conflittualità, tranne - ed ecco che la norma ha previsto tale ipotesi di riserva - che ciò non costituisca effettivamente pregiudizio per il minore: quando, cioè, non vi siano situazioni talmente gravi da giustificare l'affidamento monogenitoriale.
Un altro punto del progetto di legge che è stato criticato è quella della norma transitoria, ove si afferma che tale legge si applicherebbe a tutte le separazioni già
decise con sentenza irrevocabile, con il potenziale aumento delle cause pendenti davanti ai tribunali, creando incertezza ed instabilità, con intasamento dei tribunali stessi ed una esplosione dei contenziosi ed altro ancora. In realtà, tale norma è corretta, perché offre a tutti la possibilità di usufruire di questa modifica sostanziale, evitando disparità di trattamento contrastanti con l'articolo 3 della Costituzione, tenuto anche conto del fatto che il passaggio all'affidamento condiviso non comporterebbe, come più volte affrontato e discusso in Commissione, un automatico mutamento della collocazione degli stili di vita, essendo tutti aspetti questi che vengono rimessi al prudente apprezzamento del giudice, come per le separazioni di nuova pronuncia.
Per tali motivi condividiamo profondamente come gruppo della Lega nord i princìpi ispiratori che sono alla base di questo provvedimento. È chiaro che occorrerà (e ciò se vi sarà spazio nella fase della presentazione degli emendamenti) rivedere alcuni punti del testo; ad esempio, sarà opportuno chiarire, oltre alle considerazioni da me già svolte sulla parte economica e quindi sulla necessità di dare una maggiore specificazione al mantenimento diretto, quel punto assai controverso di cosa significhi arrivare obbligatoriamente a presentare un progetto educativo condiviso.
Da alcuni questa è stata interpretata come possibilità di praticare l'affidamento condiviso solo per le separazioni consensuali, dimenticando invece che, subito dopo, viene considerata l'ipotesi del disaccordo tra i coniugi e stabilito che, in caso di disaccordo, e noi su questo punto chiediamo che venga previsto un tentativo di conciliazione obbligatoria, il giudice deciderà sulle proposte presentate dai singoli genitori.
Noi abbiamo presentato un emendamento che specifica anche questo fatto. È auspicabile, quindi, che i coniugi arrivino con questo progetto condiviso, e, se così non sarà, saranno assunte delle decisioni, valutando sempre l'interesse effettivo e superiore del minore, circa le proposte fatte dai singoli coniugi.
Il provvedimento al nostro esame è sicuramente meno avanzato rispetto ai modelli presenti in altri paesi europei. La Francia, ad esempio, ha introdotto una riforma di questo genere nel 1993 e l'ha sperimentata con piena soddisfazione fino al 2002 per poi decidere di andare oltre prevedendo la residenza alternata; quest'ultima oggetto di positive valutazioni e prossima ad un 10 per cento di applicazione.
Sono state sollevate delle obiezioni sulla formulazione del testo in ordine all'assegnazione familiare; quest'ultima ha comunque, a mio avviso, l'effetto di non considerare il bambino come un pacco postale che deve stare una volta con un genitore e una con l'altro, ma di eliminare che l'assegnazione della casa familiare aumenti la conflittualità dei coniugi dal punto di vista delle pretese economiche. È chiaro che per giungere nel nostro paese ad una mentalità di questo tipo la strada da fare è ancora lunga; bisogna, inoltre, stare attenti perché molte delle obiezioni che sono state sollevate potrebbero alla fine farci correre il rischio di «affossare» un'altra volta questo provvedimento e, in tal modo, non dare risposte a quelle esigenze fortemente sentite dai padri e dalle madri separate. Non possiamo quindi perdere questa grande, importantissima e doverosa occasione di riforma e non possiamo non adeguarci al mutamento che sta avvenendo nella realtà sociale. Oggi sempre di più si assiste a genitori che chiedono, anche dopo la separazione e il divorzio, di poter continuare, perché ne hanno voglia, ad occuparsi dei propri figli. E questo dobbiamo assolutamente garantirlo.
Sono state sollevate, ripeto, alcune obiezioni; tuttavia, rimane da svolgere la fase di esame delle proposte emendative e noi, come gruppo della Lega Nord Federazione Padana, abbiamo presentato alcuni emendamenti, che attengono soprattutto al profilo procedurale, rispetto ai quali chiedo al relatore, onorevole Paniz,
un'apertura, un tentativo ulteriore, in modo da prendere atto delle possibilità che ancora esistono per apportare, sulla base delle osservazioni che man mano vengono fatte, dei miglioramenti al testo del provvedimento. Questo consentirebbe di consegnare al paese un provvedimento moderno che ottemperi alle diverse esigenze richiamate che a me paiono, quanto meno a parole, da tutti condivise.
CAROLINA LUSSANA. Dico ciò perché, da un lato, si dice di essere favorevoli all'affido condiviso, ma poi, dall'altro, quando si ascoltano gli interventi svolti da chi mi ha preceduto, in particolare, dall'onorevole Lucidi, ci si rende conto effettivamente che, al di là delle parole, le intenzioni sono forse ben altre e l'interesse superiore del minore viene utilizzato non a favore dello stesso, ma contro il sacrosanto diritto del minore di avere entrambi i genitori. Pertanto, al di là del fatto che questo provvedimento possa e debba essere modificato e migliorato, stiamo attenti a quei tentativi fatti affinché tutto cambi perché nulla cambi. Questo sarebbe l'errore più grande che, in una materia così delicata, ci farebbe fare un'ulteriore brutta figura.
È difficile affrontare le questioni che riguardano il diritto della famiglia e dei minori, ma bisogna comunque avere il coraggio di imboccare a questo riguardo una strada perché, come sappiamo, la legge ha anche il compito di educare.
Quindi, dobbiamo avere il coraggio di andare nella direzione intrapresa. Non si tratta di fare un salto nel buio, come altre esperienze europee testimoniano, ma di conseguire l'obiettivo che ci siamo prefissi, che non è quello di portare la pace all'interno delle famiglie, ma quello di fare in modo che i minori non diventino uno strumento per far valere pretese economiche, oggetto di scambio o di baratto tra persone che, avendo deciso di porre fine al loro percorso di vita in comune, non per questo debbono farne pagare il prezzo ai figli nati dal loro amore.
Da ultimo, ritengo fondamentale - tengo a ribadirlo - che la formula dell'affidamento condiviso debba valere non solo per i figli nati dal matrimonio, ma anche per quelli delle coppie di fatto. Spero che, nel prosieguo dell'esame, possano essere accolte le proposte emendative che abbiamo presentato al riguardo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.
TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, Salomone era un re molto saggio, al punto che le sue sentenze divennero famose in tutto il mondo.
Una volta si presentarono a lui due donne. La prima disse: «Abitiamo nella stessa casa ed a ciascuna di noi è nato un bambino, a pochi giorni di distanza. Una notte, il bambino di questa donna morì; allora, ella lo sostituì con il mio. Il bambino che ora ella porta in braccio è il mio». La seconda donna, però, protestava: «No, il bambino è mio; il tuo è quello che è morto!» Allora, Salomone fece portare una spada ed ordinò alle guardie: «Tagliate in due il bambino e datene metà a ciascuna delle due donne!». A quelle parole, la prima donna disse: «No mio signore, non uccidere il bambino! Piuttosto, preferisco che sia dato alla donna che lo tiene in braccio». La seconda donna, invece, diceva: «Va bene, sia diviso: non sia né mio né suo!».
