Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 498 del 26/7/2004
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La seduta, sospesa alle 14, è ripresa alle 15,35.

Discussione del disegno di legge: Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (4233-B).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 21 luglio 2004.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4233-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto che la IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Gamba, ha facoltà di svolgere la relazione.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si tratta della seconda lettura da parte di questo ramo del Parlamento del disegno di legge riguardante la sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e la disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, con la relativa delega al Governo per il conseguente coordinamento della normativa vigente.
Avevamo già sottolineato in occasione della prima lettura alla Camera dei deputati del provvedimento che si tratta di un momento di svolta che non è eccessivo definire epocale. Con l'entrata in vigore di tali disposizioni, infatti, dal 1o gennaio 2005 verrà sospeso il servizio di leva obbligatorio. Non si parla di abolizione ma di sospensione per la cautela che deve rimanere nell'ordinamento per i casi, che non ci auguriamo, di eventi bellici che potrebbero richiedere un ritorno temporaneo all'utilizzo della leva obbligatoria. Dal 1o gennaio 2005 non vi saranno più chiamate per l'addestramento al servizio militare di leva, ma il nuovo ordinamento


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delle Forze armate dello Stato sarà totalmente improntato a criteri di professionalità. Si tratta di un'anticipazione di quanto già previsto per l'anno 2007 e di un completamento di quel percorso graduale che vedeva attualmente un mix di personale volontario e di personale ancora di leva.
Sappiamo che tale percorso è molto complesso: si prefigura uno scenario in cui, intorno all'anno 2020, le Forze armate dello Stato dovranno contare su un complesso di circa 190 mila uomini, di cui una buona parte dovrà essere coperta dal personale volontario in ferma prefissata ed un'altra maggiore da personale in servizio permanente. Proprio per far fronte alle necessità di graduale adeguamento, con tutte le cautele che tale processo comporta, il Ministero della difesa ha ritenuto di poter anticipare al 2005 la data precedentemente fissata per il 2007.
Con il disegno complessivo contenuto nell'articolato di questo provvedimento si provvede all'adeguamento dell'ordinamento delle Forze armate attribuendo una delega al Governo per tutti gli ulteriori necessari passaggi di natura normativa che dovranno essere svolti in tempi imminenti. Tutto ciò dovrà consentire di arrivare alle sfide connesse al provvedimento in esame con uno strumento militare idoneo alle sempre maggiori necessità che il nostro paese avverte anche in relazione agli impegni internazionali sempre più pressanti. Questi ultimi, se da una parte costituiscono un vanto ed un segno tangibile di riconquistato prestigio internazionale per il nostro paese, dall'altra - come i colleghi ben sanno - hanno rilevanti cadute in termini di utilizzo e di impegno delle risorse economiche.
Non è un caso che anche il recente provvedimento sul taglio delle spese abbia necessitato di importanti correzioni, proprio per non sottrarre ancora di più risorse decisive al comparto della difesa, oltre che ad una sua riorganizzazione in termini molto puntuali, che trova anche in questo provvedimento un importante sostegno. Di tutto ciò avevamo ampiamente parlato nel corso della prima lettura, durante la quale l'esame del provvedimento aveva impegnato per più sedute la Commissione difesa e successivamente anche l'Assemblea, dove si era sviluppato un dibattito approfondito, interessante e vivace, che aveva portato all'introduzione di talune modifiche, alcune delle quali, per la verità, non rispondenti al disegno sotteso al provvedimento, che hanno trovato poi in occasione dell'esame da parte del Senato alcune correzioni, al fine di rendere il testo più facilmente e rapidamente approvabile da tutte le forze politiche, in particolare della maggioranza.
Su tali modifiche introdotte dal Senato l'Assemblea è chiamata ad esprimersi in questi giorni, per giungere all'approvazione del provvedimento prima della sospensione estiva dei nostri lavori. Ciò, per giungere all'appuntamento del 1o gennaio 2005 in modo «attrezzato» da parte delle amministrazioni dello Stato, così che la riforma possa entrare effettivamente in vigore.
Le modifiche introdotte dal Senato - che ha confermato l'impianto complessivo del testo approvato dalla Camera - riguardano la migliore definizione del comma 1 dell'articolo 1, laddove è stato appunto precisato, per fugare dubbi di interpretazione, che la sospensione della leva deve essere intesa dal 1o gennaio 2005, nel senso che la chiamata alle armi non sarà più rinnovata a partire dal 1o gennaio 2005; invece, tutti coloro che saranno chiamati al servizio militare entro il 31 dicembre 2004 dovranno concludere lo svolgimento di tale servizio nel corso dell'anno 2005.
Un altro aspetto toccato dall'esame del Senato è quello relativo alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 4, che fa riferimento ai requisiti per il reclutamento, in particolare per coloro che potranno accedere alla ferma volontaria prefissata di un anno (uno dei perni sui quali si snoda la riforma, assieme alla ferma successiva quadriennale). I colleghi ricorderanno che proprio in quest'aula si era sviluppato un dibattito riguardo al problema dell'età minima, che la Camera aveva fissato (secondo la proposta originaria del Governo) in


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17 anni. Rispondendo ad alcune preoccupazioni che erano venute da alcune parti dell'opposizione, riguardo all'impiego dei minori nell'ambito delle operazioni militari, e a seguito dell'approvazione, in quest'aula, di alcune mozioni e del Protocollo di New York, si era ritenuto di poter conciliare tale aspetto con l'approvazione di una norma (che ora è stata soppressa) che prevedeva, a fronte del requisito dei 17 anni per il reclutamento, il differimento dell'impiego operativo al compimento del diciottesimo anno di età, quindi alla maggiore età. Al Senato, però, si è ritenuto di risolvere la questione in maniera drastica, tenendo anche conto delle disposizioni della nuova riforma scolastica. Pertanto, l'età di 17 anni è stata sostituita con quella di 18, modificando così la lettera b) del comma 1 dell'articolo 4; conseguentemente, è stata soppressa la norma che disponeva il divieto dell'impiego operativo prima del compimento dei 18 anni. Inoltre, per semplicità, è stata modificata la lettera g) dello stesso comma, con una migliore definizione delle tipologie dei test di accertamento dell'uso di sostanze stupefacenti e di abuso sistematico, ed anche saltuario, di alcool, al fine di consentire una maggiore speditezza ed economicità degli stessi accertamenti. Si è, in particolare, preferito utilizzare l'aggettivo «diagnostici» piuttosto che quello «sierologici», previsto precedentemente.
È stato, peraltro, soppresso il comma 2 dell'articolo 4, oggetto di un dibattito piuttosto acceso, che consentiva di derogare al requisito della cittadinanza per gli oriundi e gli apolidi residenti sul territorio italiano che avessero, attraverso la prestazione del servizio militare, richiesto ed ottenuto la cittadinanza italiana. Questo era stato - e me ne dolgo - uno dei motivi per i quali il gruppo della Lega Nord aveva votato contro il provvedimento, non comprendendo, a mio avviso, la portata del testo, che andava nel senso esattamente contrario a quello che i colleghi della Lega Nord paventavano.
Comunque, per consentire un'applicazione ampia di tutte le conseguenze favorevoli legate alla prestazione del servizio militare, a questo punto non più di leva, ma volontario, attraverso l'equiparazione, è stata prevista, contemporaneamente alla soppressione del comma 2 dell'articolo 4, una norma più ampia che, in qualche modo, fa salve le provvidenze, le conseguenze favorevoli di natura non economica, legate, in precedenza, alla prestazione del servizio militare di leva e che, quindi, ora potranno essere applicate anche alla ferma volontaria annuale.
È stato, inoltre, modificato l'articolo 5, con la soppressione del comma 2, concernente la proroga della rafferma annuale nei confronti di coloro che abbiano prestato il servizio nella ferma prefissata di un anno; questa possibilità, nel testo originario, era prevista soltanto per coloro che fossero stati dichiarati idonei all'ingresso nelle forze di polizia. Si è ritenuto, credo giustamente, di semplificare la questione, prevedendo tout court che sia comunque possibile, a domanda, rinnovare la ferma annuale per una volta.
Sono state, inoltre, apportate alcune modifiche di carattere formale al comma 1 dell'articolo 6: in particolare, secondo il medesimo, le modalità di reclutamento dei volontari in ferma prefissata di un anno, nonché i criteri e le modalità per l'ammissione alla rafferma annuale, dovranno essere disciplinati dal ministro della difesa tramite decreto (vi è stato, quindi, un miglioramento del testo). Altre piccole modifiche sono state apportate al testo anche per ragioni di coordinamento formale.
Un'innovazione di una certa rilevanza riguarda l'articolo 9, ex articolo 10 (a seguito della soppressione del precedente articolo 9, riferito alle modalità di impiego dei soggetti non maggiorenni), che riguarda gli incentivi per favorire il reclutamento di personale volontario nelle regioni tipiche di reclutamento alpino.
Anche questo argomento era stato oggetto di una vivace attenzione da parte di quest'aula; si è ritenuto, al Senato, di venire incontro alle esigenze, rinnovate anche in quella sede, di porre un'attenzione particolare al collegamento tra truppe alpine e territori tipicamente riferiti alle origini di quel corpo. È stata,


