Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 425 del 17/2/2004
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Si riprende la discussione del disegno di legge n. 4645 (ore 7,17).

(Ripresa dichiarazioni di voto finale - A.C. 4645)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Petrella. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PETRELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è in verità con molto imbarazzo e vergogna che prendo la parola in quest'aula che rappresenta il popolo italiano e che ha visto gli uomini più prestigiosi e autorevoli del nostro paese intervenire e legiferare, nel solo interesse di tutti cittadini.


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Mai avrei pensato, quando sono stato eletto deputato, di dover assistere ad uno spettacolo così squallido moralmente, culturalmente e politicamente. Mai avrei pensato che oltre 300 deputati sarebbero stati, usando un termine tecnico, lobotomizzati, resi incapaci di intendere e di volere per sottostare alla volontà di un signore che, da una delle sue dimore della Sardegna o di Roma, dà l'ordine a tutti e tutti debbono obbedire, nessuno escluso, ministri, sottosegretari, parlamentari e segretari di partito. Mai avrei pensato che, in un paese democratico come il nostro, il Parlamento venisse considerato addirittura un intralcio e un'inutile perdita di tempo. Mai avrei pensato di discutere di interessi privati di qualcuno, tanto più di un Presidente del Consiglio.
È sotto gli occhi di tutti gli italiani che, ormai, è stato superato ogni limite di decenza. Invece di discutere di provvedimenti che riguardano tutti i cittadini, il Parlamento è prigioniero di interessi privati di un potente uomo di affari.
Signori del Governo, è veramente ridicolo che la cosiddetta Casa delle libertà, come stiamo leggendo, anche oggi, sui quotidiani, sia la Casa della libertà di evadere le tasse, come incita il Presidente del Consiglio. Giustamente, alcuni autorevoli rappresentanti della maggioranza, dotati ancora di intelletto, hanno detto che la legge è uguale per tutti e bisogna rispettarla; invece il Presidente del Consiglio ingiuria la Corte costituzionale come luogo di sovversivi o vede comunisti ovunque, senza accorgersi che gli unici comunisti rimasti li ha presi lui in servizio stabile.
Ebbene, è assurdo che tutto questo avvenga e che, nello stesso tempo, qui, alla Camera dei deputati, venga portato una legge che cura solo gli interessi del Presidente del Consiglio, che siano stati annullati e bocciati tutti gli emendamenti e tutti gli ordini del giorno i quali, quanto meno, volevano mettere una pezza su questa legge che non fa altro che arricchire maggiormente questo Presidente.
Ieri, il presidente del mio gruppo parlamentare ha dimostrato, con dati inoppugnabili, e non frutto della fantasia del Presidente del Consiglio, che, solo in tre giorni, le azioni della Mediaset hanno reso al Presidente e alla sua famiglia un introito incredibile, mortificando chiaramente l'imprenditoria privata, l'altra imprenditoria sana del nostro paese, che non ha alcuna possibilità di emergere in un settore del genere.
E questa dovrebbe essere la Casa delle libertà? Debbo dire la verità, signor Presidente, abbiamo assistito a qualcosa di veramente vergognoso quando ieri il Presidente del Consiglio, alla radio, ha sproloquiato, dicendo di tutto di più e di peggio ed ha annunciato la sua candidatura alle europee. Diciamoci la verità, ha fatto un doppio imbroglio, perché ciò significa da un lato ingannare gli elettori e dall'altro prendersi gioco delle istituzioni europee.
Con l'annuncio dato ieri, ove mai ce ne fosse bisogno, ha dimostrato ancora di più la sua propensione al raggiro. Non solo; come sappiamo tutti, non potendo abbassare le tasse, cosa che aveva promesso e sottoscritto in televisione, davanti al suo maggiordomo, nel famoso contratto con gli italiani, altra gigantesca truffa a loro danno, cosa fa il nostro premier, che il Guatemala, il Togo, Haiti, e tante altre nazioni ci invidiano? Ne inventa un'altra delle sue e dice che, immediatamente con la prossima finanziaria e successivamente nel 2006, porterà la pressione fiscale ad appena il 33 per cento, sapendo benissimo che tutto ciò non può avvenire. Qualsiasi modesto ragioniere o persona incompetente di economia lo può dimostrare facilmente.
Questa non è poi la cosa peggiore. La cosa peggiore fatta ieri è l'aver comunicato agli italiani che, con la pressione fiscale del 50 per cento, ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere; ha detto proprio questo. Il messaggio che ha inviato a tutti i cittadini italiani è chiaro: cari connazionali, evadete, evadete, evadete quanto vi pare, perché ne siete moralmente autorizzati e vi autorizzo io; ovvero, frodate pure il fisco, perché vi autorizzo moralmente io e, poi, perché il ministro Tremonti chiude un occhio, anzi li chiuderà


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tutti e due, e vi regaleremo poi un altro bel condono. Fortunatamente per lui, il Presidente del Consiglio ha un ministro che è anche il suo commercialista ed, evidentemente, insieme sanno bene come si possono eludere le tasse.
Stiamo assistendo a qualcosa di vergognoso e questo è l'unico luogo nel nostro paese dove stiamo facendo un'opposizione democratica. Si voleva impedire anche questo, ossia di parlare sulla legge vergogna, insieme alle altre leggi vergogna che, purtroppo, sono già state approvate in questo Parlamento, vedi il lodo Schifani, il rientro dei capitali all'estero, un'altra cosa che ha incitato molto gli italiani ad evadere ed a portare fuori le risorse del nostro paese, che, invece, potevano essere utili se investite in Italia; anche questa è stata una truffa perché i soldi rimangono all'estero, si paga una minima tassa e ognuno dei cittadini, che ha portato i soldi fuori, continuerà a fare quello che vuole.
Ancora una volta, l'unica questione che vede quest'uomo sono solo i propri interessi personali. D'altra parte, perché fa questo? Perché vede che, ormai, è disperato ed essendo consapevole di essere entrato nella parabola discendente della popolarità e anche dell'apprezzamento da parte dei cittadini, è disposto ad ogni prepotenza ed abuso pur di risalire la china della popolarità.
Penso che sarà però molto difficile e noi, tra poco, signor Presidente, assisteremo a qualcos'altro di altrettanto e, se vogliamo, ancora più vergognoso: l'abolizione della par condicio. Una delle persone più ricche d'Europa - sinceramente mi fa piacere per lui e per la sua famiglia - con i mezzi che ha, pretenderà di essere l'unica persona che in grado di fare pubblicità, essendo il suo partito un partito azienda, mentre tutti gli altri piccoli o grandi partiti, che non hanno questa possibilità economica, saranno costretti a sottostare a ciò. Mi rivolgo ai parlamentari della maggioranza e a coloro che hanno ancora un cervello per ragionare e per poter dire di dover impedire con forza questo ulteriore scempio della democrazia che si vorrà fare.
Ebbene, questo decreto-legge, cosa dimostra, ancora una volta, signor Presidente? Dimostra la cultura autoritaria, non democratica vera, una cultura peronista di questo Presidente del Consiglio, che difende il monopolio televisivo privato con leggi e decreti da approvare a colpi di fiducia, anche contro la propria maggioranza parlamentare, trasformando, così, il conflitto di interessi in un conflitto con l'insieme delle istituzioni in cui si esprime la stessa sovranità popolare.
Ciò dimostra, signor Presidente, l'arroganza di questo Governo e, quindi del Presidente del Consiglio che chiede la fiducia su questo provvedimento non certo per operare la riforma del sistema televisivo, bensì solo per salvare una sua televisione.
D'altra parte, questo è il messaggio che dobbiamo inviare agli italiani: vi è la paura, nonostante cento parlamentari in più, di questa maggioranza che sa che, con un voto segreto, avrebbe perso. Tanti parlamentari, ormai, non ce la fanno più a subire il fatto di non poter fare politica, ma solo di dover eseguire ordini.
Ecco perché, signor Presidente, tutto ciò è indecente, immorale, inaccettabile e politicamente inqualificabile (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.

ALBA SASSO. Anch'io, con il mio intervento, intendo motivare il voto contrario a questo provvedimento.
Voglio esprimere un dissenso profondo, nel metodo e nel merito.
Vorrei dire ai colleghi della maggioranza: guardate che il vero ostruzionismo, in quest'aula, e non sembri paradossale, lo sta ormai facendo, da molti mesi, la maggioranza parlamentare. Insomma, come direbbero i latini, de te fabula narratur (se ostruzionismo significa ritardare, rallentare i lavori del Parlamento).
Colleghi della maggioranza, state facendo anche qualcosa di più: state impedendo


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al Parlamento di fare il suo lavoro. Ciò sta accadendo da molte settimane. La stessa legge Gasparri è stata vittima delle lacerazioni e delle divisioni di questa maggioranza. È stata ritirata dall'aula. È stata sottratta alla discussione, così come la legge Boato (altre leggi non riescono neanche ad affacciarsi nelle aule parlamentari, come quella sul conflitto di interessi in Senato).
Lo so che ve lo abbiamo detto in tanti, ma non è inutile ripeterlo: avete paura della discussione e, soprattutto, di non superare l'esame del voto. Avete, infatti, paura della vostra stessa maggioranza. Perciò, siete costretti a mettere il voto di fiducia su tale provvedimento.
Detto provvedimento, infatti, a differenza degli altri, non poteva correre rischi, non poteva non passare. Si tratta di una questione molto seria e molto importante per questo Governo: difendere gli interessi personali e patrimoniali del Presidente del Consiglio.
Insomma, per dirla in altre parole, agli italiani è ormai chiaro che questo Parlamento è ostaggio del Governo e che il Governo è ostaggio del Presidente del Consiglio e dei suoi interessi assolutamente quantificabili, in questo caso: il titolo Mediaset ha avuto, dopo il voto di fiducia di ieri, un immediato rialzo in borsa. Si calcola che, in questi mesi, fino al 30 aprile, l'impresa Mediaset guadagnerà una cifra che supera diversi milioni di euro.
Forse è vero ciò che si dice: le massaie italiane non hanno ancora ben capito il valore dell'euro, come ripetono i ministri di questo Governo. Ciò produce un effetto virtuale. Le poverine pensano che vi sia un aumento dei prezzi, ma, in realtà, tale aumento è un'impressione, è solo una percezione sbagliata. Che sciocchezza ragionare del prezzo delle zucchine o del prezzemolo! Le massaie italiane imparino dalla madre del Presidente del Consiglio, ma imparino, soprattutto, dal Presidente del Consiglio medesimo: lui sì che ha capito bene il valore dell'euro e lo ha spiegato, come un bravo maestro al Governo e alla maggioranza.
Voi, rinserrati come siete a difendere gli interessi della ditta, avete perso ogni capacità di intercettare problemi, bisogni e desideri dei cittadini di questo paese.
Credo si possa dire che avete una falsa percezione delle condizioni reali del paese.
Provate a spiegare alle migliaia di ricercatori, docenti e studenti universitari che, in tutta l'Italia (ce ne saranno anche nei vostri collegi, credo) si stanno battendo contro i tagli degli investimenti nell'università e nella ricerca pubbliche, contro una precarizzazione del lavoro di ricerca e contro il diritto allo studio sempre meno garantito!
Provate a spiegare a tutte queste persone che Tremonti e Moratti, come hanno dichiarato a Genova, all'inaugurazione dell'Istituto italiano di tecnologie, che investiranno la maggior parte dei fondi per la ricerca in un istituto di ricerca privato, perché l'università italiana, così hanno dichiarato, è troppo burocratica.
Provate a spiegare ai giovani cervelli in fuga ciò che ha dichiarato Berlusconi: che questo Governo investe in ricerca, innovazione, in tecnologie e che sono aumentati i posti di lavoro!
Provate a spiegare alle migliaia di cittadini che hanno affollato le piazze e di Roma e di Milano, che hanno occupato scuole e strade in tutta l'Italia, che hanno persino esposto uno striscione nello stadio di Genova, in occasione di una partita, in cui si diceva: si è dimesso il Moratti sbagliato!
Provate a spiegare a tutte queste persone che stanno difendendo un'esperienza di qualità e una scuola che funziona, la scuola del tempo pieno e la scuola dei tempi distesi che ha permesso a tante bambine e bambini e tante ragazze e ragazzi di imparare meglio e di più ciò che oggi serve nella società della conoscenza (se la società della conoscenza non è solo un vano termine per parlare in televisione).
Provate spiegare loro quel che ha detto Berlusconi nella trasmissione di Vespa: che il tempo pieno c'è e che, anzi, a scuola


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c'è anche la ristorazione (10 ore) e che, in quelle ore, magari le insegnanti possono insegnare anche un po' di inglese!
Provatelo a spiegare agli insegnanti che, pur pagati malissimo, per anni e anni si sono caricati sulle spalle il peso della alfabetizzazione di questo paese, di portare ragazze e ragazzi ai livelli importanti di sapere di conoscenza e lo hanno fatto con loro sacrificio, insegnando inglese non nelle ore di ristorazione, ma in quelle curricolari, dando tutto e di più alla scuola italiana ed ai ragazzi che la frequentano!
Provate a spiegarlo a quegli insegnanti che, oggi, diventeranno sempre di più precari, e che non entreranno nella scuola!
Provate a spiegarlo a quei ragazzi che hanno investito il loro tempo e la loro intelligenza per fare i concorsi e per frequentare le scuole di specializzazione!
Provate a dire loro che nella scuola non entreranno mai. Provate a dire ai ricercatori di garantire dieci anni di lavoro per poi mandarli a casa. Provate a spiegare agli operai di Terni e dell'ILVA che stanno aumentando i posti di lavoro, che in Italia non vi è una crisi industriale. Provate a spiegare ai sindacati che i contratti si faranno, d'ora in poi, non sull'inflazione programmata o su quella reale, ma sull'inflazione percepita.
Provatelo a spiegare alle famiglie, quelle famiglie che spesso invocate, nominate, cui volete dare la libertà di scelta su tutto; provate a spiegare a quelli che combattono ogni giorno con il prezzo delle zucchine, con i ticket sui medicinali e sulle analisi che si affannano per cercare di assicurare una vita decorosa, almeno decorosa, ai propri figli, che hanno paura per il futuro di lavoro e di vita dei loro figli. Provate a spiegare loro che con questo decreto-legge, su cui avete posto la questione di fiducia, non starà meglio soltanto il Presidente del Consiglio ma anche loro, perché avranno decoder a prezzi accessibili, se saranno così fortunati a risiedere nei luoghi coperti dal segnale, solo metà del paese. Provate a spiegare loro che entreranno nel regno magico del digitale e che una volta entrati potranno finalmente crescere loro ed i loro figli con una televisione che garantisce pluralismo e confronto di opinioni.
Questo, colleghi, è il linguaggio della pubblicità e si sa che alla pubblicità si crede fino ad un certo punto. Anzi, voi state usando il linguaggio della pubblicità ingannevole, quella alla quale si finge di non credere. Se provaste invece ad ascoltare i cittadini, vi rendereste conto che la sfiducia degli italiani cresce ogni giorno di più, ma sul vostro modo di governare (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Sasso, lei ha finito il tempo a disposizione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Grazie signor Presidente, ringrazio anche il sottosegretario Tortoli ed il collega Rositani della maggioranza che per dovere ma anche per gentilezza sono qui ad ascoltare i nostri interventi. Forse qualcuno è in ascolto di questa nostra lunga maratona attraverso Radio Radicale o sentirà, più tardi, i nostri interventi e si chiederà per quale motivo i parlamentari dell'opposizione hanno passato tutto questo tempo, le notti, utilizzando tutti gli spazi concessi dal regolamento della Camera per contrastare il provvedimento, compiendo un atto apparentemente debole ed autolesionista. Per quale motivo utilizzare tutti gli spazi possibili per segnalare in maniera apparentemente ininfluente, rispetto ai grandi organi di informazione ed alle televisioni, un'opposizione ad una norma presentata come un provvedimento realizzato per salvare alcune reti televisive?
In primo luogo, perché ciò non è vero. Questo provvedimento, scritto in fretta e furia, risponde alle obiezioni fondatissime, a nostro avviso, ed in ogni caso ineccepibili sul terreno costituzionale, del Presidente della Repubblica nei confronti della cosiddetta legge Gasparri, ma risponde soltanto ad una parte di obiezioni che mettevano in crisi la trasmissione di Retequattro


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nei canali ufficiali, quelli che giungono a casa, in attesa del fatidico digitale che, credo, per ora non è conosciuto da quasi nessun cittadino italiano e, abbiamo appreso in alcune trasmissioni televisive, non è noto neanche al ministro Gasparri, che non ha in casa propria il decoder, come la grande maggioranza degli italiani.
Noi cerchiamo di far rispettare la volontà del Presidente della Repubblica e, soprattutto, di far valere i diritti del Parlamento. La questione di fiducia posta dal Governo in realtà è stata compiuta non solo contro l'opposizione, ma anche per impedire che, con i voti segreti previsti dall'iter del provvedimento, vi fossero parlamentari della maggioranza che esprimessero liberamente il proprio dissenso, non per fare « imboscate vili » come ha detto il portavoce di Forza Italia, Bondi, che ha sostenuto che questi parlamentari fossero vili che volevano colpire le aziende del Presidente del Consiglio, dicendo qualcosa chiaramente sulla presunta assenza di conflitto di interessi nella normativa. Al riguardo, ricordo che un nostro collega, l'onorevole Giachetti, da 14 giorni sta portando avanti lo sciopero della fame affinché il Senato metta almeno all'ordine del giorno dell'Assemblea, calendarizzi, come si dice con un termine tecnico, il provvedimento sul conflitto di interessi che doveva essere approvato, secondo una delle tante promesse non mantenute, entro cento giorni dall'avvio del Governo ed invece, dopo mille giorni, ancora non viene discusso perché, pur essendo un provvedimento debole e criticabile, non avrebbe permesso la votazione che stiamo per intraprendere per salvare una rete di proprietà del Presidente del Consiglio.
Dietro vi è un motivo ancora più importante. Per noi forze di opposizione ma anche cittadini italiani è essenziale difendere la libertà del paese. Molto spesso, propagandisticamente, si cerca di mettere in relazione questo nostro atteggiamento con l'idea di chiudere Retequattro. Al contrario, vorremmo che questa rete fosse molto più forte accanto ad altre televisioni forti in Italia, vorremmo tanti giornali, una libertà di espressione più ampia. Ma perché ciò avvenga, è necessario che non sia tutto al servizio di un solo uomo.
Vorremmo Retequattro con un operatore privato che permettesse di vedere più trasmissioni, più informazione, un numero maggiore di buoni film, più intrattenimento di qualità. Non vorremmo e non vogliamo un paese in cui un solo editore privato, fatto che non avviene in alcun paese del mondo, controlli una larga parte dell'emittenza televisiva, la maggior parte della pubblicità televisiva ed una parte consistente anche del resto dell'informazione. Inoltre, questo operatore privato diviene anche Presidente del Consiglio e possiede anche molte altre cose.
Aggiungo un esempio in merito al conflitto di interessi. Stiamo per varare una norma riguardante il risparmio. Sono pronto a scommettere che nel testo che arriverà in Assemblea non saranno previsti, oltre ai prodotti bancari, i prodotti assicurativi, che hanno caratteristiche assolutamente analoghe a quelli bancari, ma con il «vantaggio» di essere prodotti anche da una società, la Mediolanum, di proprietà del Presidente del Consiglio. Questo è solo uno dei tanti esempi che abbiamo dinanzi.
La libertà di informazione è essenziale non soltanto per tutti noi, per scegliere cosa vedere, cosa comprare, come formare la nostra cultura e come orientare il nostro tempo libero, ma è essenziale soprattutto per la democrazia. Anche in questo caso sono pronto a portare un esempio concreto. Nell'ultimo periodo vi sono stati due eventi politici, almeno paragonabili. Il decennale dalla nascita di Forza Italia con il «comiziaccio» del Presidente del Consiglio ripreso dalle sue reti televisive, senza che alcun giornalista potesse essere presente, ha occupato l'apertura di tutti i telegiornali ed è stato trasmesso in diretta ed in differita, neanche si trattasse dello sbarco dell'uomo sulla luna. L'altro evento è la nascita di una nuova formazione politica che presenterà una lista alle elezioni europee, che vede insieme quattro partiti preesistenti, le due maggiori forze dell'opposizione.


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Tutti gli italiani sanno che questi due avvenimenti sono stati seguiti con uno spazio televisivo enormemente diverso e con un'enfasi estremamente diversa. Qualcuno avrà il sospetto che ciò sia dovuto al fatto che mentre un avvenimento aveva dietro come editore di riferimento il Presidente del Consiglio ed un potere economico e mediatico enorme, l'altro era invece un avvenimento promosso dall'opposizione, anche se rappresentava ben più dei voti, delle forze e delle culture presenti nel decennale di Forza Italia.
Un paese che si abitua a questo tipo di atteggiamento, che lo considera legale, è un paese che corre dei rischi, non solo sul terreno della libertà e della democrazia, ma anche su quello dei comportamenti del paese, della legalità, dell'idea che abbiamo del nostro rapporto con gli interessi generali. Anche in questo caso mi spiegherò meglio con un esempio concreto. Le parole, a volte, sono molto importanti, molto più importanti delle norme. Quando non vi è la possibilità di avere conoscenza di quanto avviene - anche se diceva George Bernard Shaw che i fatti sono argomenti testardi - i cittadini possono non essere in grado di formarsi un'opinione. È sufficiente pensare alla vicenda della guerra in Iraq. In Inghilterra e negli Stati Uniti sono state istituite commissioni di inchiesta perché i Governi hanno mentito, affermando l'esistenza di armi di distruzioni di massa e di basi di Al Qaeda.
Affermazioni analoghe sono state compiute nel nostro Parlamento, per giustificare l'atteggiamento che prima è stato di esplicito appoggio politico a quella guerra, e dopo è stato di collaborazione anche sul terreno militare al dopoguerra, sotto il comando degli americani, o meglio, sotto il comando dei polacchi, che erano al comando degli inglesi, che sono al comando degli americani, grande atto di orgoglio del nostro paese, al di là di ogni altra considerazione.
Ebbene, dov'è la verità in questo? Il ministro Frattini è venuto in Parlamento a spiegarci che i soldati servivano per non farci rubare le medicine, mentre andavamo a distribuirle alle popolazioni; i nostri soldati, che stanno facendo il loro dovere ed hanno pagato un prezzo di sangue doloroso per tutti noi in Iraq, stanno facendo ben altro che accompagnare convogli di medicine e di alimenti.
Tale ragionamento vale anche per altri settori; vogliamo parlare delle grandi opere pubbliche previste dal Presidente del Consiglio, che vuole eliminare la par condicio, in modo da sommergerci con la sua forza economica e con la sua forza mediatica, in una immensa propaganda elettorale che ci condurrà prima alle europee e poi alle elezioni nazionali, che sarà scandita da annunci di cose che non si realizzeranno mai: pensate al milione di lire al mese per le pensioni minime? Pensiamo anche alla grandi opere pubbliche: quante prime pietre verranno posate, come quella del MOSE, da qui alle elezioni europee ed alle elezioni politiche, che ci auguriamo avvengano prima di quanto previsto? E quante di queste opere, poi, vedremo ultimate? A tutt'oggi, delle 276 grandi opere pubbliche, annunciate dal Presidente del Consiglio, se n'è realizzata una sola: la duecentosettantasettesima, il grande lifting di fine anno. Di tutte le altre vedremo, probabilmente, la posa della prima pietra, ma non la fine dell'opera.
C'è, quindi, un problema essenziale nella correttezza dell'informazione; è un problema che attraversa tutto il nostro rapporto con la politica, con la democrazia, con la nostra libertà, con la possibilità di scegliere e, in ultima analisi, anche il problema del nostro rapporto con la libertà di essere dei cittadini, degni di appartenere a questo paese.
Tale libertà, oggi, viene messa in discussione ed è perciò che, utilizzando tutti gli spazi possibili - questo è solo l'inizio - cercheremo di ricordare al paese i rischi che corriamo e cercheremo di avere tra i parlamentari di maggioranza una sensibilità che faccia loro ricordare che sono innanzitutto uomini, con idee, e non sono solo servi costretti a votare, sotto gli ordini del Presidente del Consiglio, senza utilizzare il voto segreto per esprimere la loro libertà di coscienza. (Applausi


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dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.

ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, il provvedimento trattato nasce dal parere negativo del Presidente della Repubblica alla legge Gasparri; al di là dei rilievi compiuti nel corso del lunghissimo dibattito di questa lunghissima seduta, vale la pena ricordare quali sono le questioni principali sulla base delle quali il Presidente della Repubblica ha rifiutato la legge, rimandandola alle Camere, sulla base dei quali rilievi e considerazioni, è stato emanato, successivamente, il decreto con un iter così accidentato.
I tre rilievi erano sostanzialmente questi; si consideri che la sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988 poneva come imperativo la necessità di garantire - cito testualmente - il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare attraverso una pluralità di voci concorrenti il diritto del cittadino all'informazione. E ancora, nella stessa sentenza n. 420 del 1994, la Corte sottolineava l'indispensabilità di una idonea disciplina, che prevenga la formazione di posizioni dominanti.
In un secondo rilievo, figlio delle sentenze della Corte costituzionale e sottolineato nel messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere del 23 luglio 2002, si affermava che, per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni - SIC - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione, potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento, di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti.
Infine, il terzo rilievo è relativo alla raccolta pubblicitaria. Anche qui è necessario richiamare la sentenza n. 231 della Corte costituzionale del 1985 che, riprendendo i principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizione, fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela; e - cito testualmente - si rende infine indispensabile espungere dal testo della legge, il comma 14 dell'articolo 23, che rende applicabili alla realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, del quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con la sentenza n. 303 del 25 settembre - 1o ottobre 2003.
Sulla base di tali rilievi, ciò che possiamo dire senza ombra di dubbio, è che la legge Gasparri è una legge «Gattopardo», che tenta di cambiare tutto, senza cambiare alcunché, lasciando invariato l'attuale sistema radiotelevisivo, con i suoi assetti e suoi limiti, che sono stati, invece, sentenziati come limiti da superare, per poter dare vita ad un vero e proprio pluralismo televisivo nel nostro paese.
Si tratta di un problema - come noto - di democrazia, ma anche economico; e non a caso molti critiche e rilievi a tale legge sono stati mossi anche da soggetti imprenditoriali, i quali dovrebbero essere tenuti maggiormente in considerazione da un Governo che ha detto di voler fare dell'impresa uno dei propri cardini programmatici; cosa che tra l'altro non si è avverata sotto alcun punto di vista in alcun settore della politica del Governo.
Se è vero, quindi, che i rilievi sono quelli citati, è altrettanto vero che i vincoli posti dalla legge Gasparri, ad esempio sul numero dei canali televisivi, non sono superati, o vengono superati con artifici che rischiano, anzi sono aggiramenti delle sentenze della Corte costituzionale ed anche dello stesso messaggio del Presidente della Repubblica.
Infatti, ad esempio, con la moltiplicazione del numero di canali, consentito con il passaggio dalla tecnica digitale, oltre ai tradizionali canali generalisti finanziati con pubblicità, vi sarà spazio anche per molti canali - ed è vero - che si specializzeranno


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in determinati generi di programmi, quali sport, film, programmi per ragazzi, finanziandosi con gli abbonamenti. Tuttavia, è altrettanto vero che a causa delle dinamiche concorrenziali i grandi canali generalisti, finanziati con pubblicità, caratterizzati da un forte investimento nel palinsesto e da una forte concentrazione dei ricavi pubblicitari, sono tra i pochi vincenti in questa gara.
Ne deriva, quindi, una struttura degli ascolti molto diversa, come già si osserva in molti paesi: pochi canali generalisti continueranno a raccogliere la maggioranza dell'audience, mentre i canali tematici si divideranno piccole quote di telespettatori. Migliorerà, sì, l'offerta, ma non il pluralismo, nel senso che le sentenze richiamano.
Lo stesso vale per i vincoli di fatturato, e cioè per la raccolta pubblicitaria. Anche qui, il sistema integrato delle comunicazioni, per come è stato immaginato e come è stato gonfiato nel disegno di legge Gasparri, è sicuramente un modo per aggirare anche qui i vincoli sui limiti della quantità di pubblicità che può essere raccolta dalle emittenti.
Per comprendere tale punto, è necessario un dato: i primi due operatori televisivi nel nostro paese - RAI e Mediaset - hanno raccolto, nel 2001, il 90,7 per cento degli ascolti, mentre i primi due gruppi editoriali - la RCS Corriere della Sera e l'Espresso-Repubblica - hanno nel 2001 coperto il 31,5 per cento di lettori di quotidiani.
Di conseguenza, se il pluralismo è posto in discussione dalla concentrazione del settore televisivo, mentre appare sostanzialmente preservato nella struttura frammentata della stampa quotidiana, vorremmo che ci fossero soglie mirate laddove il problema si pone; ad esempio, ponendo una soglia di due licenze per le reti generaliste, e non un vincolo che si riferisca ad un insieme composito ed ampio di mercati, accomunati dalla prospettiva della convergenza multimediale, ma assai diversi dal punto di vista delle tendenza alla concentrazione.
Si tratta di un esempio di come si potrebbe legiferare in questo campo incontrando diverse esigenze, da ultime le sentenze della Corte costituzionale, da prime le esigenze del sistema, che dovrebbe essere incentrato sulla crescita del pluralismo da un lato, e dall'altro lato anche sulla base di una reale possibilità di concorrenza del mercato; questione che dovrebbero affrontare dei liberali, ma che nel Governo non sono, al di là delle affermazioni di facciata che vengono continuamente compiute.
Infine, il digitale - come è stato detto in numerosissimi interventi, quindi mi posso limitare a questa citazione - è una questione che può essere tradotta in uno slogan: è un fenomeno interessante, è un sistema che sicuramente avrà prospettive, ma se nella legge Gasparri lo si immagina come di introduzione rapida, noi possiamo tranquillamente replicare che si tratta (e, per l'appunto, che si tratterà) sì, di una transizione, ma lunga, con rischi elevati e con esiti tutt'altro che scontati.
Questi sono i rilievi che vengono mossi e queste sono le questioni in riferimento alle quali si poteva tentare di andare oltre in positivo, cosa che non si è fatta, senza minare necessariamente l'attuale assetto del sistema radiotelevisivo solo in senso negativo.
Si trattava, certamente, di limare le unghie e non certo di tagliare rami. Limare le unghie vuol dire aumentare il pluralismo dell'offerta economica.
Mi permetto, quindi, di concludere il mio intervento con una nota di colore. Proprio sul sito www.lavoce.info, oltre ai vari e numerosi articoli sull'argomento, appare una poesia di un tale Michele Polo, che si intitola «Gasparri» e della quale vorrei citare solo alcuni piccoli versi per ridurre il tono della discussione, se pure il tema della discussione sia veramente importante. «Legge Gasparri, voto compatto, nuovo sistema per media e giornali. Con sguardo attonito prendiamo atto di cosa sian da noi i liberali. Il tema è noto, vuol gesti concreti, il pluralismo dell'informazione soffre e muore se tutte le reti son controllate da un solo padrone. Fatta la


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legge - e fortunatamente questo non è - il programma è compiuto: falso in bilancio e sistema dei media, non dedicando nemmeno un minuto a quel conflitto che pure ci assedia. Tutte le cose che premono al capo sono sistemate. Torniamo a votare, ora scriviamo un contratto daccapo. Appuntamento da Vespa a firmare» (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grotto. Ne ha facoltà.