Di proposito il saggio re Salomone aveva dato quell'ordine: non voleva mettere a morte il bambino, ma sapeva che la vera madre avrebbe preferito perderlo piuttosto che vederlo morire. E fece dare il piccolo alla madre vera.
Passano i millenni, ma sembra che la saggezza cali. Ci troviamo sempre di fronte allo stesso problema - quello degli adulti che si contendono un bambino -, ma non abbiamo, purtroppo, un legislatore saggio come lo era Salomone che sia capace di dare maggiore rilevanza al bambino anziché alle pretese degli adulti: il testo che stiamo discutendo ha scelto il bambino con-diviso!
Salomone non indugia ad ascoltare le argomentazioni delle due donne, ma coglie immediatamente l'essenziale, il bene del bambino; non cerca di conciliare l'inconciliabile, ma trova un metodo per far prevalere l'interesse del bambino e per affidarlo a chi realmente ne desidera il bene. All'altra donna, quella che, invece di perderlo, sarebbe stata disposta a con-dividerlo, quel bambino interessava poco: le interessava soltanto vedere confermato ciò che riteneva un suo diritto. Salomone finge di voler con-dividere il bambino per scoprire a chi il bambino stia realmente a cuore.
Il provvedimento in esame parla di affidamento condiviso e, per accontentare gli adulti, accetta di con-dividere il bambino senza troppo riflettere sul fatto che quest'ultimo non avrà un punto di riferimento sulla propria condizione, rischierà di essere lacerato, tirato di qua e di là da adulti i quali, cercando di far valere - certo, giustamente - i loro diritti di genitori, rischiano, se la legge non li aiuta (e questa proposta non li aiuta), di perdere di vista i suoi.
Nella proposta al nostro esame il diritto dei bambini non c'è: non c'è quello che la Convenzione di New York chiama il «superiore interesse del fanciullo». La proposta è ritagliata sugli interessi degli adulti, a partire dal titolo, e si risolve, di fatto, nel tentativo degli ex coniugi di non cedere di un passo l'uno di fronte all'altra, mettendo al centro di tutta la vicenda i propri diritti anziché il bene del bambino!
La separazione tra i coniugi è il momento più difficile che una coppia possa vivere. Si arriva davanti al giudice spesso dopo anni di conflitti, di violenze e di incomprensioni e pretendere che alla fine di questo percorso i due coniugi continuino a condividere una quotidianità che non esiste più è una richiesta sbagliata, lontana dalla realtà delle cose e soprattutto dannosa per i figli. Così è stato detto, la settimana scorsa, in un convegno organizzato dalla rete dei centri antiviolenza di tutta Italia.
La proposta dell'affido condiviso è stata presentata erroneamente come la panacea di tutti i conflitti fra i coniugi che si stanno lasciando, ma è molto distante dalla realtà delle persone, e lo confermano le cifre che oggi parlano del 54 per cento di casi di separazione causati da problemi di violenza psicologica, fisica, sessuale ed economica.
In tale quadro, pensare di imporre per legge un accordo su come organizzare la vita quotidiana dei figli minori significa voler obbligare i partner a sentirsi e a vedersi di continuo per affrontare decisioni comuni. Li si costringe a continuare un rapporto che non esiste più, e soprattutto si costringono i figli minori a modificare la loro quotidianità, i loro ritmi, le loro abitudini per essere gestiti in modo paritario da genitori che stanno vivendo il momento di massimo conflitto tra loro.
Nei mesi scorsi, durante la discussione in Commissione giustizia e nelle Commissioni che hanno espresso il loro parere su questo testo unificato, abbiamo ricevuto migliaia di lettere, e-mail, messaggi, richieste di colloquio. Abbiamo ascoltato le opinioni di tutte le categorie direttamente coinvolte: gli avvocati, i giuristi, le associazioni delle donne, addirittura i personaggi dello spettacolo che hanno vissuto esperienze di separazione. Abbiamo incontrato anche le associazioni dei padri separati, le più agguerrite, che hanno goduto di una visibilità mediatica senza pari e che hanno sostenuto che l'affido condiviso obbligatorio è un momento di rivalsa rispetto alla legge attuale che, a loro parere, non dà sufficientemente spazio ai padri. Ma tutti noi sappiamo che la legge attualmente in vigore permette alla coppia di scegliere la soluzione di affido dei figli minori preferita e che può essere gestita meglio in relazione al loro grado di civiltà e al tipo di rapporto esistente.
Le associazioni dei padri separati, cui ovviamente non tutti i padri separati fanno capo, dicono che si nega il loro diritto di essere padri, ma l'avvocata Marina Marino, presidente della Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (AIAF), ci ricorda che dobbiamo partire dai numeri; e i numeri ci confermano che, nel 95 per cento dei casi, i figli
sono affidati alle madri, perché i padri non ne richiedono l'affido esclusivo, in quanto spesso sono stati genitori assenti, incapaci di esplicare la loro genitorialità anche durante il matrimonio. Per questo motivo, il provvedimento in esame non funzionerà mai.
Ancora una volta, ci accingiamo ad approvare un provvedimento in cui lo Stato, che, peraltro, è sempre più assente dagli ambiti sociali e dalla vita del cittadino, con sempre meno reti di aiuto per chi è in difficoltà, entra prepotentemente nelle scelte di vita delle persone.
L'Italia, a differenza di ciò che è stato detto da molti colleghi che mi hanno preceduto, è l'unico paese dove si sta tentando di imporre una regola per tutte le separazioni. In Francia, in Germania e in Spagna l'affido condiviso è applicato solo quando vi è consenso da parte di entrambi i genitori. In Germania, da vari anni è stato introdotto l'affidamento in comune tra genitori, ma sempre e solo con il loro consenso. La regola dell'affidamento condiviso è stata prevista in Germania nel 1998, ma dopo le prime applicazioni i giudici hanno deciso di modificarla e di disporre l'affidamento, in primo tempo, anche in mancanza di accordo tra le parti. Questo ha portato ad un sensibile aumento della conflittualità tra i genitori, sicché solo dopo un anno dall'entrata in vigore della legge sull'affido condiviso, in Germania, è stato necessario un intervento della Corte federale che ha fissato alcuni punti fondamentali.
Il primo è che l'affidamento condiviso presuppone il consenso delle parti e non può essere la regola; il secondo, che l'accordo deve essere analitico e riguardare ogni aspetto essenziale dell'affidamento; il terzo, che, in mancanza di accordo, o con un accordo che non appaia conforme all'interesse del figlio, sia il giudice a poter disporre l'affidamento in capo ad un solo genitore.
Quindi, anche l'analisi della legislazione europea induce a sostenere che l'affidamento condiviso rappresenta una possibilità che può fondarsi solo sul consenso libero e consapevole di entrambi i genitori; esso può essere suggerito, ovviamente come soluzione migliore, esattamente come dispone l'articolo 6 della legge n. 74 del 1987, attualmente in vigore. Legge che contempla tale ipotesi solo se rifletta una soluzione scelta dei genitori e non imposta; in tal senso, non potrebbe esservi mai un'imposizione che usi regole standard, valevoli sempre e comunque, per tutte le ex coppie e per tutti i bambini.
Riteniamo che il motivo vero della radicalizzazione delle argomentazioni circa tale proposta sia il volere difendere, a tutti i costi, un concetto di famiglia tradizionale, anche quando questa non sussista più.