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quindi, arricchita la disposizione, contenuta nell'ex articolo 10, con l'assicurazione, senza nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato, della presenza di almeno un reparto alpino in ciascuna delle regioni tipiche di reclutamento, con priorità alle regioni dell'arco alpino inteso in senso geografico.
Inoltre, a decorrere dal 1o gennaio 2005, ai volontari in ferma prefissata di un anno ed in rafferma, che prestino servizio nei reparti alpini, sarà attribuito, in aggiunta al trattamento economico, un assegno mensile di 50 euro, che anticipa l'indennità prevista per l'impiego delle truppe alpine che, con riferimento alla ferma annuale, è ancora legata alla cosiddetta paga militare. Ciò al fine di favorire l'accesso alle truppe alpine, in particolare da parte di coloro che risiedono nelle regioni tipiche del reclutamento.
È stato previsto anche un nuovo articolo 10 che, molto opportunamente, stabilisce l'attribuzione di benefici non economici, conseguenti all'aver effettuato il servizio militare, per coloro che seguiranno le ferme volontarie che, in precedenza, erano riferite al servizio militare di leva, tra le quali anche quelle legate alla cittadinanza.
Si è provveduto inoltre all'abrogazione dell'articolo 16, che la Camera aveva ritenuto di inserire in relazione alla possibilità di predisporre piani straordinari per l'edificazione di alloggi di servizio in concorso tra gli enti locali, lo Stato e il Ministero della difesa, anche attraverso l'utilizzo di aree demaniali assegnate o in uso. Dunque, il Senato ha soppresso tale articolo, in quanto la Commissione bilancio di quel ramo del Parlamento ha ritenuto la norma non sufficientemente chiara e non sufficiente a disciplinare una materia così complessa in assenza di ulteriori coperture.
È stato poi modificato l'attuale articolo 16, che prevede il passaggio obbligatorio dal servizio militare volontario per l'accesso alle carriere delle forze di polizia militare ad ordinamento e non. In tal senso, sono state modificate le percentuali riferite all'accesso, ripristinando, in particolare nel comma 3, il fatto che per l'accesso nelle forze di polizia in servizio permanente dovrà essere rispettato il requisito dello svolgimento di almeno una ferma di un anno con il meccanismo diversificato tra ferma annuale e immediata immissione in servizio permanente e, per un'altra quota, diversificata a seconda dei corpi, dopo lo svolgimento dell'ulteriore ferma quadriennale.
All'attuale articolo 16 è stato poi aggiunto il comma 7, che rappresenta una norma di salvaguardia quanto mai opportuna, in quanto la normativa è destinata a spiegare i suoi effetti fino al 2020. Vi era stata una richiesta di riduzione di tale termine da parte dell'opposizione proprio durante l'esame in aula alla Camera poi accolta dal Governo. Dunque, si parla dell'anno 2010 a partire dal quale, attraverso un meccanismo di concertazione tra il Governo, i due rami del Parlamento e una serie di ministri interessati - non soltanto quello della difesa -, si procederà ad un adeguamento successivo, in particolare per il numero di volontari necessari al fabbisogno delle Forze armate, che sarà assunto attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Vi sono poi alcune norme di adeguamento legislativo; in particolare è stato soppresso l'ex articolo 21, in quanto vi era contenuta una disposizione riferita al servizio civile che ha trovato collocazione in un altro provvedimento, precisamente nel cosiddetto decreto «mille proroghe» e che, pertanto, è stata giustamente soppressa. La stessa sorte hanno subìto alcuni adeguamenti di natura più o meno formale, inseriti nelle disposizioni transitorie di cui al Capo VI.
È stato invece introdotto un nuovo capo, il VII, composto dagli articoli 27, 28 e 29, che precedono le disposizioni finali e che si riferiscono al Corpo delle capitanerie di porto. Tali articoli adeguano la normativa delle Capitanerie di porto, Corpo paragonabile ad una forza di polizia del mare, che beneficiava di un meccanismo analogo a quello dell'Arma dei carabinieri, per quanto riguarda la figura degli ausiliari. La cessazione del servizio di leva


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comporta problemi analoghi a quelli creatisi per i carabinieri, anche se numericamente meno rilevanti, e, quindi, si prevede un adeguamento per le Capitanerie di porto tramite l'ingresso dei volontari in ferma annuale e quadriennale, con la conseguente rideterminazione dei numeri delle unità necessarie per i primi anni, dal 2005 al 2007, e per i successivi, a decorrere dal 2007.
Le disposizioni finali sono rimaste sostanzialmente invariate; è stata apportata qualche modificazione alla copertura finanziaria, anche per quanto riguarda le indennità per le truppe alpine e per la previsione di alcune poste di spesa, lievemente modificate, ma che non tolgono valenza all'impianto complessivo della legge. Il testo viene infine integrato ed illustrato tramite le tabelle allegate.
Credo di poter concludere esprimendo soddisfazione nel constatare come il testo sia ritornato alla Camera in tempo utile perché possa essere approvato e diventare legge prima della scadenza, ormai imminente, del 1o gennaio 2005, secondo gli auspici di tutti coloro che hanno a cuore le Forze armate e l'ordinamento dello Stato.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Gamba.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA, Relatore. Proprio nel giorno in cui salutiamo la cessazione del servizio militare di leva, credo che un pensiero vada rivolto ai tantissimi, giovani e meno giovani, che nella storia dello Stato italiano, dall'unità del 1861 al 2004, hanno dimostrato in tutti i teatri del mondo, in guerra e in pace, il grande valore degli italiani chiamati ad ottemperare al dovere della difesa della patria, sancito dall'articolo 52 della Costituzione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, mi associo alla relazione svolta dal relatore, riservandomi di intervenire in replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Angioni. Ne ha facoltà.

FRANCO ANGIONI. Signor Presidente, la discussione generale del disegno di legge relativo alla sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva mi sollecita a formulare alcune premesse.
Mi riaggancio, quindi, a quanto espresso in conclusione dal relatore, rivolgendo un pensiero di gratitudine al servizio obbligatorio di leva e a tutti coloro che questo servizio hanno svolto a favore della comunità.
Per 143 anni tale servizio ha rappresentato una forza attiva per il paese; ha contribuito, soprattutto agli inizi dell'unità nazionale, a formare gli italiani e a migliorarne l'amalgama. Ha concesso a moltissimi cittadini di conoscere il territorio, di scoprirne le culture, i costumi, le tradizioni e i dialetti.
Il servizio obbligatorio di leva ha consentito allo Stato di assicurare la difesa e la sicurezza del paese, fronteggiando con immediatezza le emergenze nazionali e, in tempo di guerra, di sostenere le difficoltà iniziali.
Il progresso tecnologico ha reso non più compatibile il servizio obbligatorio con le attuali esigenze operative, mentre i nuovi assetti sociali non consentono, in termini di onerosità, consistenti sottrazioni di forze lavoro dal complesso produttivo. Dal 1o gennaio 2005, i professionisti delle Forze armate si affiancheranno a quelli già esistenti delle forze di polizia, per completare quel comparto che garantirà al paese le indispensabili funzioni della difesa e della sicurezza. In occasione di questo storico cambiamento, ritengo doveroso rivolgere un sentimento di gratitudine a un'istituzione che per molto tempo rimarrà nel ricordo degli italiani.
La seconda premessa è relativa all'affermazione che il centrosinistra ha sempre sostenuto con forza il passaggio dal servizio obbligatorio di leva ai volontari e