FRANCO GROTTO. Avremmo potuto, anche con questo decreto, lanciare un messaggio di speranza al paese. Abbiamo invece perso un'occasione per rimettere mano in maniera più incisiva a una legge di sistema fondamentale sul tema del pluralismo e della libertà di opinione.
Ancora una volta si è scelto di blindare un provvedimento che in maniera vergognosa è teso a difendere gli interessi dell'attuale Presidente del Consiglio. In un paese normale sarebbe stato normale su un tema tanto delicato accettare un confronto sereno e a tutto campo con l'opposizione. Ma noi, purtroppo, non viviamo in un paese normale, bensì in un paese dove il Capo del Governo è proprietario delle tre reti televisive private e controlla direttamente le tre reti pubbliche. Un paese in queste condizioni non è un paese normale.
Questa maggioranza prima ha ignorato il messaggio del Presidente della Repubblica del luglio 2002, in cui si chiedeva con forza di formulare una legge che salvaguardasse il pluralismo dell'informazione, poi ha considerato un puro fatto tecnico il rinvio alle Camere della legge in materia di riassetto del sistema radiotelevisivo, sempre da parte del Presidente della Repubblica. Adesso, con un decreto annacquato, cerca di bypassare la sentenza della Corte costituzionale.
Dunque, non solo non si è voluto ascoltare l'opposizione, ma si sono sistematicamente ignorate le osservazioni che da tutti i settori dell'informazione, dall'Autorità di garanzia, dall'Unione europea, dai produttori, dagli autori e dalle organizzazioni sindacali venivano sollevate su un tema così importante.
I rappresentanti delle piccole e medie televisioni hanno denunciato la situazione di grave crisi che attraversa il settore in presenza dell'anomalia di un monopolio mediatico assolutamente senza precedenti e confronti. Esse hanno rimarcato che, stante le attuali disposizioni in materia, si rafforzeranno ulteriormente le barriere all'ingresso nel mercato televisivo nazionale dei soggetti presenti attualmente in posizione marginale.
In poche parole, il controllo totale e dominante esistente oggi sul sistema radiotelevisivo, e quindi sui ricavi pubblicitari, non permette ad alcun soggetto terzo di entrare nel mercato. In nessun paese al mondo vi è una tale concentrazione nelle mani di un solo soggetto, non solo della televisione, ma di tutti i segmenti di essa.
Quindi, non vi è soltanto il problema scottante del monopolio televisivo, ma vi è quello, ancora più grave, del controllo di tutta la catena, di tutto il sistema che ruota intorno all'informazione.
Anche con questo decreto, che il Governo ha dovuto far passare attraverso un voto di fiducia, oggi è ormai sotto gli occhi di tutti che siamo in presenza di una maggioranza che non si fida più di se stessa, una maggioranza che ha i numeri ma che non è una maggioranza politica. Essa non fa altro che continuare a difendere le posizioni dominanti e sbarrare il passo, con una visione miope, anche per quanto riguarda lo sviluppo industriale nel nostro paese, a chiunque voglia entrare nel mercato radiotelevisivo.
Con questo modo di procedere non solo non si raggiungerà un effettivo pluralismo, ma si ingesserà e si paralizzerà un intero sistema che ha la percezione chiara della confusione che si è creata per difendere gli interessi dell'attuale Presidente del Consiglio.
Il Governo, come è stato più volte detto in quest'aula, è stato costretto a porre la fiducia su un tema così nevralgico per ogni sistema sicuramente democratico. La fiducia


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non è stata posta per difendersi da un possibile ostruzionismo da parte della minoranza, ma è stata posta perché, nonostante la verifica in atto che pare sia finita poche ore fa, e nonostante i cento deputati in più in quest'aula e quindi una grande maggioranza numerica, il Governo non si fida più dei suoi deputati. Quando sono in gioco questioni che toccano così da vicino gli interessi dell'attuale Presidente del Consiglio si evita il confronto parlamentare, onde evitare argomenti e sgambetti in aula. I voti segreti sono diventati per il Governo un vero incubo. Si tratta dunque di un voto di fiducia che accentua, ancora una volta, una grande debolezza del Governo e della sua maggioranza.
La verità è che questo Governo ha fallito su tutta la linea. Mi vengono in mente, credo che ormai vengono in mente a tutti gli italiani, le grandi promesse fatte da questa maggioranza e dal suo Presidente in campagna elettorale. Tutti ricordiamo l'aumento delle pensioni, la riduzione delle tasse, i grandi progetti e le grandi opere infrastrutturali che avrebbero portato un cantiere in ogni angolo del paese, i grandi investimenti che avrebbero messo in moto un volano di sviluppo, di lavoro e di ricchezza. Ha detto bene il collega Realacci: dove sono finiti tutti questi progetti? Dove sono finite tutte queste grandi opere? Certamente sono impantanate anch'esse per conflitto di interessi.
Faccio un esempio e mi riferisco, in modo particolare, alla nuova Romea, la Ravenna-Venezia, che pareva essere in via di realizzazione. Anche lì, per interessi particolari anche degli esponenti del Governo, è tutto bloccato ed è tutto fermo.
Mi vengono in mente le grandi promesse fatte, quindi, da questo Governo, che purtroppo hanno trovato ascolto fra i cittadini, tanto che nelle ultime elezioni questa maggioranza è riuscita ad arrivare al Governo del paese. Oggi il sogno, purtroppo, è finito e la realtà è sotto gli occhi di tutti.
La verità, invece, è che questo Governo e questa maggioranza, anziché affrontare con determinatezza i problemi reali che toccano questo paese (un paese che sta progressivamente perdendo competitività ed è in grande difficoltà con la crisi economica che sta mettendo a dura prova le famiglie italiane, diventate sempre più povere), continuano a sfornare leggi tese soltanto ed esclusivamente a risolvere il conflitto di interessi dell'attuale Presidente del Consiglio.
Con questo decreto-legge la, maggioranza ha acuito ulteriormente le lacerazioni con le maggiori istituzioni dello Stato. Si rischia di portare allo sbaraglio il nostro paese solo e soltanto per continuare a garantire il potere mediatico ed economico all'attuale capo del Governo. Per questo io credo che deliberatamente si voglia arrivare ad inasprire lo scontro con le maggiori istituzioni dello Stato, sperando con questo di distrarre i cittadini e gli elettori dai guasti provocati al paese e all'economia da questi anni di Governo del centrodestra. Il centrosinistra non può accettare supinamente questo modo di governare. Sono convinto che i cittadini, gli elettori, già dalle prossime elezioni sapranno punire in modo severo una maggioranza arrogante che invece di governare il paese in modo sereno, come dicevo prima, con rispetto del Parlamento e con il confronto democratico con l'opposizione e con le parti sociali, invece di indirizzare risorse ed energia ai problemi reali della gente, invece di ricercare nell'azione di Governo il bene comune esaspera il confronto politico e tende a privilegiare l'interesse di pochi, emarginando ulteriormente le fasce più deboli nel nostro paese.
Per tutte queste considerazioni il mio giudizio, il giudizio dei Socialisti democratici è nettamente negativo e, di conseguenza, il voto non potrà che essere contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ottone. Ne ha facoltà.

ROSELLA OTTONE. Presidente, cari colleghi, ancora una volta, nella giornata di martedì, tutti noi abbiamo assistito ad una farsa. La cospicua maggioranza parlamentare


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non è in grado di garantire sostegno al proprio Governo, che si è visto costretto a prendere la poco edificante scorciatoia del voto di fiducia.
L'opinione pubblica, che da mesi segue le cronache parlamentari legate alla legge Gasparri, poteva pensare che noi fossimo incapaci di legiferare o, diversamente, che l'opposizione facesse dell'ostruzionismo ingiustificato. Ebbene, l'ostruzionismo non è stato praticato fino ad ora perché il nostro intento è sempre stato quello di migliorare il decreto, che tuttavia è stato approvato martedì con il voto di fiducia, anzi con il consenso forzoso richiesto alla stessa maggioranza.
Ebbene sì, abbiamo un difetto, noi siamo convinti che il nostro compito di parlamentari sia quello di entrare nel merito, di evitare gli errori, di impedire che qualcuno sia più uguale di altri di fronte alla legge. La nostra azione non è riuscita nell'intento, il consenso forzoso ha impedito la discussione che noi sosteniamo sarebbe stata utile. Volevamo confrontarci, non è stato possibile.
L'ostruzionismo messo in atto da tutta l'opposizione può tuttavia contribuire a far conoscere all'opinione pubblica che non siamo disposti ad accettare supinamente le decisioni del Presidente del Consiglio, come invece è costretta fare la sua maggioranza. Con il vostro consenso forzoso voi avete legittimato il conflitto di interessi, che non è la guerra fra le banche per l'applicazione del tasso di sconto, bensì l'utilizzo della propria posizione politica per trarre vantaggio attraverso l'emanazione di leggi per sé e per la propria posizione economica. Siamo, quindi, convinti che il premier si trovi in una posizione di conflitto di interessi.
Colleghi della maggioranza, noi ci auguriamo, benché consapevoli che non possiamo costringervi a stare in aula, che vogliate leggere i resoconti anche per farvi un'idea. L'idea che, contrariamente a quanto sostenete in ogni occasione, l'opposizione è unita. Sarà che essere uniti contro il premier e la sua politica riesce facile, ma è pur vero che l'unità inizia da qualcosa ed essere uniti contro questa legge è già un bel segnale positivo.
Ma perché contro questa legge in particolare e non un'altra? Per la verità, non vorrei che scordassimo i provvedimenti sulla giustizia, la cosiddetta Schifani, la legge sul falso il bilancio, la legge sul rientro dei capitali esportati illegalmente: anche in quelle occasioni, una sorta di unità dell'opposizione si era creata.
Torno però al decreto pro premier. Si tratta chiaramente di un atto di fede della maggioranza. Ognuno dei parlamentari intervenuto in questa maratona ha sostenuto che il salvataggio di Retequattro va a diretto vantaggio del Presidente del Consiglio, che pare ne sia ancora attualmente il proprietario, perché purtroppo per motivi tecnici la legge sul conflitto di interessi, la cosiddetta legge Frattini, giace indiscussa al Senato.
Noi, Presidente, non siamo una opposizione senza cuore, anzi siamo lieti, sinceramente lieti, se le vicende economiche del premier hanno performance positive, ma poiché si sa che l'opposizione ha varietà di posizioni e, quindi, anche di sentimenti, ci piacerebbe manifestare la nostra soddisfazione anche per i guadagni di altre imprese italiane, dalle più grandi alle più piccole, quelle che costituiscono il tessuto produttivo più diffuso. Non lo possiamo fare per le grandi, a partire dal crack della Parmalat e della Cirio, ma non dimentichiamo la crisi della più grande delle imprese italiane, la FIAT, la minaccia di chiusura per le acciaierie di Terni e per la Ferrania in Valbormida, senza citare tutte le altre. Il sistema industriale italiano registra serie difficoltà e le piccole imprese artigianali e del commercio, che pure hanno dato fiducia al premier-imprenditore, al premier-artigiano, al premier-operaio, sono ora accusate dallo stesso premier di essere responsabili dell'aumento dei prezzi con l'introduzione dell'euro.
Per il momento, cari colleghi, dobbiamo tutti accontentarci degli aumentati guadagni del premier, per il resto ci vuole pazienza, ma soprattutto tanta pazienza dovranno avere i lavoratori e le loro


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famiglie in attesa di tempi migliori, in attesa di un lavoro per poter avere una sicurezza per sé e per i propri figli, per poter pagare i mutui che nel frattempo sono stati contratti, perché gli italiani sono anche dei bravi risparmiatori, in attesa della riduzione delle tasse nuovamente annunciata dal premier in persona. La maggioranza, dice il premier, è compatta, a parte qualche sbavatura, qualche fuga in avanti, qualche sarcasmo del segretario dell'UDC e qualche broncio del vicepremier. Scaramucce; nessuno vi solleverà però dalla responsabilità di aver votato una legge di favore al premier, con buona pace della vostra coscienza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Meduri. Ne ha facoltà.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Questo decreto-legge, di cui non sfugge a nessuno il rilievo politico e istituzionale va ad incidere su principi costituzionali di rilevanza fondamentale. Non stiamo parlando solo della salvezza di una rete televisiva e degli interessi del suo proprietario; stiamo infatti parlando dell'articolo 21 della Costituzione e delle sue fondamentali implicazioni per la democrazia: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La libertà di pensiero viene definita dalla Corte Costituzionale una pietra angolare dell'ordine democratico, come troviamo scritto nella sentenza n. 84 del 1969. Infatti, può ben dirsi che un ordinamento non può funzionare democraticamente in mancanza di una libera circolazione delle idee politiche, sociali, religiose, sulla morale e sul costume. Il diritto fondamentale si incentra sulla libertà di tentare di persuadere gli altri, prosegue la sentenza, nel caso in cui i mezzi economici necessari per potere di fatto esercitare una libertà siano ingenti e dunque a disposizione di pochissimi, si pone un principio di trasformazione, per cui il diritto che sostanzia l'istituto giuridico ispirato al valore della libertà non viene più in considerazione come diritto individuale, bensì come valore costituzionale inviolabile. L'esempio tipico di una siffatta conversione della libertà nel pluralismo, ossia nella garanzia di un diritto inviolabile e nella garanzia di un istituto giuridico di libertà, è costituito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 826 del 1998, la madre di tutte le sentenze, interamente incentrata sull'imprescindibile esigenza di una effettiva tutela del pluralismo dell'informazione che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale.
Per quanto riguarda in particolare l'emittenza privata, il diritto all'informazione dei cittadini va composto con le libertà di informazione e di iniziativa economica, in ragione delle quali il pluralismo interno e l'apertura alle varie voci presenti nella società incontrano sicuramente dei limiti, con la conseguente necessità di garantire il massimo del pluralismo esterno onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.
Come si vede, il diritto del cittadino all'informazione nasce dal tronco del valore fondamentale del pluralismo dell'informazione. Questi sono i valori costituzionali in gioco oggi. Questa è la giurisprudenza costante della Corte costituzionale. Queste sono le motivazioni che hanno ispirato il Capo dello Stato. Cosa fanno allora questo Governo e la maggioranza che lo sostiene, come rispondono per garantire il principio del pluralismo esterno di cui all'articolo 21 della Costituzione? Rispondono con questo decreto-legge che viene presentato come una semplice proroga in attesa del disegno di legge in materia di riassetto del sistema delle telecomunicazioni, che più che legge di sistema delle telecomunicazioni sarà una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Ma questo decreto-legge non contiene una semplice proroga. È un salvataggio in grande stile. È una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che


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stabiliva che una rete privata dovesse andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. Questo decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre, ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. E cosa significa esattamente «popolazione raggiunta»? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale? Il secondo parametro è la presenza sul mercato dei decoder a prezzi accessibili. Ma qual è il prezzo da usare come parametro? Il decreto-legge non lo dice. Terza ed ultima circostanza da valutare è l'effettiva offerta al pubblico anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. L'espressione «anche» crea più di un fraintendimento. Basta un solo canale per sfuggire alla tagliola dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni?
Queste sono tutte precisazioni che questa Assemblea avrebbe dovuto fornire perché in mancanza di esse l'autorità si troverà a dover procedere senza precisi criteri. Non solo. Terminato l'esame e verificate, non si sa in che modo, le predette condizioni, l'autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal comma 7 dell'articolo 2 della legge Maccanico. Ecco la scappatoia, perché il passaggio qui richiamato dice che l'autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire un'istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'autorità: un'altra istruttoria per la questione più istruita del mondo. Ne sono già state fatte tre, di istruttorie, e tutte e tre con la medesima conclusione: sussiste - grande come una casa - una posizione dominante. Con questo decreto-legge, con un'arroganza indicibile, il Governo e la sua maggioranza non eludono le sentenze della Corte e il messaggio del Presidente della Repubblica ma calpestano sentenze e messaggio. Non ci sono in tale decreto-legge termini precisi per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni entro i quali debbano essere adottati provvedimenti. Non c'è, in questo decreto-legge, alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'autorità.
Da ultimo - ma più importante di tutto -, non si prevede mai l'unico elemento pacifico per effetto della sentenza della Corte costituzionale: il trasferimento della rete sul satellite. Con la decisione di porre la questione di fiducia, avete impedito, con un atto ingiustificato di forza, di rimediare a queste gravi lacune. Avete avuto paura di confrontarvi, ma soprattutto avete avuto paura della debolezza della vostra coalizione. Con questo decreto-legge e con la legge Gasparri state scardinando la Costituzione, state minando alla base le più elementari regole di democrazia.
Per queste ragioni, voteremo contro la conversione in legge di questo decreto-legge e continueremo ad opporci con tutti i mezzi a tale sconcio per il sistema televisivo e per le regole democratiche (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carli. Ne ha facoltà.

CARLO CARLI. Signor Presidente, onorevole colleghi, signor rappresentante del Governo, sono due giorni che stiamo discutendo del decreto-legge che ha salvato una televisione del Presidente del Consiglio aggirando le sentenze della Corte costituzionale e i messaggi del Presidente della Repubblica, a dispetto del pudore che la maggioranza ha dimostrato di non possedere votando l'ennesimo provvedimento che favorisce le aziende del premier e mortifica principi fondamentali delle regole democratiche: il pluralismo, le pari opportunità di accesso all'informazione e il diritto dei cittadini ad una informazione plurale e democratica.
Questa coalizione di centrodestra, divisa su tutto - dal tribunale dei minori alla proposta di legge Boato, dalle riforme costituzionali all'indultino -, deve aggrapparsi alla fiducia per essere sicura di


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portare a casa un decreto-legge che ripropone l'unica priorità di questo Governo: non gli interessi del paese ma gli interessi personali e, in questo caso, ancora una volta quelli del Presidente del Consiglio, al quale appartiene Retequattro.
Non abbiamo iniziato la discussione parlamentare con il proposito di fare un'opera di ostruzionismo a questo decreto-legge. È vero che il decreto-legge non ci piaceva, ma avevamo presentato un pacchetto di emendamenti di merito, che potevano contribuire a limitare il danno che questo decreto-legge arreca alla democrazia, rispettando le sentenze che la Corte costituzionale ha più volte emesso. Ma la maggioranza ci ha impedito di discuterli. Dunque, la fiducia non è contro l'opposizione ma è contro la maggioranza. Berlusconi non si fida dei suoi. Del resto, oltre quaranta deputati della Casa delle libertà hanno votato alcuni giorni fa contro la legge Gasparri. Si tratta di un'operazione indecente, inaccettabile e squalificata. Si torna a respirare l'aria della legge Cirami e del falso in bilancio. Non soltanto viene presentato un decreto-legge che deve intervenire sui problemi che interessano direttamente le proprietà del Presidente del Consiglio, ma si pone addirittura la fiducia sul decreto-legge per evitare - come ha spiegato il premier - lungaggini parlamentari. Ma, come ha sottolineato bene l'onorevole Vannino Chiti, il Parlamento non è l'ufficio di un notaio, dove si registrano le proprietà. È il luogo dove si assumono decisioni democratiche nell'interesse dei cittadini italiani. Quelle lungaggini, signor Presidente del Consiglio - «lungaggini parlamentari» come appunto le chiama -, si chiamano democrazia e libertà di dissentire dalle decisioni di un capo. Questa è la nostra cultura. Questa non è evidentemente la vostra cultura. Molte volte, da questi banchi, abbiamo chiesto a voi, colleghi della maggioranza, uno scatto di orgoglio. Lo avete fatto qualche volta, non visti e con il voto segreto, come nel caso della legge Gasparri. Ma quasi sempre, di fronte all'evidenza di una crisi della vostra coalizione, vi siete trovati a votare su decisioni già prese da altri.
È evidente che la scelta di porre la fiducia sul decreto-legge salvareti è nata dal timore che, in un voto segreto, possa franare un pezzetto del suo impero televisivo. Berlusconi sfugge a qualsiasi confronto diretto con l'opposizione perché sa che i suoi argomenti, in un contraddittorio, si rivelerebbero fallaci. È un decreto-legge palesemente incostituzionale, adottato nell'attesa della legge Gasparri. Questo decreto-legge è della stessa specie della legge Gasparri, vale a dire illiberale, incostituzionale e indecente per la storia della democrazia del nostro paese.
Come ha detto il Presidente Ciampi nel messaggio alle Camere del 23 luglio 2002, la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta. Si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile. Il principio fondamentale del pluralismo sancito dalla Costituzione e dalle norme dell'Unione europea è accolto in leggi dello Stato e sviluppato in importanti sentenze della Corte costituzionale. Il tema investe l'intero sistema delle comunicazioni, dalla stampa quotidiana e periodica alla telediffusione, e richiede un'attenta riflessione sugli apparati di comunicazione, anche alla luce delle più recenti innovazioni tecnologiche e della conseguente diffusione del sistema digitale.
Il mondo appare sempre più un insieme di mezzi e reti interconnessi, che abbracciano l'editoria giornalistica, le radiotelevisioni, le telecomunicazioni. Dato essenziale della normativa in vigore è il divieto di posizioni dominanti, considerate, di per sé, ostacoli oggettivi all'effettivo esplicarsi del pluralismo. «Nel preparare la nuova legge» - aveva sottolineato il Presidente Ciampi -, «va considerato che il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza


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e dell'opposizione: questo tanto più in un sistema come quello italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta maggioritaria. Quando si parla di statuto delle opposizioni e delle minoranze in un sistema maggioritario, le soluzioni più efficaci vanno ricercate anzitutto nel quadro di un adeguato assetto della comunicazione, che consenta l'equilibrio dei flussi di informazione e di opinione».
Mentre voi ponete la questione di fiducia per tutelare gli interessi economici del vostro leader e della sua famiglia, il paese conosce la più grave crisi economica degli ultimi anni. Mentre si dovrebbe discutere di scuola, di sanità e di stato sociale - che vanno a rotoli a causa di una maggioranza sorda agli autorevoli richiami della massima autorità dello Stato e che dimostra una certa cecità, non accorgendosi dei reali problemi del paese -, voi, al contrario, impegnate il Parlamento su provvedimenti a tutela delle richieste di Berlusconi.
Onorevoli colleghi, quella in cui viviamo oggi può essere definita, senza rischio di essere smentiti, l'era della comunicazione. È, dunque, facilmente comprensibile quanto sia importante oggi definire, per il sistema radiotelevisivo, una normativa che rispetti tutte le idee, tutte le componenti sociali e culturali del nostro paese, insomma, l'importanza di un sistema pluralista, che garantisca lo svolgimento democratico della vita del nostro paese; in una parola, la libertà, e sottolineo: la libertà. Le democrazie moderne si definiscono rappresentative perché in esse gli eletti si impegnano a rappresentare gli interessi e le opinioni dei cittadini in un contesto di governo della legge, con suffragio universale, elezioni libere e ricorrenti, pluripartitismo, pluralismo dell'informazione. E si definiscono liberali perché garantiscono i diritti civili e politici fondamentali.
Esiste, tuttavia, il rischio di una democrazia illiberale e di una dittatura della maggioranza; i grandi esponenti del pensiero liberaldemocratico, da James Madison - uno dei padri della Costituzione americana, colui che volle aggiunti i primi dieci emendamenti (il Bill of Rights che sanciva i diritti alla vita, alla libertà ed alla manifestazione del credo religioso) per giungere ad Alexis de Tocqueville, ne erano ben consapevoli e, già alla fine del XVIII secolo, denunciarono, appunto, i rischi della degenerazione di un sistema democratico seppur basato su elezioni libere. Madison parlava di rischio della «tirannia della maggioranza» mentre Tocqueville, nella sua visione del «dispotismo democratico», immaginava una moltitudine di uomini simili ed eguali, preoccupati solo dei propri interessi e piaceri privati, sottomessi ad un potere tutelare e onnipotente, che svolge una funzione più narcotizzante che repressiva.
Tocqueville e Madison sarebbero stati anche più preoccupati, se avessero potuto immaginare il potere della televisione ed il monopolio dei mezzi di informazione da parte di chi governa. Come antidoto alla possibilità per un sistema democratico di degenerare in tirannia della maggioranza, Madison sosteneva la necessità della formazione di un pluralismo di gruppi di interesse e di opinione e Tocqueville teorizzava la scienza dell'associazione. Entrambe le soluzioni non si contentavano, certo, della, ancorché essenziale, mera partecipazione alle elezioni. Altri soggetti e forme di partecipazione - sostengono i due pensatori del diciottesimo secolo -, come i movimenti, le associazioni, le manifestazioni, sono utili alla democrazia, in quanto abituano a ricercare soluzioni comuni a problemi comuni; abituano alla libertà di opinione; esercitano il fondamentale diritto di critica; contrastano la narcosi mediatica. In poche parole, riassumeva James Madison, sul The Federalist: è di grande importanza in una repubblica non solo salvaguardare la società dall'oppressione dei suoi governanti, ma anche garantire una parte della società dai soprusi dell'altra parte.
Gli esempi di pensatori che hanno parlato, nel corso della storia, dei rischi derivanti dalla degenerazione di un sistema che pure si può definire democratico, sono moltissimi. Già nel passato, il


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controllo del sistema dell'informazione e il ricorso alla censura e all'oscuramento delle idee sono stati veicolo di controllo del potere.
Anche per tali ragioni, annuncio con forza il mio voto contrario al provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Chiti. Ne ha facoltà.

VANNINO CHITI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intendo ribadire la nostra valutazione negativa sul decreto-legge in esame, che, a mio giudizio, è grave nel merito e nel metodo dei rapporti politici tra maggioranza e opposizione. So che la destra non è interessata a tali temi (è come nella favola del lupo e dell'agnello), ma se si volevano affrontare, in un rapporto costruttivo e corretto con le opposizioni, anche le riforme istituzionali, occorreva essere consapevoli dell'importanza del tema dell'informazione, in generale per il peso che ha nella vita democratica e in particolare per il peso che ha in Italia per l'anomalia della situazione del nostro paese e per la presenza del conflitto di interessi (una delle tante promesse fatte agli italiani dal Presidente del Consiglio era quella di risolvere tale conflitto entro il luglio 2001). I temi dell'informazione e del pluralismo dell'informazione costituivano dunque una componente fondamentale del tentativo di dare vita a un rapporto costruttivo sul tema complessivo del completamento delle riforme costituzionali nel nostro paese.
Il segnale ripetutamente venuto dalla maggioranza è un segnale negativo. La maggioranza stessa è divisa al suo interno e trova compattezza soltanto in una posizione di rifiuto del dialogo e del confronto e di arroganza verso le opposizioni e le istituzioni. Su tali temi, come su quello delle riforme istituzionali, non si procederà se non con uno scontro.
Vi era la necessità di dare vita a una moderna legge di riforma del sistema dell'informazione, assicurando il pluralismo nelle reti e fra le reti e realizzando un rapporto equilibrato e serio tra il sistema dell'informazione radiotelevisiva e il sistema dell'editoria. La maggioranza di destra si è invece preoccupata esclusivamente di garantire posizioni di predominio per il suo capo.
Ciò è grave per la vita democratica, ma a mio avviso sussiste un ulteriore aspetto, che ho sottolineato nel corso della discussione sulla cosiddetta legge Gasparri e che intendo richiamare nuovamente. La maggioranza, a mio avviso, non si sta rendendo conto - o se ne rende conto, ma è incapace di reagire - che, così facendo, non soltanto colpisce un punto delicato e nevralgico della vita democratica del paese, ma costruisce anche per se stessa un destino di subalternità.
Siamo stati facili profeti: se si guarda l'andamento e la conclusione della verifica - che secondo la maggioranza non c'era o non si chiamava così - non soltanto essa appare paradossale e incomprensibile al paese, ma si constata che i partiti della maggioranza che l'avevano promossa, Alleanza nazionale e l'UDC, non ne escono come sono entrati, bensì più deboli. Hanno parlato molto, senza tuttavia riuscire ad incidere sui risultati concreti. Su tali forze politiche ha addirittura ironizzato - uso un eufemismo - lo stesso Presidente del Consiglio.
Il nostro è un sistema politico nel quale sta impoverendosi, inaridendosi la democrazia rappresentativa. Come opposizione, noi vogliamo reagire e ci stiamo impegnando, stiamo reagendo. Gli italiani vedono, in questi giorni ancora una volta, chi abbia nelle mani per davvero - non a parole - la difesa delle libertà e il rinnovamento delle libertà, in un sistema democratico. Il Presidente della Repubblica a tutti i parlamentari aveva offerto una grande occasione di riflessione, una opportunità per cambiare. Era stata un'occasione, anche per la destra, per dire: il rinvio della cosiddetta legge Gasparri consente di aprire una riflessione e una fase nuova. A questo proposito, si potrebbe dire che errare è umano ma la destra sta perseverando. Persevera con un decreto-legge,


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della cui conversione si discute, addirittura ponendovi la fiducia, rifiutando il confronto, con una sfiducia non soltanto verso il Parlamento nel suo complesso ma verso la stessa maggioranza. Si persevera, anche, con la cosiddetta legge Gasparri bis (cosiddetta perché, come afferma il presidente della regione Lazio, Storace, si sa chi l'abbia firmata ma è ignoto, se non per sospetto, chi l'abbia redatta) (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo). Si persevera con la cosiddetta legge Gasparri bis che non muta la sostanza e la qualità della risposta legislativa del Governo su temi così delicati, come quelli dell'informazione.
Il nostro «no» è netto e convinto, come convinta è stata la battaglia che è stata condotta utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. È vero, noi abbiamo praticato ostruzionismo: è un titolo di merito per la battaglia parlamentare nei confronti del paese, in questa legislatura. L'ostruzionismo è legittimo e sacrosanto, quando si affrontano temi delicati, fondamentali per la libertà e per la democrazia; lo è, in generale, quando la maggioranza ed il Governo sono arroganti nei confronti del Parlamento e nel rapporto con l'opposizione. In questo caso, è doppiamente giusto, perché si tratta di temi delicati che riguardano la libertà e la democrazia e siamo dinanzi, altresì, ad una arroganza e ad una chiusura nei confronti delle opposizioni e del Parlamento.
D'altra parte - come ricordavo - siamo in presenza di un problema serio per il nostro paese, perché un paese funziona se ci sono due schieramenti alternativi, come è normale nella fisiologia della vita democratica, dotati della possibilità e della capacità di indicare proposte diverse e di condividere alcuni valori comuni. Sarebbe interesse di questo paese avere anche una destra normale. Così non è, così non è! Credo che, dopo le elezioni, la destra se ne accorgerà a sue spese, perché i problemi che oggi finge di non vedere e che non vuole affrontare li ritroverà tutti, all'indomani della sconfitta che - ne sono convinto - subirà in occasione delle prossime elezioni politiche. È una destra dipendente dal Presidente del Consiglio, dal capo di Forza Italia, da un uomo i cui pesanti conflitti di interessi avrebbero dovuto essere risolti - lo ripeto - entro il mese di luglio del 2001. Il Presidente del Consiglio ha una visione proprietaria delle istituzioni, come fossero sue imprese. Il collega Carli ha parlato della fiducia posta su questo disegno di legge di conversione da un Parlamento che soffre di lungaggini; ma la Camera - lo ribadisco - non è un ufficio in cui si sbrigano pratiche di compravendita e registrazioni di proprietà. È una sede in cui si discute, la sede più importante della democrazia rappresentativa, in cui ci si confronta e si assumono decisioni che riguardano il paese.
Questa maggioranza è chiusa nei confronti delle opposizioni anche su altri temi. Lo è su quello della riforma costituzionale. È il prossimo appuntamento che, io credo, ci vedrà, ci dovrà vedere impegnati con lo stesso rigore e la stessa intransigenza perché si vuole fare strame delle istituzioni, altro che riformare le istituzioni del nostro paese!

PRESIDENTE. Onorevole Chiti, la prego di concludere.

VANNINO CHITI. Concludo, signor Presidente.
Lo è nei confronti della vicenda del decreto-legge per l'Iraq e anche su questo ci confronteremo qui e non per un momento, perché non esiste in un Parlamento democratico un rifiuto rispetto ad una richiesta delle opposizioni di votare separatamente gli articoli, un rifiuto che nasconde una meschina visione e una sussunzione della politica estera e di grandi temi come quelli della costruzione della pace a logiche di politica interna. Lo è stata per la scelta della data per le elezioni europee e amministrative. Lo è addirittura se sarà portata avanti, con un accordo ed un voto di maggioranza, l'annunciata idea di un unico voto nel 2006 per le politiche e le regionali prolungando dal centro di un anno la carica dei presidenti di regione eletti direttamente dai cittadini.