Inoltre, a nostro avviso, una delle motivazioni alla base della scelta effettuata dal provvedimento in esame è di carattere economico; la nuova proposta di legge, infatti, elimina la previsione dell'assegno di mantenimento per i figli e l'assegnazione della casa al genitore affidatario, introducendo il concetto di condivisione anche economica per le necessità dei figli. Ma, nella pratica, come farà un genitore che non condivide la quotidianità di vita con i figli a sapere se, in quel momento, per il bambino abbia preminente importanza, ad esempio, l'acquisto di un vestito o di un giocattolo ovvero la possibilità di trascorrere una vacanza? Tali scelte non possono che essere fatte nella quotidianità e nella gestione concreta della vita, minuto per minuto, accanto ad un bimbo.
L'affido condiviso, come è emerso nel dibattito, è già possibile oggi; negli ultimi anni, di fatto, sono aumentate di molto le coppie che lo hanno richiesto. Ma è sbagliato imporlo; è dannoso, soprattutto per i minori.
Ritengo che questo provvedimento si inquadri in una più complessa e strisciante operazione culturale, che rinomina e definisce il percorso di autonomia delle donne e degli uomini. La competenza della madre - analogamente a quanto accade relativamente alla libertà di decidere su questioni intime quali, ad esempio, quella relativa al desiderio di avere figli (che la legge sulla fecondazione assistita ha messo gravemente in discussione) - viene, anche
in questo caso, messa in discussione da un provvedimento invadente ed autoritario.
Ancora, il testo unificato in esame intende, a mio avviso, incidere sulla possibilità di vivere relazioni diverse tra uomini e donne, ripensando ai ruoli familiari senza dovere sminuire il valore simbolico dell'identità femminile, senza uscire dagli stereotipi. Uno degli esponenti dell'Associazione dei padri separati ha affermato che non c'è cosa che possa fare una madre per un figlio, tranne il partorirlo, che non sia in grado di fare anche un padre. A parte la considerazione che, se i due genitori fossero fungibili nelle funzioni, non si capirebbe perché affidare il bambino al padre dal momento che la donna, oltre a fare quanto fa il padre, può, in più, anche partorire, ciò che mi ha sconvolto dell'affermazione di questo genitore è la totale mancanza di autoconsapevolezza di cosa significhi essere padre. Costoro rivendicano spesso di essere delle brutte copie, perché copie non autentiche, delle madri ma non conoscono, fino in fondo, cosa sia il valore della paternità; vogliono scimmiottare l'essere madri, vogliono condividerne il ruolo ma non hanno, evidentemente, condotto un percorso di riflessione sulla propria soggettività e sulla propria scelta di genitorialità. Non hanno, dunque, chiaro cosa significhi essere padri e rivendicano pertanto la condivisione di un ruolo che non appartiene loro.
In questo testo unificato non è prevista alcuna distinzione tra le diverse competenze genitoriali; il provvedimento vuole, al contrario, affermare una assoluta indistinta importanza della presenza del padre e della madre dopo l'avvenuta separazione personale tra la donna e l'uomo, senza valutare e distinguere le ragioni che hanno portato quelle persone a fare una scelta di separazione. Si afferma come valore assoluto il dovere della bigenitorialità in quanto capacità di continuare ad essere genitori, indipendentemente e a prescindere dalle ragioni che hanno portato la coppia uomo-donna a separarsi.
Tutti noi abbiamo letto sui giornali, in questi mesi, delle battaglie ingaggiate dai padri separati per riuscire a continuare ad avere rapporti con i figli; si è giunti perfino a sostenere, anche attraverso una mozione recentemente discussa alla Camera dei deputati, che i padri siano a tal punto depressi da tali situazioni da togliersi la vita per quanto è capitato loro.
L'affido dei figli, allora, viene considerato come una terapia; tuttavia ritengo, in questo caso, che l'interesse del minore, invece, sia completamente dimenticato e cancellato. La realtà quotidiana, infatti, ci riferisce continuamente di situazioni in cui ad essere coinvolti in tragedie estreme di follia sono le donne ed i bambini, che non sono stati protetti preventivamente, oppure che sono rimasti invischiati in questioni che hanno visto l'uso strumentale del diritto-dovere di incontro con l'altro genitore per compiere vendette sulla ex partner.
Riproporre in modo indiscriminato la possibilità di stabilire un controllo sulla vita normale dell'altro partner, genitore del figlio in comune, che normalmente viene domiciliato presso la madre, comporterebbe, allora, un aumento vertiginoso dei motivi di scontro, nonché dei conseguenti contenziosi legali.
Vorrei ricordare che, fino ad oggi, sono state avanzate pochissime richieste di affido esclusivo dei figli ai padri. Tutti vogliono i figli affidati congiuntamente, ma, sia ben chiaro, solo se a tenerli a dormire ed a gestirli nel loro quotidiano rimarrà la madre; anche l'onorevole Paniz, nella relazione che ha svolto, ha affermato che l'affido condiviso non significa divisione dei diritti e dei doveri al 50 per cento, ma può essere anche un affido esclusivo, pratico e quotidiano, ad uno solo dei due genitori.
Ciò, in pratica, vorrà dire che le madri continueranno ad occuparsi dei figli, a metterli a letto la sera, a svegliarli la mattina, a mandarli a scuola, a guardare i loro compiti ed a preparar loro da mangiare, mentre i padri potranno intervenire ad libitum, a loro piacimento, perché l'affido è condiviso, e, soprattutto, potranno taglieggiare le donne affidatarie dei loro figli sotto l'aspetto economico: è
questo il processo avanzato che stiamo avviando attraverso il provvedimento in esame!
Si tratta, peraltro, di un provvedimento i cui titoli dei vari capitoli sono esaltanti. Ci sembra, infatti, un progetto di legge che, a livello di parole, risolverà tutto; si tratta di una panacea, che ha l'ambizione sia di eliminare la maggior parte dei conflitti generati dalle separazioni coniugali, sia di responsabilizzare padri latitanti, o anche solo indifferenti!
L'ambizione del provvedimento al nostro esame è più condivisibile in astratto, ma, purtroppo, è ben lontana dalla realtà. In primo luogo, infatti, è illusorio pensare che una riforma legislativa possa creare nuovi stili di accudimento, nonché garantire una maggiore condivisione delle piccole e grandi fatiche quotidiane che l'allevamento di un figlio comporta. Con questa nuova legge, inoltre, non vi sono oggi, né vi saranno domani strumenti idonei ad assicurare l'effettiva presenza e la responsabile partecipazione, anche educativa, di genitori inadeguati. Non basta, infatti, evocare la condivisione per farle effettivamente esistere, e del resto sappiamo che le separazioni conflittuali rappresentano una percentuale molto significativa. Presso il tribunale di Roma (il tribunale più grande), ad esempio, su 15 mila coppie che ogni anno si separano o divorziano, 5.000 sono separazioni, contenziosi e divorzi non consensuali; di questi, la maggior parte del contenzioso riguarda esclusivamente le questioni di carattere economico.
Le capacità genitoriali ed il senso di responsabilità, dunque, non nascono dalle norme, tuttavia vorrei osservare che l'uso strumentale di un provvedimento come quello oggi proposto può diventare un'arma di ricatto potente, nonché un mezzo di conflitto; e mi sembra che il progetto di legge al nostro esame si presti, di fatto, ad agevolare il perseguimento di scopi diversi da quelli enunciati.
