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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci stiamo avviando alla fase finale di questa maratona oratoria: ancora qualche ora e, poi, questo agognato provvedimento sarà approvato.
È stato un impegno notevole, uno sforzo importante di tutta l'opposizione, di tutto il centrosinistra, ma a nostro avviso necessario. Ci dispiace che sia stato sostenuto solo dalle forze di opposizione. È stato uno sforzo che ci ha permesso di illustrare i motivi che ci hanno spinto a negare il nostro voto di fiducia al Governo ed a spiegare le ragioni che ci inducono ad esprimere un voto contrario sul provvedimento in esame.
È uno sforzo, un impegno, che ha reso visibile che vi è una parte del paese - sono convinto maggioritaria - che non è più disponibile ad abbassare la testa di fronte ai desiderata del capo. E ci dispiace di non aver potuto incontrare lungo questa strada i colleghi di maggioranza, molti dei quali - lo sappiamo - condividono le nostre stesse preoccupazioni.
Non abbiano potuto sviluppare un confronto di merito, non abbiamo potuto discutere in quest'aula, perché il Governo ha posto la questione di fiducia su questo testo. Un confronto libero, forse, non avrebbe portato a questo stesso risultato. Lo sappiamo, lo sapete e lo deve sapere il paese. Lo abbiamo visto sulla legge Gasparri: quando siete stati lasciati liberi, quando con il voto segreto ciascuno ha avuto modo di esprimersi liberamente; il Governo è stato costretto a battere in ritirata per paura di essere sconfitto in aula.
Ecco perché, cari colleghi, il voto di fiducia è, prima di tutto, un voto di sfiducia verso la maggioranza. È anche questo che il paese deve sapere: vi è un pezzo grande della maggioranza che è costretto a sacrificare principi e valori, che non è in grado di opporsi ai voleri del capo, che è costretto a chinare la testa.
Le motivazioni tecniche dietro le quali si nasconde il Governo per giustificare il voto di fiducia non convincono, così come non ci convince chi sostiene che, in fondo, anche nella passata legislatura, il ricorso alla questione di fiducia era frequente.
È vero che, a forza di dire bugie, alla fine si comincia a credere anche a quelle, ma non commettete l'errore di pensare che gli italiani si siano bevuti queste storielle: da un lato, perché il decreto-legge scadeva il 27 febbraio e, quindi, c'era tutto il tempo per convertirlo in legge; dall'altro, perché i Governi di centrosinistra potevano contare su pochissimi voti di differenza, mentre oggi, qui alla Camera, voi disponete di 100 deputati in più.
La verità è un'altra, cari colleghi. La verità è che avete paura di voi stessi. Non c'è male, quindi, come esito della verifica.
La questione di fiducia non è un segno di forza, è un segno di debolezza per la maggioranza e per il Governo. Allo stesso modo, la conclusione di questa verifica infinita, non è altro che la fotografia dello stato di salute di una maggioranza la cui unica ragione di esistenza è rappresentata dallo stato di necessità, da motivi di sopravvivenza.
Onorevoli colleghi, questa verifica infinita non poteva che concludersi così come si sta concludendo, perché manca l'oggetto dell'accordo, manca cioè la condivisione di un progetto politico, di una comune visione dell'Italia e del suo futuro.
ALBERTO FLUVI. Con questo vostro procedere state rendendo evidente al paese che ormai contano soltanto gli interessi del premier; quelli del paese e degli italiani vengono dopo. È tuttavia un «dopo» che non arriva mai e la verità è che non siete più in sintonia con il paese reale, con il paese che lavora, che fa la spesa e che utilizza i servizi.
Non riuscite a comprendere che l'Italia ha bisogno di una guida autorevole dell'economia e non solo. Questo è un problema per il paese (è un paese appesantito dal rallentamento dell'economia) e per milioni di persone, uomini, donne e famiglie, che non riescono a far quadrare i conti. È un problema per un sistema produttivo che è costretto a contare solo sulle proprie forze per stare sul mercato internazionale.
L'Italia è, infine, un paese che è sottoposto a continui strappi istituzionali: siamo davanti ad un esecutivo che manda segnali devastanti, che fomenta lo scontro anche con le autorità di garanzia costituzionali e che impone forzature anche quando sono in gioco beni importanti, come la libertà di informazione.
Non ritorno sulle considerazioni che ho svolto nei precedenti interventi, e che altri colleghi hanno sviluppato, sul nesso fra libertà di informazione e democrazia, sul conflitto di interessi che è in capo al Presidente del Consiglio, sul fatto che l'unico messaggio alle Camere inviato dal Presidente della Repubblica riguarda proprio la libertà di informazione, e sul rinvio alle Camere della proposta di legge Gasparri.
Vorrei soffermarmi brevemente su una concezione che, a mio avviso, è molto particolare: quella che Berlusconi ha sulla libertà. Berlusconi, l'abbiamo sentito anche in questi giorni alla radio, ha una concezione privatistica della libertà. Pensa soprattutto alla sua libertà e a quella della propria azienda di agire indisturbata sul mercato.
Conoscete meglio di me, cari colleghi, il percorso del Berlusconi imprenditore, dell'imprenditore, come ama definirsi, che si è «fatto da sé», con le proprie mani. Ma, il suo, lo sapete, è un percorso costellato di decreti-legge.
I più anziani in quest'aula ricorderanno i primi provvedimenti d'urgenza per le frequenze - erano gli anni ottanta - e, come vedete, con il trascorrere degli anni, la storia si ripete.
Tuttavia, oggi assistiamo ad un salto di qualità: si cerca di piegare l'attività del Parlamento agli interessi personali del Presidente del Consiglio. Tuttavia, gli interessi personali del premier riguardano un tema, quello dell'informazione, la cui libertà è fondamentale per qualificare ogni democrazia. Non solo: si pone la questione di fiducia su un decreto-legge che porterà nelle casse del premier 163 milioni di euro. Ieri l'altro, dopo la posizione della questione di fiducia, il titolo Mediaset è cresciuto di 3 punti percentuali sui mercati finanziari. E allora: altro che conflitto di interessi! Potremmo spingerci molto più avanti e verrebbe quasi da pensare che si sono già rastrellate le risorse per la prossima campagna elettorale.
In tutto questo, e mi avvio alla conclusione, stupisce la subalternità. Mi domando: è una subalternità solo culturale di molte forze politiche di questa maggioranza?
C'è chi ha aperto la verifica chiedendo un ridimensionamento dell'asse Tremonti-Bossi e chiedendo una maggiore collegialità. Ci si appresta a chiuderla con un voto di fiducia e con l'approvazione di un provvedimento impresentabile.
A costoro, mi permetto sommessamente di dire: se non avete la stoffa o, se non avete le physique du rôle, evitate perlomeno di avventurarvi lungo una strada che non siete in grado di percorrere.
Rimangono due percorsi, due scelte, ma fate in fretta, non avete più tempo: o vi è un sussulto di orgoglio, o sarete destinati a rovinare insieme a Berlusconi ed al suo Governo. Sì, perché tale, a mio avviso, è il destino di questa esperienza di Governo che verrà sanzionato con il voto degli italiani il prossimo 13 giugno (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dameri. Ne ha facoltà.
SILVANA DAMERI. Signor Presidente, ieri sera, Emilio Fede, al suo telegiornale, ha messo in scena un nuovo patetico teatrino del vittimismo contro le opposizioni cattive che lo vogliono oscurare. Con un capovolgimento di centottanta gradi della realtà e con un inconsapevole sprezzo del ridicolo, ha tentato di imputare al centrosinistra l'eccessiva attenzione dedicata alle problematiche del sistema informativo, alla legge Gasparri ed al decreto-legge in esame, rispetto ai problemi reali dei cittadini, come pensioni, carovita, lavoro. Fantastico, veramente fantastico! È un salto mortale triplo carpiato della realtà talmente pacchiano e clamoroso da sfidare la dotta e copiosa elaborazione dell'onorevole Bondi nei suoi trattati sulla menzogna. Povero, tenero Fede!
Il Governo, per evitare il confronto e sfuggire ad imbarazzanti argomenti ed alle sostanziose argomentazioni prodotte in particolare dai colleghi Rognoni e Giulietti sul riassetto del sistema televisivo, ha posto la fiducia sul decreto-legge in esame. La fiducia - recitava, guarda un po', un refrain di un messaggio pubblicitario - è una cosa seria che si dà alle cose serie. Ciò è anche nel senso comune della gente. Nella vita istituzionale la fiducia è uno strumento disponibile per il Governo che si giustifica di fronte a scelte di rilievo nazionale, di interesse generale. La fiducia è, peraltro, uno strumento istituzionalmente delicato e sensibile. Voi ne fate abuso, una sorta di overdose, e ne snaturate il senso e la funzione. Piegate tale strumento delicato e sensibile delle istituzioni agli interessi di un singolo imprenditore, l'imprenditore-Presidente, con una sorta di estremismo proprietario.
Nell'immediato, come ha detto prima di me il collega Fluvi, ciò tutela 163 milioni di euro di introiti pubblicitari a rischio per il Presidente imprenditore. La realtà evolve rapidamente, ed oggi si è innescato un processo che vede contestualmente una serie di fattori in movimento. I problemi del paese si fanno sempre più acuti e seri e poco fa l'informazione data dal collega Cialente sulla situazione de L'Aquila ci ha richiamato a tale dato della realtà. Si tratta di problemi gravi e seri dell'occupazione che stanno esplodendo in tutti i settori della vita economica del nostro paese, nei servizi, nell'industria, per non parlare dei problemi che riguardano il costo della vita.
Dunque, innanzitutto vi sono i dati di una realtà in sommovimento ed in tensione da un punto di vista economico e sociale. In secondo luogo, la maggioranza della Casa delle libertà e l'azione del Governo è sempre più annaspante, senza una bussola. In terzo luogo, il conflitto di interessi del premier si manifesta con una tale forza e violenza da non poter più essere nascosto, non basterebbe neanche un burka dei talebani!
A ciò, il Presidente proprietario sta reagendo in questi giorni con una escalation violenta, con una raffica di esternazioni ormai chiaramente imbarazzanti per le personalità serie della sua stessa maggioranza, con una paranoica rappresentazione della realtà, con attacchi alla Corte costituzionale di cui - è evidente - non ha
capito l'alta funzione. Si avverte uno sconcerto crescente anche nelle fila della maggioranza. Come potrebbe non essere così quando, giustificando ed incitando di fatto all'evasione fiscale, si sollecitano propriamente e testualmente gli istinti primordiali?
Infatti, Berlusconi, proprio ieri - credo alla trasmissione radiofonica Radio Anch'io - ha parlato candidamente di diritto naturale, ignorando ed oscurando quel contratto sociale, quel patto tra cittadini e Stato, proprio di qualunque elementare consesso civile. Davvero viviamo in tempi difficili e preoccupanti!
Il nostro «no» a questo provvedimento rappresenta, dunque, una battaglia di libertà, di rispetto reciproco fra di noi e soprattutto nei confronti dei cittadini, che hanno il diritto di essere uguali davanti alla legge, ed è una battaglia per porre fine a questo stato di cose.
Come è stato già ricordato da altri colleghi, Berlusconi si candida alle elezioni europee. Questo forse vuol dire che la situazione per il Governo è davvero brutta. Lui che è un uomo pratico, un uomo concreto - perché di questo bisogna certamente dargli atto -, lo ha detto nell'ultimo rabberciato vertice della Casa delle libertà sul tema della verifica (che cosa poi sia stata questa verifica, sfido chiunque a trovare un cittadino normale che abbia capito qualcosa, perché essa è stata totalmente incomprensibile, ma d'altronde perfettamente funzionale ad una politica che, appunto, non ha impostato la propria fisionomia sulla comprensione, sulla chiarezza e sui problemi concreti). Ebbene, se Berlusconi si candida alle elezioni europee, allora vuol dire che è davvero brutta la situazione per il Governo (lui, pratico e concreto com'è!). Vuol dire che i sondaggi segnalano davvero l'allarme rosso e a questo punto lui, che si considera - se posso citare un film di Kubrick, Il dottor Stranamore - l'arma «Fine del mondo», scende nuovamente in campo. Ma, guardate, si candida - questo dovrebbe creare (e forse crea) qualche inquietudine anche negli alleati di maggioranza e di Governo - per il suo partito e non per la sua coalizione, perché non è in grado di farlo, perché quella coalizione (checché ne dica la verifica, su che cosa non si sa bene, conclusa o non conclusa), senza alcun progetto per il paese, senza un collante politico forte e reale, è sempre più, come dicevo prima, allo sbando.
Ci sarà una paura crescente nei prossimi mesi tra le fila della Casa delle libertà e il Presidente del consiglio. Quindi, ci dobbiamo aspettare un ulteriore accendersi di fuochi, un ulteriore salire della tensione e della rissa; quella rissa che vuole il premier, perché in questa si trova a suo agio. Ma noi, che abbiamo fiducia nei cittadini, pensiamo che forse nella previsione debba entrare (ed entrerà, perché non è azzardato pensare che possa entrare) l'emergere di un segnale inequivoco, che riporti il paese alla normalità, che lo riporti ad essere un paese serio e ad avere un Governo serio, che ci faccia rispettare nel mondo e che ci aiuti davvero a risolvere e a mettere all'ordine del giorno non i problemi del signor Silvio Berlusconi, ma quelli dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mancini. Ne ha facoltà.
GIACOMO MANCINI. Come abbiamo ripetuto tante volte in questi giorni, il nostro gruppo voterà contro questo provvedimento. Il nostro voto sarà accompagnato da un sentimento di profonda amarezza, perché, ancora una volta, l'ennesima volta, il Parlamento è bloccato dalla discussione su un provvedimento che riguarda la sfera economica e personale del Presidente del Consiglio. Come ormai hanno capito bene tutti gli italiani, purtroppo questo è un fatto che si ripete dall'inizio di questa legislatura. Vi è stata una lunga sequenza di lavori e di approvazioni di leggi ad hoc: prima la legge Cirami, poi quella sul rientro dei capitali dall'estero, poi quella sulla revisione e la modifica del reato di falso in bilancio e, a seguire, il cosiddetto lodo Schifani e i
provvedimenti che hanno in qualche modo agevolato la chiusura di alcune squadre di calcio.
Non c'è dubbio che, in questi primi 28 mesi di legislatura, il Capo del Governo abbia tratto un vantaggio personale e patrimoniale dagli atti del suo Governo.
Con la legislazione varata dal Parlamento e grazie all'agenda imposta dalla maggioranza, il Presidente del Consiglio ha tutelato i suoi interessi, senza però aver risolto in alcun modo il conflitto di interessi, anche se, all'inizio di questa legislatura, o, meglio, durante il corso della campagna elettorale, aveva promesso di farlo nei primi cento giorni di attività del suo Governo.
Sono trascorsi 28 mesi e ancora niente è stato fatto per risolvere il problema del conflitto di interessi e, cosa ancora più grave, per risolvere i problemi che vivono quotidianamente tutti gli italiani.
Questo comportamento, quest'azione, infatti, sarebbe grave e preoccupante in un momento normale; oggi, diventa imperdonabile, perché il paese sta vivendo un periodo, purtroppo lungo, di grave crisi; una crisi inquietante, in qualche modo, irreversibile, nei confronti della quale il Governo non interviene e non cerca in alcun modo di dare soluzioni alle grandi questioni che affliggono gli italiani e tutte le categorie del nostro paese.
L'Italia, infatti, ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Questo è il problema che affligge il paese reale: i prezzi aumentano ed il potere di acquisto della nostra moneta, dei salari e degli stipendi, diminuisce. Le categorie sociali, che reggono sulle loro spalle, con la loro attività, l'economia del nostro paese (penso ai docenti delle scuole, a quelli delle università, ai medici ed ai paramedici che operano negli ospedali, ai magistrati, ma anche al personale delle cancellerie e, agli operatori del trasporto pubblico) protestano ogni giorno come mai hanno fatto. Probabilmente, per la prima volta, fanno sentire forte la loro voce ed il loro moto di avversione per la situazione che, purtroppo, quotidianamente, vivono, e che vivono tutti gli italiani.
Purtroppo, nel nostro paese, una grande fetta di opinione pubblica, rappresentata da quelle categorie produttive citate precedentemente, parrebbe abbiano perso quella fiducia, tante volte evocata a ragione dal Presidente della Repubblica, che, oggi più che mai, è indispensabile per il paese, affinché esso possa competere e per vincere le nuove sfide e per conquistare le nuove frontiere rappresentate da una nuova Europa che si sta organizzando; dal 1o maggio 2004, essa si completerà, si presenterà più larga e con maggiori opportunità, ma anche con maggiori rischi che devono essere governati.
In questa situazione, un Governo serio e responsabile sarebbe dovuto intervenire. Un Governo serio dovrebbe in qualche modo esplicare, in maniera forte e convinta, un'azione riformatrice, quell'azione di cui tanto si parla, ma di cui gli italiani non hanno in alcun modo percepito gli effetti.
Le riforme, signor Presidente, non si annunziano sui giornali o nei salotti televisivi, ma si attuano con provvedimenti seri, precisi e puntuali da parte di un Governo serio e responsabile.
