Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 442 del 22/3/2004
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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2004, n. 41, recante disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione (4738) (ore 14,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2004, n. 41, recante disposizioni in materia di determinazione del prezzo di vendita di immobili pubblici oggetto di cartolarizzazione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4738)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Democratici di sinistra-L'Ulivo e Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Antonio Pepe, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANTONIO PEPE, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il decreto-legge n. 41 del 2004, di cui il disegno di legge n. 4738 dispone la conversione in legge, segue a numerosi altri interventi legislativi in materia di cartolarizzazione degli immobili pubblici con l'obiettivo, come rileva la relazione illustrativa, di superare la fase di sostanziale stallo nella quale si trova attualmente il processo di alienazione del patrimonio immobiliare pubblico residenziale a favore degli inquilini, in ragione dell'incertezza sulle modalità di determinazione del prezzo di vendita delle singole abitazioni.
È stato il decreto legislativo 16 febbraio 1996 n. 104 a disciplinare per primo il tema della dismissione degli immobili degli enti previdenziali pubblici. Intervenne,


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successivamente, l'attuale Governo, anche per dare impulso alle dismissioni, e con il decreto-legge n. 351 del 2001, convertito dalla legge n. 410 dello stesso anno, vennero dettate nuove disposizioni finalizzate alla privatizzazione e valorizzazione del patrimonio pubblico immobiliare. L'agenzia del demanio venne individuata come il soggetto incaricato della ricognizione del vasto patrimonio pubblico immobiliare; lo strumento della cartolarizzazione, con la costituzione di una o più società veicolo cui cedere gli immobili - autorizzate, a loro volta, ad emettere i titoli o ad assumere finanziamenti - fu la tecnica finanziaria individuata per la privatizzazione del patrimonio immobiliare.
L'articolo 3 di quel provvedimento contiene le modalità per la cessione degli immobili. Il comma 20 di detto articolo fu introdotto in sede di dibattito parlamentare sulla legge di conversione. Al riguardo, ricordo come tale comma disponga che le unità immobiliari, escluse quelle considerate di pregio, per le quali i conduttori entro il 31 ottobre 2001 abbiano manifestato volontà di acquisto, sono vendute al prezzo ed alle condizioni determinati in base alla normativa vigente alla data della predetta manifestazione di volontà di acquisto. Ebbene, tale comma è stato oggetto di ampie e approfondite analisi, discussioni ed interpretazioni. Il dibattito verteva sulle modalità di determinazione del prezzo.
Detto comma 20 fu abrogato dall'articolo 26 del maxidecreto collegato alla finanziaria per il 2004, il n. 269 del 2003, ma fu reintrodotto con il comma 134 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2003. La detta abrogazione aveva spinto gli enti interessati a ritenere che il prezzo e le condizioni di vendita di tutte le unità immobiliari, indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà da parte dei conduttori, dovessero essere determinati con riferimento al momento dell'alienazione, travolgendo così anche diritti ormai acquisiti. La stessa relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 269 evidenziava l'intenzione di eliminare una previsione che aveva sempre determinato interpretazioni difformi.
La preoccupazione e l'incertezza suscitate da detta abrogazione nei conduttori (che vedevano in ciò una possibile compressione del loro diritto di acquisto, maturato sulla base di precedenti certezze giuridiche); l'esigenza, comunque, di tutelare gli inquilini investiti della decisione di acquistare la prima casa; il dibattito parlamentare relativo alla finanziaria per il 2004 che, come si legge nella relazione che accompagna il decreto oggi al nostro esame, ha indicato la volontà del legislatore di applicare la norma in questione nel senso di concedere l'applicazione dei prezzi stabiliti per il 2001 ai conduttori che, nei termini, avessero manifestato la volontà di acquisto, sono alla base del decreto che siamo chiamati a convertire.
Il decreto si compone di due soli articoli. Il comma 1 del primo articolo stabilisce che il prezzo di vendita delle unità immobiliari ad uso residenziale per le quali i conduttori, in assenza dell'offerta in opzione, abbiano manifestato la volontà di acquisto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro i il 31 ottobre 2001, è determinato sulla base dei valori di mercato del mese di ottobre 2001. La volontà all'acquisto deve essere stata manifestata secondo le modalità indicate dal comma 20, secondo periodo, dell'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001, al quale viene fatto espresso rinvio; quindi, la normativa in parola riguarda esclusivamente gli immobili considerati non di pregio. Il decreto-legge in esame, nella versione presentata al Parlamento, consentiva la riduzione del prezzo solo in favore dei conduttori che avessero manifestato la volontà di acquisto nel periodo compreso tra il 26 settembre ed il 31 ottobre 2001, modificando il dettato del decreto-legge n. 351 che non conteneva indicazioni di un termine iniziale.
Peraltro, durante il dibattito in VI Commissione (Finanze), il Governo, mostrandosi sensibile alle istanze dei conduttori ed accogliendo anche richieste emerse nel dibattito stesso, ha presentato una


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proposta emendativa che prevede la soppressione del termine iniziale, proposta emendativa accolta dalla Commissione.
Il comma 2 del primo articolo del decreto-legge, in considerazione delle previsioni del primo comma, definisce le modalità di determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari.
A tal fine, si assume il valore attuale di mercato, come determinato ai sensi del comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 351, prendendo a riferimento i prezzi effettivi di compravendite di unità immobiliari aventi caratteristiche analoghe.
A tal fine, si assume il valore attuale di mercato, come determinato ai sensi del comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001, prendendo a riferimento i prezzi effettivi delle compravendite di unità immobiliari aventi caratteristiche analoghe. A tale valore saranno applicati coefficienti aggregati di abbattimento calcolati dall'Agenzia del territorio sulla base di eventuali aumenti di valore delle unità immobiliari tra la data di offerta in opzione ed i valori medi di mercato del mese di ottobre 2001. La variazione sarà determinata considerando i valori pubblicati dall'Osservatorio dei valori immobiliari e sulla base di altri parametri di mercato.
Peraltro, poiché, come risulta dal regolamento di amministrazione dell'Agenzia del territorio, l'Osservatorio dei valori immobiliari è stato ridenominato Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), nel corso dell'esame dovrà essere approvato un emendamento che tenga conto di detta nuova denominazione.
Il comma 3 estende l'applicazione del comma 1 anche agli immobili che risultano già venduti alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame. Conseguentemente, viene riconosciuto agli acquirenti nei confronti dei quali ricorrono i presupposti per l'applicazione del comma 1 il diritto al rimborso del solo maggior prezzo eventualmente pagato, senza prevedere la corresponsione di interessi o di altri costi aggiuntivi. Il rimborso è corrisposto dagli enti originariamente proprietari degli immobili.
Nulla dice il testo sulle modalità di rimborso. È evidente, però, che il rimborso dovrà avvenire senza costi aggiuntivi per gli ex conduttori oggi proprietari. Pertanto, sarà opportuno che il decreto, di natura non regolamentare, che stabilirà i criteri e le modalità applicative dell'articolo 1 del decreto-legge in esame indichi che, per il rimborso o, comunque, a seguito del rimborso, non occorrerà alcun atto di rettifica dell'atto di compravendita già perfezionato e che, eventualmente, la documentazione amministrativa dell'ente e quella bancaria faranno piena prova del rimborso stesso.
Il testo oggi al nostro esame prevede che, in ogni caso, la nuova determinazione del prezzo non produce effetti per i conduttori che non hanno esercitato i diritti di opzione e prelazione ad essi spettanti ed in relazione ai quali si siano verificate decadenze. Sul punto, devo rilevare che, se la disposizione è sicuramente opportuna in presenza di vendite già concluse e perfezionate con terzi, non potendo il diritto del conduttore che non ha esercitato nei termini l'opzione o la prelazione ledere il diritto del terzo acquirente che ha acquistato in buona fede, può pensarsi, forse, ad una qualche modifica con riferimento alle opzioni relative a quei beni che non siano stati trasferiti a terzi. Un chiarimento del Governo su questo delicato aspetto sarebbe opportuno.
Occorre poi rilevare che, per la copertura finanziaria, la Commissione ha accolto una condizione posta dalla Commissione bilancio: il rimborso avverrà nei limiti delle risorse derivanti dalla dismissione di ulteriori immobili pubblici da individuare con decreto del ministro dell'economia e delle finanze. Inoltre, su richiesta della Commissione finanze, per dare certezze in ordine ai tempi, è stato previsto che detto decreto dovrà essere emanato entro il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione.
Il comma 4 rinvia la fissazione dei criteri e delle modalità applicative del presente decreto-legge ad uno o più decreti, di natura non regolamentare, del ministro dell'economia e delle finanze, di


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concerto con il ministro del lavoro e dispone in ordine alle conseguenze finanziarie sia relativamente alle minori entrate per la società di cartolarizzazione, per quanto attiene alle vendite che devono ancora essere effettuate, sia in merito alle eventuali minori entrate che deriveranno complessivamente agli enti previdenziali a conclusione dell'operazione di cessione degli immobili cartolarizzati ed agli oneri relativi all'escussione delle garanzie eventualmente concesse dallo Stato sui prestiti contratti dalla società di cartolarizzazione. È stata altresì prevista una relazione semestrale del Governo per riferire sulle operazioni di vendita di ulteriori immobili effettuate per le finalità di cui al decreto-legge stesso.
Certo, il provvedimento in esame non è la bacchetta magica per risolvere tutte le problematiche connesse alla cartolarizzazione, ma è un altro tassello necessario per dare tranquillità e certezze. Altri problemi, come quelli relativi agli immobili considerati di pregio ed ai criteri per la loro individuazione, dovranno essere affrontati. Tuttavia, ricordo che il Governo è già intervenuto sul tema con il decretone di settembre, sancendo che possono essere dichiarati non di pregio gli immobili in stato di degrado e che presentino la necessità di interventi di restauro e di risanamento conservativo ovvero di ristrutturazione edilizia.
Concludo sperando in una rapida e non contrastata approvazione del provvedimento. Si è cercato di venire incontro alle esigenze degli inquilini, al loro legittimo desiderio di acquistare la casa di abitazione, che sicuramente appartiene alla ristretta categoria dei bisogni primari dell'uomo.
I cittadini sono disposti ad enormi sacrifici per soddisfare quest'esigenza, perché, se è vero che, come diceva un famoso filosofo, l'ideale di vita è avere una coscienza tranquilla dentro di sé ed un cielo stellato sopra di sé, è anche vero che avere un tetto sicuro sopra la testa fa comodo ed è opportuno.
Il Governo e il Parlamento devono, quindi, trovare soluzioni idonee per soddisfare il bisogno abitativo e la crescente domanda di case degli italiani, con provvedimenti come questo al nostro esame che riescono a coniugare esigenze di bilancio con la necessità appunto di favorire la realizzazione dell'aspettativa del cittadino di acquisire la casa in proprietà per assicurare a lui e alla sua famiglia un futuro più tranquillo.
Il decreto-legge va in questa direzione: ecco perché auspico la sua conversione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIA TERESA ARMOSINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scherini. Ne ha facoltà.

GIANPIETRO SCHERINI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, non voglio ripetere quanto ha già detto, in maniera chiara, il relatore di questo provvedimento, onorevole Antonio Pepe, intervenuto precedentemente; tuttavia, vorrei rimarcare velocemente il contenuto del provvedimento.
L'articolo 1, comma 1, del provvedimento stabilisce che il prezzo di vendita delle unità immobiliari ad uso residenziale per le quali i conduttori abbiano manifestato la volontà di acquisto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro il 31 ottobre 2001 è determinato in base ai valori di mercato del mese di ottobre 2001. Il comma 2 definisce le modalità di ricalcolo del prezzo mediante coefficienti aggregati di abbattimento determinati dall'Agenzia del territorio. Il comma 3 prevede che la rideterminazione del prezzo si applichi anche agli immobili già venduti e dispone che gli enti originariamente proprietari degli immobili provvedano al rimborso agli acquirenti del maggior prezzo eventualmente pagato. È, in ogni caso, esclusa la riapertura dei termini per i conduttori che non


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abbiano esercitato i diritti di opzione o di prelazione o in merito ai quali si siano verificate decadenze.
Il comma 4 demanda a decreti ministeriali di natura non regolamentare la determinazione dei criteri e delle modalità applicative delle norme del decreto-legge, nonché la definizione dei rapporti finanziari con la società di cartolarizzazione. In proposito, si prevede che, al fine di indennizzare la società di cartolarizzazione dei minori ricavi derivanti dal ricalcolo del prezzo degli immobili, si provveda mediante l'utilizzo delle disponibilità degli enti previdenziali provenienti dalle medesime operazioni di cartolarizzazioni o, in alternativa, l'accensione, da parte delle società medesime, di prestiti con soggetti terzi sui quali potrà essere concessa la garanzia dello Stato.
Si dispone, infine, che, attraverso la vendita di ulteriori immobili dello Stato da individuare con decreti ministeriali si reperiscano le maggiori entrate necessarie per integrare gli enti proprietari dei rimborsi da essi effettuati, nonché per provvedere all'eventuale riduzione dei proventi che gli enti medesimi percepiranno a conclusione dell'operazione di cartolarizzazione all'escussione delle garanzie eventualmente concesse dallo Stato.
Vorrei ora svolgere alcune considerazioni sulla portata del provvedimento stesso.
I dati sulla casa e sull'incremento dei prezzi parlano di una preoccupante frizione tra l'aumento delle compravendite (+ 17,6 per cento) tra il 1998 e il 2002 e l'aumento dei prezzi medi delle abitazioni, passato da un + 3,4 per cento del secondo semestre 2002 ad un + 5,2 per cento del primo semestre 2003.
Come è noto, a ciò ha contribuito la disaffezione dei risparmiatori dal mercato dei titoli a seguito della congiuntura internazionale, delle note vicende legate al risparmio gestito e dei bassissimi tassi di interesse legati all'emissione di titoli pubblici.
Pertanto, oltre che come bene strumentale per il quale, in ogni caso, sarebbe necessario un trend incrementale ove si considerino le crescenti esigenze abitative, la casa è stata considerata anche un bene rifugio.
La crescita dei prezzi delle case nell'ultimo quinquennio è stata superiore, mediamente, al 40 per cento, mentre per il patrimonio immobiliare pubblico la crescita si è attestata nello stesso periodo su un + 27 per cento.
Queste cifre vanno inoltre considerate all'interno di una situazione che vede calare l'incremento delle costruzioni edilizie, così che, a fronte dell'aumento del 5,2 per cento nel 2000 sul 1999, la crescita è via via diminuita, passando al 3 per cento del 2001, al 2,5 per cento del 2002 fino alle previsioni per il 2003 sensibilmente più basse.
Nel corso dell'audizione svolta nell'ambito dell'esame del disegno di legge finanziaria per il 2004, l'ANCI ha consegnato un documento ai parlamentari in cui si afferma che il processo di dismissione degli immobili residenziali degli enti previdenziali ha contribuito ad aumentare la crisi del settore abitativo, in particolare nelle grandi aree urbane. Molte famiglie, non potendo acquistare l'immobile, si sono rivolte ai comuni, che si sono trovati in difficoltà sia per quel che riguarda le disponibilità delle abitazioni sia per le risorse da destinare al buono casa. Inoltre, gli immobili attualmente occupati dalle suddette famiglie saranno messi all'asta, con il conseguente rischio di sfratti di qui a qualche anno. Infine - osserva l'ANCI - la diminuzione del patrimonio abitativo in affitto ha determinato una crescita dei canoni di locazione anche maggiore rispetto a quella dei prezzi.
Il recente incremento da 120 milioni a 366 milioni di euro per il buono casa, che il Governo ha approvato a inizio marzo, è una prima risposta forte alle esigenze locali. Le cartolarizzazioni sono state condotte con il duplice e lodevole obiettivo di eliminare la mano pubblica dal settore immobiliare e di ricavare risorse per la riduzione dello stock del debito e per gli investimenti pubblici, ma il decreto n. 269 del settembre 2003, legato alla finanziaria per il 2004, quindi documento essenzialmente


