Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 390 del 17/11/2003
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Discussione del disegno di legge: S. 2518 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici (approvato dal Senato) (4447) (ore 14,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.
Ricordo che nella seduta del 12 novembre scorso sono state respinte le questioni pregiudiziali.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4447)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.


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Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Forza Italia e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza, onorevole Romano, ha facoltà di svolgere la sua relazione.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame risponde a due finalità principali.
Il Governo ha voluto recare un significativo contributo al miglioramento dei conti pubblici rispetto agli andamenti tendenziali sui quali ancora si riflette una situazione macroeconomica che soltanto ora, proprio nell'ultima settimana dopo una prolungata fase ciclica sfavorevole, mostra i primi segni positivi.
Il Governo, tuttavia, non ha voluto soltanto effettuare interventi correttivi, ma ha utilizzato questo provvedimento per introdurre significativi strumenti di sostegno allo sviluppo che tengono conto delle peculiarità del sistema produttivo del nostro paese che, in questa fase congiunturale, possono dare un contributo significativo alla ripresa.
Sia per le finalità perseguite sia per la rilevanza sotto il profilo finanziario delle misure in esso contenute, questo decreto-legge, senza dubbio, costituisce una parte importante della manovra di finanza pubblica nel suo complesso (il relatore di minoranza la quantifica nell'85 per cento della manovra stessa; noi riteniamo che rappresenti i due terzi della manovra).
Pertanto, è condivisibile la qualificazione di questo provvedimento come collegato che corrisponde, per la verità, a quanto già era stato indicato nella risoluzione approvata dalla Camera sulla nota di aggiornamento al DPEF 2004-2007.
In questo senso, sono da apprezzare anche le modalità di esame che la Camera ha deciso di adottare. Tali modalità sono rivolte a permettere una valutazione complessiva dei contenuti e degli effetti della manovra attraverso la considerazione contestuale delle misure contenute in questo provvedimento e delle misure contenute nel disegno di legge finanziaria già esitato al Senato.
Al decreto-legge è stato affidato il compito principale di reperire le risorse necessarie per effettuare gli interventi di correzione degli andamenti tendenziali e per finanziare le misure a sostegno dello sviluppo inserite nella manovra.
Secondo le indicazioni contenute nella relazione tecnica del Governo, gli effetti complessivi delle disposizioni del decreto, detratte le minori entrate o le maggiori spese, comportano, per il 2004, un miglioramento dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche di oltre 14 miliardi di euro.
A tale risultato concorrono, in primo luogo, le previsioni di gettito connesse alla dismissione, anche attraverso operazioni di cartolarizzazione, di immobili dello Stato e di altri enti pubblici. La normativa dettata dal decreto-legge permette il ricorso a modalità di dismissioni che si sono dimostrate efficaci nel porre, in tempi rapidi, sul mercato un complesso di beni dai quali derivava per i soggetti pubblici che ne erano proprietari una redditività pressoché nulla.
Contestualmente, tuttavia, con questo provvedimento vengono rafforzate le garanzie poste a tutela degli inquilini.
In sostanza, le modifiche introdotte dal decreto alla normativa previgente - tema, tra l'altro, affrontato anche nelle precedenti legislature non con lo stesso successo che stiamo registrando, invece, con questo provvedimento - appaiono idonee a realizzare un compromesso adeguato tra gli impegni assunti dallo Stato italiano nei confronti degli investitori nei titoli delle precedenti operazioni di cartolarizzazione e l'esigenza di tutelare i conduttori degli immobili medesimi, risolvendo, al contempo, alcuni contenziosi ancora in atto.
Anche la procedura prevista per verificare la sussistenza dell'interesse culturale


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relativamente ai beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico costituisce uno strumento di garanzia e sollecita, da parte delle amministrazioni, una puntuale valutazione dei beni patrimoniali di proprietà pubblica.
È innegabile che agli effetti del miglioramento dei saldi concorrano in misura rilevante anche la proroga delle sanatorie fiscali introdotte con la finanziaria dello scorso anno ed il cosiddetto condono edilizio. Ritengo che rispetto a questi due interventi sia sterile riprendere la polemica sulle cosiddette misure una tantum. Basterebbe considerare cosa avrebbe significato, dopo questa fase congiunturale negativa che ci accompagna dal 2001 e che soltanto negli ultimi giorni sembra avviarsi, con un trend positivo, verso la conclusione, una manovra di 16 miliardi di euro effettuata attraverso l'aggravio del carico fiscale o, peggio, attraverso una drastica riduzione delle risorse stanziate per gli investimenti.
Le riforme strutturali, del resto auspicate da tutti, per loro stessa natura, non esplicano efficacia nell'immediato e non sono, per questo, lo strumento adeguato a rispondere alle esigenze di una congiuntura sfavorevole. Ciò non significa, peraltro, che questo Governo non guardi con tanta attenzione alle riforme strutturali. Questo Governo e questa maggioranza hanno saputo affrontare ed attuare riforme strutturali di grande portata: vale la pena di citare la riforma del mercato del lavoro e la riforma del diritto societario, che, insieme, hanno innovato profondamente il quadro giuridico nel quale si svolge l'attività di impresa nel nostro paese ed hanno raccolto il generale consenso degli esperti e degli operatori.
Desidero ricordare, inoltre, a proposito di riforme di valenza strutturale, che è attualmente all'esame delle Camere lo schema di decreto legislativo che attua i criteri di cui alla legge delega per la riforma del sistema fiscale statale relativi alla tassazione dei redditi di impresa. Questo provvedimento, che entrerà in vigore il 1o gennaio 2004, semplifica, attraverso l'introduzione della nuova imposta sulle società (IRES), il sistema impositivo delle imprese ed avvia, così, il processo di riduzione della pressione fiscale a livelli più competitivi.
Nella manovra al nostro esame, si è trattato di far fronte al difficile compito di mantenere l'equilibrio dei conti pubblici senza adottare misure che potessero ostacolare le prospettive di ripresa. Il compito, secondo quanto emerge dai dati, è stato affrontato con successo.
Durante il dibattito in Commissione, è echeggiato, spesso, lo slogan polemico secondo cui la politica economica di questo Governo non saprebbe fare né il risanamento né lo sviluppo. Al contrario, i dati dicono che, per quanto riguarda l'equilibrio della finanza pubblica, l'Italia è riuscita, nonostante la forte decelerazione della crescita iniziatasi con il 2001, a mantenere i saldi ad un livello sensibilmente migliore di quello dei principali partner europei (mi riferisco alla Francia ed alla Germania). In ogni caso, siamo riusciti a rispettare la soglia di riferimento di un deficit inferiore al 3 per cento.
Per quanto riguarda lo sviluppo, i primi dati sulla variazione del PIL nel terzo trimestre, diffusi alla fine della scorsa settimana, sono decisamente confortanti e, finalmente, indicano valori di crescita superiori addirittura alla media dell'area dell'euro.
Per ritornare ai contenuti del decreto legge, riguardo al condono edilizio, sono senza dubbio da accogliere favorevolmente le modifiche apportate nel corso dell'esame da parte del Senato, che pongono limiti di carattere dimensionale alle opere che possono essere oggetto di sanatoria e, allo stesso tempo, introducono restrizioni a tutela delle aree marittime, fluviali e lacustri. Una valutazione obiettiva delle disposizioni contenute in materia nel decreto-legge, comunque, non può non riconoscere sia la preoccupazione di rispettare le competenze regionali sia il complesso di misure volte a sostenere la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, a finanziare gli interventi di demolizione ed a monitorare il fenomeno dell'abusivismo.