Invece, da 28 mesi a questa parte, assistiamo al nulla: nulla per intervenire sull'aumento del costo della vita, nulla per migliorare la formazione, per puntare sull'istruzione e per agevolare il mondo universitario, nulla per impedire il cattivo funzionamento della giustizia, nulla per contare di più e meglio in Europa, nulla per rilanciare il Mezzogiorno e le sue tante aspirazioni.
Dunque, il bilancio di questi 28 mesi di Governo della destra appare pieno di parole, di sorrisi - alcuni, fino a dicembre, veri e, oggi, in qualche modo fatti e rifatti -, di teatrini, di verifiche, di polemiche, di litigi, ma di pochissimi fatti.
Probabilmente, qualche fatto vi è stato: il Governo sarà ricordato per l'approvazione della patente a punti e - come suggerisce un autorevole esponente della destra - anche per il rientro dei Savoia in Italia. Saranno questi i temi che, nel corso della campagna elettorale, la destra presenterà agli elettori. A questi successi il
Governo potrà, probabilmente nella giornata di domani, sommare anche l'approvazione del salvataggio di Retequattro.
Con questa bella dote, la destra si presenterà gli italiani, recandosi nelle piazze, riempiendo i cinema, parlando agli italiani del nord, del centro e del sud, un sud che aspetta ancora che quelle tante promesse, recitate durante la campagna elettorale del 2001, siano attuate e diventino realtà. Di ciò ancora non vi è traccia, mentre si è in presenza di un provvedimento varato da questo Governo nell'interesse di pochi, di un testo proposto prima all'attenzione del Consiglio dei ministri e poi del Parlamento da un ministro che, spesse volte, si bea di essere stato eletto in Calabria, compiacendosi di essere l'unico rappresentante del Governo espressione di tale regione. La Calabria - la mia regione - sta ancora aspettando un solo provvedimento che la riguardi.
Sono questi i risultati che il Governo presenterà nella prossima campagna elettorale e, per tale motivo, critichiamo fortemente l'attività dell'esecutivo ed esprimiamo un voto contrario sul presente provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pinotti. Ne ha facoltà.
ROBERTA PINOTTI. Signor Presidente, credo che, in questi giorni, molti cittadini si siano chiesti come mai l'opposizione abbia scelto di svolgere questa lunga ed importante battaglia - è da martedì che siamo in Parlamento a spiegare le nostre ragioni -, per dare un forte segnale sul decreto-legge in esame.
A tal proposito, vorrei citare un collega - l'onorevole Vigni - che, con afflato quasi politico, ricordava una citazione di Galileo il quale, guardando la volta celeste, affermava: cose mai viste! Vorrei dire ai cittadini che stiamo svolgendo questa lunga battaglia perché, in questo Parlamento, non vediamo le meraviglie viste da Galileo, ma cose mai viste.
Innanzitutto, stiamo discutendo di un decreto-legge che pone al centro la salvaguardia degli interessi economici del Presidente del Consiglio dei ministri, valutabili in 20 milioni di euro al mese, 240 milioni di euro all'anno, e così via potremmo vedere quanti euro al giorno (o per più anni), non dimenticando infine che, con la posizione della questione di fiducia, il titolo Mediaset ha immediatamente guadagnato in Borsa tre punti percentuali.
Ma questi interessi economici sono anche legati alla seconda cosa mai vista che aleggia in questo Parlamento dal momento delle elezioni politiche, e che ancora continua a persistere: il problema del conflitto di interessi. In ordine a questo problema, che doveva essere risolto nell'arco di cento giorni, dopo due anni e mezzo, circa mille giorni, non si prospetta ancora alcuna soluzione, anzi continuiamo ad esaminare provvedimenti che investono proprio questo problema, perché riguardano questioni che interessano direttamente aziende di proprietà del Presidente del Consiglio.
C'è anche un ulteriore elemento - mai visto - che ci preoccupa particolarmente e per il quale noi siamo qui, giorno e notte, a far valere le nostre ragioni. Mi riferisco al fatto che il decreto-legge al nostro esame si collega non solo teoricamente, ma anche fattivamente, alla legge Gasparri, la cui discussione si è interrotta, e noi sappiamo anche il perché. Che cosa troviamo in questa legge Gasparri? Troviamo che uno dei cardini della democrazia, il pluralismo dell'informazione, è, di fatto, messo fortemente a rischio e ciò, come è noto, rappresenta anche il motivo per il quale il Presidente della Repubblica l'ha rinviata alle Camere. Il decreto-legge al nostro esame rappresenta un'appendice di quella legge perché, se la legge Gasparri fosse stata approvata nei tempi previsti, come voleva fortemente il Governo, noi non staremmo oggi a discutere di questo provvedimento dato che in quella legge sarebbe stata prevista la soluzione che ora si intende adottare con questo decreto-legge. Era il Governo, quindi, a voler fortemente l'approvazione di questa legge
Gasparri e non la maggioranza perché, come sappiamo, con il voto segreto, questa maggioranza non ha tenuto e non tiene. Evidentemente, i dissensi e i messaggi trasversali, in ordine a questo rischio, lanciati in tempo di verifica facevano ritenere che non soltanto l'opposizione, ma anche una parte consistente della maggioranza non avrebbe votato quella legge.
Veniamo ora all'altro motivo di grande imbarazzo, per la maggioranza, e di grande indignazione, per noi; mi riferisco al fatto che fra le cose mai viste c'è anche questo problema delle regole che sono costantemente infrante. Difatti, si decide non soltanto di utilizzare la decretazione d'urgenza, di cui si abusa, ma anche di porre la questione di fiducia su questo decreto-legge che scade il 27 febbraio. Al riguardo, in tutte le interviste televisive, esponenti autorevoli della maggioranza hanno sostenuto che questo Governo ha fatto finora un uso molto parco dello strumento della questione di fiducia, se confrontato all'uso che ne ha fatto il Governo Prodi il quale, a loro parere, lo ha utilizzato molto di più. A questo proposito, molti colleghi hanno ricordato che la differenza, in termini di voti, tra il Governo di allora e quello attuale era ben diversa; non c'erano, infatti, i cento parlamentari di differenza di cui gode oggi questa maggioranza; inoltre, il Governo Prodi si è trovato ad avere in scadenza oltre settanta decreti-legge e lì, sì, per un fatto tecnico, ha dovuto porre la questione di fiducia perché altrimenti sarebbero sorti dei problemi. Oggi, invece, non ci troviamo di fronte ad un voto di fiducia richiesto per un fatto tecnico - non raccontiamo questa storia agli italiani - ma siamo di fronte ad un voto di fiducia chiesto per motivi politici perché, di fatto, c'è una maggioranza che non regge più. Pertanto, non è che non ci si fida dell'opposizione, che facendo il suo mestiere avrebbe votato contro, ma non ci si fida della propria maggioranza; conseguentemente, la questione di fiducia è stata posta proprio per questo motivo.
Tuttavia, di questo passo non andiamo avanti, dal punto di vista della democrazia: non andiamo avanti sul conflitto di interessi, non andiamo avanti sul pluralismo, di cui si tenta di negare l'esigenza, non andiamo avanti neppure per quanto concerne il rispetto del Parlamento. Infatti, il Parlamento è stato svuotato in modo preoccupante in occasione dell'esame della legge finanziaria, che è il provvedimento di maggiore importanza sottoposto ad esso, ed anche in occasione dell'emanazione dei decreti attuativi della riforma Moratti c'è stato uno «scippo» delle prerogative parlamentari. Oggi, si è ricorsi al voto di fiducia sulla conversione del decreto-legge in esame.
Non si può dunque parlare di «fatti tecnici». Si tratta invece di una concezione della democrazia e del ruolo del Parlamento basata sull'esigenza di andare avanti comunque, a prescindere da libere discussioni che potrebbero effettivamente apportare miglioramenti alle decisioni che debbono essere assunte.
In questi giorni, ho ascoltato numerosi interventi, e ciò che mi ha colpito profondamente è il fatto che in tutti gli interventi, insieme con il tema oggetto del decreto-legge, si è parlato molto del paese reale. Utilizzo tale espressione, forse abusata, perché esso si contrappone effettivamente alla realtà virtuale che viene spesso messa in onda dalle televisioni. Numerosi colleghi hanno parlato dei mali, delle sofferenze, dei problemi, delle difficoltà di questo paese reale. A fronte delle dichiarazioni rilasciate a Porta a porta secondo le quali tutto va bene e il problema è soltanto quello di imparare a fare la spesa, vi sono persone, donne e uomini che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese!
Si parla spesso dei bambini: i bambini crescono, una delle cose che costano di più sono le scarpe, e conosco famiglie preoccupate del fatto che i piedini dei loro bambini crescono in fretta e che debbono cambiare le scarpe, perché non sono in grado di acquistarne più di un paio per ciascuna stagione! Vi sono famiglie che hanno una figlia adolescente che ogni tanto vuole andare a mangiare una pizza con la sua classe: ebbene, alcune di queste famiglie, per dare i soldi alla figlia per
andare a mangiare una pizza con la sua classe, decidono di mangiare il caffelatte per cena, perché non hanno denaro per mangiare altro! C'è chi ha deciso di non usare più l'automobile, perché non ha più i soldi per la benzina! C'è chi non programma più le vacanze e si accontenta di qualche gita fuori porta, perché i soldi non ci sono più!
È questo il paese che abbiamo di fronte, e ci stiamo avvicinando a una situazione nella quale, per la prima volta, non si spera più di migliorare: i padri e le madri di oggi hanno difficoltà ad immaginare per i propri figli un futuro migliore di quello che hanno vissuto e fanno fatica a gestire una quotidianità di preoccupazione!
Tali considerazioni non sono affatto estranee all'oggetto della discussione, perché in Parlamento vorremmo parlare di più di come risolvere tali problemi, e invece il Parlamento è stato costantemente tenuto occupato per risolvere i problemi specifici del Presidente del Consiglio: il tempo maggiore è stato dedicato alla legge Cirami e alla legge Gasparri.
Con la nostra protesta ci opponiamo al decreto-legge in esame, ma facciamo anche entrare in questo Parlamento i problemi dei cittadini e delle cittadine, per risolvere i quali si dovrebbe governare e che invece vengono costantemente dimenticati (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Chianale. Ne ha facoltà.
MAURO CHIANALE. Signor Presidente, quel che sta accadendo era inevitabile, non era prevedibile null'altro di diverso. Come un sol uomo, tutti scatterete sull'attenti per votare la conversione di questo decreto. Dopo gli inconvenienti subìti dalla legge Gasparri e il ritiro non proprio ardimentoso del provvedimento, avete detto che l'adozione di un decreto-legge non può essere considerata un atto di arroganza. Come si può infatti non difendere «lui», l'imprenditore, il beneficator, il perseguitato da quell'assurda frattaglia di fantasia stalinista che è il pluralismo? Quello che sta per accadere vi vede schierati in soccorso all'investitore, ovvero Mediaset e Retequattro, mentre l'investita, ovvero la vittima, la legalità, soccombe dissanguata sul selciato.
Il disegno di legge di conversione del decreto legge è pronto per essere votato. Lo si vota con i presupposti e secondo i dettati della nostra Carta fondamentale, la necessità e l'urgenza. Infatti, è necessario salvare il tesoro di famiglia, è urgente farlo ed è stato urgente farlo prima del 31 dicembre. Certamente, sono in causa almeno 20 milioni di euro al mese - lo ricordavano il collega Duca e la collega Pinotti - vale a dire 240 milioni di euro all'anno per le casse di Mediaset. Il decreto-legge in esame, approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri e da lui firmato produce l'equivalente di 1300 milioni di lire al giorno all'imprenditore Presidente del Consiglio. Non solo. Una delle reti Mediaset avrebbe dovuto trasferire le proprie trasmissioni sul satellite e liberare, in questo modo, le frequenze, occupate illegalmente, a beneficio del nuovo operatore denominato Europa 7, che ha vinto la gara. Dunque, Europa 7 avrebbe potuto iniziare a trasmettere proprio in forza della vittoria di una gara svolta e vinta.
È così giustificato un atteggiamento così ardito e determinato su un tema come quello relativo al pluralismo, ai suoi assetti di struttura e di funzionalità. Con questo sbaglio, costruite una pregiudiziale sia al pluralismo sia alla concorrenza, quella concorrenza che è fondamento del pluralismo. Dove sono gli epigoni del libero mercato che stanno tra di voi? La vostra tanto declamata libertà senza barriere, ora come non mai, dovrebbe scendere in campo, dovrebbe essere il presupposto del mercato televisivo, secondo i principi liberali che evocate.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato vi ha detto che bisogna tutelare il pluralismo informativo. Questo può avvenire attraverso gli strumenti di tutela
della concorrenza. Con la concentrazione si impedisce la possibilità di espressione dei pareri e di opinioni plurali. Questo sacro principio etico ed economico le imprese europee e quelle italiane non lo disconoscono, anzi, sono molto consapevoli dell'importanza del pluralismo. Le imprese riconoscono l'attenzione rispetto al contenuto di un provvedimento che è sostanzialmente importante, nel declinare valori costituzionalmente tutelati quali la libertà di espressione del proprio pensiero con lo scritto, parole o altri mezzi di espressione. Regolare l'assetto e la conformazione del nostro sistema radiotelevisivo dovrebbe significare scrivere regole e procedure che rivestano un significato rilevante di democrazia plurale. Le regole generali sono a fondamento di una democrazia moderna, anche in campo economico. Tutti noi ci interroghiamo su come questo vostro decreto-legge affronti i nodi della concorrenza, le regole antitrust e la tutela della libera opinione politica. La risposta - la conoscete anche voi - è che questo provvedimento contrasta con il dettato costituzionale. Il tasso di concentrazione è un elemento che lede le condizioni di gioco della democrazia. Questo decreto-legge decide di cambiare la definizione di rete a copertura nazionale. La legge attualmente in vigore definisce rete nazionale quella che copre l'80 per cento del territorio, ossia il 90 per cento della popolazione. Che cosa prevede il decreto? Modifica ad arte la percentuale, definendo nazionale una rete che copre il 50 per cento ovvero il 20 per cento del territorio del paese.
Il pluralismo è virtuale e teorico, è il vostro concetto di pluralismo particolare, il pluralismo inteso come plusvalenza delle azioni Mediaset, come plusvalore alle originali idee liberiste che si sono perse, chissà dove, in questo provvedimento. Il decreto-legge dice, inoltre, che la misura di modifica deve tenere conto delle tendenze in atto nel mercato. Una misura che, di per sé, è un valore oggettivo: deve tenere conto, appunto, della tendenza. Se il futuro è della televisione digitale, perché occorre misurare la copertura se poi si deve tenere conto delle tendenze in atto sul mercato?
Una volta era il gruppo Fininvest ad invocare il pluralismo per farsi spazio nel mercato televisivo. Oggi che di spazi ne ha fin troppi, compresi quelli pubblici, preferisce l'involuzione. Questo decreto-legge si segnala per il suo nucleo centrale, quello di assicurare il mantenimento dell'assetto radiotelevisivo attuale anziché provvedere a introdurre una normativa idonea a consentire l'ingresso di nuovi soggetti. Gli editori, per bocca della FIEG e del presidente della federazione editori, Luca Cordero di Montezemolo, hanno sparato a zero su questo decreto. Esso diverrà un caso di scuola sul conflitto di interessi, e diverrà materia di studio il modo in cui la democrazia possa soccombere con questa legge.
Il Governo è presieduto da un imprenditore oligopolista nel campo radiotelevisivo e con questo provvedimento si eleva a una dignità di crisma legislativo il conflitto di interessi. Certamente è apprezzabile che agli italiani, i quali aspettano di comprare il decoder a prezzi accessibili, voi vi preoccupiate di dare una risposta. Quando prima della rivoluzione francese tutta la nobiltà viveva nella edulcorata Versailles ed era convinta che il mondo vero fosse quello - il mondo virtuale che voi immaginate è solo quello che conoscete, quello dei decoder per capirci -, quel mondo dorato rispondeva per voce di Maria Antonietta alla disperazione del popolo che chiedeva pane - pane non ce n'era - e la risposta «dategli delle brioches» è nota a tutti. Agli italiani che chiedono lavoro, sostegno alla politica della casa e della famiglia, sicurezza per il futuro, più sanità e più assistenza, voi offrite i decoder a prezzi agevolati!
Il tanto peggio, tanto meglio non è nella nostra cultura, anche perché ogni vostra azione - anzi, ogni vostra non azione - sui temi economici, sul carovita, sulle crisi industriali si ripercuote sugli italiani che pagano duramente le vostre inettitudini. Chi non arriva a fine mese senza stipendio, come i dipendenti dello stabilimento
Finmek della mia città, di cui sono sindaco, i quali da due mesi non hanno stipendio, non pensa all'acquisto del decoder TV. Tutti i 500 dipendenti hanno paura di perdere il lavoro e che chiuda lo stabilimento. Vorrebbero essere rassicurati, magari ascoltando anche il Governo e che in quest'aula ci fosse una discussione sui temi del lavoro e della crisi industriale che affligge questo paese. La propaganda che mettete in atto non convince più nessuno e se pensate di approvare questo decreto-legge perché costruendo una gabbia mediatica potrete continuare a dire che va tutto bene, sappiate che alcune di quelle persone che hanno creduto in voi sono disilluse e amareggiate. Se il vostro obiettivo è di far apparire quello che non è, allora sappiate che dovrete chiudervi, barricandovi nella vostra Versailles mediatica e aspettate i risultati: la storia si ripete e l'epilogo lo conoscete. Se volete giocarvi la testa fatelo, non chi tra voi ragiona con la propria testa, le persone perbene che sono tra di voi, che solo con il voto segreto possono alzarla, quella testa, per sottrarla al giudizio che la farà cadere definitivamente, certo con il conforto della fede, di Fede. In ogni caso, pensateci e non approvate questo decreto-legge: salverete la testa e, ciò che conta di più, quello che ci sta dentro (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Albonetti. Ne ha facoltà.