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Per tutti questi motivi, che sono di merito e di metodo di rapporti politici, il mio «no» a questo decreto-legge è convinto e convinta è la battaglia di opposizione che abbiamo fatto nell'aula della Camera (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rotundo. Ne ha facoltà.

ANTONIO ROTUNDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questo voto di fiducia ci troviamo di fronte all'ennesima, sfrontata, manifesta riproposizione del conflitto di interessi che ormai mina e corrode ad ogni piè sospinto il sistema politico e parlamentare del nostro paese.
Questa vostra scelta è poi un'ulteriore e arrogante dimostrazione dello sprezzo del confronto e della dialettica parlamentare che il Governo ancora una volta manifesta, ma è anche un segno molto evidente di debolezza: è anche il segno della paura che questo Governo ha prima di tutto verso la sua stessa maggioranza.
Anzi, vorrei dire che questo è proprio un voto di fiducia che il Governo ha chiesto per mettere il bavaglio alla sua stessa maggioranza, per impedire che si ripeta oggi quanto è accaduto qui, in quest'aula, sulla legge Gasparri, quando più volte avete rischiato il tracollo, nonostante abbiate 100 parlamentari in più, tanto è in pezzi questa maggioranza.
Non è un caso che questa verifica interminabile, che non si chiude più, abbia portato soltanto ad una conclusione certa e cioè a verificare che una maggioranza degna di questo nome ormai non c'è più.
Dunque, non vi era nessuna motivazione di urgenza per porre la questione di fiducia, non vi era nessun ostruzionismo dell'opposizione che, come abbiamo fatto sulla legge Gasparri, aveva avanzato poche e sensate proposte.
Tuttavia, c'era evidentemente il terrore che si ripetessero le imboscate, i «mal di pancia» che si erano manifestati con la legge Gasparri e tutto questo ha portato il Governo a valutare che valeva la pena di mettersi al riparo da questi rischi, anche a costo di coprirsi di ridicolo.
Perché di questo si tratta, cari colleghi: di una scelta ridicola che trasforma un Parlamento libero ridotto al rango di una Assemblea della «repubblica delle banane», dove si vota per favorire un'azienda del Presidente del Consiglio.
Vorrei chiedere ai colleghi del centrodestra che conservano uno spirito civico e una certa dignità: non vi rendete conto di che razza di segnale state dando al paese? Non avete percezione di come possa essere vissuta un'iniziativa di questo tipo da un paese in declino, stremato dai fallimenti e dalla politica economica del Governo, da un paese che sperimenta disagi e tensioni inedite, da un paese solcato da un nuovo e diffuso malessere sociale che coinvolge non solo gli operai delle tante fabbriche in crisi ma anche insegnanti, medici, magistrati, persino i vigili del fuoco?
Questa è l'Italia del centrodestra, un paese che, dietro l'ottimismo di maniera di Silvio Berlusconi, vede crescere la fila di coloro che non arrivano al 27 del mese, vede crescere la fascia di povertà e di impoverimento.
A questo paese voi rispondete con la questione di fiducia, danneggiando altre imprese, alterando la concorrenza, sbeffeggiando la Consulta e il Capo dello Stato, praticando, contro ogni regola e contro ogni buonsenso, quella che il professor Sartori ha definito una sorta di «dittatura della maggioranza», una maggioranza, lo ripeto, tanto fragile e divisa quanto prona e ossequiosa su tutto ciò che ha a che fare con gli interessi materiali del premier.
Una scelta penosa, dunque, che umilia il Parlamento e la sua dignità, tanto penosa da vanificare la chirurgia plastica a cui Berlusconi si è affidato, perché, dopo pochi giorni che si è rifatto la faccia, con questa scelta l'ha subito persa di nuovo.
Vi siete dunque assunti gravissime responsabilità: non avete voluto ascoltare il messaggio del Capo dello Stato - anzi, lo avete irriso parlando di «tecnici del Quirinale» -, non avete ascoltato i suggerimenti


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dell'Autorità, non avete preso in considerazione le poche proposte dell'opposizione.
Dispiace vedere come forze politiche, quali Alleanza nazionale, l'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e la Lega Nord Federazione Padana, seguano in questa forsennata azione, il gruppo di Forza Italia. Capirei Forza Italia, espressione personale del Presidente del Consiglio, ma meraviglia che forze politiche con una tradizione ed un radicamento nel paese, per anni portatrici di idee che facevano riferimento a regole e principi, oggi si accodino a ciò che ogni volta il Presidente del Consiglio desidera.
Credo che, in questa maniera, le forze di maggioranza perdano di vista i problemi reali del paese.
In questi mesi sta esplodendo, infatti, il grave problema della casa e del carovita, che si vive in tante aree del paese ormai in modo drammatico. Nella totale assenza di un'iniziativa del Governo, i prezzi degli affitti e della spesa salgono vertiginosamente. Famiglie non povere, ma appartenenti al ceto medio, si trovano in difficoltà e non riescono nemmeno ad arrivare alla fine del mese e a pagare affitti che in città come Roma, Milano, Bari - ma anche in città più piccole, come Lecce - ormai raggiungono cifre che superano i 500, 600, 700 euro al mese, assorbendo il 70-80 per cento di un salario medio e di una pensione. Ci saremmo aspettati un provvedimento d'urgenza su un tema di questa portata e non per salvare una rete del Presidente del Consiglio.
Ci saremmo aspettati attenzione da parte del Governo su altre questioni.
In questi giorni, per esempio, tanti pensionati italiani stanno assediando le sedi dell'INPS, poiché da parte dell'INPS e dell'INPDAP arriva loro il riepilogo di ciò che percepiranno nel corso del 2004. Con loro sommo stupore, in un paese che, ad avviso del Presidente del Consiglio, si è arricchito, hanno potuto verificare che nel 2004 percepiranno una pensione inferiore a quella del 2003, nonostante l'adeguamento del 2,5 per cento al costo della vita. Questo perché, grazie all'entrata in vigore delle nuove disposizioni del ministro Tremonti, aumentano le tasse per molti pensionati.
Tale aumento colpisce le loro pensioni e non si riesce nemmeno a compensare l'aumento del costo della vita. Questi pensionati avranno una pensione inferiore a quella del 2003, mentre i prezzi, come sappiamo, salgono del 6, 7, 8, 9 per cento su beni di prima necessità.
Ci saremmo aspettati interventi nel settore della sanità, dove si procede con ticket, tagli dei servizi e dei posti letto, con la chiusura degli ospedali pubblici - come in Puglia - ed il sostegno alla sanità privata e con le liste d'attesa così lunghe da essere indegne di un paese civile.
Al Policlinico di Bari, nelle scorse settimane, abbiamo visto qualcosa di vergognoso, che non avremmo mai voluto vedere: una coda di 3 chilometri di donne, in fila per la diagnosi al seno!
È su tali temi, allora, che dovreste adottare provvedimenti d'urgenza, perché si tratta di quelli che stanno a cuore ai pensionati, alle famiglie ed ai lavoratori italiani, che vedono sempre più, giorno dopo giorno, un Governo disattento ai loro problemi e che mostra tutta la propria incapacità nel governare il paese. È grave che di ciò non ci si renda conto e che ciò non venga avvertito, in maniera sempre più evidente, dalla maggioranza di Governo.
L'anomalia grave risiede nel rapporto tra ciò che prevede il decreto-legge, ciò che la gente pensa e vive e le parole quotidiane che fotografano una realtà in profonda crisi e che, attraverso le cronache di ogni giorno, ci parlano dei problemi delle famiglie italiane. Tali problemi sono rappresentati dalla difficoltà di mantenere il posto di lavoro...

PRESIDENTE. Onorevole Rotundo...

ANTONIO ROTUNDO. ...dall'aumento dei prezzi e delle tariffe, dall'aumento della povertà e da un Mezzogiorno ormai abbandonato a se stesso.
Come i colleghi hanno già rilevato nel corso del dibattito svolto in questi giorni,


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vi sono centinaia di aziende a rischio, grandi e piccole, nel nostro paese. Esistono numerose situazioni di crisi di imprese, anche importanti, che provocano difficoltà per migliaia di dipendenti...

PRESIDENTE. Onorevole Rotundo, la invito a concludere.

ANTONIO ROTUNDO. Concludo, signor Presidente.
Penso ad esempio alla mia provincia, quella di Lecce, dove migliaia di lavoratori in cassa integrazione rischiano di essere espulsi dal settore tessile-abbigliamento-calzaturiero, dove 600 dipendenti della catena commerciale Gum aspettano, da oltre un anno, soluzioni che ancora non arrivano; penso anche agli operai della Omfesa, un'azienda i cui lavoratori sono in stato di agitazione per difendere il proprio posto di lavoro e la propria fabbrica.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rotundo.

ANTONIO ROTUNDO. Perché il Governo non vara un decreto-legge anche per loro (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rossiello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE ROSSIELLO. Signor Presidente, chiunque si sia occupato, qualche volta nella sua vita, di storiografia ha sempre potuto leggere che, in ogni fase politica di tipo imperialistico - e questa è la fase politica del padrone-imperatore -, nelle assemblee (elettive o meno) incominciava a serpeggiare l'assenza del concetto di giustizia.
È quanto sta accadendo nel nostro Parlamento, scelta dopo scelta: detassazione dei grandi patrimoni, rogatorie, legge Cirami, lodo Schifani. Ho sbagliato a dire «scelta dopo scelta»: dovrei dire «danno dopo danno». A tal punto, mi sembra di percepire una specie di «corruzione morale» nella maggioranza, e Tangentopoli non c'entra: è l'assenza del concetto di giustizia che sta portando questa maggioranza verso il baratro ed il disastro.
Non credo di evocare, con il concetto di «notte della Repubblica», qualcosa che sia distante da quest'aula. Voi avete pensato che sarebbe bastato evocare lo spauracchio della sinistra affinché tutto vi fosse lecito, e la sovranità popolare - per carità, democraticamente espressa -, che vi ha consegnato una larga maggioranza, è diventata, per voi, non l'esercizio, ma la clava del potere, la clava che vi acceca.
Non vi rendete conto del disagio che dappertutto avete creato: i magistrati sono in rivolta (nel caso di specie, eludete una sentenza della Corte costituzionale, colpevole, magari, soltanto di esistere); le scuole e le università sono occupate; le corsie degli ospedali pubblici traboccano del malessere degli operatori, dai primari agli infermieri.
Colpite, di volta in volta, tutti i pilastri dell'autonomia dei poteri e la vera risorsa del paese, che è costituita dalla formazione culturale delle nuove generazioni: sapete bene che studiare è più costoso, che la ricerca è inagibile, che i cervelli fuggono. Colpite il diritto alla salute: oggi si può morire in ambulanza! È facile morire in ambulanza, nella vana ricerca di un letto in ospedale. Avete trascinato il paese in un tragico tunnel!
Separate tragicamente i fatti dai vostri proclami: parole, parole, parole! Il paese si inabissa - in gurgite vasto, direbbe il poeta - a causa delle vostre scelte arbitrarie. Chiamate legge l'abuso! Cos'è se non questo l'ultima lesione che state infliggendo al pluralismo dell'informazione solo per difendere - in termini di competenza e di cassa, si potrebbe dire - gli interessi di un gruppo del vostro Presidente del Consiglio?
Avete sperato e sperate ancora che la nostra sia «la voce di uno che grida nel deserto», ma vi sbagliate. Segnali molto indicativi ci dicono che i vostri elettori vi stanno girando le spalle. E non mi riferisco alle sonore sconfitte elettorali nelle amministrative del 2002 e, ancor più, del 2003. Penso a Confindustria - che tanta


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parte ebbe nel vostro successo del 2001 - la quale vi accusa di non avere progetti industriali, di non saper distinguere tra industrie ad alta tecnologia ed industrie che languono (l'acciaio, per esempio). Vi ha girato le spalle la Banca d'Italia, che pure aveva creduto, per alcuni versi, nella concezione secondo la quale una grande ripresa economica avrebbe consentito a questo paese di produrre ricchezza. Non avete saputo leggere neanche nei dati contabili! Vi hanno girato le spalle pezzi del mondo cattolico.
Le statistiche - non la statistica - ci dicono che l'Italia è più povera, meno competitiva sui mercati, più arretrata tecnologicamente e più attraversata da conflitti sociali. Avete ammainato le bandiere che sventolavate fingendole vostre! Dove sono i cardini del vostro pensiero liberale (un «sic» qui è d'obbligo)?
Nessuno fra voi lo è! Niente di ciò che fate lo è! Per quel pensiero, è la legge il mezzo supremo che media i conflitti, e che va comunque rispettata. Le vostre leggi, invece, sono spesso ad personam e, per tale motivo, non li mediano, ma suscitano i conflitti. Il vostro voto di fiducia sulla conversione di questo decreto-legge - che è, lo ribadisco, un decreto canaglia - ha fatto fare un balzo di tre punti ai titoli Mediaset. Per carità, mi limito soltanto ad osservare che c'è stata una grave distorsione del mercato, che sono stati penalizzati i concorrenti del Presidente del Consiglio e che penalizzata rimane la carta stampata perché gran parte degli introiti pubblicitari sono passati alla televisione!
Parole, parole, parole! Ma c'è di peggio: sono false, non sono solo staccate dalla realtà! Sono bugie. Avete in qualche modo cercato di spiegare la posizione della fiducia con ragioni tecniche. Ragioni tecniche? Avremmo potuto discutere, avremmo potuto emendare e, al massimo, la fiducia avreste potuto porla al Senato.
Additate RAI 3, ma, di fatto, salvate Retequattro. Parlate di disoccupazione, ma, di fatto, penalizzate le imprese e penalizzate la tecnologia (mi riferisco anche al digitale), penalizzate le nuove programmazioni, penalizzate il lavoro.
E dite ancora bugie quando ci accusate di fare ostruzionismo. Lo state facendo voi! Altrimenti, cosa rispondereste ad una semplice domanda: dove giace la legge Frattini? In qualche cassetto al Senato? Cosa avete fatto, nell'ultima settimana, della proposta di legge Boato? Cosa avete fatto della legge Gasparri, che avete dovuto ritirare, soltanto perché non vi bastavano i cento voti in più per mettevi al riparo dai franchi tiratori?
Siete attanagliati dalla paura; sì, dalla paura. Non sapete utilizzare (lo ricordavo poco fa) i cento parlamentari in più e sapete che il collante oramai si va sempre più esaurendo.
Vi state sperdendo in luoghi deserti della moralità. È morale - dice il Presidente del Consiglio - evadere. Ma a chi si rivolge? Il Presidente del Consiglio è a conoscenza di quanto il carovita incida sul salario dei monoreddito, al sud quanto al nord? Il Presidente del Consiglio è a conoscenza delle tasse in più che si devono pagare, magari entrando in farmacia per i ticket? Adesso parla delle due aliquote, del 23 e del 33 per cento. A chi giovano? A parte il fatto che, ancora una volta, profeticamente, dice: nel 2005, dopo che sarà votato. Perché il tempo di questa maggioranza e del suo Governo resta sempre il tempo di un futuro che indicativo non è, ma solo ipotetico.
Gli italiani hanno capito. Potete raccontare ancora bugie con i vostri grandi mezzi di persuasione occulta, ma oramai è il portafoglio che tiene sveglia la gente, quel portafoglio che piange e che oramai è diventato il vero sistema immunitario contro tutte le menzogne.
Avevate firmato le cambiali. Benissimo. Esse tornano all'incasso? Vi stanno arrivando, invece, tutte protestate. Il mio è un voto convinto e contrario, non foss'altro perché s'inserisce in una battaglia che il centrosinistra sta conducendo come ultimo baluardo dei diritti, delle pari opportunità, della libertà.
Voto «no», nell'ingenua illusione di dare voce a qualche isolata coscienza, vostra, chiusa in un corpo che oramai


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avanza a schiena curva, sotto il peso di obbedienze sempre più insopportabili (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Angioni. Ne ha facoltà.

FRANCO ANGIONI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, la nostra opposizione a questo decreto-legge nasce da lontano, dagli inizi della legislatura, quando il pericolo intuito durante la campagna elettorale, il pericolo che la vittoria della Casa delle libertà (poche espressioni hanno rappresentato uno ossimoro così evidente; forse sarà una casa, ma, sicuramente, non c'è assolutamente libertà), sarebbe stato il trionfo del patronato del Presidente del Consiglio. Un patronato - lo possiamo certificare ora, dopo oltre due anni e mezzo di legislatura - permeato dall'arroganza del potere mediatico e dalla convinzione che il primo dei diritti della maggioranza è di cambiare le regole della democrazia.
Il decreto in esame, purtroppo, è una mirabile sintesi della filosofia, delle linee guida, della politica del Governo: puntare, con determinazione, alla tutela degli interessi personali del leader della coalizione, senza accettare deviazioni o rallentamenti, anzi, precisando di attuare tutte le misure necessarie per evitare le lungaggini del lavoro parlamentare. Questo è stato paradossalmente il motivo per cui il Governo è ricorso alla fiducia su questo decreto.
Il decreto è una sintesi del conflitto tra interessi privati nella funzione pubblica, nella tutela degli interessi specifici, non sempre trasparenti in termini di legittimità, nell'impegno a predisporre e a far approvare provvedimenti e disposti ad personam, tralasciando, perché devianti rispetto all'obiettivo primario, gli altri settori, anche se vitali per la comunità.
Anzi, quando necessario, non esitate a ridurre i finanziamenti, in omaggio al principio della concentrazione dello sforzo. Abbiamo dedicato il massimo impegno nel discutere delle rogatorie, del falso in bilancio, della Cirami, abbiamo dedicato le migliori energie per approvare il lodo Schifani, mentre non si ha notizia della legge sul conflitto di interessi, benché plasmata sulle esigenze del premier. Nel frattempo, solo per fare qualche esempio, l'università attende l'indispensabile sostegno e la conferenza dei rettori chiede spiegazioni, che non arrivano, sulla mancanza di finanziamenti per una riforma destinata ad incidere sulle condizioni di vita e di lavoro degli insegnanti di 77 atenei. Il comparto difesa e sicurezza, altro settore di scarso o punto interesse del Presidente del Consiglio, se non per acquisire superficiali simpatie da parte del Presidente Bush, è in grave sofferenza, nonostante le numerose missioni fuori dal territorio nazionale, per un totale di circa diecimila militari, migliaia di mezzi, numerose navi ed aerei.
La finanziaria ha previsto, rispetto allo scorso anno, il 9 per cento in meno nel settore dell'esercizio, il 12 per cento in meno per l'ammodernamento e il rinnovamento. Questo significa che si deve ridurre l'addestramento del personale, le ore di volo, le esercitazioni formative, il rinnovo e la manutenzione dei materiali, proprio ora che per le esigenze dell'Iraq e dell'Afghanistan l'addestramento e gli equipaggiamenti efficienti significano incremento della sicurezza. Invece, sulla legge di sistema sulla televisione sulla radio e l'editoria non c'è stato alcun tentennamento, anzi, questo decreto (è stato calcolato) farà guadagnare alle casse delle aziende del Presidente del Consiglio 163 milioni di euro. Ma cosa fanno gli organi di controllo istituzionali? Nulla. È vero, si impegnano, si affannano, danno indicazioni e prescrizioni, ma è come se fossero voci nel deserto. Parlamento, Corte costituzionale, garanti, organi di tutela, come il presidente dell'antitrust, vengono considerati fastidiosi ostacoli. E il Governo tira diritto. Lo stesso Presidente della Repubblica non è stato ascoltato, anzi, in qualche caso, è stato deriso.
Per tutti questi motivi, che afferiscono al merito dei vari argomenti che questo decreto sintetizza, per il metodo di gestione


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della vita istituzionale ormai instauratasi nel nostro paese, il «no» a questo decreto è deciso e convinto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

FRANCESCO CARBONI. Signor Presidente, il disegno di legge sull'emittenza televisiva, la cosiddetta legge Gasparri, la legge che il collega Chiti ha definito giustamente firmata dal ministro, ma scritta da altri, e il decreto-legge oggi in esame, che ha come finalità la cessazione del regime transitorio, ma che di fatto proroga l'illegittima esistenza di Retequattro e consente al proprietario di Retequattro di introitare milioni di euro, forniscono, se ancora se ne avvertiva la necessità, la prova dell'asservimento imposto dal Presidente del Consiglio alle istituzioni parlamentari. Il Presente del Consiglio ha dettato un'altra pagina vergognosa nella storia del suo Governo, infettato dal conflitto di interessi la cui soluzione era stata annunciata durante la campagna elettorale del 2001 e, dopo le elezioni vittoriose per il centrodestra, nei primi cento giorni di Governo. La storia della XIV legislatura è testimone del percorso menzognero del Governo Berlusconi.
Nei primi cento giorni, il Presidente del Consiglio, imponendo l'approvazione delle leggi sul falso in bilancio e sulle rogatorie, ha tentato di eliminare alcune delle ragioni che hanno prodotto il conflitto di interessi. Da allora, ha impedito ed impedisce la discussione sulla proposta di legge che avrebbe dovuto regolare la soluzione del problema.
In sostanza, il problema del conflitto di interessi è stato risolto accantonandolo e negandolo anche nei momenti in cui si impone con evidenza indiscutibile, come è accaduto con il decreto-legge «spalma debiti» per le società calcistiche ed ora con il decreto-legge in esame.
Il Governo ha dovuto porre la questione di fiducia sul provvedimento, poiché il Presidente del Consiglio l'ha imposta al Governo. L'onorevole Berlusconi ha voluto, in questo modo, porre al riparo i propri corposi interessi patrimoniali legati alla sopravvivenza di Retequattro per l'evidente timore che potessero ripetersi le manifestazioni clandestine di indipendenza, di onestà politica e di coscienza civile che si sono levate da alcuni settori della maggioranza nel corso della discussione e del voto sulla cosiddetta legge Gasparri. Non vi è altra ragione; non certamente quella ridicola accampata di assicurare celerità ai lavori dell'Assemblea. Infatti, la questione di fiducia è stata posta quando era appena iniziata la discussione sulle linee generali e l'opposizione si accingeva a fornire contributi di idee e di soluzioni finalizzati al miglioramento del testo, per renderlo più aderente alle sentenze della Corte costituzionale ed alle indicazioni contenute nel messaggio del Capo dello Stato. Ma è proprio questo che non si vuole fare: non si vogliono applicare le leggi, non si vogliono osservare le sentenze. Anzi, l'indipendenza della giurisdizione viene fortemente criticata, poiché la magistratura ed ora anche la Corte costituzionale hanno dimostrato di non volere essere prone ai voleri del Presidente padrone come il suo partito azienda, il Governo e la maggioranza parlamentare.
Questo è uno dei più gravi esempi di malcostume politico prodotto in questa legislatura e, certamente, non trova analogia nella storia parlamentare repubblicana (forse, negli atti di qualche regime centroamericano!).
Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza democratica, alla manipolazione dei poteri costituzionali e delle istituzioni per fini personali ed economici. Il Presidente del Consiglio ha impedito alle Camere di discutere un decreto-legge, un atto del suo Governo, che illegittimamente salvaguarda, garantisce ed incrementa le proprie già immense consistenze patrimoniali.
Il Presidente del Consiglio imponendo il voto di fiducia, ha voluto calpestare le sentenze della Corte costituzionale, ha ignorato le indicazioni contenute nel messaggio


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del Capo dello Stato, ha negato all'Assemblea l'esercizio dei diritti istituzionali e costituzionali. Ma, soprattutto, egli ha dato un altro esempio di disprezzo della legalità, dicendo al paese che chi detiene il potere può violare l'articolo 3 della Carta costituzionale, quelli indicati nelle sentenze della Corte, quelli indicati nel messaggio del Capo dello Stato e, soprattutto, quello negato all'impresa detentrice delle frequenze ora utilizzate illegittimamente da Retequattro.
Il paese aveva già ricevuto lezioni di illegalità anche di recente con la giustificazione sull'evasione fiscale. I cittadini ora sanno che il Presidente del Consiglio, pur di salvaguardare i propri privati interessi patrimoniali, viola le leggi, non osserva le sentenze, impone atti parlamentari illegittimi. Questo ennesimo esempio di disprezzo della legalità e di violazione delle norme viene realizzato in un difficile momento economico e sociale di cui il Presidente del Consiglio, il Governo e la maggioranza devono sentire e sostenere appieno la responsabilità.
Con questo decreto-legge si agevola la vendita dei decoder, si consente al Presidente del Consiglio di lucrare illegittimi e cospicui guadagni e, intanto, il Governo non riesce a fermare l'inflazione e l'aumento dei prezzi, taglia le risorse alla sanità, alla scuola, al sistema giudiziario e ai servizi essenziali, nega i diritti ai lavoratori e ai pensionati.
Con questo decreto-legge il Governo si preoccupa di garantire il diritto al lavoro e all'occupazione - giustamente - ai dipendenti di una società, ma di una società di proprietà del Presidente del Consiglio, ignorando, però, totalmente le condizioni drammatiche dei lavoratori della compagnia aerea Alitalia, delle acciaierie di Terni e di Genova, dell'impianto petrolchimico di Porto Torres, dei lavoratori del settore dei trasporti, dei precari della scuola, dei medici e degli operatori sanitari, degli operatori della giustizia, degli operatori delle forze dell'ordine, della polizia penitenziaria, del Corpo forestale e dei Vigili del fuoco. È un esempio esemplificativo, ma non sicuramente esaustivo delle condizioni drammatiche in cui due anni e mezzo di Governo di centrodestra hanno fatto precipitare il paese.
Oggi, voi, colleghi della maggioranza ridotta al silenzio, vi accingete ad approvare un'altra legge vergogna, se è possibile la peggiore fra le tante prodotte in questa legislatura, prima, per garantire al Presidente padrone l'impunità, ora, per assicurargli indebiti e illegittimi vantaggi economici.
Una legge «infettata» dal conflitto di molti interessi personali ed economici del Presidente del Consiglio; una legge che lo rende ancora più ricco, che umilia le istituzioni parlamentari e che apre profondi conflitti con altri poteri costituzionali. Soprattutto però questa legge è in conflitto con il paese, che, dopo la campagna elettorale infarcita di promesse, di progetti megalomani, di sogni irrealizzabili e di bugie, è stato sprofondato nella precarietà economica e sociale, nell'insicurezza della propria incolumità e del proprio futuro. Questo decreto-legge giunge dopo dieci mesi di crisi di Governo, compreso il nefasto e ridicolo semestre di Presidenza del Consiglio europeo. Mesi segnati negativamente dalle incredibili esternazioni del Presidente del Consiglio sulle azioni da intraprendere nei punti di crisi internazionale - ricordo il giudizio dato sulla cultura araba -, improntate tutte all'insulto nei confronti dei partners europei - ricordo l'esordio da Presidente del semestre europeo -, nei confronti dei propri alleati in Europa ed in Italia, dell'opposizione parlamentare e degli altri poteri dello Stato - anche ieri nei confronti della magistratura e della Corte costituzionale.
Questo provvedimento ha imposto, per potere essere approvato, di imbavagliare i parlamentari, di costringere quelli della maggioranza ad un sostegno intimamente non voluto; lo si è visto con le votazioni sulla legge Gasparri. Si sono dovuti vincolare i parlamentari della maggioranza ad un voto di fiducia non necessario per le questioni di merito in discussione e per


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lo stato del dibattito parlamentare, nel momento in cui è stata posta la questione di fiducia.
Voi, colleghi della maggioranza, avete permesso e consentito al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Governo di scrivere un'altra pagina di vergogna di una legislatura vergognosa! Potrete soltanto dire ai vostri elettori di aver servito, alcuni con slancio, altri per necessità di sopravvivenza politica, il Presidente-padrone, sostenendo con il voto la realizzazione non del progresso del paese ma dei suoi illegittimi disegni patrimoniali.
Contro tutto questo, il mio il voto contrario, quello del mio gruppo e dell'opposizione intera; la nostra opposizione di oggi è di merito per la illegittimità del provvedimento e di metodo per il ricorso non necessario ed improprio alla questione di fiducia, ma soprattutto il nostro voto è in sintonia con il sentimento di indignazione politica e morale che cresce nel paese contro il Presidente del Consiglio, il Governo e la maggioranza di centrodestra che lo sostiene (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Trupia. Ne ha facoltà.

LALLA TRUPIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri un importante quotidiano italiano titolava così in prima pagina: «Par condicio». Sopra il titolo c'erano due foto piuttosto grandi identiche e vicine del Presidente del Consiglio. Sotto - ripeto -, la scritta par condicio.
A chi si fosse illuso che con il decreto-legge al nostro esame si fosse già sufficientemente aggredito il pluralismo dell'informazione, da consigliare, a dir la verità, un po' di silenzio, viene giustamente ricordato, con acume straordinario ed una sintesi altrettanto geniale, che questo Capo del Governo, il signor Berlusconi, non si accontenta mai. Se non lo fermeranno i cittadini con il voto, e noi confidiamo che questo avvenga e che possa avvenire molto presto, il capo del Governo non sa frenare un'ingordigia davvero grande.
Oggi si salva Rete 4 insieme ai suoi interessi privati ed economici che, come abbiamo sentito, fanno salire dal punto di vista materiale gli incassi dell'azienda del Presidente del Consiglio ogni giorno.
Non sì può, naturalmente, fare uno sgarbo ad un amico così caro, di cui penso sia inutile pronunciare il nome in questa sede, che fa di mestiere il candido adulatore: va sostenuto con tutte le proprie forze.
Poco prima di salvare questa sua azienda ed il suo patrimonio finanziario il signor Berlusconi si è premurato, inoltre, di occupare buona parte delle reti pubbliche tanto da trasformarle in pessima e penosa disinformazione di regime.
Domani va eliminata, secondo il Governo e la maggioranza, anche la par condicio visto che siamo alla vigilia di elezioni molto importanti che il Cavaliere, con la maggioranza della Casa delle libertà, ha qualche timore ad affrontare con serenità. Eliminata anche la par condicio, il risultato sarà quello di vedere trasmesso, dalle reti pubbliche e dalle reti del Presidente del Consiglio, solo il Berlusconi pensiero, il suo volto dopo il lifting o, se va un po' peggio, i vari Bondi e Schifani, Schifani e Bondi che compaiono come sua pessima fotocopia.
Ancora domani, cari colleghi della maggioranza, sempre se riuscirete a mettervi d'accordo - e consentiteci di avere qualche dubbio in proposito, visto che continuate a litigare anche se dite di aver chiuso la verifica - avrete il coraggio di ripresentarci quella legge orribile e sbagliata che è la legge Gasparri. Quest'ultima è stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica con buona pace di un ministro che, più che titolare di un dicastero, appare un semplice passacarte del padrone. A quel punto il quadro sarà quasi completo: il pluralismo, che dovrebbe significare la presenza di diverse voci, diverse culture, diverse opinioni, si incarnerà nella sola, dominante, inquietante, arrogante, prevaricante presenza di Silvio Berlusconi e, quando non potrà, di una sua brutta e penosa copia.