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Sono, inoltre, previsti interventi sanzionatori tali da indurre gli enti territoriali a superare situazioni di inerzia nell'adozione degli strumenti urbanistici generali, in modo da pervenire ad un assetto chiaro e tendenzialmente stabile del territorio.
Per quanto riguarda i profili fiscali, che costituiscono la parte quantitativamente più rilevante del decreto, possono individuarsi essenzialmente quattro tipologie di interventi. Con un primo gruppo di disposizioni si introducono una serie di agevolazioni fiscali che sono dirette allo sviluppo del sistema economico nazionale (su cui mi soffermerò più avanti).
Con una seconda tipologia di misure si dispone la proroga di alcune disposizioni agevolative in scadenza, le quali direttamente o indirettamente incidono sul sistema produttivo e sul livello dei prezzi. Si tratta delle misure di sanatoria dell'IVA, ridotta per le ristrutturazioni edilizie, e delle aliquote di accisa ridotte per determinati prodotti energetici.
Una terza serie di misure è riconducibile a finalità etiche ovvero di sostegno alla famiglia, attuando coerentemente, nei limiti delle risorse disponibili, un impegno assunto dal Governo sin con la prima manovra di bilancio di questa legislatura. In questo contesto si colloca innanzitutto l'introduzione in forma sperimentale della cosiddetta de-tax, un istituto giuridico che ha suscitato interesse e ricevuto consensi anche a livello europeo, inteso a sostenere finanziariamente le attività di carattere etico sulla base di scelte libere e consapevoli dei consumatori, senza peraltro determinare aggravi a loro carico. Si possono ancora ricordare le agevolazioni fiscali in favore dell'associazioni di volontariato e ONLUS di cui all'articolo 20 di questo decreto-legge.
Un quarto gruppo di intervento opera la modifica a regime del trattamento fiscale di alcuni settori, rispondendo ad un'esigenza urgente e improrogabile di riforme e modernizzazione derivanti dall'evoluzione della realtà economica e della legislazione comunitaria. In proposito, mi riferisco in particolare agli interventi sul regime giuridico dei fondi immobiliari e delle obbligazioni. Invece, un rilievo autonomo riveste l'introduzione della facoltà di aderire al concordato preventivo relativo al periodo di imposta in corso al 1o gennaio 2003 e nel periodo successivo. Il Governo ha così voluto anticipare ciò che era nella delega fiscale. Si tratta di uno strumento che assicura certezza relativamente agli oneri tributari per i contribuenti che esercitano attività di impresa o di lavoro autonomo, permettendo di beneficiare sugli incrementi dell'imponibile rispetto al 2001 dell'aliquota di imposta sul reddito previsto dalla delega per la riforma tributaria. Tali disposizioni tra l'altro rappresentano un'applicazione in forma sperimentale rivolta ad una più ampia platea di soggetti del concordato preventivo, quello sì triennale, prospettato dalla delega di riforma del sistema fiscale; contestualmente, sono anche previste semplificazioni degli adempimenti, quale la sospensione dell'obbligo di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale.
Dal lato della spesa sono previste numerose misure di razionalizzazione sia in materia previdenziale sia in materia sanitaria. Segnalo peraltro l'opportunità di riconsiderare la questione relativa ai lavoratori esposti all'amianto. Come già del resto è accaduto nel corso dell'esame del disegno di legge finanziaria in prima lettura presso il Senato, le esigenze relative al controllo della spesa non possono indurre a trascurare la specificità di alcune situazioni, come appunto quella dei lavoratori esposti all'amianto, che richiedono al riguardo una tutela adeguata.
Come ho detto, il provvedimento al nostro esame, per quanto permetta di recuperare in misura considerevole risorse destinate ad assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati in sede comunitaria, non è soltanto lo strumento della correzione dei saldi; esso infatti contiene anche misure idonee a stimolare la ripresa, non tanto per il loro impatto quantitativo, quanto per la rispondenza alle esigenze e alle caratteristiche strutturali del sistema produttivo nazionale.
Gli interventi per lo sviluppo contenuti nel decreto sono infatti mirati ad un