GABRIELE ALBONETTI. Signor Presidente, quello che abbiamo di fronte è un paese disorientato, attraversato da inquietudini profonde e diffuse, con le preoccupazioni verso il futuro proprio e dei propri figli che ormai accompagnano la vita quotidiana di molti milioni di persone e di cittadini. Ci sono i poveri che sono ormai sempre di più, quelli che ormai vedono scemare la loro capacità di acquistare e di consumare, ma ci sono anche ampie fasce di ceti medi, quelli che una volta si chiamavano benestanti, che non stanno bene affatto, lavoratori, consumatori, risparmiatori, utenti e operatori dei grandi servizi pubblici, insegnanti e genitori della scuola su cui si abbatte la scure del ministro Moratti, medici e operatori sanitari del Servizio sanitario nazionale, operai e tecnici di decine di grandi e piccole imprese, decine e centinaia di vicende e di fatti e milioni di persone che prendono l'iniziativa, che contribuiscono a comporre un quadro del paese e delle sue mille facce che parla di una situazione di grande preoccupazione, di rischio di declino in molti settori industriali, di calo dei consumi, di fuga del risparmio dagli investimenti produttivi. Le prospettive dello sviluppo e della crescita sono oscure e la coesione sociale si frantuma e si incrina, la competitività complessiva dell'Italia sta cedendo e facendoci progressivamente scivolare verso posizioni sempre più basse. Questo paese è in crisi di fiducia, dove la speranza e lo sguardo sul futuro sono una risorsa scarsa: chiede alla politica e, prima di tutto, a chi ha la responsabilità di governare, orientare e guidare il paese risposte forti, serie e determinate. Chiede una sterzata, una inversione di rotta, atti e fatti concreti che non siano propaganda e demagogia come l'invito alle massaie a scrivere negli uffici postali i nomi dei commercianti e dei prodotti che hanno i prezzi più bassi o la tardiva minaccia di Tremonti di una farisaica severità verso chi rincara eccessivamente i prezzi.
È un invito alla delazione, una caccia alle streghe, uno scaricabarile, da un lato sull'Europa, dall'altro sui Governi del secolo scorso. Queste sembrano essere le uniche risposte che questo Governo sa dare: chiacchiere, lifting, edulcorazioni della realtà, promesse e ancora promesse. Atti concreti: nessuno.
Ma forse mi sbaglio. Mentre sta succedendo tutto questo - se questo è il quadro, come io credo, dell'inverno del nostro scontento -, il Governo viene qui e compie un atto di grande determinazione: batte il pugno sul tavolo del Parlamento e pone la questione di fiducia su un decreto-legge. Bene, una persona normale pensa: capperi, sarà un provvedimento di così
vasta importanza da prendersi cura ed incominciare ad affrontare i guai del paese e il Governo, che non si fida più tanto della sua maggioranza, non vuole correre rischi, perché ha a cuore il bene del paese. Ebbene, chi pensa questo è certamente una persona di buon senso, ma si sbaglia. Il Governo ha posto la questione di fiducia sul decreto-legge che salva una parte importante dell'azienda del Presidente del Consiglio, regala in un botto al suo capo e padrone quasi 300 miliardi di vecchie lire, e non vuole correre rischi, perché non si sa mai che vi sia qualcuno degli oltre cento parlamentari - che è il vantaggio di cui gode la maggioranza in quest'aula - che abbia il mal di pancia, che caso mai pensi alle disgrazie e ai guai dei cittadini del suo collegio e del suo territorio, a cui venga in mente che è qui a rappresentare il paese e non a servire gli interessi particolari di qualcuno. Non si sa mai, meglio blindare il provvedimento.
Ebbene, noi vi teniamo qui da tre giorni, inchiodati a questi banchi, non per il gusto di un ostruzionismo postumo, ostruzionismo che non avremmo fatto se aveste accettato di discutere gli emendamenti di merito che avevamo presentato. Noi vi teniamo qui, inchiodati a questi banchi, come atto politico, per segnalare al paese la gravità di quanto sta accadendo, per ricordare a voi, cari colleghi della maggioranza, che il paese, anche quelli che vi hanno votato, vi chiede ben altro. Dirò «ci chiede», perché sento tutta la responsabilità che ha anche l'opposizione in questo momento: vi chiede e ci chiede di dargli fiducia e speranza. Ma l'unica fiducia che voi riuscite ad attivare è una fredda procedura di tecnica parlamentare di cui state abusando.
Per questo noi diremo «no» a questo decreto-legge, «no» alla protervia dei voti di fiducia, «no» a questo modo di farvi gli affari vostri. E diciamo al paese, ai cittadini e all'opinione pubblica che l'unico modo per tornare ad avere fiducia nel futuro, per tornare ad avere la speranza, il gusto di vivere, di lavorare, di intraprendere, l'orgoglio di appartenere ad un paese che possa avere una classe dirigente ed un Governo degni di questo nome, a questo punto, è sconfiggervi e mandarvi a casa. Per questo lavoriamo e lavoreremo con tutte le nostre forze (Applausi dei deputati del gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, questo decreto-legge è un paradigma della vostra azione di Governo, della vostra scadentissima azione di Governo. Volevate cambiare il paese e vi siete ridotti a cambiare le regole per difendere il più colossale conflitto di interessi che una democrazia abbia mai conosciuto. Volevate fare una legge di sistema per il settore radiotelevisivo e vi siete ridotti ad approvare un decreto-legge che sistema gli affari del vostro Presidente e questa settimana liquidate una paghetta di 163 milioni di euro, che è il valore della pubblicità per Retequattro nei mesi di proroga che graziosamente concedete.
Avete scritto uno dei testi legislativi peggiori che si potessero immaginare; ma devo darvi atto che, almeno in questo, riuscite sempre a superare voi stessi. Ma proprio per questo e per il fatto che avete deciso di porre la questione di fiducia, impedendo qualsiasi forma di confronto sul merito, abbiamo deciso di presentare i molti ordini del giorno che sono stati oggetto di approfondimento e di discussione in queste ore.
Perché abbiamo compiuto questa scelta? È presto detto: un Parlamento espropriato della propria funzione legislativa, non rassegnandosi all'impotenza, si inventa una funzione «altra»: in questo caso, una funzione pedagogica. Attraverso gli ordini del giorno presentati, infatti, abbiamo cercato di consigliarvi per aiutarvi a non sbagliare. Missione nobile, anche se complicata.
È indubbio, ministro Gasparri, che lei ha deciso di lanciare il guanto della sfida alla Corte costituzionale per battere il
record di incostituzionalità di leggi da lei proposte ed approvate, ed è sicuramente sulla buona strada. Avendola conosciuta nella veste, per lei nuova, di legislatore, non abbiamo dubbi che ce la possa fare a conquistare il record di ministro più incostituzionale della storia della Repubblica. Continui così che sta andando molto bene, signor ministro, anche se questo sarà un triste record per lei e per la Repubblica.
Nonostante questa nostra convinzione, abbiamo comunque deciso di rivolgerci a lei, ministro Gasparri, che è l'esecutore materiale del presente decreto-legge, per segnalarle alcuni vizi che, se corretti, potrebbero rallentare la sua corsa al record, ma almeno restituirebbero una parvenza di legittimità e di legalità al provvedimento al nostro esame. Forse questo decreto-legge potrebbe assomigliare ad una legge parlamentare, e non ad una bolla imperiale, quale esso oggi appare in tutta la sua evidenza.
Lei, ministro Gasparri, e con lei gli ispiratori di questo provvedimento, non avete tenuto conto delle sentenze emesse in materia dalla Corte costituzionale. La sentenza n. 420 del 1994, infatti, prevede che la rete eccedente di Mediaset debba andare sul satellite. La sentenza della Consulta del 1997, di cui non avete tenuto conto, indica le modalità attraverso le quali doveva avvenire il trasferimento sul satellite. La sentenza n. 466 del 2002 ha stabilito che vi debba essere un effettivo arricchimento del pluralismo nell'informazione, e si trattava della sentenza che stabiliva la scadenza invalicabile - che invalicabile, ahimè, non è stata - del 31 dicembre 2003.
Ma lei, ministro Gasparri, e con lei quelli che l'hanno guidata nello scrivere il presente provvedimento, avete ignorato la più importante tra tutte le sentenze emesse dalla Corte costituzionale, la n. 826 del 1988. Al riguardo, credo sia utile svolgere una riflessione, perché ci trovavamo in un'epoca (gli anni ottanta), in cui la Corte non era stata ancora «sovietizzata», come ha ricordato ieri agli italiani, con un'espressione infelicissima, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Nel 1988 la Corte costituzionale ha emesso tale importantissima sentenza, che garantisce la conversione della libertà nel pluralismo, ossia la conversione della garanzia di un diritto inviolabile nella garanzia di un istituto giuridico di libertà. Siamo alla fine degli anni ottanta, una fase in cui il Presidente Berlusconi non aveva benché minimamente l'idea di entrare in politica, ma allora, in quell'anno, la Corte costituzionale, attraverso la citata sentenza, dava pienezza di attuazione all'articolo 21 della Costituzione.
In questa importantissima e fondamentale sentenza, la Consulta stabiliva l'imprescindibile esigenza di un'effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, da difendere contro l'insorgere di posizioni dominanti, o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente un valore fondamentale, come la libertà di espressione, la libertà di parola e la libertà di pensiero, qualunque sia il mezzo con cui viene diffuso. Questa è la pienezza dell'attuazione dell'articolo 21 della Costituzione: 1988! Questo è quanto la Corte costituzionale dettava allora, inverando il principio contenuto in tale articolo!
Vorrei svolgere un'ultima considerazione. Credo, ministro Gasparri, che il Parlamento debba tributarle almeno un ringraziamento.
Infatti, grazie a questo suo provvedimento - utilizzare l'aggettivo «suo» è, forse, esagerato: non abbiamo ben capito chi sia l'autore di questo decreto-legge; lo possiamo immaginare, ma non abbiamo la certezza su chi possa averlo materialmente scritto -, abbiamo svelato il mistero del perché il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi non abbia ancora trovato una sua conclusione sebbene siano passati non cento, ma più di mille giorni dalla fatidica promessa.
Di un fatto non riuscivamo a capacitarci: come mai una compagine di Governo così affettuosa con il suo Presidente deve costringerlo a venir meno ad una promessa fatta agli italiani in campagna elettorale? Adesso, però, l'abbiamo capito.
Perfino il disegno di legge Frattini, raro esempio di inanità legislativa e di impotenza sanzionatoria, la più paradossale ed inutile regolazione del conflitto di interessi che il mondo avrà, forse, modo di conoscere, avrebbe, con l'articolo 3, impedito al Presidente di confezionare questo provvedimento. Perfino il disegno di legge Frattini, con l'articolo 6, avrebbe consentito di applicare una sanzione pecuniaria pari al totale del vantaggio patrimoniale arrecato alle aziende stesse. Noi le dobbiamo un grazie, ministro Gasparri: abbiamo finalmente capito perché la legge sul conflitto di interessi si è persa nel porto delle nebbie del Presidente Pera.
Per concludere, questa nostra maratona oratoria, che può essere apparsa come uno sforzo inutile, ha, invece, un grande significato civile: se non riuscirà a bloccare questo incredibile decreto-legge, avrà avuto il merito di testimoniare, come diceva John Milton, che chi si batte per la libertà di stampa e di pensiero si batte per rivendicare l'autonomia dell'individuo dall'ottusa, stupida conformità cui perennemente aspira il potere. Aspirazione, questa, che più volte, in questo Parlamento, questo Governo e questa maggioranza hanno dimostrato di coltivare.
Credetemi, colleghi della maggioranza, a questa prova di civile consapevolezza - di batterci per un diritto di libertà insopprimibile e fondamentale per una democrazia - ci sottoponiamo anche per quelli, tra voi, che non possono votare, oggi, come intimamente vorrebbero.
Credo che solo per tale motivo, questo Parlamento dovrebbe portare rispetto per quanto è stato fatto nel corso di questi giorni e di queste notti (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pinza. Ne ha facoltà.
ROBERTO PINZA. Signor Presidente, mi spiace che l'onorevole Bressa, peraltro meritoriamente, abbia utilizzato una citazione così nobile come quella tratta da Milton in relazione a quello che è soltanto un mediocre capitolo di un romanzo che si sta scrivendo, oramai, da tre anni. Si tratta di un romanzo che potremmo definire infinito se non fosse che, così facendo, daremmo in qualche modo ragione al Presidente del Consiglio ed a qualche suo corifeo medico che parla addirittura di mortalità (non solo politica, ma anche fisica).
Si tratta di un romanzo infinito che riguarda i tre temi che ossessionano questo Governo, il quale si occupa sempre di televisioni e di giustizia; poi, c'è un altro tema del quale, però, il Governo si occupa per omissione: quello del conflitto di interessi.
Questa sembra la dominante di questa legislatura: un'ossessiva omissione sul tema del conflitto di interessi, pure individuato, sia in campagna elettorale sia nei giorni immediatamente successivi alle elezioni, come qualcosa che sarebbe stato risolto prima delle elezioni o, comunque, al massimo, nei centottanta giorni successivi. Il collega Bressa ricordava, poco fa, che, ormai, siamo a più di mille giorni. Ebbene, di tale tema non v'è più traccia. Si tratta di un'ossessione omissiva.
Vi sono, invece, due ossessioni commissive, come direbbero i penalisti: in tema di televisioni e di giustizia. Sono ossessioni al punto tale che ci stanno portando fuori dal mondo e fuori dalle istituzioni. Sulla giustizia, il mondo - tutto - ha fatto propria l'idea che le regole vanno rispettate, che non esiste una società senza regole, che non esiste un'economia senza regole e neppure il benessere.
Gli americani hanno sbagliato, come noi e come tutti, ma, quando si sono accorti di avere errato, e molto, ad avere abolito le regole ed il loro rispetto, hanno reagito con forza, con durezza: in quattro mesi, sono venute fuori iniziative che hanno ristabilito le regole (e che, forse, peccano anche per eccesso di durezza).
Mentre il mondo reagisce in questo modo, ritrovando ragioni etiche e giuridiche nell'organizzazione della società, questo
Governo, ossessionato dai problemi di alcuni suoi componenti, va esattamente nel senso opposto.
Il nostro Presidente del Consiglio ci ha gratificato di un'assenza (non so di tre o di quattro settimane), a cavallo di Natale. Molti commentatori politici (come si dice) istituzionalmente per bene, si sono preoccupati di sottolineare come questo non avvenga in alcuna parte del mondo, atteso che, in qualunque parte del mondo, ogni uomo politico dà ragione delle proprie assenze, anche di un solo giorno. Il problema non era quello delle assenze; il problema era quello del ritorno. Infatti, non appena tornato, il primo messaggio che ha rivolto agli italiani è stato il seguente: non andate a toccare le regole; non pensate di reintrodurre sanzioni, quand'anche vi siano episodi di criminalità economica, non reintroduciamo sanzioni, perché non le voglio.
Qui, si comincia a scorgere la prima anomalia di un Governo che, non solo è limitato come temi, ma regolarmente prende la strada opposta a quella che sta intraprendendo il resto del mondo.
Sul secondo tema ossessivo, vale a dire quello delle televisioni, ricordo che vi è continuamente il tentativo di aggirare le indicazioni, sia del Presidente della Repubblica sia della Corte costituzionale. La prima reazione al messaggio del Presidente della Repubblica, registrata nell'immediato pomeriggio, fu significativa, come avviene per tutte le reazioni a caldo. La reazione fu: c'è un messaggio del Presidente della Repubblica? Chi l'ha letto?
Quando la Corte costituzionale si è pronunciata con una sentenza molto nitida, la risposta è stata: tutti comunisti!
Questo è il modo di reagire quando vengono affrontati i temi su cui si concentra quest'ossessività politica e personale.
Così - lo dico non soltanto per noi dell'opposizione, ma anche per le tante coscienze, forse sempre vigili (si notava poco, tuttavia, in questi mesi, sicuramente si stanno ridestando in molte componenti della maggioranza) - sono cominciate ad accentuarsi le anomalie del Governo italiano. Insomma, stiamo diventando dei diversi. L'elenco è ormai infinito.
Un Presidente del Consiglio e un inconsapevole ministro dell'economia che non ha la forza morale di parlare del suo fallimento, non sanno più che fare. A giorni alterni, essi colpevolizzano l'euro o affermano che senza l'euro sarebbe stato un disastro. Poi cambiano opinione, con la volubilità tipica di chi non si occupa di alcunché e raccontano che non è colpa dell'euro, ma delle modalità con cui l'euro è stato realizzato. Non si pongono una piccola domanda: perché questi problemi esistono solo in Italia? Perché i francesi, i tedeschi, gli olandesi o i belgi, che hanno utilizzato le nostre stesse modalità non hanno introdotto, in una discussione politica, la questione dell'euro e del cambiamento? Questo è un Governo di diversi. Cerca continuamente una giustificazione a ciò che fa o non fa in riferimento a quello che gli altri paesi considerano ovvio.
