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PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 e delle proposte emendative ad esso riferite (vedi l'allegato A - A.C. 4636-bis-B sezione 6).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la quantità di osservazioni che possono essere formulate sull'articolo 2 di questo disegno di legge è tale che costringe me e, credo, gli altri colleghi dell'opposizione che interverranno a farne soltanto alcune; si tratta di osservazioni che, però, dovrebbero ottenere l'attenzione dei colleghi della maggioranza non perché essi possano compiutamente condividerle, ma quantomeno perché possano interrogarsi sul fatto che le finalità
esplicite sulle quali esiste a quanto pare una così forte coalizione delle forze della maggioranza possano essere perseguite.
A nostro avviso, avete messo in piedi, in questo continuo fare e disfare, in questa tela di Penelope che ha cercato di mettere insieme - è il caso di dirlo - opinioni assolutamente contrastanti tra loro e finalità ambigue e certamente estranee a quelle di assicurare un miglior giudice all'Italia, qualcosa per cui alla fine vi siete incartati.
L'onorevole Bonito, poc'anzi, rilevava alcune assurdità ed errori materiali nel testo; io ne sottolineerò uno soltanto. Vorrei ricordarvi un'altra vicenda parlamentare recente nella quale, per esservi ostinati su un testo, siete stati costretti a doverlo riesaminare a seguito di un rinvio per errore materiale operato dalla Presidenza della Repubblica.
La prima questione, forse la più emblematica, quella per la quale paradossalmente protestano contro questo disegno di legge insieme gli avvocati penalisti e i magistrati italiani, e su cui si interrogano tanti cittadini, riguarda la vostra pretesa separazione delle funzioni. Non siete stati neanche capaci di mettere in campo un meccanismo che funzioni e spiegherò brevemente, ai colleghi della maggioranza che ne abbiano interesse e a quelli dell'opposizione che non abbiano ancora colto il senso della questione, di cosa si tratti.
Tutto inizia con una solennissima proclamazione di intenti, sancita dalla previsione che chi voglia affrontare il concorso per uditore giudiziario dovrà addirittura indicare nella domanda, a pena di inammissibilità (poi qualcuno mi spiegherà perché «a pena di inammissibilità»), se, una volta divenuto magistrato, intenda esercitare le funzioni requirenti piuttosto che quelle giudicanti. E però, diranno i colleghi leggendo questa parte del testo, come è vincolante questa distinzione delle funzioni, con quanta cura la maggioranza sta perseguendo questo fine...!
Peccato, però, che, superato l'esame ed espletato il tirocinio, colui che ha conseguito la nomina ad uditore giudiziario potrà esercitare le funzioni giudicanti o quelle requirenti (a seconda della richiesta formulata nella domanda) esclusivamente nei limiti dei posti disponibili.
A questo punto, non è necessario essere Cassandra per fare una facilissima previsione: visto che, una volta scelta una funzione, non c'è più possibilità di transitare all'altra, accadrà che i giovani uditori, preoccupati dell'eventualità di una separazione delle carriere che sottoponga il pubblico ministero al controllo dell'Esecutivo, chiederanno quasi tutti di fare i magistrati giudicanti. Il risultato paradossale della vostra proposta sarà il seguente: faranno i pubblici ministeri coloro i quali hanno richiesto, invece, di fare i giudici! Questo è il primo segno di una smagliatura nella traduzione nel testo della vostra proclamata ambizione.
Non crediate che le mie parole siano dettate da malevolenza: ne pronunciai di analoghe quando avete approvato la riforma elettorale del Consiglio superiore della magistratura. In quell'occasione, vi proponevate di bloccare le correnti e, soprattutto, di evitare che ci fosse un'egemonia dei magistrati di sinistra. Il risultato fu che, alla prima elezione susseguente, la componente di sinistra della magistratura stravinse! Allora, quando vi proponiamo le nostre osservazioni, abbiate il buon senso di non pensare che esse siano fondate soltanto sul nostro malanimo o sulla nostra proterva ed irragionevole opposizione: vi stiamo segnalando un punto da prendere in considerazione! Io vi dico che fra dieci anni, ammesso che il testo in esame sia ancora in vigore (per quanto ci riguarda, appena potremo lo cambieremo!), sarete costretti a darci ragione perché accadrà esattamente quello che prevediamo: quale distinzione delle funzioni? Avremo ragazzi che, pur avendo espresso l'intenzione di fare i giudici, andranno a fare obbligatoriamente i pubblici ministeri: non ci sarà altra possibilità; non ci sarà alcuna distinzione delle funzioni!
Desidero segnalare un altro aspetto che abbiamo già trattato in occasione dell'esame della questione sospensiva: un malaugurato emendamento presentato da un collega di Forza Italia nel corso della
precedente lettura alla Camera (mi perdoni il collega che si sentirà chiamato in causa ma, ovviamente, non ho niente contro di lui; forse, si trattava di una proposta presentata per ingraziarsi la benevolenza di qualcuno ...) era volto a stabilire che, qualora un giovane o una giovane avente i prescritti requisiti presentasse una domanda per partecipare al concorso per uditore giudiziario, dovesse essere sottoposto - già in quel momento, senza avere superato alcuna prova d'esame! - ad un test psicoattitudinale.
Una tale previsione era francamente ridicola e si poteva giustificare solo sulla base della motivazione che chi vuole fare il magistrato deve essere pazzo, appunto! Ovviamente, non c'è la possibilità di sottoporre a test psicoattitudinale le migliaia di ragazzi e ragazze che presentano domanda di partecipazione al concorso per uditore giudiziario. Allora, con un escamotage altrettanto ridicolo e grottesco, si era pensato di sottoporre al test coloro i quali superassero le prove scritte. Ovviamente, i test psicoattitudinali sono una cosa seria: hanno fondamento scientifico e, pertanto, vanno somministrati, secondo il linguaggio tecnico, da soggetti che abbiano la competenza per farlo. La suddetta previsione si scontrava con il fatto che, come al solito, volete fare le grandi riforme senza spendere una lira! In altre parole, non era possibile applicare in concreto la disposizione.
Nel testo trasmesso dal Senato, che siamo chiamati ad approvare (a meno che non approviate i nostri emendamenti), si prevede che i test psicoattitudinali - ne parlerà più tardi l'onorevole Magnolfi, che è un'esperta in materia - siano somministrati da un professore universitario settantenne (piuttosto che da un alto magistrato di Cassazione). Quest'ultimo sarà sicuramente un pozzo di scienza giuridica, ma mi dovete spiegare che diavolo ne sa di test psicoattitudinali e di esame dei profili psicologici del candidato!