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tessuto produttivo che si caratterizza per la prevalenza e per la presenza di imprese di piccola e media dimensione, le quali per la loro stessa dinamicità sapranno sicuramente sfruttare pienamente le forme di incentivazioni che vengono ad esse fornite.
In primo luogo, meritano di essere richiamate le agevolazioni fiscali dirette a sostenere i costi di ricerca e di innovazione, così come altrettanto importanti sono le misure volte a favorire un più solido assetto finanziario, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese. Con le disposizioni dell'articolo 11 infatti si ripropongono e si rafforzano le agevolazioni per le società che si quotano in borsa e queste disposizioni devono essere lette contestualmente con quelle dell'articolo 12, che sono volte a ridurre la tassazione sui fondi comuni di investimento e sulle Sicav, che investono prevalentemente il loro patrimonio in azioni quotate di società a piccola o media capitalizzazione, le cosìdette small caps.
Anche in questo caso si tratta di forme di intervento che possono esplicare effetti di sostegno al finanziamento delle piccole e medie imprese considerevolmente più ampi degli oneri che determinano a carico del bilancio dello Stato. Tali misure, infatti, sono volte ad agevolare l'incontro tra il risparmio e le realtà produttive che potenzialmente hanno le maggiori prospettive di crescita. Accanto al sostegno al finanziamento attraverso la partecipazione al capitale azionario, il decreto-legge si preoccupa di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e di sostenere l'attività del sistema produttivo nazionale all'estero. L'articolo 13, infatti, opera una riforma organica della normativa sui consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi. La riforma, in particolare, si qualifica per un rafforzamento patrimoniale dei confidi, per una complessiva revisione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e per l'utilizzazione dei modelli di banca di credito cooperativo o di intermediario finanziario iscritto nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario. Le disposizioni dell'articolo 13 favoriranno l'evoluzione dei confidi garantendo sia l'operatività dei confidi minori sia il potenziamento dei confidi di maggiore dimensione in modo che possano acquisire la configurazione di intermediari finanziari. L'importanza dell'obiettivo di delineare una riforma diretta a rafforzare l'operatività dei confidi si pone in collegamento con l'evoluzione in atto in materia di gestione da parte delle banche del rischio del credito, anche con riferimento alle proposte del comitato di Basilea, il cosiddetto Accordo Basilea 2.
L'attività delle imprese italiane all'estero può essere favorita in misura significativa dal provvedimento che prevede la trasformazione della SACE in Spa. La trasformazione permetterà alla SACE di continuare l'attività di garanzia relativa ai rischi a medio e lungo termine e non di mercato e, al tempo stesso, di sostenere il commercio estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane anche in settori che finora erano esclusi dal proprio ambito d'operatività.
Infine, desidero svolgere alcune considerazioni in merito due misure che, sia pure per ragioni diverse, possono contribuire in modo significativo a ridefinire l'intervento pubblico nell'economia, aprendo lo stesso a logiche operative di natura privatistica e a forme di cooperazione con il privato. Mi riferisco, in primo luogo, alla trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni; la disciplina dettata dall'articolo 5 dovrebbe permettere da un lato di continuare l'attività tradizionale della Cassa nella concessione di finanziamenti agli enti pubblici (la cosiddetta gestione separata), in particolare agli enti locali, a valere sul risparmio postale. A questo riguardo - anticipo un tema che può essere occasione di dibattito - occorre rilevare che il testo del decreto-legge chiarisce in maniera inequivocabile che il risparmio postale continua ad essere assistito dalla garanzia dello Stato. Dall'altro lato, la nuova società è chiamata ad operare nel settore strategico del finanziamento secondo logiche di mercato delle reti e delle dotazioni relative ai servizi pubblici. Si tratta di una riforma di


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grande complessità; si tratta indubbiamente di una grande riforma. In particolare, rivestono notevole delicatezza sia gli aspetti relativi al rapporto con lo Stato e, più in generale, con il settore pubblico, sia gli aspetti relativi alla configurazione della nuova società e alla sua attività nel settore dell'intermediazione finanziaria. In ogni caso, la riforma, senza compromettere in alcun modo la prosecuzione della meritoria attività svolta finora dalla Cassa depositi e prestiti - ripeto, con la gestione separata -, al tempo stesso, offre uno strumento che in modo flessibile e con considerevoli risorse finanziarie e organizzative può intervenire per favorire il finanziamento della dotazione infrastrutturale nell'ambito dei servizi pubblici. Sotto questo profilo, la trasformazione in società per azioni della Cassa depositi e prestiti non è priva di relazioni con la revisione, di grande rilevanza, che le disposizioni dell'articolo 14 effettuano in materia di disciplina dei servizi pubblici locali.
A seguito delle difficoltà di attuazione, che si sono registrate per la disciplina dettata all'articolo 35 della legge finanziaria per l'anno 2002 e alla luce dei rilievi formulati dalla Commissione europea, si è imposta la necessità di un intervento normativo che definisse in modo stabile e immediatamente applicabile gli assetti del settore, offrendo risposte adeguate all'evoluzione e alle dimensioni delle realtà economiche coinvolte.
Ritengo che sia difficile trovare soluzioni capaci di contemperare nel modo migliore i molteplici, e sotto vari profili contrastanti, interessi in gioco. Si tratta, in particolare, di individuare una disciplina che, con riferimento agli aspetti più delicati - quali le modalità di assegnazione della gestione dell'erogazione del servizio, della gestione delle reti o la durata del periodo transitorio, prima della cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dalle evidenze pubbliche -, sappia trovare il più appropriato punto di equilibrio tra l'esigenza di apertura alla concorrenza - anche in considerazione degli effetti positivi che possono derivarne per gli utenti - e la salvaguardia di realtà produttive, non di rado di notevole consistenza, radicate sul territorio del paese.
Il decreto-legge in esame ha il merito di affrontare tale questione, proponendo soluzioni ben precise, le quali, proprio per il rilievo dei problemi cui sono chiamate a rispondere, meritano di essere esaminate con la più grande attenzione. In generale, pur evitando un esame dettagliato delle singole disposizioni, ho inteso soffermarmi sugli aspetti più importanti che il provvedimento al nostro esame affronta.
In considerazione delle finalità perseguite dal decreto-legge, è senza dubbio auspicabile che esso venga tempestivamente convertito in legge: ciò permetterebbe di pervenire ad una piena certezza in merito alle misure destinate ad assicurare la consistente entità...