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l'anticipazione della sospensione del servizio obbligatorio dal 2007 al 2005.
La terza premessa riguarda la necessità di approvare con urgenza il presente disegno di legge. Le Forze armate sono chiamate a fronteggiare numerose e consistenti esigenze operative fuori dal territorio nazionale. In alcuni casi, quale quello dell'Afghanistan, esse devono anche essere numericamente incrementate. Tali esigenze possono essere soddisfatte solo con professionisti, e pertanto il loro numero deve essere aumentato in tempi brevi. È anche da tener presente che la sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva è già stata annunciata al paese da circa un anno, e pertanto in molti cittadini è grande l'aspettativa per l'approvazione del presente disegno di legge.
La quarta premessa è relativa all'imperativo di operare su due fronti, sia per soddisfare le esigenze delle Forze armate sia per tutelare le necessità delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e del Corpo militare della Croce Rossa.
Venendo alle questioni di merito, le Forze armate, e in particolare l'esercito, necessitano dei professionisti soprattutto per fronteggiare le esigenze di impiego fuori del territorio nazionale, dunque prevalentemente per le operazioni di supporto alla pace. Come è noto, tale impegno, per la fluidità delle situazioni, richiede personale altamente preparato per affrontare situazioni ad alto rischio, ma, nel contempo, molto flessibile per l'impiego fra la popolazione.
La preparazione di base del personale richiede almeno un anno, al termine del quale il personale stesso viene immesso in unità di impiego dove perfezionerà la preparazione per imitazione. Da ciò deriva l'urgenza per l'esercito di reclutare i volontari fino al prossimo anno, per prevedere di impiegarli a partire dal 1o gennaio 2006. Ne consegue che l'istituzione della categoria dei volontari in ferma prefissata di un anno, ai quali è consentito di transitare, al termine dell'anno, nelle forze di polizia, è un controsenso in termini di impiego. Qualsiasi organizzazione, istituzione, azienda, ufficio o esercizio commerciale, nell'assumere personale, prevede un periodo di preparazione o di istruzione, che in termini militari viene definito ferma istruttiva, per distinguerla dalla ferma operativa. Non è prevedibile che un'azienda o un esercizio commerciale assuma addetti o apprendisti limitatamente al tempo necessario per prepararli, anche perché l'apprendistato, e dunque anche la ferma istruttiva, rappresentano un passivo per il bilancio dell'azienda o dell'esercizio commerciale, e dunque anche delle Forze armate.
Una buona regola di organica prevede che la ferma operativa abbia una durata pari ad almeno tre volte quella della ferma addestrativa. Si può accettare che le due ferme siano di pari durata, ma non che quella operativa non esista affatto. Infatti, si può verificare - lo dico per completezza di informazione - che il passivo dell'apprendistato venga pagato da un ente terzo, ad esempio lo Stato, nel caso si vogliano immettere nel mondo del lavoro forze già pronte per la produzione. Tuttavia, non è questo il caso in esame: le Forze armate, e l'esercito in particolare, hanno la duplice necessità di disporre di forze impiegabili dal 1o gennaio 2006 e di non disperdere risorse finanziarie, specie dopo gli ultimi tagli previsti al bilancio. Il disegno di legge in esame, con l'istituzione della ferma prefissata di un anno, prevede che una consistente aliquota dei giovani arruolati il 1o gennaio 2005 lasci le Forze armate il 1o gennaio 2006 per entrare nelle forze di polizia a ordinamento civile e militare.
Di fatto, le Forze armate addestrano questo personale solo per consegnarlo alle forze di polizia. Ritengo che la soluzione minimale sia quella di istituire due categorie di volontari dell'esercito, della marina e dell'aeronautica: la prima categoria comprenderebbe i volontari in ferma prefissata di due anni, la seconda categoria i volontari in ferma prefissata quadriennale. Questa soluzione tende prevalentemente a tutelare le Forze armate.
Altra questione di merito è il «periodo di prova» - lo cito tra virgolette - del sistema e la percentuale di volontari che


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possono transitare nelle forze di polizia. Il disegno di legge prevede che il reclutamento nelle forze di polizia - ordinamento civile e militare - avvenga esclusivamente dalle Forze armate a partire dal 1o gennaio 2006 sino al 31 dicembre 2020, e che quindi riguardi il cento per cento dei posti messi annualmente a concorso. Ritengo che sia il periodo temporale di 14 anni sia la totalità dei posti disponibili siano misure eccessive. Penso che un periodo minore, variabile tra i 3 e i 4 anni, e la percentuale del 75 per cento dei posti messi a concorso siano misure mediamente accettabili. Pertanto, la soluzione ottimale - ed è bene che sia chiaro nel testo del disegno di legge, perché non è sufficientemente bene espresso - potrebbe essere quella di prevedere l'inizio del reclutamento nelle forze di polizia a decorrere dal 1o gennaio 2006, per i volontari che abbiano completato la ferma quadriennale, e dal 1o gennaio 2007 anche per quelli in ferma biennale, e che la validità del sistema sia accertata a partire dal 31 dicembre 2009 o al massimo 2011. I posti messi annualmente a concorso a favore del personale volontario delle Forze armate dovrebbe essere pari al 75 per cento dei posti disponibili. Gli aspetti relativi al Corpo militare della Croce rossa potrebbero essere esaminati a parte.
Questa soluzione tende a garantire una maggiore flessibilità nel reclutamento delle forze di polizia, che ripetutamente hanno chiesto di voler riservare una aliquota di posti ai cittadini in possesso dei prescritti requisiti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruzzante. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, anch'io condivido il giudizio che hanno espresso il relatore e l'onorevole Angioni sulla svolta epocale, storica che stiamo vivendo con questo provvedimento e con la sua approvazione: oggi si completa definitivamente una delle grandi riforme realizzate dal Governo dell'Ulivo, con un consenso - voglio ricordarlo - pressoché unanime nella passata legislatura, cioè la fine - o meglio la sospensione - della leva obbligatoria, e si completa con un anticipo rispetto a quella riforma già disegnata dal Governo dell'Ulivo, l'anticipo cioè al 1o gennaio del 2005 rispetto al 1o gennaio 2007, come precedentemente stabilito.
I Democratici di sinistra non possono che essere favorevoli a questa scelta. Voglio anche ricordare che abbiamo anticipato il disegno di legge del Governo con una proposta di legge di iniziativa parlamentare - primo firmatario l'onorevole Minniti -, che proponeva proprio quanto contenuto oggi nel testo in esame, cioè l'anticipo della fine della leva al 1o gennaio 2005.
Si tratta di una svolta epocale che va nella direzione innanzitutto dei giovani, perché corrisponde ad una richiesta che in qualche modo il mondo giovanile aveva avanzato al mondo della politica; va nella direzione delle famiglie dei nostri giovani, che più volte avevano sollecitato una trasformazione del modello di leva verso quello professionale; ma soprattutto realizza l'idea di Forze armate più preparate professionalmente e più in linea con le moderne esigenze della difesa.
In questi oltre cento anni è cambiato il mondo, e soprattutto - concentrandomi sugli ultimi 50 anni di storia repubblicana - paesi oltre il muro di Berlino che, fino a ieri, facevano parte del Patto di Varsavia, ora sono parte integrante dell'Unione europea, e in alcuni casi divenuti partner dell'Alleanza atlantica.
Non è solo cambiato il mondo, è anche cambiato il profilo ed il senso delle nostre Forze armate, sempre più impegnate fuori dei territori e confini nazionali all'estero in operazioni di peacekeeping. Se non ricordo male, abbiamo oltre 10 mila uomini impegnati in queste ore in più di dieci missioni internazionali.
È evidente, quindi, che il passaggio che abbiamo realizzato è stato quello da un modello costruito su Forze armate di quantità ad uno costruito su Forze armate di qualità. D'altra parte, di fronte alle nuove esigenze (penso al terrorismo, all'uso di armi batteriologiche e chimiche, al passaggio alle testate nucleari, alle funzioni


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di polizia internazionale, al sostegno ed al ruolo di cooperazione internazionale svolto dalle organizzazioni non governative), si è posta la necessità della trasformazione delle funzioni e del profilo delle nostre Forze armate.
L'obiettivo primario ritengo sia oggi quello di prevenire e di evitare il conflitto. È quindi ovvio che il salto di qualità debba essere evidente e che la professionalizzazione delle nostre Forze armate debba andare nella direzione del conseguimento di questo obiettivo. È ormai superata l'idea della forza fine a se stessa, figlia di una impostazione coloniale da tempo consunta.
Il vecchio modello di difesa, quello che ereditiamo, era elefantiaco, costoso, inutile sotto il profilo della formazione e della difesa del paese, - e credo sia ciò che ha spinto il centrosinistra ad avanzare questa proposta di riforma - e soprattutto è ormai abbastanza palese il fatto che in questi ultimi anni una distanza sempre maggiore si era prodotta tra i giovani e le Forze armate. Molti di loro infatti vivevano l'esperienza dell'anno di servizio militare - poi ridotto a dieci mesi - come di un anno perso, di noia, vissuto con un senso di inutilità, che solo raramente nelle situazioni di emergenza o nelle missioni internazionali, riemergeva nel senso e nel significato di servizio alla patria, quello contenuto nell'articolo 52 della nostra Costituzione.
In qualche modo abbiamo dato risposta alle due esigenze: da un lato quella della modernizzazione delle nostre Forze armate e, dall'altro, di un servizio reso alla patria da parte dei nostri giovani, e che oggi non aveva più le caratteristiche di mezzo secolo fa.
Non è un caso che, negli ultimi anni, il numero degli obiettori di coscienza sia diventato addirittura superiore a quello dei giovani di leva che svolgevano il servizio militare, forse perché nel servizio civile alternativo a quello militare il giovane ritrovava un senso di utilità, di servizio verso la collettività, vicino al territorio nel quale egli viveva le sue esperienze scolastiche e di vita, ma anche di formazione personale: molti giovani erano, e lo sono tuttora, convinti che l'esperienza del servizio civile, in qualche modo, alla fine di quei dieci mesi, lasciasse qualcosa di importante e di acquisito per il resto della vita e della carriera professionale.
Siamo veramente convinti della svolta e della scelta di chiudere l'esperienza della leva obbligatoria, e crediamo che la prospettiva futura debba essere tale da scommettere sulla qualità, l'efficacia e l'efficienza, sull'arricchimento per la ricerca, sul settore civile, sull'utilizzo più consono delle nostre risorse anche economiche, sulla possibilità che anche la scelta militare consenta un reinserimento dei militari nella vita civile.
Non è questa, ovviamente, la sede per discutere della funzione delle Forze armate. Recentemente, questa Camera ha approvato il disegno di legge di conversione del decreto-legge che ha prorogato la partecipazione italiana a missioni internazionali: i partiti dell'opposizione e, in particolare, il gruppo dei Democratici di sinistra e gli altri che si riconoscono nella lista dell'Ulivo si sono espressi a favore di nove missioni su dieci, mentre una critica profonda ha riguardato la missione in Iraq, con riferimento specifico al suo significato.
Ma questa non è neppure la sede per discutere del merito delle missioni. Piuttosto, desidero illustrare la nostra posizione critica in relazione ad alcune modifiche introdotte dal Senato, non senza avere preannunciato che, poiché manteniamo, al riguardo, un giudizio negativo, presenteremo ai relativi articoli, nel prosieguo dell'esame, alcune proposte emendative.
Con il consenso quasi unanime delle forze politiche, la Camera aveva introdotto all'articolo 4 un secondo comma che, nel caso dello straniero o dell'apolide, e ricorrendo particolari condizioni, consentiva di prescindere, ai fini del reclutamento dei volontari in ferma prefissata di un anno, dal requisito della cittadinanza. Si tratta di persone che possono esser ascritte alla categoria che proprio voi della maggioranza avete definito come «italiani nel