Tutte le istituzioni del paese, pubbliche o private, sono attaccate sistematicamente, in uno scontro quasi parossistico. La Corte dei conti, quando dice che Tremonti accentra un eccesso di potere, non dice la verità. Il ministro, anziché - com'è logico, com'è possibile - rispondere sul piano istituzionale, prende sotto braccio il procuratore che parla, dicendogli: come si permette di dire queste cose? Una specie di gestione privata dei rapporti istituzionali. Bene ha detto la Corte? Quello che sappiamo tutti, ossia che c'è un ministro che, pur nella sua incapacità di fare politica economica, ha tentato di costruirsi un impero formato dalla Patrimonio dello Stato Spa, dalla Infrastrutture Spa, dalla Cassa depositi e prestiti e adesso anche dal CICR. Ha cercato di creare una sorta di dominio parallelo rispetto a quello del Governo. Ovviamente, aveva ragione la Corte dei conti. Il problema non si risolve prendendo sotto braccio un magistrato e cercando di contrastarlo.
L'Eurispes ci ha raccontato che era aumentato il costo della vita. Lo sapeva chiunque. È un branco di mentitori vicino alla sinistra: questa è stata la risposta.
Ora, tutti gli istituti ci dicono che, negli ultimi due anni, il costo della vita è aumentato dal 12 al 14 per cento.
La magistratura è parziale e sostanzialmente golpista. Questa è la tesi. Ma la più divertente è sulla stampa: è vecchia e non la legge nessuno. I giornali sono l'espressione della vecchiezza intellettuale di un paese. Sembra di leggere Ray Bradbury quando, in Fahrenheit 451, raccontava che qualcuno aveva ritenuto opportuno bruciare i libri. Non è questa la posizione di Berlusconi. I libri non vanno bruciati, ma non vanno letti; tantomeno vanno letti i giornali.
La stampa non conta niente. Toglietela di mezzo. Siete vecchi, un residuo del passato. Anche la stampa. Poi, magari, si compra un quotidiano e un settimanale, ma questa è l'illogicità del personaggio. I sindacati sono prevenuti. Quando si tratta della Presidenza del Repubblica si tace, lasciando alla Lega Nord Federazione Padana il lavoro sporco di attaccare la Presidenza della Repubblica, ma presumibilmente si incarna anche il pensiero di altri di maggiore rappresentatività. Sta di fatto che si è interrotto il dialogo istituzionale. Presidente, lei che è un parlamentarista da sempre, lei che è un fautore e un sostenitore - e a ragione - della dignità del Parlamento, che ne dice di quest'ultima proposta di modificazione del numero dei componenti del Senato? Riduciamo il numero dei componenti del Senato? Cosa ragionevole, si può discutere, ma poi quelli protestano (quelli sarebbero i nostri colleghi dell'altro ramo del Parlamento), perché è gente che guarda ai propri interessi. È questa la tesi di questo Presidente del Consiglio. Allora cosa gli facciamo? Gli diamo una liquidazione aggiuntiva, un TFR, una pensioncina integrativa, gli diamo una legislatura in più. Lei comprende, signor Presidente, colleghi, di centrosinistra o di centrodestra poco importa, cosa c'è dietro? Il retropensiero è che i parlamentari non hanno una funzione, che il ruolo dei parlamentari è semplicemente quello di commercializzare il loro voto e la loro intenzione con qualche beneficio di carattere economico, sicché il modo per tacitarli e per fare le riforme istituzionali è quello di dare loro qualche vantaggio economico. Così, lo scontro istituzionale è totale. Questo Governo ormai è contro tutti e senza precedenti. Non c'è nessun problema. Anche la Francia dei tempi più duri della gestione a due della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio ha pur sempre trovato, nel rispetto istituzionale, il fondamento della propria esistenza; noi invece siamo per lo scontro.
PRESIDENTE. Onorevole...
ROBERTO PINZA. Siamo in conflitto con tutti anche a livello internazionale, a parte un po' di servilismo nei confronti degli Stati Uniti. La ringrazio, Presidente, ho finito. Siamo anche in scontro con i nostri alleati tradizionali della Francia, della Germania e di tutto il resto, mentre rimane pietosamente vuota la nostra agenda di politica economica. Presidente, io non so cosa decideranno i nostri presidenti di gruppo; in ogni caso io mi conformerò a quello che loro decideranno, ma questa è la ragione dell'atteggiamento che abbiamo tenuto, perché noi siamo di fronte ad un Governo che con questo provvedimento, come con altri, si mette fuori dalla logica di qualunque paese moderno europeo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.
GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è un paese dove giorno dopo giorno cresce l'insicurezza e l'incertezza. Questo è un paese nel quale - e ormai lo scrivono in tanti - sempre più famiglie faticano ad arrivare a fine mese, un ceto medio che una volta rappresentava il traino dell'economia che rischia di scomparire abbattuto dalla scure di una non gestione economica del paese. Questo è un paese nel quale i risparmiatori sono traditi da una finanza irresponsabile,
un paese nel quale le famiglie faticano a costruirsi un serio e sereno futuro, con un'inflazione senza precedenti, con prezzi che aumentano in modo incontrollato, nonostante il Presidente del Consiglio venga a raccontarci la sera, a reti unificate, che questo è un tasso di inflazione coerente con il resto dei paesi europei - intorno 2 per cento - , quando l'inflazione reale, realmente percepita dalla popolazione, è ben maggiore: prezzi che aumentano, quindi, e welfare che si riduce. È un paese dove l'incertezza cresce fra coloro che non sanno più se a settembre potranno mandare i propri figli in una scuola pubblica a tempo pieno. Il tempo pieno era una componente fondamentale per le famiglie, una componente fondamentale per il welfare del nostro paese e oggi la riduzione o la monetizzazione di quel servizio rende le famiglie più povere e più insicure. È un'incertezza che cresce tra coloro che non sanno più se potranno curare i propri anziani, che non sanno più se avranno la certezza di un'equa previdenza. Questo è un paese che lentamente, ma inarrestabilmente, si allontana dall'Europa, è un paese sempre meno europeo.
Questa è un'Europa che ha già rapidamente dimenticato quel triste semestre nel quale il nostro Presidente del Consiglio, forse, verrà ricordato per la politica delle pacche sulle spalle o per quell'amicizia speciale con l'oligarca Putin, che fra pochi giorni festeggerà il massacro di centinaia di migliaia di ceceni. È un paese che non ha esitato, sotto la guida del Presidente del Consiglio, ad assumere posizioni spesso ancillari nei confronti dei potenti, senza neanche ottenere vantaggi.
È di oggi la notizia che l'Alcatel francese si è aggiudicata l'appalto per la copertura della telefonia mobile in Iraq. È un peccato! È un'Europa che ci lascia ai margini: ieri, si è aperto a Berlino il summit di Blair, Schröder e Chirac, che si sono incontrati, escludendo l'unico altro grande fondatore di questa Europa da un momento di incontro, peraltro legittimo, ma strategico, a poche settimane dalla fine del semestre di Presidenza europea.
Quindi, è un'Europa che osserva con crescente diffidenza un paese illiberale con conflitti di interessi di proporzioni inaudite. La Commissione europea, il Parlamento europeo e le istituzioni europee sono la nostra garanzia, e ci ricordano più volte come il diritto comunitario della concorrenza contribuisca ad impedire che la troppa concentrazione dei mezzi di informazione metta in pericolo la libertà di opinione. Vi sono paesi con grandi democrazie liberali che confinano con noi e che ritengono che la concorrenza sia il sale della democrazia, il vero presupposto il pluralismo. Oggi l'Europa è un luogo nel quale vi è un mercato televisivo aperto, plurale, libero, concorrente e di varia proprietà. Così non è nel nostro paese.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che l'assenza di libertà dell'informazione è essa stessa un indicatore del declino, un declino politico che ci vede assenti dai luoghi multilaterali e internazionali della decisione, un declino economico come dimostrano i dati che ci dipingono come un paese che non cresce più, un paese che non investe sul futuro, che non investe in ricerca e che ha la percentuale più bassa di rapporto fra i fondi per la ricerca e per l'innovazione e prodotto interno lordo. È un paese le cui imprese perdono, anche per questi motivi, competitività. È un paese che gli investitori stranieri guardano con diffidenza, perché è senza regole. È il paese dei condoni fiscali ed edilizi, è il paese della depenalizzazione del falso in bilancio, è il paese del rientro illegale dei capitali dall'estero. È un paese dal quale un imprenditore serio si allontana: ci pensa tre volte prima di venire ad investire. Questo è il contesto internazionale.
Quindi, vi è un declino economico, un declino morale e, un declino politico. A fronte di una condizione difficilissima nella quale ci attenderemmo slancio, iniziativa e politiche innovative, cosa fa questo Governo? Riesce a chiedere la fiducia sul decreto-legge «salva Retequattro»; cioè, usa lo strumento della massima verifica della propria coesione politica per salvare una delle reti di proprietà del
Presidente del Consiglio. Pone la questione di fiducia per garantire i bilanci dell'azienda del Presidente del Consiglio e, quindi, si occupa degli affari del Presidente del Consiglio.
In conclusione, signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi, ponendo la questione di fiducia sulla conversione in legge del decreto-legge n. 352, ottenete un risultato certo: salvate Retequattro. Ma non preoccupatevi, perché, tra non molto, toccherà a noi, invece, salvare questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.
ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi esprimeremo un voto contrario su questo decreto-legge che riguarda fondamentalmente gli interessi della famiglia Berlusconi, la famiglia del Presidente del Consiglio, che da ieri è diventato il candidato di bandiera di Forza Italia, il principale partito di Governo, per le elezioni europee.
Sempre da ieri, dopo giorni e giorni di verifica, egli ha trasformato la Casa delle libertà nella casa degli uniti e liberi. Liberi di competere alle elezioni, è ovvio: ciò è garantito dal nostro sistema, ma non è certamente garantita questa libertà di esprimersi sul decreto-legge e su Retequattro. No! In questo caso, serve fedeltà in Parlamento; e, se non la si ottiene nel libero confronto, si impongono i voti di fiducia «preventivi», confezionati a fin di bene - si intende -, per nascondere divisioni, perplessità all'interno della maggioranza. Solo così, con i voti di fiducia sulla maggioranza, si può apparire uniti, anche se siete divisi su tutto, litigiosi e in competizione per lo show down elettorale di giugno.
Mi domando come governerete da qui a giugno: solo ed esclusivamente assumendo decisioni che non vi facciano litigare? Come potrete non litigare se ciascuna forza politica della Casa delle libertà sarà a caccia di consenso fra insediamenti elettorali ed interessi divergenti tra loro? Dove sono gli interessi dell'Italia e degli italiani?
Da oggi, il Presidente del Consiglio sarà il candidato di bandiera che correrà a chiedere voti per sé e per il suo partito, dicendo agli elettori: votatemi; però, il vostro voto sarà virtuale perché io non vi rappresenterò né a Strasburgo né a Bruxelles. Il vostro voto mi serve soltanto per sistemare nuovamente i rapporti interni con le altre forze della Casa delle libertà.
È in sostanza un grande sondaggio o un mega «sondaggione», come è stato definito dai giornali. Ma questo sondaggio o mega «sondaggione» servirà per scopi diversissimi, non solo da quelli per i quali si vota a giugno, ma anche rispetto a quanto persino gli elettori della Casa delle libertà chiedono al Governo, ovvero di governare.
Un ennesimo appello al popolo: naturalmente, con una particolare attenzione da parte Presidente del Consiglio agli spazi di comunicazione elettorali sui media.
Per questa ragione, ecco l'annuncio di battaglia contro la legge sulla par condicio. A questi annunci di battaglia, si affiancano pericolosissime performances televisive di autorevolissimi capigruppo delle forze di maggioranza, come il senatore Nania, i quali non sanno che cosa dire in proposito.
Il Presidente del Consiglio, in questo momento di grave difficoltà della sua maggioranza, gioca la carta che gli è più congeniale: una campagna elettorale permanente e a tutto campo, condita da attacchi alla Corte costituzionale, al Parlamento, colpevole, quest'ultimo, di essere un impaccio burocratico foriero di inutili lungaggini. Mai, come nel caso di questo decreto-legge, questa è una bugia! I gruppi dell'opposizione avevano pochissimi interventi previsti in discussione sulle linee generali; erano stati presentati pochissimi emendamenti. Allora, rispondete qui: perché avete posto la questione di fiducia? Perché rispondere flebilmente che è una questione tecnica, non ci crede nessuno! E soltanto chi è fedelmente cieco al culto della personalità, come il senatore Paolo
Guzzanti può scrivere, su un quotidiano di famiglia, Il Giornale, che - lo sto citando testualmente - con la discesa in campo del presidente Berlusconi si dà seguito e senso alla cosiddetta verifica e si mostra così il tono muscolare del succitato Presidente del Consiglio a quella parte di maggioranza, che pensava di usarlo come un taxi per tornare alla prima Repubblica. Colleghi di quella parte della maggioranza, siete serviti!
Suvvia, non è forse la stessa parola «verifica» ad evocare il peggiore clima di crisi della prima Repubblica? Non è forse il braccio di ferro ossessivo tra le forze della maggioranza ad evocare gli stessi segnali di crisi che furono del pentapartito? Anche in quei momenti non ci si curava affatto della crisi di fiducia degli italiani nei confronti del potere pubblico, della corporativizzazione di interi settori della società, della paura del futuro di ceti popolari, della crisi di interi comparti industriali e delle esangui casse dello Stato. È esattamente ciò che sta accadendo ora, ma vi è anche qualcosa di più e di più pesante.
Nei prossimi mesi combatteremo con fermezza, con durezza, con determinazione contro la politica del Governo. Non faremo sconti. Si tenta di rigiocare una partita truccata secondo cui voi siete gli innovatori, i riformatori, e noi siamo i conservatori. No, noi non siamo i conservatori della prima Repubblica! È un gioco al quale gli italiani non credono più. Inoltre, ci sono i fatti a dimostrarlo, a partire dal rapporto tra quante leggi sono state varate per tutelare gli interessi di pochi e noti e quanti provvedimenti non sono stati varati per aiutare ad accrescere le possibilità degli italiani nel mondo nel campo della ricerca, nello studio, nel lavoro.
Citeremo fatti, atti e, tra questi, la legge sul conflitto di interessi mai approvata. Eppure ieri, il Corriere della Sera, un pericolosissimo quotidiano comunista, ha pubblicato un interessante calendario che partiva da una solenne dichiarazione del Presidente del Consiglio. Egli, naturalmente ad un talk show, il Maurizio Costanzo show, disse testualmente: «Ho preso l'impegno di risolvere il conflitto di interessi entro i primi cento giorni». Lo disse esattamente il 4 maggio 2001: da allora sono passati quasi mille giorni e la legge giace non calendarizzata al Senato. Invece, la legge Cirami è stata approvata in 119 giorni, colleghi.
Come ha ricordato il collega Bressa, se la legge sul conflitto di interessi fosse stata approvata, il Presidente del Consiglio non avrebbe potuto porre la questione di fiducia sul decreto «salva Retequattro» perché sarebbe stato in evidente contrasto con l'articolo 3, comma 1, di tale legge e sarebbe stato sanzionato ai sensi dell'articolo 6, comma 8. Forse, anche per questo non è stata approvata quella legge che, ad un talk show, il Presidente del Consiglio aveva solennemente assicurato sarebbe stata approvata entro i primi cento giorni.
Se evochiamo tali fatti siamo in malafede? Siamo persecutori? Siamo giustizialisti? No, più semplicemente siamo portatori di una basilare ed elementare cultura democratica delle garanzie per tutti. Dimostreremo che questo presente autarchico «fai da te», dove il potere sembra coincidere con il possesso privatizzato di alcune risorse disponibili e non con la capacità di utilizzarle e di valorizzarle per il bene di tutti, pregiudica il futuro per tutti.
Non a caso, voi ricorrete sempre al passato che non passa quale giustificazione delle incapacità a governare equamente il presente per prospettare il futuro dell'Italia e degli italiani. Che si parli del dossier Mitrokhin, o del ritorno dei Savoia, o dei buchi che presuntivamente avrebbe lasciato il centrosinistra nel bilancio, tutto è utile per individuare i nemici e per tentare di combattere dentro un gioco truccato tra maggioranza ed opposizione.
Il vostro sguardo corto porta persino a negare l'intangibilità dei basilari postulati di ogni democrazia. Piace molto a tanti di voi proclamarsi amici dell'America di George Bush. Anzi, più che amici, fratellini minori obbedienti su tutto, a partire dalla guerra. Però, siete assai meno amici dei valori dei padri fondatori dell'America.
Nessuna forza di Governo ne ha tratto alcun insegnamento, e ciò vale tanto più per settori come i media televisivi...
PRESIDENTE. Onorevole Montecchi...
ELENA MONTECCHI. Concludo, signor Presidente.
In quell'America la saggezza dei padri fondatori consentì di smembrare Microsoft.