PRESIDENTE. Onorevole Romano...

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. ...di risorse necessarie alla correzione dei conti pubblici e al finanziamento degli interventi per lo sviluppo.
D'altra parte, la complessità e la rilevanza delle questioni affrontate sollecitano un approfondito esame in sede parlamentare, che i tempi e le modalità di conversione del decreto-legge hanno permesso solo in misura limitata, in particolare per quanto concerne la Camera dei deputati, che è stata chiamata soltanto in seconda lettura ad esaminare il decreto stesso.
È significativo - mi avvio alla conclusione, signor Presidente - che, già nel corso dell'esame del disegno di legge finanziaria presso il Senato, siano state inserite disposizioni che intervengono su temi affrontati dal decreto-legge. Vi sono, infatti, questioni che sembrano meritevoli di ulteriore riflessione, dal momento che - come mi è già accaduto di affermare in Commissione -, ogni cosa, sia pur ottima, è comunque passibile di miglioramento.
Ho già accennato, in questa relazione, alla questione dei lavoratori esposti all'amianto (un esempio che vale per tutti); anche la disciplina dei servizi pubblici locali, proprio alla luce del complesso dei


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problemi e degli interessi ad essa correlati, può essere ulteriormente esaminata per considerare l'opportunità di una più decisa apertura alla regola della concorrenza, sottolineata dalla Commissione europea.
Sul versante delle entrate, è possibile pensare a strumenti alternativi o aggiuntivi rispetto a quelli posti in essere dal decreto-legge. Più precisamente, mi sembra opportuno valutare con attenzione la praticabilità di una regolarizzazione degli omessi o tardivi pagamenti relativi a contributi e a premi previdenziali ed assistenziali, con particolare riferimento al settore agricolo.
La praticabilità deve essere considerata in relazione al fatto...

PRESIDENTE. Onorevole Romano, la invito a concludere.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. ... che l'eventuale regolarizzazione non dovrebbe venire ad incidere sui contributi che sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione già perfezionati. La regolarizzazione dovrebbe pertanto essere accompagnata da adeguate forme di garanzia dei titoli che sono stati emessi in relazione alle operazioni di cartolarizzazione.
D'altra parte, non c'è dubbio che la questione dei contributi previdenziali sui lavoratori agricoli si trascini da lungo tempo, ed è ormai divenuta un momento...

PRESIDENTE. Onorevole Romano...

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Concludo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Lei ha superato di due minuti e 30 secondi il tempo a sua disposizione.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Concludo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Quindi, vorrei che lei concludesse.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Un dibattito così, come ha potuto immaginare, ristretto....

PRESIDENTE. Lo so, però purtroppo il regolamento...

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Questa era la parte un po'...

PRESIDENTE. Io ho l'ingrato compito di fare rispettare il regolamento, quindi le sarei molto grato se lei volesse concludere, eventualmente potrebbe chiedere la pubblicazione in calce nel resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale o comunque di parte del suo intervento, così la Camera potrà approfittare, fino in fondo, della sua relazione (Commenti dei deputati Violante e Olivieri).

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Anche se le ultime erano considerazioni di segno un po' più politico rispetto alle cose che abbiamo fatto e a quelle che bisogna fare.

LUCIANO VIOLANTE. Gliele faccia svolgere, signor Presidente.

PRESIDENTE. Lei ha trovato un suo sponsor nel presidente Violante, pertanto può proseguire.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO, Relatore per la maggioranza. Ringrazio il presidente Violante.
Relativamente agli interventi a favore dello sviluppo, è opportuno valutare, altresì, la possibilità di estendere nel tempo le agevolazioni già introdotte, nel decreto-legge, a favore della crescita tecnologica delle imprese. L'innovazione tecnologica rappresenta un elemento decisivo ai fini della competitività del sistema produttivo. Infatti, in un contesto di globalizzazione dei mercati, nei settori tradizionali è sempre


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più massiccia la presenza dei paesi emergenti, che possono avvantaggiarsi di costi di produzione notevolmente inferiori; in questo caso, ritengo che nessuna barriera possa favorirci più di quanto possa farlo, invece, l'investimento nella ricerca e nell'innovazione tecnologica.
Le misure già contenute nel decreto-legge sono un segnale significativo di attenzione verso questi problemi e proprio per questo è importante cercare di trovare le modalità più idonee per potenziare tali interventi.
Mi avvio subito alla conclusione dicendo che queste ulteriori e finali considerazioni sono legate proprio al fatto che il decreto-legge in discussione è considerato collegato alla legge finanziaria e va considerato politicamente complessivamente all'interno di un ambito di manovra che questo Parlamento ha, oltre che il dovere, il diritto di poter correggere.
Ritengo che tale provvedimento vada approvato nel più breve tempo possibile, proprio per consentire a questa Camera - essendo già pervenuto presso di noi il provvedimento di legge finanziaria - di mettere mano alle questioni che rimangono ancora aperte e che dovranno pur essere affrontate.
Per questo motivo, nel ribadire l'auspicio di una tempestiva conversione del decreto-legge, ritengo che proprio oggi abbia inizio alla Camera quell'iter che può offrire la sede opportuna per affrontare le questioni che sono ancora rimaste aperte.
Chiedo comunque, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di alcune ulteriori considerazioni.

PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza sulla base dei consueti criteri. Rileva tuttavia che è la prima volta che un capogruppo dell'opposizione regala tempo ad un relatore. Vi è un'aria nuova...

LUCIANO VIOLANTE. Ormai accade di tutto, Presidente!

LUIGI OLIVIERI. Siamo abituati a tutto!

MARIO LETTIERI. È un precedente storico!

PRESIDENTE. È un precedente che annotiamo.
Il relatore di minoranza, onorevole Michele Ventura, ha facoltà di svolgere la sua relazione.

MICHELE VENTURA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, il testo della mia relazione è pubblicato e, quindi, cercherò di non darne lettura integralmente. Tra l'altro, credo che il relatore di minoranza abbia a disposizione alcuni minuti in meno del relatore di maggioranza...

MARIO LETTIERI. Ma sarai sponsorizzato dal capogruppo della Lega!

MICHELE VENTURA, Relatore di minoranza. Vorrei partire dall'assillo che mi sembrava presente nell'intervento del collega Romano: mi riferisco all'invito a convertire in fretta il decreto-legge. Vi è già l'annunzio di un probabile ricorso al voto di fiducia e la Commissione ha affrontato in tempi super veloci l'esame di questo provvedimento. Per la Camera, l'invocazione di fare in fretta francamente non vale; anzi, signor Presidente, ciò che è accaduto, a mio avviso, ha carattere di particolare gravità.
In questo provvedimento, vi sono le misure portanti della manovra: faccio riferimento non solo al risanamento e alla tenuta dei conti pubblici, ma alla manovra in quanto tale. Nella mia relazione ho accennato al fatto che i due terzi della manovra si reggono su misure una tantum previste in tale provvedimento e che l'85 per cento della manovra è contenuto in questo provvedimento.
Il Parlamento non ha potuto discutere come sarebbe stato necessario. È avvenuto uno stravolgimento - al riguardo, pregherei tutti i colleghi di riflettere - rispetto a tutti i buoni propositi su come pervenire ad una riforma della sessione di bilancio. Si intravede la volontà di una riforma surrettizia e autoritaria della sessione di bilancio, riforma che (se dovesse essere


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questa) confligge con le prerogative del Parlamento, ne lede i poteri, sottrae il dibattito ad un confronto vero tra i gruppi e le forze politiche, toglie dialettica e dà un senso di inutilità.
Su ciò credo che anche i colleghi della maggioranza dovrebbero riflettere. Non sono solo le prerogative dell'opposizione che vengono poste in discussione, ma il ruolo del parlamentare e dei parlamentari in quanto tali.
A tale proposito, vi è stata, negli ultimi giorni, un'iniziativa di due presidenti di gruppo, i colleghi Violante e Castagnetti, per cercare di evitare che tale vicenda si chiudesse con un'ulteriore forzatura come quella del voto di fiducia. L'onorevole Castagnetti ha proposto, a nome della Margherita, la riduzione degli emendamenti. L'onorevole Violante ha posto la disponibilità non già a che gli emendamenti siano sproporzionati rispetto al carattere del provvedimento, ma ad un eventuale ritiro di una parte di essi per ricreare le condizioni di un confronto sui temi veri e sui punti più significativi della manovra. Non vi sono state risposte e si sta andando rapidamente verso il voto di fiducia. Se così sarà il fatto è sicuramente preoccupante.
Mi auguro che sia recuperata una piena agibilità durante la discussione della legge finanziaria per poter ridiscutere la manovra nel suo complesso. Infatti, colleghi, la cosa peggiore è un Parlamento al quale viene sottratto un momento di regia dell'atto fondamentale qual è l'approvazione, appunto, della legge finanziaria. Si hanno provvedimenti apparentemente scollegati fra loro, ma che costituiscono un tutto unitario della manovra di bilancio.
Mi sono soffermato cinque minuti su tali questioni perché non le ritengo questioni di metodo, ma di sostanza. Si tratta di un'innovazione che consideriamo pericolosa che si è voluta introdurre quest'anno nella sessione di bilancio, sulla quale vi invitiamo a riflettere e che noi continueremo, ovviamente, a denunciare.
Per entrare rapidamente nel merito del provvedimento, siamo particolarmente critici e dubbiosi anche sulle questioni che vengono presentate dalla maggioranza, ed ora dallo stesso relatore di maggioranza, come le più significative, quelle in grado di correggere i conti pubblici. Nella relazione ciò è trattato in dettaglio, in questa sede richiamerò soltanto i titoli.
Sorretti anche dall'opinione di ISAE e del servizio bilancio della Camera riteniamo vi sia una sovrastima delle entrate riguardanti la vendita di immobili e gli introiti del concordato preventivo. Riteniamo che tale errore venga commesso anche per quanto riguarda il condono edilizio sul quale è inutile che ricordi nuovamente in questa sede la nostra durissima opposizione di principio. Sarebbe assai interessante rileggere le dichiarazioni di esponenti di primo piano della maggioranza che lo scorso anno avevano dichiarato che il condono edilizio non era neppure da prendersi in considerazione per quel carico che si portava dietro di illegalità diffusa. Inoltre, si trattava di reintrodurre nella società e nei cittadini uno scarso rispetto per le regole. Vorrei ricordare, onorevole Bondi, un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore l'anno scorso di questi tempi in cui si diceva: il condono edilizio mai. Quel «mai» era sostenuto dagli argomenti che portiamo in questa discussione. Il condono edilizio, a nostro avviso, è sbagliato in via di principio, ma anche nelle previsioni. Ciò non solo per le opposizioni che suscita e per le modifiche che sono avvenute e che, mi auguro, in sede di finanziaria sarete costretti a prendere ulteriormente in considerazione, ma anche per gli oneri che riguardano gli enti locali.
Queste, dunque, sono le nostre perplessità per quanto riguarda i conti pubblici. Vorrei, infine, segnalare che vi sono numerose norme che recano la copertura finanziaria a valere sulle maggiori entrate del provvedimento, senza precisare a quali specifiche maggiori entrate si debba fare riferimento, né la loro natura (corrente o capitale), né la loro durata (al riguardo, alcune disposizioni utilizzano espressamente per la copertura degli oneri correnti maggiori entrate in conto capitale), determinando così un peggioramento del risparmio