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mondo». Avete addirittura istituito uno specifico ministero a protezione di coloro che, avendo origini italiane, risiedono in altre zone del pianeta!
Così il ministro della difesa, Martino, come il ministro per gli italiani nel mondo, Tremaglia, avevano assunto precisi impegni. In Argentina, avevano prospettato agli italiani che risiedono in quel paese la possibilità di utilizzare la norma in parola per ritornare nel paese d'origine, per sentirsi parte integrante dello Stato italiano e per contribuire, attraverso il servizio militare professionale, alla difesa di quella che molti di loro riconoscono ancora oggi come la loro patria.
Sinceramente, non abbiamo capito perché il Senato abbia deciso di sopprimere il secondo comma dell'articolo 4, che ci sembrava ispirato a buon senso e che, comunque, subordinava la possibilità di usufruire del beneficio alla ricorrenza di specifiche condizioni. Poiché la riteniamo una norma giusta, ci sembra che la sua soppressione ci faccia fare un passo indietro. Peraltro, in tal modo ci rimangiamo le promesse che alcuni ministri di questo Governo avevano fatto, in terra straniera, agli «italiani nel mondo».
La seconda modifica che non abbiamo compreso è quella relativa alla possibilità di costruire nuovi alloggi di servizio per i giovani volontari.
Se si debba prevedere o meno una normativa ad hoc non rappresenta soltanto una questione tecnica, ma un passaggio assolutamente fondamentale: oggi che siamo di fronte ad una svolta epocale e storica - così l'abbiamo definita tutti - non possiamo continuare a pensare al giovane volontario professionista come se si trattasse del giovane di leva; non possiamo ritenere che il volontario professionista possa trascorrere quattro o cinque anni della sua esistenza all'interno di una caserma nelle condizioni in cui hanno vissuto, per tanti anni, i giovani militari di leva!
Noi riteniamo che un piano straordinario per la costruzione di alloggi di servizio sia indispensabile perché non si può pensare di offrire a dei professionisti le condizioni qualitative che caratterizzano, attualmente, la vita nelle nostre caserme: non sarebbe né serio né dignitoso! Di conseguenza, ritenevamo - e riteniamo tuttora - che l'articolo 16 fosse giusto e andasse mantenuto.
Vi è, poi, sul piano politico, una critica di fondo e più importante. La Camera aveva approvato un emendamento presentato da un gruppo della maggioranza (la Lega Nord) che, con riferimento ai concorsi per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo militare della Croce rossa, aveva ridotto al 50 per cento la riserva di posti a favore dei volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale di cui al capo secondo del provvedimento in esame. Il Senato ha introdotto integralmente tale disposizione.
Crediamo vi siano diversi problemi, tra i quali ve ne è uno di tipo costituzionale. Abbiamo Corpi di polizia ad ordinamento civile. In conformità a tale disposizione, qualsiasi giovane che intenda partecipare ad un concorso per diventare poliziotto è obbligato a prestare servizio per un determinato periodo nelle Forze armate in qualità di volontario. Riteniamo che ciò sia sbagliato, illusorio nei confronti dei giovani e ai limiti della frode. Infatti, siamo tutti perfettamente a conoscenza (e dobbiamo assumerci qui ed ora le nostre responsabilità) che a coloro che transitano per un periodo nelle Forze armate come volontari non sarà garantito al cento per cento il posto nei Corpi di polizia, nei Corpi statali. Non vi è alcuna garanzia. Credo che ciò vada detto con chiarezza ai giovani, altrimenti potremmo creare illusioni. Infatti, al completamento dei posti molti giovani resteranno fuori.
Questa norma desta preoccupazioni giacché rischia di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dal portone principale. Di fatto, siamo di fronte ad una leva forzosa. Sono tanti i giovani che decidono di partecipare ai concorsi per l'accesso alle forze di polizia e all'Arma dei carabinieri. Si tratta di numeri straordinari. La stessa cosa non può dirsi per i concorsi nelle


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Forze armate (vorrei rilevare questa differenza). Tuttavia, tale sfida non si vince né con uno stratagemma, né con un inghippo. Si vince se sapremo potenziare, con riferimento alle Forze armate, la capacità di attrazione verso il mondo giovanile e dare un significato più alto e più profondo all'esperienza di volontariato nelle Forze armate.
Abbiamo votato, obtorto collo, la proposta emendativa della Lega Nord Federazione Padana. Evidentemente, la percentuale del 50 per cento non era sufficiente. A mio avviso, si potevano individuare due strade: stabilire una percentuale più elevata - intorno all'80 per cento - per quanto riguarda l'accesso dei giovani ai Corpi di polizia ad ordinamento civile, senza transitare per un periodo nelle Forze armate come volontari, oppure, in via subordinata, stabilire un termine per questa sperimentazione.
Tutti comprendiamo che si tratta di un passaggio delicato. Ce ne assumiamo fino in fondo la responsabilità; lo abbiamo fatto anche quando è stata avviata questa riforma epocale. Eravamo perfettamente consci delle difficoltà legate al passaggio dalla leva obbligatoria alle Forze armate professionali. Tuttavia, la sperimentazione deve avere un termine. Pensiamo sia giusto indicarlo con chiarezza nel provvedimento. Solleveremo nuovamente tale questione.
Al Senato sono state apportate modifiche che accogliamo positivamente. Il Senato, diversamente dalla Camera, ha approvato il contenuto di una mia proposta emendativa, che proponeva il limite minimo di età di 18 anni per l'arruolamento nelle Forze armate. Da alcuni anni, sto conducendo una battaglia affinché solo i maggiorenni possano entrare nelle Forze armate, anche come volontari. Non si capisce per quale motivo alla Camera era stato previsto che un giovane di 17 anni, al quale viene impedito di possedere il porto d'arma, di sposarsi senza l'autorizzazione dei genitori, di votare e di guidare la macchina, potesse arruolarsi nelle Forze armate. Oggi, a seguito della professionalizzazione, avrebbe potuto svolgere addirittura un ruolo nell'ambito delle missioni internazionali.
C'è una sfida a carattere internazionale alla quale il nostro paese ha aderito: è la battaglia contro i «bambini soldato», per la modifica del Protocollo siglato a New York, la Carta dei diritti del fanciullo, per riportare dai 15 ai 18 anni l'età minima per l'arruolamento.
C'è un problema gravissimo in tutto il pianeta, che riguarda i bambini di sette, otto, dieci anni. È evidente che non è la situazione dell'Italia o dell'Europa, ma ci sono altri paesi nel mondo nei quali i bambini vengono utilizzati per combattere le guerre negli eserciti regolari e irregolari. Aderire a questo Protocollo, portando l'età da 17 a 18 anni, mi pare il minimo per dimostrare che l'Italia sta dalla parte dei diritti civili dei bambini. Sono ben contento che il Senato abbia approvato la mia proposta emendativa. Dubito che qualche collega della maggioranza proporrà un emendamento alla Camera per riportare l'età a 17 anni. Questa è la dimostrazione che aveva ragione la Camera, che si tratta di una norma ragionevole e che era giusto inserirla in questo provvedimento.
Una seconda norma che riteniamo utile e giusta è quella relativa al Corpo nazionale degli alpini. Sia chiaro che non gli diamo lo stesso significato che alcuni colleghi di un gruppo che oggi non è presente (il gruppo della Lega Nord) gli ha attribuito nel dibattito al Senato. Non è una norma che riguarda i giovani del nord. In primo luogo, c'è un'ignoranza relativa alla storia del Corpo nazionale degli alpini, che non è presente solo al nord. In secondo luogo, si tratta di una norma che riguarda tutti i giovani che sceglieranno e decideranno di arruolarsi nel Corpo degli alpini. Credo che sia giusto salvaguardare questo Corpo per la storia, per la tradizione e per il significato importante che ha avuto nella storia d'Italia. Quindi, condividiamo la norma introdotta al Senato, attribuendogli, tuttavia, il significato che è emerso dal corretto dibattito parlamentare.
Infine, un'altra norma che abbiamo condiviso e che è stata recepita attraverso