Noi non solo contrapporremo duramente alle vostre le nostre proposte, non solo metteremo in discussione le vostre azioni, ma qui, in Parlamento, da oggi in poi, utilizzeremo tutti gli strumenti democratici previsti dal regolamento per mettere in discussione i vostri decreti-legge ed i vostri disegni di legge e vi dimostreremo che con l'arroganza verso il Parlamento, con la vostra volontà di blindare le leggi non andrete lontano.
Quest'aula sarà il vostro Vietnam e lo sarà a partire dal decreto sull'Iraq!
Cos'è cambiato rispetto a luglio? Perché lo avete accorpato? Perché non consentite una discussione autonoma su questo punto? Noi vi porremo, qui, in condizioni di confrontarvi in modo trasparente su queste ragioni, perché il regolamento ce lo consente, checché ne dica il Presidente Berlusconi sulla burocraticità del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rognoni. Ne ha facoltà.
CARLO ROGNONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, in particolare colleghi della maggioranza, ovunque voi siate, in terra, per mare, per cielo, perché qui non vi vedo... (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), penso che potreste convenire con me su un punto di buonsenso. Non è giusto, non è economicamente sano, non è corretto, prima di tutto da un punto di vista imprenditoriale, oltre che in nome dell'etica degli affari - ripeto: non è giusto, sano, corretto -, che un'azienda italiana importante pensi di poter continuare a crescere e a svilupparsi quasi solo esclusivamente grazie ai favori più smaccati e alla più impudica e inconfessabile complicità di una parte della politica. Sarebbe grave per un'azienda qualsiasi, è drammaticamente ancora più grave se questa azienda si occupa di informazione, cioè di un bene strategico per la qualità stessa della nostra democrazia, un bene alla base della formazione del consenso, un bene decisivo per un confronto civile tra le diverse forze politiche.
Una tale circostanza diventa assolutamente insopportabile se questa stessa azienda, di proprietà del Primo ministro e della sua famiglia, fa, per restare in affari, continuo riferimento al Capo del Governo e al Governo. Un capo di Governo, che, peraltro, usa non solo la sua televisione, ma anche quella pubblica, come se fosse sua, e lo fa per incantare gli elettori, per inebetirli con una cultura-non cultura, non preoccupandosi affatto della qualità dell'informazione e dell'intrattenimento. Lo fa sia per assicurarsi il consenso, sia soprattutto per garantirsi una pioggia di cospicui, alti e continui profitti. Vorrei ripetere quello che ha ricordato, qui, ieri, l'onorevole Duca: «Grazie al "decreto Berlusconi", che state così faticosamente per votare, a tutto vantaggio di Berlusconi, Patron Silvio incassa e incassa davvero tanto: 240 milioni di euro l'anno, 20 milioni di euro al mese, 4,3 milioni di euro a settimana, 623 mila euro al giorno, 26 mila euro all'ora, 498 euro al minuto, 8 euro al secondo».
Quello dell'onorevole Duca è stato solo un giochino e la mia è una ripetizione, che mi serve per far capire meglio, in maniera concreta, a chi ci sta ascoltando, le ragioni di tanto impegno e di tanta indignazione da parte vostra. Il fatto incredibile è che Berlusconi, e con lui tutta Mediaset, sa, da almeno sette anni, di essere fuori regola rispetto alle norme antitrust. La sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002 chiede, infatti, che siano applicate le regole stabilite dalla legge del 1997 (una legge di 7 anni!), che peraltro dava risposta
ad un'altra sentenza della Corte, quella del 1994 (quindi di 10 anni fa!). Anche quella sentenza, cari colleghi della maggioranza, caro signor Berlusconi, rientrava pienamente nella logica di tutta la giurisprudenza costituzionale. Basterebbe andarsi a rileggere la sentenza del 1988 (di 16 anni fa), che ha sollecitato prima, e costretto poi, il Governo Andreotti-Craxi del 1990 a mettere in campo la legge Mammì.
Certo, anche allora - ricordiamocelo, come inciso -, la legge prevedeva un limite antitrust: nessuno poteva avere più del 25 per cento delle reti televisive. Fu così che grazie alla complicità di un ministro si stabilì, per decreto ministeriale, che le reti nazionali dovevano essere 12 (questo sempre per consentire a Berlusconi di mantenere le sue tre reti televisive). Una bella fantasia, che, allora, per essere resa minimamente credibile, costrinse lo stesso Berlusconi a inventarsi tre reti Telepiù, per la televisione a pagamento, da sommare a quelle esistenti. Quel giochino di allora non vi ricorda qualcosa di oggi? Si inventarono, a quel tempo, tre reti (con le frequenze in più di cui Berlusconi aveva fatto incetta - mi pare che fu persino aperta un'inchiesta giudiziaria -), che furono messe poi nelle mani di soci amici, così come oggi ci si inventa reti in più, questa volta digitali.
Ebbene, proprio per tutte queste ragioni e per questi precedenti, ho trovato davvero, consentitemelo, spudorata ed inaccettabile l'affermazione, secondo la quale la Corte giudica perché condizionata da giudici di sinistra, scelti da Oscar Luigi Scalfaro. Il cavalier Berlusconi è talmente impegnato a seminar zizzania ed a praticare scientificamente l'inganno che non gli viene nemmeno in mente di finire nel ridicolo, di fare la figura del paranoico che vede comunisti dappertutto.
Secondo la sua logica, considerate le sentenze del passato, anche la Corte del 1998 doveva essere, a maggioranza, formata da giudici di sinistra. L'anticomunismo, che trova conforto ed alimento in serie ragioni storiche nelle parole maniacali di Berlusconi finisce per assomigliare ad una barzelletta. È possibile che nessuno si vergogni di queste baggianate? È possibile che nessuno abbia il coraggio di dare qualche buon consiglio e qualche piccola lezione di storia recente a chi dovrebbe guidare il Governo del paese?
È una malattia, questa della strategia della menzogna, che contagia, purtroppo, anche alcuni ministri.
Ma come si permette il ministro Gasparri di dire in televisione con sfacciataggine e impudenza che l'opposizione fa l'ostruzionismo al decreto Berlusconi, pro Berlusconi «per coprire la spaccatura sull'Iraq». Ma davvero crede a quello che dice? Ha senso che i media, i telegiornali diano rilievo a queste fantasie malevoli e puerili?
Non le viene il dubbio, signor ministro, che, a forza di fare il portavoce degli interessi berlusconiani, lo yes man del cavaliere, della serie «vai avanti tu che a me viene da ridere», anche su di lei finisca per ricadere l'ombra del ridicolo? È un gioco sporco, che, comunque, un cittadino avvertito ed intelligente smaschera facilmente, quello di ignorare i propri problemi, pensando di poterli nascondere dietro quelli degli altri.
Fino a quando, signor ministro, si presterà, senza un minimo di pudore, al ruolo di quello che, sempre e comunque, è più realista del re?
Ebbene, cari colleghi della maggioranza, qualunque altra azienda italiana normale, sapendo, da una vita, di essere nel mirino dell'Antitrust, avrebbe elaborato serie ed innovative strategie per fronteggiare la realtà, per puntare sulla crescita e su uno sviluppo alternativi.
Non così, sappiamo a nostre spese, l'azienda di Arcore: ha scelto una strategia aziendale stalinista, quella dello sviluppo in un paese solo. Ciò vi sta costringendo ad esercizi di acrobazia legislativa da saltimbanchi parlamentari ed a far finta di puntare su miracoli tecnologici digitali ed improbabili per garantire, niente di meno, che il mancato rispetto delle regole più elementari della concorrenza.
Quest'anomalia fa pagare all'Italia un prezzo davvero troppo alto sia in termini
di democrazia dimezzata sia in termini di mancato pluralismo dell'informazione sia, infine, in termini di sviluppo industriale in un settore decisivo come quello della information technology nella società della comunicazione nella quale viviamo.
Qualcuno di voi ha visto come il Tg1 o il Tg2 stanno dando notizia del nostro tour de force parlamentare? Questa sarebbe informazione? Comincio a pensare che quanti parlano di regime, almeno di regime mediatico, come ha fatto Umberto Eco, non siano poi così tanto lontani dal vero. Fino a quando, mi domando e vi domando, pensate sia possibile continuare a violare le regole del mercato e ad avversare le regole della democrazia? Non avete la sensazione che, soprattutto dopo l'ultima sentenza della Corte, l'azienda del capo, questa volta, rischi di trovarsi davvero al capolinea della illegalità? Quale nuova Gasparri vi inventerete?
Non è ora di dare una risposta responsabile e seria a ciò che la Corte costituzionale ci invita a fare da più di un quindicennio e cioè dare al nostro paese un sistema radiotelevisivo aperto a più imprenditori, libero da vincoli monopolistici, rispettoso del pluralismo culturale di cui è pur ricca l'Italia?
Se ci pensate bene, la storia della TV italiana è una storia di leggi violate, di nuove leggi che inseguono l'illegalità per porvi rimedio, di nuove violazioni di legge e di altre leggi ancora, in un rosario di imbrogli. È l'unico caso di un settore industriale, in cui continuano ad essere sfornate ripetutamente leggi ad personam, non una, ma più volte.
È questa logica di illegalità ripetuta il brodo di coltura del vostro tycoon.
Se oggi sono fuorilegge, domani mi faccio una legge che mi rimette in regola: questa è la logica. Vi è da esserne tutti drammaticamente preoccupati.
È anche per questo che siete costretti a porre la questione di fiducia su voi stessi. Comportamenti legislativi come questo, infatti, fanno solo crescere la sfiducia nei cittadini che vi guardano sempre più frastornati, increduli ed inorriditi di fronte a tanto.
È con questi pensieri ed altri, espressi dai colleghi dell'opposizione che, domani, diremo il nostro «no» alla conversione in legge del decreto pro Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Piscitello. Ne ha facoltà.
RINO PISCITELLO. Signor Presidente, colleghi, il Parlamento della Repubblica italiana è in una triste condizione, in quanto deve discutere un provvedimento, sul quale è stata chiesta la fiducia, che riguarda direttamente gli interessi del Presidente del Consiglio.
Il Parlamento, un paio di giorni fa, ha votato la fiducia al Governo su questo provvedimento - chiaramente, tutta l'opposizione ha espresso un voto contrario -, determinando un ampio fronte di sfiducia tra i cittadini del nostro paese e - cosa altrettanto grave - in tutta l'Europa.
Infatti, l'idea che un Presidente del Consiglio continui non soltanto a legiferare su materie di proprio stretto interesse, ma che su queste materie ponga anche la fiducia - dicendo in modo chiaro che le motivazioni del suo Governo verrebbero messe in discussione dalla mancata approvazione di quella legge - dimostra, in modo provato, lo spaventoso e gigantesco conflitto di interessi determinatosi nel nostro paese. Ciò crea, in Europa, una crisi pesantissima di sfiducia e pone il nostro paese in una condizione oggettiva di inferiorità nel panorama internazionale, già resa grave dai continui scivoloni del Governo in materia di politica estera.
Stiamo dando l'impressione di essere un paese che ormai legifera soltanto su questioni relative alla giustizia e all'informazione, senza inserire leggi quadro che riformino profondamente i due settori, che in alcuni aspetti avrebbero bisogno di riforme. Penso ai tempi della giustizia e, quindi, alla garanzia di celerità per i cittadini, penso alla trasparenza e alla pluralità di informazione. Invece, siamo di fronte a provvedimenti che vanno tutti in
direzione contraria alle necessità che questi due grandi settori registrano e che li aggravano profondamente, in quanto partono esclusivamente dal problema degli interessi personali; e, badate, neanche dalla soluzione generale dell'interesse personale, ma da un dato contingente: c'è un problema, lo risolviamo con una legge contingente; un deputato ha un problema, allora emaniamo una legge per salvarlo; Retequattro, in base ad una precisa disposizione della Corte costituzionale, sta per passare sul satellite, allora emaniamo una legge per salvarla; questa legge non riesce ad essere approvata dal Parlamento, allora ne emaniamo una più specifica per fare in modo che venga spostata la data del passaggio sul satellite; la maggioranza è sotto verifica, c'è il rischio che gli emendamenti vengano approvati, che la legge non passi, allora poniamo la questione di fiducia. Addirittura, in quest'aula, per due soli voti non è stato affossato il provvedimento in esame; dunque, terrore generale nella maggioranza e sul provvedimento viene posta la fiducia. In tal modo, il progetto di legge diventa non solo contingente, ma anche imprescindibile per la maggioranza di Governo.
Comprendo i colleghi di Forza Italia, che sono stati eletti in un partito che costituisce la filiera costruita dal Presidente del Consiglio.
Se il Presidente del Consiglio dei ministri, per qualsiasi ragione, cade, molti colleghi rischiano anch'essi di cadere trascinati dalla caduta, come nel gioco del bowling, del birillo principale. Allora, ciò può divenire una questione fondamentale. In tutti i casi, questi colleghi sono stati eletti sulla base della nascita di un partito che si riprometteva di difendere alcuni interessi determinati, che erano quelli di Berlusconi, che sarebbe diventato, nel 1994 e nel 2001, Presidente del Consiglio.
Con riferimento ad un provvedimento come questo e a fronte della posizione della questione di fiducia, non riesco a comprendere l'atteggiamento dei colleghi dell'UDC e di Alleanza nazionale, alla luce del fatto che durante le votazioni a scrutinio segreto -, quasi cinquanta di loro hanno votato con l'altro schieramento, esprimendo un giudizio contrario alla legge Gasparri. Tra l'altro, questa è materia sulla quale ritengo si dovrebbe esplicitare il proprio disagio non con un voto contrario ma con una forte discussione interna, che non può concludersi con l'approvazione di un documento di verifica ma richiede invece una chiarissima rivendicazione della propria storia. I colleghi dell'UDC e di Alleanza nazionale hanno infatti una storia diversa che, a mio avviso, non può contemplare un provvedimento di questo tipo né i provvedimenti adottati in tema di giustizia. Eppure, la maggioranza è diventata oggettivamente una gabbia per parlamentari che, in altre occasioni, avevano mostrato ben altro coraggio ma che adesso tengono l'atteggiamento di chi segue le disposizioni principali del Presidente del Consiglio dei ministri. Tutto ciò è triste.
Noi da alcuni giorni stiamo portando avanti un forte ostruzionismo. L'ostruzionismo è un diritto che però va utilizzato per occasioni veramente straordinarie; ebbene, quell'attuale lo è ed in questi giorni l'opposizione sta dimostrando, con chiarezza a questa maggioranza che la propria indisponibilità. Si tratta, però, anche di un momento drammatico per il paese perché la maggioranza sta dicendo chiaramente che, sul tema dell'informazione, farà qualsiasi cosa. E questo è anche il momento in cui il Presidente del consiglio dichiara, in modo palese, che, da qui alle elezioni europee, utilizzerà le televisioni nel modo più unilaterale possibile al fine di fare gli interessi della maggioranza.
Ora, nel quadro di questo conflitto di interessi, che consente il controllo di tutte le televisioni, quelle private e quelle pubbliche, da parte del Presidente del consiglio e del suo partito, ci troviamo a dover votare in Parlamento un provvedimento che, di fatto, garantisce allo stesso Presidente del Consiglio di mantenere non solo il controllo totale ma anche di ribadirlo con un atto che definirei di quasi soperchieria rispetto alla normativa vigente ed alle pronunce della Corte costituzionale. Si tratta, infatti, di un provvedimento di
differimento termini, sul quale è stata posta la questione di fiducia, che non può che essere considerato una vera e propria prevaricazione del Parlamento.
Credo, pertanto, che nel paese debba montare un'opposizione pari a quella che noi stiamo costruendo in Parlamento.
Ritengo, inoltre, che l'atteggiamento tenuto dalla maggioranza nelle ultime settimane e in tema di leggi sulla giustizia e sull'informazione, nonché le dichiarazioni rilasciate ieri dal Presidente del Consiglio che, non essendo riuscito a diminuire le tasse, sostiene sia legittimo evaderle o il suo attacco alla Corte costituzionale o il sostenere ancora che le televisioni debbano essere usate in un certo modo, non darà i frutti sperati dal Presidente Berlusconi perché, a mio avviso, il paese ha interrotto il rapporto di fiducia con questa maggioranza e con il Capo del Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fistarol. Ne ha facoltà.
MAURIZIO FISTAROL. Signor Presidente, non sfugge ad alcuno il rilievo politico-istituzionale del provvedimento che stiamo discutendo, il quale, pur nella sua contingenza, incide su principi costituzionali di rilevanza fondamentale.
Con il decreto-legge in esame, si vengono infatti a definire normativamente i parametri che consentiranno all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di accertare se nel nostro sistema si siano inverate o meno quelle condizioni che autorizzano a sostenere legittimamente la sussistenza effettiva di una situazione di pluralismo. È evidente come ci si stia confrontando con temi che sono alla base di una moderna democrazia liberale. Procedere alla verifica dell'effettivo avvenuto arricchimento del pluralismo informativo nel nostro paese, e sostenere quindi l'avvenuta rimodulazione del suo assetto e della sua configurazione, significa infatti affrontare nodi ineludibili che attengono alla fisionomia e al funzionamento della democrazia competitiva in Italia.