Anche qui, come vedete, la vostra conclamata «ferocia» e la vostra - lasciatemelo dire - pregiudiziale avversione, anche troppo esplicita, nei confronti di coloro i quali debbono fare un mestiere che a voi non piace (qualcuno deve pur farlo; e badate che c'è qualcuno a cui piace farlo, guardate un po'!) sono disvelate da una soluzione che, francamente, appare paradossale e grottesca: fa ridere! Nessuna impresa adotterebbe un sistema siffatto!
Dopodiché, comincia la previsione del tourbillon dei concorsi. Mi chiedo chi lavorerà in magistratura, perché saranno tutti o candidati o componenti delle commissioni di concorso. Mi domando, dunque, in che modo dovrebbe procedere il lavoro ordinario degli uffici. Questo sistema si scontra con l'accusa che voi - lo ripeto: voi - rivolgete continuamente alla magistratura italiana, ossia che i magistrati italiani non lavorano abbastanza. Ebbene, in questo modo lavoreranno ancora meno, perché saranno impegnati a prepararsi per i concorsi.
Quando in Italia c'erano i concorsi (furono abbandonati, perché non funzionavano), il magistrato più serio e più attaccato al lavoro prendeva sei mesi di aspettativa per presentarsi al concorso e ne espletava uno o due nella sua vita. In questo modo, gliene fate fare quattro o cinque nel corso dell'esperienza professionale e, mediamente, dovrà sottrarre almeno un anno di lavoro agli uffici. Quindi, anche da questo punto di vista ancora non si comprende dove diavolo volete andare a parare. Peraltro questo concorso è diventato una vera burletta. Forse sarebbe stato più semplice sottoporre a verifica costante e continua il suo lavoro, la sua laboriosità ed il suo impegno; avremmo avuto un giudizio più sereno, più obiettivo ed un giudice migliore, senza distrarlo dai suoi compiti di istituto.
Poi ci sono gli errori materiali. In questo testo ne avete seminati più di uno, per la ovvia ragione che si tratta di un testo molto farraginoso, complesso ed incomprensibile, non suscettibile di una lettura che dia immediati frutti di comprensione; noi lo abbiamo letto più volte e, nonostante le nostre limitate capacità intellettive, crediamo di aver ormai una certa dimestichezza con questo testo; avete
commesso di tanto in tanto alcuni errori materiali. Al Senato, per richiamare un esempio, vi siete resi conto della necessità di eliminare coloro i quali concorrevano alle funzioni semidirettive dall'ambito del conferimento di alcune funzioni; di conseguenza, lo avete riservato alle funzioni direttive, ma, nella riga successiva, vi siete dimenticati il riferimento alle funzioni semidirettive. Vi ricordo che, in un'occasione recente, un provvedimento che avete voluto approvare in fretta e in furia senza dare ascolto alle nostre (se volete anche un po' pedanti, ce ne rendiamo conto) osservazioni, il Presidente della Repubblica è stato costretto a rimandarvelo indietro. Qua c'è un altro esempio tipico di un testo viziato materialmente, in una parte non correggibile, perché sottoposta ad una doppia lettura.
Avete poi introdotto il criterio meritocratico: indicate una percentuale del 30 per cento per i magistrati che, pur non avendo l'anzianità, possono aspirare alla funzione superiore; per questo, possono fare un concorso apposito; lo ripeto, una percentuale del 30 per cento.
Vorrei porvi la seguente domanda: credete che, in un paese moderno, in cui il sistema giustizia funzioni e sia considerato co-fattore della competitività, sia giusto che il giudice di primo grado sia un giudice bravo professionalmente, competente, autorevole ed affidabile, in modo da scoraggiare il ricorso continuo all'appello? Pensate sia giusto che il primo impatto che i cittadini italiani hanno con la giustizia sia con un giudice preparato professionalmente ed esperiente? Se pensate di no (evidentemente credete di no), dovete adottare il sistema che avete disegnato. Se, invece, pensate che debba andare diversamente, ossia che occorre fare in modo che, in primo grado, vi siano giudici bravi, preparati e soprattutto con un'esperienza professionale, dovere prendere questa riforma e buttarla via. Ma voi evidentemente pensate il contrario. Soprattutto, non si capisce come facciate a tenere insieme un testo che sguarnisce il primo grado dei giudici migliori; peraltro, qualche tempo fa, con l'unanimità di quest'Assemblea, si è deciso di creare sezioni specializzate in materia di marchi e brevetti perché, lo abbiamo detto, occorre dare alle imprese e al sistema economico produttivo italiano (nella scorsa legislatura, non in questa) magistrati preparati specificamente su questo punto; e dio sa se oggi, in una società in continua evoluzione e in cui è forte la domanda di specializzazione proveniente dal settore economico ed imprenditoriale di questo paese, c'è bisogno di magistrati che in primo grado siano specializzati.
No, voi dite: guardate, è molto semplice, avete la possibilità di andare in appello - sguarnendo di professionalità e di esperienze il primo grado - e quello che poi viene reso in termini di servizi ai cittadini e al mondo delle imprese non importa; l'importante è introdurre un criterio meritocratico. Ma meritocratico rispetto a cosa, colleghi? Rispetto a che cosa? Io credo che la meritocrazia abbia un senso se posta al servizio dei cittadini. Noi sosteniamo la meritocrazia per fare in modo che i cittadini sappiano che i giudici, che voi ritenete, in base a questo sistema di selezione, siano i più bravi, saranno tutti di secondo grado, e non di primo grado. Vi pare una cosa seria questa? Vi sembra che bisogna obbligare i cittadini ad andare comunque in appello, sopportare le spese del giudizio e, soprattutto, maturare una diffidenza nei confronti del giudice di primo grado, del primo giudice della loro causa, del loro diritto? Io, francamente, non lo capisco!