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contabile, non ha adeguatamente valutato l'impatto sul tessuto economico-sociale delle città. D'altro canto, va osservato che l'intervento riparatore del Governo è stato talmente tempestivo da impedire il declassamento del rating dell'intera operazione SCIP nelle sue varie tranche e da convincere gli investitori, che hanno mantenuto inalterata la loro fiducia nella nostra nazione.
Il testo oggi al nostro esame costituisce una prima misura di un complesso di problemi legati alla casa che sarà opportuno affrontare a breve non solo in termini di risorse, ma anche di stimolo all'industria edilizia, ivi compresa quella residenziale pubblica e di concertazione tra gli attori nazionali e locali. Potrebbe forse destinarsi una quota delle risorse provenienti da SCIP 3 prevista per aprile di quest'anno e valutata in 2 miliardi di euro, anche se parte di essa dovrà essere destinata a copertura del provvedimento al nostro esame; ma il pacchetto di cartolarizzazione vale, secondo il Tesoro, 10 miliardi di euro l'anno per i prossimi tre anni.
Non può procedersi ancora per molto in termini di proroga degli sfratti, proroga contro la quale ci siamo sempre dichiarati, ma che appare inevitabile ove si venga posti in condizioni di dover scegliere il male minore. Consideriamo però che al 30 settembre 2003 e solo per le città di Torino, Bologna, Firenze, Venezia, Roma, gli sfratti hanno raggiunto il numero di 15.600. Il problema rischia di acuirsi a Roma, dove tra SCIP 1 e SCIP 2 sono stati messi in vendita oltre 40 mila alloggi, di cui solo 28 mila saranno opzionati dagli attuali conduttori, mentre 12 mila saranno messi all'asta, non avendo gli attuali occupanti i mezzi per poterli acquistare.
Il problema casa nel nostro paese rischia di bloccare la crescita economica e sociale. Non ci sono le abitazioni per le giovani coppie, per i ceti meno abbienti e gli immigrati, cioè per gli elementi determinanti del fattore lavoro (a sua volta, elemento determinante per lo sviluppo).
Andrebbero approfondite poi le questioni della crisi dello sviluppo e della scarsa mobilità sociale, alla quale forse anche il problema casa si richiama.
Occorrerà affrontare inoltre altri problemi. Innanzitutto la caduta dell'edilizia popolare: questa tendenza va invertita, oltre che per le ragioni appena evidenziate, anche perché costituisce una variabile economica anticiclica e anticongiunturale in quanto volano di sviluppo. Con l'esaurirsi dei fondi Gescal sono sparite le fonti di finanziamento per l'edilizia sovvenzionata e non ne sono state individuate altre né per far fronte al grave disagio abitativo né per attuare i programmi di riqualificazione urbana.
Il viceministro Martinat ha recentemente dichiarato che in Italia ci sono un milione e mezzo di case popolari, ma il 30 per cento degli occupanti è moroso e non paga l'affitto, mentre un altro 30 per cento occupa le abitazioni senza averne più diritto per reddito.
La possibilità per i comuni di acquistare appartamenti liberi e quelli occupati dalle famiglie meno abbienti perde significato ove non siano trasferite risorse adeguate. In connessione, si potrebbe ragionare sull'obbligo di vendere la sola nuda proprietà degli alloggi occupati dagli anziani, cedendo loro l'usufrutto, una norma che non costerebbe nulla e salvaguarderebbe le persone più deboli.
Altra questione è costituita dalla gestione del patrimonio immobiliare delle case privatizzate, che non sono soggette alla normativa degli altri enti pubblici. Il ministro Maroni si è recentemente espresso in questo senso.
Tuttavia, venerdì 19 marzo mille inquilini dell'Enpaf, che ha il proprio patrimonio immobiliare concentrato essenzialmente su Roma e Milano, si sono riuniti a Roma, in quanto l'ente, privatizzato nel 2000, nonostante il parere contrario del Ragioniere generale dello Stato, ha dichiarato di non voler vendere o di voler vendere a prezzi di mercato. È una scelta contestata dagli inquilini che, singolarmente o collettivamente, sono passati alle vie legali, impugnando tale decisione e


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proponendo, nel febbraio 2002, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Vi sono state anche diverse pronunce della magistratura ordinaria ed amministrativa che hanno dato ragione agli inquilini.
Per concludere, con riferimento alla questione del patrimonio immobiliare del comune di Roma, sono 1245 le unità immobiliari del patrimonio capitolino che con una delibera del 2001 il Campidoglio ha deciso di alienare. In due anni e mezzo sono state vendute solo 13 case e ora i nuovi contratti sono stipulati in base ai prezzi del 2004, anche se in questi anni i prezzi di mercato immobiliare hanno subito un'impennata.
Colleghi di maggioranza hanno chiesto l'applicazione della stessa tabella di sconti che verrà predisposta dall'Agenzia del territorio per gli immobili degli enti previdenziali e il rimborso delle differenze, secondo la stessa tabella di sconti, nei confronti di chi ha già acquistato. A questo punto, staremo a vedere cosa farà l'amministrazione capitolina.
Non occorre, infine, dimenticare come la privatizzazione degli immobili del patrimonio pubblico si inserisca nel più vasto quadro - l'ho già detto poc'anzi - dei problemi della casa, che coinvolge inevitabilmente rilevanti profili di carattere sociale che devono essere affrontati secondo politiche di più ampio respiro. Pertanto, a mio giudizio, appaiono strumentali quei rilievi che imputano al provvedimento in discussione di non dare risposta a tutte le questioni, certamente gravi e rilevanti, della politica abitativa nel nostro paese. Infatti, il processo di cartolarizzazione degli immobili pubblici non può essere la sede per affrontare organicamente tale ordine di questioni, che necessitano di un approccio organico che veda il contributo di organismi competenti a tutti i livelli in materia.
Alla luce di tali considerazioni, considero urgente assicurare la conversione in legge del decreto-legge in discussione, auspicando che su di esso si possa registrare il più ampio consenso da parte delle forze politiche di maggioranza e di opposizione.
È doveroso, infine, esprimere apprezzamento per il paziente lavoro svolto dal Governo Berlusconi, dal suo ministro Giulio Tremonti e dal sottosegretario oggi presente in aula, onorevole Armosino, che ha profuso buona parte delle sue energie per il provvedimento in discussione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cennamo. Ne ha facoltà.

ALDO CENNAMO. Signor Presidente, ancora una volta, con il decreto-legge in discussione si interviene su una materia che è stata oggetto di una lunga e disordinata serie di interventi normativi.
Tale provvedimento, infatti, non fa altro che dare applicazione ad una disposizione che era stata introdotta nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge n. 351 del 2001, ma che non aveva trovato attuazione per le resistenze delle amministrazioni coinvolte, provocando gravi disagi agli inquilini destinatari della normativa e suscitando un notevole contenzioso.
Come è noto, vi era la previsione secondo cui ai conduttori che avessero manifestato, mediante una lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la volontà di acquisto dell'abitazione entro il 31 ottobre 2001 sarebbe stato praticato il prezzo di vendita determinato sulla base dei valori di mercato del medesimo mese di ottobre.
Dopo essere stata disattesa per circa due anni, tale intenzione è stata eliminata con il decreto-legge n. 269 del 2003, il cosiddetto decretone. Merita ricordare, a questo riguardo, quanto affermava in proposito la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, secondo la quale si trattava di eliminare una previsione che aveva sempre provocato interpretazioni difformi e che, in ogni caso, ha ingenerato aspettative che non potevano essere soddisfatte. In sostanza, si intendeva dire che una disposizione di legge approvata dal Parlamento e pienamente in vigore aveva determinato nei destinatari aspettative irragionevoli e prive di concreta possibilità di realizzazione. Ogni commento al riguardo è superfluo!


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Successivamente, per effetto delle iniziative dell'opposizione e di parte della stessa maggioranza, la legge finanziaria, a due mesi di distanza dal decreto-legge n. 269, ha ripristinato la disposizione che il decreto-legge aveva abrogato. È evidente il grado di disordine e di mancanza di chiarezza con cui il Governo ha gestito questa vicenda a dir poco singolare, anche limitandoci a considerare soltanto la successione degli interventi normativi.
Il forte contenzioso che ne è scaturito è stato soltanto la conseguenza inevitabile, la quale, per un verso, ha posto in una situazione di oggettiva precarietà migliaia di famiglie e di inquilini e, per altro verso, ha rallentato o addirittura bloccato le procedure di dismissione degli immobili.
Il decreto-legge al nostro esame costituiva quindi, dopo l'intervento della legge finanziaria per il 2004, una sorta di atto dovuto, anche se il testo iniziale approvato dal Governo si presentava largamente insoddisfacente. In primo luogo, infatti, diversamente da quanto previsto dal decreto-legge n. 301 del 2001 e ribadito nell'ultima legge finanziaria, il Governo, nella versione iniziale del decreto-legge, aveva limitato in modo arbitrario la platea dei beneficiari della disposizione. Si stabiliva infatti che il prezzo ricalcolato secondo i valori di mercato dell'ottobre 2001 si applicasse soltanto agli inquilini che avessero manifestato la volontà di acquisto dopo il 26 settembre 2001.
In pratica, oltre al termine finale del 31 ottobre 2001, si introduceva un termine iniziale che non aveva alcun riscontro nelle precedenti formulazioni delle disposizioni in esame. È facile immaginare quindi quanti problemi avrebbe creato questa restrizione immotivata. Essa avrebbe infatti determinato una disparità di trattamento proprio a danno dei conduttori che erano stati i più pronti nel manifestare la propria volontà di acquisto ed avrebbe provocato ulteriori incertezze e contrasti in fase di applicazione, inasprendo, anziché risolvere, il contenzioso già in atto.
Sotto un secondo aspetto, inoltre, il decreto-legge adottato dal Governo risultava gravemente carente; si prevedeva infatti che, a fronte degli oneri rilevanti determinati dalle disposizioni del decreto-legge e stimati nella relazione tecnica in quasi un milione di euro, la copertura finanziaria avrebbe dovuto essere reperita attraverso la vendita di ulteriori immobili di proprietà dello Stato, da individuare con decreti ministeriali.
Anche con riguardo a questo profilo, non si può fare a meno di ricordare che la previsione relativa alla determinazione del prezzo di vendita sulla base dei valori di mercato dell'ottobre 2001, era stata introdotta nel decreto-legge n. 351 del 2001 e, da ultimo, ripristinata con l'ultima legge finanziaria, senza che il Governo segnalasse in alcun modo l'entità degli oneri che ad essa erano connessi. Nella relazione tecnica al maxiemendamento alla legge finanziaria si affermava anzi che la disposizione in questione non determinava nuovi oneri, in quanto si trattava del mero ripristino di una disposizione vigente sino a pochi mesi prima, in relazione alla cui soppressione non erano stati stimati risparmi.
Ponendo queste affermazioni a raffronto con le stime contenute nel decreto-legge in esame, dove si prospettano oneri per quasi 2 mila miliardi di vecchie lire, è inevitabile chiedersi se le precedenti valutazioni fossero state svolte con assoluta superficialità, ovvero se occorra considerare eccessiva l'attuale quantificazione degli oneri che deriverebbero dal nuovo calcolo del prezzo.
Anche questa seconda ipotesi non è affatto da escludere, poiché è noto che l'attuazione del programma di vendita degli immobili compresi nell'operazione SCIP 2 è in notevole ritardo. Pertanto, la società di cartolarizzazione si trova in rilevanti difficoltà finanziarie.
La vicenda disciplinata dal decreto-legge in esame potrebbe, dunque, offrire l'occasione - o si potrebbe dire, più esattamente, il pretesto - per giustificare una consistente iniezione di liquidità, attraverso prestiti garantiti dallo Stato a favore della società SCIP, che permetta a quest'ultima di far fronte alle scadenze previste


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per il rimborso dei titoli, dati i limitati proventi finora ottenuti dalla vendita degli immobili. Questo è senza dubbio un punto essenziale su cui il Governo deve fare chiarezza, anche in considerazione degli esiti catastrofici (per la finanza pubblica) che il fallimento dell'operazione di cartolarizzazione potrebbe provocare.
Non meno singolari erano, inoltre, le modalità della copertura finanziaria previste nel decreto-legge approvato dal Governo. In sostanza, l'individuazione degli immobili dalla cui vendita avrebbero dovuto essere ricavate le risorse necessarie era interamente rimessa a successivi decreti ministeriali. In tal modo, non era possibile valutare né la certezza, né l'adeguatezza della copertura finanziaria. Si può dire, anzi, che il decreto-legge non prevedeva alcuna copertura finanziaria, dal momento che essa avrebbe dovuto essere definita nei predetti decreti ministeriali. Ciò è in palese contrasto con l'articolo 81, comma 4, della Costituzione, che prevede che ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri debba individuare i mezzi per farvi fronte, senza poter in alcun modo rinviare ad atti amministrativi successivi.
Rispetto alle vistose carenze del provvedimento approvato dal Governo, l'esame svolto dalla Commissione ha senza dubbio portato ad alcuni significativi miglioramenti. In particolare, per effetto delle sollecitazioni insistenti dell'opposizione e di una parte della maggioranza, è stata eliminata l'arbitraria restrizione per effetto della quale il ricalcolo del prezzo di vendita si applicava solo agli inquilini che avessero manifestato la volontà di acquisto dopo il 26 settembre 2001 (tale modifica è stata proposta dello stesso Governo). Nel testo approvato dalla Commissione il ricalcolo interessa tutti gli inquilini che abbiano manifestato la volontà di acquisto entro il 31 ottobre 2001.
Inoltre, con un emendamento del relatore, che ha recepito il parere della Commissione bilancio, sono state rese meno incerte e precarie le modalità di copertura. Più precisamente, la Commissione bilancio ha richiesto che i rimborsi dovuti in conseguenza del ricalcolo del prezzo a favore degli inquilini che hanno già acquistato le unità immobiliari siano effettuati nei limiti delle risorse derivanti dalla dismissione di ulteriori immobili di proprietà dello Stato. In tal modo, gli enti previdenziali originariamente proprietari procederanno all'effettuazione del rimborso dopo aver acquisito certezza sul reintegro, da parte dello Stato, delle somme che essi sono tenuti a rimborsare.
Anche su tale punto, una maggiore certezza dell'operazione è garantita dal termine di 90 giorni (introdotto dalla Commissione su proposta del relatore, che ringrazio per la sensibilità) per l'individuazione, con decreti del ministro dell'economia e delle finanze, di ulteriori immobili di proprietà dello Stato, per garantire la copertura finanziaria necessaria a far fronte ai nuovi oneri. Tuttavia, proprio il vincolo posto dalla Commissione bilancio, ossia che i rimborsi dovuti siano effettuati nei limiti derivanti da tale operazione, richiede un ulteriore e chiaro impegno da parte del Governo affinché siano garantiti a tutti gli inquilini che abbiano già acquistato l'unità immobiliare i rimborsi dovuti.
Credo, quindi, si possa affermare che il parere della Commissione bilancio ha offerto un fondamento più solido e una copertura finanziaria che, altrimenti, sarebbe stata del tutto indeterminata. Al tempo stesso, non possiamo nascondere che dalle disposizioni così introdotte potranno derivare ritardi nell'effettuazione dei rimborsi e disagi per i cittadini che hanno diritto a riceverli.
Di questi ritardi e disagi la responsabilità non potrà che ricadere sul Governo che, dopo tante operazioni di finanza creativa, non ha saputo trovare risorse certe e sufficienti per dare attuazione a quanto le leggi dello Stato avevano già previsto da tempo.
Il testo approvato dalla Commissione, anche grazie al contributo responsabile e costruttivo dell'opposizione, è senza dubbio assai migliore di quello presentato dal Governo. Non si può dire, tuttavia, che non rimangano aperti problemi in ordine