Non intendo riferirmi solamente alle separazioni in cui i padri e le madri sono latitanti, oppure violenti, distratti o inaffidabili: penso, infatti, anche a quelle situazioni nelle quali la tensione, occulta o evidente, può dar vita ad atteggiamenti ricattatori. A mio avviso, le soluzioni individuate dal provvedimento in esame, attraverso l'affido condiviso ed il mantenimento diretto, aumenteranno a dismisura la possibilità di esercitare ricatti.
Vorrei altresì rilevare che genitori responsabili possono raggiungere già oggi, grazie alla normativa vigente, equilibri basati sul consenso, mentre questa nuova proposta non solo allontana la prospettiva della concreta tutela delle situazioni problematiche, ma fomenta addirittura il conflitto.
La scelta di affidamento condiviso imposta ai genitori segue una logica del tutto mistificante. Un istituto come questo, che potrebbe apparire risolutivo del rapporto conflittuale ed eticamente superiore a qualsiasi altra soluzione, in realtà, rischia di alimentare un surplus di conflitto e di frustrazione, come ci testimoniano le esperienze straniere, in cui si è già tornati indietro rispetto alle scelte compiute, e rappresenta una soluzione del tutto lontana dalle premesse da cui parte.
Il testo che stiamo discutendo - a cui abbiamo presentato numerosi emendamenti, che tendono a modificarne l'impianto e a far sì che il testo non sia approvato, in quanto sicuramente porterà ad un aumento della conflittualità e peggiorerà la situazione dei bambini figli di coppie separate - è pervaso da notevoli ingerenze dei poteri istituzionali nell'ambito familiare. A mio avviso, sembra un tentativo di scambiare il permanere di una genitorialità condivisa con una familiarità che, una volta acquisita, non si può più abbandonare non solo nello spazio. Ricordo, in proposito, che una delle proposte di legge da cui siamo partiti, quella a prima firma dell'onorevole Tarditi, prevedeva anche che le abitazioni degli ex coniugi fossero geograficamente vicine. In questo provvedimento si tenta di mantenere la familiarità anche nel tempo e nei modi, chiedendo che i genitori, che evidentemente si sono separati perché non
andavano d'accordo, riescano a creare progetti educativi condivisi e distinti, che sarà il giudice ad integrare.
Tutto ciò si attua privando il genitore convivente dell'assegno di mantenimento - soppresso -, sostituito con previsioni accademiche delle cosiddette «contribuzioni dirette», che avranno i soli effetti di rendere più macchinoso e più facilmente eludibile l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, e di moltiplicare quotidianamente il contenzioso per l'acquisto di ogni paio di calzini, di ogni giocattolo e di ogni gelato.
Il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi il padre non affidatario veda i figli solo nei fine settimana o in estate è una scelta del padre stesso che limita in tale misura l'esercizio dei suoi diritti: non è un'imposizione dettata dall'attuale legislazione. Ben vengano - lo auspichiamo tutti - padri premurosi, che accompagnano i propri figli a scuola, che li portano a giocare e che li aiutano a fare i compiti. L'esperienza ci assicura, invece, che sono pochissimi i padri disposti a rinunciare ad una parte del loro lavoro, del loro tempo libero o dei loro impegni pomeridiani per rimanere costantemente con i propri figli. In tal modo, ancora una volta, l'organizzazione della vita quotidiana dei figli ricade sulle donne, come ci confermano tutti i dati in nostro possesso. Al tribunale di Roma, ossia il più grande d'Europa, i padri che chiedono l'affidamento dei figli sono il 17 per cento, su 15 mila coppie che ogni anno si separano o divorziano, e sono pochissimi i padri che, dopo la separazione, continuano ad avere rapporti con i figli e che rispettano le visite stabilite dal giudice. Più della metà dei padri non adempie all'obbligo di versamento dell'assegno di mantenimento dei figli.
Di fronte a tutto ciò, ritengo importante impiegare una parte del mio intervento per leggere una nota che ci è stata inviata dalla camera minorile di Milano, l'associazione di avvocati che si occupa dei minori e che ha stilato un promemoria sul provvedimento al nostro esame, che credo riesca a riassumere perfettamente i pericoli - lo dicono degli addetti ai lavori - cui si andrà incontro se questo provvedimento sarà approvato. Si legge in tale nota: «Pur condividendo il principio secondo il quale i minori tutti, legittimi e naturali, hanno diritto a conservare un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i coniugi, anche in ipotesi di disgregazione del nucleo familiare, il testo, così come formulato, non sembra prendere in considerazione alcuni aspetti di primaria importanza per la tutela del minore e rischia, contestualmente, di aggravare, anziché risolvere, una serie di problemi pratici che avranno indubbie e negative ripercussioni sulla crescita equilibrata del minore stesso».
A nostro avviso - dice sempre la camera minorile di Milano - non sembra in primo luogo opportuno il richiamo all'affidamento condiviso, in considerazione del fatto che, da tempo, la normativa internazionale (si veda il regolamento dell'Unione europea n. 1347 del 2000, in vigore dal 1o marzo 2005) ha superato il concetto di potestà ed affidamento ed utilizza il termine di responsabilità genitoriale.
E ancora: l'affidamento condiviso prevede l'attribuzione di specifiche aree di competenza, educative e di cura, all'uno o all'altro genitore in caso di conflitto fra gli stessi. Tale previsione, lungi dal garantire un'effettiva partecipazione di entrambi i genitori alla vita del figlio, si tradurrà in una moltiplicazione di ricorsi giudiziari sulle singole scelte, anche quotidiane, operate dai genitori, così paralizzando il diritto del minore alle cure e all'educazione in attesa di determinazioni giudiziali. In ogni caso, si rischia di pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore, costretto a vivere e a condividere le sue attività quotidiane con il solo genitore che di ciascuna area si occupa, ben consapevole che, in caso di critica o insoddisfazione per le scelte operate dall'uno, offrirà all'altro un'arma per un nuovo conflitto.
Inoltre, la mancata previsione della specificazione della residenza abituale del minore pone problemi non soltanto dal punto di vista pratico, anagrafico innanzitutto
(dove avrà la residenza il bambino? In quale stato di famiglia verrà iscritto? Quale genitore percepirà gli assegni familiari? Qual è la zona scolastica e sanitaria di competenza?), ma soprattutto per ciò che attiene ai criteri di assegnazione della casa familiare. E ciò inciderà negativamente anche sull'imprescindibile esigenza di stabilità dei minori.
Non minori perplessità - continua la camera minorile di Milano - suscita la previsione di contribuzione diretta al figlio maggiorenne non ancora economicamente autosufficiente. Con questa previsione si impone ai ragazzi all'ultimo anno della scuola superiore di essere i soli legittimati attivi alla citazione in giudizio nei confronti del genitore inadempiente ai propri obblighi di mantenimento. Questa ipotesi, che sembrerebbe, a primo avviso, promuovere l'autonomia del figlio divenuto maggiorenne, pone un ragazzo di soli 18 anni di fronte ad una grande conflittualità con il genitore che non partecipa - come avviene nel 50 per cento dei casi - in maniera equa alla ripartizione delle spese.
Non da ultimo, riteniamo che l'ascolto del minore non possa essere rimesso alla valutazione del giudice, né possa essere considerato un accertamento istruttorio, così come invece è previsto dall'attuale testo, all'articolo 155-sexies. In questo modo, infatti, il minore viene considerato come fonte di prova, magari a carico dell'uno o dell'altro genitore, e ne viene sminuito il ruolo nel processo, ruolo che invece da tempo la Convenzione internazionale (pensiamo alla Convenzione internazionale di Strasburgo) e la giurisprudenza della Corte costituzionale hanno posto in rilievo come una vera e propria parte, seppure speciale.