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pubblico a legislazione vigente, in deroga alla vigente disciplina contabile. È il caso delle norme che dispongono la copertura dei canoni di locazione dei pubblici uffici a valere sulle maggiori entrate derivanti da dismissioni immobiliari. Sono state riscontrate, inoltre, diverse modalità di copertura non previste dalla vigente disciplina contabile, in particolare l'utilizzo di risorse attinte da contabilità fuori bilancio e così via.
Al di là di questo, colleghi, nel corso di queste settimane di dibattito abbiamo cercato di proporre e sostenere proposte alternative a ciò che voi avete nuovamente riproposto nei documenti della manovra per il 2004. Non torno sugli appunti che abbiamo fatto nel corso di questi mesi, né sulle contestazioni a provvedimenti legislativi assunti dall'attuale maggioranza: dall'ottimismo di maniera di Tremonti, dall'illusione di una crescita, al di là di cicli e congiunture internazionali, alla scoperta, di volta in volta, di fattori oggettivi, che tuttavia venivano allontanati o ripresentati per dire che non esisteva e non esiste alcuna responsabilità oggettiva da parte di questo Governo.
Infine, gli ultimi due fatti sensazionali e sorprendenti si sono verificati quando il Governo ha scoperto improvvisamente l'entità del debito pubblico - come se non ci misurassimo da anni su questo e come se uno dei punti del dibattito di questi mesi, da parte delle opposizioni, non fosse proprio quello di un peggioramento dell'indebitamento pubblico, in senso lato e generale, a causa delle iniziative del Governo -, laddove tale scoperta viene improvvisamente vista come una delle remore allo sviluppo. L'altro fatto sorprendente, per il modo con il quale è stato sollevato, è la questione dei mercati internazionali e del pericolo cinese, individuato come uno dei punti di caduta e di flessione delle nostre quote nelle esportazioni.
Vedo regioni che sono assai più avanti del Governo. Non voglio dire che gli istituti che dipendono più direttamente dal Governo non facciano niente, ma proprio l'altra settimana è tornata una delegazione, composta da decine e decine di imprenditori, guidata dal governo regionale della Toscana, che si è recata in Cina. Sabato scorso il presidente della regione Piemonte, il sindaco di Torino e cento imprenditori piemontesi sono andati in Cina, perché stanno discutendo - ma già da tempo questo avviene - su come entrare nel mercato cinese.
Quindi, un conto è il ragionamento sulle regole, altro è il timore di ciò che può accadere, relativamente all'apertura e allo sviluppo, sul piano mondiale, di altre aree e di altri mercati.
Dicevo, non voglio tornare su tutte le questioni che abbiamo più volte lungamente sollevato, semmai vorrei invitarvi - ma, questo invito va rivolto soprattutto al Governo - a non realizzare più, dunque ad abbandonare una pratica di annunci, come se dovessimo trattare i nostri cittadini alla stregua di persone non in grado di comprendere e di capire le vere questioni.
Mi voglio riferire - faccio solo questo esempio - al bonus per i nuovi nati, a queste centinaia di euro che, una tantum, si dovrebbero attribuire per i nuovi nati. Poi vi sono i tagli ai servizi degli enti locali, quanto accade per i nidi e le scuole materne e tutto ciò che non viene finanziato e che costituisce il punto vero rispetto alla realizzazione di politiche a sostegno delle famiglie.
Allora, ci troviamo di fronte ad una serie di annunci: la riforma della scuola, che abbiamo fortemente contrastato, che non procede in quanto non viene finanziata; il secondo modulo della riforma fiscale che non va avanti perché non vengono previste le risorse; stiamo discutendo di Genova e dell'Istituto di alta tecnologia, in ordine ai quali per il prossimo anno non è previsto nulla. Si tratta di annunci per non affrontare oggi i problemi e rinviare a momenti successivi.
Abbiamo avanzato una serie di proposte precise, alternative, proprio al fine di arrestare il declino del paese, per fare in modo che vi sia una ripresa duratura. Ad esempio, trovo singolare il dibattito in ordine alla crescita dello 0,5 per cento nell'ultimo trimestre che, se confermato, ci