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alla disciplina delle dismissioni di immobili pubblici. A tale proposito mi limito ad evidenziare rapidamente tre aspetti.
Il primo aspetto concerne le famiglie con componenti portatori di handicap. Il decreto-legge n. 351 del 2001 prevede per tali famiglie, come per quelle con componenti di età superiore a 65 anni, la possibilità di rinnovo del contratto di locazione per nove anni. Si tratta di una misura del tutto insufficiente, anche perché l'applicazione è condizionata al possesso di un reddito familiare annuo lordo non superiore a 22 mila euro. Occorrerebbe una disciplina assai più incisiva che prevedesse, in particolare, una durata più lunga nel rinnovo del contratto di affitto, limiti di reddito più elevati e la possibilità, anche per gli appartamenti dove abitano famiglie in cui sono presenti portatori di handicap, come già accade per quelli occupati da anziani, di mettere in vendita soltanto la nuda proprietà. In questo modo, la famiglia con portatori di handicap resterebbe usufruttuaria dell'appartamento senza cadere nell'angoscia di dover trovare una nuova abitazione. In ogni caso, è assolutamente necessario valutare situazioni reali di grave disagio che avrebbero richiesto, e richiedono tuttora, un trattamento particolare se non si vogliono creare profonde ingiustizie e penose difficoltà a famiglie già provate dal dolore.
Un secondo aspetto che nell'ambito della disciplina degli immobili ha creato confusione, contenziosi e precarietà tra gli inquilini è rappresentato dalla questione degli immobili di pregio. Il decreto-legge n. 351 del 2001 individua gli immobili di pregio in modo del tutto sommario ed approssimativo. Di conseguenza, si sono determinate oggettive disparità, dal momento che sono considerati di pregio immobili collocati in zone e quartieri con valori di mercato molto diversi. Per porvi rimedio, occorre prevedere che l'individuazione degli immobili di pregio sia effettuata sulla base, oltre che delle condizioni dell'immobile - cioè stato di degrado, necessità di interventi di ristrutturazioni, eccetera -, anche del valore di mercato medio nella zona in cui l'edificio è situato.
Un terzo aspetto su cui voglio soffermarmi è la possibilità per i comuni di acquistare gli immobili invenduti. Il citato decreto-legge n. 351 del 2001 riconosce tale possibilità solo in misura molto limitata ed in relazione a situazioni specifiche. Tuttavia, occorre considerare che i comuni si trovano in una situazione diversa rispetto ad altre amministrazioni proprio perché sono gli enti a diretto contatto con i cittadini e, in particolare, sono competenti a prestare tutti i servizi di assistenza necessari nelle situazioni di disagio. Sarebbe, dunque, del tutto opportuno riconoscere ai comuni la facoltà generale di acquistare gli immobili rimasti invenduti alle medesime condizioni previste per gli inquilini, così come chiede l'ANCI, di modo che tali immobili possano essere utilizzati per aiutare famiglie in difficili condizioni o, comunque, essere posti al servizio dei cittadini.
Signor Presidente, ho voluto concentrarmi sui tre punti che mi sembrano di maggiore rilievo con l'auspicio che, come è accaduto in Commissione, anche in Assemblea possa svilupparsi un confronto sereno e positivo che porti ad ulteriori miglioramenti del testo al nostro esame e di tutta la disciplina sulle dismissioni. È evidente che la vendita indiscriminata degli immobili pubblici ha assunto funzioni di supplenza rispetto all'incapacità del Governo di adottare provvedimenti strutturali di contenimento del deficit. In nessun conto è stata tenuta la situazione di migliaia di famiglie e di inquilini, spesso di reddito medio-basso e talvolta in particolari condizioni di difficoltà.
Con le nostre proposte intendiamo offrire - a tale proposito vorrei rassicurare il relatore - un contributo costruttivo, come abbiamo già fatto in Commissione, per rimuovere le situazioni di oggettiva iniquità e disparità determinatesi, per risolvere l'ampio contenzioso che si è creato e per liberare molte famiglie dalla precarietà e dall'incertezza in cui si trovano


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(Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, dico subito che le puntualissime osservazioni svolte dal collega Cennamo hanno evidenziato la portata limitata di questo provvedimento e la complessità dell'intera materia, che è stata più volte normata, anche in maniera contraddittoria. Il decreto-legge n. 41 al nostro esame - ha ragione il collega Antonio Pepe, relatore - non rappresenta certamente la bacchetta magica per risolvere i tanti, diffusi e complessi problemi sul tappeto, anche perché il problema della casa è particolarmente avvertito dai cittadini italiani; anzi, la questione della casa costituisce un vero e proprio valore per noi italiani.
Prima di evidenziare i tanti profili di criticità di questo provvedimento, vorrei evidenziarne il dato positivo: quello dell'eliminazione dello sbarramento della data del 26 settembre 2001, che ovviamente allarga la platea degli inquilini che possono esercitare il loro diritto di prelazione nell'acquisto degli alloggi. Si tratta di un risultato positivo, il cui raggiungimento è stato frutto dell'impegno e della volontà del Parlamento, in particolare di questa Camera (e non solo del gruppo della Margherita e del centrosinistra). Ricordiamo infatti tutti che il Governo ha dovuto, anche se all'ultimo minuto, presentare un emendamento teso ad eliminare l'iniziale previsione della data del 26 settembre 2001, stabilendo quindi che il prezzo di riferimento per l'acquisto degli immobili, da parte di chi aveva fatto domanda comunque entro il 31 ottobre 2001, dovesse essere rapportato a quella data e non a quella dei valori di mercato successivi. Così come ricorderete tutti che il Governo non aveva affatto tenuto conto della propensione all'acquisto da parte degli inquilini che occupavano le case da cartolarizzare.
Nel luglio scorso, questa Camera giustamente si ribellò (fa onore quell'atto!): il Governo fu battuto e fu costretto a ritirare il provvedimento, che non recepiva la soluzione oggi finalmente accettata. Vorrei dare atto all'onorevole sottosegretario Armosino dell'impegno profuso ed anche della pazienza, onorevole Scherini, perché la complessità della materia costringe anche a fare opera di certosina pazienza. In quell'occasione, il Governo responsabilmente assunse la decisione di ritirare quel provvedimento. Ora mi pare che si sia giunti, almeno per quell'aspetto, ad una soluzione che è condivisibile anche da parte dell'opposizione, in particolare, per quel che ci riguarda, da parte del gruppo della Margherita. È dunque un risultato importante - consentitemi alcune osservazioni di natura squisitamente politica, perché non si possono ignorare le dichiarazioni che nel frattempo sono intervenute da parte del Presidente del Consiglio -, che va al di là delle sciocchezze quotidiane e degli insulti che ci ammannisce il Capo dell'esecutivo: insulti nei confronti del Parlamento, che invece funziona e che riesce anche a modificare provvedimenti sbagliati proposti dal Governo.
Il funzionamento del Parlamento può essere ovviamente rivisitato nei propri regolamenti, anche abolendo quella benedetta circolare del 21 febbraio 1996, alla quale ho fatto riferimento nel mio intervento iniziale - perché vessatoria e limitativa della volontà e della libertà del parlamentare di impegnare e di indirizzare il Governo ad assumere alcune decisioni -; tuttavia, l'attività del Parlamento è tutto sommato sicuramente positiva. Le aspirazioni peroniste del Presidente del Consiglio sono note, laddove il suo fastidio per i tempi, per le procedure, per la vivacità democratica e per le funzioni parlamentari non è altro che l'espressione di una mancanza di una vera cultura democratica e di una vera cultura delle istituzioni e rivela una concezione populistica ed autoritaria, in verità più da capo di azienda, che da uomo di Stato.
Al Presidente del Consiglio vorrei dire molto sommessamente che l'attività dei


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parlamentari (mi rivolgo anche a lei, Presidente, e mi auguro che stia prestando attenzione a tale aspetto, perché le parole offensive del Presidente Berlusconi nei confronti dell'attività parlamentare sono inaccettabili e devono essere respinte con forza) non è solo quella di pigiare bottoni per giornate intere. Il Parlamento non è un burocratico «votificio»: è la sede più alta della democrazia e dell'interpretazione dei bisogni e della volontà del popolo italiano, cui anche il Presidente del Consiglio, volente o nolente, deve sottostare, come in questo caso (mi riferisco alla modifica introdotta con questo provvedimento).
Pertanto, se lo Stato non funziona, non è colpa del Parlamento, ma, in primo luogo, di chi ha responsabilità di Governo e non sa governare e proporre provvedimenti che rispondano alle esigenze diffuse nel paese.
Il Presidente Berlusconi, quindi, più che criticare il funzionamento delle Camere, faccia una seria autocritica per i tanti provvedimenti del Governo sbagliati, raffazzonati, ingiusti o finalizzati esclusivamente alla soluzione di problemi personali o di ben individuati gruppi di potenti!
La cartolarizzazione degli immobili pubblici, di cui discutiamo, così come realizzata dal centrodestra, si è dimostrata un semplice strumento per fare cassa, senza considerare gli aspetti sociali, il diritto alla casa, il desiderio legittimo degli inquilini, delle famiglie, degli anziani, dei pensionati, dei lavoratori e degli impiegati con redditi bassi, di poter accedere, a prezzo equo, alla proprietà dell'alloggio in cui abitavano o abitano.
Vorrei ricordare che il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali (spesso non viene sottolineato), caro collega Pepe, anche di quelli privatizzati, è stato realizzato nel corso degli anni con i contributi dei lavoratori, quindi con fondi pubblici; è un dato che, spesso, si dimentica e ne devono tenere conto gli enti privatizzati come l'Enpaf, cui ha fatto riferimento il collega Scherini nel suo intervento.
Quindi, di tutto ciò, come della condizione dei pensionati, dei disoccupati o dei lavoratori delle piccole e medie imprese il Governo ed il suo Presidente, purtroppo, si preoccupano poco; le Camere, invece, sono più attente a tale riguardo, come dimostra il fatto che alcuni emendamenti sono stati discussi, approfonditi, esaminati in maniera seria ed approvati in sede di Commissione finanze.
Il Governo si è preoccupato degli esportatori di capitali all'estero (non me ne voglia l'onorevole sottosegretario, ma - lo ripeto e lo ripeterò all'infinito - si tratta di un provvedimento iniquo ed offensivo per tutti i cittadini che pagano correttamente le tasse), ai quali è stato consentito, con la risibile imposta del 2,5 per cento, di legalizzare il rientro dei capitali illegalmente esportati. Del resto, basta leggere i giornali di questi giorni per scoprire che, in cima ai pensieri del Capo del Governo, vi è il problema di non far pagare, di diluire o spalmare le imposte dovute dalle squadre di calcio, senza preoccuparsi del fatto che i cittadini italiani possono essere contrari (da un'indagine de Il Corriere della sera il 93 per cento dei cittadini italiani sono infatti contrari al decreto che il Governo sta predisponendo).
La crisi delle squadre di calcio, lo vorrei ricordare, è stata originata dalle scandalose somme utilizzate per acquistare e pagare i calciatori. Il primo caso, onorevole Pepe, non me ne voglia se la cito, fu quello del calciatore Lentini, alla cui compravendita, come noto, non fu estraneo il Presidente Berlusconi, non nella sua qualità di Capo del Governo (perché allora non era al Governo), ma di presidente di un'importante squadra di calcio di serie A. Lo voglio ricordare, perché ciò appartiene alla storia del calcio e, purtroppo, delle distorsioni dell'economia e delle vicende calcistiche di questo paese.
Pertanto, i debiti fiscali delle società di calcio, per oltre 500 milioni di euro, non possono essere pagati dalla collettività italiana, perché sarebbe ingiusto ed immorale.
Lo stesso ministro Maroni sostiene - ripeto testualmente quanto riportato dalla stampa - che non si capisce perché squadre


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che pagano stipendi milionari dovrebbero farne pagare il costo agli italiani. Al ministro chiediamo, almeno questa volta, coerenza comportamentale, in quanto non bastano le affermazioni!
Voglio ricordare che, a suo tempo, il decreto «salva calcio» fu proposto dal Governo di cui il ministro Maroni fa parte e fu approvato dal suo partito, mentre noi dell'Ulivo ci opponemmo, come risulta dagli atti di questa Camera. Infatti, anche se amiamo il calcio, riteniamo che più che del pallone il Governo debba occuparsi dei conti pubblici, che sono disastrati, nonché dell'economia del nostro paese, che si trova in una situazione assai critica. A questo proposito, l'appello del Capo dello Stato dei giorni scorsi va considerato in tutta la sua portata.
Ma, tornando alla cartolarizzazione degli immobili, occorre rilevare che, in realtà, essa ha un solo obiettivo, vale a dire quello di far quadrare i conti pubblici, insieme ai tanti condoni e alle varie sanatorie.
Faccio presente che, con la prima cartolarizzazione, con la prima operazione di dismissione - quella denominata SCIP 1 -, ben preparata dal Governo di centrosinistra e che interessava 27.251 abitazioni, non sono stati ignorati gli inquilini, ai quali fu consentito di esprimere la propria volontà; infatti, fu inviata loro una lettera, al fine di capire se una persona o una famiglia intendevano acquistare o meno l'abitazione. Ciò avvenne solo con riferimento alla prima operazione di dismissione.
Invece, con la SCIP 2, che interessa 53.241 abitazioni affidate alla società-veicolo, questo non è avvenuto e si sono verificate grandi e diffuse ingiustizie per gli inquilini. Ovviamente, vi è stato e vi sarà un business per le società e per i titolari delle stesse, che ritengo possano essere i soliti Tronchetti Provera o Caltagirone.
Onorevole sottosegretario, faccia chiarezza, ci dica chi sono i titolari di queste società, perché a Roma si trova sì e no una targhetta di questa SCIP; se l'operazione è limpida e trasparente, che si sappiano nomi, cognomi e indirizzi precisi! Probabilmente, occorrerebbe conoscere quanto si guadagna da questa opera di cartolarizzazione che, indubbiamente, comporta benefici per gli inquilini, ma che contribuisce sicuramente ad impoverire il patrimonio pubblico.
Tuttavia, le dismissioni della SCIP 2, iniziate a dicembre 2002, sembra non procedano per il meglio. Infatti, pare che sia stato incassato semplicemente il 30 per cento di quanto previsto per gli immobili residenziali, mentre le vendite degli immobili cosiddetti commerciali non supererebbero l'1 per cento del previsto.
Alla data del 31 dicembre 2003 i ricavi risultavano essere 693 milioni di euro, una cifra molto distante da quella che la SCIP 2 dovrà rimborsare per i titoli e le cedole alla scadenza del prossimo 26 aprile 2004. Trattasi, quindi, di 1 miliardo 900 milioni di euro.
Il decreto-legge, riconoscendo agli inquilini - come sancito nella legge finanziaria 2004 - il diritto ad acquistare ai prezzi del 2001 e non a quelli del 2002 che, com'è noto, sono superiori di almeno il 40 per cento, di fatto creerà un buco rispetto alle previsioni.
C'è, infatti, la necessità - come veniva poc'anzi ricordato - di rimborsare gli acquirenti per le vendite già effettuate ed anche la SCIP 2 per le vendite future, che, come sancito nel decreto-legge, avverranno secondo i prezzi di mercato in essere nell'ottobre 2001.
Nella relazione tecnica il Governo quantifica questo onere complessivo in circa un miliardo di euro; ma lo fa soltanto nella relazione tecnica, perché nel testo del decreto-legge non c'è alcuna indicazione di cifre.
La Commissione bilancio ha sollevato problemi e imposto condizioni, e tuttavia credo che, nonostante abbia espresso parere favorevole, non vi sia la certezza della copertura finanziaria, per cui vi è il rischio di una violazione dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.
A questi oneri e a questo famoso «buco» di cui ho parlato si ritiene di far fronte con l'erogazione alla SCIP 2 di un