A questo proposito, vorrei ricordare che la Commissione affari sociali della Camera sta predisponendo una proposta di legge istitutiva della figura del difensore civico dell'infanzia, già previsto dalla normativa di numerosi paesi come una figura che rappresenta il superiore interesse del minore nei confronti della società. Questa è la figura che noi vedremmo con un ruolo importante di rappresentante dell'interesse del minore anche durante le cause di separazione dei genitori per gli aspetti concernenti il suo affidamento e le sue condizioni di vita ed economiche. Ciò perché il diritto del minore non può esser tutelato solo dal giudice, che è vincolato dalla posizione di terzietà. Vorremmo che il bambino fosse sentito direttamente, a qualunque età e con le modalità che sono necessarie in ogni caso, ma che fosse rappresentato da una figura garante dei suoi precipui interessi.
Ci sembra, infine, drammatica la previsione della revisione di tutte le sentenze già emesse in caso di separazione, ai sensi dell'ultimo articolo del provvedimento in discussione. Infatti, è evidente che con questa norma tutti i figli di coppie già separate vedrebbero riconsiderato un assetto già definito e consolidato, riaccendendo potenzialmente conflittualità già attenuate nel tempo e ridiscutendo situazioni riequilibrate.
Il collega Tarditi - che ora non vedo più - alla fine del suo intervento ci chiedeva di scegliere da che parte vogliamo stare. Credo di sapere da che parte noi di Rifondazione comunista, noi donne, vogliamo stare: vogliamo stare dalla parte del diritto di ogni bambino e di ogni bambina di vivere e di crescere il più serenamente possibile, anche se i suoi genitori hanno scelto di separarsi e di non vivere più insieme.
Per questo, credo che l'unica cosa che possiamo fare è quella di chiedere agli adulti di compiere un passo indietro - a tutti gli adulti: ai legislatori e anche ai genitori - e di porre, ma davvero, la soggettività del bambino al centro (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi arriva in quest'aula un provvedimento molto importante che è destinato a cambiare la vita quotidiana di milioni di persone, sul quale,
come Democratici di sinistra, ci siamo impegnati e ci impegneremo con grande serietà per dare un contributo costruttivo che cerchi di tenere in equilibrio il piano dei principi e dei valori con la consapevolezza della realtà sociale su cui questi principi vanno ad innestarsi.
Quello affermato dal testo in discussione è un principio di civiltà, ovvero il riconoscimento del diritto dei figli minori a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori anche in caso di separazione o divorzio o nel caso di scioglimento delle coppie di fatto. È un principio affermato dalla Convenzione dell'ONU sui diritti del minore ed è stato affermato per la prima volta nelle leggi del centrosinistra. In particolare, desidero ricordare la legge n. 53 del 2001 sui congedi parentali. Ad essa è ispirata tutta la cornice del nostro lavoro emendativo.
Tuttavia, anche in nome di ottimi principi - la storia ce lo insegna -, si possono adottare soluzioni sbagliate, come riteniamo siano alcune di quelle contenute nel testo in discussione. Si possono adottare soluzioni che si rivelano concretamente contrarie proprio a quei principi a cui dicono di ispirarsi, con un perverso effetto di eterogenesi dei fini.
Lungi da noi l'idea che si debbano lasciare le cose come stanno. Lo dico con chiarezza perché ci siamo sempre battuti, e continueremo a farlo, per incoraggiare il cambiamento sociale, per affermare un ruolo diverso delle donne nella società, nel lavoro e nella vita pubblica, per sconfiggere l'idea che la maternità sia un destino e non una scelta e per favorire la rottura della tradizionale distinzione di ruoli all'interno della famiglia.
Guardiamo con grande attenzione al fatto che la figura paterna sia arricchita, soprattutto nelle giovani generazioni, di contenuti e funzioni nuove. Siamo impegnati in prima linea e concretamente ad affermare pari opportunità fra i generi, a facilitare la conciliazione dei tempi di cura e di lavoro, ad avvicinare finalmente il nostro paese ai modelli del nord Europa, in cui - lo ricordo - si possono trovare Primi ministri che vanno in congedo da questa importante funzione per prendersi cura dei bambini, anche piccolissimi.
Siamo anche impegnati, tuttavia, a favorire una sempre maggiore diffusione della cultura dell'infanzia e l'affermazione non solo dei diritti teorici e astratti dei minori, ma anche del superiore interesse di ogni singolo bambino rispetto agli interessi degli adulti, anche quando questi adulti siano i suoi genitori.
Questo per noi è il punto centrale della questione. Non stiamo facendo una legge per la parità fra donne e uomini, per rivendicare diritti e poteri tra padri e madri, che pure è questione importante su cui molto ci sarebbe ancora da fare e non solo dopo la separazione e il divorzio.
Ci sarebbe da chiedersi, ad esempio, perché i figli vengono al mondo solo con il cognome del padre, al contrario di ciò che accade in altri paesi. Ci sarebbe da chiedersi perché le madri che non siano casalinghe secondo l'ISTAT sono impegnate nel lavoro sei ore e mezzo in più dei padri, pur avendo gli stessi orari di lavoro. Ci sarebbe da chiedersi perché essere madri separate, sempre secondo l'ISTAT, è un fattore di povertà, non certo di arricchimento, come suggeriva l'onorevole Lussana.
Ma non è questo il tema, che pure noi consideriamo importante.
Oggi noi ci stiamo preoccupando se dobbiamo credere alle intenzioni, dichiarate in tutte le numerose sedi interne ed esterne al Parlamento, di trovare le soluzioni più adeguate per tutelare i figli dalle conseguenze più negative della separazione tra i genitori. Dobbiamo assumere questo punto di vista prioritariamente, senza ipocrisia, con coerenza e serietà.
Le situazioni a cui si rivolge questo provvedimento - è sempre bene ricordarlo - non sono quelle in cui la separazione è vissuta serenamente dai coniugi, che concordano per continuare a svolgere il proprio ruolo genitoriale in maniera paritaria. Per tali situazioni l'ordinamento già prevede che si possa scegliere l'affidamento congiunto, scelta che viene effettuata da un numero crescente di coppie che si
separano. Questa proposta riguarda, piuttosto, tutte le altre coppie, dunque anche quelle che non sceglierebbero spontaneamente e di comune accordo di condividere la cura dei figli, e punta ad imporre in maniera pressoché automatica il nuovo modello di affido condiviso che viene ritenuto il più idoneo, anzi l'unico idoneo, a fare l'interesse dei figli.
Un conto è raccomandare la soluzione più desiderabile, farla diventare la prima opzione ed indicarla come via maestra per favorire il cambiamento sociale in atto: questa è una grande innovazione su cui siamo perfettamente d'accordo. Un altro conto è forzare per legge i comportamenti delle persone, invadendo in maniera rigida la sfera complicatissima delle relazioni personali ed affettive e scegliendo come orizzonte di riferimento non la realtà com'è, ma la realtà come dovrebbe essere, che per un legislatore è un errore fondamentale.
Pensiamo che in uno Stato liberale il rapporto tra la legge ed il costume debba sempre trovare la sua bussola orientativa nella libertà e nella responsabilità degli individui. Si possono suggerire le soluzioni che vengono ritenute eticamente superiore o, meglio, concretamente migliori. Si possono rendere perfino convenienti, ma non intimarle in maniera coatta, soprattutto in una sfera come quella della genitorialità che coinvolge l'ambito morale e culturale, prima di quello del diritto. Se non si vuole ottenere l'effetto contrario a quello desiderato occorre prendere in considerazione l'effettiva praticabilità di ogni soluzione alla luce della storia familiare e delle motivazioni che hanno causato la rottura del matrimonio, della maggiore o minore conflittualità tra i coniugi.