Non stiamo banalmente discutendo di una norma che definisce i criteri distributivi o regolativi tra interessi divergenti. Non ci interessa neppure sottolineare più di tanto la circostanza che la norma riveste un preciso interesse per il premier. Si tratta infatti di un problema gravissimo e intollerabile per la coscienza civile del paese, ma contingente. Ci interessa invece comprendere come si stia affrontando il nodo del pluralismo dell'informazione e ci interessa capire se con questo provvedimento, così come delineato, si operi per incrementare il grado di competitività tra gli attori del sistema.
È sicuramente significativo il fatto che la stessa Autorità garante per la concorrenza e per il mercato abbia dovuto ricordare che la tutela del pluralismo informativo rappresenta un obiettivo che trova non solo nel nostro ordinamento costituzionale, ma anche in Europa, un preciso riconoscimento, e che deve essere garantito, in primo luogo, attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
Si tratta di impedire che il controllo delle società del settore massmediatico si concentri in misura tale da porre in pericolo il pluralismo informativo. A tal fine, gli strumenti adottati da numerosi legislatori nazionali, non solo in ambito europeo, prevedono misure e vincoli assai rigorosi sul comportamento delle imprese. Ciò proprio in considerazione della necessità di garantire un bene, quale il pluralismo, che è riconosciuto meritevole di una sorta di tutela rafforzata, rispetto alla quale le sole regole della concorrenza potrebbero essere ritenute, a ragione, insufficienti.
La concorrenza è un presupposto essenziale del pluralismo: il mercato deve essere libero, senza barriere all'ingresso per i nuovi entranti, privo di posizioni dominanti e pertanto in grado di assicurare una pluralità di voci; un mercato televisivo, dunque, aperto e plurale nelle voci, che rappresenti il prerequisito del pluralismo e di un modello democratico competitivo e aperto. Il grado di apertura e il tasso di competitività nel mercato televisivo, e dunque nella produzione di quel bene particolare rappresentato dal
l'informazione, sono indicatori essenziali che connotano la qualità della democrazia, anche nel nostro paese, e la sua vicinanza al modello di democrazia compiuta evocato nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica.
Purtroppo, con questo provvedimento state procedendo secondo modalità che, di certo, non metteranno l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nelle condizioni di operare in modo rigoroso e trasparente. L'Autorità è stata chiara ed esplicita nell'invito a definire rigorosamente i criteri e le modalità con cui procedere all'accertamento di un mutato contesto, in seguito ad un intervenuto effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall'espansione delle tecniche di trasmissione digitale terrestre. Quest'ultimo requisito costituisce l'unica condizione in grado di giustificare il possibile superamento del termine inderogabile del 31 dicembre 2003. Questo invito non è stato accolto. Si possono nutrire dubbi su tutto, ma non sul pluralismo. Non è chiaro quali siano le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e neppure quali saranno i provvedimenti che la stessa autorità dovrà adottare in caso di accertamento negativo.
MAURIZIO FISTAROL. Vorrei ribadire che non sarebbe stato un problema se, dopo avere inserito al Senato il criterio della valutazione contestuale dei parametri (cioè le parole «accertare contestualmente»), si fosse fatto tesoro delle richieste dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che voleva la specifica definizione, da parte del legislatore, di indici precisi di riferimento in ordine al grado di diffusione dei decoder sul mercato, alla misurazione della accessibilità del prezzo ed alla valutazione dell'effettività dell'offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche.
Certo, non è banale la motivazione sottesa a questa richiesta di indici, di parametri, di indicatori empirici. Il fatto è - sostiene l'Autorità - che i poteri di accertamento e sanzionatori conferiti ad essa dalla legge attengono alle materie coperte da riserva di legge di cui agli articoli 21 e 41 della Costituzione, in quanto mettono in gioco profili che investono sia la libertà di espressione del pensiero sia il diritto di iniziativa privata, nei confronti dei quali, ai sensi di una consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta al legislatore indicare criteri idonei a delimitare la discrezionalità del soggetto amministrativo investito dei poteri di intervento e di sanzione. Proprio quello che voi non fate! Dovevate assumervi precise responsabilità. Non avete voluto o potuto farlo. Al contrario, avete sovraccaricato di funzioni improprie l'autorità amministrativa. Di fatto, create solo una situazione funzionale ad una tattica dilatoria - non è una strategia - elusiva del significato racchiuso nel messaggio del Presidente della Repubblica e dei termini, non eludibili, relativi alla fine del periodo transitorio, cui da ultimo si riferisce la Corte costituzionale - quella Corte attaccata quotidianamente, ormai, dal Presidente del Consiglio - con la sentenza n. 466 del 2002.
Per queste ragioni, siamo contrari al provvedimento in esame. Si chiede di votare a favore per riservare un trattamento particolare e privilegiato ad una emittente televisiva di proprietà del Presidente del Consiglio dei ministri, il cui gigantesco conflitto di interessi dovrebbe essere certamente risolto con una buona legge ma, prima ancora, con le scelte unilaterali di un uomo di Governo che voglia davvero rappresentare il suo paese, come accade in qualsiasi altro Stato occidentale democratico.
Quindi, si chiede di votare a favore per riservare un trattamento particolare e, come ho detto, privilegiato a questa televisione, non per operare la riforma del sistema televisivo, non per disegnare il futuro del paese, non per accompagnare l'innovazione tecnologica o come qualcuno
del Governo ama dire, la modernizzazione del paese, ma per salvare una televisione del Presidente del Consiglio.
Per queste ragioni, voteremo contro un provvedimento che avete voluto blindare a qualsiasi ipotesi di miglioramento perché, sapendo di avere torto, avete avuto paura di confrontarvi con l'opposizione, con il Parlamento e anche con i deputati della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villari. Ne ha facoltà.
RICCARDO VILLARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le modalità scelte da questa maggioranza per portare avanti questo provvedimento sono esemplificative della cultura che presiede l'azione di questo Governo. Ormai la politica è sempre più ridotta a una dialettica che si realizza all'esterno delle aule parlamentari, perché c'è un preciso disegno che è quello di svuotare le aule delle proprie prerogative, della capacità del confronto e del contributo, perché in definitiva sembra ormai che la politica sia ridotta a parole, non alla risposta a domande precise che presuppongano la voglia di contribuire a migliorare i provvedimenti.
La lunga maratona alla quale quest'aula è stata costretta non è un semplice ostruzionismo ma ci è apparsa l'unica modalità attraverso la quale poter rappresentare il nostro pensiero. Ciò a fronte del fatto che questa legge è stata ritirata precipitosamente dalla maggioranza ed è ritornata in Commissione - fu detto, per non meglio precisati motivi politici - nonché alla luce della posizione di fiducia sul decreto-legge, per motivi cosiddetti tecnici.
La verità è che la maggioranza è sfilacciata, mostra tutte le proprie contraddizioni e si cerca di ridurre la politica soltanto ad abilità dialettica. Tant'è che le osservazioni che la massima autorità del paese, il Capo dello Stato, ha fatto rinviando questa legge alle Camere non hanno trovato alcuna risposta. Le osservazioni formulate dalla Corte costituzionale con la sua sentenza sono state assolutamente inevase e anche allorquando il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Cheli, ha affermato che, così com'è, questo decreto-legge è inapplicabile a questo non sono state fornite risposte precise e puntuali. A fronte dell'esigenza di garantire il pluralismo dell'informazione, registriamo solo l'abilità di sfuggire alle domande legittime propedeutiche al miglioramento che una opposizione vuole e deve conferire ai provvedimenti. Si dice che il nostro ostruzionismo è finalizzato in qualche modo a distrarre l'opinione pubblica dalle nostre divisioni sull'Iraq - ma non vedo cosa c'entra - e si tenta in qualche modo di spostare sempre più avanti la risposta, senza fornirla. Questo decreto-legge, al di là del merito, per come è formulato è applicabile? Il presidente dell'Autorità, che poi è l'organismo chiamato ad applicare questo decreto-legge, dice che non lo è. È garantito il pluralismo? È esauriente il testo? Tutte queste domande a noi sembrano ricevere risposte negative.
C'è un'altra osservazione che vorrei fare per sottolineare lo stato a cui in qualche modo la politica, mi riferisco alla politica parlamentare, è ridotta in questo paese. Anche qui alle domande non si danno risposte. Si tenta soltanto di mettere in atto, con abilità tecnica, i vari provvedimenti, sfuggendo alla ineludibile chiarezza che noi chiediamo allorquando poniamo domande. Si cerca, con artifici parlamentari, di spostare in avanti i termini della questione senza entrare mai nel merito e si vuole far apparire l'opposizione come quella che vuole chiudere Retequattro ed abolire la pubblicità su RAI 3. Noi non siamo contro qualcosa, noi siamo a favore del pluralismo, facciamo nostre le preoccupazioni che sono state espresse a più livelli istituzionali e in questo senso aspettiamo risposte.
Invece ci si risponde, con la complicità dei mezzi di informazione - e qui ci si rende conto dell'importanza del pluralismo e di come esso debba essere garantito - che l'opposizione è cattiva, che vuole
chiudere Retequattro, vuole abolire la pubblicità di RAI3, vuole mandare per la strada i lavoratori, come se questa fosse la nostra preoccupazione.
C'è un altro esempio nella cronaca di questi giorni. Quando il nostro presidente Castagnetti ha sottolineato come dall'agenda del calendario del Senato sia scomparso il provvedimento sul conflitto di interessi, il Presidente Pera ha risposto: un rappresentante di un ramo del Parlamento non può intromettersi in questioni che riguardano l'altro ramo. Ma ciò nonostante, devo dirlo, non c'è stata risposta. La domanda era: perché dall'agenda del calendario del Senato è scomparso il conflitto di interessi? Non c'è stata risposta!
PRESIDENTE. Onorevole Villari, per cortesia, evitiamo di parlare di quello che fa o non fa il Senato. Il nostro è un bicameralismo perfetto; nessuno, neanche la Camera, è al di sopra di ogni sospetto, però...
RICCARDO VILLARI. Presidente, forse la mia espressione non è stata felice. Il ragionamento che portavo avanti era il seguente. A me sembra che le domande, anche semplici, anche quelle assolutamente accettabili, meritino una risposta. Ho la sensazione che il metodo applicato sia quello di non rispondere mai nel merito, ma di trincerarsi sempre dietro a questa o a quella prerogativa. È un'osservazione che riguarda tutti gli esponenti politici, ma allorquando questo Governo pone la questione di fiducia anche sulla legge finanziaria, capiamo benissimo che evidentemente questo Governo e la maggioranza che lo sostiene sono in una crisi profonda. Questa crisi non appare, perché c'è il richiamo alla disciplina, però, obiettivamente, quando la legge Gasparri è tornata precipitosamente in Commissione, noi ci siamo resi conto di come, anche all'interno della stessa maggioranza che sostiene il Governo, vi siano dei «mal di pancia» chiaramente evidenti.
E anche quando si è posta la questione di fiducia su questo decreto-legge, è apparso chiaro come la blindatura sia nei confronti della stessa maggioranza e non nei confronti degli emendamenti, perché sappiamo che i tempi tecnici per portare avanti, per via ordinaria, questa legge c'erano! Invece si è scelta questa strada, che è mortificante.
L'ho detto e lo ripeto: io non mi sento mortificato in quanto costretto, per esprimere il mio pensiero, a parlare durante la notte o alle prime luci dell'alba. Io credo sia molto più mortificante il fatto che si sviliscano queste aule parlamentari, sottraendo loro quelle che sono in qualche modo le loro prerogative: un confronto sereno, domande, contributi, risposte precise, anche divergenze, che naturalmente sono assolutamente scontate nella dialettica parlamentare. Però vi deve essere il confronto e, invece, non c'è.
Sul merito del provvedimento mi sono già soffermato in altri interventi, ne hanno già parlato i colleghi che mi hanno preceduto e lo faranno quelli che seguiranno. Insomma, l'argomento è stato assolutamente trattato ed approfondito. Ciò che però mi preme sottolineare ancora una volta - e mi avvio alle conclusioni - è che, su un argomento di questa rilevanza, ci è stata sottratta ogni possibilità di contribuire al miglioramento. Credo sarebbe stato un atto dovuto da parte dell'opposizione, e il Governo avrebbe fatto bene ancora una volta a prendere in considerazione i contributi ed anche le diversità di opinioni dell'opposizione, affinché in questo provvedimento si tenesse conto delle preoccupazioni manifestate da tutti i livelli istituzionali, anche da quelli più alti: il pluralismo dell'informazione, la libertà di concorrenza, la garanzia di trasparenza. Questi sono gli obiettivi che noi intendiamo raggiungere e, dal momento che questo decreto-legge, così come è stato formulato, a noi sembra che non realizzi queste finalità, preannunciamo il nostro voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gambale. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, il Presidente del Consiglio Berlusconi, leggendo i risultati di un'indagine (cui, chiaramente, il nostro premier è molto sensibile), è apparso preoccupato per il fatto che gli sforzi operati in questa fase dal suo Governo e l'intera attività dell'esecutivo siano ricordati dagli italiani soprattutto per il provvedimento che ha introdotto la patente a punti.
Credo sia interessante questa sensazione provata dagli italiani, poiché ritengo che - per fortuna del Presidente del Consiglio - si tratti forse di uno dei pochi provvedimenti che ha interessato davvero gli italiani, mentre i restanti hanno riguardato, direttamente o indirettamente, o il premier, o i suoi amici di partito, o le sue vicende giudiziarie o gli affari delle sue aziende.
È evidente l'anomalia del nostro sistema politico: una conflittualità tra il potere politico e gli affari che il Presidente del Consiglio gestisce, facenti capo direttamente alla sua persona o alle sue aziende. È incredibile, ma questo è soltanto uno dei tanti provvedimenti, e purtroppo forse non sarà neanche l'ultimo, vista la sequela cui siamo stati abituati in questi due anni e mezzo di legislatura.
Vorrei ricordare soltanto il primo atto dell'attività dell'attuale esecutivo. Il primo Consiglio dei ministri, infatti, è stato caratterizzato da un'illegittimità e da una forzatura della legge: la nomina di un ministro in più rispetto a quelli previsti dalla riforma dei ministeri. C'è voluto il Consiglio dei ministri successivo per varare un provvedimento che sanasse questa prima illegittimità, con cui il Governo si è insediato.
C'è stata poi la triste sequela della legge sulle rogatorie, della depenalizzazione del falso in bilancio, della legge Cirami e del lodo Schifani: pagine non proprio felici della nostra attività legislativa. Si è poi passati alle cose più folkloristiche, quando Presidente del Consiglio si è cimentato anche nell'attività di ministro degli affari esteri: le corna nelle foto come atto simpatico per rallegrare la diplomazia internazionale, i consigli ai diplomatici (sorridete, mi raccomando, date un'immagine felice del nostro paese) e, purtroppo, gli insulti all'onorevole Schulz, che ci hanno reso molto noti in tutta l'Europa in occasione dell'insediamento del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea.
Ma l'Italia, il paese reale, sta da un'altra parte. Spero che il Presidente del Consiglio ogni tanto, visto che è così sensibile alle indagini, alle statistiche e ai sondaggi, si renda conto, a cominciare dall'ultimo rapporto dell'Eurispes, pubblicato in questi giorni, che il paese ha ben altri problemi. Il paese reale, purtroppo, spesso è qui fuori: dai vigili del fuoco ai medici, ai professionisti - che questa volta scendono in piazza - ai ricercatori ed ai docenti universitari. Stiamo assistendo, in questi giorni, a cose che non avevamo mai visto: non ci sono solamente gli operai qui fuori a protestare, ma ci sono anche i professionisti ed i ceti medi, e sono i docenti universitari - non più gli studenti! - ad occupare le università.
Davanti a tali avvenimenti, ritengo davvero incredibile che un Governo, un Parlamento e una maggioranza debbano attardarsi a risolvere continuamente i problemi personali del Presidente del Consiglio, dei suoi amici o delle sue aziende, senza affrontare concretamente quelli reali della nostra gente!
Vorrei affrontare anche il merito del presente provvedimento. Preannunzio che il mio voto sarà contrario, e lo sarà in maniera convinta, per tre motivazioni. In primo luogo, per l'evidente incostituzionalità del decreto-legge; in secondo luogo, per le evidenti carenze nel merito delle disposizioni proposte; infine, per ciò che, dal contenuto del provvedimento, si può dedurre sulla linea politica generale del Governo e della maggioranza in questo settore.
Questo decreto-legge, infatti, si è reso necessario in seguito al messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la cosiddetta legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento sul satellite
di una delle reti Mediaset (presumibilmente Retequattro) e l'eliminazione della pubblicità da una delle reti della RAI (presumibilmente RAI 3).
Era quanto prescriveva la Corte costituzionale già nel novembre 2002, quella stessa Corte costituzionale che, in questi giorni, è stata di nuovo oggetto di insulti e di critiche da parte del Presidente del Consiglio. Si tratta di quella stessa Corte che, purtroppo, è stata attaccata anche dal Vicepresidente del Senato - non me ne voglia il Presidente della Camera se ogni tanto ci rivolgiamo anche al Senato -, il quale ha sostenuto che 200 o 300 parlamentari contavano certamente più di quindici persone! È questa l'idea delle istituzioni che avete, purtroppo! Al di là dei numeri, non avete rispetto dei ruoli e della distinzione dei poteri!
Il decreto-legge ha il solo obiettivo di evitare la prescrizione della Corte. Risulta, così, totalmente mortificato l'insieme delle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente Ciampi.