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prestito da parte del sistema creditizio, cui sarebbe data la garanzia dello Stato, pure con entrate derivanti da ulteriori dismissioni. Ritengo che la garanzia dello Stato sia improponibile, anche per la non conformità con i criteri stabiliti in sede europea in materia di cartolarizzazione. Il rischio non infondato - a mio avviso - è che Eurostat avanzi rilievi, per cui se il Governo procedesse ad un'ulteriore riflessione ed a qualche modifica in sede di approvazione del decreto-legge in via definitiva, non sarebbe sbagliato.
Perciò, preannunciamo la presentazione di uno specifico emendamento soppressivo di tale garanzia, che non è giustificata, perché riteniamo che la SCIP 2 debba assumersi i propri rischi di impresa. Infatti, è tutto garantito, ma, se le imprese sono tali, hanno il dovere di correre anche qualche rischio, perché altrimenti - mi sia consentito - è sempre Pantalone che paga, il classico Pantalone italiano!
Mi soffermerò in particolare su tre emendamenti da noi presentati, che tengono conto dei dibattiti svoltisi in quest'aula e in Commissione, nonché delle audizioni che si sono tenute in Commissione e delle tante proteste diffuse dalle associazioni degli inquilini, soprattutto nelle grandi città, come Roma (dove vi sono oltre quarantamila alloggi da dismettere), Milano, Napoli, Palermo.
Il primo emendamento presentato dal gruppo della Margherita, ma anche dagli altri gruppi dell'Ulivo, riguarda gli alloggi occupati da persone disabili, che non possono acquistarli. Proponiamo in tal caso che si venda la nuda proprietà e si consenta ai disabili di continuare ad abitare in quegli alloggi, pagando il canone in essere.
Il secondo emendamento riguarda gli immobili degli enti privatizzati, che - a nostro avviso - dovrebbero sottostare alla normativa della legge n. 410 del 2001, e successive modificazioni, fino al decreto-legge in esame, e non essere venduti al libero mercato.
Da ultimo proponiamo un emendamento relativo alle cosiddette case di pregio, che vanno individuate con criteri limpidi, con motivazioni certe per ogni stabile e non sulla base di criteri presuntivi. Non si possono indiscriminatamente considerare immobili di pregio tutti quelli ricadenti nei centri storici anche se necessitano di opere di vasta ristrutturazione, mentre non si considerano di pregio quelli ubicati, ad esempio, in zone come i Parioli a Roma, che, pur non essendo centro storico, sicuramente è una zona di alto valore.
Da ciò deriverebbe l'assurdo che un pensionato che da sempre vive nel centro storico di Roma, in una casa vecchia e da ristrutturare, non ha diritto ad alcuno sconto per l'acquisto dell'alloggio, mentre un poveraccio, un vip e magari - perché no? - un deputato o un senatore, che sono riusciti ad ottenere, a suo tempo, una casa degli enti, avrebbero il diritto allo sconto.
Questa sarebbe un'ingiustizia intollerabile e noi abbiamo il dovere di denunciarlo con molta chiarezza. Perciò, onorevole sottosegretario, dica ai suoi uffici e all'Agenzia del territorio di compiere una valutazione del singolo stabile, tenendo conto del reale stato dell'immobile.
Proponiamo quindi che ogni caso venga valutato autonomamente e non secondo un generico criterio di uniformità.
Sottolineo inoltre come il decreto-legge non consenta la vendita degli immobili non residenziali, vale a dire quelli commerciali, per singolo locale, in quanto si preferisce mantenere la previsione dell'acquisto in blocco, che, come sappiamo, è possibile soltanto da parte di alcuni soggetti che potrebbero essere definiti grandi «speculatori».
Dunque, anche l'operazione relativa alla cartolarizzazione è stata condotta in modo sbagliato - le ripetute modifiche della normativa ne sono una prova lampante - sulla base dell'urgenza di fare cassa. Gli inquilini, che spesso, in particolare nel caso di Roma, vivono tale situazione in modo drammatico, sono stati vessati, senza neppure la certezza di vantaggi per il bilancio dello Stato.


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Non vorremmo che, ultimata l'intera operazione (SCIP 1, SCIP 2, SCIP 3, e via dicendo), alla fine del 2006 essa diventi una pesante eredità per coloro che dovranno occuparsene, pur auspicando che sia il centrosinistra a doverlo fare.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, ci troviamo nuovamente, dopo quasi tre anni, a dover reintrodurre una norma che già esisteva, che non è mai stata applicata e che è stata successivamente abrogata: stiamo dunque esaminando una norma che già esisteva tre anni fa, nel 2001.
Sono i paradossi della politica, che non dipendono certo dal Parlamento, bensì dalle scelte compiute dal Governo. Quale parlamentare che nutre, come tutti i parlamentari dovrebbero, il massimo rispetto per le istituzioni, non condivido le dichiarazioni con le quali il premier, affermando che nel Parlamento si verificano talvolta incidenti che costituiscono una vera e propria perdita di tempo, ha sostanzialmente proposto di accelerare le procedure, appunto, per non perdere tempo. Il premier dovrebbe rendersi conto che il Parlamento non perde mai tempo: semmai, adopera il tempo, come in questo caso, per ripristinare una norma da esso stesso approvata, che il Governo si è affrettato a cancellare e che dopo tre anni deve essere reintrodotta. È di questo che si tratta e, se non lo si comprende, si attribuisce al tema in questione un valore eccessivo. È questa la verità, e credo di non poter essere smentita, né in quest'aula né fuori di essa.
Avrei preferito che questo tempo fosse stato impiegato per discutere sui problemi reali del paese, che sono gravissimi e che stanno ricadendo pesantemente sulle famiglie italiane.
Abbiamo dimostrato di avere un atteggiamento costruttivo e disponibile, lo abbiamo dimostrato molto chiaramente in Commissione e in aula, e ritengo che sia il relatore Antonio Pepe sia la sottosegretaria Armosino ce ne debbano dare atto. Non siamo dei distruttivi; siamo delle persone che, poiché vivono costantemente a contatto con le famiglie, si rendono conto dei loro problemi e vogliono farsene carico. Certo, giudico un po' paradossale il fatto che si debba parlare, che si debba impiegare del tempo e della fatica, con grandi proclami e magari anche manifesti o assemblee, per ottenere qualcosa che già esiste.
Peraltro, il testo originario di questo decreto-legge - va detta tutta la verità - creava un'altra grande ingiustizia, poiché stabiliva un periodo «finestra» (dal 25 settembre al 31 ottobre 2001) e concedeva benefici esclusivamente a coloro che avevano inviato le raccomandate con ricevuta di ritorno durante quel periodo «finestra», come se il cittadino che aveva manifestato la volontà di acquistare la casa - autonomamente o su invito dell'ente - prima del 25 settembre avesse un diritto diverso dagli altri o non ne avesse alcuno. Fortunatamente, vi è stata una presa di posizione molto forte da parte nostra - che abbiamo presentato numerosi emendamenti in Commissione -, una presa di posizione da parte della stessa maggioranza - la quale, a sua volta, ha presentato emendamenti in Commissione - ed una resa del Governo, il quale si è dovuto rendere conto che la situazione era realmente insostenibile. Siamo quindi arrivati a capovolgere questa stortura e ad eliminare questo periodo «finestra», estendendo il beneficio a tutti coloro che avevano presentato la domanda entro la data del 31 ottobre 2001. Mi pare che questo sia un grande risultato; tuttavia, ripeto, si tratta di qualcosa che già esisteva.
La verità è che l'Assemblea - ed è un'altra dimostrazione del fatto che il Parlamento non perde tempo e non fa cose inutili; a volte sono inutili, se il Governo non le rispetta - nel luglio 2003 ha approvato una mozione che in diversi punti impegnava il Governo a rispettare varie fasi della politica della casa - e non solo -, in particolare per quanto riguarda la vendita degli alloggi degli enti previdenziali.


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Uno dei punti fondamentali era proprio l'oggetto di questo decreto-legge; pertanto il Governo non ha fatto altro che rispondere ad un preciso impegno contenuto in una mozione, che portava la mia prima firma ma che era sottoscritta da tutti i gruppi delle opposizioni, dai colleghi che da sempre si occupano di tali questioni con molta passione e con molto impegno; mi riferisco ai colleghi Cennamo, Benvenuto, Battaglia, Amici, Pisa, Lettieri (e sicuramente ne ho dimenticato qualcuno). In sostanza, con grande impegno siamo riusciti ad ottenere quello che già avevamo chiesto, anche attraverso manifestazioni, attraverso l'impegno del sindacato, attraverso la mobilitazione dei cittadini e degli inquilini, mossi, ripeto, non dal desiderio di acquisire privilegi, ma dalla necessità di far fronte a situazioni che, a volte, sono davvero gravi e di grande rilevanza sociale.
Ritengo il decreto-legge al nostro esame un atto dovuto. Non gioisco per questo, tuttavia, prendo atto che il Governo si è reso conto di aver commesso un grosso sbaglio. Di ciò prendo atto, anche se, in ogni caso, abbiamo dovuto modificarlo e migliorarlo nel corso dell'esame in Commissione, perché non va dato mai niente per scontato.
Il secondo punto che intendo affrontare concerne i rimborsi a favore di quei cittadini e di quelle famiglie che avevano acquistato gli immobili non alle condizioni previste dal decreto-legge al nostro esame, vale a dire non ai prezzi correnti nel 2001, ma ai prezzi rivalutati del mercato attuale, anche se con gli sconti previsti dalla normativa (vale a dire il 30 per cento e, qualora acquistati tramite mandato collettivo, con un ulteriore sconto del 15 per cento).
La modalità prevista per effettuare tali rimborsi, che ritenevamo molto semplice e scontata, in realtà non lo è. Infatti, è previsto che entro 90 giorni dalla data di conversione in legge del decreto-legge in esame, attraverso un provvedimento successivo, debba essere definita la modalità di rimborso della differenza tra il prezzo del 2001 e quello del 2003 (o comunque, il prezzo dell'acquisto dell'alloggio, in qualunque data sia avvenuto). Auspico, pertanto, non solo che tale scadenza venga mantenuta, ma anche che venga ridotta, perché si tratta dell'unica certezza data dalla normativa; altrimenti, eliminando il limite temporale dei 90 giorni, o prolungandolo a dismisura, compiremmo l'ennesimo sopruso verso chi avesse acquistato l'alloggio prima dell'entrata in vigore del decreto-legge al nostro esame.
Mi auguro quindi che vengano approvate le numerose proposte emendative che abbiamo presentato, che sono volte a migliorare il testo in esame ed a sanare le ingiustizie esistenti non nel provvedimento in sé, ma nell'intera politica di dismissione degli immobili degli enti previdenziali. Riteniamo utile e importante, inoltre, svolgere davvero una riflessione globale sui problemi che, attraverso le proposte emendative presentate, intendiamo porre all'attenzione dell'Assemblea. Intendiamo porre tali questioni proprio perché il problema della casa, come evidenziano i dati preoccupanti emersi nelle principali aree metropolitane italiane, è diventato una vera e propria questione sociale.
Desidero sottolineare che il riferimento è alle aree metropolitane italiane, non lombarde o laziali, oppure romane, come purtroppo i colleghi della Lega Nord Federazione Padana hanno avuto il coraggio di affermare, con molta violenza, l'altro giorno in sede di Commissione, sostenendo che si tratta di un provvedimento «romano», vale a dire uno scippo che Roma compie nei confronti del bilancio dello Stato. Ritengo particolarmente offensivo questo modo di classificare il decreto-legge in esame, perché il problema assume nettamente un carattere nazionale.
Dato che, come dicevo, il problema della casa è diventato una vera e propria questione sociale, trasformandosi in questi anni da emergenza a fenomeno strutturale, vorrei allora rilevare come l'errore della politica condotta in tale ambito, soprattutto da parte di questo Governo, sia stato quello di accompagnare questo passaggio agendo non in maniera complessiva


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ed organica, ma cercando di dare risposte parziali, combinando a volte anche pasticci giganteschi.
Quando si può, si conviene con la maggioranza di Governo; mentre dianzi interveniva il collega Scherini, esponente di Forza Italia, mi chiedevo in quale schieramento, di maggioranza o di opposizione, militi il suo partito; infatti, mi sentirei di sottoscrivere buona parte del suo intervento, in quanto ha evidenziato i problemi davvero giganteschi esistenti nel paese. Si tratta di problemi strutturali, a cui, però - spiace doverlo chiarire -, è il tuo Governo che deve dare risposte, collega Scherini!

GIANPIETRO SCHERINI. Le stiamo dando!

GABRIELLA PISTONE. L'opposizione è disposta a portare il suo contributo per la soluzione delle questioni in esame qualora vi sia l'intenzione reale di impegnarsi a fondo per risolvere l'attuale situazione di grande dolore e di profonda ingiustizia sociale.
In tal senso, non ho paura di «sporcarmi le mani», in quanto noi parlamentari abbiamo anzitutto il dovere di prefiggerci e perseguire con sicurezza obiettivi sani. In primis, per quanto mi riguarda - ma ritengo di poter parlare a nome dell'intera opposizione -, si deve tenere conto degli interessi delle fasce sociali più deboli, delle persone ai margini della società, di quanti, non rientrando nelle categorie più agiate della società, subiscono un grave disagio a causa di questi elementi e della situazione economica creatasi nel paese. Oggi più che mai il problema della casa è diventato centrale ed è altresì divenuto una questione di welfare, di Stato sociale. Una questione da risolvere, quindi, non con politiche una tantum, ma con politiche che abbiano un carattere strutturale e che pongano a fondamento una priorità pubblica.
Senza forti interventi pubblici, il problema della casa non è risolvibile in questo paese. Siamo il fanalino di coda dell'Europa, all'ultimo posto per le politiche pubbliche: evidentemente, nella nostra politica abitativa, abbiamo sempre posto al centro dell'interesse il concetto di proprietà. Un concetto che non deve essere abbandonato ma che deve pur tenere conto del fatto che ormai circa il 70-80 per cento delle case è di proprietà. Perciò, vi è una forte propensione alla proprietà e una grande difficoltà per quanto riguarda l'affitto. Ebbene, non gioveranno alla situazione degli affitti questi provvedimenti di cartolarizzazione degli enti previdenziali pubblici.
Tali enti, che erano rimasti l'ultimo «polmone» in grado di dare una sorta di sfogo alle difficoltà del mercato, producendo anche un effetto calmieratore attraverso la politica degli affitti, proprio a seguito di tali interventi, oggi sono diventati solo una piccola componente della politica della casa. Un segmento di tale politica destinato a quanti, di fatto, la casa non se la possono e non se la potranno mai comprare.
Quindi, chi ha a cuore tali problemi sa cosa significhi il disagio ed è consapevole del fatto che lo stesso colpisce soprattutto gli anziani (in costante aumento), le famiglie (soprattutto quelle monoreddito), i singoli...