La verità è che state tentando di mettere in piedi un sistema in cui la giurisdizione diventi - secondo voi, secondo questo sistema di concorsi - omogenea, o per meglio dire neutra; non imparziale, colleghi, perché non è l'imparzialità che vi importa, ma la neutralità dell'agire giurisdizionale. Io credo che siate fuori strada, non perché mi importi, in questa fase e in questo momento, cosa ne pensano i magistrati italiani, ma perché penso che un giudice come quello disegnato da questa riforma sia disutile per la modernità di questo paese, un giudice che non funziona rispetto alla richiesta pressante di avere
giudici competenti, con esperienza già in primo grado, che ci viene dal mondo economico-imprenditoriale, dai cittadini, a cui non piace affatto andare in appello e poi in Cassazione e che vorrebbero subito trovare risposta alla loro domanda di giustizia o sentirsi giudicati imparzialmente, professionalmente, sulla base di una competenza e di un'esperienza maturati già a partire dal primo grado di giudizio. Questo è il punto, colleghi.
Questo giudice è un giudice vecchio, che non servirà alla modernizzazione del paese. Avete studiato un sistema di selezione che non coglie, tra l'altro, la complessità della valutazione di un magistrato. Un magistrato non si valuta soltanto se scrive una bella sentenza, colleghi - voi ce lo dite ogni giorno, ed è giusto -, si valuta dal suo equilibrio, dalla sua esperienza, dalla sua capacità di lavoro, dal suo riserbo e dalla sua attitudine a dirigere gli uffici. La verità è che voi state facendo un'operazione che è tutta conservatrice! Non mi riferisco tanto - eppure bisognerebbe farlo - alla domanda di giustizia minuta; mi chiedo come questo giudice possa servire - lo ripeto - un paese moderno, nel quale la risposta giudiziaria ha una tale autorevolezza già in primo grado da rendere più snelle le procedure, più affidabile il giudicato, anche per coloro i quali si trovano ad operare continuamente ed hanno bisogno di fare riferimento ad una giurisdizione, a sentenze, a principi che possano orientarli e, soprattutto, ad una giustizia che non abbia bisogno sempre di ascendere al secondo grado, di arrivare in Cassazione.
Mi limito a queste osservazioni, perché anche altri colleghi interverranno. Stiamo conducendo una battaglia comune che unisce tutte le forze dell'opposizione, per farvi comprendere, al di là di quella che può essere stata la strumentalizzazione anche mediatica, che ciò di cui stiamo parlando non rappresenta un pezzo del Parlamento che si schiera insieme all'Associazione nazionale magistrati nell'avversione a questo disegno di legge. Voglio solo ricordarvi che le proposte di Flick vennero avversate dall'Associazione nazionale magistrati nella scorsa legislatura e oggi avremmo potuto ragionare insieme su di esse. La nostra avversione nasce dal fatto che pensiamo che, alla fine, questo ordinamento giudiziario, che peraltro non ha neanche copertura, non garantirà al paese né competitività né, soprattutto, la modernizzazione di uno degli strumenti essenziali per il buon funzionamento dello Stato, per la soddisfazione della domanda di giustizia che viene dai cittadini e dall'impresa, per la competitività complessiva del nostro paese.
Questo è il senso delle nostre dichiarazioni, a fronte dei mesi trascorsi che ci hanno visto a lungo impegnati nel tentativo di indurvi a riflettere sul provvedimento in esame, attraverso la presentazione di testi alternativi dei relatori di minoranza e di centinaia di proposte emendative. Ma, per così dire, non avete voluto udire, sicché mi chiedo cosa oggi, con l'approvazione di questo disegno di legge, ritenete di ottenere. Se il prezzo è una ritrovata, contingente e occasionale unità, francamente - lasciatemelo dire -, il prezzo è vile! Nella storia della modernità di questo paese, non verrete davvero ricordati per questo; piuttosto, occorrerà del tempo per recuperare la situazione determinatasi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Avverto che la Conferenza dei presidenti di gruppo è immediatamente convocata.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, intervengo ancora una volta su questo provvedimento - il cui iter è ormai giunto, per così dire, alle battute finali - al fine di richiamare l'Assemblea ad un dovere di verifica, se ancora ne esistono i presupposti e le condizioni, e soprattutto ad una resipiscenza postuma, a fronte di un provvedimento che non merita di essere né apprezzato né approvato.
GIUSEPPE FANFANI. Ciò, per le caratteristiche di inutilità e di inaccettabilità complessiva, nonché per le fratture che esso induce all'interno della magistratura e dell'avvocatura; mondi, questi, che, entrambi in maniera univoca, chiara e decisa, hanno ostacolato l'approvazione di questo progetto dichiarando la propria fondamentale contrarietà.
Ma l'offesa maggiore recata dal provvedimento in esame (e dall'iter che lo ha caratterizzato) ha riguardato questa Assemblea e la razionalità che deve sempre presiedere all'approvazione di riforme che il ministro ha definito epocali; ed a ragione, perché una riforma così malfatta, da parte di questo Parlamento, non era stata mai approvata. Sotto tale profilo, definirla epocale è certamente corretto.
Ma non è neanche tutta colpa del Governo, signori della maggioranza. Infatti, il disegno di legge presentato dal Governo era completamente diverso, ma è stato «stravolto» nel corso dell'esame al Senato, giungendo, quindi, all'altro ramo del Parlamento in un testo completamente differente da quello originario. Ciò, per essere, quindi, nuovamente stravolto nel corso dell'esame condotto dalla Camera dei deputati, a causa di una proposta emendativa presentata dal collega e relatore Nitto Palma, di cui ora richiamo l'attenzione, atteso che al momento è alquanto distratto. Ebbene, tale proposta emendativa portò poi all'emendamento che fu approvato da questa Assemblea il 30 giugno dell'anno corrente; ciò, attraverso tutta una serie di colloqui, di confronti che avevano ed ebbero la caratteristica negativa di essere tutti limitati ed interni alla maggioranza e che non tennero in alcun conto né le indicazioni originarie recate dal provvedimento di legge voluto e presentato dal Governo né le indicazioni successive recate dalla lettura del Senato della Repubblica.
Non so chi avesse ragione in questa dialettica, e non pretendo di chiarirlo; non mi interessa neppure, in quanto essa è stata promossa, gestita e definita dalla maggioranza al suo interno, negando all'opposizione qualsiasi possibilità di intervento, fuorché in Commissione. Vi ricordo, infatti, quanto avvenne il 30 di giugno di quest'anno, in questa Assemblea, quando tutti noi, avendo dinanzi il testo approvato dalla Commissione, fummo invece costretti a votare un maxiemendamento sottoposto al nostro esame quella mattina stessa, senza che nessuno ne conoscesse il testo, neanche quanti votarono a favore; peraltro, con un voto di fiducia che recava offesa anzitutto al senso del confronto democratico che deve caratterizzare i lavori di questa Assemblea.