Lev Tolstoj, nell'incipit di Anna Karenina, afferma che le famiglie felici si assomigliano tutte, quelle infelici lo sono ciascuna in modo diverso: è una grande verità. La rigidità normativa rende impossibile verificare se il diritto astratto del minore alla bigenitorialità corrisponda all'interesse concreto di quel particolare bambino che viene costretto a dividersi sempre tra due persone, indipendentemente dalle loro condizioni di vita, dalla qualità della relazione reciproca e dalla loro convinta adesione a questo modello, indipendentemente dall'età dei figli - voglio ricordare che un matrimonio su quattro in Italia dura meno di sei anni, quindi si tratta di figli piccoli o anche piccolissimi - ed indipendentemente dal modello familiare precedente.
Sono stati richiamati nelle audizioni i dati dell'ISTAT secondo i quali sono solo il 20 per cento i padri che si assumono compiti di cura ed assistenza diretta nei confronti dei figli. Lo sappiamo: l'organizzazione familiare in Italia comporta ancora forti asimmetrie e pesanti deleghe. Dunque, può accadere che l'equilibrio che non si trova durante il matrimonio si sia costretti a trovarlo per legge dopo la separazione e non c'è la possibilità per un genitore di dichiararsi meno competente o adeguato, o anche solo meno capace di organizzarsi nei confronti dei figli. Il rischio è quello di esporre il bambino, il soggetto più vulnerabile e bisognoso di protezione, ai conflitti tra gli adulti più di quanto avvenga oggi.
È vero che il testo prevede che il giudice abbia la possibilità di affidare il bambino ad un solo genitore, ma è una possibilità solo teorica. Ciò avviene, infatti, solo su ricorso di un genitore e, in ogni caso, dopo che sia stato dimostrato che dall'affidamento condiviso possa derivargli un pregiudizio. Quindi, si avalla il principio - lo diceva bene poco fa l'onorevole Lucidi - che le scelte non devono essere a favore dell'interesse del minore, ma devono limitarsi a non creare pregiudizio al minore.
Questa prospettiva, a nostro avviso, va rovesciata. Inoltre, secondo questo meccanismo, il bambino deve intanto stare male per un po' di tempo, fino a che un genitore riesca a dimostrarlo al giudice. Ricordo tuttavia che il malessere può essere anche psicologico, e quindi difficile da dimostrare, ma persino difficile da rendere pubblico, se non lo si vuole aggravare. Qualora questo pregiudizio non sia possibile da dimostrare, il testo normativo contiene una previsione minacciosa, cioè
che il genitore ricorrente sia in qualche modo punito dal giudice, che può persino arrivare a privarlo della potestà.
In queste condizioni, nessun genitore avrà realisticamente il coraggio di presentare ricorso. Qui si è parlato a lungo delle legislazioni degli altri paesi. Ho sotto gli occhi il codice francese, che dice esattamente che: la via maestra è l'affidamento condiviso, perché ciascuno dei due genitori deve mantenere relazioni personali con il bambino e così via, rispettando quelle che il bambino ha con l'altro genitore. Ma poi il codice francese aggiunge che, se l'interesse del bambino lo richiede - quindi non se non si arreca pregiudizio al minore, bensì se l'interesse del bambino lo richiede - il giudice può affidare l'esercizio dell'autorità genitoriale ad uno dei due genitori. Non c'è quindi il meccanismo punitivo del ricorso, con le inevitabili sofferenze ed esso connesse. Prima di citare le legislazioni straniere, occorrerebbe pertanto leggerle.
Ciò che noi contestiamo è proprio questa rigidità, e non il principio dell'affidamento condiviso. Temiamo infatti che quando la legge vuole sostituirsi alla maturazione culturale delle persone, con la pretesa di farli diventare genitori responsabili con la forza del diritto, trattando nello stesso modo casi e circostanze diverse, il rischio è che la conflittualità possa aggravarsi, così come le conseguenze sui minori. Secondo i proponenti, in particolare l'onorevole Tarditi, questo rischio non c'è. Anzi, l'affidamento dei figli ad ambedue i genitori sarebbe una sorta di miracolosa terapia, che potrebbe sanare i conflitti, riequilibrando i diritti e i doveri tra i coniugi e disinnescando il rancore, che proprio questo squilibrio produce.
Secondo tutti i dati raccolti dagli operatori - lo dicevano poco fa anche altre colleghe - la grande maggioranza delle coppie che continuano a litigare dopo la separazione non lo fanno perché si contendono l'affidamento dei figli, bensì lo fanno per motivi economici, in particolare per l'assegno e per la casa coniugale. Al riguardo, cito dall'audizione del dottor Alberto Bucci, presidente della prima sezione del tribunale di Roma, che da questo punto di vista è un grande osservatorio: presso il tribunale di Roma ormai si presentano circa 15 mila coppie ogni anno, due terzi delle quali chiedono la separazione consensuale o un divorzio congiunto; solo 5 mila ricorsi riguardano separazioni contenziose o divorzi non consensuali, e meno della metà di questi coinvolgono decisioni sull'affidamento dei figli.
Allora proprio su questi due ultimi aspetti, il contenzioso economico e l'assegnazione della casa familiare, il testo in discussione presenta le maggiori criticità e lacune, che sarebbero destinate a nostro avviso a spargere benzina sul fuoco del conflitto. Il mantenimento, lo si è detto, è sempre in forma diretta, ma non si specifica attraverso quali strumenti si possa garantire al figlio - e non all'altro genitore - la certezza del mantenimento, come si possa prevedere a priori, ma soprattutto verificare a posteriori, la misura dell'obbligo economico che ciascun genitore assume; ciò al fine di assicurare un budget certo per il figlio ed esigibile in caso di inadempienza. Peraltro, in un momento in cui le famiglie si impoveriscono, la certezza del budget è fondamentale.
Se c'è accordo tra i coniugi, questo metodo del mantenimento diretto è senz'altro il migliore, perché non priva nessuno della gioia di contribuire direttamente al soddisfacimento dei bisogni dei bambini. Ma se questo accordo non c'è, possiamo facilmente immaginare la spirale di contrattazione e di rivendicazione quotidiana a cui viene esposto il bambino, o addirittura il meccanismo di competizione economica che si può innescare tra i diversi stili di vita e la diversa qualità dei consumi che vengono offerti al figlio, in questo modo incoraggiando le tendenze consumistiche indotte dal modello sociale ed addirittura coltivando una modalità di relazione - affetto in cambio di denaro - profondamente diseducativa.
Quanto alla casa familiare, non è indicato alcun criterio per la sua assegnazione, se non un generico criterio riferito all'interesse del bambino, con la conseguenza,
secondo noi, di aggravare il contenzioso che già offre tante occasioni di interventi ad avvocati e tribunali.
La questione di fondo è semplice: si pensa che l'affidamento condiviso implichi una perfetta divisione a metà della cura del bambino e, di conseguenza, un continuo pendolarismo fra le abitazioni dei genitori. Ma quale sarà la residenza del bambino? In quale stato di famiglia - lo domandava l'onorevole Burani Procaccini (non è un problema burocratico) - verrà iscritto il bambino? Quale sarà il suo distretto scolastico di competenza ed il suo distretto sanitario?