GIANPIETRO SCHERINI. I giovani...!

GABRIELLA PISTONE. ...i giovani, gli immigrati. Secondo le statistiche della Caritas, i soli immigrati sono un milione 362 mila e vivono ammucchiati in stanze per le quali, a volte - non per la stanza, ma soltanto per un posto letto - arrivano a pagare anche 250 euro al mese! Si tratta di situazioni reali, e non immaginarie o immaginifiche.
La stessa cosa vale per gli studenti e per i portatori di handicap. Solo il 19 per cento delle abitazioni del nostro paese è destinato all'affitto, contro il 60 per cento della Germania, il 47 per cento dell'Olanda, il 42 per cento della Francia, il 41 per cento dell'Austria, il 32 per cento della Gran Bretagna! La nostra percentuale di edilizia pubblica è bassissima, al contrario di quella degli altri paesi, dove è molto elevata. Il problema che attualmente


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emerge con maggiore evidenza riguarda l'aumento dei prezzi, ovviamente causato anche dall'andamento economico che giudichiamo devastante e che è determinato non solo da fattori internazionali, ma anche da scelte di politica economica di questo Governo che riteniamo scellerate, sbagliate e del tutto «creative», nel senso che creano allarmanti situazioni di disagio.
Le delusioni borsistiche hanno indirizzato buona parte dei capitali finanziari verso il mercato immobiliare, esasperando, in molti casi, l'aspetto speculativo che ha creato una vera e propria bolla immobiliare. Per quanto riguarda gli sfratti, il numero resta elevato con un notevole aumento di quelli per morosità: la gente non ce la fa più! Si tratta di un problema strutturale e non di un fenomeno emergenziale. Infatti, il problema della casa va inteso come elemento condizionante il percorso di vita e di lavoro degli italiani; la stessa Caritas denuncia l'aumento della fascia di povertà anche in questo ambito, a causa di questo enorme problema.
Il processo di modernizzazione o di cambiamento avvenuto con la riforma avviata dal Governo precedente, che regolava l'intervento pubblico in materia di politiche sociali della casa introducendo le suddivisioni di funzioni tra Ministero e regioni (queste ultime venivano responsabilizzate nella programmazione delle risorse), oggi deve essere profondamente analizzato e compreso. Infatti, non è possibile che, con riferimento al problema della casa, il Governo se ne lavi le mani, sostenendo che la questione riguarda le regioni. Infatti, alle regioni sono tagliati i fondi in tutte le direzioni, compreso il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, uno dei punti cardine della legge n. 431 del 1998 che sostanzialmente suppliva alla carenza di nuovi investimenti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica, prevedendo un contributo per le famiglie impossibilitate a sostenere la spesa dell'affitto di un alloggio, senza costruire nuovi immobili (ciò, molto spesso, rappresenta un vantaggio, perché non si devasta il territorio con la eccessiva cementificazione). Questo fondo ha bisogno di essere incrementato, non depauperato, dal momento che già ora è impossibile far fronte alle difficoltà.
Il presidente della Conferenza Stato-regioni, l'onorevole Ghigo, durante l'esame del disegno di legge finanziaria per il 2004, in una lettera giunta a me e immagino a tanti altri colleghi, ha dichiarato che tale fondo di sostegno all'affitto avrebbe avuto bisogno, nell'ultima legge finanziaria, di un finanziamento di almeno 500 milioni di euro. Questo era il conto fatto da un presidente che - lo ripeto - è un componente, non dell'opposizione, ma della maggioranza.
Quest'anno il Fondo è stato finanziato con 246 milioni di euro, esattamente la metà di quello che servirebbe, con una diminuzione di più di 100 milioni di euro rispetto al 2001. So che la sottosegretaria Armosino si è impegnata ad aggiungere ulteriori 90 miliardi di euro e ricordo che è stata presentata una mozione, sottoscritta da tantissimi parlamentari di opposizione (di maggioranza non mi risulta, ma sarei ben lieta se volessero aggiungere le loro firme), con cui si chiede che il Governo assuma un impegno in tal senso. Infatti, il problema non è chiuso; la sottosegretaria Armosino si è impegnata ad aumentare di 90 milioni di euro il fondo in questione, ma non può assumere impegni per la parte che fa capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Chiedo che l'Assemblea voti la suddetta mozione, che chiede al Governo di impegnarsi a riportare i fondi esattamente alla quota del 2001 (non 500 milioni di euro quindi, ma molto meno), perché nel frattempo una quota di immigrati e di cittadini è entrata nella soglia di povertà e in questi tre anni abbiamo avuto dei problemi di politica economica devastanti. Ritengo sia importante dare a queste persone la certezza di abitare in un alloggio e ai comuni quella di poter disporre delle risorse sufficienti e necessarie al fine di aiutare i loro cittadini e di evitare situazioni di disagio e di grande tensione sociale, che si verrebbero sicuramente a creare.


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Vi è il problema del «caro affitti» e quello della cartolarizzazione degli immobili pubblici e privati, a cui va aggiunto tutto il capitolo della cartolarizzazione degli immobili previdenziali privati, per i quali non è prevista alcuna tutela, se non quella - forse, in alcuni casi - del diritto di prelazione. Tale diritto, d'altronde, spetterebbe a qualunque cittadino che fosse conduttore di un immobile, visto che qualunque padrone di casa, prima di venderla, gli chiederebbe se abbia intenzione di comprarla: nel caso in cui la volesse comprare, avrebbe chiaramente un diritto di prelazione, mentre se non avesse un interesse in tal senso, la comprerebbe un terzo. Per gli enti previdenziali, a volte non viene neanche rispettata questa prima regola di buona creanza, di buona educazione, perché gli immobili vengono spesso venduti a famose società, che a volte sono società fantasma, società «a scatola cinese», società di assicurazione oppure società di cui non si sa quasi nulla e di cui si viene a conoscenza solamente quando viene posto un vero e proprio capestro sulla testa (o si compra o si va via).
Concludo, Presidente, sottolineando ancora una volta che questo provvedimento l'abbiamo voluto fortemente, anche a nome di tanti inquilini che ci hanno scritto e che vogliamo rassicurare con il raggiungimento di un risultato per loro positivo. Sono consapevole che, una volto risolto questo problema, ne rimarranno aperti tantissimi altri e si creeranno probabilmente altre ingiustizie. Ripeto, gli enti privatizzati rappresentano una questione, gli alloggi ex di pregio ne rappresentano un'altra, gigantesca.
Non abbiamo mai condiviso la formula: centro storico uguale zone omogenee di tipo A uguale immobili di pregio. Tale formulazione, infatti, deve necessariamente avere una elasticità di adattamento alle varie realtà cittadine. Non è un principio da accogliere senza un esame critico o una discussione, come se fosse un dogma. Inoltre, il problema dell'ubicazione di un immobile è senz'altro importante nella determinazione del valore di mercato, ma è sempre e solo uno dei fattori che concorrono alla formazione del prezzo finale. Vorremmo, davvero, superare questa rigidità che si è venuta a creare con riferimento agli immobili di pregio, per i cui abitanti si sono create oggettivamente situazioni di grande disparità.
Ho voluto svolgere queste considerazioni, anche andando al di là dei temi affrontati dal decreto-legge in discussione, proprio perché sono davvero convinta - e credo lo siano, insieme a me, moltissimi parlamentari - che quello della casa sia diventato un problema realmente centrale della politica dell'oggi. Mi auguro che in quest'aula si voglia affrontarlo al più presto, per dare risposte positive alle richieste che vengono poste con grande efficacia e a gran voce sia dai cittadini sia dagli inquilini sia dai sindacati che li rappresentano sia dai numerosissimi parlamentari che in questi anni si sono fatti portavoce dei drammi sociali presenti nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pisa. Ne ha facoltà.

SILVANA PISA. Signor Presidente, questo decreto-legge affronta il tema della determinazione dei prezzi di vendita agli inquilini degli immobili cartolarizzati e, più specificamente, quell'aspetto largamente denunciato dall'opposizione e anche da alcuni settori della maggioranza (ricordo al riguardo gli interventi dell'onorevole Buontempo) che concerne l'estensione dei prezzi del 2001 a quei conduttori che, pur non avendo ricevuto dall'ente proprietario le lettere di offerta in opzione d'acquisto, avessero tuttavia manifestato la volontà di acquistare nei termini previsti.
Riteniamo che questo decreto-legge vada nel senso di sanare una vistosa ingiustizia normativa che creava una disparità di trattamento assolutamente ingiustificata ed iniqua. In questo senso, il provvedimento in questione, su cui il Governo si era impegnato già in occasione della discussione delle risoluzioni degli


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onorevoli Pistone e Benvenuto, costituisce un passo in avanti, anche se rimangono irrisolti ancora troppi problemi.
Ma tutta la materia che riguarda la cartolarizzazione lascia complessivamente l'amaro in bocca, come denuncia lo stesso relatore di maggioranza Antonio Pepe quando parla di una fase di stallo dell'attuale processo di alienazione del patrimonio immobiliare pubblico e quando si riferisce all'incertezza sulle modalità di determinazione del prezzo di vendita delle singole abitazioni.
Credo che il tema dell'incertezza evocato dal relatore solo in senso restrittivo (la determinazione del prezzo) sia, in realtà, uno dei leitmotiv di tutta questa materia. Anche questo decreto-legge, che nelle intenzioni vorrebbe risolvere tale problema, in realtà crea ulteriori allarmi, primo tra tutti quello che annuncia dismissioni di ulteriori immobili di proprietà dello Stato. Mi riferisco all'articolo 1, comma 4, che prevede dismissioni da definire con ulteriori decreti per far fronte a minori entrate (è un po' minaccioso come orizzonte!).
Inoltre, il testo del decreto-legge porta all'esclusione di quei conduttori che hanno manifestato la volontà di acquisto in data precedente al settembre 2001, comportando una disparità di trattamento tra questi e quelli della fascia salvaguardata dal decreto-legge (la finestra settembre-ottobre 2001), disparità oggettivamente immotivata.
Tuttavia, il problema che genera maggiore insicurezza è quello che riguarda la mancata considerazione della posizione di quanti - e non sono pochi - non sono in grado di acquistare. Queste sono le vere vittime della cartolarizzazione, oggi più che mai, in una situazione sociale ed economica che ha aumentato la polarizzazione (i poveri sono sempre più poveri) e in cui un carovita non vigilato a sufficienza da questo Governo rende sempre più difficile per tanti arrivare a fine mese.
Siamo di fronte alla preoccupante novità sociale italiana dell'impoverimento di parte dei ceti medi e al nefasto combinato disposto recessione-inflazione, che ha eroso i risparmi rendendo per molti siderale la possibilità di accesso ad un mutuo. La povertà nel nostro paese è aumentata ed oltre agli istituti di ricerca lo riconosce la gente stessa, superando persino quella vergogna che c'è di solito nel denunciare la propria vulnerabilità sociale. Certo, si tratta di una povertà occidentale: non si muore di fame e non si è costretti a vendere un rene, ma si fatica a far fronte alle necessità quotidiane familiari e l'indebitamento dei privati è aumentato, quando non c'è il ricorso a prestiti usurari.
Per questo, perdere la certezza di un affitto sicuro diventa un dramma, tanto più in una città come Roma, a forte tensione abitativa, con un mercato immobiliare caratterizzato da affitti alle stelle, inaccessibili. Non parliamo delle zone di pregio, perché anche nelle periferie gli affitti a Roma si avvicinano sempre di più ai mille euro al mese, irraggiungibili per qualsiasi famiglia di reddito medio-basso. In una città come Roma, essere proprietari di casa è il discrimine tra la povertà e il riuscirsela a cavare. Roma, lo sappiamo tutti, è la città più colpita dalla cartolarizzazione, che ha aggravato un'emergenza abitativa mai sconfitta.
Qui voglio ringraziare pubblicamente il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta che ha interceduto per Roma, con successo, ai fini dell'aumento del Fondo nazionale di sostegno al buono casa per l'affitto, precedentemente ridotto dal Governo. La situazione di Roma, per non restare endemica, richiede ulteriori provvedimenti: occorre infatti ottenere per Roma interventi straordinari ed un'adeguata assistenza alloggiativa (per esempio attraverso il lancio di un piano nazionale per la casa), che consentano all'amministrazione comunale di avere fondi, procedure e strumenti adeguati. Sarebbe anche importante ottenere forme di incentivi ed agevolazioni fiscali e finanziarie per facilitare gli interventi di investitori e di realtà imprenditoriali (per esempio, attraverso programmi di edilizia abitativa a canone


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concordato). Ancora: si può prevedere una defiscalizzazione per coloro che affittino a canone concordato.
Rispetto alla vendita degli immobili degli enti previdenziali pubblici sarebbe stato importante intervenire con provvedimenti legislativi che prevedessero che, in mancanza di opzione da parte degli inquilini per ragioni economiche o per l'età avanzata, gli immobili rimanessero agli enti, continuando a garantire l'affitto agli inquilini. In subordine, sarebbe stato opportuno conseguire almeno quanto il Governo si era impegnato a fare, vale a dire una proroga dei tempi di permanenza già previsti dalla legge.
Un'ulteriore necessità sarebbe quella di agevolare la vendita diretta ai comuni, con uno sconto al 38 per cento, come per le vendite in blocco, destinando poi tali immobili all'emergenza abitativa. Sarebbe stato anche opportuno promuovere un provvedimento per consentire l'utilizzo di parte del patrimonio non abitativo in dismissione degli enti previdenziali e del demanio per ampliare l'offerta alloggiativa del comune di Roma, oltre che per sperimentare forme di residenza temporale per studenti, lavoratori in mobilità, cittadini in mancanza temporanea di alloggio, fra cui tanti cittadini immigrati.
Altro tema che mi preme affrontare è quello relativo agli alloggi militari. Nel decreto-legge non vi è un esplicito riferimento, ma gli effetti si faranno sentire anche per questa categoria. Per questa ragione presenteremo emendamenti, perché la questione è emergenziale anche nei confronti degli alloggi della difesa, coinvolti anch'essi dall'ultima cartolarizzazione del 2003. Che questi alloggi fossero cartolarizzati non era un passaggio obbligato, ma è stato frutto di una volontà politica che ha messo in discussione, ci auguriamo in modo non irreversibile, una normativa ed una prassi che volevano che il ricavato degli affitti e degli alloggi militari venisse investito per i bisogni e le necessità, che sono tanti, delle Forze armate. Tra i tanti bisogni c'è la cronica insufficienza di abitazioni per i militari in servizio, che verrà acuita dall'accelerazione, a partire dal prossimo anno, del passaggio dalla leva obbligatoria all'esercito professionale.
Di fronte ad un fabbisogno calcolato in ulteriori 40 mila alloggi, il ministro Tremonti ha ingaggiato un braccio di ferro con il ministro Martino, che non è stato in grado di difendere il patrimonio immobiliare della difesa. Ripeto: non si trattava di un passaggio obbligato. Noi, come opposizione, attraverso il progetto di legge a firma Minniti, avevamo avanzato una proposta più semplice, veloce ed equa: vendere quegli alloggi per i quali era stata dichiarata dagli inquilini la propensione all'acquisto e reinvestire il ricavato in ulteriore alloggi più funzionali ai bisogni del futuro esercito professionale, senza intermediazione di sorta. Così si sarebbe potuto avviare a soluzione un problema già lamentato da tanti volontari (su tale tema abbiamo svolto anche audizioni con i COCER), che spesso si trovano ad affrontare, per mancanza di alloggio, situazioni francamente insostenibili (pendolarismo forzato da città distanti), che nuocciono sia alla loro vita personale (difficoltà di mantenere rapporti familiari stabili), sia alla loro salute, sia al loro rendimento sul lavoro.
In tal modo, vendendo a chi voleva comprare, si sarebbe evitato anche di mettere sulla strada quegli inquilini della Difesa cui la legge n. 537 del 1993 riconosce la natura sociale dell'assegnazione dell'alloggio, in funzione del basso reddito, e che non erano in condizioni di poter comprare.
Su tale punto, nel luglio scorso, durante la discussione del decreto-legge, n. 102 del 2003, poi ritirato, vi è stato un vivace confronto in quest'aula, anche con il sottosegretario Armosino, che ha rudemente definito tali inquilini, che nella loro vita hanno servito sempre lo Stato, «portatori di interessi corporativi che permangono in un immobile della Difesa per ignavia» - suppongo della Difesa - «e per la mancanza di capacità di portare a soluzione un problema». In realtà, si tratta di nuclei familiari composti da persone non più in servizio, per lo più pensionati, non abbienti.