Si è trattato di un metodo inaccettabile, caratterizzato da un rifiuto del confronto che è tuttavia perdurato. Il testo del provvedimento di riforma dell'ordinamento giudiziario, infatti, è tornato all'esame del Senato, ed è successivamente ritornato alla Camera dei deputati avendo subito pochissime modifiche.
Vorrei osservare che tali modifiche non sono state il frutto del confronto, a volte acceso, che anche presso l'altro ramo del Parlamento si era svolto sul provvedimento in esame, confronto che la minoranza aveva condotto attraverso la presentazione di una serie di proposte emendative, al fine di migliorare il testo, che sul finire della discussione sono state tuttavia «strozzate». Le modifiche, infatti, furono dovute esclusivamente ai piccoli aggiustamenti sollecitati a fronte di una polemica, tutta interna alla maggioranza, condotta dall'UDC, che non intravedeva, in quel testo, la possibilità di salvare la propria dignità di partito, nonché la propria autonomia di pensiero ed il proprio passato, profondamente democratico: mi riferisco, in sostanza, a quel senso della democrazia che deve presiedere all'esame di ogni provvedimento di legge. Furono questi i veri motivi - al di là delle beghe interne al Governo, che non ci interessano - che portarono all'introduzione di quelle poche modifiche da parte del Senato della Repubblica.
Il testo del provvedimento, quindi, è tornato all'esame della Camera deputati nella veste in cui oggi ci accingiamo ad approvarlo, con tutte le perplessità dovute non al suo contenuto, oppure alla sensazione di sconfitta che possono nutrire coloro che hanno combattuto un disegno di legge, ritenendolo fondamentalmente negativo per il futuro del nostro paese, ma soprattutto alla consapevolezza degli effetti negativi che esso, per quanto modesto, riuscirà a produrre nella struttura complessiva della giurisdizione italiana!
Come è stato precedentemente ricordato dall'onorevole Finocchiaro, infatti, è nei suoi contenuti che il testo in esame, al di là della forma e del metodo con cui è stato approvato, presenta i suoi massimi profili di criticabilità, partendo in primo luogo dall'ingresso in magistratura, modificato sull'onda della necessità di separare le carriere, ovvero le funzioni dei magistrati, poiché ciò corrispondeva ad un intento punitivo che, nel provvedimento, non è stato mai sottaciuto, posto che lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, più volte, lo ha dichiaratamente enunciato. Ciò ha sempre sotteso la formulazione del disegno di legge in esame, ed oggi tale intento si rivela in tutta la sua pervicace nefandezza.
Quando parliamo dell'accesso in magistratura, allora, non possiamo non tener conto che quella che definiamo cultura della giurisdizione, vale a dire l'equilibrio di fondo che deve portare il magistrato inquirente a comprendere la differenza esistente tra legittima intuizione investigativa e senso della prova, non può essere di chi, fin dall'età giovanissima, è chiamato a svolgere esclusivamente funzioni requirenti. Onorevoli colleghi, vorrei dirvi che, nel momento in cui prospettate quella condizione di accesso in magistratura, ovvero di permanenza, definita «equilibrio», da raggiungersi attraverso l'esame psicoattitudinale che numerosi problemi ha sollevato, state affrontando un problema falso in maniera contraddittoria.
Si tratta di un problema falso, perché non ha senso discutere di correttezza psichica riguardo a soggetti per i quali la premessa necessaria, e costantemente immanente, deve essere proprio un equilibrio di fondo, poiché ad essi è affidato il futuro dei cittadini, nonché l'esercizio di quel discrimine che distingue il giudice da tutte le altre attività che possono essere rese al servizio dei cittadini.
Ma quando voi strutturate un sistema di accesso che nega, fin dall'inizio, il confronto con il sistema del giudizio, affidando la funzione requirente a coloro che - se non nei primi tre anni di formazione - non saranno mai venuti a contatto con la cultura della giurisdizione - vi parla un avvocato, non un magistrato -, affidate un servizio a chi lo svolgerà probabilmente in maniera pericolosa. Diffiderei, per mia impostazione culturale, da chi, fin dall'età giovanile, decidesse di svolgere la funzione di pubblico ministero per tutta la propria vita. Ciò anche perché, dopo oltre 34 anni di esperienza professionale, vi posso dire che i migliori pubblici ministeri che ho conosciuto sono quelli che avevano svolto anche esperienza giudicante.
Vi dico che su tale punto voi dovete svolgere ancora una riflessione, come la dovreste svolgere sulla terribile destrutturazione di tutto il giudizio di primo grado che, con il sistema della progressione in carriera, state mettendo in essere. Vi è stato infatti ricordato in precedenza - ed a ragione - che, il momento in cui si realizza il contatto tra cittadini e giurisdizione non è in grado di appello o in Cassazione, ma è nel processo di primo grado, in cui il cittadino è a colloquio diretto, si confronta, si guarda negli occhi con colui che lo deve giudicare, con il pubblico ministero che lo rinvia a giudizio e con il giudice per le indagini preliminari, che deve decidere se far celebrare un processo a suo carico o fargli terminare in quel momento il calvario giudiziario.
In queste sedi si consuma il vero rapporto tra cittadino e giurisdizione; non dopo, in quel verticismo in cui la giurisdizione e la giustizia divengono fattori sempre più astratti, meno vicini alle esigenze dei cittadini. Proprio per ciò, un sistema di progressione di carriera meritocratico,
quale quello che avete immaginato, intanto potrebbe essere accettabile in quanto consentisse e conservasse la possibilità di progredire in carriera permanendo nelle funzioni di primo grado. Neanche in merito a ciò, che è un dato ovvio, e da tutti condiviso - anche da parte dell'avvocatura - avete voluto accettare un confronto. Così come non lo avete voluto accettare sulla gerarchizzazione delle procure, che necessitano di un coordinamento. Chi vi parla aveva, addirittura, proposto una decisione collegiale sull'emanazione dei provvedimenti cautelari, a maggior dimostrazione del garantismo che promana da chi vi parla. Non si possono, tuttavia, consentire soluzioni come quelle alle quali ci troviamo di fronte e nelle quali, troppo spesso, l'affidare l'azione penale a poco più di 200 pubblici ministeri, sparsi in tutta Italia, soggetti ad una struttura verticistica e ad un sistema di controllo che attraverso strade - ancorché indirette - riporta al ministro, significa creare una contiguità, che non è il controllo che ciascuno di noi avrebbe voluto o il coordinamento assolutamente necessario per far sì che le procure si muovano allo stesso modo, con equilibrio e con rispetto nei confronti dei cittadini, ma solo un sistema indiretto e occulto volto a creare le condizioni per affidare l'azione penale a soggetti controllabili e ricondurla, bene o male, al controllo di chi la Costituzione repubblicana ha voluto tener lontano dall'esercizio di una funzione che rappresenta, essa stessa, i principi di libertà e uguaglianza tra cittadini.