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un ordine del giorno riguarda la fase finale (dall'approvazione di questo provvedimento sino al 31 dicembre del 2004 e i mesi successivi) e gli ultimi coscritti alla leva obbligatoria. Credo che questa fase vada affrontata con una certa disponibilità e capacità di comprendere che, per esempio, i giovani che hanno ottenuto un rinvio per motivi di studio non debbono essere costretti a fare il servizio di leva obbligatorio quando non avranno più la possibilità di rinviarlo per motivi di studio.
Credo che analogo criterio andrebbe applicato ai giovani che attualmente hanno un'occupazione stabile o anche a tempo parziale. Riteniamo di dover sottoporre all'attenzione del Governo, attraverso un ordine del giorno, il recepimento di una norma analoga che possa essere applicata, non per via legislativa, ma in sede di regolamento attuativo e di applicazione per i primi sei mesi ai bandi per l'arruolamento obbligatorio degli ultimi giovani.
Concludo, ricordando che abbiamo ritenuto opportuno presentare alcuni emendamenti. Li sottoponiamo all'Assemblea anche perché oggettivamente ci è stato dato pochissimo tempo per l'esame istruttorio. Vorrei far notare che questo disegno di legge è arrivato alla Camera giovedì scorso; venerdì si è lavorato fino ad una certa ora e oggi, lunedì, è già all'ordine del giorno dell'Assemblea. Quindi, abbiamo avuto poco tempo per discutere all'interno della Commissione una riforma così importante. Credo, quindi, che vadano valutati attentamente i nostri emendamenti, alcuni dei quali riguardano gli aspetti del benessere, i servizi e la questione degli alloggi.
Non affrontiamo attraverso gli emendamenti la questione delle mense e delle indennità, ma è evidente che è centrale il tema della qualità della vita dei militari per garantire una maggiore appetibilità all'idea del volontariato nelle nostre Forze armate.
In secondo luogo, riproponiamo due emendamenti: quello che prevede il 75 per cento di riserve dei posti dei Corpi dello Stato (con una riduzione dal 100 al 75 per cento) o, in via subordinata, quello che prevede che la sperimentazione si concluda nel 2009.
Ciò perché è vero che il testo del provvedimento prevede, nel 2010, una sorta di verifica, tuttavia non dichiara conclusa la sperimentazione. Si tratta, infatti, di una verifica demandata al Governo, mentre noi riteniamo che, proprio per definire un periodo entro il quale concludere siffatta sperimentazione, il disegno di legge in esame debba prevedere un termine più preciso.
Abbiamo altresì ripresentato, ai fini dell'esame in Assemblea, il cosiddetto emendamento «Italiani nel mondo», perché, a nostro avviso, poter reclutare discendenti in via diretta dei nostri emigrati all'estero rappresenta un arricchimento delle nostre Forze armate.
Vorrei segnalare, infine, che, attraverso la presentazione di un'altra proposta emendativa o, in via subordinata, di un ordine del giorno, riproporremo all'attenzione del Parlamento il tema del servizio civile. Infatti, signor sottosegretario, in questa sede stiamo stabilendo la fine della leva obbligatoria, non la fine della leva militare.
Vorrei osservare che vi è una grave carenza all'interno del disegno di legge in esame, perché non viene spesa una sola parola a favore di un'altra parte di giovani, vale a dire quei circa 30 mila che, nel corso del 2004, hanno optato per il servizio civile, alternativo al servizio militare, ma che si richiama sempre all'articolo 52 della Costituzione (la difesa della patria).
Questi giovani rappresentano una parte importante della leva obbligatoria, e ci preoccupa molto il fatto che tale tema non sia stato affrontato. Attualmente, in Italia sono due le leggi che regolamentano il servizio civile: mi riferisco alla legge istitutiva del servizio civile volontario e quella sull'obiezione di coscienza.
Nel corso del 2004, sono stati 67.800 i ragazzi che hanno presentato la domanda per il servizio volontario o che hanno chiesto di accedere all'obiezione di coscienza. Ebbene, dal 1o gennaio 2005, a causa di tagli di spesa e della riduzione di


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30 mila obiettori di coscienza, corriamo il gravissimo rischio di passare da 67.800 giovani in servizio presso le associazioni ambientaliste, l'assistenza sociale, la promozione culturale, le politiche giovanili, la protezione civile e gli enti locali (perché sono queste le attività che svolgono) a soli 15 mila. Al riguardo, vorrei segnalare che gli enti accreditati per impiegare gli obiettori di coscienza erano 11.500, mentre gli enti accreditati per impegnare i volontari nel servizio civile sono appena 1.900.
Vorrei altresì osservare che si è trasformata anche la composizione sociale dei giovani volontari. Infatti, mentre gli obiettori di coscienza provenivano prevalentemente dal nord e gli enti che li impiegavano erano localizzati prevalentemente nel centro-nord del paese, attualmente i giovani del servizio civile volontario sono impiegati per il 21 per cento al nord, per il 30 per cento al centro e per il 48 per cento al sud. Crediamo, pertanto, che occorra porre rimedio a tale situazione. Non avete voluto affrontare tale problema nell'ambito del provvedimento sulla sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva, tuttavia riteniamo che debba essere rapidamente risolto, perché, altrimenti, rischia di morire un'esperienza importantissima.
Sotto questo punto di vista, riteniamo gravissimo che il Governo non abbia previsto, all'interno del provvedimento in esame, una disposizione in grado di garantire anche per il servizio civile una serie di criteri e di modalità di svolgimento di tale servizio e, soprattutto, forme di equiparazione con il servizio professionale nelle Forze armate per quanto concerne eventuali aiuti e sostegni per facilitare, una volta conclusa tale esperienza, un'occupazione; vorrei segnalare, al riguardo, che abbiamo presentato una proposta emendativa in tal senso.
Ci riserviamo, nel corso del dibattito in aula, a seconda anche dell'atteggiamento che sarà tenuto verso i nostri emendamenti e ordini del giorno, di decidere il voto finale dal punto di vista tecnico. Noi siamo e restiamo pienamente favorevoli all'idea dell'anticipo della fine della leva.
Mi associo alle parole del relatore, onorevole Gamba: oggi non sono passati solo 143 anni dall'esperienza della leva obbligatoria per i militari, ma anche 32 anni dall'esperienza dell'obiezione di coscienza, introdotta con una legge del 1972 che ha parificato tale ultima esperienza a quella svolta dai giovani militari. Pertanto, anch'io mi sento in dovere di ricordare quanti sono passati attraverso tale esperienza e hanno contribuito a tenere alti i valori della patria, della difesa e della solidarietà ed hanno portato il nome dell'Italia in giro per il mondo con grande sacrificio e con grande qualità.
Credo che il sacro dovere di difesa della patria, previsto dall'articolo 52 della Costituzione, si sia espresso, in questi anni, attraverso molte forme e ritengo che esse debbano essere tutte ricordate, sia quelle di tipo militare sia quelle di tipo civile (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fontana. Ne ha facoltà.

GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi, con questo provvedimento, portiamo a compimento una tra le riforme più importanti dell'ordinamento del nostro Stato.
Il Governo Berlusconi si è dato, tra i principali obiettivi della legislatura nel campo della politica di difesa, l'abbreviazione di tale fase di transizione, con la conseguente anticipazione della sospensione degli obblighi di leva al 2005.
Il Senato ha apportato al testo approvato a novembre 2003 da questa Camera alcune modifiche che - di fatto - da una parte confermano il testo originario presentato dal Governo e, dall'altra, introducono alcune positive novità che già in quest'aula erano state sollecitate, con ordini del giorno, anche dal gruppo di Forza Italia.
In particolare, valutiamo positivamente il riconoscimento di specialità dato alle truppe alpine, riconoscimento sia in termini economici sia rivolto a salvaguardare