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Si tratta, perciò, di un interesse che va considerato degno di tutela alla stregua della legge n. 537 del 1993. Tali soggetti, infatti, pagano regolarmente il canone.
Il Governo ha messo in discussione questo principio, non a favore di altri militari in servizio (i cui interessi potevano comunque essere contemperati con quelli degli inquilini mediante una proposta come quella che noi avevamo presentato, proprio per evitare che si mettessero uno contro l'altro due diritti egualmente degni di protezione), ma a favore degli interessi della speculazione immobiliare.
Quando si parla di diritto alla casa, si intende che uno dei compiti della politica sia tutelare tale bisogno primario, soprattutto per i soggetti economicamente più deboli (ne ha parlato molto efficacemente la collega Pistone). Invece, si mettono in vendita gli alloggi della Difesa, compilando gli elenchi al buio, senza un confronto con gli inquilini, nonostante le numerose promesse di un incontro fatte dal ministro della difesa. Un incontro permetterebbe, anzitutto, di riscontrare le propensioni all'acquisto oppure le indisponibilità in tal senso, in funzione dei bassi redditi. Questo dovrebbe essere il criterio. A meno che non si decida di rimanere indifferenti di fronte alle lacerazioni sociali.
Si muoveva in tal senso un ordine del giorno del collega Mereu, accolto dal Governo come raccomandazione non più tardi di tre mesi fa, nel dicembre scorso. Esso mirava ad evitare rotture drastiche, devastanti per la vita di molte persone ma anche per la stabilità del tessuto sociale, problema al quale ci sembra che questo Governo sia indifferente.
Noi proporremo, attraverso una serie di emendamenti, che anche agli inquilini della Difesa sia estesa la ratio di questo decreto-legge, che consente di fissare il valore dell'immobile all'anno 2001, in modo da allargare il numero delle famiglie che possono procedere all'acquisto. Tali inquilini sono tutelati dalla legge n. 537 del 1993, votata a stragrande maggioranza dal Parlamento, che garantisce il diritto di locazione a tempo indeterminato.
Il passaggio dalla categoria di inquilino garantito a tempo indeterminato a quella di sfrattato (senza neanche saperlo) è stato troppo brusco e ferocemente punitivo. Proponiamo, pertanto, di escludere dalla cartolarizzazione gli alloggi di quegli utenti che non sono in grado di acquistare, perché la motivazione che impone la dismissione degli enti - vendere l'intero patrimonio - è differente da quella che ha portato alla cartolarizzazione di parte del patrimonio della Difesa.
Ciò lo sosteniamo pur sapendo che vi è il rischio che il ministro della difesa miri, comunque, a colpire tali inquilini, esclusi dalla cartolarizzazione e prossimi agli sfratti. Il fantasma minaccioso dello sfratto si aggira su tale categoria fin dall'anno passato. L'estate scorsa era stato bloccato grazie ad una risoluzione degli onorevoli Pistone e Benvenuto, che rimandava tutta la partita alla definizione complessiva del procedimento di cartolarizzazione.
Il punto, tuttavia, è un altro: se è necessario recuperare un maggior numero di alloggi per il personale in servizio (proposito condivisibile), perché non iniziare a farlo utilizzando, previa ristrutturazione, i 1500 alloggi sfitti della Difesa? Sarebbe una via che consentirebbe di conciliare interessi diversi, senza creare fratture nel tessuto sociale. In subordine, qualora le vendite andassero comunque avanti, chiediamo che anche gli inquilini della Difesa, tutelati dalla legge n. 537 del 1993, in funzione del basso reddito, possano stipulare con la nuova proprietà un contratto novennale.
Naturalmente, riteniamo che anche per tale categoria valgano le protezioni invocate per gli inquilini delle case degli enti: qualora gli alloggi siano occupati da anziani o da nuclei familiari con portatori di handicap è necessario che questi conservino il diritto all'usufrutto e gli acquirenti acquisiscano solo la nuda proprietà. Le richieste che presentiamo tendono ad ampliare il diritto alla casa ad un numero di persone vasto: includono, non escludono.
Nei mesi passati abbiamo visto scendere in piazza il malessere anche di tali


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categorie per difendere il bisogno primario alla casa. Lo abbiamo già detto: si tratta di persone che nella loro vita hanno servito lo Stato con dedizione, puntualmente. Mi chiedo con che faccia il Governo e la destra oggi facciano tanta retorica sui nostri militari mandati all'estero, anche in missioni non condivisibili, e, nello stesso tempo, si apprestino a separare la tutela dei bisogni di coloro che sono in servizio da quella di coloro che non lo sono più.
La realtà è che governare consiste nel fare sintesi, non nel difendere alcuni a scapito di altri. Forse, non sapete più cosa vuol dire essere vicini ai bisogni della gente, anche di quella gente che, seguendo un sogno, vi ha creduto e votato. Tuttavia, queste misure antisociali hanno le gambe corte. Il sogno per molti, per troppi, è diventato un incubo e la vostra responsabilità è sotto gli occhi di tutti. Lo realizzerete presto, anche nella prossima tornata elettorale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, i parlamentari che mi hanno preceduto hanno già affrontato il tema in termini sociali. Mi sforzerò di legare tale tema alla finanza pubblica perché credo che tutta la gestione del decreto-legge n. 351 del 23 settembre 2001 sia abbastanza parossistica e crei molti problemi all'andamento dei conti pubblici dello Stato.
Richiamerò alcuni aspetti della cartolarizzazione, tecnica finanziaria tesa a consentire la conversione di attività non agevolmente negoziabili, quali gli immobili di proprietà pubblica, in strumenti finanziari più facilmente collocabili sul mercato. In particolare, gli immobili sono trasferiti ad una o più società a responsabilità limitata, le «società veicolo» appositamente costituite, che ne finanziano l'acquisto attraverso l'emissione di titoli o mediante finanziamenti acquisiti da terzi. La società veicolo versa l'importo raccolto attraverso tali operazioni a titolo di prezzo iniziale agli enti che hanno ceduto gli immobili.
In attuazione del suddetto decreto-legge n. 351 sono state realizzate due operazioni di cartolarizzazione indicate come SCIP 1 e SCIP 2 relativamente agli immobili degli enti previdenziali. SCIP 1 è stata avviata nel novembre 2001 da parte di questo Governo con la cessione di immobili di sette enti previdenziali - l'ENPALS, l'INAIL, l'ENPAI, l'INPS, l'INPDAP, l'IPOST e l'IPSEMA - alla società veicolo SCIP costituita ad hoc. Si tratta di 27.250 unità immobiliari ad uso residenziale - sono immobili equivalenti ad una città di 100 mila abitanti! - e 262 immobili ad uso commerciale, per un importo complessivo di 3.830 milioni di euro, più di 7 mila miliardi di vecchie lire. SCIP ha corrisposto agli enti cedenti il ricavo al netto delle spese di due emissioni di titoli, rispettivamente di 1.000 e 1.300 milioni di euro, per un ammontare complessivo di 2.300 milioni di euro, circa 4.500 miliardi di vecchie lire. Nel 2002 gli incassi delle rivendite degli immobili sul mercato da parte di SCIP 1 ammontano a 2.365 milioni di euro; nei primi nove mesi del 2003 a 280 milioni di euro.
Abbiamo un ammontare complessivo, dunque, di 2.645 milioni di euro, mentre 1.185 milioni di euro (2.000 miliardi di vecchie lire) corrispondono ad immobili non venduti che, nell'operazione iniziale, non hanno trovato acquirenti né sul mercato dei conduttori, né sul mercato immobiliare. La prima domanda che dunque dobbiamo porci è perché nella gestione di SCIP 1 il Governo non è stato capace di raggiungere gli obiettivi inizialmente fissati nella legge.
Se sul fronte di SCIP 1 registriamo un'operazione di emissione di titoli per 2.300 milioni di euro, che sono stati totalmente rimborsati e riqualificati dalle vendite (a parte quello scarto sulla previsione iniziale), la preoccupazione sussiste invece sul fronte di SCIP 2, un'operazione estremamente fallimentare che non ha raggiunto alcun obiettivo declamato per i


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conti pubblici, così come richiesto dal decreto-legge n. 351 del 2001. Essa ha, in realtà, nascosto i debiti, perché lo Stato dovrà pagare interessi per operazioni di una certa fantasia.
L'operazione SCIP 2 è stata avviata nel dicembre del 2002, dopo un atto convenzionale fra l'Agenzia delle entrate e la società di cartolarizzazione che ricordavo prima (la cosiddetta società veicolo). La prima domanda da porsi è perché all'articolo 3 della citata convenzione del 10 dicembre 2002 non si è fatto riferimento all'articolo 3, commi 7 e 20, del decreto-legge n. 351, nel quale era previsto che i prezzi si dovevano riferire ai prezzi di mercato del settembre 2001 per tutti i cittadini che avessero espresso il diritto di opzione ed effettuato quindi la relativa prenotazione. Perché, dunque, in quell'atto convenzionale non si è riportato quanto era stabilito in una legge dello Stato italiano? Senza contare poi che oggi assistiamo alle conseguenze della mancata operazione finanziaria.
Dicevo, quindi, che l'operazione SCIP 2 è stata avviata nel dicembre del 2002 con la cessione alla società veicolo, da parte dei medesimi enti previdenziali e dello Stato, di 53.241 unità immobiliari ad uso residenziale (equivalenti ad un'intera città di 200 mila abitanti) e di 9.639 unità immobiliari ad uso commerciale, per un valore lordo complessivo di 7.790 milioni di euro (circa 15.000 miliardi di vecchie lire) e con un valore medio per unità immobiliare che va dai 250 milioni ai 300 milioni di vecchie lire (un prezzo tutto sommato di riferimento, se vediamo anche l'età e gli elementi degli immobili inseriti nel processo di cartolarizzazione).
A fronte della cessione degli immobili, SCIP 2 ha corrisposto ai soggetti cedenti (quindi agli enti previdenziali e allo Stato) il ricavo, al netto delle spese, di cinque emissioni di titoli, perché vi sono state, infatti, cinque emissioni di titoli, per un ammontare complessivo di 6.637 milioni di euro (circa 13.000 miliardi di vecchi lire). Ci saremmo aspettati che questa operazione, promossa a dicembre 2002, avesse avuto degli ingressi a fronte delle vendite. Se andiamo a vedere invece quali incassi ha avuto SCIP 2 e dunque quanto quest'operazione ha fruttato all'Agenzia delle entrate, allo Stato e agli enti previdenziali, possiamo constatare che gli incassi derivanti dalla vendita degli immobili sul mercato da parte di SCIP 2 realizzati alla fine del 2003 ammontano a 564 milioni di euro (solo 1.000 miliardi di lire), a fronte di un'emissione di titoli per 13 mila miliardi di vecchie lire.
Si è trattato, quindi, di un'operazione estremamente fallimentare nella gestione della cartolarizzazione degli immobili. Se SCIP 1 ha avuto un elemento di moderazione iniziale, con un'emissione per soli 2.300 milioni di euro, in questo caso ci troviamo ad avere emissioni di titoli per 6.700 milioni di euro a fronte di un ingresso per vendite di immobili di soli 564 milioni di euro. Questo è quello che sta succedendo.
Se nella convenzione del 10 dicembre, all'articolo 3 - lo diciamo con forza al Governo - fossero state inserite le previsioni relative all'opzione dei prezzi con riferimento all'ottobre 2001, sicuramente gli immobili sarebbero stati venduti a migliori condizioni e vi sarebbe stata una loro collocazione nel mercato sicuramente preferibile, senza costringere il Parlamento a tornare ripetutamente su queste disposizioni. Il decreto-legge n. 41 crea contraddizioni anche nella gestione di leggi e decreti-legge all'interno di quest'aula.
Vorrei ricordare ciò che è stato affermato dal Presidente della Camera, fornendo una risposta al presidente della Commissione bilancio, onorevole Giorgetti, nel corso della seduta del 12 dicembre 2003: «La relazione tecnica che mi è stata trasmessa dal Governo parla di 3,2 miliardi di euro. L'opinione degli uffici e del Presidente è che questa stima sia superiore a quella che è la reale dimensione, per cui posso convenire con lei ma (...), la Presidenza la valuterebbe inammissibile per carenza di copertura finanziaria; la valuterebbe inammissibile in entrambi i casi, sia che ci sbagliassimo in eccesso - non noi, ma la Ragioneria - sia che fosse


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giusta la nostra valutazione minore. In ogni caso, non c'è copertura finanziaria. Sono stati forniti, inoltre, alcuni dati utili a chiarire le questioni sollevate con riferimento alla compensazione o all'assenza di effetti onerosi di altre specifiche disposizioni. In particolare, in merito al comma 129 - poi divenuto 134 - dell'articolo 3 (emendamento 6.200), è stato osservato che il ripristino del prezzo e delle condizioni di acquisto previsti dalla normativa vigente al 31 ottobre 2001 non determina effetti riduttivi del gettito ascritto alle procedure di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, tenuto conto che la relazione tecnica al disegno di legge n. 269 del 2003 - si tratta di un altro provvedimento sui conti pubblici che si ascriveva nel meccanismo posto in essere della posizione della questione di fiducia e di una normazione per decreti-legge che rimandava a questioni che sono state sollevate e poi smentite da chi ha messo in atto tale procedura - che ha previsto la soppressione di un'analoga disposizione, non indicava alcuna conseguenza finanziaria». Pertanto, la disposizione corrisponde ad un emendamento già presentato a suo tempo, considerato ammissibile in quanto dotato di un'apposita compensazione finanziaria.
Dopo l'approvazione a scatola chiusa della legge finanziaria, su cui è stata posta la questione di fiducia, è stato ripresentato un decreto-legge, secondo il quale occorrono 1.000 miliardi di vecchie lire, la cui copertura si otterrà con nuove dismissioni del patrimonio pubblico. Ciò ci fa pensare che la procedura finanziaria deve essere corretta e corrispondente agli atti ed ai rendiconti. Ancora non disponiamo di un rendiconto preciso; comunque, per capire tali problematiche bisognerebbe approfondire la materia, accedendo anche a determinati siti Internet (nella relazione tecnica alcune questioni sono state richiamate). Ad ogni modo, il giudizio su questa operazione è negativo, perché ad oggi sono assenti i 14 mila miliardi di vecchie lire, a fronte dei titoli emessi per rientrare nell'operazione totale di SCIP 2.
L'opposizione formula una serie di suggerimenti. Si tratta di un provvedimento corretto perché ripristina la norma iniziale; quindi, con il medesimo e relativamente all'operazione SCIP 2, si può procedere nella vendita agli occupanti degli alloggi (la relazione ha menzionato i costi previsti).
Vi sono però due grossi problemi da affrontare: gli immobili di pregio ed il diritto di prelazione nelle vendite collettive, se non si addiviene all'accordo del 50 o dell'80 per cento degli occupanti degli immobili. Al riguardo, dovreste redigere relazioni dettagliate ed effettuare una ricerca precisa, perché, altrimenti, nel 2004 non ce la farete ad ottenere le entrate rispetto ai titoli emessi e ciò procrastinerà il debito pubblico (si dovranno pagare anche gli interessi su tutta l'operazione).
Mi scuso, inoltre, se nel mio intervento mi sono soffermato più che sulla sofferenza di 80 mila famiglie che occupano questi alloggi, quindi sulle difficoltà che incontrano (mi riferisco all'assenza o al rinvio del contratto, all'incertezza di operazioni di questo tipo), sull'aspetto dei conti pubblici.
Spero che questo Governo, quando ci presenterà il Documento di programmazione economica e finanziaria per l'anno 2005, ci farà comprendere come pensa di recuperare la situazione che si è determinata in seguito al fallimento dell'operazione di cartolarizzazione promossa dal disegno di legge n. 351 del settembre 2001 (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Benvenuto, iscritto a parlare: si intende vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Tocci. Ne ha facoltà.