Accanto a tutto ciò, vi siete dimenticati dei problemi veri in materia di giustizia, della cui soluzione questo paese necessita.
Oggi, voi vi affannate dietro episodi di sangue, che mettono a nudo la pericolosità del nostro convivere civile e l'inefficienza dei sistemi di sicurezza.
Voi vi state affannando a domandarvi se dovete inserire il «pacchetto» in un decreto-legge ovvero nella proposta di legge Cirielli ed altri. Ma vi rendete conto che, nel momento stesso in cui rivelate pubblicamente sulla stampa questa vostra ricerca affannosa del sistema più veloce, denunciate che da tre anni e mezzo non avete fatto niente? Non siete stati all'altezza di predisporre un provvedimento del quale oggi non vi sarebbe stato bisogno, se l'aveste fatto prima e bene!
Invece, oggi correte ai ripari, perché in questi tre anni, in realtà, avete inseguito provvedimenti diversi, provvedimenti dei quali si conoscevano nome, cognome e indirizzo dei destinatari, provvedimenti da tutti denunciati come illeciti, provvedimenti che sapevano di interessi non sempre lodevoli.
Ed oggi si risponde al problema «sicurezza» attraverso l'evocazione delle taglie. Ma non vi vergognate? Avete avuto tempo sufficiente per strutturare un sistema che avrebbe consentito di affrontare questo problema anche nelle città più a rischio, in termini di razionalità, di maggiore efficienza e di miglior distribuzione delle energie sul territorio. Neanche una parola, al di là di alcuni tentativi, dei quali, peraltro, devo dare atto a chi li ha prospettati, sulla correttezza degli intendimenti e nulla è stato fatto in ordine alla velocizzazione dei processi; allo stesso modo, nulla è stato fatto in ordine al reperimento delle risorse finanziarie per far funzionare il sistema.
Voi avete respinto una questione pregiudiziale, a prima firma dell'onorevole Boccia, con una nonchalance che, in realtà, denuncia la superficialità esclusiva dell'analisi del problema. Infatti, in quella questione pregiudiziale erano analiticamente indicate, voce per voce, tutte le mancate coperture che non consentiranno il funzionamento di tale riforma. Soprattutto, avete dimenticato che, in questi anni, il bilancio della giustizia non è stato ridotto, bensì taglieggiato in continuazione. E sperate di affrontare e risolvere un problema così impegnativo, come la riforma della giustizia o il funzionamento del servizio nell'interesse dei cittadini, senza pensare a quanti denari dovrete spendere? Ovvero, immaginate che ciò possa essere realizzato tagliando o limando le pochissime risorse già esistenti nel bilancio dello Stato per far funzionare il sistema?
Non ho ascoltato una sola parola in ordine al sistema carcerario. Credete veramente di poter affrontare il problema della sicurezza senza affrontare funditus quello delle carceri e senza affrontare il problema della rieducazione dei carcerati, per offrire loro condizioni di vita dignitose, che consentano, da un lato, di dare sfogo alle aspirazioni di giustizia sociale che devono esserci (e presuppongo vi siano) in ciascuno di noi e, dall'altro, per fare in modo che costoro, una volta usciti, possano avere una chance di vita dignitosa?
Nel nostro paese non esiste la pena di morte e, in concreto, non esiste più neanche la reclusione a vita: pertanto, prima o poi, coloro che finiscono in carcere torneranno nella società civile. Se preferite mettere le taglie sui delinquenti per poterli arrestare, ma non pensate a come farli rientrare in condizioni accettabili nella nostra società, vuol dire che non vi siete posti il problema di fondo: come costruire un sistema che, attraverso la rieducazione, possa garantire alla società di evolversi correttamente. Non bisogna essere cristiani - come provo faticosamente ad essere - per avere nel cuore un'aspirazione di questo tipo. Bisogna essere coscienti che la nostra è una società complessa, nella quale vi deve essere spazio anche per le 56 mila persone che vivono in carcere.
Buona parte delle condizioni che li hanno portati a delinquere e ad essere quello che sono risultano endemiche al tessuto sociale rispetto al quale ciascuno di noi ha delle responsabilità, soprattutto per quanto riguarda l'ultimo argomento che mi accingo ad affrontare, ossia il mondo della detenzione giovanile e il disagio giovanile.
Credete che i ragazzi che finiscono nelle carceri giudiziari e minorili o in quelle che si chiamavano riformatori siano persone in relazione alle quali la società non ha colpe? Oppure credete veramente in un determinismo psicologico lombrosiano, per cui quei ragazzi sono nati delinquenti e non lo sono divenuti?
Ecco perché vi dico che, se si vuole affrontare il problema della riforma complessiva del sistema giustizia, non bisogna avere la presunzione di affrontarlo a «pezzetti», a piccoli stralci e a piccoli tomi...
PRESIDENTE. Onorevole Fanfani...
GIUSEPPE FANFANI. Presidente, ho concluso.
Dicevo che non può fare com'è stato fatto con questa riforma, ma bisogna avere la capacità di volare alto e una profondità di pensiero. Bisogna avere una competenza tecnica che, forse, ahimé per il popolo italiano, è mancata, assieme ad una lungimiranza politica che in questo provvedimento non si vede affatto (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-socialisti democratici italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Come opposizione e come Verdi, abbiamo svolto una riflessione, sia nella discussione sulle pregiudiziali, sia ora per capire come l'articolo 2 di questa riforma dell'ordinamento giudiziario costituisca un elemento emblematico dei contenuti della riforma e delle ragioni della netta contrarietà, da parte nostra, rispetto all'ordinamento giudiziario che si andrebbe a configurare qualora questa proposta fosse approvata definitivamente dal Parlamento. Credo che le ragioni di tale riflessione siano chiare e note, ma facciamo bene a richiamarle tutte.