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porterebbe ad una crescita annuale dello 0,3-0,4 per cento. Tutti ci auguriamo di essere usciti dalla crisi, ma gli stessi commentatori economici più seri invitano tutti alla prudenza, in quanto ci troviamo di fronte a segnali estremamente contraddittori. Mentre vi è la necessità di rilanciare in grande stile politiche di sviluppo, nuove strategie industriali, nuove politiche di sviluppo.
Abbiamo presentato emendamenti, che non è stato possibile esaminare - il confronto sugli emendamenti non vi è stato -, riguardanti in primo luogo la ricerca, l'innovazione e lo sviluppo (nella relazione si può verificare esattamente a cosa facciamo riferimento) nonché il sostegno della competitività del sistema, lo sviluppo sostenibile, le piccole e medie imprese, la riduzione dell'IRAP in favore delle piccole e medie imprese, il sostegno dei distretti industriali, la realizzazione del piano dei trasporti approvato dalla centrosinistra, il rifiuto dei condoni, una diversa riforma dei confidi, della Consip e della Cassa depositi e prestiti. I nostri emendamenti riguardano tra l'altro l'espansione di una più equa politica sociale, l'assistenza agli anziani non autosufficienti, la riforma degli ammortizzatori sociali, il ripristino e l'estensione del reddito minimo di inserimento, la difesa dei diritti degli inquilini, l'incremento delle risorse per il fondo affitti.
Inoltre, per il controllo del carovita e lo stimolo ai consumi, ci riferiamo all'aumento del tasso di inflazione programmata, a un decreto che certifichi il differenziale tra tasso programmato e tasso di carovita per famiglie di operai e impiegati, al taglio del 10 per cento delle polizze RC auto in attesa di un futuro accordo per la restituzione del drenaggio fiscale, ad un bonus per gli anziani incapienti, e via dicendo.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno e le aree sottoutilizzate, pensiamo a maggiori risorse per il fondo concentrate nel 2004 e nel 2005. A questo proposito occorre ricordare che le magre risorse stanziate quest'anno dalla legge finanziaria non solo sono ridotte sensibilmente, ma, come dicevo prima, spostate al 2006, praticamente scritte sulla sabbia. Proponiamo il ripristino e il rifinanziamento dei crediti di imposta per gli investimenti e le assunzioni, la proroga del credito per le assunzioni fino al 31 dicembre 2006, il rifinanziamento della legge n. 488 del 1992, l'istituzione del fondo di capitale di rischio per le iniziative imprenditoriali di alto contenuto tecnologico nelle aree depresse, l'istituzione di un fondo per il microcredito, l'istituzione di un credito d'imposta per la creazione di banche di credito cooperativo nel sud, un'analoga misura per l'incentivazione dell'aggregazione fra imprese.
Infine, quanto alle autonomie locali, apro una parentesi: sono necessarie maggiori risorse alle regioni per la sanità, ma soprattutto regolarità nei trasferimenti. Stiamo denunciando da mesi che le regioni sono in attesa di ottenere 24.000 miliardi di vecchie lire, e che questo sta mettendo in crisi tutto il sistema delle ASL e del rapporto con i fornitori: si lavora attraverso l'indebitamento con le banche, si paga ormai a 300 giorni.
Al di là della sanità, per l'edilizia pubblica e il fondo sociale proponiamo l'esclusione dei tagli, la revisione del patto di stabilità, risorse adeguate al decentramento delle funzioni, l'adeguamento al tasso di inflazione programmata, lo sblocco delle addizionali locali...

PRESIDENTE. Onorevole Michele Ventura...

MICHELE VENTURA, Relatore di minoranza. Sto per concludere, signor Presidente. Sono inoltre necessarie le risorse per il rinnovo dei contratti dei dipendenti delle autonomie.
Infine, va risolta la questione - ne ha parlato anche il collega Romano - relativa ai lavoratori alle prese con il problema dell'amianto, che attendono una risposta, mi auguro unitaria, da parte di tutto il Parlamento.
Per concludere, signor Presidente, proponiamo anche come reperire le risorse per le misure che ho indicato (rinvio al riguardo al testo della relazione). C'è un


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quadro di proposte precise per reperire le risorse per sostenere tutto questo.
Siamo largamente insoddisfatti della manovra che il Governo ha presentato. Per tutti questi motivi, onorevoli colleghi, non solo ci batteremo contro la manovra del Governo, ma esporremo in Parlamento e in tutto il paese le nostre proposte alternative (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIA TERESA ARMOSINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, ritengo che già nell'intervento del relatore siano stati sottolineati gli aspetti più importanti inerenti al provvedimento in esame, e a tale intervento mi richiamo, ribadendo e riconfermando quanto in esso è stato detto.
Abbiamo assistito a un dibattito più ampio sul provvedimento al Senato, rispetto a quanto non sia avvenuto in questo ramo del Parlamento.
È anche vero, tuttavia, che il decreto-legge è entrato nelle aule del Senato profondamente diverso rispetto al testo che è oggi all'esame della Camera dei deputati, perché sono state introdotte modifiche assolutamente significative rispetto agli argomenti che vengono considerati nel decreto-legge.
Relativamente a questo provvedimento, ha formato oggetto di polemica il fatto che il medesimo costituisca una parte sostanziale delle entrate che formano il presupposto per la legge finanziaria. E vi sono state contestazioni sul metodo scelto per presentare al Parlamento quella che è la volontà del Governo rispetto alla legge finanziaria di questo anno. A queste accuse abbiamo replicato ed ancora replichiamo che la scelta del decreto-legge è stata operata, stante l'esigenza di disporre di provvedimenti che avessero ed abbiano efficacia immediata, proprio perché costruiti o costituiti a supporto della legge finanziaria. Ciò viene ribadito anche con riferimento a quegli strumenti per i quali è scritto che avranno effetto soltanto con decorrenza dal 1o gennaio 2004.
Credo che questo decreto-legge, adottato in una fase particolare di politica internazionale che ha avuto ripercussioni, ovviamente, anche sull'economia italiana, costituisca comunque quanto il Governo poteva e ha inteso fare con le risorse allo stato disponibili. È una scelta che ha tentato e tenta di conservare inalterata la pressione fiscale in un contesto economico non favorevole. Per questo motivo, vengono ribadite talune misure, accusate di essere - per così dire - di «finanza creativa», che hanno consentito per il passato e consentono ancora una riduzione dell'indebitamento. Mi riferisco ovviamente alle misure relative alle cartolarizzazioni e anche, per quanto ha formato oggetto di dibattito, a quelle sulle dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico. Osservo che, oltre ad aver ridotto significativamente l'indebitamento, queste misure consentono anche di ridurre ogni anno la spesa per interessi su un costo, in quanto le privatizzazioni, in particolare per quanto riguarda il settore immobiliare, hanno avuto ed hanno ad oggetto beni che costituivano un costo per lo Stato e non producevano utili.
Su questo aspetto, vorrei sottolineare come, con il concorso di suggerimenti dei colleghi di tutte le forze politiche, si sia arrivati a ridisegnare, sempre nell'ambito delle cartolarizzazioni e, quindi, della cessione del patrimonio immobiliare pubblico, alcune regole che, pur mantenendo l'obiettivo di realizzazione del valore di questo patrimonio pubblico, consentono e possono consentire per il futuro una più agevole facoltà di accesso agli occupanti di immobili, siano essi immobili ad uso diverso siano essi immobili ad uso abitativo. Per quanto concerne tutta la categoria dell'uso diverso, viene prevista la possibilità di comprare al prezzo base e non alla risultanza dell'asta. Ciò è stato stabilito in accoglimento di sospetti di possibili interventi da parte di persone o di organizzazioni intese a non consentire l'acquisto da