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Per tutti questi motivi, noi deputati dell'opposizione ci stiamo dando da fare giorno e notte per tentare di fermarvi, per difendere la libertà di informazione, per cercare di vincere in Parlamento e, se non sarà possibile, di fare la contro informazione necessaria all'opinione pubblica italiana. Bisogna far sapere che, se un signore, che fa il Capo del Governo e ha un mare di interessi familiari e personali nel mondo dell'informazione, si allarga fino a tal punto, fa del conflitto di interessi un'arma di Governo per i propri fini anziché una grande anomalia da rimuovere come ci chiedono l'Europa tutta unita ed i paesi democratici del mondo.
Se è così, in discussione vi è qualcosa di molto importante per noi: uno dei fondamenti della democrazia di un paese.
Si tratta del pluralismo e della libertà di informazione che sono beni preziosi che voi, colleghi della maggioranza, state picconando giorno dopo giorno. Vi chiedo come potete, di fronte ad un problema così grande, non avere un sussulto di dignità, di coscienza morale e di libertà. Voi sapete che il voto di fiducia, che avete voluto esprimere su questo provvedimento, è necessario non tanto al vostro leader, ma al vostro padrone, per tapparvi definitivamente la bocca se mai a qualcuno di voi venisse in mente di provare, almeno una volta, ad essere finalmente dei parlamentari liberi. Accettate tutto per servire il vostro padrone! Accettate persino di aggirare una sentenza della Corte costituzionale, nonché il messaggio del Presidente della Repubblica, che vi richiama severamente e giustamente, rinviando il disegno di legge Gasparri alle Camere, al rigore del pluralismo dell'informazione, alla libertà in questo campo e alla garanzia per tutte le voci che esistono nel paese. In fondo, egli vi invita a mettere davanti agli interessi privati del Capo del Governo gli interessi ben più importanti dell'intero paese. Questo è il richiamo del Presidente della Repubblica, che però voi fate finta di non sentire e di non aver letto. Il decreto-legge al nostro esame, dunque - dopo la legge Cirami, dopo la legge sul falso il bilancio, dopo la legge sul rientro dei capitali illecitamente esportati all'estero -, si pone sempre sulla stessa linea, molto pericolosa e sbagliata, per il paese: la linea degli interessi privati in atto pubblico, la linea di far diventare più potenti i potenti, sempre più ricchi i ricchi e sempre più prepotenti i prepotenti. Questo è quello che fate, con questo decreto-legge, ancora una volta, mentre il Capo del Governo insegna dalla TV, alle cosiddette massaie italiane (quelle che non esistono più), come risparmiare e come imparare a fare la spesa dalla sua povera mamma, che tutte le mattine si reca al mercato per risparmiare. Insegna, cioè, come far bastare quelle pensioni, quei salari e quegli stipendi, con cui oggi troppi italiani...

PRESIDENTE. Onorevole Trupia, la invito a concluedere.

LALLA TRUPIA. ...e troppe italiane, grazie soprattutto alle politiche di questo Governo, ai tagli alla spesa sociale, non arrivano alla fine del mese.
Il Capo del Governo ha perciò la spudoratezza di invitare non solo le massaie a far questo, ma, come ha fatto l'altro giorno in conferenza stampa, di invitare anche chi è ricco a fare l'evasore e a non pagare le tasse. Voi, insieme al vostro padrone - perché di questo si tratta, cari colleghi del Polo -, avete ormai dimostrato di essere una pessima classe dirigente per questo paese: una classe dirigente francamente impresentabile. Il paese, però, se ne sta accorgendo. Per questo...

PRESIDENTE. Onorevole Trupia, dovrebbe proprio concludere.

LALLA TRUPIA. Ho finito, Presidente. Avete avuto bisogno di porre il voto di fiducia per chiudere la bocca al Parlamento e all'opposizione e per far passare in sordina un altro atto ingiusto, arrogante e indecente, ma la fiducia che vi date tra di voi, qui dentro, in Parlamento, non è più, io credo, la fiducia di cui godrete nel paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. In questi giorni, nel comportamento e nell'atteggiamento delle opposizioni è emerso anche qualcosa, che definirei una sorta di furore disperato e impotente, qualche veemenza, qualche urlo: una sorta di nausea dell'anima. Se dovessi usare una frase per definire il sentimento che provo in questo momento (che credo ci accomuni), userei una frase di George Steiner: sono in preda all'enormità.
Si tratta di una frase che Steiner utilizza per definire quelle situazioni estreme in cui né la ragione né il cuore riescono a comprendere e ad accettare ciò che accade, perché si ha la sensazione, a fronte degli avvenimenti che accadono, che qualcosa stia andando male nel mondo e la percezione netta e disperata di un patto che si è infranto.
Nel nostro caso si tratta del patto più rilevante, perché fonda una comunità, le sue regole di convivenza e la sua civiltà condivisa. Il decreto-legge di cui ci stiamo occupando è un piccolo paradosso, un teatrino dell'assurdo legislativo, un inno alla furbizia ed all'interesse personale che si fa legge e oltraggio alla legge; un paradosso che mina alla radice i fondamenti etici, civili e culturali della nostra Repubblica e dei suoi garanti, quali la Costituzione e la Corte costituzionale.
Siamo di fronte a piccoli fatti di malcostume, perché il Presidente del Consiglio ha firmato un decreto-legge che immediatamente reca allo stesso un doppio guadagno: da una parte, attraverso l'operazione «salvate il soldato Fede» si mantiene un importante strumento di propaganda e di distorsione dell'informazione, dall'altra, non trasferendo Retequattro sul satellite, si guadagnano in soli tre mesi 300 miliardi di vecchie lire da introiti pubblicitari non declassati da tale operazione.
Inoltre, come si evidenzia dall'andamento dei mercati, i titoli Mediaset hanno di rimbalzo guadagnato un altro tre per cento sui mercati nazionali ed internazionali. Imperano, quindi, la propaganda, il denaro, il capitalismo malato ed arraffone, un regime sul piano informativo, con l'aggravante di una profonda corruzione delle istituzioni. Siamo, inoltre, di fronte ad un decreto-legge su cui è stata posta la questione di fiducia che reitera uno stato di eccezione che diventa l'unico strumento di governo e di controllo del sistema istituzionale.
È un processo che, anche attraverso la sospensione del provvedimento sul conflitto di interessi che giace nei cassetti del Senato, ci mette di fronte al fatto che le istituzioni della democrazia vengono sequestrate per qualche dollaro in più.
Ci sono poi altri fatti di maggior rilievo politico, civile e costituzionale che hanno a che vedere con le sentenze della Corte costituzionale, con il messaggio con cui il Presidente Ciampi ha rinviato alle Camere la legge Gasparri, ma anche con i pareri delle varie autorità terze che ancora resistono in questo paese (l'Autorità antitrust, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e con quelli delle comunità e realtà economiche, sociali ed imprenditoriali. Voci autorevoli del paese da cui emerge che i valori di una democrazia, quale è la nostra, si fondano sul pluralismo del sistema informativo e sul pluralismo economico, sulla libertà, dunque, su ciò che voi chiamate il mercato.
Di fronte, però, a questi valori fondanti di una comunità, queste voci autorevoli del paese rilevano che il paese vive in una situazione di illegalità ed incostituzionalità, perché non esiste pluralismo nel sistema informativo, né pluralismo economico.
Il problema non è il soldato Fede (può continuare ad esistere ed a parlare). Il problema è che non vi sia solo il soldato Fede o che non vi siano solo cento canali, anziché i venti attualmente disponibili, se i suddetti sono dello stesso padrone e affermano le stesse cose.
Pluralismo sul piano informativo significa più voci, più culture, più tendenze, più pezzi di società rappresentate, mentre pluralismo sul piano economico significa più


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soggetti in grado anche di competere e di arricchire vicendevolmente, attraverso questa sana competizione, il paese.
Dunque, pluralità significa più soggetti, più operatori di informazione ed economici, più voci, più culture, più pezzi di società. Sono questi valori fondanti della nostra democrazia (la libertà economica, la libertà di espressione e la libertà di informazione), sanciti dall'articolo 21 e 41 della Costituzione, ad essere in discussione con questo provvedimento.
Cos'è che mina alla radice il doppio principio che ho ricordato? Il fatto che, nel nostro paese, ci troviamo di fronte alla costituzione illegittima di un monopolio, la cui esistenza è stata poi sanata da leggi ex post. Tale situazione di monopolio è legata innanzitutto all'occupazione del bene più prezioso del settore informativo, le frequenze, vale a dire la materia prima a partire dalla quale è possibile ogni operazione trasmissiva e di comunicazione.
Ebbene, queste frequenze sono state sequestrate illegittimamente: prima, occupate al di fuori di ogni legge, poi, sancite e legittimate da leggi emanate apposta per stabilire che non si trattava di una violazione. È dal 1992 che sapete che questa situazione di illegittimità va sanata e, nel 2002, è stato anche dato un ultimatum a questa legittimità, attraverso la previsione del termine del 31 dicembre 2003.
La Corte costituzionale e le varie autorità affermano che la strada maestra per ripristinare la legalità, la legittimità e la costituzionalità nel nostro paese è quella di prendere in considerazione la radice del problema, procedendo alla riallocazione delle frequenze, ossia della materia prima a partire da cui ogni soggetto può svolgere informazione.
Tuttavia, ciò non è accaduto, allora vi siete inventati la grande truffa del digitale, vale a dire la legge Gasparri. Una legge che, sostanzialmente, non si propone di sviluppare il digitale - grande opportunità sul piano tecnologico ed imprenditoriale -, ma di proteggere dal digitale e da nuovi soggetti entranti l'attuale monopolio, cioè di proiettare anche nel digitale la situazione di monopolio attualmente esistente.
Infatti, è vero che il digitale può moltiplicare i canali e le opportunità trasmissive, ma è anche vero che, essendo le frequenze detenute da uno stesso monopolista, può solo moltiplicare i canali di quest'ultimo. Dunque, utilizzate la grande truffa del digitale anche con un altro scopo, vale a dire quello di dichiarare l'esistenza del digitale per non aprire il mercato, affermando che esistono più canali per non redistribuire le frequenze. Ma - l'ho già detto prima - la questione non è quanti sono i canali trasmissivi, la questione è quanti sono i soggetti, quante sono le voci che parlano, quali sono i soggetti culturali e le differenze linguistiche. Tutto ciò non è contenuto nella legge Gasparri.
Tuttavia, non vi basta la grande truffa del digitale, infatti il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere quella che, appunto, si configurava come una vera e propria truffa. Attraverso questo decreto-legge, realizzate anche la piccola truffa, in quanto allo stato attuale, nel sistema tecnologico italiano, il digitale non c'è e voi non avete attivato nessuna delle politiche industriali, di incentivi, di innovazione, che avrebbero potuto rendere possibile l'avvento del digitale. Tra l'altro, oltre all'inesistenza del digitale, non vi è neanche la legge Gasparri che, in qualche modo, ne costituisce la cornice ideale.
Allora, voi, con questo decreto-legge, vi inventate la possibilità per un soggetto di dichiarare che comunque il digitale c'è; così facendo, in qualche modo scavalcate la realtà attraverso un ulteriore sotterfugio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Visco. Ne ha facoltà.

VINCENZO VISCO. Signor Presidente, un paio di giorni fa parlando con i giornalisti, che mi informavano della decisione del Governo di porre la questione di fiducia su questo decreto-legge, ebbi a dire, anche con una certa dose di ammirazione, che questo Governo aveva una capacità incredibile di sorprendere. Tutto


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si poteva immaginare fuorché il fatto che, su una questione di questo tipo, il Governo non solo intervenisse con un decreto-legge, e noi sappiamo che sui decreti in materia televisiva e in materia di permanenza di trasmissioni illegali esisteva almeno un precedente, ma poneva addirittura la questione di fiducia per avere la certezza di conseguire un risultato assoluto.
È proprio per questo che noi stiamo facendo questa battaglia di libertà e di informazione. Noi abbiamo visto nel corso di questi anni di tutto; ma, in questo caso, siamo di fronte ad una cosa gravissima, cioè all'uso da parte del Governo, del Parlamento non solo per interessi di parte, ma anche per interessi patrimoniali privati del Presidente del Consiglio dei ministri. Questa è una vergogna per qualsiasi paese democratico! È qualcosa che non si è mai visto. Conseguentemente non bisogna sorprendersi se ai vertici europei l'Italia è tenuta fuori, proprio perché il nostro paese è questo agli occhi del mondo. È un posto dove un gruppo di persone si è impadronito del potere e lo usa a fini privati e a fini d'arricchimento privato. Questo è quello che noi intendiamo quando denunciamo il problema del conflitto di interessi. In questo caso il conflitto di interessi è pervasivo: oggi si salva Retequattro che, come è stato ricordato, significa alcune centinaia di miliardi di vecchie lire di fatturato pubblicitario e una possibilità ulteriore di influenza sui mass media e, quindi, sulla comunicazione e significa anche ignorare le sentenze della Corte costituzionale e i rilievi di incostituzionalità sollevati dal Capo dello Stato rinviando alle Camere la legge Gasparri. Contemporaneamente a ciò, noi assistiamo a frenetiche affermazioni fatte dal Presidente del Consiglio dei ministri; dichiarazioni tutte contro la libertà di comunicazione e della parità di condizioni in ordine all'accesso ai mezzi di comunicazione di massa. Il discorso sulla par condicio è addirittura grottesco, così come gravissima è la direttiva che il direttore della RAI ha inviato agli uffici in base alla quale i due terzi dei tempi disponibili devono essere garantiti alla maggioranza: un terzo alla maggioranza, un terzo al Governo e un terzo all'opposizione. Questo la dice lunga su come s'intende la democrazia da parte di questo Governo. Nello stesso tempo assistiamo quotidianamente allo scempio informativo fatto dai telegiornali di Stato, in particolare dal TG1 dove il direttore e anche l'ordine dei giornalisti ignorano un fatto molto semplice e cioè che il TG1 non è una proprietà privata come possono essere, ad esempio, quotidiani come Libero o Il Tempo che possono fare e dire quello che vogliono, anche falsificando la realtà.
Il TG1 è una testata della televisione pubblica. Non ho mai visto un esempio così scandaloso di disinformazione sistematica.
In questi anni abbiamo inoltre assistito a una gestione dell'attività di Governo e dell'attività parlamentare concentrata in modo ossessivo sugli interessi personali del Presidente del Consiglio, quando nel paese vi sono numerosi problemi che andrebbero affrontati. Si arriva addirittura alla farsa: mentre i cittadini fanno i conti con un oggettivo impoverimento di massa, il Presidente del Consiglio e i suoi ministri continuano invece a dire che il paese sta meglio e si è arricchito. Ci troviamo di fronte ad un corto circuito: se parliamo del paese, tale affermazione non è veritiera; se tuttavia parliamo del Presidente del Consiglio, essa, al contrario, è certamente veritiera.
Ho svolto una breve indagine tramite Internet, dalla quale ho ricavato alcuni dati relativi alle società quotate in borsa che fanno capo al Presidente del Consiglio. Intendo sottoporre all'attenzione dei colleghi il raffronto tra il valore di tali società alla fine del 1996, quando Mediaset fu quotata in borsa, e il valore odierno: Mediaset, che fu quotata per un valore pari a circa 4 miliardi di euro, oggi ne vale 11,5; Mondadori, che allora valeva 0,8 miliardi, oggi ne vale 2; Mediolanum, che valeva circa un miliardo, oggi ne vale 4,7. Dunque, il patrimonio complessivo di tali società è passato da circa 7 miliardi ad oltre 18 miliardi. Tali dati peraltro non tengono conto dei dividendi distribuiti in questo periodo. Il valore patrimoniale di


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tali società, e quindi il patrimonio personale del Presidente del Consiglio, è pertanto quasi triplicato.
A ciò si aggiungono le speculazioni alle quali abbiamo recentemente assistito, sia nell'imminenza del rinvio alle Camere della legge Gasparri, quando vi furono speculazioni sui titoli da parte degli stessi azionisti e dunque arricchimenti legati a tale operazione, sia, più recentemente, dopo l'emanazione del decreto-legge in esame.
I dati che ho citato riguardano peraltro solo le tre società quotate in borsa. Non dobbiamo dimenticare che nell'impero economico del Presidente del Consiglio vi sono numerose altre società, che in tale periodo hanno realizzato guadagni non irrilevanti

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 9,50)

VINCENZO VISCO. Va inoltre ricordato un episodio, a proposito dell'inflazione (non comprendiamo peraltro quale sia la posizione del Governo in materia: da una parte, si nega che vi sia inflazione, dall'altra, si attribuisce all'euro una serie di misfatti, fra i quali l'inflazione). Quando il Governo si insediò e il comitato sull'euro avrebbe dovuto svolgere una serie di attività che non sono state svolte...

PRESIDENTE. Onorevole Visco...

VINCENZO VISCO. Signor Presidente, dovrei ancora avere circa la metà del tempo a disposizione.

PRESIDENTE. No, onorevole Visco, il tempo a sua disposizione è terminato, le restano ancora dieci secondi.

VINCENZO VISCO. Allora, sintetizzerò.

PRESIDENTE. No, in questa fase non si sintetizza; deve concludere il suo intervento. Se il tempo è scaduto, devo toglierle la parola.

VINCENZO VISCO. Ne prendo atto, signor Presidente. Evidentemente, il suo cronometro è rimasto all'intervento precedente perché, guardando il mio orologio, questo non risulta.
In ogni caso, signor Presidente, allora noi denunciammo il fatto che un bollettino dell'euro era stato trasformato in un appalto, che fu vinto - guarda caso - dalla Mondadori. Questo bollettino fu distribuito in allegato a tutti i giornali e riviste dell'epoca, con una spesa irrisoria ma non irrilevante. Allo stesso modo, il convertitore in euro, che fu inviato a tutti gli italiani, fu gestito da una società del Presidente del Consiglio dei ministri. Per non parlare della pubblicità che, in quell'epoca, fu dirottata sistematicamente dalle reti RAI e dai giornali alle reti Mediaset.
Ho fornito qualche elemento, signor Presidente, per spiegare la ragione per cui noi siamo così impegnati in questa battaglia. Vorrei ricordare che, nella storia d'Italia, era già accaduto almeno una volta che un gruppo affarista e irresponsabile assumesse la responsabilità di Governo del paese. Era l'epoca di Crispi, Di Rudinì e così via. Finì in una tragedia. Mi auguro che, questa volta, almeno le forze responsabili che sono nella maggioranza siano in grado di impedire che avvenga di nuovo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Come tutti i miei compagni, come tutti i colleghi dell'opposizione, sono anch'io alla terza puntata della riflessione che stiamo dedicando, con tanto impegno e con tanta passione, alla conversione in legge del decreto-legge che ci vede impegnati in questa settimana. Di qui la necessità, anche per rendere chiara la sostanza della mia riflessione (non me ne vorrà il Presidente), di procedere a una sorta di riassunto delle precedenti puntate che, peraltro, effettuerò in rapidissima sintesi.
In molti - e tra costoro anch'io - ci siamo attardati su una importante e rilevante


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questione di metodo. In molti abbiamo affrontato una questione democratica di grande rilevanza costituzionale, quale è il rapporto intercorrente tra la decretazione d'urgenza e la fiducia parlamentare. Abbiamo ricordato in questi giorni - anch'io personalmente, ieri e l'altro ieri - come la decretazione d'urgenza sia fatto istituzionale e costituzionale di natura eccezionale, giacché espropria di fatto la potestà legislativa che, nelle moderne democrazie, spetta al Parlamento, alle Camere elette dai cittadini. In questo caso particolarissimo, abbiamo sottolineato come il decreto-legge abbia espropriato la possibilità di discussione e di voto da parte della Camera su una materia particolarissima, una materia che enfatizza al massimo il conflitto di interessi che da anni, ormai, costituisce una delle grandi questioni democratiche nazionali del nostro paese. Infatti, oggetto del decreto-legge è la possibilità di prorogare le trasmissioni di Retequattro, rete televisiva che appartiene al Presidente del Consiglio dei ministri.
Quindi, per sintetizzare, abbiamo un decreto-legge, cioè un atto avente forza di legge, assunto non dal Parlamento ma dal Presidente del Consiglio quale Capo del Governo, che impedisce al Parlamento attraverso il voto di fiducia di discutere dei suoi affari e che raggiunge l'obiettivo di salvare una sua rete di proprietà personale.
Ancora sulla questione di metodo abbiamo osservato e ricordato che mai in passato, in questi cinquant'anni, era accaduto che la fiducia venisse posta in modi così atipici e nuovi: una fiducia posta ad aula vuota, una fiducia posta in un giorno in cui i parlamentari non erano a Roma, una fiducia posta di lunedì pomeriggio in assenza di un qualsivoglia dibattito preparatorio che in qualche misura giustificasse sul piano istituzionale il ricorso a questo delicato strumento previsto dalla nostra Costituzione.
Detto questo sul piano del metodo, io credo che vi sia un altro argomento importante che opportunamente abbiamo già affrontato ancorché rapidamente e che qui giova riprendere. Mi riferisco all'argomento relativo ai momenti e agli strumenti di garanzia in un sistema democratico maggioritario. È notorio che nel nostro paese stiamo facendo passi in avanti giusti e opportuni verso la costruzione di un sistema bipolare e questo lo si fa sul piano elettorale proponendo leggi elettorali maggioritarie, ma sappiamo anche che il sistema maggioritario, proprio perché consente ad una minoranza di diventare solida maggioranza parlamentare, pone sul piano istituzionale, costituzionale, sul piano delle ricadute sulla società, sulla organizzazione sociale ed istituzionale, importanti e delicati problemi. La libera stampa e il pluralismo dell'informazione rappresentano dei momenti democratici e di garanzia proprio per consentire un sano, avanzato, efficiente e democratico sistema maggioritario.
A questo punto, esaurita la sintesi delle puntate precedenti, giova fare qualche passo in avanti. Il tema che intendo affrontare è quello della cosiddetta fiducia tecnica, giacché, come è noto, la maggioranza ed il Presidente del Consiglio in questi termini hanno ritenuto di giustificare sul piano politico e istituzionale ancora il ricorso alla fiducia sul decreto-legge «salva-Retequattro». Ed è tecnica questa fiducia, ad avviso del Presidente del Consiglio, perché il Governo ed il Parlamento a suo parere non possono perdere tempo. In realtà, a parte la natura populistica, chiaramente populistica, di una siffatta giustificazione, sul piano del risultato è poi accaduto che la Camera dei deputati da una settimana sta discutendo e discettando su un affare privato del Presidente del Consiglio. Quindi, come perdita di tempo, mi pare che ce ne sia stata abbastanza e soprattutto va sottolineato che è una perdita di tempo tutta dedicata ai soldi, al patrimonio e agli affari del Presidente del Consiglio.
Sul merito della vicenda hanno parlato assai bene i tanti colleghi che prima di me hanno preso la parola. Io credo che vada indicata e sottolineata la cultura politica di fondo che ispira ormai l'azione di Governo perché sono passati più di due anni da


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quando l'esecutivo Berlusconi governa il nostro paese ed è trascorso un tempo necessario e sufficiente per consentire un giudizio che, ormai, potrei dire non solo politico ma addirittura storico.
Il Governo Berlusconi si inserisce nell'alveo della destra europea, ma occorre interrogarsi se esso sia espressione di una destra europea, di una destra moderna, che sappia governare, evidentemente proponendo politiche conservatrici, politiche appunto di destra. La nostra questione specifica è però diversa, perché la nostra destra di Governo non è una destra europea e tanto meno una destra moderna: per le cose che fa, per le cose che dice, per le cose che propone, essa si pone e si atteggia chiaramente, evidentemente, nitidamente come destra demagogica e populista.
Essa tende a tornare indietro su tutti i temi che affronta nella sua attività di Governo e nella sua proposta governativa. Una pubblica amministrazione che in passato avevamo cercato di costruire su un piano di imparzialità, attraverso metodi assai discutibili viene ricacciata verso la pubblica amministrazione del secolo scorso, cioè una pubblica amministrazione parziale. Ci si propone un'organizzazione scolastica anch'essa ormai vecchia prima di nascere, giacché tutta protesa alla didattica e completamente dimentica della ricerca, come se, in un grande paese moderno ed europeo come il nostro, ci si potesse permettere una scuola che non ricerchi, ma che insegni soltanto.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 10,04)

FRANCESCO BONITO. Una sanità tutta protesa sul privato e dimentica delle esigenze pubbliche e pubblicistiche. Per quanto riguarda la giustizia - absit iniuria verbis -, voglio soltanto ricordare l'ultima verifica, l'ultimo gioiello...

PRESIDENTE. Onorevole Bonito, la prego di concludere.

FRANCESCO BONITO. ...una verifica tutta tesa ad una ricomposizione politica che deve mettere sul piatto e davanti agli italiani i problemi della società italiana e che, viceversa, discetta di come concedere obbligatoriamente le attenuanti generiche in favore di Cesare Previti. Questo significa essere demagoghi, questo significa essere populisti, e questa demagogia e questo populismo si esprimono anche nell'approvazione di questo decreto-legge. Stiamo parlando di televisioni, stiamo parlando di sistema informativo, di sistema massmediatico e non dobbiamo stupirci che una destra populista e antidemocratica faccia gli interessi del padrone, del Presidente del Consiglio, su una materia così delicata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borrelli. Ne ha facoltà.

LUIGI BORRELLI. Signor Presidente, l'altro ieri abbiamo ascoltato il Presidente del Consiglio nel corso di una conferenza stampa e, ancora una volta, è emersa l'insofferenza verso gli organi di garanzia. Anzi, su questo tema, Berlusconi è ritornato anche ieri, monopolizzando anche la radio ed inaugurando la campagna elettorale. Abbiamo ascoltato l'attacco sconsiderato nei confronti della Corte costituzionale, perché questo fondamentale organismo di garanzia della democrazia non si è allineato alle sue aspettative. È come risentire una triste espressione che fino ad ora è stata usata soltanto da chi è profondamente estraneo alla democrazia: chi non è con me è contro di me. Un tale comportamento è inaccettabile, da parte di un Presidente del Consiglio di una Repubblica, come quella italiana, fondata sulla democrazia e sul rispetto della Costituzione.
La nostra battaglia parlamentare, certamente dura, che utilizza tutti gli strumenti democratici consentiti, vuole essere una risposta anche a simili atteggiamenti. È al paese che ci rivolgiamo, perché vogliamo che l'Italia continui ad essere una


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Repubblica democratica, dove nessuno è al di sopra della legge e della Costituzione, dove nessuno può far valere i propri interessi al di sopra di quelli generali e costituzionalmente garantiti, specialmente in un settore di fondamentale importanza come quello dell'informazione.
I fatti sono noti. Le sentenze della Corte costituzionale hanno posto il limite al 31 dicembre 2003 per la cessazione del regime transitorio stabilito dalla legge n. 249 del 1997, per il rispetto delle norme antitrust nel campo delle trasmissioni televisive. Il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere sul delicato problema dell'informazione, inoltre, è ritornato sulla questione del termine del 31 dicembre 2003, definendolo testualmente un termine finale, assolutamente certo e definitivo e, dunque, non eludibile.
In realtà, questa maggioranza ha cercato di forzare i termini sopra indicati già con la cosiddetta legge Gasparri. Tutti ricordano che quel progetto di legge ha ricevuto una seria bocciatura da parte del Presidente della Repubblica; anzi, proprio la mancata firma della cosiddetta legge Gasparri da parte del Capo dello Stato ha fatto sì che, alla vigilia del Natale scorso, il Governo corresse ai ripari per salvare un pezzo importante dell'impero mediatico di proprietà del Presidente del Consiglio, varando un decreto-legge che non ha altro senso se non quello di piegare gli interessi generali a quelli del capo della maggioranza.
Il decreto-legge in esame, dunque, ci pone di fronte ad un conclamato e gravissimo caso di conflitto di interessi tra Presidente del Consiglio e diritti costituzionali dei cittadini. Si tratta di un conflitto di interessi sotto gli occhi di tutti, che desta preoccupazione sia in Italia, sia negli altri paesi democratici, e che è ben lungi dall'essere superato.
È stato già ricordato che l'annuncio della posizione della questione di fiducia per la conversione in legge del cosiddetto decreto-legge «salva-Retequattro» ha fatto guadagnare al gruppo Mediaset che, come è noto, è di proprietà del Presidente del Consiglio, un 3 per cento in più in Borsa, portando nelle tasche della famiglia Berlusconi una cospicua quantità di denaro.
Si tratta di una situazione di vantaggio che non è nata da un particolare talento di Berlusconi, messo a frutto in un libero mercato, ma che è stata determinata, invece, da una disposizione normativa voluta dal Governo Berlusconi, il quale, approfittando della propria posizione politica, danneggia non solo i propri concorrenti, ma anche tutti i cittadini, che vedono ridotti i propri spazi di libertà.
Il Presidente Berlusconi si era impegnato, come sappiamo, a risolvere la propria situazione di conflitto con legalità nei primi cento giorni di Governo, come egli stesso ha più volte dichiarato. Di giorni ne sono trascorsi mille, ma il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, invece di risolversi o attenuarsi, è addirittura peggiorato. Ne danno testimonianza tutti i provvedimenti di un certo rilievo, approvati con leggi che la società italiana e quella internazionale hanno definito «leggi vergogna»: dalla giustizia, con la cosiddetta legge Cirami, alla legge sul falso in bilancio, alla abolizione della tassa sulle successioni per i più ricchi e così via.
Signori del Governo, non vi siete accontentati di garantire a Retequattro con uno strumento straordinario, quale il decreto-legge, di continuare a trasmettere per via analogica oltre il termine fissato dalla Corte costituzionale, ma avete posto anche la questione di fiducia per la conversione in legge di tale decreto-legge, appesantito da modifiche peggiorative apportate dal Senato.
Un netto aggravamento del testo, infatti, è rappresentato dall'introduzione del riferimento alle tendenze di mercato quale criterio di valutazione del grado di diffusione del sistema digitale terrestre di trasmissione, o la riduzione della copertura della popolazione raggiunta dal segnale, dall'80 per cento previsto dall'attuale normativa al 50 per cento. Si tratta, evidentemente, di modi per aggirare qualsiasi norma seria di controllo, in quanto la valutazione della tendenza di mercato altro non può essere che un escamotage per


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costringere l'Autorità preposta alla verifica a non essere in grado di effettuare alcuna valutazione seria e oggettiva.
La verità è che la posizione della questione di fiducia è servita ad evitare che qualche proposta emendativa, tra quelle presentate, potesse essere approvata a scrutinio segreto, e che quella cosiddetta tetragona maggioranza (si fa per dire) di cui disponete potesse, nel segreto del voto, far fare al presente decreto-legge la stessa fine che ha fatto fare alla cosiddetta «legge Gasparri 2». Altro che questione tecnica! La verità è che Berlusconi non si fida della sua maggioranza, nello stesso modo in cui gli italiani non si sentono più in sintonia e non si fidano più del suo Governo.
Il presente provvedimento, approvato con il ricorso alla fiducia, protrae praticamente in maniera indefinita la situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e comporta, come conseguenza incontrovertibile, la limitazione del pluralismo nel sistema dell'informazione.
Vorrei svolgere, al riguardo, due brevi considerazioni, una politica, l'altra tecnica, sul grado di pluralismo e di trasparenza dell'informazione nel nostro paese.
Per quanto concerne la prima, vorrei segnalare che, sul Corriere della Sera di oggi, il professor Sartori riferisce che gli applausi mandati in onda da tutte le televisioni italiane, pubbliche e private, dopo l'intervento del Presidente del Consiglio Berlusconi alle Nazioni Unite erano falsi: in realtà, erano la registrazione degli applausi diretti a Kofi Annan. Ma per gli italiani, gli applausi erano per Berlusconi, esattamente come sarebbe successo in qualsiasi Stato privo della libertà di informazione.
La seconda questione sulla quale desidero richiamare la vostra attenzione riguarda la verifica delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, vale a dire la possibilità di raggiungere in maniera adeguata un numero considerevole di utenti. È noto, infatti, che la qualità del segnale rappresenta un elemento dirimente per quanto riguarda l'effettiva copertura del territorio e, di conseguenza, il reale riconoscimento del diritto all'accesso ad una pluralità di offerta radiotelevisiva.
D'altra parte, il fatto che la quota di popolazione coperta dal segnale digitale terrestre non debba essere inferiore al 50 per cento, anziché all'80 per cento, come era previsto dalla legislazione preesistente, crea il rischio che i territori più marginali non siano coperti e, di conseguenza, che le opportunità offerte dalla nuova tecnologia si limitino alla copertura delle zone dove è più comodo irradiare il segnale.
Noi voteremo contro questo decreto-legge, che non offre nuove opportunità ai cittadini italiani, ma serve solo ad evitare che l'azienda del Presidente del Consiglio si adegui alle prescrizioni della Corte costituzionale al libero mercato.
Su questo decreto-legge il Governo ha obbligato la sua maggioranza ad esprimere la fiducia. È stato così all'interno di quest'aula, non è così e non sarà così nel paese. Il Governo e la destra non hanno più la fiducia degli italiani: troppe sono state le promesse disattese; troppi i guasti che avete causato! Siete lontani dai reali problemi degli italiani. Voi dite che, dopo due anni del vostro Governo, gli italiani sono più ricchi; gli italiani, invece, si fanno i conti in tasca e si scoprono più poveri e con più problemi.
Nulla di ciò che avevate promesso durante la campagna elettorale si è realizzato. Tutte le aspettative sono state tradite. Non passerà molto tempo e gli italiani vi presenteranno il conto, che sarà duro da pagare perché consisterà in una condanna senza appello per una destra che ha fallito la sua esperienza di Governo e che ha danneggiato e penalizzato l'Italia e gli italiani.
La nostra opposizione dovrà servire sempre di più a limitare i danni che causate alla nazione. Questa opposizione si sta trasformando in forza di Governo, per poter riportare l'Italia, dopo le elezioni del 2006 - se sarete in grado di arrivare a tale scadenza -, sulla via dello sviluppo e della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.

ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, colleghi, in questa lunga seduta non-stop abbiamo voluto smascherare un Governo ed una maggioranza che pensano ancora di continuare ad imbrogliare gli italiani usando il monopolio dell'informazione. Abbiamo voluto denunciare all'opinione pubblica un Governo arrogante e prepotente, infastidito dalla democrazia e dalle sue regole, un Presidente del Consiglio che agisce come padrone e proprietario delle istituzioni e le piega agli interessi personali e della sua famiglia, un Governo in rotta di collisione - com'è stato più volte ricordato - con gli interessi reali del paese e che usa gli strumenti dell'informazione come fanno i regimi dittatoriali. Questa è la ragione vera del voto di fiducia sulla conversione del decreto «salva Retequattro». Altro che ragioni tecniche o di snellimento dei lavori parlamentari!
Le ragioni ed il volere dell'onorevole Berlusconi non si discutono: questo emerge dalla vicenda. La maggioranza, non più affidabile e baldanzosa, come nei primi mesi della legislatura, è stata imbavagliata, messa in condizione di non nuocere, costretta a votare la fiducia per tutelare gli interessi del Presidente del Consiglio. Berlusconi non poteva rischiare di mandare Retequattro sul satellite, come indicato dalla sentenza della Corte costituzionale; non poteva rischiare che il Parlamento gli imponesse il rispetto della legge. Ecco perché il Capo del Governo non ha voluto rinunciare a tutelare i propri interessi e quelli della propria impresa attraverso una pericolosa commistione di rapporti, com'è stato più volte ricordato dai colleghi, tra media, affari economici e politici.
Infatti, con questo disegno di legge di conversione del decreto-legge «salva Retequattro», la famiglia Berlusconi e le imprese che ad essa fanno capo incassano, com'è stato più volte ricordato, 163 milioni di euro. Inoltre, a seguito del voto di fiducia espresso in questa Camera, il titolo Mediaset ha avuto, in Borsa, un rialzo del 3 per cento (che equivale a diversi euro).
Siamo di fronte, quindi, colleghi, ad un evidente conflitto di interessi, la vera, grande questione democratica che fa parlare tutto il mondo democratico, ma che voi continuate ad ignorare e questa maggioranza si ostina a non affrontare con una legge giusta che ponga finalmente fine al conflitto di interessi del Capo del Governo.
Intanto, il paese reale vive un'altra realtà, vive in un'altra Italia. La crescita economica negli ultimi trimestri segna zero. La produzione industriale dei redditi di impresa (naturalmente, di quelle imprese che vivono le condizioni del mercato e non le imprese che hanno la protezione politica, come quelle di Berlusconi) continua a scendere vertiginosamente.
L'occupazione industriale diminuisce, in alcuni casi, del 30 per cento, mandando sul lastrico centinaia e centinaia di famiglie. La realtà sociale di questi giorni è sotto gli occhi di tutti, anche perché non è possibile nasconderla con un'informazione truccata.
Berlusconi continua, invece, con la sua propaganda, pensando di salvare il salvabile alle elezioni del 13 giugno, parlando di un'altra Italia, di un'Italia più ricca e più serena. Promette agli italiani che, dal 2005, pagheranno meno tasse (sono le stesse promesse reiterate che aveva fatto durante la campagna elettorale e che non ha rispettato fino ad oggi). Nel giustificarle, incita all'evasione fiscale, affermando che è morale non pagare le tasse quando le aliquote sono molto alte. Quindi, ancora una volta, si schiera da una parte degli italiani, contro l'altra.
Ancora una volta, siamo di fronte all'atteggiamento del Governo che usa due pesi e due misure. Si proteggono i grandi evasori - così com'è stato fatto con la legge per il rientro dei capitali dall'estero -, si ricattano, nello stesso tempo, come fa Tremonti, i commercianti, costringendoli a fare il concordato preventivo. Si aumenta il prelievo fiscale sulle indennità di quiescenza, che passa dal 18 al 23 per cento


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per opera di questo Governo (vale, naturalmente, per i lavoratori dipendenti), non si restituisce più il prelievo illecito fatto sui salari e sugli stipendi attraverso il fiscal drag, in presenza di un differenziale tra l'inflazione reale e quella programmata che oramai, ogni anno, supera abbondantemente l'1 per cento.
Berlusconi continua, quindi, con la propaganda, a promettere miracoli, ma nella realtà aumenta il prelievo fiscale per i più. Taglia i fondi alla scuola, alla sanità, all'assistenza e per la sicurezza del cittadino. Doveva arrivare questo Governo delle destre per fare in modo che le volanti della polizia non potessero più uscire dai garage perché mancanti di benzina o di gomme da cambiare. Questa è la situazione di fronte al paese.
Il bilancio dello Stato, colleghi, ed i conti pubblici segnano il rosso. Le entrate correnti diminuiscono rispetto alle previsioni di bilancio, le cartolarizzazioni non producono entrate miracolose, come preventivate dal Governo con il bilancio di previsione, e le entrate una tantum non saranno più riproducibili nell'anno 2005. Oramai, questo paese e i suoi conti sono sotto gli occhi attenti dell'Unione europea e della Banca centrale europea. Altro che ridurre le tasse nel 2005! Ne vedremo delle belle! Credo che facciamo bene, noi della minoranza, a chiedere una verifica dei conti. Vogliamo che questa sia fatta, in modo unitario, anzitutto all'interno della Commissione bilancio e poi in Assemblea. Non c'è più, quindi, un euro in bilancio. Questa è la realtà, Presidente e onorevoli colleghi.
In Commissione bilancio abbiamo una serie di provvedimenti di grande rilevanza politica e sociale che non possono essere licenziati, perché non vi è alcuna possibilità di trovare la copertura finanziaria.
Il fondo speciale di parte corrente presso il Ministero dell'economia e delle finanze per il triennio 2004-2006, alla data del 10 febbraio, presentava le seguenti disponibilità: per l'anno 2004, vi sono soltanto 23 milioni 713 mila euro. Per l'anno 2005 (udite, udite!), sono rimasti 363 mila euro. Pochi spiccioli. Per l'anno 2006, la competenza è di 10 milioni 499 mila euro. Siamo appena a febbraio, ma non possiamo ratificare importanti trattati internazionali, con una magra figura a livello internazionale, per mancanza di fondi.
Questa è la risposta che il ministro Frattini ha dato all'interlocuzione della Commissione bilancio. Il 31 dicembre è molto lontano, Presidente, colleghi, quindi io non so come faremo negli anni a venire a gestire le esigenze di questo paese e di questa nazione. Questa è la realtà. Vedete, io voglio dirlo con molta chiarezza, queste non sono le cifre che fornisce un deputato della minoranza, perché in Commissione bilancio e, in modo particolare, nel Comitato pareri, siamo abituati ad agire più in sede tecnica che in sede politica, per cui queste mie considerazioni sono le stesse che potrebbe fare il presidente del Comitato pareri o il presidente della Commissione bilancio se ne avesse l'opportunità, quindi senza il bavaglio del voto di fiducia. Ma sono gli organi di informazione che parlano delle favole promesse dall'onorevole Berlusconi, che trucca perfino le conferenze stampa internazionali, come è stato testé ricordato dall'onorevole Borrelli; basta legge un fondo raccapricciante sul Corriere della Sera di oggi. La nostra stampa, il nostro sistema dell'informazione ha aspettato che il professor Sartori scrivesse di questa vicenda, che è veramente vergognosa e fa ridere di noi tutto il mondo. Allora, il Presidente Berlusconi continua ancora ad utilizzare i mezzi di informazione con prepotenza, con nonchalance, come se fosse tutto dovuto al capo. Parla a Radio anch'io da casa sua, quindi senza scomodarsi, promette che farà conferenze stampa fiume settimanali da qui alle elezioni europee, non perde occasione di attaccare le alte istituzioni di questa Repubblica. Per cui, siamo di fronte veramente ad un conflitto istituzionale non più gestibile. La questione, di cui stiamo discutendo, del sistema democratico pluralista, di una informazione corretta in un paese civile, è molto importante.


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Concludo, Presidente, dicendo che queste sono le ragioni per cui il Presidente Berlusconi e il suo Governo non vogliono rinunciare in questa campagna elettorale ad avere un propagandista di «fede» e, per queste ragioni, voteremo contro questo disegno di legge di conversione del decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaella Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, da alcune settimane stiamo assistendo a disquisizioni circa la percezione della realtà e a me sembra che in un clima, che sta divenendo sempre più surreale, i fatti che riportano tutti noi di fronte alle nostre responsabilità, fuori dalla sterile e artefatta provocazione della maggioranza di Governo, siano di inaudita gravità. Mi riferisco a quei fatti che toccano gli interessi miliardari di un'impresa di proprietà di questo premier. Ripeteremo fino alla noia, soprattutto fuori da questo Parlamento, la portata dell'ennesimo provvedimento, che cela dietro a un titolo anonimo (definitiva cessazione del regime transitorio della legge n. 249 del 1997) la determinata volontà del nostro premier, come lui ama essere indicato, di ricavare il massimo profitto sia economico, sottolineo economico, sia politico da una posizione di prevalenza nel mercato dell'informazione. Altro che vittima! Legittimamente ci siamo interrogati - e non solo noi, ben più autorevoli istituzioni l'hanno fatto - su come il decreto-legge affronti i nodi della concorrenza, le regole antitrust, il rispetto del pluralismo informativo, la correzione delle storture del sistema e la coerenza con un nuovo scenario europeo, ma tutto questo è stato definito pretestuoso, ideologico, persino intriso di accanimento e di odio. Era troppo chiedere di regolare l'assetto e la conformazione del nostro sistema radiotelevisivo? Era troppo chiedere di farlo scrivendo procedure adeguate ad un processo in cambiamento? Non c'è arricchimento del pluralismo, diceva il Presidente Ciampi nel rinviare alle Camere il provvedimento lo scorso dicembre. Fatti due conti, abbiamo preso atto, quasi con stupore, che le cifre da sogno, quelle sì, non percepite, ma che molto concretamente finiscono nelle tasche delle imprese del Presidente del Consiglio, potrebbero, come ho già avuto modo di dire, far tremare i polsi. Ci siamo spiegati, allora sì, la solerzia, la disponibilità e lo spirito di sacrificio di tutta maggioranza. Altro che verifica! Allora, via con la fiducia per un provvedimento apparentemente ininfluente. Ma influente per chi?
Forse, ciò avviene per gli italiani, gli operai delle aziende in crisi sempre più numerose, per gli insegnanti di ogni ordine e grado, per le famiglie in difficoltà, per gli enti locali e potrei continuare molto a lungo ad elencare gli scontenti. Per loro questo decreto-legge è apparentemente ininfluente, ma è solo una percezione: effetti insperati arriveranno per tutti. Un po' di ottimismo, un po' di creatività ed il gioco è fatto. Che amarezza, che rabbia! Vogliamo ricordare tutti coloro nell'attuale maggioranza che, da oppositori dei Governi del centrosinistra, predicavano l'astensione dal pagamento del canone della TV pubblica, colpevole di scarsa attenzione nei loro confronti.
Oggi, si fa di peggio, con l'occupazione totale delle reti televisive e con gli investimenti provocati nella RAI per il digitale da parte del Governo, senza che una legge lo preveda.
Provocati su tutto questo, i nostri colleghi ed il Governo non rispondono. Ogni argomento è buono per oscurare, rimuovere ed allontanare l'attenzione. Un ministro che usa slogan da istigatore politico per rispondere alle critiche e non entra nel merito delle questioni fa aumentare il sospetto di non conoscere, se non frasi fatte e un po' di propaganda, che serve sempre; ma, ahimè, questo passa il convento!
E dal ping pong tra Corte costituzionale, Presidenza della Repubblica, franchi tiratori è lecito uscire anche un po' confusi. Abbiamo perso ogni speranza di poter costruire alcunché di buono per il


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nostro paese e - credeteci - in un clima più sereno sarebbe stato, forse, possibile collaborare. Ma si è cercato lo scontro, sempre e comunque.
Addio - e speriamo solo per poco - alle speranze per la modernizzazione del paese! Altro che innovazione, aiuti alle imprese, sviluppo, grandi opere! Non ce ne è per nessuno; o, meglio, ce ne è per uno solo. Non interessi collettivi, non interessi del paese, non il bene comune, ma tornaconto; volgare e personalissimo tornaconto.
Con il voto di fiducia si è sancita la più grave diseguaglianza tra le imprese e i cittadini, tra chi può avvalersi di un proprio privato decreto-legge, reso immodificabile dall'approvazione della questione di fiducia, e chi non può usufruire dello stesso trattamento da parte dello Stato.
L'opposizione a questo decreto-legge contiene la preoccupazione più profonda che in questo periodo ci attanaglia: l'attacco al valore primario del pluralismo, un valore fondante contenuto nella Carta costituzionale. Quanti valori sono racchiusi nel concetto di pluralismo, cultura, diritti di cittadinanza, diritti sociali, mercato autentico e libera concorrenza! Senza pluralismo non si procede, non si evolve verso moderne democrazie, non ci si prepara ad affrontare la sfida globale con gli altri paesi, la sfida con le culture altre; intendo la sfida positiva, moderna, che ci aiuterà a superare paure, grettezze, egoismi e a diminuire le disuguaglianze e le ingiustizie di cui ci siamo riempiti la bocca negli ultimi tempi. Ma quando vorremo crescere? Quando faremo questo passo avanti da paese democraticamente solido e giusto?
Là fuori, nella società, vi è una tensione morale ben più alta di quella che la maggioranza immagina. Vi è una forte domanda di rigore, di valori, vi è una esasperata e reiterata protesta nei confronti della miopia dei governanti attenti all'interesse di pochi.
Avete visto tutti le preoccupanti analisi circa il gradimento nel paese delle istituzioni, dei partiti, delle associazioni. È opportuno farsene carico, pena la perdita di senso della funzione e del ruolo di molti di essi e, soprattutto, la perdita di senso del ruolo di chi, eletto, deve nel migliore dei modi interpretare i bisogni, le aspettative e le speranze dei cittadini.
Ieri uno tra i più acuti giornalisti italiani, Gianni Riotta, nell'analisi di un saggio sul ruolo di TV e democrazia svolta sul Corriere della Sera in maniera approfondita, raccomanda di non sottovalutare, cito testualmente, «la capillarità della società postmoderna, dove gusti, cultura e consenso, pur trasmessi dal canale potente della TV, attraverso mille e diverse nervature sfuggono al controllo dei politici sull'opzione pubblica». Ed anche: «né Governi, né movimenti, né media hanno l'esclusiva del futuro democratico, nessuno è responsabile unico delle attuali difficoltà».
Ciò è tanto vero che ha in sé una nota di speranza per il futuro. Dunque, nel preannunciare un voto contrario sul provvedimento in esame, mi auguro che, superato il delirio che appartiene al Presidente del Consiglio, che non trova ostacoli nella maggioranza che lo sostiene, attraverso il prossimo appuntamento elettorale, si pongano finalmente le condizioni per restituire fiducia, aiuti e sostegno, insomma un futuro, al nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rava. Ne ha facoltà.

LINO RAVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è risaputo che il sistema dell'informazione è fondamentale per ogni paese ed in ogni tempo. Questo principio ha spinto i costituenti a garantire il pluralismo dell'informazione, la Corte costituzionale ad intervenire con una propria sentenza per garantire il rispetto del dettato costituzionale ed infine il Presidente della Repubblica ad inviare un messaggio al Parlamento, nonché a rinviare alla Camera la stessa legge Gasparri.
A fronte di questi forti richiami che sono, come è ovvio, legati ad un aspetto


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principale del vivere democratico del nostro paese, il Governo continua imperterrito nella sua opera di destrutturazione dei pilastri fondanti della nostra organizzazione sociale e democratica.
Gli esempi sono moltissimi: abbiamo parlato recentemente, nel corso della discussione sulla legge finanziaria, del premio ai furbi attraverso la penalizzazione degli onesti attuato con i condoni ed il rientro, praticamente gratuito, dei capitali illecitamente esportati; quei capitali sui quali alcuni cittadini non hanno pagato le tasse perché attraverso una percentuale del 2,5 per cento hanno reso candidi e puliti i propri capitali anche nei confronti del sistema fiscale italiano.
Un altro esempio è rappresentato dalla penalizzazione della sanità pubblica e dalla contemporanea attenuazione degli standard per l'accreditamento delle strutture sanitarie private. È evidente al riguardo quale scopo si persegua.
Possiamo continuare con la destrutturazione della scuola pubblica e la conseguente ulteriore penalizzazione delle pari opportunità fra giovani appartenenti a famiglie culturalmente ed economicamente diverse. Potremo poi proseguire con molti altri argomenti: la giustizia, il fisco, l'ambiente per arrivare a ciò che abbiamo in discussione oggi, ovvero l'attacco alle libertà ed al pluralismo dell'informazione, un cardine fondamentale della nostra democrazia.
Non penso che l'opposizione in questi giorni, attraverso questa battaglia decisa e giusta, abbia usato nel dibattito parole troppo pesanti o frasi inutilmente retoriche. Non lo penso per alcune ragioni specifiche: innanzitutto, perché siamo di fronte ad un provvedimento che, in spregio alla sentenza della Corte costituzionale e del messaggio del Capo dello Stato intende mantenere lo statu quo e che vede il Presidente del Consiglio - non la maggioranza, badate bene! -, conservare un'influenza determinante su tutta l'informazione televisiva nazionale.
Vede lo stesso Presidente del Consiglio utilizzare l'arma legislativa per combattere propri concorrenti, non solo politici ma anche imprenditoriali, siano essi concorrenti imprenditoriali radiotelevisivi, siano essi operatori della carta stampata. Il presidente Violante ci ha infatti ricordato, nel suo intervento di ieri, che l'imposizione della questione di fiducia su questo provvedimento ha aumentato considerevolmente il valore delle azioni Mediaset, penalizzando in questo modo direttamente e concretamente le aziende concorrenti e determinando in sostanza una grave turbativa e una distorsione del mercato. Che cos'è questo fenomeno se non un piegare l'attività legislativa ai propri interessi economici?
Non è tuttavia l'aspetto più grave e parlerò successivamente di quello che, dal mio punto di vista, è assai più grave rispetto a questo. Ci ha ricordato il presidente Violante quanto la situazione stia penalizzando la antiquata, e cito naturalmente le parole del Presidente del Consiglio, carta stampata che vede abbattersi una quota cospicua delle entrate pubblicitarie e che avvantaggia il sistema televisivo non già attraverso normali regole di mercato, sulle quali noi ovviamente siamo del tutto d'accordo, ma per le forzature e l'arbitrio legislativo. Questo ci preoccupa perché è un ulteriore colpo che viene recato al pluralismo dell'informazione.
Vorrei però sottolineare un altro aspetto, ovvero i continui attacchi alle istituzioni, a seconda dei propri interessi, per cui una volta si tratta dell'ONU, un'altra dell'Europa e dell'euro, un'altra ancora della Corte costituzionale, rea di fare «il proprio mestiere» indipendentemente da quelle che sono le spinte politiche, un'altra ancora infine del Capo dello Stato.
Questi attacchi sono gravemente lesivi degli interessi non dell'opposizione, ma della democrazia reale del paese e, quindi, di tutti i cittadini.
L'arma dell'informazione è determinante in tale opera di manipolazione culturale. Questa è l'ulteriore ragione - più grave, dal mio punto di vista, degli interessi economici che si muovono attorno al provvedimento in esame - che sostiene la volontà di prevaricare e la minaccia di colpire la par condicio.


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Le parole che abbiamo usato negli ultimi giorni non fanno parte della retorica politica e non sono neppure troppo pesanti, ma rappresentano una giusta risposta al degrado culturale ed al declino democratico ed economico a cui volete costringere il paese. Noi vorremmo confrontarci a viso aperto sulle regole di organizzazione della società che desideriamo equa e caratterizzata da giustizia sociale. Vorremmo una società in cui il futuro dei nostri ragazzi dipenda soltanto dalle loro capacità e dal loro impegno e non dalle condizioni culturali ed economiche della famiglia in cui crescono. Voi, invece, costringete continuamente la società a disperdere energie per contrastare i continui attacchi alle conquiste di civiltà.
Pensiamo a quanto è avvenuto sull'articolo 18 e sulle pensioni, a quanto sta avvenendo in merito ai contratti di lavoro, alla sanità, ai trasporti, alla scuola, alla mobilitazione di milioni di lavoratori. L'organizzazione della società va certamente migliorata, ma non va scardinata perché fa parte del comune sentire del paese e dell'Europa. La sanità, ad esempio, va certamente migliorata, ma vanno mantenuti i suoi caratteri di universalità. Se per fare ciò non possiamo ridurre le tasse al 33 per cento per i redditi più elevati, come vorrebbe l'ultima intenzione di questi giorni, pazienza! Credo che il compito redistributivo della tassazione serva proprio a garantire l'universalità di alcuni servizi fondamentali.
Infine, mi rivolgo, attraverso di lei, signor Presidente, ai colleghi della maggioranza: è fin troppo evidente che il fastidio del manovratore non è solo per le istituzioni e per l'opposizione, ma anche per chi all'interno della maggioranza stessa è mosso dai giusti principi della politica. Il fastidio è anche per quelle forze della maggioranza che hanno l'1, il 2, il 6 per cento - come ha detto, irridendole, il Presidente del Consiglio - e pensano di poter discutere le linee di politica economica e dell'informazione! A tali forze viene impedita anche la semplice discussione e, se lo vogliono fare, vengono irrise!
La deriva sta superando il livello di guardia, e credo che di ciò siamo tutti coscienti, soprattutto la gran parte dei parlamentari. La speranza, quindi, è riposta nello spirito democratico che ha connotato la vita di molti di coloro che sono seduti nei banchi del Parlamento, e non solo dalla parte dell'opposizione. Vi sono passaggi in cui lo spirito di parte non può fare velo alle profonde ferite inflitte alla democrazia. Questo è uno di quei passaggi! Probabilmente, ciò è già compromesso, ma il paese ha bisogno che almeno non ne siano consentiti altri. Non so se si tratti di un'illusione, ma certamente dobbiamo auspicarlo.
Come opposizione dobbiamo porci l'obiettivo di combattere tale deriva con battaglie, anche come quella degli ultimi giorni, in difesa dei principi di libertà della società a cui nessun cittadino vuole rinunciare.
Per questa ragione, il mio voto sarà decisamente e convintamente contrario, rispetto a questo disegno di legge di conversione, che rappresenta un tassello di quel quadro, molto più grande e devastante, che ho descritto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lumia. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE LUMIA. Come è stato più volte sottolineato, il voto del gruppo dei Democratici di sinistra sarà nettamente contrario. Il decreto «salva Retequattro» è contro la Costituzione, il pluralismo televisivo, la libertà di informazione e gli interessi diffusi degli operatori dell'informazione. Anche sull'informazione il centrodestra si appresta a scrivere una pagina nera della nostra democrazia. Per il centrosinistra, invece, l'informazione ha ben altro valore. È una grande risorsa da mettere al servizio dei cittadini, per offrire più opportunità di cultura critica, di conoscenze diffuse, di confronto sociale e politico e di maturazione di un'identità comune del nostro paese. Sì, è vero, l'informazione


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aiuta una società a ritrovarsi e a valorizzare le proprie differenze sociali, territoriali, culturali e politiche, ma l'aiuta anche a competere meglio sul versante dell'innovazione e della crescita economica. Per svolgere questa alta e strategica funzione, l'informazione deve essere una risorsa democratica, da governare con molta delicatezza e con il giusto equilibrio, facendo in modo che siano sempre garantiti il pluralismo, più informazione, più proprietà, più canali TV, ma anche più informazione per la carta stampata, che voi del centrodestra vi apprestate a colpire ulteriormente.
Va garantita l'autonomia e l'indipendenza delle professionalità di coloro che operano, a vario titolo, in questo importante settore. Non possono esserci giornalisti del valore di Biagi, Santoro, adesso anche di De Bortoli, tagliati fuori, zittiti, censurati, esclusi dal sistema informativo pubblico. Non possono esserci personalità della satira tagliate fuori, come quelle del valore di Grillo, della Guzzanti, di Luttazzi, di Rossi (il quale voleva portare Pericle in TV, ma anche Pericle è stato censurato, perché ritenuto - pensate un po' - troppo attuale). Va garantita, inoltre, la possibilità dell'informazione pubblica di non essere mortificata, compressa, occupata quasi militarmente, da chi oggi ha il potere in mano, che dimentica che deve governare per il bene comune e non per gestire i propri interessi, personali, familiari o aziendali. Va garantito un pluralismo anche tra l'informazione privata. Come non rilevare la presenza positiva di tanti editori, TV locali, informazione di grande valore. Anche questa positiva realtà sta subendo dei danni cospicui e delle mortificazioni pesanti a causa vostra. Non avete, dunque, anche nel settore dell'informazione una politica progettuale, aperta, plurale, innovativa e competitiva. La vostra azione di Governo scorre lungo due assi maledetti per la politica: impunità ed affari. Sull'impunità, è stato già detto molto, ma ancora continuate a perseverare, dopo le «leggi vergogna» o, più tecnicamente, «leggi privilegio». Adesso state mettendo in pericolo le fondamenta dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, sino al punto da costringerla ad assumere atti anche di una certa importanza, come lo sciopero.
Questo decreto-legge si iscrive nella sequenza delle leggi, che puntano a tutelare e ad espandere gli affari del Presidente del Consiglio, per il quale Retequattro, anche al di fuori della legalità ordinaria e costituzionale, deve andare avanti sul digitale terrestre e non sul satellite. La vostra funzione pubblica, la funzione pubblica del centrodestra, viene meno. Il paese si impoverisce economicamente, ma anche socialmente e democraticamente. I danni del vostro approccio sono ormai evidenti e non vale più nessuna azione di occultamento per nasconderli, perché il paese sta aprendo gli occhi. Basti pensare a quello che state facendo in materia di sanità pubblica, che oggi avete messo in ginocchio. A fronte di ciò, gli operatori protestano e i cittadini pagano un costo sanitario sempre più elevato.
Molte professionalità sanitarie sono costrette a lasciare il nostro paese.
La scuola e l'università stanno subendo un'aggressione senza precedenti; il Mezzogiorno è stato prima illuso e poi abbandonato; le piccole e medie imprese, gli artigiani, gli operatori agricoli, turistici, della pesca, i commercianti sono in condizioni di seria difficoltà; la credibilità del nostro paese in Europa e nel contesto internazionale è, ormai, ridotta al lumicino, se non seriamente compromessa. Ma continuate ad andare avanti!
L'impunità e gli affari sono le vostre vere priorità: agiscono e condizionano anche la vostra verifica, ormai infinita e mai realmente conclusa. Nonostante gli annunci e tutti i tentativi che state facendo, raccontando bugie, siete divisi e dilaniati.
Il vostro ciclo è in una parabola discendente. Siamo già in un'altra fase: il paese è messo a dura prova e gli state facendo pagare un prezzo incredibile (penso al carovita, alla crisi di molti settori industriali e via seguitando). Attenzione, però, anche dentro di voi si è rotto qualcosa!