Vi è una questione di metodo, innanzitutto, che dobbiamo saper denunciare ancora con forza. La riforma dell'ordinamento giudiziario viene imposta al Parlamento nonostante la necessità di un confronto politico. Parliamo di una riforma che non può avere il carattere di un atto predisposto da una maggioranza, per poi, magari, essere modificato tra qualche mese, quando cambieranno la maggioranza
in Parlamento e il Governo. Essa deve avere i contenuti e gli strumenti di una stabilità degna di tutti i processi di riforma che riguardano il funzionamento del nostro ordinamento, che sono generali e che dovrebbero essere conseguenti ad un approccio che vada oltre le maggioranze estemporanee che si formano, e deve seguire il metodo del coinvolgimento e della costruzione di un processo riformatore anche con chi, in quel momento, si trova all'opposizione.
La riforma, in realtà, non solo viene realizzata con un atteggiamento di chiusura verso l'opposizione parlamentare, ma rappresenta anche all'interno della maggioranza un atto di forza teso a chiudere qualsiasi dinamica di confronto positivo.
Come non ricordare che il sottosegretario alla giustizia Vietti, in un'intervista di qualche giorno fa, proprio quando la Commissione alla Camera doveva esaminare questo provvedimento, affermava la disponibilità - che, a quel punto, abbiamo appreso essere solo sua personale, ma, certo, del sottosegretario alla giustizia! - a tenere un confronto aperto in Commissione giustizia e in Parlamento. Anche alla luce delle sollecitazioni diverse, ma non certo prive di fondamento, sia dell'associazione nazionale magistrati, sia, per altre ragioni, del mondo e delle associazioni dell'avvocatura, egli diceva: facciamo questo dialogo.
In realtà, in Commissione il sottoscritto ed altri avevano detto di essere pronti a discutere nel merito della riforma, a dialogare ed a cercare possibilità di convergenza su singoli punti.
Noi Verdi abbiamo sempre sostenuto che sulla questione della separazione delle carriere una discussione andrebbe fatta. Certo, non si possono dare randellate alla magistratura solo perché, in adempimento dei propri doveri, ha avuto l'ardire - io aggiungo il coraggio - di mettere sotto processo alcuni potenti di questo paese! Bisogna sgombrare il campo dalla volontà di rivincita della magistratura. Noi Verdi, fin dalla scorsa legislatura, ci siamo resi conto che il rapporto tra pubblici ministeri e giudici, la parità tra accusa e difesa, la terzietà del giudizio sono questioni serie, che vanno affrontate anche con modifiche dell'ordinamento giudiziario. La maggioranza ed il Governo hanno chiuso la discussione caricando oltre misura di significati politici questa riforma, utilizzandola come terreno di riequilibrio del rapporto tra politica e magistratura ed avendo un atteggiamento punitivo nei confronti dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Non a caso, nell'articolo 2 si trattano alcuni elementi ridicoli, come i test psicoattitudinali nella selezione della magistratura.
Verrebbe troppo facile, in questi giorni, la battuta sui tagli e le «taglie» leghiste in materia giustizia. Qualcuno ha detto che forse i test psicoattitudinali bisognerebbe effettuarli prima di assumere l'incarico di ministro, ma sarebbe una polemica troppo facile...
MASSIMO POLLEDRI. Tu non lo farai mai il ministro!
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Cento.
PIER PAOLO CENTO. Non c'è dubbio che ci troviamo di fronte ad un atto che «scassa» il funzionamento della giustizia nel nostro paese senza dare risposte alle emergenze vere che tutti i giorni i cittadini, i magistrati e gli avvocati hanno davanti nel momento in cui un processo penale dura dieci anni ed un processo civile dura quindici-venti anni!
Invece, ci troviamo a portare avanti una discussione tutta astratta e legata alla volontà del Governo e della maggioranza di dare un colpo politico all'autonomia ed all'indipendenza della magistratura anche introducendo norme che, se non fossero legate ad una vicenda molto seria come il servizio giustizia, sarebbero ridicole.
Vi è, poi, la questione della copertura finanziaria, che abbiamo evidenziato illustrando la questione sospensiva. Ma di quale istituto per la formazione parliamo nel momento in cui lo Stato non destina risorse a tale servizio? Di quale intervento sull'ordinamento giudiziario parliamo nel
momento in cui l'amministrazione della giustizia viene affrontata dal Parlamento in questo modo? Il castello del funzionamento della giustizia in Italia rischia di cadere! Se non rinnovassimo ogni anno, in maniera vergognosa, i contratti precari che ci sono...
PRESIDENTE. Onorevole Cento, deve concludere.
PIER PAOLO CENTO. Sto concludendo, signor Presidente.
PRESIDENTE. Aveva cinque minuti a disposizione: ha già parlato due minuti in più. Concluda la frase...!
PIER PAOLO CENTO. Non avevo calcolato bene il tempo: concludo.
Abbiamo una limitatezza di risorse enorme. Credo che durante l'iter del provvedimento in esame dovrà esservi un sussulto di autonomia ed indipendenza almeno dei parlamentari del centrodestra capaci di esprimersi secondo le loro convinzioni e la loro coscienza. Queste credo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cento.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, quello in esame è un provvedimento sbagliato e pericoloso, criticato da tutta la magistratura ed anche dall'avvocatura.
Esso non affronta i problemi veri, quali l'inefficienza del sistema dell'amministrazione della giustizia, la lentezza intollerabile dei processi penali e civili - anche con misure coraggiose, per impedire per esempio le attività extra giudiziarie dei magistrati, come le attività arbitrali -, la mancanza di risorse, la carenza di personale, la mancata informatizzazione, la salute dei detenuti nelle carceri. Quindi, esso non affronta i problemi veri e non affronta i problemi del completamento del processo riformatore, che si protrae da decenni e che è stato sollecitato più volte persino dal Consiglio superiore della magistratura.