Vi sembra augurabile, colleghi - e mi rivolgo, in particolare, al sottosegretario Santelli, con cui abbiamo svolto molte discussioni in ordine a tali questioni - una soluzione simile? Non vi sembra degno di menzione, fra i criteri che devono ispirare il giudice, il diritto alla stabilità della residenza del bambino che, pure, è contemplato in tutte le altre legislazioni straniere?
Tutti gli studiosi dei problemi dell'età evolutiva che abbiamo ascoltato concordano nel sottolineare il bisogno, che tutti i bambini esprimono, di avere punti di riferimento certi. I bambini chiedono di essere rassicurati, di avere una vita ordinata che scorre su binari prevedibili, proprio perché sono in una fase di mutamento, di crescita e di formazione della loro personalità. I bambini chiedono, anzi pretendono - i genitori lo sanno - di fare sempre la stessa strada, quando si recano all'asilo, di ascoltare sempre la stessa fiaba, di vedere sempre lo stesso film. Il paesaggio domestico, i rapporti di vicinato e di quartiere, la familiarità degli spazi abitativi ed urbani sono elementi importanti per l'equilibrio di ciascuno di noi e, a maggior ragione, per l'equilibrio di ogni bambino. Per tale motivo, con i nostri emendamenti intendiamo inserire alcune previsioni, contemplate, peraltro, nelle altre legislazioni: mi riferisco all'indicazione, nel piano di affidamento concordato fra i coniugi o nel provvedimento del giudice, qualora i coniugi non siano d'accordo, del genitore con cui il figlio prevalentemente convive (non che sia l'unico addetto a prendersi cura di lui, ma che vi sia una continuità abitativa e di convivenza, almeno prevalente) ed al fatto di tenere conto, almeno tra i criteri, per quanto riguarda l'assegnazione della casa familiare, del suo diritto alla stabilità e alla continuità di residenza. Sono proposte semplici e di buonsenso che si ispirano alla concreta esperienza di ciascuno di noi.
La stabilità dei bambini viene ancor più messa a rischio dalla norma transitoria finale su cui vorrei soffermarmi brevemente.
L'articolo 710 del codice di procedura civile già prevede che, in qualunque momento, ciascuna parte possa chiedere la modifica dei provvedimenti riguardanti l'affidamento dei figli. Non si capisce perché sia necessario ribadirlo con una norma specifica che suona come un invito ad utilizzare la nuova legge come un'arma di riequilibrio dei poteri e dei doveri tra i coniugi, a dispetto del diritto dei bambini a godere di una serena stabilità.
Di che cosa stiamo parlando? Se noi calcoliamo l'universo dei figli tutt'oggi al di sotto della maggiore età che, dalla fine degli anni Ottanta, sono coinvolti in sentenze di separazione e di divorzio, emerge che oltre un milione di bambini e di adolescenti italiani potrebbero essere potenzialmente interessati dalla riapertura dei procedimenti, con la conseguenza, non secondaria, di un ulteriore tracollo del sistema giudiziario che lascio valutare a chi è più esperto di me.
La riapertura dei procedimenti, indipendentemente dal loro esito, dalla decisione del giudice, è di per sé un fattore di instabilità, di rimessa in discussione di abitudini consolidate, di un equilibrio affettivo che, magari a fatica, si è raggiunto nel tempo. Pertanto, questa norma si presta ad essere utilizzata come strumento di pressione, addirittura di minaccia, da parte di un genitore contro l'altro e, soprattutto, può agire come moltiplicatore di insicurezza per tanti bambini che hanno trovato una stabilità emotiva attraverso abitudini consolidate. Non lo dico io, ma
Piero Schlesinger, una grande autorità in questa materia.
Siamo tutti d'accordo che sarebbe di certo un'ottima cosa se i genitori, pur separandosi, riuscissero a decidere consensualmente tutto ciò che riguarda i figli ed a dedicare alla loro cura, a turno e serenamente, i tempi concordanti e modalità reciprocamente accettate, senza conflitti e senza rancori. Purtroppo, non viviamo nel migliore dei mondi possibili e, pertanto, accordare ad entrambi diritti di veto individuali non farebbe che fomentare assurde contese, perdendo di vista il bene più importante, che non può che essere la serenità del bambino e il suo interesse ad una vita familiare regolata e programmata con scelte stabili e costanti, e non continuamente rivedibili e rovesciabili.
Mi sono a lungo interrogata sul testo in esame, in quanto nel paese si è creato un clima di tifoseria per il quale chi esprime dubbi non sui principi, sui quali siamo ampiamente d'accordo, ma sui singoli aspetti attraverso i quali i principi si declinano diventa un nemico dei padri separati, un conservatore che ragiona con schemi del passato. Questo clima da amico-nemico non facilita il lavoro legislativo, che dovrebbe essere sempre estraneo alle speculazioni politiche.
Noi siamo dalla parte dei bambini e delle bambine, onorevole Tarditi, senza ideologia, senza ipocrisia, con pragmatismo e concretezza - e lo dimostreranno i nostri emendamenti quando saranno esaminati in quest'aula -, al di là delle convenienze elettorali, che non ci interessano su materie come questa. Di ciò rispondiamo in primo luogo con la nostra coscienza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo anche per evidenziare il lavoro svolto dal collega Mantini nella Commissione di merito.
Il tema dell'affidamento di minori a seguito di separazione o divorzio dei genitori è stato oggetto, nella precedente e anche nell'attuale legislatura, di numerose proposte di riforma più o meno ispirate dall'esigenza di favorire un modello condiviso di esercizio della potestà genitoriale anche dopo la separazione.
Ciò è evidente nel principale interesse del minore, il quale ha diritto di ricevere nel modo più compiuto e completo non solo le cure e l'assistenza, ma anche i benefici relazionali, formativi ed affettivi da entrambi i genitori, seppur separati o divorziati.
Contestualmente, occorre riconoscere che l'obbligo di educare, istruire e mantenere i figli non viene meno per effetto della pronuncia di separazione personale. Il testo di mediazione del relatore Paniz accoglie questo principio della bigenitorialità, estendendolo peraltro anche alle coppie non coniugate, nell'interesse dei figli. È un testo equilibrato, faticosamente raggiunto, che accoglie le nostre proposte essenziali, anche se ovviamente ci auguriamo che, durante l'esame in Assemblea, possano essere accolti emendamenti del centrosinistra in grado di migliorarlo.
Si può rilevare che, nella prassi, si riscontrano situazioni nelle quali il genitore convivente con il minore tende spesso ad utilizzare il suo status di affidatario per estraniare o marginalizzare l'apporto dell'altro (per l'85 per cento, il padre), che è relegato al ruolo di genitore del weekend o di ufficiale pagatore dell'assegno.
Da queste diverse esigenze, che riguardano un numero elevatissimo di casi (oltre il 25 per cento di separazioni ogni anno e più di 1 milione di figli di genitori separati) e diritti assai delicati, muovono le diverse proposte di riforma, in analogia rispetto alla legislazione europea e di altri Stati che da tempo conoscono l'istituto dell'affidamento congiunto e condiviso. Anche in Italia, peraltro, è riconosciuto l'affidamento congiunto dei figli minori su base consensuale, che è in aumento ma ancora in percentuali modeste (solo l'8 per cento circa).