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La fiducia che avete posto su questo decreto-legge nasconde una sfiducia interna: siete divisi e avete perso la rotta!
Non siete una destra liberale che sfida il centrosinistra sul terreno della modernizzazione del paese e del Mezzogiorno e della sua sicurezza (mi riferisco alla mafia, al terrorismo, alla criminalità comune). Siete una destra senza una chiara identità. Siete una destra - oggi lo possiamo dire - senza cultura di Governo. Siete una destra che non sa apprezzare le potenzialità, le straordinarie capacità di questo nostro paese. Siete una destra rinchiusa che, via via, si isola di fronte ai gravi problemi del nostro paese ed alle tante forme di disagio che caratterizzano la vita di ogni giorno dei cittadini nelle nostre aree urbane e nei nostri territori. Siete anche una destra che si allontana dalle tante innovazioni, dalle tante capacità e dai talenti che sono presenti nel nostro stupendo paese.
Avete bisogno di riordinarvi le idee, di chiarire cosa volete realmente essere. Nel frattempo, considerato lo stato confusionale in cui vi trovate, è bene che lasciate il passo, perché il paese va governato, secondo la logica e la ricerca del bene comune.
Per quanto riguarda l'informazione, siamo pronti ad offrire al paese altre risposte più forti e più qualificate, in grado di garantire la migliore tradizione del nostro paese, ma anche di proporre buone e solide innovazioni.
Siamo pronti ad offrire ai cittadini una cultura dell'informazione più adeguata alla loro sete di conoscenza. Siamo pronti ad offrire agli operatori tutti gli spazi necessari per esprimere al meglio la loro professionalità. Siamo pronti ad offrire alla miriade di realtà editoriali le opportunità per crescere e per espandersi, perché anche loro siano in grado di fornire un contributo vitale alla crescita del sistema globale dell'informazione.
Siamo pronti per fare tutto ciò. Abbiamo anche oggi il consenso e lo dimostreremo nelle tappe che ci avvieremo a vivere nel nostro sistema democratico. Mi auguro che queste tappe siano forti e qualificate, perché il paese ha bisogno di un'altra cultura di Governo.
Ha bisogno, oggi più che mai, del centrosinistra (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, sono sempre impressionato dalla determinazione, dall'efficienza ed anche dalla rapidità con cui la maggioranza porta avanti provvedimenti che riguardano gli interessi personali del Presidente del Consiglio, delle sue imprese e della sua corte.
Di fronte a questa determinazione, siamo costretti ad una battaglia ostruzionistica contro questo decreto-legge, che si propone di consolidare il duopolio nel sistema radiotelevisivo.
La relatrice del disegno di legge di conversione si è affannata a difendere i contenuti del decreto-legge, parlando arditamente di arricchimento del sistema radiotelevisivo quale suo obiettivo. Le cose non stanno così! L'arricchimento c'entra nel decreto, ma riguarda il patrimonio del Presidente del Consiglio.
Ma, al di là di tutto ciò, dietro tutto ciò, vi è un paese reale che non ce la fa, perché è attraversato da una crisi che colpisce le imprese e da un'inflazione che falcidia i redditi dei cittadini.
Il Presidente del Consiglio nega tutto questo, affermando che la perdita del potere d'acquisto è una manipolazione statistica, che l'impoverimento non è una realtà, ma un'impressione; certo, per chi ha promesso che tutti sarebbero diventati più ricchi è duro riconoscere questa realtà! Allora, si dipinge un mondo di cartapesta, una specie di Disneyland, non certo l'Italia di oggi, non certo l'Italia del centrodestra.
Tuttavia, la nostra critica non riguarda l'esistenza della crisi o dell'inflazione; infatti, sappiamo bene che la crisi ha componenti


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internazionali, che non dipendono da voi - per fortuna, non avete ancora il potere di influenzare le crisi internazionali - mentre, per l'inflazione, qualche responsabilità l'avete, ne avete più di una.
Ma, in sostanza, ciò che critichiamo è la vostra incapacità di intervenire per fronteggiare la situazione. Una politica industriale degna di questo nome non l'avete, le misure per lo sviluppo e per il sostegno all'attività produttiva le avete soppresse o rese inutilizzabili e non le avete sostituite con nulla. Inoltre, per quanto riguarda l'inflazione, dopo averla negata, ora Tremonti cerca di mettere in piedi improbabili misure di controllo, peraltro post festum, dopo che i danni si sono prodotti; misure che avranno il solo effetto di vessare i commercianti per costringerli ad accettare il concordato preventivo che, a quanto pare, non ha avuto troppo successo.
Per quanto concerne il Mezzogiorno, dopo alcuni anni di crescita del prodotto interno lordo delle regioni meridionali al di sopra della media nazionale, ora siamo di fronte ad una situazione in netto peggioramento. In un DPEF, avete scritto che, per colmare il divario con il centro-nord, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno sarebbe dovuto crescere più della media nazionale; naturalmente, era una banalità, in quanto si trattava di una mera constatazione aritmetica. Ma, per ottenere il risultato descritto, era necessaria una politica e, siccome la politica non c'è e gli strumenti di intervento per il Mezzogiorno sono stati soppressi o resi inutilizzabili, il risultato non ci sarà, mentre situazioni negative sono già evidenti in termini di peggioramento della crescita del prodotto interno lordo e in termini di mortalità delle imprese.
Con riferimento alla finanza pubblica, siamo di nuovo alle prese con un avanzo primario che diminuisce, con un peggioramento dei saldi, senza che si riesca a beneficiare della riduzione degli oneri per interessi. Dunque, nuovamente una crisi della finanza pubblica di grandi dimensioni, che riuscite appena a camuffare attraverso i condoni.
La verità è che avete perfino difficoltà a riconoscere, a leggere i dati della crisi che attraversa il paese e la sua gravità. Siete passati dal miracolo economico dietro l'angolo ad un, sia pure sommesso, riconoscimento dei dati della crisi nell'ultima manovra finanziaria. Ma ora siamo di nuovo alla propaganda, alle negazioni e alle bugie; insomma, quando si tratta dei problemi reali del paese, emergono contraddizioni, inefficienze, pasticci, bugie, incapacità di scegliere e di incidere positivamente sulle condizioni di vita dei cittadini.
Esistono dunque due linee nella politica del Governo: da una parte, la gestione efficiente degli interessi personali del Presidente del Consiglio e, dall'altra, la gestione fallimentare degli interessi del paese.
Ebbene, in questo decreto-legge emergono entrambi i versanti, entrambe le linee di questa politica, ma emergono in modi assai diversi: l'interesse del Presidente del Consiglio è ben presente, mentre è assente l'interesse del paese.
L'interesse del paese è davvero l'arricchimento del sistema radiotelevisivo, la rottura di posizioni di monopolio o di oligopolio, l'allargamento del sistema a nuovi soggetti che sono stati fin qui sacrificati a Retequattro. Esattamente quello che non c'è; mentre c'è il consolidamento dell'oligopolio nel sistema radiotelevisivo e nella raccolta della pubblicità. È il patrimonio del Presidente del Consiglio dei ministri che si vuole arricchire con questo decreto-legge; ed è l'informazione che si vuole controllare con questo decreto-legge e con le altre proposte di legge che state preparando aggirando le sentenze della Corte costituzionale, aggirando i rilievi del Presidente della Repubblica e impedendo al Parlamento di discutere a fondo di questo provvedimento attraverso il marchingegno della sfiducia. Altro che liberisti, altro che liberali! Di fronte ai liberisti che difendono i monopoli, di fronte ai liberali che tentano di controllare l'informazione, la nostra battaglia in questi


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giorni è un «no» chiaro e senza sconti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vigni. Ne ha facoltà.

FABRIZIO VIGNI. Signor Presidente, in una delle sue pagine più belle Galileo racconta lo stupore infinito e la meraviglia incontenibile scaturiti dalla sua prima osservazione della volta celeste con il cannocchiale; e, con tre parole, dice: cose mai viste. In tre parole, quindi, racchiude tutto lo stupore e la meraviglia di trovarsi di fronte a scenari mai osservati e non immaginati prima. Solo tre parole, ma dentro c'è tutto: cose mai viste! Certe volte anche a noi viene da dire: cose mai viste. E lo diciamo non con stupore ma con estrema preoccupazione, non con meraviglia ma con indignazione, perché stiamo assistendo, preoccupati ed indignati ma non rassegnati, come dimostra la battaglia che stiamo facendo anche su questo provvedimento, ad un degrado della democrazia italiana e ad un'erosione delle libertà nel nostro paese: cose, appunto, mai viste! Mai viste prima in Italia, mai viste in nessun altro paese europeo occidentale, in nessuna democrazia liberale e in nessuno Stato di diritto.
In questi giorni con i nostri interventi stiamo denunciando la gravità di ciò che accadendo. Il Parlamento, e prima di tutto la maggioranza (lo scopo vero del voto di fiducia è quello di impedire dissensi e divisioni in seno ad essa), è costretto a votare un decreto-legge che serve a salvaguardare gli interessi economici privati del Presidente del Consiglio dei ministri. Non c'è bisogno di rileggere quanto scritto da Giovanni Sartori anche nel Corriere della Sera di oggi, in cui torna a denunciare la gravità dell'intreccio perverso che si è creato in Italia tra sistema politico e sistema televisivo a causa del conflitto di interessi del Capo del Governo, ma basta leggere quanto scritto sull'ultimo numero del settimanale Panorama da Giuliano Ferrara che, naturalmente con toni molto più soft, è costretto tuttavia ad ammettere che il Governo non è stato ancora capace di sgombrare il campo dal conflitto di interessi. Dovevano passare cento giorni, secondo la promessa di Berlusconi, per risolvere questo problema, ma ne sono già passati mille e il problema non è stato risolto ed esso diventa ogni giorno sempre più insostenibile.
Il decreto-legge al nostro esame, insieme alla legge Gasparri, cerca di aggirare la sentenza della Corte costituzionale, i pronunciamenti del Capo dello Stato, i principi della Costituzione sulla libertà di informazione e le stesse regole della libera concorrenza. Questo decreto-legge, insieme alla legge Gasparri, permette di osservare a che punto è arrivato il degrado della nostra democrazia sotto il peso di un gigantesco e irrisolto conflitto di interessi e sotto le pulsioni autoritarie di una destra che sembra ignorare le regole più elementari della democrazia liberale e dello Stato di diritto.
L'Italia diventa più povera e il Presidente del Consiglio più ricco. Non si tratta di demagogia. Numerosi parlamentari dell'opposizione hanno già ricordato che, grazie al decreto-legge in esame, il Presidente del Consiglio si garantirà non solo il mantenimento del monopolio televisivo, ma anche consistenti guadagni economici: 240 milioni di euro all'anno, 20 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro alla settimana, 623 mila euro al giorno, 26 mila euro all'ora, 499 euro al minuto, 8 euro al secondo. Mentre numerosi italiani fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese e numerose imprese sono in affanno a causa delle difficoltà dell'economia, le aziende del Presidente del Consiglio prosperano e guadagnano grazie a provvedimenti ad hoc.
Il decreto-legge in esame contrasta con la giurisprudenza della Corte costituzionale e costituisce un abuso ai danni di chi a suo tempo aveva legittimamente vinto la gara per la concessione delle frequenze, successivamente usurpata da Retequattro, che da anni utilizza un bene pubblico senza avere la relativa concessione, e dunque


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è fuori legge. Tuttavia, nonostante le sentenze della Corte costituzionale, si vuole perpetuare l'illegalità.
Ritengo che questo Governo abbia gravi responsabilità, da tutti i punti di vista, per i danni che sta provocando al paese, all'economia, agli italiani, che si ritrovano più poveri, alla scuola, all'università, alla sanità, all'ambiente, come non ci stanchiamo di denunciare, nonché per i danni che sta provocando alla democrazia e alle nostre libertà.
L'elenco è lungo, ma fra i danni che il Governo e la destra stanno provocando al paese, ve ne è, a mio avviso, uno particolarmente grave e imperdonabile: si tratta di un danno di carattere, per così dire, culturale e antropologico, costituito dal fatto che i comportamenti, le parole e i provvedimenti del Governo fanno emergere il lato peggiore della società italiana. Una comunità nazionale, al pari di un individuo, ha dentro di sé vizi e virtù, egoismi e generosità, irresponsabilità e civismo. I comportamenti, le parole e i provvedimenti di questo Governo mortificano le qualità migliori degli italiani, ovvero il senso civico, la cultura della legalità e la solidarietà, ed invece eccitano ed evocano gli istinti peggiori, quali la furbizia, il disprezzo verso i beni pubblici, il ricorso agli espedienti, la violazione delle regole.
Quando il Presidente del Consiglio afferma che non pagare le tasse non solo è moralmente giustificato, ma è legittimato dal diritto naturale, e che gli operai licenziati non debbono preoccuparsi perché potranno ricorrere al lavoro nero; quando la principale specialità di chi governa è l'adozione dei condoni; quando si dice: hai costruito abusivamente, nessun problema; hai evaso il fisco, nessun problema; hai commesso un falso in bilancio, nessun problema; non hai rispettato la legge, nessun problema; quando si fa del Parlamento non il luogo in cui si legifera nell'interesse generale, bensì nell'interesse privato di chi governa, come nel caso del provvedimento in esame; quando succede tutto ciò, si produce un danno grave allo spirito nazionale, alla coesione sociale, al senso civico degli italiani. In tal modo, si dà un messaggio devastante: chi rispetta le leggi, rispetta gli altri e fa il proprio dovere, è un fesso. Tale veleno che viene diffuso a piene mani è, a mio avviso, il danno più grave che la destra sta producendo all'Italia; esso è probabilmente ancora più grave dei danni materiali.
C'è, tuttavia, anche un'Italia che sta reagendo e che non si rassegna a questo declino sociale, economico e civile. Le nostre parole di questi giorni e di queste notti e la nostra battaglia di opposizione, non riusciranno probabilmente ad impedire l'approvazione del provvedimento - la maggioranza è infatti ricattata dal voto di fiducia e anche i parlamentari della maggioranza che hanno testa per pensare e occhi per vedere lo voteranno -, ma in tal modo diamo voce a questa Italia che non si rassegna al declino della democrazia, all'erosione delle libertà e al degrado civile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il dichiarazione di voto l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Ancora una volta, pratichiamo una lotta senza quartiere, non per una semplice presa di posizione preconcetta contro il Governo o la sua maggioranza, ma perché il paese conosca nei suoi termini reali la gravità degli atti di Governo e di legislatura che si compiono da due anni e mezzo a questa parte.
Ancora una volta, la nostra resistenza unitaria e la nostra denuncia non riguardano situazioni di entità limitata, ma valori fondamentali della nostra democrazia, dei nostri stessi ordinamenti civili.
Ancora una volta, con un solo atto legislativo, che consta di un solo articolo, peraltro oscuro ed ambiguo - come ha osservato lo stesso Comitato per la legislazione - si colpiscono due principi costituzionali: quello contenuto nell'articolo 3, relativo all'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, anche dell'imprenditore e Presidente «B» (come ama dire


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Franco Cordero); e quello contenuto nell'articolo 21, relativo alla libertà di manifestazione del pensiero. Questa volta, si attaccano insieme norme costituzionali e sentenze della Corte costituzionale. Non soltanto si cancella il termine relativo al trasferimento al sistema di trasmissione satellitare delle reti televisive di proprietà della famiglia Berlusconi, ma anche tutte le elaborazioni della Corte in materia di pluralismo e di emittenza radiotelevisiva. Queste elaborazioni risalgono fino ai tempi dei presidenti Sandulli, Casavola e Granata, nota combriccola di comunisti che tramava contro «B» anche prima della sua irruzione sul mercato mediatico...
È triste constatare, però, che questa volta, ai deputati della maggioranza, non è stato consentito nemmeno di votare liberamente per seguire le indicazioni che non provenivano da emendamenti dell'opposizione, ma dal Capo dello Stato. Erano indicazioni sulla legge. Si è scelta, cioè, la strada del diktat: nessuna discussione, nessun voto, soltanto il voto di fiducia. Questa è un'ulteriore bizzarria: se si pensa che la legge non poteva essere approvata, se si pensa che con questa legge non si ottemperava al messaggio del Capo dello Stato, la fiducia è stata espressa nei confronti del Presidente del Consiglio o del Capo dello Stato, nei confronti del Presidente Berlusconi o della Corte costituzionale?
Sappiamo che, proprio sulla legge Gasparri, con il voto segreto si sono verificate quelle forme di dissenso nella maggioranza che, questa volta, hanno minato alla base gli interessi del premier. Il problema, questa volta, non poteva essere risolto se non con una autentica frustata che, per ragioni convenzionali, si chiama voto di fiducia. Vi è una forzatura evidente. Come si può votare, infatti, la fiducia al Governo su una legge di provenienza governativa che dovrebbe essere discussa, verificata e controllata dal Parlamento, proprio in relazione alla sua compatibilità con i problemi posti dal Capo dello Stato? Basta rileggere il messaggio al Parlamento per ricordare a tutti che esso è rivolto a noi parlamentari e non al redattore o all'autore principale della legge. Non solo. Si pensi anche ai rilievi dello stesso presidente dell'Antitrust.
Non sono problemi secondari, se si pensa che questa legge, che si compone di un solo articolo, come abbiamo ricordato, in pratica disapplica reiterate decisioni della Corte costituzionale e solo apparentemente fissa un termine in corrispondenza dell'aprile 2004. In effetti, assicura al gruppo dell'imprenditore una enorme introito, calcolato in circa 70 milioni di euro, com'è stato ripetuto.
Così, la Casa delle libertà presenta, ancora una volta, il suo volto: meno libertà per tutti, più libertà per pochi, che non dovranno rispondere dei loro reati, grazie al ricorso ai pretesti di varie immunità; più libertà economica per pochi, esortati finanche ad evadere il fisco. Per i cittadini che chiedono il controllo sui prezzi, il consiglio è quello di seguire le regole della massaia, magari accanto ad un caminetto familiare. La libertà che residua, quindi, sarebbe soltanto quella di aggredire l'ordine giudiziario, di voltare le spalle al Presidente della Repubblica, di attaccare anche la par condicio, come una sorta di ricatto.
Libertà, quindi, di neutralizzare ogni forma di pluralismo comunque la si consideri. Libertà di far andare il paese allo sbando, l'economia a rotoli, la credibilità internazionale allo zero, partendo dalla non dimenticata vicenda del precedente ministro degli esteri, Ruggiero, allontanato perché incompatibile, per le questioni interne, con autorevoli esponenti della maggioranza
È qui che appare il pericolo di involuzione fino alla possibile formazione di una prassi antidemocratica che poteva portare ad un regime, ma noi abbiamo iniziato questa marcia di attraversamento del guado.
Si avvicina il 2006, l'anno che possiamo definire del grande riscatto, del definitivo cambiamento in senso riformista del Governo del paese; l'anno in cui ripartiremo dalla ricostruzione morale e politica di questo nostro grande paese, che non meritava questa parentesi di scandalosa mediocrità


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e di arretramento. E partiremo da un impegno sicuro della nostra maggioranza: cancellare le leggi come questa legge Gasparri, cancellare quelle leggi di mortificazione della giustizia che ancora dovessero sopravvivere ai prossimi interventi della Corte costituzionale. Signor Presidente, questo lavoro lo faranno con gioia particolare i deputati del sud rispetto ai quali al disastro generale l'azione di questo Governo, privo di credibilità, aggiunge il danno di un completo oblio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.

BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, signor sottosegretario, ieri, mentre i miei colleghi continuavano la loro battaglia di libertà in quest'aula, sono andata a comperarmi un decoder. Non vorrei che i miei precedenti interventi avessero dato ai colleghi l'impressione di una scarsa fiducia nello sviluppo del digitale terrestre che, al contrario, considero una specie di terra promessa che può cambiare il nostro orizzonte quotidiano, l'esperanto in grado di far convergere informatica e telecomunicazioni nel nostro spazio domestico per aprirci al mondo, quello che trasformerà la televisione, come la zucca di Cenerentola, in una piattaforma per lo sviluppo dei servizi interattivi: insomma, una cosa bellissima. Dunque, vado in questo negozio specializzato a cercare l'oggetto del desiderio, il set top box da applicare al televisore, in altre parole, il decoder. Il commesso mi spiega, gentilissimo, che sono arrivati da pochi giorni e dunque non ne hanno ancora venduti. Il prezzo, 249 euro, non è invogliante, neppure con il contributo del Governo. Infatti, accanto sullo scaffale, ci sono i decoder satellitari, che non godono del contributo di 75 euro, che sono comunque più convenienti per chi vuol vedersi i programmi SKY. Ma la sorpresa più grande è che sull'unico modello interattivo appena arrivato, prodotto in Thailandia, c'è il logo di Mediaset, l'inconfondibile biscione. Non si capisce se è un nuovo ramo d'impresa che il Berlusconi- imprenditore ha prontamente allestito per non sprecare il provvidenziale contributo del Berlusconi-Presidente del Consiglio, oppure se sia solo una sponsorizzazione da parte di Mediaset su questo prodotto, che non a caso viene anche reclamizzato dagli spot che ho visto sulle reti Mediaset. Insomma, nel dubbio non compro niente.
Vedete, colleghi, non sono affatto animata da spirito luddista. Io credo davvero che lo sviluppo del digitale aprirà molte prospettive, ma prima bisogna costruirne le condizioni, sviluppare i servizi interattivi e far capire ai cittadini a che cosa servono. Il punto è che voi avete fatto questa operazione del contributo alle famiglie non per amore delle famiglie o per amore della tecnologia, ma solo per offrire una stampella al monopolio di Mediaset e per salvare Retequattro, quindi per amore del conflitto di interessi.
Ben altri sono gli interventi di innovazione di cui ha bisogno il nostro paese. Mancano le infrastrutture tecnologiche, la banda larga, interi pezzi del nostro paese, soprattutto i piccoli comuni e le aree disagiate sono fuori da queste infrastrutture. C'è un alto tasso di analfabetismo informatico. La pubblica amministrazione locale è lasciata sola a combattere le carte, la burocrazia a costruire i servizi on-line, non si investe sulla telemedicina, sull'e-learning, sul commercio elettronico, sulla democrazia elettronica. Questi sono i servizi che renderanno utile la convergenza tra la televisione e Internet, che daranno una mano a 70 mila imprese di information technology che vivono gravi difficoltà a causa della crisi economica.
C'è un ministro per l'innovazione che, da tre anni, fa solo convegni, perché non può fare investimenti se non con le risorse ereditate dai Governi dell'Ulivo; ma per salvare Retequattro si trovano subito 120 milioni di euro nella legge finanziaria. Andate a spiegarlo a Rieti, ai lavoratori di Alcatel e a quelli di tante piccole imprese del terziario avanzato, che temono per il loro futuro! La nostra è una battaglia di


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libertà, una battaglia per la libertà di informazione, che è garanzia di libertà per tutti i cittadini. Questo paese se la merita.
Questo paese non si merita i TG taroccati. Non si merita il TG1, che monta il discorso di Berlusconi alle Nazioni Unite, all'ora di pranzo, quindi di fronte ad una sala vuota, appiccicandoci gli applausi destinati a Kofi Annan. È una roba da film Luce! Non si merita i diktat dalla Bulgaria e neppure le telefonate da palazzo Chigi ai consiglieri di amministrazione della RAI per decidere i nomi dei conduttori della striscia serale. Non si merita la censura, le omissioni sulle cattive notizie. In questo paese non succedono più i fatti che rendevano tanto insicuro questo paese quando governava l'Ulivo. Non si merita il cosiddetto panino che mortifica i diritti dell'opposizione o i monologhi di propaganda mascherati da conferenze stampa. È un'informazione taroccata, guidata da un Presidente del Consiglio taroccato, circondato da consiglieri e portavoce anch'essi taroccati. Se io fossi l'onorevole Bondi - lo dico sinceramente -, il senatore Schifani o l'onorevole Adornato, avrei da tempo denunciato questi fantocci degni del carnevale di Viareggio, che vanno in giro con le loro facce e le loro voci a recitare lo stesso grottesco messaggio. È una rozza contraffazione da cui dovrebbero difendersi.
Ma il paese è vero, non è taroccato, e vive problemi veri. È un paese che, più governate voi, più va indietro. Tutto va indietro, tranne il valore dei titoli Mediaset: va indietro la qualità della democrazia, va indietro la libertà d'informazione, lo sviluppo, la coesione sociale, la sicurezza, la fiducia, che è un valore prezioso, come ricorda sempre il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Certo, è difficile, come qualcuno ha detto, decifrare la realtà da Porto Rotondo; non bastano sei televisioni e dieci giornali per camuffarla. La realtà è più forte della propaganda; un bravo venditore, anche il più bravo di tutti, sa che, alla fine, il contenuto è più forte della confezione. Addirittura, a volte, il prodotto si «vendica» della confezione, anche la più elegante, anche la più brillante.
Legate le mani ai deputati della maggioranza, ponendo la questione di fiducia in questo modo insolito, e minacciate il bavaglio per l'opposizione con la revisione della par condicio, così i partiti dell'opposizione saranno costretti a pagare i loro spot sulle televisioni del Presidente del Consiglio, pur di continuare a far sentire la loro voce!
Il prodotto del vostro Governo non c'è, è infantile negarlo. Come è infantile dare le colpe agli altri, ai Governi precedenti, che hanno lasciato disastri in eredità - e non è vero -, ai comunisti che oramai sono tutti annidati - come è noto - in Italia, ai magistrati, alle toghe rosse, alla stampa che distorce puntualmente tutte le esternazioni, tutte le dichiarazioni e perfino le barzellette del Presidente del Consiglio. È infantile dare la colpa all'euro di Prodi, ai commercianti, come abbiamo sentito in questi giorni, o alle massaie che non sanno fare la spesa. Le donne italiane - l'ho detto anche ieri - per favore, non chiamatele più massaie! Sanno benissimo che cosa scegliere, sia quando vanno a fare la spesa, sia - ne sono certa - quando vanno nella cabina elettorale ad esprimere il loro voto.
Quello che voi governate è un paese che non c'è. Invece, voi governate contro il paese che c'è, contro la sua Costituzione, contro le sue istituzioni, contro intere categorie sociali e professionali che si ribellano: i medici, i docenti universitari, il mondo della scuola, gli insegnanti, gli studenti, le famiglie, i pensionati, i magistrati, gli editori della carta stampata, che sarà antiquata, come ha dichiarato il Presidente del Consiglio, ma è un fondamentale pilastro del pluralismo (senza considerare che spesso è più intelligente della televisione).
A tutti costoro, noi abbiamo cercato di offrire, anche con entusiasmo, conducendo questa battaglia parlamentare, che segnala una grande coesione tra le forze di opposizione


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e la loro forte determinazione, la speranza di un futuro migliore, che ci auguriamo prossimo.
Con questa battaglia, abbiamo cercato di dare voce a tutti i cittadini italiani, compresi quelli che hanno votato per i partiti della maggioranza e che cominciano, non da ora, ad essere delusi, e perfino nauseati, da un Governo e da una coalizione che hanno in cima a tutti i loro pensieri il volgare, spudorato e macroscopico tornaconto personale di un uomo solo.
Per tutti costoro e per la loro libertà siamo qui da tre giorni, e per tutti costoro voteremo «no», con ferma decisione, alla conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.

GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, siamo giunti alla conclusione della discussione del decreto-legge in esame. Ci troviamo ormai in fase di dichiarazioni di voto finale e credo valga la pena - naturalmente non per noi, ma per i cittadini italiani - svolgere una riflessione sui contenuti, sui metodi, sulle discussioni in atto, sulle tematiche che stiamo affrontando, sulle prospettive che si aprono e sull'enorme baratro che ci attende, dopo che questo decreto-legge verrà convertito in legge.
Vorrei iniziare le mie riflessioni partendo dalla circostanza che stiamo discutendo un decreto-legge. Perché viene adottato un atto di questa natura? Ci viene detto che un decreto-legge viene varato per motivi sostanzialmente di urgenza, perché non c'è tempo per consentire il normale iter di un progetto di legge, ed allora occorre affrontare una situazione di emergenza con un decreto-legge, che ha un iter più rapido e che può risolvere tale problema in tempi brevi.
In tal caso, qual era il motivo dell'urgenza? Era salvare Retequattro, ed il sottosegretario Innocenzi ha aggiunto che occorreva salvare anche la pubblicità su RAI 3. Non è così, come egli sa bene, perché la sentenza della Corte costituzionale non parla di RAI 3, ma afferma che occorre una rete senza pubblicità, redistribuendo magari la stessa pubblicità su altre reti, poiché non tocca il problema della pubblicità in generale. Quanto ai «tetti», sappiamo che tutti hanno «sforato» e, sotto questo punto di vista, dunque, è necessaria una discussione molto più approfondita. Questa è una delle prime imperfezioni - non voglio più chiamarle bugie perché, ormai, il naso è francamente troppo lungo - che accompagnano questa proposta del Governo.
Retequattro è anche una rete del Presidente del Consiglio, ma ciò è marginale, secondo l'impostazione dell'esecutivo perché, tutto sommato, si tratta di una rete ormai attiva su tutto il territorio nazionale ed occorre difendere l'occupazione. Anche in questo caso, tuttavia, vi è un'altra enorme bugia, perché se Retequattro dovesse trasmettere sul satellite, ovviamente le stesse persone lavorerebbero nelle nuove condizioni per farla funzionare; ma non solo, perché al suo posto subentrerebbe Europa 7 e, dunque, lavorerebbero molte più persone di prima (ma questo, naturalmente, il Governo se lo dimentica).
Vi è, inoltre, un'altra questione. Infatti, se il sistema di trasmissione digitale, che rappresenta una grande possibilità di sviluppo e di innovazione, non dovesse comportare un aumento occupazionale, allora saremmo tutti perplessi riguardo all'incremento del pluralismo, all'ingresso di nuovi operatori nel settore, all'aumento dell'offerta dei programmi, perché tutto ciò avverrebbe con una riduzione dell'occupazione. Francamente, mi sembra un paradosso difficilmente digeribile!
Il secondo aspetto che vorrei evidenziare è che su questo decreto-legge è stata chiesta dal Governo la fiducia. Ciò pone due questioni, una di metodo ed una di merito.
Nel metodo, vorrei osservare che è stata negata al Parlamento la possibilità di discutere una materia importante. Le istituzioni


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sono state trattate come se avessero un basso profilo, e le si sta svuotando del loro ruolo.
Questa concezione, secondo la quale il Parlamento è scomodo, è un intralcio, fa perdere tempo; la democrazia può attendere, insomma ed il rischio di regime che abbiamo denunciato tante volte diventa, in questo caso, molto concreto, su un problema, peraltro, molto delicato.
Ma poi c'è un problema di contenuto perché il conflitto di interessi arriva alla sua massima esplosione. Ci dite che il Presidente del Consiglio, probabilmente, si è astenuto, è uscito in corridoio, non è intervenuto direttamente. Questa è la favola che gli schermi televisivi possono raccontare ai cittadini italiani! Si dimentica che esiste un problema di fondo riguardante la proprietà di questa rete. E questo mi sembra un modo non tanto discutibile quanto, piuttosto, inaccettabile di affrontare il problema.
Dopo questo decreto-legge, a quale proposta strutturale andiamo incontro? Come si risolve, a questo punto, il problema dell'assetto radiotelevisivo? Non si sa. Non c'è più la legge Gasparri, rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica perché inadeguata; vi sono incertezze di carattere esistenziale; manca una riforma qualunque. Dopo aver risolto, con il mantenimento di Retequattro a terra, il problema economico, che è il motivo vero di questa premura - il resto è finzione: il problema sono i soldi; forse, Berlusconi ha paura di diventare povero rinunciando ad una frazione relativamente marginale del suo fatturato -, c'è il vuoto, che dobbiamo ancora riempire. Bisognerà discutere sul come riempirlo.
Noi abbiamo una proposta da farvi. Ritirate la legge Gasparri e, al di fuori dell'urgenza di mantenere Retequattro a terra (che gli interessi economici del Presidente del Consiglio pongono sul tappeto), pensiamo, per favore, ad una riforma di sistema che vada bene per il paese e non solo per Berlusconi. Paghiamo Berlusconi con questo decreto-legge, ma smettiamola di continuare a pagarlo facendo una riforma del sistema radiotelevisivo sbagliata! Per una volta, poniamoci dalla parte dei cittadini italiani e del paese e facciamo una riforma televisiva che valga per i prossimi vent'anni e che riporti, in Italia, almeno la situazione media europea. Non chiediamo una rivoluzione: chiediamo che vi sia un sistema radiotelevisivo che risponda a requisiti minimi di pluralismo, di democrazia, di libertà dell'informazione. Non siamo in queste condizioni.
Smettetela di tenere in piedi situazioni di monopolio assurde! Smettetela di usare la censura alla RAI! Smettetela di mettere il bavaglio alla libera informazione in Italia! Smettetela di fare operazioni sudamericane da «Repubblica delle banane»! Questo è il problema che abbiamo davanti! Non mescoliamolo con quello di Retequattro e facciamo una cosa che vada bene per tutti i cittadini italiani, che sia il più possibile plurale!
Ricordate che, già oggi, metà del paese non è d'accordo con voi e vota in un altro modo. Più della metà non sarà d'accordo con voi alle prossime elezioni! Prendetene atto e non fate un colpo di Stato televisivo, come siete abituati a fare. Questo è l'appello che vi rivolgiamo in quest'aula a conclusione di questo dibattito.
Avete risolto il problema economico del Presidente del Consiglio? Avete mantenuto Retequattro con questo decreto-legge? L'avete fatto con la fiducia, contro la vostra maggioranza? Avete svilito questa istituzione negandole una discussione seria ed impegnata sulla materia? Va bene, chiudiamo la partita: adesso, facciamo una riforma del sistema radiotelevisivo giusta, non quella sbagliata che avete proposto e che non va bene a nessuno, tanto meno al Presidente della Repubblica!
Oggi, siamo al punto di partenza. Proviamo a simulare un paio di scenari futuri. Questo decreto-legge viene approvato e, ad aprile, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dice che ci sono le condizioni affinché Retequattro possa restare.
La partita è chiusa? No. Nel modo più assoluto. Al primo ricorso alla Corte costituzionale - molto probabile - si riapre un pandemonio. Lo sappiamo tutti bene. Stiamo correndo il rischio drammatico di


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aver compiuto un'operazione, una forzatura per i soldi del Presidente del Consiglio, di aver mantenuto Retequattro «a terra», di aver forzato la mano all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, creando presupposti di legge e paletti (per cui non può dire di no). Si mantiene Retequattro. Il giorno dopo ricominciamo daccapo, con il primo ricorso alla Corte costituzionale.
Figuriamoci se, per caso, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovesse dire di no!
Si determinerebbe un baratro assolutamente incolmabile.

PRESIDENTE. Onorevole Panattoni...