Voi usate invece luoghi comuni, sui quali volete costruire un punto di vista dominante: il sistema della giustizia è in crisi; la responsabilità più grande è dei magistrati; i magistrati sono tutti politicizzati, quindi serve un contrappeso; non c'è professionalità e non c'è controllo della professionalità; sono onnipotenti ed intoccabili, a differenza di tutti gli altri operatori della pubblica amministrazione. Queste sono bugie, sono imbrogli, ma fanno presa! Allora, noi dobbiamo insistere, spiegando bene le ragioni, perché si rischia che su questi luoghi comuni si costruisca un punto di vista dominante, che porterebbe ad uno smantellamento dei principi costituzionali. D'altra parte, la vostra linea è proprio quella di fare affidamento sulla costruzione del consenso per smantellare i principi costituzionali.
Noi non vogliamo difendere l'indifendibile - questo sia chiaro -, perché il nostro intento non è quello di difendere i magistrati, né tantomeno interessi corporativi dei magistrati. Il nostro intento è invece quello di difendere il diritto dei cittadini ad avere una giustizia giusta. D'altronde, gli stessi magistrati chiedono proprio questo; in tal senso, il Consiglio superiore della magistratura da tempo sollecita l'adozione di provvedimenti legislativi per completare questo processo di riforma. Quindi, avrebbero dovuto essere affrontati i problemi veri, noti e stranoti, come i ritardi, gli impacci ed anche la questione della valutazione e del controllo della professionalità. Ciò però senza semplificazioni e senza - permettetemi - improvvisazioni. Si sarebbero dovute affrontare le pratiche esistenti, come l'espressione dei pareri assolutamente burocratici ed inutili da parte dei dirigenti, l'operatività quasi nulla dei consigli giudiziari, la questione della progressione per anzianità, che certamente presenta delle iniquità, perché la progressione per anzianità è più per mancanza di demerito, che per merito.
Siamo dunque noi i primi a dire che bisogna affrontare e risolvere alcuni nodi.
Ma, allora, come affrontare i problemi veri? Voi proponete soluzioni sbagliate, improvvisate, inefficaci, pericolose. Noi siamo per la formazione continua. Siamo per la valutazione periodica e non per i concorsi; dunque, non siamo per una selezione premiale, che oggettivamente innescherà delle spinte sbagliate, come sa chi ha lavorato nella magistratura (lo dico per chi ha ascoltato gli interventi delle persone più attente, più critiche, più trasparenti). Noi siamo, ripeto, per la formazione continua, per la valutazione periodica, ma non per la progressione economica di carriera. Siamo per la selezione in negativo e per la selezione delle attitudini specifiche, come da sempre sostiene il Consiglio superiore della magistratura.
La professionalità di un magistrato, cari colleghi, non è come quella di un medico (lo so perché io sono medico); quindi, basta con queste bugie. La professionalità di un magistrato non c'entra niente con quella di un medico, né con quella di un dirigente della pubblica amministrazione. Basta bugie! Ci vuole certamente una capacità tecnico-giuridica, ma anche una cultura specifica, che è la cultura del giudizio. Non c'è un unico modello di professionalità. Per un medico, cari colleghi, ci sono degli standard di qualità, dei protocolli di qualità, delle linee guida. Per un medico, c'è un problema di appropriatezza delle prestazioni, ci sono delle risoluzioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e dei ministeri. Per i magistrati, invece, quali sono gli standard?
Il punto è che non esiste un unico modello di professionalità, proprio perché il concetto stesso di professionalità di un magistrato presenta dei caratteri di indeterminatezza. È per questo che occorre garantire la pluralità dei modelli di professionalità. Questo è esattamente il punto culturale e di principio che voi non rispettate, nella semplificazione - permettetemi di dirlo - più becera.
Non è un caso, sebbene non sia stato esplicitamente previsto nella Costituzione, che ciò che riguarda la formazione, la promozione, i controlli sulla professionalità dei magistrati, sia stato affidato al Consiglio superiore della magistratura, per la sua stessa composizione...! La magistratura è certamente un organo indipendente, ma non è separato dalla società. Infatti, nel Consiglio superiore della magistratura vi sono i laici, che rappresentano il raccordo con l'istituzione più alta e rappresentativa del suffragio universale; in esso sono rappresentate tutte le componenti ideali della magistratura, e ciò a salvaguardia della pluralità del concetto stesso di professionalità. Voi, invece, semplificate: prevedete il principio della meritocrazia e la necessità di controlli, con la previsione di concorsi. Occorre premiare i più bravi, ma chi sono? Ho letto una dichiarazione, che mi è piaciuta molto, di un magistrato, il quale parlava di sé, di come in tutta la sua vita, nel suo lavoro abbia cercato di essere un bravo magistrato: il magistrato ideale, vale a dire laborioso (ma non per fare statistica), tecnicamente preparato ma non fanatico, coraggioso nel sottoporre a verifica ciò che appare scontato, ed ascoltatore, perché dietro ogni fascicolo vi è una vita umana.
Voi selezionate i più bravi, ma per quanto riguarda i magistrati di primo grado non prevediamo la necessità che vi siano quelli più bravi? Serve tutto ciò per garantire una giustizia efficiente, un giudizio indipendente, ma, soprattutto, l'imparzialità di un giudice? Credo che, in questo modo, si premino comportamenti distorsivi. Non vogliamo difendere l'indifendibile, non vogliamo difendere i magistrati, ma i cittadini.
Un'altra questione è la seguente: voi, nella controriforma costituzionale, avete introdotto un vulnus, e mi riferisco al sistema di equilibrio dei poteri, in particolare allo sfasamento del potere esecutivo rispetto a quello legislativo. In questo caso, si va oltre: è in discussione l'indipendenza della magistratura, principio cardine del sistema delle garanzie, della natura dello Stato di diritto, dell'equilibrio dei poteri. Vi è un'anomalia e lo voglio dire senza polemica, ma per sollecitare una preoccupazione che deve avere un legislatore, nel momento in cui si interviene sulla natura dello Stato di diritto, sulla legalità dello
stesso, nel momento in cui non solo il potere esecutivo «sfora» rispetto a quello legislativo, ma accentra su di sé anche il potere economico.
Attenzione: la nostra protesta contro le «leggi vergogna» non è rivolta solo contro l'arroganza del premier, perché stiamo snaturando non soltanto l'ordinamento dello Stato, ma lo Stato di diritto e la legalità.
Per quanto riguarda la separazione delle funzioni del pubblico ministero, non ho preconcetti. Vi è una discussione importante e vera, e lo voglio dire con chiarezza. Vi sono state e vi sono ancora distorsioni: vi è troppa familiarità tra la funzione giudicante e quella requirente e credo che giustamente l'avvocatura abbia sottolineato questi punti. Noi riteniamo davvero che l'antidoto allo sbilanciamento tra accusa e difesa sia la separazione delle funzioni? Parliamone, perché ritengo di no. Mi convince ancora l'idea che la professionalità di un pubblico ministero debba essere dentro la cultura del giudice.