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il carattere territoriale del reclutamento degli alpini. Si è prevista una norma che impegnerà l'esercito a mantenere in ogni regione tipica di reclutamento almeno un reparto di penne nere, a partire dalle regioni dell'arco alpino. La Lombardia - ad esempio - vedrà, grazie a questo provvedimento, il ritorno sul proprio territorio di reparti di alpini.
Signor Presidente, voglio in questa sede richiamare per sommi capi quanto già affermato nei vari interventi in aula ed in Commissione, durante il primo esame di questo provvedimento, cui confermo il convinto sostegno di Forza Italia. Si tratta di una riforma che avrà un significativo impatto sulla vita civile e sociale del paese e non soltanto tra gli uomini delle Forze armate. È una riforma che disegnerà ex novo l'organizzazione della difesa nazionale ed offrirà gli strumenti adeguati al nuovo ed importante ruolo che l'Italia sta svolgendo nello scenario internazionale.
Dopo molti anni di discussioni, spesso di natura ideologica, sono caduti definitivamente il totem dell'esercito di leva, diffuso almeno fino alla fine degli anni Ottanta - soprattutto nel pensiero della sinistra, ma non solo - ed il corrispondente tabù che vietava, per assunto teorico, l'adozione di Forze armate professionali, che avrebbero rappresentato un pericolo per la democrazia, mentre, per contro, la leva obbligatoria avrebbe consentito l'antidoto alle pulsioni golpiste dei militari. Se l'esercito è di popolo - era il ragionamento, un po' semplicistico - non andrà mai contro il popolo.
Negli anni Ottanta, quando ero presidente della gioventù liberale italiana, noi liberali conducevamo, quasi del tutto isolati, assieme ai giovani della destra, la battaglia per l'abolizione dell'esercito di leva e la nascita di Forze armate professionali. Allora venivamo tacciati della peggiore accusa che può essere rivolta ad un liberale: essere condiscendente con l'opzione di un regime militare.
A nulla valeva, in quegli anni, sottolineare due fatti politici e storici incontrovertibili: che la maggior parte dei putsch militari della storia contemporanea è stata condotta da eserciti di leva e che i paesi a più lunga tradizione democratica, in cui non si è mai nemmeno ventilata l'ipotesi di interventi autoritari delle Forze armate nella vita politica delle istituzioni, si erano dotati, da tempo, di Forze armate a reclutamento esclusivamente o prevalentemente volontario.
Oggi, fortunatamente, totem e tabù sono caduti e voglio dare atto alla sinistra o, almeno, alla parte più consistente di essa di aver rovesciato le proprie posizioni. Infatti, il primo passo di questa trasformazione è stata l'approvazione della legge n. 331 del 2000 avvenuta nella scorsa legislatura.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel secondo dopoguerra, fino agli anni Settanta, la leva ha svolto anche un'importante funzione di socializzazione tra i giovani. Persone provenienti da luoghi diversi e, spesso, isolati avevano l'opportunità di incontrarsi, condividere momenti di formazione e crescita comuni, occasioni di conoscere il mondo. «Ha fatto il soldato» si diceva un tempo di chi mostrava la conoscenza di luoghi, usi e costumi lontani. Per molto tempo la leva obbligatoria è stato uno strumento straordinario di costruzione dell'unità nazionale.
Con la modernizzazione della società, la scolarizzazione di massa, lo sviluppo delle comunicazioni, la leva ha perso definitivamente questa funzione ed è stata percepita da intere generazioni come un insopportabile obbligo, una tassa sulla gioventù, un contributo che sottrae uno o due anni di vita utile da dedicare al lavoro o allo studio. Una tassa molto più onerosa di quelle che gravano sul reddito, perché sottrae non una parte del proprio avere, ma del proprio essere. Milioni di giovani hanno dovuto tenere conto di questo ostacolo nel dipanarsi dei loro progetti di vita con l'angoscia di un anno o alcuni mesi buttati via senza imparare nulla di utile o formativo. Né era pensabile che in un anno (o addirittura meno) di ferma coscritta le forze armate potessero fornire un qualsiasi addestramento, considerato il livello attuale di complessità tecnologica e organizzativa della difesa.


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Accanto a questa conquista di libertà la riforma consegue un altro obiettivo cruciale: l'Italia si dota finalmente di un dispositivo di difesa all'altezza delle nuove responsabilità e del nuovo ruolo che il nostro paese sta assumendo nello scenario internazionale. La difesa nazionale non è più difesa dei confini orientali, della soglia di Gorizia, come si diceva un tempo. Le minacce alla pace non vengono più dall'Europa. Il crollo del comunismo europeo ha messo la parola fine sulla minaccia militare sovietica. Oggi l'Europa intera, occidente ed oriente, sta percorrendo un cammino di integrazione, unità e pace dopo la terribile guerra dei Balcani, ultimo lascito del comunismo.
Le minacce alla pace, alla libertà, alla sicurezza del mondo vengono oggi dal terrorismo internazionale e dagli Stati canaglia che lo alimentano. Non abbiamo più conflitti di confine o territoriali, ma un conflitto diffuso che nell'11 settembre ha raggiunto il suo apice con un atto di guerra terroristica sul suolo degli Stati Uniti.
L'Italia, grazie all'azione del Presidente Berlusconi, ha conquistato una posizione di primo piano nella difesa della pace e della sicurezza e ha visto crescere responsabilità e prestigio internazionali. Già oggi, grazie all'opera delle nostre Forze armate e dei suoi reparti costituiti da professionisti, l'Italia è un paese esportatore di pace. Con Forze armate totalmente professionali questo ruolo non potrà che crescere e diventare più incisivo.
Vi è, infine, un ultimo aspetto importante della riforma: la sua ricaduta sulla formazione dei corpi dedicati alla sicurezza interna. Chi vorrà intraprendere una vera carriera nello Stato in forze come la polizia, i carabinieri o nelle altre forze dell'ordine avrà a disposizione un percorso formativo e selettivo certo, una formazione degna del nome. Dai nuovi volontari emergeranno professionisti validi nelle Forze armate, nei corpi di sicurezza dello Stato e, più in generale, nel mercato del lavoro.
Affermazione delle libertà individuali, modernizzazione del sistema di difesa, nuove opportunità di lavoro al servizio dello Stato: questi sono gli obiettivi che la riforma raggiunge. I liberali li avevano messi in agenda più di vent'anni fa; oggi, grazie all'iniziativa del Governo Berlusconi, all'impegno del ministro Martino, al sostegno di Forza Italia e della Casa delle libertà, sono lieto che questi obiettivi siano condivisi da una larga maggioranza delle Camere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santino Adamo Loddo. Ne ha facoltà.

SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, anche noi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo ci associamo al lavoro svolto dal relatore Gamba, anche se non possiamo non dire che l'«approdo» all'esame in terza lettura della Camera di questo disegno di legge ci porta doverosamente a ricordare il lavoro svolto nella scorsa legislatura dal Governo di centrosinistra, per porre in essere una delle riforme epocali della nostra storia repubblicana.
Infatti, con l'autorevolezza che solo lui aveva, l'allora ministro della difesa Beniamino Andreatta fu artefice dell'abolizione della leva obbligatoria e dell'avvio della professionalizzazione delle nostre forze armate.
Il ministro Andreatta, con il suo prestigio, che tutti gli riconoscevano, e con le intuizioni geniali avvalorate da studi e riflessioni approfondite anche in chiave internazionale, comprese appieno il valore fondamentale e l'importanza di dare all'Italia un esercito professionale ed un sistema di difesa organico e maggiormente adeguato a quello che era ed è il ruolo del nostro Paese sulla scena internazionale.
Non esitò quindi a varare la riforma della leva, che giunse al traguardo nel 1998; non fu una riforma facile, ma l'«aggancio» all'Europa non poteva e non può tuttora ridursi soltanto alla moneta unica. Occorreva iniziare a pensare ad una politica di difesa in chiave europea e alla definizione di un quadro comune per le


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politiche della sicurezza, di cui quello della difesa è un aspetto strettamente collegato ed imprescindibile.
Da allora, è stato proprio a partire dall'azione dei governi di centrosinistra che si è avviata l'idea di costituire un vero esercito europeo. Ad esempio, a Bruxelles, nel 2000, con l'accordo sottoscritto dal ministro Mattarella, fu prevista la prima forza rapida di intervento europea composta da 60 mila uomini.
Tutti abbiamo la consapevolezza di quanto sia importante che oggi l'Europa assuma una maggiore autorevolezza in politica estera. In Iraq, ma prima ancora nei Balcani ed in Afghanistan, l'Europa purtroppo è sempre stata costretta ad inseguire gli avvenimenti e non ad essere guida anche dei processi diplomatici, per una sua carenza politico-militare.
Nel cuore della nostra Europa, siamo stati impotenti di fronte agli eccidi che si consumavano, ad esempio, nella ex Iugoslavia; purtroppo, la diplomazia necessita anche di un'autorevole politica di difesa, in grado di supportare la capacità di iniziativa della stessa cancelleria.
Si badi bene che non si tratta di dire che la difesa equivale ad una politica di guerra; anzi, tutt'altro! Nel rispetto pieno della nostra Costituzione, e in particolare in accordo con l'articolo 11 della Costituzione, che prevede che l'Italia ripudi la guerra, l'accezione corretta di tale impostazione deve essere intesa non certo come privazione di una politica di difesa comune da costruire con gli altri partner europei.
La strada, lo sappiamo, è lunga ed anche difficile: noi il progetto di una politica di difesa comune non lo abbiamo ancora realizzato, anche perché non abbiamo oggi alla guida del nostro Paese una coalizione che creda pienamente nel futuro dell'Europa.
Di questo avvertiamo tutta la mancanza: è una lacuna che spesso ci costringe a «stare a rimorchio» - ed uso un termine un po' forzato per dare l'idea di quello che sto per dire - degli Stati Uniti d'America.
A tutti noi è nota la disparità di investimenti nel settore della difesa, nel rapporto con gli Stati Uniti: sappiamo bene che per le nostre culture europee ed occidentali è difficile accettare, nella pubblica opinione, l'idea di investire sulla difesa rispetto ad altri canali della spesa pubblica. Lo abbiamo visto in merito anche alla manovra di aggiustamento dei conti pubblici, che il Governo ha appena varato, con voto di fiducia, e con la quale ha aumentato le tasse sulle case e sul bollo per dimezzare i tagli quantificati, all'inizio, in un miliardo e 800 milioni di euro al Ministero della difesa.
È comunque altrettanto vero che l'11 settembre ha mutato una serie di chiavi di lettura anche rispetto alle tematiche della difesa in senso stretto. Lo disse il nostro presidente Rutelli, affermando che occorreva sottrarre alla rigidità dei vincoli di bilancio le spese per la difesa.
Una richiesta reale perché il tema della sicurezza è un tema importante per la democrazia. Ma il settore della difesa - vale la pena ricordarlo - è anche un'importante voce per l'industria italiana, per quella di grandi dimensioni, per la ricerca scientifica e per l'occupazione.
In questo settore gravitano le ultime grandi industrie di cui dispone l'Italia. Questo Governo che aveva fatto delle Forze armate, della sicurezza e della difesa uno dei principali cavalli di battaglia, in tutta la sua drammaticità ha fallito. Il rapporto spesa-PIL nel bilancio della difesa è di fatto diminuito anche dopo i tagli di oltre un miliardo di euro nella manovra di pochi giorni fa. Eppure il ministro Martino, fin dal primo giorno del suo insediamento, aveva detto che questo Governo puntava all'1,5 per cento del rapporto spesa-PIL e continuamente, con coerenza, lo ha ribadito fino a poche settimane fa, cioè fino a quando non sono emersi i buchi di bilancio e le voragini aperte dalla dissennata politica economica dell'ex superministro Tremonti.
Il ministro Martino aveva anche parlato della possibilità di legare il bilancio della difesa all'andamento del PIL: di questi tempi non sarebbe una grande cosa. Vi è