GIORGIO PANATTONI. Concludo immediatamente, Presidente.
Abbiamo trascorso tanto tempo, tante notti a discutere di un problema del tutto marginale oggi in Italia. Ce ne sono altri molto più rilevanti: la povertà, l'economia, i diritti delle persone e quant'altro.
Per favore, vediamo di far lavorare il Parlamento e il Governo sulle priorità vere del paese e non sui bisogni economici del Presidente del Consiglio.
Proviamo a fare le cose che servono davvero a dare una prospettiva diversa a questo paese, perché, se così dovessimo fare, forse, anche il problema complessivo delle televisioni, della libertà di informazione e quant'altro comincerebbe ad assumere un significato diverso invece di essere la ciliegina su una torta sbagliata, che va contro il paese e che lo sta portando ad una prospettiva di sfascio sempre più profondo ed irreversibile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Coluccini. Ne ha facoltà.

MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, l'azione di questi ultimi due giorni, che vede ancora molto impegnati tutti i parlamentari dell'opposizione, non è soltanto l'esecuzione di una tecnica parlamentare, ma qualcosa di più: è lo strumento attraverso il quale esprimiamo tutta la nostra contrarietà ad un metodo arrogante e sbagliato, ma soprattutto è l'espressione del pieno dissenso verso un decreto-legge controverso, discriminante, lesivo del diritto alle pari opportunità dell'informazione e del diritto alla libertà d'informazione. È una battaglia di libertà, come ha già detto ieri il mio presidente Violante.
Non so se questa battaglia passerà alla storia, ma, francamente, poco importa. Quello che conta è che la nostra convinzione e tutta la forza della nostra iniziativa siano la diretta rappresentazione di un sentimento di indignazione che il paese sta vivendo in questi giorni.
Semmai qualcuno avesse nutrito dubbi o non avesse ben compreso la vera portata dell'immenso conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, se qualcuno non avesse avuto ben chiara in mente la filosofia prepotente alla base dell'intero progetto messo in atto dal Governo e dal suo proprietario unico, oggi, finalmente può aprire il proprio orizzonte di conoscenza e di consapevolezza.
Questo decreto-legge permetterà, infatti, al Presidente del Consiglio di incassare, senza colpo ferire, 163 milioni di euro in pochi mesi. Questo decreto-legge non permetterà ad altri imprenditori nel nostro paese di concorrere lealmente alla copertura del mercato dell'informazione. Questo decreto-legge uccide il pluralismo e la libera circolazione delle idee. Questi sono i fatti.
Elias Canetti scrive che la cosa più dura è tornare sempre a scoprire ciò che già si sa. Noi lo stiamo vivendo, lo sta vivendo questo paese: la brutale consapevolezza di quello che rappresenta per la nostra storia e per il futuro la posizione dominante di un potere economico e mediatico che si è fatto classe politica allo scopo di mantenere posizioni di privilegio, che indirizza e determina comportamenti, che non perde occasione per manifestarsi e per confermarsi.
Che il Governo e il suo titolare abbiano impiegato, negli interessi di parte, le


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istanze e i bisogni del paese è lampante, come è altrettanto chiara la strategia adottata: un patto non detto che vede la maggioranza completamente soggiogata dalle necessità e dalle urgenze personali del suo Capo.
Altro che contratto con gli italiani! Quello ha già confermato che non lo rispetterà; il contratto vero Berlusconi lo ha fatto con i suoi alleati, un contratto capestro che annulla e svilisce qualunque voce e istanza politica che non sia la sua. Questo decreto-legge è soltanto l'ultimo di una serie di iniziative cucite addosso agli interessi del Presidente del Consiglio, perché in realtà è stato messo in piedi un vero e proprio atelier di alta sartoria, dove ministri e cortigiani tagliano e cuciono fino a soddisfare il gusto raffinato del committente.
La serie delle leggi vergogna già confezionate e la vergogna delle leggi che seguiranno stanno appese nel guardaroba capiente del re. Come può questo paese guardare al futuro, con quali prospettive e fiducia se il progetto pensato non lo riguarda, non lo coinvolge, non risponde alle sue esigenze reali? Un paese in affanno, impoverito, truffato, dove si coltiva la cultura del diritto per pochi e dei doveri per tutti gli altri. Un'economia che difficilmente riesce a guardare al futuro, con gli indicatori economici che dicono che è in declino la produzione industriale, che manca la fiducia negli investimenti, che le esportazioni sono in calo e la competitività è in fase di contrazione. Le famiglie italiane non consumano e non riescono allo stesso tempo a risparmiare, i lavoratori assistono all'erosione del loro reddito. Un paese in affanno, dove si fanno rinunce e sacrifici e dove la speranza di crescita è soffocata.
In tutto questo il Governo che fa? Senza bussole e progetto vero di sviluppo vara misure una tantum, copre qua e là, taglia ciecamente sulla sanità, la scuola e la ricerca, garantisce chi ha già e si dimentica di chi non ha, amplifica i contrasti sociali, rincorre il mito di un liberismo sciatto e senza gloria, di fatto colpisce al cuore tutto un sistema, fatto, si badi bene, di donne e di uomini, che, al contrario, avrebbero bisogno di vedere assecondati i propri bisogni, il loro diritto ad una vita serena e qualitativamente migliore.
Alla base di questo, però, c'è qualcosa di più, c'è una visione ed una considerazione sociologica del corpo del paese a dir poco deprimente, vecchia, subdola e profondamente qualunquista, una visione ed una considerazione che vogliono un paese intero svogliato, disinteressato, distratto, poco incline al rispetto delle regole, mollemente appoggiato ad un'esistenza grigia, pronto a fregare il prossimo e senza capacità di riscatto e di indignazione, al quale rivolgersi con il linguaggio della banalità, del luogo comune, con la logica del tanto peggio tanto meglio. Una visione ed una considerazione che fanno dire al Presidente del Consiglio che una civiltà prevale sull'altra, che è bene non pagare le tasse, che chi parla più forte ha ragione, che le regole sono fatte per non essere rispettate e così via. Insomma, una rappresentazione macchiettistica, francamente un po' ridicola, di una realtà che la dice lunga e in qualche maniera giustifica tutto un modo di porsi e di agire.
Se questo è quello che pensa degli italiani Silvio Berlusconi, se pensa che il suo linguaggio, quello del grande comunicatore arrivi diritto al cuore di una identità nazionale da rappresentazione cabarettistica, credo sia intellettualmente onesto dirgli che si sbaglia, dirgli che egli ha probabilmente operato una sorta di transfert: ciò che vede in sé all'ennesima potenza è proiettato nelle menti e nei comportamenti degli italiani con gli effetti speciali della propria megalomania. Perché la rappresentazione che egli ha del nostro paese è distorta, viziata, vecchia, non tiene in considerazione i bisogni ma asseconda semmai delle abitudini. Perché allora non parlare ai giovani, alla loro domanda di futuro, al paese dei mestieri e delle competenze, a coloro che invocano innovazione e diritti? Sta tutta qui la differenza e la prova dell'incapacità di questo Governo di gestire e assecondare la


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realtà nuova di un paese che ha l'urgenza di una rappresentazione realistica e consapevole.
È chiaro che state mettendo soltanto delle toppe, curate l'esteriorità per nascondere la realtà di una fatiscenza strutturale, che è politica e progettuale. Accanto a questo, private il paese di quell'opportunità che invece è necessario offrire. Anche questo decreto-legge è uno schiaffo al bisogno di novità e soprattutto alla decenza; con esso negate la richiesta e la necessità di pluralismo nell'informazione e di fatto ipotecate l'opportunità di conoscere e di essere informati di milioni di persone, negate il loro diritto a crescere, dal momento in cui imponete vincoli e ne stabilite la supremazia.
E il metodo - scusate - è vecchio. Quel sogno che avete promesso agli italiani, quel miracolo annunciato si è frantumato sullo scoglio dell'incapacità di uscire da uno stallo palese. Abbiamo assistito ad una verifica fintamente conclusa, addirittura un preambolo di antica memoria, raffazzonato e non convincente, dove sono entrati, usciti e poi rientrati interessi di parte, garanzie ad personam, una collegialità che date per fatta, ma che vi aspetta al primo banco di prova.
Una prova di forza, questa del Presidente del Consiglio, padrone indiscusso dei destini della maggioranza, che non aspetta altro che regolare i conti. Intanto, impone la modifica della legge sulle pari condizioni nell'informazione politica e vi aspetta al varco delle elezioni europee. È un vero e proprio capolavoro. Intanto, secondo voi, gli italiani guardano e aspettano.
Noi abbiamo il sentore che non sia esattamente così, come abbiamo la certezza che la sfiducia nella vostra stessa potenza di fuoco sia segno di grande debolezza e che le bordate cui assisteremo nei prossimi mesi, grazie anche al regalo che oggi fate al Presidente del Consiglio, sono il segno preciso che nel vostro meccanismo qualcosa si è rotto.

PRESIDENTE. Onorevole Coluccini...

MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, mi avvio a concludere. Vi è un che di malinconico e di pericoloso nell'atteggiamento assunto e nel tanto parlare di Berlusconi di questi giorni, la malinconia di un tramonto e la pericolosità che tale prospettiva può suscitare contando su tanta potenza mediatica ed economica. Tanto più avrete la percezione che il paese si sta allontanando, tanto più proverete a blandirlo ed a stancarlo.
Il risultato che oggi tentate di incassare sa di scandaloso e di immorale; altro che decenza e decoro! La decenza e il decoro dovrebbe assumerli come atteggiamento il Presidente del Consiglio, che piega l'interesse comune per incrementare il proprio patrimonio personale, che piega l'autonomia dei parlamentari della maggioranza per assecondare il proprio disegno, che non esiterà a candidarsi alle elezioni europee per poi dimettersi un secondo dopo. Truffe vere e truffe mascherate, ma sempre e semplicemente truffe!
Sappiate, però, che dovrete fare i conti con la nostra opposizione, con l'impegno civile della nostra battaglia, perché esso coglie ed asseconda un sentimento diffuso e prepotente, che si fa strada nella gente, quello stesso che si farà consapevolezza e permetterà a questo paese di avere finalmente un'alternativa (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.

EUGENIO DUCA. Signor Presidente, preannuncio che non esprimerò un voto favorevole sul provvedimento in esame, un atto che è stato ampiamente definito, dagli interventi dei colleghi, legge canaglia, legge rapina, legge vergogna. Purtroppo, in questo Parlamento, in questi due anni e mezzo, di leggi vergogna ne sono state approvate veramente troppe. Sono termini esatti, duri e gravi, ma ineccepibili. Con la forza dei numeri si compie uno scempio contro il diritto e contro uno dei principali capisaldi della democrazia e si colpiscono


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duramente il pluralismo e la libertà di informazione.
Come dicevo, con il decreto-legge del Governo si realizza un gravissimo stravolgimento del diritto: vediamo di ripercorrerne le tappe.
Lo Stato italiano ha indetto una gara per il rilascio delle concessioni nazionali nel rispetto del regolamento e del disciplinare redatto dal Governo e dalle sue istituzioni. Una serie di imprese partecipa alla gara e presenta le proprie offerte. Tra queste partecipa l'impresa Mediaset che ottiene le concessioni per Canale 5 e Italia 1, ma non per Retequattro. Partecipa, altresì, l'impresa Centro Europa 7, che ottiene una delle sette concessioni nazionali inserite nella gara.
Eppure, a distanza di anni, l'impresa vincente, cioè Europa 7, è spenta, mentre quella che ha perso, Retequattro, è in funzione insieme a quelle che hanno vinto la gara, ossia RAI 1, RAI 2, RAI 3, Canale 5 e Italia 1. L'impresa Europa 7 esercita una serie di iniziative, quelle previste dalle norme italiane, per far rispettare il diritto.
Ma, a causa di una serie di gravi inadempienze ed omissioni del Ministero delle comunicazioni, continua a non avere la libertà di lavorare; continua ad essere impedito l'esercizio della libertà di impresa e le viene precluso il diritto di lavorare, diritto precluso, come è ovvio, anche ai suoi settecento dipendenti. Il Governo impedisce in Italia ad una impresa di lavorare e a settecento famiglie di vivere!
L'impresa Europa 7 ricorre alla Corte costituzionale, che esamina la vicenda e, come previsto dalla nostra Costituzione, pronuncia una sentenza, la n. 466 del novembre 2002, con la quale si stabilisce che Rete 4 sta trasmettendo in modo abusivo e che pertanto, dal primo gennaio 2004, quasi due mesi fa, avrebbe dovuto continuare a trasmettere via satellite.
Sempre dal primo gennaio 2004 le frequenze analogiche terrestri resesi disponibili avrebbero dovuto essere assegnate al soggetto che si è aggiudicato la gara e che invece ne è privo, ovvero Europa 7. Cosa fa allora il Governo italiano? Ha diverse possibilità: ad esempio, si disinteressa della vicenda e lascia che il diritto venga applicato dagli organi competenti? Certo che no! Prima presenta un progetto di legge che ha lo scopo di rendere legittimo l'arbitrio, letica la rapina e, successivamente, di fronte al rinvio alle Camere della proposta di legge da parte del Presidente della Repubblica, adotta un decreto-legge, prima di Natale, con il quale il Presidente del Consiglio predispone difatti una norma per rendere legale l'occupazione illegale delle frequenze da parte della sua impresa. La sua impresa illegale occupa spazi altrui ed il Presidente del Consiglio predispone una norma con la quale rende lecito ciò che è illecito, rende il furto e la rapina legalizzati.
Il Presidente del Consiglio è autorizzato a rubare per legge! Vi dovreste vergognare, vi dovreste vergognare, esponenti del Governo e della maggioranza! State dicendo che se chi ruba si chiama Berlusconi ha diritto di farlo! Con quella stessa norma pertanto si condanna l'altra impresa a non poter lavorare, cioè quella che ha vinto la gara e che ha rispettato le logiche di mercato e la legge.
Siamo di fronte all'uso della legge contro la legge, in dispregio ad ogni norma e alla Costituzione e a centinaia di lavoratori e lavoratrici (con le proprie famiglie) ai quali il Governo impedisce di lavorare. Li condanna alla non occupazione: settecento posti di lavoro non nati per omaggio al Presidente del Consiglio e alle sue imprese!
Vedete, è come se un comune mettesse in gara la realizzazione di tre grandi lotti di edilizia: si svolge la gara e vincono due imprese alle quali vanno aggiudicati rispettivamente, alla prima, la realizzazione dei lotti 1 e 2, alla seconda, il numero 3. Senonché, l'impresa che si è aggiudicata la realizzazione dei primi due piazza il proprio cantiere anche sul terzo lotto e comincia ad edificare, o meglio, comincia ad impedire al soggetto che ha vinto il concorso per la realizzazione dell'altro lotto di lavorare. Questa impresa si rivolge dunque alla magistratura e vince il ricorso perché ha vinto la gara.


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È come se il sindaco intervenisse dicendo che chi ha perso può occupare il terreno altrui, chi ha vinto non deve più lavorare. Le forze dell'ordine sarebbero andate a cercare tale sindaco e l'avrebbero trattato come la legge prevede. Invece, in questo caso, alle forze dell'ordine il Presidente del Consiglio ordina di sfrattare quello che ha vinto perché al posto suo ci vuole andare con la sua impresa!
Sapete cosa comporta per l'imprenditore Berlusconi il decreto-legge in esame? Comporta un incasso di 20 milioni di euro al mese! Dal 1o gennaio 2004 al 19 febbraio 2004, ore 12, ha già incassato 36 milioni di euro. Per legge impone che lui deve guadagnare 240 milioni di euro all'anno ed impedire all'impresa che ha vinto di lavorare!
Mi viene in mente uno dei tanti film western in cui il signorotto, già proprietario della banca, di ampie terre e dei pascoli, pretende il fazzoletto di terra di un piccolo proprietario che non vuole cederla. Allora, il signorotto manda i banditi ad uccidergli il bestiame, ma l'altro non molla, anzi, chiama lo sceriffo. Allora, il signorotto nomina uno sceriffo compiacente che sta zitto.

PRESIDENTE. Onorevole Duca, dovrebbe concludere.

EUGENIO DUCA. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente.
Visto che ancora non riesce a convincerlo, il signorotto fa deviare il corso dell'acqua con la dinamite in modo che quello non abbia l'acqua. Siamo in mano al capo dei banditi che sta facendo le leggi per sé contro i cittadini!

PRESIDENTE. Onorevole Duca...

EUGENIO DUCA. È ora di finirla!

PRESIDENTE. Onorevole Duca, le tolgo la parola, anche se vedo che lei ha terminato. Non le posso consentire di usare tale terminologia nei confronti di un parlamentare Capo del Governo.

EUGENIO DUCA. Capo dei banditi! Capo dei banditi!

PRESIDENTE. La prego, non mi costringa a richiamarla all'ordine. Il contegno parlamentare è fondamento della democrazia, quindi la prego di attenersi a tale norma.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Stramaccioni. Ne ha facoltà.

ALBERTO STRAMACCIONI. Signor Presidente, le dichiarazioni di voto sul provvedimento in esame ci impongono di svolgere alcune considerazioni di merito ed altre di carattere generale sul contesto politico in cui si colloca la conversione di un decreto-legge così apertamente e sfacciatamente vantaggioso, sul piano finanziario e su quello del potere mediatico, per le aziende Mediaset di proprietà del Presidente del Consiglio. Gli interessi privati ed aziendali del Capo del Governo italiano, unico caso al mondo, finiscono col prevalere su quelli generali di un'intera comunità nazionale proprio su un tema decisivo per tutte le democrazie occidentali come quello dell'informazione.
Senza alcuna remora e rispetto per il Parlamento si è voluta mettere la fiducia sul provvedimento bloccando ogni confronto democratico. Il Governo ha dimostrato di temere le opinioni della sua stessa maggioranza, da molti mesi divisa su tutto, e ha chiuso ogni discussione. Il centrosinistra, nell'interesse del paese, ha voluto sottolineare la gravità di tale atteggiamento impegnandosi per ore ed ore in una battaglia civile per la democrazia, la libertà ed il pluralismo nel sistema dell'informazione.
Siamo, d'altronde, di fronte ad un decreto-legge che certo non anticipa, come sarebbe stato necessario, quegli elementi di riassetto generale dell'intero sistema radiotelevisivo. Tale esigenza risponde alla necessità di garantire quel pluralismo dell'informazione sollecitato dal rinvio alla Camera da parte del Presidente della Repubblica della legge Gasparri.
Siamo, invece, di fronte ad un decreto finalizzato a salvaguardare esclusivamente


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una televisione: si tratta di un decreto ad hoc per Retequattro, senza alcuna remora, che sta già procurando elevati introiti finanziari per Mediaset, con un rialzo del 3 per cento in Borsa. La maggioranza sostiene, però, di certo senza una granitica convinzione, che non si tratta di un puro e semplice provvedimento di proroga di quanto disposto dalla sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002, che fissava al 31 dicembre 2003 la fine del regime transitorio previsto dalla legge Maccanico. Non si tratta, quindi, secondo la maggioranza, di un semplice provvedimento di proroga in quanto il decreto-legge al nostro esame definisce la modalità di cessazione del regime transitorio per l'avvio definitivo del digitale terrestre. Dunque, secondo le parole dei relatori, si tratterebbe di un provvedimento che guarda al futuro, dato che le indicazioni contenute nel decreto-legge in esame sono finalizzate a favorire l'intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La nostra valutazione è esattamente opposta. Questo provvedimento, approvato frettolosamente in dicembre e trasmesso alle Camere nel gennaio di quest'anno, non prefigura assolutamente un nuovo assetto, ma rappresenta solo una veloce e tempestiva risposta alla bocciatura del disegno di legge Gasparri, per rispondere solo alle esigenze di una televisione del premier. Eccoci, quindi, giunti a questa cieca accelerazione. Non si è voluto accogliere le nostre richieste di discutere l'insieme delle questioni contenute nel disegno di legge Gasparri, per affrontare invece solo alcuni particolari aspetti. Non si è prestata alcuna attenzione alla questione centrale del pluralismo, nonostante le tante ed autorevoli sollecitazioni. Anche i meno avvertiti sul piano democratico sanno che non può esserci pluralismo se non esiste una vera concorrenza, con nuovi gestori in grado di cimentarsi con un mercato vero. Solo così, per questa strada, si potrà perseguire il superamento reale di un duopolio (RAI-Mediaset), che sta impoverendo e dequalificando l'intera produzione televisiva italiana, che un tempo era considerata una delle migliori produzioni televisive tra i paesi occidentali.
Si persegue, invece, una politica miope, ma questo duopolio finirà con il penalizzare la stessa Mediaset, che, in controtendenza con le strategie aziendali delle grandi aziende mondiali delle telecomunicazioni, si è rinchiusa nella sola realtà italiana, forse anche per l'impossibilità di esportare all'estero il modello italiano, visto l'andamento delle prove in Francia, in Germania e in Spagna. Vi è, in più, il decisivo (determinante fin dalla nascita) sostegno del potere politico, che potrebbe naturalmente ed auspicabilmente cambiare disegno.
Oggi, tuttavia, siamo di fronte ad un Governo la cui politica nel sistema delle telecomunicazioni si identifica con quella di un gruppo privato, che naturalmente si preoccupa men che meno del pluralismo nel sistema dell'informazione, come invece è stato da più parti (ed autorevolmente) richiesto; un pluralismo che può essere effettivamente arricchito anche dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre. Di tutto ciò, però, non si trova traccia nel decreto, nel senso che non si affrontano realisticamente misure concrete per favorire l'avvento pieno del digitale, che ha bisogno, come tutti sanno, di investimenti certi per decoder ed antenne. Tutto ciò, secondo calcoli ottimistici, non potrà che avvenire prima del 2010.
Siamo, dunque, di fronte ad un decreto limitato nei suoi obiettivi e ad uso quasi esclusivo del Presidente del Consiglio. Si è persa, così, un'altra occasione, per un dare un contributo positivo alla stessa soluzione del conflitto di interessi, che sta facendo dell'Italia, del nostro paese, un caso politico democratico nel panorama dei sistemi politici occidentali. Ogni giorno si accumulano occasioni di conflitto fra l'interesse privato del Presidente del Consiglio ed il perseguimento dell'interesse generale del paese, ma di tutto ciò non sembra curarsi più di tanto la coalizione di centrodestra (o almeno così appare). È proprio lo stesso Berlusconi a dirottare, ormai quotidianamente, l'attenzione dell'opinione


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pubblica sui temi esclusivi di una propaganda politico-elettorale, che non ha niente a che fare con la soluzione dei gravi problemi economici e sociali del paese.
Si attacca la Corte costituzionale, accusata di essere comunista; si legittima l'evasione fiscale, si vogliono modificare le norme sulla par condicio, si polemizza continuamente con gli avversari, mentre non ci si occupa del problema dell'aumento dei prezzi, del lavoro per i disoccupati e delle tante crisi aziendali, a partire da quella drammatica dell'acciaieria di Terni; non ci si preoccupa di lavorare per pensioni più giuste e dignitose, per il diritto allo studio e per l'assistenza sanitaria. Ci si preoccupa, invece, di fare propaganda per sé e per il proprio partito e nemmeno tanto per la coalizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 12,02)

ALBERTO STRAMACCIONI. Non si pensa a governare il paese ed a contrastare un rischio di declino generale in diversi settori. Non si pensa a governare il paese come molti cittadini, in buona fede, hanno chiesto al centrodestra con il voto del 2001.
Oggi, molti di questi stessi cittadini sono delusi, amareggiati, disorientati ed, alcuni, anche indignati per l'arroganza e la prepotenza con cui il Capo del Governo persegue quasi esclusivamente i propri interessi personali, sottovalutando o marginalizzando quelli dell'intero paese.
Per questo insieme di valutazioni di merito sul provvedimento e per una valutazione più generale sull'indirizzo politico del Governo di centrodestra, preannuncio l'espressione del voto contrario sulla conversione in legge del decreto-legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, è stata evocata in questa Assemblea, da parte di alcuni colleghi - ieri, in particolare, espressamente, dall'onorevole Bertinotti e, nel suo contenuto, dall'onorevole Castagnetti - una rappresentazione teatrale che anima il paese, al di fuori del circuito mediatico ufficiale del potere.
È la testimonianza che la cultura del nostro paese non si rassegna alla censura, al restringimento degli spazi dell'informazione ed al dominio del potere. Al popolo, che rifiuta il silenzio della libertà e della democrazia che il sistema televisivo italiano in mano ad un solo padrone sollecita ed impone, questa cultura ripropone la meditazione di Pericle sulla democrazia (contenuta nel secondo libro di Tucidide). È la stessa pagina che la Convenzione europea per la Costituzione indica nel preambolo come radice ed orizzonte per la costruzione dell'Europa politica dei popoli.
La rilettura di questa pagina che ripropongo in questa aula è dedicata all'unico parlamentare della maggioranza presente in aula ed ai tanti assenti, distratti dal loro dovere di rappresentanti del popolo.
Il nostro Governo, afferma Pericle con orgoglio, favorisce i molti, invece dei pochi. Per questo è detto democrazia. Il vostro Governo, ammonisce nuovamente questa opposizione, non solo non persegue l'interesse dei molti, ma neppure quello dei pochi. Esso, con la stessa firma del Presidente del Consiglio su questo decreto-legge, assume come esclusivo interesse il favore ad un singolo, ad una sola persona. L'interesse economico e finanziario del signor Berlusconi deve diventare legge dello Stato.
Le leggi, prosegue Pericle, assicurano una giustizia uguale per tutti nelle loro dispute, ma noi non ignoriamo i meriti dell'eccellenza. Così Pericle. Le vostre leggi, al contrario, non cesseremo di dirlo, non perseguono giustizia, ma distribuiscono privilegi ed immunità ai pochi che hanno consumato nell'illegalità la loro esistenza.


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La vostra eccellenza è quella degli evasori fiscali, degli esportatori illegali dei capitali e degli abusivi di ogni genere, dei sopraffattori e dei pirati dell'etere e delle frequenze.
Ci è stato insegnato - ricorda ancora Pericle - di rispettare i magistrati e le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
Il vostro Governo - denunciamo di nuovo noi, senza timore - addita al dileggio i magistrati e calpesta le leggi, legittimando ed esaltando persino la violazione delle stesse e, con essa, il dovere di solidarietà che cementa i popoli e ne garantisce l'avvenire.
E ci è stato anche insegnato - insiste Pericle - di rispettare quelle leggi non scritte, la cui sanzione risiede solo nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buonsenso. Vi ammoniamo ancora a recuperare buonsenso e giustizia, distrutti da questo decreto-legge, che annulla il pluralismo dell'informazione e che consolida la posizione dominante e di monopolio del signor Berlusconi nell'assetto televisivo.
Noi non consideriamo - conclude Pericle - la discussione un ostacolo sulla strada dell'azione politica. Crediamo che la felicità sia il frutto della libertà e che quest'ultima sia solo il frutto del valore.
Voi, signori del Governo e della maggioranza, con i vostri provvedimenti, infangate la bella parola «libertà», alla quale, con l'inganno del manipolatore delle coscienze, avete voluto dedicate il vostro schieramento politico. Voi temete il pluralismo, strumento stesso e fondamento della democrazia.
Nel ridicolo e nel grottesco è avvolta poi la difesa della politica realizzata dal vostro ministro Gasparri. Questo consapevole strumento degli interessi patrimoniali del signore della casa sostiene che la legittimità della difesa e l'accrescimento degli interessi privilegiati e incostituzionali del Capo del Governo discendono dalla trasparenza con la quale essi sono assunti attraverso la legge dal Parlamento. Quasi che, dunque, una condotta riprovevole, immorale e incostituzionale si connoti dei caratteri della virtù e della legittimità per il solo modo con cui essa viene realizzata.
Tuttavia, la teoria Gasparri ci preoccupa non per l'assurdità che esprime - ad essa, senza più timori, rimedieremo quando al più presto avrete sgombrato il campo dalla direzione del Governo -, quanto piuttosto per la concezione illiberale della democrazia che la pervade.
Crediamo nella democrazia costituzionale, in quella critica, in quella liberale, in cui al potere non tutto è concesso, in quanto anche quest'ultimo è soggetto ai vincoli propri dello Stato di diritto. Crediamo nella democrazia - come ha ricordato Pericle - in cui il Governo e la sua maggioranza non possono perseguire e favorire gli interessi di pochi o di un singolo, nella democrazia - signor Presidente - che ha fondamento non tanto nel contegno parlamentare, quanto nel rispetto della libertà, nell'esaltazione del pluralismo, nella tutela e nell'affermazione della legalità, dunque ad una democrazia costituzionale che persegue giustizia ed uguaglianza. Ciò nel decreto-legge in esame non è garantito, non è affermato; questo provvedimento si muove in una direzione che calpesta tutti questi valori.
Per tale motivo abbiamo condotto questa battaglia, che consideriamo non tanto una battaglia contro il Presidente del Consiglio e i suoi interessi, quanto una battaglia di democrazia e di libertà per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zani. Ne ha facoltà.