Il diritto del cittadino è quello di avere un pubblico ministero che non sia l'avvocato della polizia e soprattutto quello di impedire la distorsione più pesante, quella di classe, (colleghi, permettetemi di dirlo), per cui del sistema delle garanzie ne usufruiscono soltanto gli avvocati dei ricchi. Bisogna allora parlare con la gente. È un punto delicatissimo: dobbiamo spiegare loro che non difendiamo i magistrati, gli interessi corporativi, ma vogliamo difendere i diritti costituzionali dei cittadini ad avere un giudice indipendente, imparziale e, quindi, giusto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, interverrò a titolo strettamente personale per esprimere un mio punto di vista particolare su questo problema, anche se ovviamente non ho la competenza tecnica e la conoscenza scientifica dei colleghi dell'opposizione già intervenuti.
Sono convinto che il problema della magistratura esiste e che si tratta di un problema che si è aggravato negli anni e che, in qualche modo, doveva avere una risposta da parte del potere politico. Ritengo che la maggioranza e il Governo abbiano affrontato tale problema nel modo sbagliato, in quanto le questioni, anziché essere risolte, vengono aggravate.
Credo che il presidente Pecorella e il collega Nitto Palma sappiano che, in un saggio famoso, un grande giurista svedese, sostiene che le norme sono interpretate dai magistrati secondo i loro criteri, le loro culture, i loro orientamenti.
Dunque, signor ministro, lei ha perduto un'occasione principe, sbagliando tutte le mosse, vale a dire quella di affrontare finalmente il problema dell'indipendenza della magistratura e della sua regolamentazione. Il momento giusto per affrontare tale problematica era quello della riforma costituzionale!
Il principio dell'indipendenza dei giudici è un principio fondamentale del sistema democratico, ma, come per tutte le autonomie, vi è la necessità che essa non si rinchiuda in forme corporative divenendo una specie di difesa dell'ordine, ma sia invece temperata da quei controbilanciamenti necessari nell'esercizio di ogni forma di potere.
Tra l'altro, avete perso l'occasione di aprire un dialogo con la stessa magistratura in quanto, proprio dall'interno di tale ordine, sono emerse voci autorevoli che hanno individuato gli errori e le deformazioni esistenti in tale progetto.
Sono stato amico di un grande magistrato che operava cinquant'anni fa, Dante Troise; voglio leggervi una pagina del suo famoso Diario di un giudice. «La nostra» - scriveva appunto Troise - «sembra una giustizia a cui importa sospettare e non provare, minacciare e non punire, incriminare più che giudicare. Ogni giorno cresce il numero degli indiziati di reato, presto saremo un popolo di indiziati e di imputati, ma al giudizio - se ci sarà un giudizio - arriveremo convinti di aver già espiato con la lunga attesa».
Questo giudizio, proveniente da un magistrato, dimostra come all'interno della
stessa magistratura vi siano voci critiche in ordine all'andamento e alle modalità della giustizia.
In realtà, la questione non è soltanto italiana, ma europea. Basti pensare a quanto ha scritto Daniel Soulez Larivière ne Il circo mediatico-giudiziario, a dimostrazione che il problema esiste. Dunque, come conciliare la questione dell'equilibrio dei poteri, del rispetto autentico, pieno ed integrale dell'autonomia, anche con quella sorta di attenzione? Infatti, un potere autonomo non controbilanciato potrebbe andare aldilà delle proprie funzioni e, dunque, rischiare di diventare anche prepotente.
Ebbene, l'unico modo era quello di determinare un processo costituzionale che vedesse un Consiglio superiore della magistratura completamente modificato e non chiuso in termini corporativi.
Questo non è stato fatto. Adesso imboccate una strada senza esito che porterà ulteriori complicazioni. Continuerete a seguire quel percorso con cui il potere politico ha cercato di costringere quello giudiziario ad eseguire una serie di slalom, mediante leggi che avrebbero dovuto vincolarlo, determinando complicazioni confluite in sede di processo con conseguenze nefaste. Mi riferisco ai ritardi, alle procedure accumulatesi, agli attacchi reciproci con una magistratura che accusa non infondatamente Governo e Parlamento di scrivere leggi complicate che aggrovigliano ulteriormente la situazione. Insomma, non avete fatto chiarezza.
Non entro nel merito del provvedimento in oggetto, ma mi pare estremamente complicato. Forse solo la competenza del sottosegretario Vietti potrà permettere di fare in proposito un po' di luce e portare qualche chiarimento. Signor sottosegretario, forse però farebbe bene ad istituire addirittura una scuola, oppure vi state preparando ad un nuovo Governo, dopo che avete abbassato le tasse con le decisioni assunte...?
In realtà, riuscirete soltanto a creare ulteriore groviglio. Vorrei ricordarvi che quando esiste un groviglio, il solo metodo per dipanarlo è quello antico di tagliare il nodo. È questo il dato davanti a cui ponete la magistratura, interrompendo un dialogo che era stato bene intavolato. Anche al nostro interno esistono persone che ritengono che il problema vada comunque affrontato. Quando l'onorevole Rutelli, tardivamente o meno, ha avanzato la proposta di riaprire il dialogo, avete rifiutato l'offerta, con una miopia che dimostra la vostra idea di autosufficienza nell'assumere le decisioni. Tale idea peraltro vi porta a conclusioni sempre sbagliate: basti pensare alla riforma del Consiglio superiore della magistratura da voi fatta e contraria a quella che volevate finalizzare.
Volete mettere il bavaglio alla magistratura, ma si tratta di un obiettivo sbagliato, che crea complicazioni. Dovreste invece affrontare in termini costituzionali, seguendo i princìpi classici, il problema del bilanciamento dei poteri secondo cui un potere corregge se stesso, qualora vi sia timor rispetto ad un organo «terzo» che dovrebbe giudicare il proprio operato.
La strada da imboccare era questa: invece, voi andate avanti. Il ministro della giustizia si potrà gloriare in terra padana del suo presunto successo. In realtà, le terre italiane saranno ancor peggio amministrate sia dal Governo, sia da una magistratura irritata e ancor più complicata.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.
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