WALTER TOCCI. Sottosegretario Armosino, in quest'aula tutto, fuorché la sua cortesia, è contro di lei, in quanto questo decreto-legge è un capolavoro di inettitudine. Dopo oltre due anni, se alcuni emendamenti saranno approvati, ritorneremo


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esattamente alle norme vigenti ad ottobre del 2001. Abbiamo svolto, quindi, un lungo viaggio normativo per tornare esattamente al punto di partenza. Tuttavia, il viaggio non è stato gratis, in quanto ne hanno pagato il costo l'erario statale e, in larga misura, in termini di serenità, decine di migliaia di famiglie.
In questi due anni e mezzo, dunque, con riferimento agli enti previdenziali, avete svolto una politica inutile e dannosa: dannosa per le casse dello Stato e inutile per l'obiettivo dell'alienazione del patrimonio degli enti previdenziali.
È la quinta volta, se non ricordo male, che torniamo a discutere di queste norme. Diverse volte avete cercato di modificarle ma, quasi sempre, il Parlamento vi ha risposto in senso negativo. Oggi, si torna a ribadire un concetto molto semplice, già approvato in quest'aula nell'ottobre del 2001: il prezzo di vendita.
Come tutti sappiamo, la prima fase delle vendite, organizzata dai Governi dell'Ulivo, ebbe un grande successo, poiché l'84 per cento degli inquilini fu posto nelle condizioni di acquistare l'alloggio e soltanto il 16 per cento, pur non potendo acquistare, fu aiutato attraverso diversi ammortizzatori sociali ad affrontare e risolvere il problema della casa.
Poi, è arrivato il Governo Berlusconi e ha applicato i prezzi scaturiti dalla bolla speculativa di questi ultimi anni, con un aumento del 30-40 per cento. Da ciò è derivata una chiara ingiustizia sociale, percepita non solo dagli interessati, ma anche dall'opinione pubblica.
L'ingiustizia sta nel fatto che non è colpa dei cittadini che si sono trovati nella seconda fase di vendita, in quanto costoro, insieme a quelli della prima fase, avevano espresso comunque la propria disponibilità all'acquisto. Quindi, se si trovano nella seconda fase, è per colpa degli enti previdenziali, dei loro ritardi e delle loro incertezze; tuttavia, la responsabilità degli enti previdenziali non può esser scaricata, appunto, sui cittadini.
Si torna quindi al 2001. Quanto è costato questo viaggio normativo per tornare al punto di partenza? È costato tanto alle casse dello Stato. Se si fosse rispettata la norma del 2001 avreste già venduto gran parte del patrimonio degli enti previdenziali, mentre oggi siamo soltanto al 30 per cento.
Per incaponirvi a non rispettare la norma del 2001, state rischiando di far fallire la cartolarizzazione che voi stessi avete impostato. Siete arrivati al punto di mettere in seria difficoltà l'emissione dei bond, che adesso si conclude in una condizione in cui gli introiti sono molto al di sotto delle previsioni. Siete costretti, quindi, ad impegnare gli introiti di ulteriori e future vendite e siete altresì costretti a porre su ciò la garanzia dello Stato, attraverso una manovra che non passerà inosservata ai controllori di EUROSTAT, i quali hanno già espresso in diversi passaggi la preoccupazione per questa politica di bilancio basata sulle una tantum.
Tuttavia, in questo caso, vi è qualcosa in più, vale a dire il fatto che una voce di entrata è, in realtà, assicurata da una garanzia dello Stato; cosa che, in una corretta gestione del bilancio statale non dovrebbe essere neppure concepibile.
Tutto ciò si poteva evitare. Si poteva evitare non solo il danno agli introiti dello Stato, ma anche quel danno economico alle famiglie, molte delle quali erano già pronte all'investimento che voi avete ingiustamente ritardato. Non solo ci sono state tali conseguenze, ma avete anche e soprattutto colpito la serenità di tante famiglie. Mi è capitato di parlare con queste persone e di comprendere i tanti problemi che stanno dietro alla lettera di un ente previdenziale che, all'improvviso, impone il 40-50 per cento in più del prezzo che ci si aspettava. Per molte famiglie questa notizia è stata fonte di ansia e di angoscia, ha significato discussioni tra loro e con gli amici e ha creato problemi, magari aggravando questioni che erano già preoccupanti per altri aspetti privati.
Avete quindi inutilmente messo in una situazione di tensione tante famiglie delle nostre città; soprattutto avete creato tensione in molti anziani, per i quali la


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notizia di non riuscire più a pagare l'alloggio ha sicuramente determinato incertezza, depressione e preoccupazione sul futuro, quello loro, della loro famiglia e dei figli. Ho fatto una piccola indagine e un farmacista del quartiere Monteverde di Roma (che è il mio collegio), mi ha rivelato una semplice correlazione. Ogni volta che approvavate uno di questi decreti che precedevano aumenti spropositati, il mio amico farmacista notava un aumento sensibile nella vendita di ansiolitici. Quando poi riuscivamo in quest'aula, anche con il voto di molti deputati di maggioranza, a bloccare le vostre decisioni, la vendita di ansiolitici tornava in condizioni normali.
Quindi, avete recato un danno allo Stato, agli investimenti delle famiglie e avete anche messo in pericolo ciò che vale di più del bilancio dello Stato e degli investimenti, ossia la serenità delle nostre famiglie.
Onorevole Armosino, se questo è il bilancio, le domando: ne è valsa la pena? È valsa la pena di tentare per due anni di scardinare la regola del 2001, senza poi riuscirci, e tornare a quella stessa regola? Ricordo i passaggi e ricordo quando quella norma era pienamente in vigore. Lo ricordava adesso anche il collega Nannicini. Poiché stavate predisponendo le norme sulle SCIP, potevate semplicemente ribadire e copiare la norma del 2001, e a questo punto le vendite degli enti previdenziali sarebbero già concluse, invece, sostenevate che quella norma non valeva, semplicemente perché non vi piaceva. Ricordo anche, però, che un giorno scappò una dichiarazione in senso contrario a quella candida persona che è l'onorevole sottosegretario Brambilla, il quale in quest'aula dichiarò che la norma del 2001 era pienamente in vigore e che costringeva ad una vendita secondo i prezzi del 2001.
L'onorevole Brambilla da allora in poi non ha più parlato di questa materia e lo avete chiamato ad altri incarichi e ad affrontare altre discussioni. È curioso che oggi questo personaggio del Governo - che voglio qui testimoniare quanto sia popolare nelle assemblee degli inquilini, pur non avendole mai frequentate, perché gli inquilini hanno finalmente trovato un esponente del Governo che gli dava ragione - venga messo in crisi anche dal suo partito, la Lega, che si sta opponendo a questo provvedimento.
Ecco, quindi, la sequela di errori che avete fatto.
Se il bilancio è assolutamente negativo, essendosi trattato di un lavoro inutile e dannoso, rivolgo un appello a non commettere ulteriori errori. Mi riferisco, in primo luogo, agli enti cosiddetti privatizzati, i quali recitano due parti in commedia: quando si tratta di canoni, tengono a sottolineare il proprio status di soggetti privati e reclamano pertanto la totale liberalizzazione dei canoni stessi; quando invece si tratta di fisco, rivendicano lo status di soggetti di interesse pubblico e chiedono agevolazioni fiscali, che peraltro hanno ottenuto con la legge Tremonti del 2003.
Non si possono continuare a recitare due parti in commedia: o si è pubblici o si è privati! La nostra proposta prevede che le agevolazioni fiscali - che riteniamo opportune, in quanto si tratta pur sempre di enti di natura previdenziale - debbano essere accompagnate dall'obbligo di applicazione del canone concordato previsto dalla legge. Gli enti privatizzati resterebbero liberi di scegliere di configurarsi quali soggetti privati: in tal caso, non avrebbero vincoli nella determinazione dei canoni, ma non usufruirebbero dei benefici fiscali; per poter godere di questi ultimi, dovrebbero assumere l'onere di applicare il canone concordato.
Signor Presidente, tale proposta emendativa è stata dichiarata inammissibile dal presidente della Commissione; abbiamo tuttavia condotto un'ulteriore istruttoria, sulla base della quale sottoponiamo all'Assemblea alcuni elementi, a nostro avviso inconfutabili, a sostegno dell'ammissibilità della stessa. Al riguardo, mi accingo a riassumere il parere in materia reso dal Consiglio di Stato il 18 giugno 2003, riservandomi di depositare presso gli uffici il testo integrale.


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Il Consiglio di Stato rileva che la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 104 del 1996 ha stabilito l'obbligo specifico a carico degli enti previdenziali, all'epoca pubblici, di vendere gli immobili ad uso residenziale e che è conseguentemente maturato il diritto soggettivo degli inquilini ad esercitare la prelazione in tale processo di vendita. Il parere, argomentato ed approfondito, evidenzia che sia l'obbligo di vendita a carico degli enti sia il diritto di prelazione in favore degli inquilini restano in vigore nelle discipline normative successive: il Consiglio di Stato parla di sostanziale neutralità delle modificazioni intervenute medio tempore rispetto alla doverosità del processo di dismissione, tanto che la tutela dei diritti del conduttore segue l'immobile. Le modificazioni successive, ad avviso del Consiglio di Stato, ribadiscono inoltre il diritto soggettivo ad esercitare la prelazione. In particolare, la legge n. 488 del 1999 prevede espressamente che siano in ogni caso fatti salvi i diritti attribuiti ai conduttori dalle norme vigenti. La conseguenza di tale peculiare innovazione nel patrimonio degli enti pubblici, osserva il Consiglio di Stato, è il conferimento ai soggetti previsti dalla medesima normativa di un'ulteriore situazione qualificata: il diritto soggettivo ad esercitare la prelazione sul bene. Conseguentemente, la privatizzazione intervenuta nel 2000 non ha modificato l'assetto relativo agli obblighi e ai diritti delineati dalla legislazione precedente.
Il Consiglio di Stato si esprime ancora testualmente sostenendo che la circostanza che l'ente pubblico si sia trasformato medio tempore in soggetto privato non altera in alcun modo le conclusioni raggiunte, posto che il quadro dismissorio va sicuramente riportato quanto meno alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996. Quindi, il Consiglio di Stato sostanzialmente dice che anche gli enti privatizzati sono obbligati a vendere il patrimonio secondo la normativa che è maturata dal 1996 ad oggi e, in modo particolare, sono tenuti a rispettare il diritto soggettivo ad esercitare la prelazione da parte degli inquilini.
Pertanto, in primo luogo richiamo l'attenzione della Presidenza affinché, valutando l'ammissibilità degli emendamenti presentati, rifletta su questa importante sentenza del Consiglio di Stato che, ripeto, a nostro giudizio, va in modo inequivocabile nella direzione da noi auspicata. In ogni caso, ovviamente - come sempre - ci rimetteremo al giudizio della Presidenza, alla quale però, rivolgo la preghiera di leggere questa sentenza prima di pronunciarsi in merito all'ammissibilità.
In sede politica, mi rivolgo al sottosegretario Armosino e al Governo: siamo di nuovo di fronte ad un problema come quello che abbiamo affrontato negli anni precedenti; riconoscete la bontà dei nostri emendamenti sugli enti privatizzati, perché altrimenti si andrà avanti con i contenziosi! Già il parere del Consiglio di Stato dice che questi contenziosi sono fondati, che hanno argomenti molto forti sul piano giuridico. Cerchiamo quindi di evitare quello che è già successo con gli enti previdenziali pubblici: quando avete provato a fare qualcosa, vi siete trovati di fronte ai ricorsi, non siete riusciti a passare e quindi avete dovuto fare retromarcia. Averlo fatto per due anni è già un errore grave; sarebbe veramente un perseverare diabolicum - come dicevano i romani - continuare a farlo anche negli anni successivi con gli enti privatizzati. Pertanto, onorevole Armosino, la prego di fare tesoro degli insuccessi che siete riusciti a collezionare in questa materia, in modo tale che questa volta il tiro si possa correggere subito, evitando difficoltà sia per gli interessi pubblici sia per la condizione di migliaia di cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, siamo all'ennesima tappa di una via crucis, perché ormai, su questa storia delle case degli enti, che riguarda migliaia e migliaia di famiglie italiane, è tutto un