MAURO ZANI. Signor Presidente, colleghi, ritengo che poche volte nella storia della Repubblica il legittimo ricorso all'ostruzionismo parlamentare sia stato così pienamente non dico giustificato, ma compreso e condiviso dalla più larga opinione pubblica.
Di fronte alle serie difficoltà emerse nella maggioranza a prestarsi, ancora una


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volta e per l'ennesima, a legare l'asino dove vuole il padrone - che è anche il padrone di Mediaset -, il Governo ha deciso di richiamare tutti all'ordine ricorrendo alla fiducia.
In questo modo, alla vigilia di una difficile campagna elettorale per la Casa delle libertà, e segnatamente per il partito del Presidente del Consiglio dei ministri, si è voluto ristabilire quel principio di realtà espresso con arroganza dalle percentuali del 60 contro il 6 per cento che lo stesso Capo del Governo ha fatto valere nel corso della verifica interna della maggioranza. Una verifica durata ormai molti mesi; ho detto verifica ma avrei potuto dire pseudoverifica come altri, ben più autorevolmente di me, hanno detto. Mi domando fine a che punto e sino a quando ogni componente della maggioranza che non faccia parte del nucleo più ristretto del cavalierato azzurro possa accettare questo stato di cose.
Colleghi della maggioranza - purtroppo assenti -, si tratta di uno stato di cose che ci vede continuamente impegnati a legiferare tra mille difficoltà con il solo scopo di difendere e di coltivare e se del caso, e sembra che lo sia, promuovere, gli interessi personali e privati del Presidente del Consiglio dei ministri. E ciò mentre bussa alla porta di questo Parlamento e a quella del Governo una situazione di generale e grave malessere del nostro paese; una situazione composta da una grave crisi industriale, da una crescita zero dell'economia ma, ed è quello che più conta, da una vera e propria crisi di fiducia che ormai si allarga a macchia d'olio in ampi strati della società italiana, dal lavoro dipendente e ormai anche alla più larga parte delle classi medie; per non tacere poi di quelle famiglie povere o a rischio povertà, ben 4 milioni e 200 mila, che coinvolgono almeno dieci milioni di nostri concittadini. Mi domando e vi domando, colleghi della maggioranza, se anche tutti voi ritenete davvero, contro ogni dato statistico e contro il buon senso, che il quadro, purtroppo ormai quasi completo, del declino di questo paese possa essere letteralmente esorcizzato in un mondo immaginario e parallelo a quello reale. È un mondo surreale dove, come abbiamo potuto sentire, vige un generale arricchimento dell'Italia e degli italiani.
Colleghi della maggioranza, non credo che voi pensiate questo, non credo che questa dimensione fantasmatica e questo artifizio da incantatore di bisce possa soddisfarvi. Ciascuno di voi, come ciascuno di noi dell'opposizione, è ogni giorno sollecitato da un malessere sociale crescente, da una domanda di certezza e di sicurezza, dalla richiesta pressante di una prospettiva di sviluppo e di stabilità. So che questo voi lo sapete tant'è vero che la pseudoverifica aveva per oggetto proprio l'inquietudine generata anche tra voi da un evidente deficit nel governo dell'economia, da un'assenza di guida politica la quale non può più a lungo venire surrogata dalla propaganda del ministro dell'economia e delle finanze, dalla logica aberrante dei condoni o dall'invito paracriminogeno all'evasione fiscale, reiterato anche in questi giorni dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Colleghi, voi sapete che non è opponendo la fiction alla realtà che potrete affrontare tutte le prossime campagne elettorali fino al 2006. Sapete anche, che dopo molti mesi passati a discutere tra voi, ben difficilmente basterà un Consiglio di gabinetto per affrontare i problemi del Governo in una fase difficile come l'attuale. Nel corso di ben tre anni di legislatura non siete stati in grado di indicare al paese e neppure ai vostri elettori una strada, una prospettiva, un progetto di Governo. Avete avuto l'occasione importante e significativa della Presidenza italiana del semestre europeo e l'avete mancata clamorosamente, con grave danno non solo per voi, ma anche per la credibilità dell'Italia. Adesso è inutile indignarsi - ditelo al ministro Frattini - per la nostra esclusione dall'iniziativa assunta da Francia, Germania e Gran Bretagna. Sorrisi, pacche sulle spalle e barzellette di dubbio gusto non sostituiscono l'assenza di una politica. L'Europa per voi, la nuova Europa dell'euro e la nuova Europa a venticinque che muoverà i suoi primi passi


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dal prossimo 1o maggio, è stata ed è vissuta come un fastidio, come un ostacolo sulla strada dei condoni, della finanza creativa, dell'improvvisazione e della superficialità, eretti a sistemi di Governo, con in più gli interessi privati in atti d'ufficio.
In questo periodo, ad esempio, serve un dibattito sulle proposte della Commissione europea in merito alle scelte del bilancio comunitario.
La proposta, già contestata da parte di alcuni importanti paesi, è quella di avvicinare le risorse del bilancio all'1,2 per cento del PIL comunitario. In tal modo, si potrebbero aumentare, pur restando nei limiti di spesa fissati dai trattati, di ben il 400 per cento le risorse per le grandi reti transnazionali; del 300 per cento quelle per l'istruzione e la formazione; del 200 per cento quelle per la ricerca e l'innovazione tecnologica.
Siete interessati, onorevoli colleghi della maggioranza, a questa discussione? È infatti assolutamente inutile fare propaganda sul Corridoio n. 5 o sull'informatizzazione della pubblica amministrazione, o avere un fantasmatico ministro dell'innovazione, se poi si registra l'assenza dell'Italia nelle fasi cruciali della formazione delle decisioni comunitarie.
Ma tutto ciò, e la possibilità che decolli finalmente sulla base di scelte politiche concrete il processo di Lisbona, che dovrebbe fare di quella europea l'economia più competitiva al mondo entro il 2010, non sembra interessarvi granché. Eppure, solo un progetto europeo di sviluppo può garantire all'Italia una via d'uscita dallo stato economico e sociale in cui si trova, a meno che non pensiate che l'alternativa venga messa in scena giorno per giorno dalla creatività e dall'estro di Tremonti. Ma questo non è possibile, perché ormai anche Tremonti ha pressoché esaurito la cassetta degli attrezzi: non ci sono più trucchi e giochi di prestigio nella sacca del mago!
Del resto, per entrare nel merito dell'oggetto della battaglia di libertà che stiamo conducendo, i trucchi hanno mostrato la corda e si sono svelati di fronte al paese nella loro banale ripetitività, anche tramite la vostra incredibile riforma dell'assetto radiotelevisivo. Anche in tal caso, il Governo ha tentato di truccare le carte, in particolare con la mirabile e truffaldina invenzione del SIC, ovvero la grande giostra magica nella quale entrano le cose più svariate, ma dalla quale escono soltanto le risorse aggiuntive per il Presidente del Consiglio, e il gioco è fatto.
Ma pensavate davvero di passare incolumi al vaglio dell'arbitrato imparziale della Presidenza della Repubblica? Ora, naturalmente, vi resta da salvare ancora una volta, con questo malsano decreto-legge, una televisione del Presidente. Sappiamo che si tratta di guadagnare tempo, il tempo che vi occorre per ideare qualche altro marchingegno, pur di vanificare, dopo averla aggirata a lungo, la sentenza della Corte costituzionale, notorio covo di comunisti espropriatori. Contemporaneamente, vi proponete anche l'abrogazione della legge sulla par condicio.
Noi affrontiamo l'imminente campagna elettorale mettendo in campo, finalmente, un nuovo soggetto politico; voi la affrontate cancellando ogni residua regola per l'accesso paritario all'uso dei media televisivi. Non vi lamentate, dunque, se il Parlamento europeo deplora solennemente lo stato di fatto che avete creato in Italia, con una formidabile concentrazione del potere mediatico nelle mani del Presidente del Consiglio, in assenza di qualsiasi regolamentazione del conflitto di interessi!
Onorevoli colleghi della maggioranza, grazie al fatto che molti tra voi sono costretti a subire la chiamata alle armi del proprietario di Mediaset (e contemporaneamente dominus della RAI), viene imposta al paese anche l'ulteriore indecenza di questo decreto-legge, con la logica leninista della presa del potere.
Tuttavia, sappiate che l'Italia è stanca. Molti cittadini, anche della vostra parte, si rendono conto che una politica continuamente sottoposta a ricatto e ostaggio di interessi privati, sacrifica, da troppo tempo, gli interessi del paese. È dunque facile formulare una previsione: colui che vi ha portato alla vittoria elettorale, vi


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perderà, ancora una volta, nella prova del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.

ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, abbiamo già ampiamente motivato il nostro voto contrario al provvedimento in esame nel corso delle varie fasi del suo iter, in Commissione, nella discussione sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità e in tutte le successive tappe che hanno scandito questo lungo itinerario parlamentare.
Sono ragioni di merito e, in molti casi, anche di metodo. Sul merito voglio spendere poche considerazioni. Noi pensiamo che sia incostituzionale superare o vanificare quanto disposto da una sentenza della Corte costituzionale con una legge ordinaria come questa, anche se il contenuto della legge tende a vanificare o superare il dispositivo per un periodo limitato. Il tempo è trascorso in via conclusiva, secondo noi. La linea rossa che la Corte aveva tracciato con la sua sentenza è insuperabile, a nostro giudizio. Le ragioni per cui questa linea è stata superata sono da ricercare, prevalentemente, nella pervicace volontà di approvare una legge palesemente in contrasto con i principi costituzionali. Questo ha comportato che la legge, nota come legge Gasparri, approvata nei due rami del Parlamento dopo un lungo e contrastato dibattito, è stata rinviata dal Capo dello Stato. Con il suo messaggio dell'estate scorsa, il Presidente della Repubblica già aveva messo in chiaro quali fossero i limiti costituzionali e i principi fondamentali ai quali occorreva ispirare quel provvedimento di legge perché fosse garantito il pluralismo dell'informazione, protetto - come sappiamo - da principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Se abbiamo superato la linea rossa, le ragioni devono essere ricercate, esclusivamente, nell'atteggiamento sbagliato che la maggioranza di Governo ha tenuto in occasione della discussione della legge nel merito.
Oggi, viviamo una fase nella quale il Governo e la sua maggioranza, con questo provvedimento e con altri, distruggono o, almeno, tentano di distruggere - questo è l'elemento che caratterizza la loro azione - ogni presidio di garanzia valido per tutti e sempre nel tempo, chiunque governi e qualunque sia la maggioranza di turno. Dall'inizio della legislatura, gli esempi in questa direzione sono numerosi. Li cito per titoli: la giustizia, le riforme istituzionali ancora in discussione, i provvedimenti in campo sociale, i principi di legalità violentemente messi in dubbio, il bilancio e il rigore della spesa nella politica economica del Governo. Anche la Costituzione, ormai, non rappresenta più una barriera, una protezione. Basta osservare quanto accade in questi giorni al Senato, in occasione della discussione della cosiddetta riforma federalista, della forma di Governo, della Camera delle autonomie e della devoluzione di sanità e istruzione alle regioni in via esclusiva, secondo la linea del ministro per le riforme istituzionali.
In una sua esternazione di ieri, il Presidente del Consiglio ha affermato che grazie a questo strumento - cioè la devoluzione di sanità e istruzione - i cittadini sapranno di chi sarà la responsabilità se la scuola e la sanità non funzioneranno bene. Trovo che in questa sintesi di pensiero ci sia tutto un programma politico, una visione, un modo di concepire il cittadino, le donne, i bambini e gli anziani. Come si vede, non c'è affatto questo universo, questo popolo, nella mente, nei pensieri del Capo del nostro Governo. Ogni cittadino, afferma il Presidente del Consiglio dei ministri, soprattutto se l'aliquota del prelievo fiscale sfiora il 50 per cento, ha nella mente l'idea di evadere le imposte. Ho fatto un po' di conti e ho pensato a quanti cittadini possano avere in mente l'aliquota del 50 per cento. Questo mi ha fornito la risposta al primo quesito: il nostro Presidente del Consiglio ha in mente questa parte dell'universo del nostro popolo, cioè coloro i quali possono


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permettersi di pagare un'aliquota del 50 per cento. Infatti, se pagano in base a tale aliquota, lascio a voi la valutazione di quale sia il reddito che percepiscono, quale sia, cioè, il reddito che deve essere realizzato per pagare un'aliquota così alta.
Viene il dubbio, appunto, se addirittura anche in questo passaggio non stesse parlando di sé, così come questo provvedimento alla fine ci porta e ci riconduce ancora una volta al Presidente del Consiglio, ai suoi interessi, a tutta la vicenda così complicata che sta caratterizzando questi due anni e mezzo di vita parlamentare e di Governo. Ieri, ha annunciato che lui si candiderà alle elezioni europee per fare la bandiera, ha usato questo termine. In altre parole, una candidatura di bandiera: quindi, lui vuole fare la bandiera. Ancora una volta, anche con questo messaggio, tende a cambiare la realtà, così come quando afferma che in Italia, in realtà, stiamo benissimo, la nostra ricchezza cresce e che soltanto la propaganda sbagliata della sinistra tende a dimostrare una realtà diversa. In altre parole, lui si candida per fare la bandiera, dicendo contemporaneamente che non andrà mai a fare il parlamentare europeo. Allora, ci dobbiamo domandare se questo è un esempio di etica, di coerenza e di linearità. È chiaro che affermare di candidarsi come bandiera nasconde la consapevolezza che la sua maggioranza, e il suo partito prima di tutto, evidentemente hanno bisogno di una bandiera e che non è sufficiente presentarsi al confronto con i cittadini sulla base di ciò che si è fatto durante i due anni e mezzo di Governo. Noi ci permettiamo di dire, con cognizione di causa, che questa bandiera è ormai abbastanza stracciata nell'opinione più larga degli italiani in questo momento e non credo assolutamente che l'unificazione della giornata di voto, che è stata un'altra invenzione di questi ultimi giorni per cambiare le regole, produrrà l'effetto sperato. Ha ragione chi sostiene che probabilmente per noi sarà uno spot elettorale permanente la candidatura del premier alle elezioni europee. Penso che da questo punto di vista il Presidente della Commissione europea Prodi abbia dato al capo del Governo una lezione di stile e di etica del comportamento.
Per concludere, le cose si muovono in Italia come si muovono anche fuori dall'Italia. Si muovono anche negli Stati Uniti che sono un riferimento permanente nella linea politica del nostro Presidente. Noi pensiamo che il plebiscito a cui si tenta di andare ancora una volta non ci sarà e la sera del 13 giugno la bandiera di cui abbiamo parlato e di cui stiamo parlando corre il serio rischio di essere ammainata e poi definitivamente ripiegata. Non credo che per evitare questo sia sufficiente cancellare le regole della par condicio, che è l'altra minaccia che ci è stata formulata in questi giorni. Il nostro dibattito parlamentare che durerà ancora per diverse ore attorno a questo provvedimento è soltanto una prova - e non è l'unica e la più importante - che possiamo dare se vengono aggredite con leggi o con provvedimenti alcune delle prerogative fondamentali di giustizia, di equità, di pluralismo e di garanzia che produrranno da parte nostra una reazione talmente pesante, qui e nel paese, io penso, da sconsigliare ogni tentativo di proseguire in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Capitelli. Ne ha facoltà.

PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è chiaro che voteremo contro questo provvedimento per tante ragioni di merito e per aver dovuto subire un voto di fiducia che non è come tutti gli altri che ci sono già stati, nonostante la maggioranza abbia più di cento voti di vantaggio rispetto all'opposizione, ma è un voto che, come dirò più avanti, è un attestato di fedeltà. Lo faremo, oltre che con convinzione, con la consapevolezza che i cittadini hanno capito il nostro impegno. Non abbiamo recitato a soggetto in questi giorni; la nostra non è stata un banale azione ostruzionistica, ma contemporaneamente un'operazione di difesa


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delle prerogative del Parlamento e di affermazione del principio di uguaglianza tra i cittadini.
È il caso di andare così in fondo, di scomodare la Costituzione, per evidenziare il conflitto di interessi? Certamente! Conviene ricordare a questo Governo che non dare regole al mercato - oppure darle truccate - significa violare il principio di uguaglianza.
Questo decreto-legge, inoltre, tocca problematiche concrete ed essenziali che riguardano molteplici aspetti del sistema di comunicazione che non siamo riusciti a discutere sufficientemente: quali opportunità imprenditoriali si aprono rispetto alle nuove tecnologie digitali, quale pluralismo vi sarà tra gli operatori, quale mercato si apre e con quali regole, di quanti nuovi o altri diritti di accesso all'informazione godranno i cittadini. Quante volte abbiamo sostenuto che il tema dell'informazione è il più interconnesso con quello delle democrazie moderne? Ma, a questo, il Governo è sempre rimasto sordo.
Questo Governo, inoltre, non ha voglia di discutere, preferisce ricorrere alle deleghe e alle fiducie. Ma con la richiesta di fiducia su questo decreto-legge il Governo sta dimostrando tutta la sua debolezza. Ha posto infatti la questione di fiducia per paura dei franchi tiratori, non per decisione tecnica, come ha detto l'onorevole Elio Vito, ingarbugliando le carte come pensa di saper fare egregiamente, solo perché qualche volta gli è andata bene. Si tacciono le ragioni vere per le quali è stato adottato il decreto-legge. Si tacciono, perché altrimenti emergerebbe che, dopo parecchie settimane di verifica, questa maggioranza continua ad essere in fibrillazione. Si rivelerebbe che per il Governo ci sono delle priorità che vengono prima del rispetto della rappresentanza parlamentare e dei concreti interessi del paese. Il Parlamento è il luogo della politica, del confronto, della mediazione, della decisione democratica, non dei fatti tecnici cui facevano riferimento l'onorevole Elio Vito e il sottosegretario Innocenzi, non dei fatti tecnici peraltro inesistenti. E che la politica debba essere confronto ce l'ha ricordato anche il Presidente della Repubblica nel messaggio inviato alle Camere, quello stesso Presidente della Repubblica che ha rinviato alle Camere il disegno di legge Gasparri.
Secondo quanto affermato dalla maggioranza, il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica. Vorrei ricordare che le osservazioni del Presidente Ciampi riguardano in primo luogo il fatto che questa riforma non garantisce il pluralismo dell'informazione che, a nostro parere, costituisce la condizione essenziale, il presupposto fondamentale e il valore fondante di ogni democrazia. Dunque sarebbe stato giusto accogliere la nostra richiesta di discutere tutta la legge Gasparri e non soltanto alcuni articoli. Quando si scriverà la storia di questa fase della politica italiana, in particolare della vita dell'istituzione fondamentale di questo paese, il Parlamento, queste giornate saranno un episodio imbarazzante per questa maggioranza, ammesso che sia una maggioranza vera, coesa intorno ad un programma per il paese.
Ce ne sono state altre di queste pagine, non dimentichiamolo. Come non ricordare l'affanno con cui, nei primi cento giorni, la maggioranza si è affrettata ad approvare l'abolizione della tassa di successione per i grandi capitali, la legge Cirami, la depenalizzazione del falso in bilancio, l'agevolazione al rientro dei capitali illecitamente esportati e, successivamente, il lodo Schifani. Ma in questi giorni, con il voto di fiducia sul decreto-legge che, a ragione, è stato definito, in modo un po' elementare, ma efficace, il decreto «salva Retequattro», si celebra la legittimazione del conflitto di interessi.
È un'operazione profonda questa, un'operazione di salvezza e di legittimazione. Molti hanno detto che questo è un voto di fiducia che dovrebbe far vergognare chi lo ha pensato e chi lo ha dato. È un voto di fedeltà, non ad un programma a favore dello sviluppo del paese, di un maggiore benessere e tranquillità dei cittadini, ma un voto di omaggio, di fede al Capo dello Stato. È vero, fiducia e «fede» sono le protagoniste di questa


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giornata, e badate che ogni riferimento lessicale non è assolutamente casuale: il Governo ha avuto la fiducia e i cittadini italiani avranno Fede, sempre sulla stessa rete.
Si sta compiendo un'operazione profonda, che affonda nell'animo degli italiani e che è anche un'operazione storicamente fondata, che si radica in una storia antica che riporta alla devozione dovuta al proprio signore.
Lascio a voi identificare il periodo storico in cui la devozione al signore era un atto assolutamente necessario per la sopravvivenza.
Forse si sarebbe potuto andare meno lontano nel ritrovare le proprie radici, cioè per riconoscere l'identità morale e civile degli italiani, ma il nostro Governo sa andare fino in fondo, molto in fondo. Forse pensa di avere un obiettivo nobile: riscoprire il valore della fedeltà e ritrovare il senso di una spiritualità troppo spesso smarrita.
A proposito di smarrimento, i cittadini sono smarriti, e fanno fatica a riconoscersi in questo Governo; perciò, bisogna aiutarli, anche ispirando loro atti di fede. Ma da dove vengono queste difficoltà dei cittadini, che si agitano, scendono in piazza ed occupano scuole ed università?
È forse colpa dei cattivi comunisti se, anziché intraprendere un percorso di spiritualità e di fede, i cittadini pensano troppo agli interessi materiali, allo stipendio che non consente di arrivare alla fine del mese, all'incertezza sull'occupazione, alla scuola per i propri figli - che non si capisce più cosa è e, soprattutto, cosa sarà -, alla sanità pubblica che dà sempre meno garanzie, alle grandi opere per il paese che non arrivano, mentre il sistema dei trasporti e delle infrastrutture si dimostra sempre più inadeguato a favorire sviluppo e qualità della vita?
I cittadini cominciano a nutrire qualche dubbio riguardo alla tesi per cui tutto ciò che non va in questo paese sia da attribuire alle colpe passate e presenti dei comunisti. Forse il Governo dovrebbe riflettere al riguardo, e forse dovrebbe pensare a quanto sta accadendo nel paese. Noi parlamentari delle opposizioni, che non abbiamo mai avuto tanta fede in questo Governo, abbiamo voluto incalzarlo e percorrere tutte le strade per strappare magari poco, ma perlomeno qualche ordine del giorno che potesse dare una speranza al sistema delle comunicazioni.
Preannunzio, pertanto, che voteremo contro il decreto-legge in esame perché si tratta di un provvedimento sbagliato, perché non garantisce né la pluralità dell'informazione, né lo sviluppo del sistema dell'informazione stessa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cennamo. Ne ha facoltà.

ALDO CENNAMO. Signor Presidente, sono molte le ragioni che motivano il mio voto contrario al provvedimento in esame; si tratta, del resto, di ragioni già ampiamente illustrate durante i numerosi interventi svolti dai colleghi dell'opposizione che mi hanno preceduto nel corso del dibattito.
In primo luogo, mi preme segnalare, signor Presidente, una riflessione che già in altre circostanze ho sottoposto alla sua attenzione, relativa all'abuso della decretazione d'urgenza. Il Governo, infatti, con il suo reiterato abuso del ricorso alla decretazione d'urgenza, impedisce il confronto parlamentare, acuisce il conflitto con il Parlamento e svuota delle sue prerogative l'Assemblea.
In questa circostanza, poi, all'abuso della decretazione d'urgenza il Governo ha aggiunto anche la richiesta della fiducia. La data entro cui il decreto-legge deve essere convertito in legge è il 27 febbraio: ciò significa che vi era tutto il tempo per procedere ad un esame compiuto del provvedimento e ad una valutazione delle proposte emendative presentate dall'opposizione, le quali, è utile ricordarlo, erano migliorative del testo.
Non abbiamo mai espresso e non siamo animati da una vocazione ostruzionistica, tuttavia è l'indisponibilità al dialogo e al


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confronto della maggioranza che costringe l'opposizione a praticare l'ostruzionismo. È un ostruzionismo che, in questo momento, assume il significato della difesa delle prerogative del Parlamento, cui viene sottratta la possibilità di intervenire nel merito del provvedimento e di esercitare il proprio ruolo. Si tratta, in definitiva, di un ostruzionismo in difesa della libertà.
Il Presidente del Consiglio, come egli stesso ha dichiarato alla stampa, ha motivato la richiesta della fiducia sostenendo che era necessaria per evitare lungaggini parlamentari. Da tali parole sembra quasi che l'esercizio delle prerogative costituzionali assegnate al Parlamento rappresenti un fastidio, ritardi l'efficacia dell'azione del Governo e, quasi quasi, potrebbe far pensare che si possa fare a meno dell'esercizio del controllo parlamentare, o quanto meno che questo possa essere limitato alla sola votazione della fiducia.
La democrazia vive in un delicato equilibrio di poteri, di pesi e contrappesi. In una democrazia compiuta, qual è quella disegnata dalla nostra Costituzione, l'esercizio del Governo e l'esercizio del controllo sono inscindibili. Non pronuncio la parola che identificherebbe le condizioni di uno squilibrio, un annullamento dei contrappesi: parola, concetto, che, del resto, è stato evocato, questa mattina, nel fondo del Corriere della Sera a firma di Giovanni Sartori. Provate voi, colleghi della maggioranza, ad immaginare cosa accadrebbe se venisse meno questo equilibrio, se venisse meno l'esercizio del controllo parlamentare, a quale condizione andrebbero incontro la democrazia, le istituzioni e la Repubblica nel nostro paese.
Decretazione d'urgenza e voto di fiducia rappresentano, in questa circostanza, un doppio abuso, che genera un malessere che attraversa anche settori della stessa maggioranza e che si è manifestato, in quest'aula, con il silenzio di una parte significativa della maggioranza medesima, oltre che con dichiarazioni di qualche autorevole componente dello stesso Ufficio di Presidenza della Camera, dichiarazioni che tanti di noi hanno apprezzato e condiviso nei contenuti e nei toni.
Da queste brevi considerazioni, signor Presidente, emerge chiaramente, allora, che la fiducia è stato lo strumento usato per comprimere, per umiliare le voci di dissenso presenti nella maggioranza: una maggioranza che è attraversata da divisioni profonde e che, da nove mesi, ha aperto una verifica che non riesce a chiudere. Anzi, no! Pare che, ieri sera, vi sia stato l'ennesimo annuncio della chiusura della verifica ... Colleghi della maggioranza, non coltivate soverchie illusioni. Chiusa o meno che sia, questa verifica non offrirà risposte alle inquietudini dei cittadini italiani.
C'è, nel paese, un clima di incertezza e di sfiducia che, per vostra insensibilità, non riuscite a cogliere. Non cogliete le preoccupazioni delle famiglie che, ogni giorno, fanno i conti con la riduzione del potere di acquisto dei salari e con il crescente aumento del costo della vita, le inquietudini profonde che attraversano categorie e settori professionali importanti del nostro paese (medici, insegnanti, magistrati), le incertezze di migliaia e migliaia di lavoratori, come in queste settimane avviene nell'area metropolitana di Napoli. Qui la crisi industriale assume dimensioni allarmanti, con punte di acuta emergenza che si registrano alla Montefibre di Acerra, alla EXIDE di Casalnuovo, alla Finmec Access di Santa Maria Capua Vetere, alla Datitalia, alla Tecnosistemi (e l'elenco sarebbe, purtroppo, lungo). Migliaia di lavoratori fanno i conti con una grave crisi che minaccia la perdita di una quantità enorme di posti di lavoro, che comporta dichiarazioni di esuberi, mobilità e cassa integrazione. Migliaia di lavoratori, dunque, vedono compromessa ogni prospettiva di futuro per le loro famiglie e per i propri figli.
Colleghi della maggioranza, con l'approvazione di questo decreto-legge non risolleverete le sorti della vostra coalizione. Sarà difficile, per voi, spiegare agli italiani che parte rilevante del vostro tempo e, purtroppo, di quello del Parlamento, è stata impiegata - senza alcun rispetto per le osservazioni formulate dal Capo dello Stato e per le decisioni della


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Corte costituzionale - a sostenere la commistione di interessi privati con rilevanti funzioni pubbliche, in una parola il conflitto di interessi di cui è portatore il Presidente del Consiglio dei ministri del nostro paese.
Cari colleghi, sarà più facile, invece, che passi, nel paese, l'idea che, con la conversione di questo decreto-legge, si allunga l'elenco delle leggi vergogna che questa maggioranza ha imposto al Parlamento ed al paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Abbondanzieri. Ne ha facoltà.

MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, si potrebbe incominciare questa storia, riprendendo Collodi: c'era una volta il programma dei cento giorni (giugno 2001 - settembre 2001), dentro il quale si inseriva - dichiarava il Polo delle libertà e il suo presidente - anche il conflitto di interessi che, invece, non è risolto, è tutto in campo, vivo e vegeto, duro e puro.
Sono trascorsi quasi due anni e mezzo dall'inizio di quei cento giorni e il conflitto di interessi, non solo, sul piano legislativo, giace immobile al Senato da 130 giorni dopo che la Commissione lo ha licenziato, ma si rafforza anche ed ingrassa ogni giorno di più.
Questo, legato al decreto-legge su Retequattro è un altro sostanzioso tassello. L'operazione - come hanno ricordato molti di coloro che mi hanno preceduto - frutta all'azienda Berlusconi 240 milioni di euro subito, più il 3 per cento alla Borsa di Milano appena il Governo ha posto la fiducia.
Non è poi così difficile fare i conti. Non è poi così difficile renderlo materiale. Non è poi così difficile fare i raffronti e le proporzioni. In questo paese, c'è chi si arricchisce e c'è chi fa i conti con un pesante arretramento economico e sociale dell'intera società.
Abbiamo usato l'ostruzionismo come ultima arma. Voi usate l'autostruzionismo sul conflitto di interessi, perché, per il capo dell'azienda, non esiste, non lo vede, e quando va in America o in giro per il mondo, quando incontra il suo amico Bush, tutto condivide meno che le norme che lì e altrove regolano il conflitto di interessi.
Si chiude oggi, si è chiusa ieri (non si capisce bene) la verifica e alcune cose sono più chiare di altre. Oltre alla norma «salva Previti», lì compresa, si parla, a testa bassa, con una campagna mediatica di proporzioni immani nei confronti degli italiani e, quasi quasi, in via definitiva, di mani sulla par condicio. Se lo farà, sappia questa maggioranza e il Presidente del Consiglio dei ministri che devono prepararsi ad una battaglia parlamentare per la quale questa sarà un ricordo. Non c'è un punto in quel documento che sia un punto sull'economia, sull'emergenza sociale.
I mezzi di informazione, il loro assetto proprietario, il loro uso sono lo strumento più importante per questo Governo e il suo Presidente. Sono lo strumento dentro il quale passa il potere, il potere vero, quello economico, in via definitiva; la creazione dei comportamenti pubblici e privati, gli stili di vita conformi ad un modo di pensare che esalta i consumi e l'assuefazione ai valori deboli, magari in disprezzo dei valori civili e sociali.
In questi giorni, purtroppo, i temi che abbiamo affrontato non sono passati in televisione. Non c'è stato un telegiornale che abbia dedicato un titolo nella scaletta di inizio, che abbia riferito nel merito. Non un titolo sul conflitto di interessi. Hanno parlato della maratona notturna, hanno cercato di rendere quello che qui avveniva quasi un fatto di folklore, ma mai nel merito, mai del conflitto di interessi, di quel più 3 per cento in Borsa, dei vantaggi finanziari che si procurano all'azienda televisiva e alla famiglia. E al ministro Gasparri che, ieri sera, ci diceva che la maratona per l'ostruzionismo voleva coprire ciò che avveniva dall'altra parte con riferimento all'Iraq, vorrei dire: per favore, eviti di mischiare le pere con le


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mele! Eviti di parlare di questo argomento in questo modo, anche perché egli è un perfetto cavalier servente.
Figuriamoci quindi che cosa accadrà nella campagna mediatica dei prossimi giorni e dei prossimi mesi quando il Governo e il suo Presidente illustreranno agli italiani la bontà dell'eliminazione del tempo pieno nella scuola e l'attacco alla scuola pubblica, gli aspetti positivi del condono fiscale, tombale, edilizio, ovvero la mancanza di un progetto economico minimo - verrebbe da dire che tutti sono capaci di governare e di fare cassa in questo modo -, la sottrazione delle risorse alla sanità, la questione dei provvedimenti sull'università, che ha mobilitato migliaia di professori e studenti, l'incapacità di contare in Europa a parte le pacche sulle spalle, i cantieri sulle grandi opere. A proposito, un anno fa il Presidente Berlusconi andava a Venezia e affogava quel masso di cemento nel cantiere presupposto del Mose: dove è andata a finire la prosecuzione dei lavori sul Mose e quella di tanti altri lavori? L'imperativo categorico è andare in televisione, senza nessun contrasto e opposizione, andare in televisione a vendere il prodotto, non governare i problemi, la complessità di un paese sviluppato, la complessità di un paese che va tenuto insieme ed aiutato a superare le tante emergenze che si stanno verificando.
Venendo al decreto-legge che esalta il conflitto di interessi, lo chiedevo ieri, lo chiedeva prima il collega Panattoni, ve lo chiedo di nuovo: che cosa accadrà dopo il 30 aprile? E se l'Autorità per le comunicazioni dovesse nel suo esame rilevare che i dati sono negativi? Cos'altro vi costringerà ad inventare il Presidente del Consiglio dei ministri, che il 23 dicembre 2003 dice di aver passato il tempo fuori dalla porta del Consiglio dei ministri, magari passeggiando su e giù e - hai visto mai - a chiedersi se quegli alleati di vecchio stampo eseguissero o no i suoi dettami? Mi sembra chiaro che nell'interesse del paese, compreso l'interesse politico del Governo, di un Governo di centrodestra, sarebbe ora di voltare pagina. Bisognerebbe smettere di interessarsi di ciò che conviene al Primo ministro. Ci dimostri che il senso dello Stato, che la difesa degli interessi del paese, che il bene comune sono valori che appartengono alla classe politica, che c'è uno zoccolo duro di valori in questo paese che dovrebbero valere per chiunque governi.
Noi non siamo contro la persona Berlusconi, siamo contro la mediocrità che esprime questo Governo, una mediocrità insopportabile che rende peggiore l'Italia e che, appena mettiamo piede fuori dall'Italia, tocchiamo con mano.
In questi giorni in fin dei conti vi abbiamo chiesto di risparmiarci un ennesimo passaggio parlamentare, che, sottoposto al voto di fiducia, viene meno alla necessità di garantire il pluralismo dell'informazione; la libera concorrenza delle imprese rafforza invece gli affari di famiglia. Vi abbiamo chiesto di fare gli interessi del paese, ma se non lo capite in tempo mi auguro che ve lo facciano capire gli elettori nella prossima tornata elettorale di primavera e ho fiducia che questo possa accadere. Anch'io sogno un paese normale, un paese nel quale queste cose nemmeno più si debbano pensare, ma voi purtroppo non fate nulla perché questo paese possa diventare tale (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)

GABRIELE FRIGATO. Elezioni!

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