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però un dato politico indiscutibile: oggi in Italia si spende meno dell'1 per cento in politiche per la difesa. L'Italia è il paese che spende meno in tale settore, anche a livello europeo.
Ho volutamente fatto tale ampia premessa per inquadrare il provvedimento cui questo ramo del Parlamento si appresta a dare il via libera definitivo cambiando, in un certo modo, il nostro paese. Si tratta di un provvedimento su cui noi dell'opposizione abbiamo sempre mostrato la nostra disponibilità in via di principio. Noi - e mi riferisco in particolar modo alla Margherita, ma anche ai DS e allo SDI - abbiamo sempre auspicato l'anticipo dell'entrata in vigore dell'abolizione della leva rispetto al 2007, termine iniziale previsto dalla riforma del 1998.
Nelle leggi finanziarie varate dal vostro Governo in sede di discussione in Commissione e in aula per tre anni abbiamo sempre presentato una serie di proposte organiche sotto forma di emendamenti che andavano in questa direzione. Tali emendamenti sono stati puntualmente bocciati. Ora siamo al dunque, ma, come spesso accade, ad intenzioni pur giuste il Governo fa seguire atti parlamentari contraddittori che creeranno altre difficoltà al momento della loro applicazione.
In prima lettura alla Camera ricordo che troncaste il dibattito in Commissione e constatammo un atteggiamento del Governo e della maggioranza assolutamente non aperto e piuttosto rigido sui punti qualificanti proposti dall'opposizione. In terza lettura, con una verifica aperta, con un Governo che naviga a vista in tutti i settori, anche questa volta il dibattito sarà monco e nei tempi non inadeguato ad affrontare un passaggio cruciale per il futuro delle Forze armate nel nostro paese.
Siamo convinti che il legislatore abbia un compito fondamentale: il Parlamento, le discussioni, il confronto con l'opposizione non sono una perdita di tempo, ma un modo per migliorare ciò che per sua natura è perfettibile. Noi della Margherita esprimiamo preoccupazioni rispetto ad una eccessiva sottovalutazione da parte del Governo delle problematiche connesse al nuovo scenario del sistema di difesa nazionale. Si tratta di sottovalutazioni che vanno dall'organizzazione alla formazione, all'incentivazione del reclutamento delle Forze armate; sottovalutazioni che investono, inoltre, la capacità di reclutamento.
Oggi possiamo dire che la sperimentazione del modello delle Forze armate professionali può funzionare e consentire all'Italia di avere un'organizzazione della difesa efficiente ed efficace in termini di uomini e di mezzi, ma sono indispensabili investimenti, a partire dalle risorse umane.
L'impegno delle Forze armate in missioni internazionali sotto l'egida dell'ONU o in base agli accordi internazionali per il mantenimento e il ripristino della pace e la partecipazione ad operazioni di soccorso alle popolazioni esposte ad eventi bellici sono stati il banco di prova più severo che ha dato l'opportunità di dimostrare, riscuotendo il plauso incondizionato della comunità internazionale, il livello di efficienza e di capacità operativa raggiunto dalle nostre unità militari. Non a caso siamo il terzo paese del mondo per il numero di contingenti militari impegnati in missioni internazionali. Sono infatti oltre 9 mila i militari impegnati in tali missioni che rendono lustro al paese in maniera indiscutibile rispetto al Governo in carica.
Le Forze armate sono un patrimonio del paese a prescindere dalla maggioranza che governa. Esse appartengono alla Costituzione ed ai cittadini. Perciò in questo momento rivolgiamo un saluto ed esprimiamo solidarietà ai nostri militari impegnati nel mondo. A questi gravosi impegni vanno aggiunti quelli che sistematicamente, ormai da tempo, sono disposti all'interno dei nostri confini per la sorveglianza ed il controllo del territorio, anche nella lotta al terrorismo, laddove il personale militare viene posto a disposizione dei prefetti, in stretto coordinamento con le forze di polizia per il controllo e la sicurezza. Il modello professionale, dunque, funziona e le nostre istituzioni militari hanno dimostrato di poterlo gestire con eccellenti risultati.


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L'ultima conferenza intergovernativa ancora non ha sciolto i tanti dubbi che gravano sul futuro di un esercito europeo. Si tratta di una necessità che si avverte sempre di più di fronte agli scenari internazionali, appunto per rafforzare un'autonomia operativa e collaborativa con gli USA, ma che non sia in chiave di mera subalternità.
Faccio presente che la riforma della quale stiamo discutendo si è resa necessaria anche per il riferimento del bacino di reclutamento della leva, che ormai risulta fortemente condizionato dall'alto numero di adesioni al servizio civile, che sta affermando una propria identità del tutto indipendente dalla leva obbligatoria. È quindi evidente che il passaggio ad un sistema professionale è irreversibile e il periodo di transizione molto ampio avrebbe finito per rallentare gli stessi processi di ristrutturazione, con il rischio di avere ibridi non efficienti e non efficaci, anche sotto il profilo della professionalità e dell'operatività.
Vi sono quindi tutte le condizioni di utilità e di opportunità per accelerare la trasformazione delle Forze armate in senso totalmente professionale. Per realizzare tale obiettivo è però necessario intervenire in più direzioni, per garantire alle Forze armate una disponibilità adeguata per quantità e qualità di volontari in ferma. Per fare ciò, a nostro giudizio assume particolare importanza il meccanismo di reclutamento che si sceglie. Bisogna evitare che l'arruolamento rappresenti solo l'ultima chance per coloro che non riescono a trovare un'altra collocazione professionale o, peggio, una sorta di ammortizzatore sociale contro la disoccupazione (un rischio molto concreto). Bisogna infatti guardare con preoccupazione ai dati attuali sulla percentuale di volontari. Essi vengono soprattutto dalle regioni del sud e dalle isole, che hanno un'incidenza del tasso di disoccupazione molto più elevata rispetto alle regioni del nord. Non possiamo avere un esercito professionale marcatamente regionalizzato, perché esso non sarebbe un embrione sano per il futuro esercito europeo.
Noi dobbiamo continuare ad avere un esercito professionale caratterizzato per la sua «nazionalità» interterritoriale ed interclassista. Per fare questo, occorre che il servizio militare professionale sia appetibile ed eserciti un interesse vero e non «costretto» per chi lo vuole scegliere. Nelle Forze armate si entra a far parte di una comunità, che deve continuare a riconoscersi nei valori assoluti della Costituzione. Si tratta sempre delle Forze armate del nostro paese e della democrazia sancita dalla nostra Costituzione. L'esercito professionale deve di per sé rappresentare una formidabile opportunità di formazione, crescita e specializzazione professionale, tale da valorizzare e promuovere le capacità di lavoro professionale, non solo subordinato ma anche autonomo ed imprenditoriale, dei militari di carriera al termine della loro permanenza nelle Forze armate.
Per quello che riguarda l'aspetto economico, attualmente il personale in ferma volontaria non percepisce uno stipendio, ma soltanto una paga giornaliera. Tale paga, volta a compensare esclusivamente le giornate di effettiva presenza presso i reparti, è peraltro determinata in misura inferiore rispetto a quanto offerto in altri settori delle istituzioni pubbliche, che quindi assorbono parte consistente dei giovani disponibili all'arruolamento. Nel corso della prima lettura del provvedimento, noi della Margherita avevamo presentato insieme ai Democratici di sinistra una proposta di legge abbinata, ma non vi è stata neppure la possibilità di fare un comitato ristretto, essendo stato adottato come testo base il testo del Governo. Sappiamo che è stata questione di regolamento, ma nulla avrebbe impedito di essere maggiormente disponibili ad un confronto.
Del resto, si tratta di un provvedimento sul quale sapevate e sapete anche oggi di non incontrare, né alla Camera né al Senato, un pregiudizio, in quanto l'obiettivo era ed è condiviso. Invece è sulle modalità che si registrano idee diverse ed era su quelle nostre proposte che si poteva giungere ad una sintesi migliore proprio in