Alcune proposte di legge presentate nell'attuale legislatura dalla maggioranza - in particolare, la proposta di legge dell'onorevole Tarditi - tendono ad introdurre un modello in un certo senso coercitivo di affidamento condiviso, ove il giudice ha il più ampio potere di definire un progetto di gestione del figlio minore diviso tra i genitori separati. Non è un modello, a nostro avviso, accettabile. In altri termini, il rischio contenuto in tali proposte di legge è quello di imporre, a chi non riesce a trovare autonomamente un modello condiviso, una divisione del figlio minore per parti e tra parti conflittuali: l'uno si occupa delle necessità primarie, l'altro dell'educazione sportiva; l'uno del mangiare, l'altro del rientro da scuola, e via dicendo.
Tuttavia, un tale e pur auspicabile modello di collaborazione può sussistere se vi è, appunto, la collaborazione tra genitori separati o divorziati, magari a seguito di un percorso stimolato e sostenuto dai centri di mediazione che con personale altamente qualificato spesso riescono a far maturare intese e forme di collaborazione.
Ma se la condivisione è imposta in situazioni conflittuali solo per via giudiziale il rischio concreto è quello di scaricare sul minore la permanente conflittualità esistente tra i genitori o, peggio, quello di utilizzare in una gestione quotidiana coatta il figlio come strumento di prosecuzione del conflitto e come mezzo per affermare le proprie ragioni nel contrasto in atto.
Nella consapevolezza di questa complessità, abbiamo ritenuto di proporre una riforma di soft law verificata attraverso decine di convegni ed incontri con numerose associazioni, come ad esempio - solo per citarne alcune - Crescere Insieme e Papà Separati.
In effetti, il mutamento culturale e sociale dei regimi familiari e genitoriali, in specie il diritto al lavoro delle donne e l'accresciuta partecipazione dei padri all'impegno genitoriale, non giustificano più il modello dell'affidamento esclusivo ad un genitore che comporta anche i vantaggi della casa e dell'assegno di mantenimento.
Anzi, spesso sono proprio questi «vantaggi indiretti» causa di conflittualità giudiziale, nella logica della Guerra dei Roses contro i Roses, per stare al titolo di un fortunato film. Esiste un'enorme sofferenza e molta ingiustizia nell'attuale stato di cose: una generazione di figli monogenitoriali, padri e nonni disperati, madri che spesso reclamano un maggiore aiuto.
La nostra proposta di legge ha teso ad introdurre poche, mirate, ma significative modifiche della disciplina codicistica: il riconoscimento della bigenitorialità; l'introduzione di un progetto condiviso tra i coniugi da presentare già al momento della separazione, per far maturare nella coppia la condivisione dell'esercizio in comune delle genitorialità; la facoltà di mantenimento diretto da parte di ciascun genitore, accompagnata però da un assegno perequativo. Altresì si stabilisce che i mutamenti di residenza che influiscono pesantemente sulla potestà genitoriale devono essere concordati.
La proposta di legge contiene poi significative innovazioni procedurali, volte a favorire sulla scorta delle esperienze maturate il più equilibrato ed efficace ruolo del giudice nelle controversie in materia. La proposta di legge stabilisce, inoltre, che la mancata corresponsione dell'assegno familiare per oltre tre mensilità costituisce reato ai sensi dell'articolo 570 del codice penale per la violazione degli obblighi di assistenza familiare; questa norma è stata introdotta per rafforzare il principio di responsabilità genitoriale e far fronte ai ricorrenti inadempimenti che penalizzano in genere la madre, attualmente affidataria, oltre che il figlio.
Come si può comprendere, il crinale della riforma è stretto. Occorre rimuovere il concetto di genitore affidatario, favorendo più libere e moderne forme di convivenza e di condivisione della genitorialità nell'interesse del minore, evitando però modelli autoritari. Quello attuale è un testo equilibrato che può essere migliorato in aula da tutto l'Ulivo, come noi auspichiamo.
Vorrei aggiungere in breve alcune considerazioni personali. Il dibattito svolto in quest'aula ha evidenziato che il tema esiste ed è all'ordine del giorno. Forse il testo presentato dal relatore può non essere sufficiente o adeguato, ma non vi è dubbio che il problema è presente.
Ho apprezzato l'intervento dell'onorevole Lucidi. Tuttavia, mi chiedo come possa non essere proprio il Parlamento, ovvero il luogo dove si formano le leggi, la sede idonea in cui discutere tali argomenti, proprio perché insistono ed hanno grande importanza nella regolazione dei rapporti, in particolare in base al principio della tutela del minore. Il Parlamento è invece la sede idonea sulla base di un dibattito democratico.
Signor Presidente, come poche volte accade in quest'aula, il provvedimento in oggetto taglia in maniera trasversale le parti politiche perché credo che esistano posizioni differenziate all'interno di tutti i gruppi. Per tali ragioni, ritengo che il Parlamento sia la sede idonea in cui trattare tale tema, indubbiamente presente nella società, perché è evidente che la situazione attuale segna il passo rispetto ai profondi cambiamenti avvenuti all'interno dei rapporti tra genitori e figli minori. Ribadisco che a mio giudizio spetta proprio al Parlamento e a questo dibattito il compito di aiutarci a migliorare il testo. Inoltre, dobbiamo essere consapevoli che tale argomento non può più essere rimosso perché è ormai evidente a tutti.
Sono sempre un po' preoccupato - mi dispiace che non sia presente la collega Valpiana - quando sento affrontare alcuni argomenti parlando di categorie di persone positive e di persone negative, dando per scontato che esistano dati di fatto che ci consentano di affermare che tutte le persone appartenenti a una categoria si comportano in un modo e che tutte le persone appartenenti ad un'altra categoria si comportano in un altro modo.
So quanti problemi vi siano e quanti problemi incontrino le donne nella gestione delle conseguenze derivanti da una separazione. Non vi è dubbio che si tratti di una questione della quale dobbiamo farci tutti carico, ma non mi sento di condividere alcune affermazioni che ho ascoltato in virtù delle quali esiste una categoria, addirittura nel 95 per cento dei casi, di padri inaffidabili, sulla base delle loro vicende personali. C'è molto sommerso: mi rivolgo alle mie amiche e colleghe del centrosinistra, in quanto ciascuno di noi, per la propria formazione culturale, è stato spesso costretto a interrogarsi su questioni che erano al di fuori della propria sfera personale, poiché eravamo privi di un approccio culturale che ci consentisse, o meglio, ci abituasse ad affrontare con il dovuto rispetto i problemi delle donne.
Ritengo che siano stati compiuti alcuni passi in avanti, grazie anche all'iniziativa delle donne e dei movimenti femministi. Va tuttavia ricordato che su questo tema, come su altri, c'è molto sommerso, che dobbiamo riuscire a far emergere affinché le nostre valutazioni e conclusioni siano effettivamente adeguate e giuste, e in quanto tali esse devono certamente ricomprendere il valore della tutela del minore, che tuttavia deve essere considerato a 360 gradi: specularmente a quanto affermato da alcuni colleghi, non ritengo che dalle percentuali relative alle decisioni di affidamento emergano sempre le numerose contraddizioni e i numerosi problemi che si verificano in quel 95 per cento di affidamenti che viene negato ai genitori uomini. Vi è la necessità di trovare un equilibrio che consenta di migliorare, in queste situazioni, la condizione dei minori.
La status quo è inadeguato: vi è un problema che deve essere affrontato, e credo che il Parlamento, attraverso il lavoro svolto anche nella Commissione, non soltanto in questa legislatura, sia nelle condizioni di procedere a un'innovazione normativa che consenta di raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati (Applausi dei deputati della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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