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susseguirsi di provvedimenti. Ho usato appositamente il termine «via crucis» perché credo che questo sia lo stato d'animo con cui tante famiglie stanno affrontando la vicenda, da quando il ministro Tremonti ha avuto la grande idea di far pagare agli inquilini delle case degli enti l'insuccesso della sua politica economica. Non si può eliminare la tassa di successione ai miliardari e poi pensare di spremere gli inquilini delle case degli enti, aumentando i prezzi di quelle abitazioni del 40-50 per cento nello stesso complesso! In questo modo, un inquilino che ha comprato un anno fa, ad una certa somma, adesso, secondo il ministro Tremonti, dovrebbe pagare lo stesso tipo di casa, nella scala accanto, un prezzo superiore del 40-50 per cento, soltanto perché il Governo ha pensato di trarre da questa operazione una quantità di risorse superiore! Devo dire che questa operazione è stata portata avanti dal ministro Tremonti con estrema arroganza, perché quando votammo in aula quell'emendamento che riconosceva il diritto di prelazione - e oggi, in particolare, stiamo parlando di questo - agli inquilini che avevano presentato la domanda entro il 31 ottobre 2001, qualcuno disse alla SCIP di andare avanti comunque, ignorando quella norma!
Ecco perché ci troviamo a discutere in questa sede di tale questione, ed è questo il motivo per cui il Governo si è avvitato in una sorta di spirale. Vorremmo capire chi abbia detto alla Società cartolarizzazione immobili pubblici di andare avanti come se non fosse accaduto nulla; altrimenti, non riesco a spiegarmi come mai, con una norma che disponeva chiaramente che quegli inquilini avevano il diritto di ottenere uno sconto, la SCIP abbia continuato a pretendere dalle famiglie un prezzo maggiorato ed abbia estorto denaro, pena il ricatto della messa in vendita all'asta di quell'appartamento, a famiglie che avrebbero dovuto, in base alla legge, pagare di meno!
Qualcuno evidentemente deve averle detto che poteva proseguire in questo modo, perché successivamente tale norma sarebbe stata abrogata. Il tentativo di abolire la norma in questione vi è stato; peccato, però, che vi sia stata anche una forte reazione da parte degli inquilini e delle famiglie, che hanno creato un forte movimento - che ha promosso anche manifestazioni davanti alla Camera ed al Senato - che vi ha costretto a reintrodurre nel disegno di legge finanziaria quella norma.
Tuttavia, ciò non vi è bastato, perché, nonostante tale norma prevedesse chiaramente che tutti coloro che avevano esercitato il diritto di prelazione entro il 31 ottobre 2001 avevano diritto ad acquistare alle condizioni e ai prezzi vigenti all'epoca dell'esercizio di tale diritto, avete inserito nel testo del decreto-legge un'ulteriore data, quella del 25 settembre: secondo voi, il diritto di prelazione poteva essere riconosciuto solo a coloro che avevano esercitato tale diritto dal 25 settembre al 31 ottobre.
Altro che finanza «creativa»: questa è «prepotenza creativa»! Significa negare la realtà e calpestare la legge, a discapito delle famiglie che abitano nelle case degli enti. Vorrei chiarire al Governo che non si tratta di famiglie privilegiate, perché sono in larga parte famiglie di pensionati e di lavoratori dipendenti, spesso monoreddito, che non si possono permettere di pagare le cifre che pensate di incassare attraverso quell'operazione finanziaria.
Avete provato in tutti i modi a penalizzare tali famiglie, ma per fortuna, anche in questi ultimi tempi, vi è stata una forte reazione, ed in questa settimana siete stati costretti a cancellare l'obbrobrio della data del 25 settembre ed a ripristinare, correttamente, il diritto di prelazione per tutti coloro che lo hanno esercitato entro il 31 ottobre 2001. Consideriamo ciò un risultato positivo, che è stato possibile raggiungere perché vi è stata, ancora una volta, una forte reazione da parte degli inquilini e dei loro sindacati, i quali, unitariamente, hanno condotto questa battaglia. Noi abbiamo sostenuto tale battaglia nelle aule parlamentari, ed abbiamo ottenuto, ancora una volta, un risultato favorevole alle famiglie.
Ciò non toglie, tuttavia, che numerosi problemi restino ancora sul tappeto, e


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pertanto vi chiediamo, attraverso le nostre proposte emendative, di affrontarli. Infatti, se il Governo continua a non risolvere per via legislativa tali problemi, dovrà successivamente affrontarli per via giudiziaria, perché laddove vi sono incongruenze ed ingiustizie, prima o poi i nodi verranno al pettine. Oggi siete costretti a restituire le somme che erano state estorte dalla SCIP agli inquilini, e dovrete farlo, anche se vi siete inventati una formula per cui verranno restituite chissà quando. Tuttavia, vorremmo la garanzia che gli inquilini riceveranno indietro il maltolto, perché devono riavere in tempi ragionevoli i soldi che sono stati percepiti illegittimamente, sotto la minaccia dello sfratto, senza rinviare il rimborso a chissà quando.
Vi sono, comunque, altri problemi. La norma parla di esercizio del diritto di prelazione attraverso raccomandata con ricevuta di ritorno.
E quegli altri inquilini, i quali - non perché non abbiano voluto fare tale scelta, sibbene perché non invitati a farla, in quanto l'ente ha scritto ad alcuni e non ad altri - non hanno avuto la possibilità di esercitare il diritto di prelazione? Sovente, si tratta di persone che abitano nello stesso palazzo, nella scala accanto, nel palazzo di fronte di proprietà dello stesso ente... Come facciamo ad applicare un trattamento diverso tra gli uni e gli altri? Mi domando quale sia la base giuridica costituzionale sulla cui base si regge siffatta discriminazione a danno delle famiglie.
Su tali aspetti, non potete glissare; si sostiene da parte di alcuni che molti, però, hanno inviato la raccomandata. Tuttavia, lo ha potuto fare chi è stato informato. A quanti non sono stati messi al corrente del fatto che si dovesse inviare la raccomandata entro il 31 ottobre - pena, altrimenti, la perdita del diritto - cosa obiettiamo? Per così dire, sbattiamo loro la porta in faccia, non tenendo conto delle loro esigenze e delle loro difficoltà?
E quegli inquilini cui voi avete chiesto di esercitare il diritto di prelazione sulla base di un prezzo maggiorato? Si tratta di inquilini che, in ipotesi, non hanno risposto positivamente solo in quanto non disponevano dell'ammontare richiesto, più alto di quello che sarebbe stato dovuto in base alla norma di legge; norma che la SCIP violava con la complicità del ministro dell'economia delle finanze. Ebbene, verso tali inquilini cosa disponiamo? Ignoriamo le loro esigenze, li discriminiamo rispetto agli altri? Questa parte della normativa va riconsiderata. Noi, appunto, abbiamo presentato una serie di proposte emendative con le quali chiediamo di modificare tali disposizioni. Ciò, in quanto la legge era chiara; era chiara anche alla SCIP. Oggi, si parla di restituzione di soldi alla SCIP; per quale ragione? Ma non era chiaro come gli inquilini avessero diritto, entro il 31 ottobre, ad ottenere quegli sconti? Perché oggi che si ripristina la norma, si devono trovare risorse aggiuntive? Per darle alla SCIP? A che titolo?
Dunque, si considerano una serie di questioni che non esistono mentre non si affrontano una serie di problemi realmente sussistenti e riguardanti le famiglie.
Penso, ad esempio, alle persone anziane ultrasessantacinquenni, le quali hanno vissuto una vita dentro gli alloggi e che oggi, in ipotesi, dispongono di pensioni minime e non sono in grado di acquistare quelle abitazioni, eventualmente, anche perché non hanno figli che possano aiutarle. Ma mi riferisco, altresì, alle famiglie nell'ambito delle quali vivono persone gravemente disabili, con costi aggiuntivi notevoli che impediscono loro di avere le risorse per l'acquisto della casa. Verso tutti costoro, come agiamo? Possiamo prevedere, come noi proponiamo, che questi cittadini possano acquisire l'usufrutto pagando mensilmente una cifra analoga all'affitto che attualmente pagano? Credo che questa sarebbe una norma minima di umanità, che potrebbe impedire situazioni drammatiche; non credo voi abbiate l'interesse di mettere sulla strada questa gente. Anche perché, quando questi immobili vengono messi all'asta, vengono venduti ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Infatti, dagli inquilini si cerca di


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ottenere il più possibile mentre, quando le abitazioni vengono messe all'asta, spesso vengono vendute a prezzi ribassati. A chi nuoce dare la possibilità, a questi inquilini, di pagarsi l'usufrutto mese per mese, come se pagassero gli affitti, sapendo che essi avrebbero grandissime difficoltà, in caso di sfratto, a trovare un'alternativa per l'alloggio? Oggi, soprattutto nelle grandi città, il mercato immobiliare è inaccessibile per chi ha un reddito normale; per gli affitti, si richiedono cifre non raggiungibili neppure sacrificando l'importo intero della pensione. Sappiamo anche quali difficoltà abbiano gli enti locali nell'assegnazione delle case popolari. Non possiamo quindi non farci carico di una questione di tanto rilievo sociale, che, oltretutto, non comporterebbe alcun costo per il Governo. Anzi, in ipotesi, faciliterebbe le operazioni senza determinare situazioni drammatiche; situazioni per contrastare le quali noi ci daremo da fare, al fine di tutelare questi inquilini.
Vi è poi la questione delle case di pregio; i criteri stabiliti vanno rivisti in quanto spesso si considerano case di pregio, soltanto perché fisicamente si trovano entro un certo perimetro e non in un altro, abitazioni site in zone degradate.
Poi, soprattutto - lo ricordava dianzi il collega Tocci -, è importante la questione degli enti privatizzati; non so se il Governo abbia presente quanto sta accadendo. Anzi, sospetto che lo sappia e che la questione, però, non desti alcun interesse.
Allora, siccome abbiamo presentato atti di sindacato ispettivo anche urgenti, ai quali, finora, non è stata data alcuna risposta, vorrei capire cosa pensi il Governo, ad esempio, di Assicurazioni Generali Spa.
Quest'ultima deve vendere migliaia di appartamenti in alcune città d'Italia: Roma, Firenze, Milano ed altre. Cosa fa, allora? Intanto, cede i suoi appartamenti ad un fondo immobiliare, Investire Immobiliare SGR Spa, al prezzo di 2 mila euro al metro quadro. A questo punto, Investire Immobiliare SGR cosa fa? A sua volta, vende gli appartamenti in parola a Vittoria Assicurazioni Spa a 3 mila euro al metro quadro (il prezzo a metro quadro sale, dunque, da 2 mila a 3 mila euro al metro quadro). A questo punto, la società Immobiliare Bilancia Srl, che fa capo a Vittoria Assicurazioni Spa, nella quale, probabilmente, c'è anche lo zampino di Assicurazioni Generali Spa, chiama gli inquilini che abitano gli appartamenti e dice loro: la casa costa 4 mila euro al metro quadro! In altre parole, Assicurazioni Generali Spa ha raddoppiato il prezzo degli appartamenti a danno degli inquilini e delle famiglie romane, milanesi e fiorentine!
E il Governo che fa? Il ministro delle attività produttive, al quale spetta la vigilanza sul sistema assicurativo, si preoccupa di queste faccende? Si preoccupa di queste migliaia di famiglie oppure se ne frega e pensa ad altro? Siete realmente interessati ai problemi delle famiglie italiane, voi che parlate sempre di famiglie?
Vediamo un po' cosa succede a via del Boschetto, qui vicino. Banca di Roma, Cassa di risparmio di Roma, deve vendere alcuni alloggi. Li cede, pertanto, a Bernini Immobiliare Srl, partecipata da Pirelli Real Estate (Tronchetti Provera) e da Banca di Roma. È sempre la stessa storia! Sono implicati sempre gli stessi personaggi: il loro unico obiettivo è quello di far lievitare il mercato degli alloggi perché con queste compravendite si arricchiscono a discapito delle famiglie! Dunque, la Bernini Immobiliare compra gli appartamenti a 2 mila e 500 euro al metro quadro e li vende alle immobiliari Piperno e Tagliacozzo a 3 mila e 500 o 4 mila euro al metro quadro, dopo di che questi signori chiamano gli inquilini e dicono loro: volete comprare la casa? Costa 5 mila euro al metro quadro! Con questo gioco delle scatole cinesi e delle tre carte, il prezzo degli alloggi si è nuovamente raddoppiato sulle spalle delle famiglie e degli inquilini!
E il Governo dove sta? Il ministro dell'economia e delle finanze, al quale compete la vigilanza sugli istituti bancari e sulle casse di risparmio, dove sta? Vi interessano le vicende ed i destini di queste famiglie di cui tanto parlate oppure


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volete consentire a questi gruppi immobiliari di lucrare sulle spalle delle famiglie italiane? Questo sta avvenendo!
Ricordo che, quando si procedette alla vendita delle case dell'INA, i cui prezzi raggiunsero quotazioni elevate, il Governo di centrosinistra in carica - che aveva a cuore i destini delle famiglie - intervenne sull'INA e su Milano Centrale, intervenne su Tronchetti Provera e lo costrinse ad adeguare i prezzi e ad accettare condizioni analoghe a quelle praticate dagli enti previdenziali. Voi state venendo meno al vostro ruolo di controllo e di tutela dei cittadini! Questo è molto grave!
Abbiamo presentato proposte emendative nelle quali vi chiediamo di affrontare il problema. D'altro canto, se questi fondi immobiliari usufruiscono di agevolazioni fiscali, come ricordava il collega Tocci, a quale titolo ne godono? Per fare operazioni speculative sulle spalle delle famiglie italiane? A noi sembra che o si svolge una funzione sociale e ci si adegua a comportamenti eticamente orientati e socialmente accettabili oppure non c'è ragione di usufruire di agevolazioni fiscali.
Ho l'impressione che questo Governo, dopo avere tolto la tassa di successione ai possessori di patrimoni miliardari, sia attento agli interessi di questi gruppi immobiliari ed a quelli dei club professionistici di serie A (miliardari pure loro!). Ma alle famiglie quando pensate? Quando pensate a quelli che hanno un reddito da pensione, a quelli che hanno un reddito fisso con cui non riescono ad arrivare al 27 del mese, a quelli che devono fronteggiare l'inflazione e che vengono costretti ad acquistare gli alloggi a prezzi maggiorati?
Vi chiediamo di affrontare questi temi e di riflettere sulle proposte emendative che abbiamo presentato. Se rifletterete su tali proposte migliorative approvandole, quest'operazione di vendita potrà andare avanti, altrimenti sarà un calvario, non per gli inquilini questa volta, ma per voi: ricorsi al TAR, in sede amministrativa, e in altre sedi. Infatti, quando non si è giusti nelle decisioni, alla fine il prezzo si paga. Rischiamo di vedere lo Stato coinvolto in un enorme contenzioso che bloccherà periodicamente il processo di vendita delle case degli enti, con esiti devastanti anche per il bilancio statale.
Ci auguriamo di ricevere ascolto e che vi sia una reale disponibilità a discutere, perché vi rappresentiamo gli interessi della larga maggioranza delle famiglie italiane: migliaia di famiglie che oggi si trovano a vivere in una situazione di difficoltà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Cento, seguendo il previsto ordine delle iscrizioni a parlare, avrei dovuto constatare la sua assenza; tuttavia, le concedo eccezionalmente di intervenire per tre minuti. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, vorrei esprimere brevemente un giudizio su questo provvedimento che rappresenta, pur nella sua parzialità e contraddittorietà, un primo, timido passo verso le richieste avanzate, in maniera unanime, dagli inquilini delle case cartolarizzate. Si tratta di famiglie coinvolte in una vicenda che sta creando gravi squilibri ed ingiustizie sociali.
Finalmente, la data del 31 ottobre 2001 torna ad essere il punto di riferimento per la definizione del prezzo di vendita di questi immobili, ma ciò non è sufficiente. Anche per questo, noi deputati Verdi (non solo noi, ma anche il resto dell'opposizione) abbiamo presentato diverse proposte emendative che affrontano le questioni rimaste aperte: enti privatizzati, tutela delle famiglie monoreddito e o composte da pensionati, classi sociali più deboli che rischiano di essere fortemente penalizzate da tutta l'operazione di vendita del patrimonio immobiliare pubblico e previdenziale.
Siamo di fronte ad una vicenda che preoccupa per i suoi effetti sociali, per i suoi effetti sul mercato immobiliare e per l'incapacità del Governo (che fino ad oggi abbiamo verificato) di svolgere con coerenza e trasparenza la funzione di controllo sulle vendite e sulla cartolarizzazione, funzione indispensabile affinché


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questa procedura possa a vantaggio essere, non della speculazione immobiliare (come purtroppo sta accadendo), ma di coloro che avevano abitato in quelle case e che finalmente potevano vantare il diritto di diventarne proprietari.
Mi avvio alla conclusione, riservandomi di intervenire nel merito delle proposte emendative presentate dai deputati Verdi e confermando la necessità di un'operazione di equità e di giustizia che deve essere realizzata anche attraverso le proposte emendative presentate a questo decreto-legge.
Ci batteremo e staremo al fianco degli inquilini e di quanti si stanno organizzando nelle città italiane affinché questa manovra non sia a vantaggio della speculazione immobiliare, ma serva a garantire i ceti sociali più deboli.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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