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Parlamento. Siamo sorpresi di alcune rigidità inspiegabili ed anche se al Senato avete introdotto delle correzioni, in realtà lo avete fatto perché preoccupati delle conseguenze politiche che si potevano registrare, come sempre, all'interno della vostra maggioranza, tra chi, come il ministro Martino, pensava a reparti di neo-ascari e chi, come la Lega, era lungi dal prevedere tale possibilità.
Resta ancora sancito il vincolo del servizio militare come requisito per l'accesso alle forze di polizia, permanendo quindi un elemento di obbligatorietà che appare in netto contrasto con i principi costituzionali. L'obbligatorietà del preventivo servizio militare rischia di accentuare gli squilibri territoriali del paese, considerando il dato ineludibile ed indiscutibile che il bacino al quale attingeranno le Forze armate sarà costituito soprattutto e prevalentemente da giovani meridionali. Noi siamo disposti anche a prevedere il principio dell'obbligatorietà, purché esso abbia un'applicazione limitata nel tempo, considerando tale delega come una soluzione straordinaria e temporanea, legata alla difficile fase di transizione. In questo, è evidente la nostra costruttività, in quanto abbiamo proposto che il meccanismo dell'obbligatorietà abbia una validità limitata al 31 dicembre 2009 e non si estenda sino al 31 dicembre 2020. Tra l'altro, con un'obbligatorietà così prolungata nel tempo, sarebbe ancora più grave se non fossero messi a concorso posti non coperti durante l'anno dai volontari delle Forze armate.
Vi sono però anche altri problemi. Ci interroghiamo, ad esempio, su cosa accadrà nella riorganizzazione dell'attuale rete delle caserme sul territorio nazionale. Dobbiamo evitare che venga disperso un patrimonio di storia e di dislocamenti operativi in termini di sicurezza per il paese. La riorganizzazione deve prevedere il mantenimento in ogni regione di una caserma militare e di altre infrastrutture logistico-operative per evitare una concentrazione non funzionale dell'apparato militare. Siamo contrari a razionalizzazioni selvagge che deprimono e non aiutano la nascita di un esercito professionale.
Noi chiediamo al Governo l'impegno a ristrutturare le caserme, tenendo conto che dovranno ospitare persone che non si fermano più soltanto pochi mesi e che appartengono a sessi diversi, quindi con esigenze del tutto nuove rispetto al passato. Ripeto, contestiamo ogni razionalizzazione selvaggia del patrimonio di caserme nel paese e vogliamo tutelare la presenza di una struttura militare e di una caserma per ogni regione. Avverto con disagio quanto sta accadendo in diverse regioni, con il rischio di soppressione di tante caserme che sono la storia del nostro paese e simboleggiano il valore di una comunità nazionale, di un'integrazione che ha anche nelle Forze armate il suo valore di unità.
Il servizio militare - non dimentichiamolo - è stato anche il modo negli anni passati per permettere l'integrazione nazionale, per l'unità declinata con persone del nostro paese, per consentire a tanti giovani che restavano isolati per condizioni economiche e sociali di conoscere altri posti della nostra Italia.
Ricordiamo al Governo, inoltre, che, nella scorsa legislatura, il Parlamento approvò all'unanimità una risoluzione che impegnava il Governo ad investire nella realizzazione di cinque nuove caserme, tutte nel Mezzogiorno.
Ormai, la nuova frontiera non è più l'est europeo, soprattutto dopo l'allargamento dell'Unione. Ad essere cambiata è la geografia politica dell'Europa e il Mediterraneo è diventato il vero confine per l'Italia e soprattutto per la stessa Europa, rispetto, ad esempio, a paesi del nord Africa e del Medio oriente.
Per tali motivi, non comprendiamo decisioni che mirano solamente a smantellare, senza oculatezza, le nostre caserme e le nostre strutture militari. Abbiamo poi l'esigenza di promuovere l'arruolamento, ma questo si può fare attraverso adeguate misure incentivanti sia per l'ingresso sia per accompagnare l'eventuale uscita in maniera meno traumatica possibile.


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Non si può chiedere a ragazzi di entrare con tanta speranza per poi utilizzarli per un compito importante e quindi scaricarli in una fascia di età critica, nella quale trovare un'occupazione diventa difficile, soprattutto se consideriamo la loro prevalente provenienza meridionale ed isolana. Abbiamo la necessità di avere persone preparate, militari forti e soprattutto persone pensanti. Vogliamo consentire la scelta del servizio militare volontario anche a quei giovani che intendano contemporaneamente proseguire gli studi, ma che possono trovarsi in condizioni economiche che non consentono con facilità tale scelta.
Noi vogliamo che le Forze armate non diventino sfogo solo per le marginalità. A questi giovani vogliamo vengano riservate borse di studio che consentano di completare il ciclo delle scuole medie superiori o quello universitario, senza oneri da parte loro. È chiaro che ciò assicurerà alle Forze armate anche l'ingresso di una fascia di popolazione che ha tra i propri obiettivi anche quello di migliorare la propria formazione culturale e professionale.
Dobbiamo consentire poi fuoriuscite indolori e non traumatiche dal punto di vista sociale. Per quanto concerne il problema del collocamento al lavoro con forme agevolate per i volontari congedati senza demerito ci si può, a nostro avviso, avvalere utilmente, ad esempio, della previsione di consentire all'amministrazione della difesa di ricorrere a risorse esterne per il soddisfacimento delle sue necessità tecniche e logistiche, agevolando imprese o aziende cooperative che risultino formate in gran parte proprio dal personale congedato (lo avevo rilevato in modo forte anche in Commissione difesa ed il presidente della suddetta se lo ricorderà senz'altro).
Noi continuiamo a credere nelle nostre proposte, come, ad esempio, nella modifica delle norme che disciplinano il profilo di carriera dei volontari, le condizioni di reimpiego ed il transito nel ruolo dei sergenti, migliorandone lo stato giuridico e le condizioni di avanzamento.
È del tutto evidente che la sospensione anticipata del servizio di leva obbligatoria va esaminata e discussa anche per gli effetti diretti o indiretti che avrà sul servizio civile volontario. Se c'è preparazione reale e vera, se anche questa scelta viene considerata dal Governo realmente parificata, allora questo provvedimento sarebbe stata la sede opportuna per inserire meccanismi tali da non creare disservizi e rischi alla tenuta di un servizio ormai imprescindibile per le nostre comunità.
Tutti sappiamo che interi settori dell'assistenza alle fasce deboli e ai servizi alle persone sono affidate al servizio civile. Considerata la disattenzione con cui si muove il Governo su questi temi, si rischiano gravi conseguenze che, alla fine, andranno a colpire i più bisognosi. Già quest'anno avete diminuito le risorse stanziate per gli enti che impiegano i ragazzi del servizio civile. Un taglio che colpisce i giovani, ma soprattutto i programmi che gli enti hanno predisposto nel campo dell'assistenza, della protezione civile e della rete di solidarietà. Crediamo che non si possa ignorare questo problema, che si accentuerà sempre di più nei prossimi anni, nonostante vi sia una espansione enorme della domanda. Facciamo attenzione, perché stiamo parlando di una fondamentale infrastruttura morale fondata sulla solidarietà!
Infine, vorrei affrontare in questa discussione sulle linee generali una vera emergenza per i militari, già richiamata in precedenza, ma su cui vale la pena di soffermarsi nuovamente: il problema della casa. La questione casa, infatti, è un tema importante per incentivare la permanenza nelle Forze armate. Pensate al disagio di persone che, per motivi di servizio, devono spostarsi o devono trovare una sistemazione confortevole per sé e per la propria famiglia. Non si è fatto che un gran parlare di cartolarizzazione di immobili della difesa, per fare cassa e con risultati marginali, se si è stati costretti a prevedere tasse e si è ignorato invece la prospettiva e le dinamiche legate alla professionalizzazione delle Forze armate. Avevamo pro


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posto una riserva congrua e adeguata di edilizia pubblica residenziale a sostegno dei militari e delle loro famiglie. Non si può non dare un supporto a chi fa una scelta di vita di tale genere.
Infine, prima di concludere, vorrei cogliere l'occasione per affrontare il tema, di scottante attualità, dell'uranio impoverito. È di questi giorni la notizia del ricovero di 19 militari che erano stati missione in Iraq. Nel corso della discussione per la proroga delle missioni internazionali abbiamo lungamente dibattuto su questo delicatissimo tema. Le troppe malattie, le troppe morti che si riscontrano meritano una risposta da parte del legislatore; infatti, non può essere solo la magistratura ad occuparsi di questo problema. Chiediamo un impegno serio e vero per scoprire scientificamente le conseguenze sulla salute di certi armamenti. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a questi drammi che colpiscono ragazzi giovani e le loro famiglie. In questo dibattito, che riguarda il futuro delle nostre Forze armate, non possiamo ignorare quanto avviene.
Questi sono gli aspetti che più ci stanno a cuore e sui quali continuiamo la nostra battaglia. La Margherita, quale forza autenticamente riformatrice, non può che salutare positivamente l'anticipo al 2005 della riforma fatta dall'Ulivo, in quanto ciò vuol dire che quella riforma ha dato buoni risultati, ma non può non sottolineare le lacune e i vuoti che permangono nel presente testo che, sicuramente, sarebbe potuto essere migliore sotto molti punti di vista, a partire dalla gratificazione economica e professionale dei militari. Possiamo dire che la riforma va avanti, ma non possiamo dire che è la miglior riforma possibile, perché è ancora troppo parziale e limitata nella sua prospettiva, che non ha quel respiro europeo che ci saremmo attesi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.

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