Il decreto-legge non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, vale a dire uno dei fondamenti di tutte le democrazie moderne.
L'argomento dell'incostituzionalità basterebbe, da solo, a motivare il nostro voto contrario. Tuttavia, oltre all'incostituzionalità, c'è da considerare anche il merito del provvedimento. Da questo punto di vista, i problemi che il decreto-legge lascia aperti sono molti. L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo sui criteri per verificare la diffusione del digitale terrestre non sono un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante, quanto, piuttosto, sinonimo di mancanza di regole e, quindi, anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già previsto nell'ordinamento vigente e, soprattutto, che si parli di copertura e non di reale utilizzo del digitale terrestre o, almeno, di decoder venduti. Inoltre, prevediamo che sarà impossibile, per l'Autorità, definire quale sia il «prezzo accessibile» dei decoder e cosa significhi tale locuzione.
Troviamo molto grave che sia stata rifiutata la richiesta di chiarire le caratteristiche, la qualità, i generi dei programmi che verranno trasmessi in digitale. Vedrete che, purtroppo, saremo sommersi da canali digitali che trasmetteranno programmi di televendita e simili, alla faccia dell'arricchimento del pluralismo!
In più, il decreto-legge non prevede termini temporali essenziali, a partire dalla data entro la quale l'Autorità sarà chiamata ad adottare i provvedimenti sanzionatori. Da calcoli approssimativi, tale termine potrebbe sfiorare i 24 mesi.
Il presidente dell'Autorità, professor Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento che, nella sua attuale formulazione, il decreto-legge è sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha altresì sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti sarebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo attraverso l'introduzione del digitale terrestre, l'arricchimento del pluralismo alla data del 31 dicembre scorso. La maggioranza, però, ha dimostrato, sostanzialmente, di non volere tener conto delle indicazioni del presidente Cheli né delle sue preoccupazioni.
La maggioranza dimostra un'evidente disinteresse nei confronti delle indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Antitrust, ma anche di quelle del Presidente della Repubblica e delle precisazioni della Corte costituzionale.
I presidenti dell'Antitrust e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono stati ascoltati in Commissione. Essi hanno parlato chiaramente. Il messaggio del Presidente Ciampi l'abbiamo letto e l'abbiamo tutti apprezzato. Verso la sentenza della Corte, piaccia o no agli esponenti della maggioranza, abbiamo un solo dovere, in ossequio alla distinzione dei poteri dello Stato: rispettarne le indicazioni.
Tuttavia, cari colleghi, quella che ho appena espresso non è l'idea né del Governo né di questa maggioranza.
Questo decreto-legge, come la triste filiera degli altri provvedimenti che l'hanno preceduto, ha un solo obiettivo: addomesticare il mercato televisivo nazionale a favore di chi detiene una posizione dominante e ostacolare, in ogni modo, lo sviluppo di un reale, effettivo pluralismo dell'informazione.
D'altra parte, lo vediamo proprio in queste ore e in questi giorni: del dibattito che è in corso qui alla Camera non v'è traccia nei telegiornali nazionali. La vostra capacità di utilizzare, oltre alle reti di proprietà del Presidente del Consiglio, anche la RAI, in maniera, come al solito, monopolistica, è sotto gli occhi di tutti. L'obiettivo deve essere raggiunto a tutti i costi, anche blindando con la fiducia il provvedimento, così come avete fatto, per paura che potesse venire qualche modifica da questi banchi, a scrutinio segreto, attraverso il libero esercizio del diritto di voto da parte dei deputati della maggioranza. Ne avete avuto paura e lo avete impedito.
Siamo qui, oggi, ad esprimere il nostro voto convintamente contrario su questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la VII Commissione. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, avevo chiesto io di parlare per un richiamo al regolamento!
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, non c'è solo lei. Anche l'onorevole Bianchi Clerici mi ha chiesto di parlare per un richiamo al regolamento e lo ha fatto prima di lei.
Prego, onorevole Bianchi Clerici.
GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la VII Commissione. Grazie, signor Presidente.
Ho chiesto la parola per dovere di chiarezza. Nella lunga serie - legittima - degli interventi dei deputati dell'opposizione, cui abbiamo assistito con doverosa attenzione in queste ore, in questi giorni, mi è capitato di sentir dire alcune inesattezze, non tanto con riferimento al contenuto del provvedimento - trattandosi di opinioni personali, ciò sarebbe lecito - quanto alle procedure seguite durante il suo esame.
Voglio solo ricordare che il provvedimento è rimasto per due settimane presso le competenti Commissioni, che sono state svolte audizioni ed elaborate le relazioni da parte sia dei relatori sia del Governo, che sono state esaminate tutte le proposte emendative e che siamo arrivati, in piena regolarità di procedura, all'esame dell'Assemblea.
Ricordo ciò perché credo non sia giusto che anche chi ci ascolta da casa pensi che questo decreto-legge non sia stato esaminato e che sullo stesso non sia stato espresso il parere dei relatori, del Governo e della maggioranza.
Credo sia doveroso che tale precisazione resti agli atti.
PRESIDENTE. Onorevole Bianchi Clerici, il suo richiamo al regolamento, in realtà, è stato atipico.
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, magari distratto dalla telefonata, non si è reso conto che non si trattava di un richiamo al regolamento...
PRESIDENTE. Infatti, ho rilevato che il richiamo al regolamento dell'onorevole Bianchi Clerici è stato atipico.
ROBERTO GIACHETTI. Lei mi insegna che un richiamo al regolamento ha la precedenza sugli interventi di merito.
Quindi, avrei dovuto parlare per primo. Comunque, non fa niente. Non è una polemica.
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, l'onorevole Bianchi Clerici ha chiesto la parola per un richiamo al regolamento. A dire il vero, ha «deragliato», parlando per un minuto. Non ho avuto il tempo per interromperla.
Per quanto riguarda la distrazione a causa della telefonata, onorevole Giachetti, le sa che, soprattutto quando è lei a chiedere la parola, sono tutt'altro che distratto.
Ora può svolgere il suo richiamo al regolamento.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, se, quando chiediamo la parola per un richiamo al regolamento, avessimo l'obbligo di indicare l'articolo del regolamento cui ci richiamiamo, lei non avrebbe bisogno di ascoltare un minuto di intervento, ma potrebbe immediatamente stabilire se si tratti o meno di un intervento, appunto, per un richiamo al regolamento. Il mio è un richiamo all'articolo 39 del regolamento, prendendo in considerazione anche l'articolo 67 della Costituzione che recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione» - e questo ci onora - «ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
Faccio questo richiamo perché lei, Presidente, in forma gentile, come le capita di fare, ha richiamato il collega Villari a proposito del suo riferimento alle vicende del Senato.
Ovviamente, non voglio metterla in imbarazzo, signor Presidente, ma credo che ciascuno di noi, sia come libero cittadino sia nella funzione di parlamentare (in questo caso, di deputato) ha tutto il diritto di esprimere le proprie valutazioni sulle conseguenze politiche dello svolgimento, in un senso o nell'altro, dell'iter di un provvedimento nell'altro ramo del Parlamento. Nessuno può pensare di non essere sottoposto a critiche, tanto più dal Parlamento, neanche il Presidente del Senato. Credo che ciascuno di noi possa liberamente esprimersi in una materia non solo convergente con l'argomento che stiamo trattando, ma anche ad esso attinente. Proprio perché l'unico motivo di un suo richiamo nei confronti di un intervento che si sta svolgendo può essere l'estraneità all'argomento in discussione, ricordo che il conflitto di interessi è un tema tutto interno all'argomento ora al nostro esame.
Signor Presidente, la vedo particolarmente sensibile; ma, quando lei veniva linciato dal vicepresidente Calderoli durante «l'indultino», non ho visto il Presidente del Senato prendere posizione a difesa della sua persona (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, nessuno vuole impedire il legittimo diritto di critica. Ci mancherebbe altro! È consentito, in una democrazia parlamentare come la nostra.
Effettivamente, il Presidente del Senato, ieri, si è adombrato per un intervento dell'onorevole Castagnetti (ho letto il resoconto stenografico; proprio in quel momento, infatti, avevo lasciato il banco della Presidenza per raggiungere l'ambasciata della Santa Sede): l'intervento era formulato in termini tali da indurre la Presidenza (lo ha fatto, ieri sera, l'onorevole Fiori, anche da parte mia) ad esprimere solidarietà al Presidente del Senato, solidarietà che certamente rinnovo, tenendo presente che vi è una questione di garbo, di stile cui certamente abbiamo tutto l'interesse ad attenerci.
Le critiche sono sempre possibili - ci mancherebbe altro -; anche quelle che mi rivolge l'onorevole Calderoli, che certamente rispetto ed ascolto con grande attenzione, almeno per quanto mi riguarda.
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, intervengo per una precisazione di sostanza. Quando, ieri sera, è stato letto l'annuncio della Presidenza sull'incidente
- annunzio puntualissimo che chiariva esattamente i termini dei rapporti tra Camera e Senato -, ho preso la parola per fare gli elogi della Presidenza.
PRESIDENTE. L'ho sentita alla televisione, perché ero sintonizzato sul canale della Camera dei deputati in diretta.
ANTONIO BOCCIA. Poiché avevo ascoltato bene e ho letto il testo, l'ho interpretata come una difesa del nostro presidente di gruppo Castagnetti delle prerogative dei deputati di esprimere una loro opinione.
PRESIDENTE. Ho formulato io il comunicato, in collaborazione con l'onorevole Fiori, e devo dire che si trattava di una espressione di solidarietà al Presidente del Senato, nella rinnovata consapevolezza che vi è un diritto di opinione per tutti parlamentari e anche per il presidente del suo gruppo. Io ero stato molto contento invece del suo intervento e debbo dire che la contentezza di ieri si associa all'amarezza odierna.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Letta. Ne ha facoltà.
ENRICO LETTA. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, la discussione che è in atto in Parlamento da alcuni giorni ha degli aspetti di gravità e di difficoltà per ognuno di noi, ma è una discussione che non avrebbe bisogno di toni così gravi se non fosse che, in aggiunta alla difficoltà nel merito e alle gravi carenze che nel merito il provvedimento in questione comprende, il decreto-legge interviene in un momento particolare della vita economica del nostro paese. Il nostro paese da ormai tre anni a questa parte vede il segno «meno» accanto alle cifre più importanti che descrivono le sue dinamiche di crescita, le sue dinamiche legate alla produzione industriale, le sue dinamiche legate all'attività reale dell'economia. Il nostro paese da tre anni sta vivendo una situazione di reale difficoltà per le sue dinamiche di sviluppo; soprattutto, il paese ha cominciato a far parlare in molti del termine di declino come concetto rischioso, pesantemente rischioso, rispetto ad un'economia ferma, ad un'economia che ha fatto impoverire molte famiglie, ad una capacità di fare crescita economica che sia una crescita economica reale. Ora, queste dinamiche non sono soltanto legate ovviamente alla situazione di difficoltà tutta italiana, ma sono dinamiche legate alle difficoltà dell'economia internazionale; tuttavia, quello che ci colpisce in questo momento - e lo vogliamo rimarcare con grande forza - è che, mentre il paese è fermo economicamente e in difficoltà, con il segno «meno» accanto alle più importanti statistiche che riguardano la sua produzione industriale, le politiche che il Governo mette in campo in un settore che è uno di quelli chiave per lo sviluppo del presente e del futuro, cioè il settore delle telecomunicazioni e in particolare il settore della televisione, rappresentano delle scelte gravemente lesive delle capacità di recupero, di sviluppo, di crescita, di apertura. Infatti, il provvedimento di cui stiamo parlando rappresenta il trionfo della logica monopolistica e oligopolistica. Come è noto, nelle situazioni di difficoltà economica, la necessità che un paese ha è quella di aprirsi alla concorrenza, di immettere nuovi investimenti, di aprire la possibilità di ingresso di nuovi soggetti, di lavorare perché non sia la logica di protezione esclusiva dei soggetti presenti e preesistenti quella che prevale. Proprio in un momento come questo, invece di parlare dell'economia reale e della crisi economica reale che il nostro paese sta vivendo, di crisi del risparmio, di crisi degli investimenti, di difficoltà finanziarie reali delle famiglie e delle imprese, di difficoltà concorrenziali sempre più forti, il nostro Governo non trova scelta migliore che mettere al centro dell'agenda politica parlamentare un provvedimento di natura economica che nulla ha a che fare con queste situazioni di difficoltà e con la necessità di trovare soluzioni serie, utili, positive, di rilancio in avanti della nostra economia.
Invece, scegliendo un settore, quello delle telecomunicazioni, così nevralgico e vitale per il futuro di un paese come il
nostro, questo Governo sceglie di incentrare tutta la sua attenzione attorno ad un provvedimento che ci riporta indietro di vent'anni. È un provvedimento che riporta il nostro paese indietro di decenni rispetto alla necessità di capire che proprio un settore come quello delle telecomunicazioni ha bisogno di investimenti che ne facciano cambiare sostanzialmente la dinamica. Invece, torniamo indietro di vent'anni!
Signor Presidente, le faccio notare come, grazie a questo provvedimento, compiamo un unicum nella storia della televisione mondiale: non c'è paese al mondo in cui il telecomando, che ognuno di noi tiene in mano quando accende la televisione, sia lo stesso di vent'anni fa. La mia non è una barzelletta, ma è la realtà. Il nostro telecomando ha i primi tre canali che corrispondono alle reti della RAI; il quarto, il quinto e il sesto corrispondono alle reti di Berlusconi ed il settimo corrisponde alla rete che, quando eravamo ragazzi, si chiamava Tele Capodistria, poi è diventata Tele Montecarlo e adesso si chiama La 7 (insomma, è un settimo soggetto).
Oggi con questo provvedimento ritorniamo al telecomando di vent'anni fa. Con questo provvedimento blocchiamo ulteriormente una situazione che solamente in Italia è ferma da vent'anni a questa parte. Credo che vi sia la necessità di riflettere attorno al blocco di una situazione gravissima come quella che le telecomunicazioni italiane stanno vivendo e che alla fine ci renderà in prospettiva tutti più poveri.
ENRICO LETTA. Allora, con questo provvedimento riportiamo il telecomando a vent'anni fa: i primi tre pulsanti per la RAI, gli altri tre per Berlusconi e poi ve ne è un settimo che gioca da jolly, purché sia piccolo e marginale.
Ebbene, non c'è paese al mondo in cui per vent'anni il telecomando sia rimasto lo stesso, così come capita a noi oggi. Soprattutto, rispetto alle dinamiche che si stavano verificando, per legge noi riportiamo quel telecomando ad essere uguale a vent'anni fa. Portiamo le lancette della storia economica del nostro paese di vent'anni indietro e già allora quelle lancette erano ferme per pressioni politiche. Oggi rinnoviamo quella storia e voi oggi, attraverso una decisione politica grave, che va contro le leggi dell'economia, riportate le lancette della storia economica del nostro paese indietro di vent'anni.
Lo fate contro ciò che hanno detto tutte le Autorità indipendenti del nostro paese, lo fate contro le indicazioni dell'Antitrust, contro le indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, contro le indicazioni di tutti coloro che guardano alla necessità di un mercato libero in Italia. Questo è un elemento di grande pesantezza e di gravità che vi porterete dietro per molto tempo rispetto alla responsabilità che vi assumete. Ad esso, vorrei aggiungerne un secondo, prima di concludere: mi riferisco al fatto che, come noto, la situazione di conflitto di interessi, che rappresenta l'unicum, e la particolarità della vicenda personale del primo ministro, vivono una tappa che è di estrema gravità.
Ciò non sarebbe così grave, se non fosse che, contemporaneamente, il Parlamento, come tutti sanno, affronterà una nuova normativa in materia di tutela del risparmio e di tutela del sistema finanziario, che in uno dei suoi articoli più importanti disciplinerà le modalità con cui sciogliere i conflitti d'interessi nel sistema bancario e finanziario del nostro paese.
Con quale credibilità il Governo, presieduto dal titolare del più grande conflitto di interessi del nostro paese, potrà essere credibile nel chiedere agli italiani di sciogliere i loro conflitti di interessi nei rapporti delle banche con le imprese e nei rapporti degli imprenditori con i sistemi finanziari? Con quale credibilità tutto ciò potrà avvenire? Questo è il punto grave della situazione del conflitto di interessi: qui non si tratta esclusivamente delle personali possibilità di arricchimento o di guadagno che il primo ministro in situazione
di conflitto di interessi riesce a trovare, ma del fatto che tale situazione limita la sua capacità di essere credibile nelle azioni che intraprende.
Come potrà un Capo del Governo, un primo ministro che è titolare del più grande conflitto di interessi spiegare agli italiani che il prossimo articolo del disegno di legge sulla tutela del risparmio, che «scioglie» i conflitti di interesse, dovrà essere applicato? Con questo voto di fiducia voi vi assumete questa ulteriore e grave responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, del Misto-Socialisti democratici italiani e del Misto-Verdi-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se avessi saputo che avevo l'opportunità di averla in questo momento come Presidente dell'Assemblea, le confesso che mi sarei impegnato nello scrivere un sonetto di maggiore levatura rispetto a quello che ho pronunciato, con una mediocre filastrocca, l'altra sera in quest'aula: lei, infatti, meriterebbe indubbiamente qualcosa di più elevato. Tuttavia, le dico che l'atmosfera è triste, non è tempo di rose e fiori e c'è bisogno di prendere atto di un clima sempre più avvelenato che certe sconsiderate dichiarazioni creano nel nostro paese.
Siamo di fronte ad un'occasione che è mancata; peraltro, vedo che il vero attaccamento degli uomini di Governo al sistema delle telecomunicazioni è il telefono, perché essi sono permanentemente al telefono. Non è che si possa chiedere attenzione, perché d'altra parte sarebbero frasi che scorrono sull'acqua, così, senza lasciare traccia, anche forse per colpa nostra.
Parlavo di un'occasione nella quale, soprattutto la maggioranza aveva interesse a trovare una soluzione comune per dare un assetto legislativo al problema dell'informazione ed anche alla questione più specifica, che peraltro è singolarmente scomparsa dal dibattito, e sulla quale pure si incentra il progetto di legge Gasparri, ovvero il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale.
Questo capita quando si è ossessionati dall'esigenza di tutelare interessi di parte; così, si imboccano le strade peggiori. Non c'è lungimiranza e non c'è strategia.
Eppure, vi erano stati i pronunciamenti, i suggerimenti e le indicazioni che negli anni scorsi, non ieri, erano venuti - e mi rivolgo soprattutto a lei, signor Presidente, che so essere sensibile rispetto a questi problemi di ordine giuridico -, dalle sentenze della Corte costituzionale, anche quando questa Corte era composta in maniera diversa. Vi erano state poi le indicazioni delle Autorità delle comunicazioni e della concorrenza, gli indirizzi del Parlamento europeo e del Consiglio europeo: tutto dominato dal mondo comunista? E soprattutto vi era stato il punto di vista espresso con grande pacatezza dal Presidente della Repubblica.
Questi elementi costituivano punti basilari sui quali si potevano costruire le soluzioni giuridiche. V'erano peraltro studi e ricerche, che indubbiamente il rappresentante del Governo conoscerà, sulle esperienze straniere, internazionali ed europee, che offrivano un filo conduttore utilissimo per le più appropriate soluzioni di carattere tecnologico.
Si è invece preferito, secondo la tecnica che sempre più diventa la «cifra» di questo Governo, l'arrembaggio e poi le «toppe». Questo decreto-legge infatti rappresenta una cattiva «toppa», e su di essa ovviamente esprimerò voto contrario, in quanto avrebbe potuto servire per affrontare i problemi reali del nodo costituito dal sistema dell'informazione. Peraltro, la proroga era stata un suggerimento che era venuto dalle nostre file, dimostrando in tal modo la volontà di offrire una collaborazione positiva.
Ora, la situazione è confusa, il clima ancora più avvilente: ripeto, per l'insensatezza di dichiarazioni che minano le istituzioni.
Per questa ragione, non ci divertiamo più, perché tali espressioni minano lo Stato di diritto.
Quando si attacca la Corte costituzionale in modo così violento, si attaccano i fondamenti dello Stato repubblicano, che creano tensioni ed alterano le stesse regole del confronto.
Secondo la visione del leader della maggioranza, il confronto significa sottomissione alle regole dettate dal padrone. Forse, la confusione è gradita, certo con poco vantaggio della democrazia.
Se la legge Gasparri aveva l'obiettivo di ampliare il pluralismo del sistema radiotelevisivo giovandosi delle tecniche del digitale, era una conseguenza inevitabile affrontare con decisione il duopolio RAI-Mediaset. Il nodo principale, a questo punto, non era - lo dico con molta franchezza - quello di mandare Retequattro sul satellite, anche se il nome di Fede è più congeniale al cielo che alla terra (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo), e togliere la pubblicità a RAI3. Il problema vero sul quale, onorevoli colleghi, a mio avviso dobbiamo insistere è quello di liberare le frequenze che sono state sequestrate dai due poli.
È in tale campo che si realizza quella che con formula efficace uno dei massimi esperti del settore, il professor Sassano, ha definito la geometrica potenza del duopolio. RAI e Mediaset utilizzano 1.500 trasmettitori per rete quando potrebbero bastarne, secondo l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, meno di 500, liberando così frequenze da utilizzare nei nuovi sistemi operativi. Su questo, invece, si tace, anzi, si cerca di aumentare la rissa perché in tal modo si crea confusione e con la confusione si occultano le vere intenzioni.
Il piano analogico del 1998, naturalmente, è sparito e si è detto che bisogna aspettare il nuovo piano del digitale. Vorrei seguire tale ragionamento. Era giusto seguire il criterio dell'avvento del digitale terrestre, ma a che punto siamo, signor sottosegretario? Ci può dire qualcosa? Credo che sappiate poco anche perché il vostro Ministero non è attrezzato a sapere nulla sulla qualità e la proprietà di ogni singola frequenza in ogni singolo impianto attivo, che sarebbe la premessa per costituire un piano. Senza tale quadro non è possibile un avvio del digitale a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie.
È stato ripetuto anche poco fa dal collega Letta che Mediaset ha guadagnato da tale situazione. Perché, dove non guadagna Mediaset? Mediaset guadagna ovunque, questa è la realtà politica ed economica che si è realizzata nel nostro paese. Mediaset guadagna con banche, assicurazioni, e così via. Dunque, lasciamo stare i guadagni. Sono più interessato, invece, a capire quali siano le condizioni per potere dispiegare il piano digitale, che è stato reclamizzato e propagandato ma che è bloccato, che Gasparri ritiene essere la soluzione del problema del pluralismo.
Non sarà nessuna realtà nuova ad emergere. Ministro Gasparri - è assente: naturalmente, quando si tratterà di approvare la legge verranno in questa sede tutti i ministri e, finalmente, faremo la sagra ministeriale - questo sarà solo un brutto anatroccolo.
Il ministro sembra credere ad un passaggio istantaneo dall'analogico al digitale. Il buon senso dice il contrario. La transizione non può che essere graduale e, peraltro, non è stata neppure preparata. Quante frequenze sono state recuperate dal duopolio? Delle 23.506 frequenze utilizzate, una quantità enorme rispetto a quella della Germania e della Francia che sono la metà, quante sono rese disponibili? Il sottosegretario Baldini, sicuramente, non lo sa, anche se mi guarda con qualche sufficienza. Signor sottosegretario, lei ha un sorriso simpatico e discreto, quindi ci tengo alla sua attenzione. Vorrei sapere quante delle frequenze libere sono disponibili e qual è la qualità di tali frequenze.
Si dice che si vuole ampliare con il digitale il pluralismo, ma tutto resta sulla carta, un flatus vocis, se non si affronta il nodo del duopolio che ha sequestrato l'etere. L'etere che appartiene a tutti, che
è stato dato agli uomini ed alle donne, è sequestrato oggi da un duopolio e, naturalmente, l'osso non viene mollato.
Non credo, tuttavia, ci sia la volontà di affrontare la questione, perché ci si acquieta sotto le grandi ali del condono (anzi dell'autocondono), voluto da chi è padrone e continua a manipolare verità e menzogne. Se non si affronta l'asimmetria della distribuzione delle frequenze - insisto -, egli continuerà a sfornare decreti e «pastette» (come dicono al Sud), sempre rincorrendo e illudendo.
È abbastanza evidente, infatti, come osserva sempre autorevolmente il professor Sassano, che, con riferimento all'asimmetria di distribuzione delle frequenze - lo dico all'onorevole relatrice, che ha richiamato la cura procedurale con la quale è stato esaminato il decreto; peraltro, mentre la relatrice (che è sempre una persona molto discreta e simpatica) parlava, pensavo: avete esaminato così bene il decreto e avete commesso l'errore di portarlo avanti in questo modo? Sarebbe stato meglio esaminarlo un po' più superficialmente, perché in un certo senso così la colpa aumenta -, le frequenze analogiche resteranno nella disponibilità dei duopolisti, che non avranno alcun interesse a smantellare le proprie reti analogiche, per consentire la convergenza sul piano digitale. Ci troveremo così in presenza di una situazione, che motiva la gestione diretta delle frequenze da parte di un broadcaster, cioè la possibilità di controllare lo sviluppo del mercato. Per concludere, a questo punto sarà bene ammettere che la data del completo passaggio al digitale verrà decisa dai duopolisti, che il piano digitale dell'Autorità garante non verrà mai applicato e che i piccoli e i medi broadcaster analogici verranno trattati, dai duopolisti, come naufraghi di un immenso naufragio e così tirati a bordo. Il rischio, appunto, è quello che vi sia un immenso naufragio, non solo dei piccoli e medi broadcaster, ma anche della democrazia del nostro paese.
Vorrei dire, con molta franchezza, che quando sento parlare della Casa delle libertà mi indigno perché la parola «libertà» è una parola sacra; in questo caso, invece, si invoca la libertà, ma in realtà la si restringe (anzi, le si annullano gli spazi). Non può essere questo il cammino da seguire, bensì quello di combattere veramente per la libertà e poiché i miei versi non sono piaciuti, voglio citarne uno - un emistichio -, che potrà piacere anche alla collega relatrice, perché tratto da Il giuramento di Pontida, di un poeta molto noto nell'Ottocento e poi anche nei nostri anni. Questo verso dice che la libertà «non è premio d'inerte desir». Non è granché, ma è qualcosa. Il problema è che non deve essere inerte, ma se si è inerti di fronte al desir del ser, la libertà è perduta (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pasetto. Ne ha facoltà.
GIORGIO PASETTO. Debbo confessare che durante queste lunghe notti di dibattito, insieme ad altri colleghi, non soltanto dell'opposizione ma anche della maggioranza, ci siamo posti un interrogativo, che credo sia lo stesso interrogativo che, in qualche misura, si pongono gli italiani in queste ore, nonostante essi abbiano una grande difficoltà a percepire quello che sta accadendo nella massima istituzione democratica del paese, il Parlamento, stante l'oscuramento che è stato imposto alle reti radiotelevisive, non soltanto quelle di proprietà di Berlusconi, ma anche quelle del sistema pubblico, rispetto alla natura e alla ragione di questo nostro dibattito.
Dunque, ho tentato, e tento nuovamente, di dare una motivazione del perché facciamo tutto questo. Non si può liquidare il tutto, invocando l'ostruzionismo. Sappiamo benissimo che c'è stato il voto di fiducia, che abbiamo illustrato e votato gli ordini del giorno, che adesso stiamo facendo le dichiarazioni di voto finale e che arriveremo, o meglio arriverete, con una maggioranza blindata, a votare il provvedimento.
La ragione di tutto ciò, a mio avviso, risiede nello scarto tra il provvedimento, la
sua natura, il suo spessore, la sua incidenza sul sistema democratico, il conflitto di interessi che si porta dietro, la salvaguardia del pluralismo e la determinazione, la pervicacia, il rifiuto di qualsiasi confronto, anche sugli ordini del giorno presentati, da parte del Governo e della maggioranza.
Il confronto si riduce al nulla. Come si fa a dire che si tratta di un voto di fiducia tecnica? È stato introdotto un altro meccanismo: non vi è solo la fiducia politica che si esprime con un «sì» o con un «no» al Governo. Vorrei che l'amabile sottosegretario ci spiegasse cosa sia la cosiddetta fiducia tecnica.
La verità è che questo provvedimento è teso, da una parte, a garantire gli interessi personali del proprietario di Retequattro e non solo (di questo si tratta) e, dall'altra, ad umiliare il Parlamento (è un altro aspetto di rilevanza democratica).
Il problema non è tanto il numero delle richieste di voto di fiducia, quanto la natura dei provvedimenti sui quali la questione di fiducia è stata posta nel corso della legislatura (stiamo esaminando le questioni a tale riguardo). In tal modo, si svuota il Parlamento delle sue prerogative fondamentali e mi riferisco al diritto alla libertà, al pluralismo ed all'autonomia.
Si tratta di ristabilire, sotto il profilo della verifica, il primato di Berlusconi sulla maggioranza. I 160 ordini del giorno, che sono stati dichiarati ammissibili (bisogna darne atto alla Presidenza, anche se ne erano stati presentati qualcuno in più), hanno una natura propria, non impropria.
In questo dibattito, stiamo dimostrando (e non lo dico per un senso di appartenenza ad un gruppo), di attenerci al merito della questione. Non ci siamo presentati, come è avvenuto nella passata esperienza legislativa, con fogliettini prestampati. Ognuno di noi ha compiuto uno sforzo di approfondimento, ragionando sulle questioni in esame e tentando di influire anche attraverso gli ordini del giorno che sono stati presentati.
È possibile che nessuno dei 160 ordini del giorno fosse stimabile ed accettabile da parte della maggioranza, considerato il loro contenuto di merito? Questo è ciò che fa paura, ma che non si deve scalfire, nemmeno di fronte ad ordini del giorno o ad indicazioni che il Parlamento poteva dare. Siamo di fronte ad una questione non tecnica, ma di carattere politico.
Ha ragione l'onorevole Gerardo Bianco, il quale ha mostrato la ricchezza del merito delle questioni. I nostri interventi rappresentano una ricchezza rispetto alle problematiche affrontate in questi giorni nel corso del dibattito, teso ad incidere, non diciamo al cuore, perché chi ci ascolta ed è dall'altra parte non ha cuore, perché pensa al corpo, ma alle questioni concrete del provvedimento, vale a dire alla difesa ad oltranza ed irreversibile del sistema radiotelevisivo di Berlusconi.
Altro che fiducia tecnica, caro ministro Giovanardi. La verità è quella che, con molta più onestà intellettuale e politica, ha riconosciuto il vicepresidente, onorevole Fiori, quando ha affermato che la richiesta del voto di fiducia è la prova (non so se gli faccio del bene)...
PRESIDENTE. Non credo.
GIORGIO PASETTO. La verità fa sempre bene, soprattutto la capacità di analisi politica. La richiesta del voto di fiducia, riconosceva Fiori, è la prova che la verifica non è terminata. Lo sappiamo benissimo.
Basta guardare quanto sta accadendo in queste ore al Senato. La verità è che Berlusconi non si fida più della sua maggioranza - soprattutto quando si devono affrontare gli aspetti relativi al sistema radiotelevisivo - e che i voti segreti sulla legge Gasparri lo hanno spaventato, facendogli capire che non tutto può essere comprato e piegato e che, nel libero confronto, le coscienze si liberano, votano democraticamente.
Allora, ecco apparire all'orizzonte un secondo tempo di questa imposizione. Il ministro delle comunicazioni, già nelle ultime ore, ha annunciato che sarà necessario porre la questione di fiducia anche sulla legge Gasparri - che è questione estremamente più complessa - e, possibilmente, ciò dovrà avvenire prima di
giugno. Ciò perché non si sa mai quale potrebbe essere il risultato delle elezioni europee e l'atteggiamento delle forze della maggioranza, dunque appare più comodo blindare anche questo provvedimento.
Queste sono le vere questioni e non è vero, come afferma il Presidente del Consiglio, che occorre occuparsi di mille problemi! La IX Commissione è inchiodata da oltre un anno su questi provvedimenti, mentre non vengono affrontate le questioni relative all'Alitalia, al trasporto aereo, alla sicurezza, alle ferrovie; non si affronta nulla perché il primato va riconosciuto assolutamente alle questioni riguardanti le televisioni del Presidente del Consiglio. Dunque, le ragioni del programma finiscono per far perno sulla questione fondamentale relativa al controllo del sistema radiotelevisivo. Non si tratta di mettere al riparo una o due reti, si tratta di rideterminare il dominio sul sistema radiotelevisivo del nostro paese e ciò deve avvenire all'indomani dell'apertura della campagna elettorale.
La verità, nel merito, è che questo decreto-legge non contiene una semplice proroga, è un vero e proprio salvataggio in grande stile, è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale, secondo la quale una rete privata sarebbe dovuta passare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
È vero che il provvedimento in esame affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria.
Attraverso questo decreto-legge, il Governo e la sua maggioranza, con arroganza, non eludono soltanto le sentenze della Corte costituzionale e il messaggio del Presidente della Repubblica, ma calpestano entrambi i provvedimenti; questo è il dato! Non solo sono state totalmente ignorate tutte le ragioni evidenziate durante le audizioni, ma vengono calpestate le sentenze della Corte e la nota del Capo del Stato.
In questo decreto manca l'indicazione dei termini entro i quali debbono essere adottati i provvedimenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e non è previsto alcun potere sanzionatorio in capo a tale Autorità.
Cosa significa esattamente il termine la «popolazione raggiunta»? In questo senso, chiedo al sottosegretario Baldini se conti la copertura o l'effettiva ricezione del digitale. Troviamo davvero singolare che sia richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 e non del 80 per cento, come già previsto dall'ordinamento vigente, e soprattutto che si parli di copertura e non di reale utilizzo anche perché si tratta di due cose completamente diverse. Chi ci garantisce che da parte dell'utenza ci sarà la volontà di accedere al digitale? Da ciò deriva che i parametri su cui l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà svolgere la propria istruttoria sono del tutto aleatori.
Si tratta di una mistificazione, di un provvedimento, che si fonda su un dato sostanzialmente virtuale, che è, nel merito, antidemocratico e antipopolare perché non garantisce neanche le fasce più povere e più marginali del paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Democratici di sinistra-L'Ulivo).
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