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parte dell'avente diritto, perché non più competitivo il prezzo quale derivante dalla risultanza dell'asta.
D'altro canto, con questo provvedimento si è inteso creare un presupposto diverso anche per un avvio di una diversa politica abitativa. Per quanto riguarda le vendite, le differenze che ormai si applicano con questo decreto-legge alla legge n. 410 sono evidenti e consentono una diversa qualificazione del pregio, nel senso di dire che non vi è pregio dove siano - lo dico in termini molto semplici - situazioni di degrado. Inoltre, esse consentono la facoltà residuale (solo per quei comuni dove vi sia una situazione di particolare tensione abitativa non altrimenti risolvibile) di concorrere all'acquisizione di questi beni. E ribadiamo il nostro concetto per il quale le privatizzazioni si fanno da pubblico a privato e non da privato a privato quale è o dovrebbe essere il rapporto fra lo Stato e gli enti locali. Peraltro, è stata disposta - pur consentendo un'ulteriore facilitazione con l'abbattimento del 30 per cento sul prezzo-base già prevista a favore degli occupanti di immobili abitativi - un'ulteriore riduzione dell'8 per cento per coloro che esercitano il mandato collettivo in misura solo del 50 per cento, mantenendo invece ferma l'ulteriore abbattimento del 15 per cento per coloro che esercitino il mandato collettivo in ragione dell'80 per cento. Tuttavia, in questa norma vi è anche una misura che prevede che una parte del ricavato della valorizzazione di proprietà pubbliche, da effettuarsi attraverso costituende società di trasformazione urbana, venga destinata alla costituzione di un fondo di edilizia convenzionata. Ribadisco in quest'aula quanto già ho avuto modo di dire al Senato: questo fondo sarà costituito con non meno del 20 per cento dei proventi derivanti da queste attività di valorizzazione. In ogni caso, credo che su questo tema si potrà, se necessario, ritornare nel prosieguo dei lavori.
Si tratta di un provvedimento che sicuramente non ha risolto le problematiche che anche chi governa, ovviamente, rileva nel paese. Sappiamo perfettamente che la misura dell'assegno per il secondo nato a favore dei figli non rappresenta l'intervento che dà soluzione alle problematiche della famiglia: le conosciamo bene. Neanche per questo ci sentiamo responsabili dell'addebito che si tenterebbe di muovere a noi per il quale non affronteremmo le problematiche. Questo è un segno che si è inteso dare in questa misura a partire da questo decreto-legge e altri segni ancora verranno dati nella legge finanziaria che già ha formato oggetto di esame al Senato e che inizierà proprio in questi giorni il suo esame alla Camera.
L'argomento che ha formato oggetto di grande dibattito è stato quello che ha riguardato la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in Spa anche - e soprattutto mi par di capire dal tipo di interventi che ho sentito - per la possibilità di ottenere in questo modo uno strumento che consenta di concorrere allo sviluppo e di fare investimenti senza che questi debbano portarsi fra le passività.
Si tratta di una scelta che viene ribadita in questa sede. Al Senato si è ulteriormente dibattuto sulla previsione di un controllo della Banca d'Italia nella sua funzione di banca o, come il Governo ha sempre sostenuto, come operatore finanziario non bancario, giacché non si tratta di pubblica raccolta di risparmio.
È un provvedimento che rappresenta una percentuale (non sono tutte esatte le percentuali che ho sentito) rilevante rispetto alla finanziaria.
Credo anch'io, come è stato affermato in quest'aula e nelle Commissioni, che sia necessario dotarsi di strumenti diversi per la redazione della legge di bilancio (so bene che vi era un dibattito al riguardo e credo che sia tuttora pendente per quanto riguarda la formazione della legge di bilancio). Comprendo, anche se non le condivido, le obiezioni mosse alle scelte operate, ma ribadisco la posizione del Governo. In questo momento, in particolare, abbiamo bisogno di certezze per quanto riguarda le somme su cui contare in previsione della legge finanziaria.
Per quanto riguarda il condono edilizio, si tratta di una vicenda che nessuno singolarmente


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vorrebbe; tutti conosciamo e concordiamo con chi propone argomenti di riprovazione per le cosiddette sanatorie operate a vario titolo. Credo, tuttavia, che il Governo abbia deciso, scelta sicuramente non facile, di non chiudere gli occhi di fronte alla situazione esistente. Ciò significa rendersi conto di quanti e quali casi di abuso edilizio sono stati commessi nel nostro paese, ledendo l'interesse di ciascuno di noi all'integrità ed alla bellezza del paesaggio che ci appartiene.
Vi è, dall'altro lato, una considerazione, altrettanto obiettiva, da svolgere in merito a quanto è stato realizzato (se è stato fatto) per ridurre in pristino quelle situazioni che sono conseguite al compimento degli abusi. È un argomento che non appartiene più alla coscienza ed alla responsabilità di chi sta al Governo, ma alla coscienza di un popolo ed all'insieme dei governanti che si sono succeduti nei vari periodi di tempo.
Questo condono si differenzia dagli altri: si dice che renderebbe ampiamente condonabili le situazioni di abuso, ma, al riguardo, chiederei di prestare attenzione a quanto è accaduto in seguito all'approvazione delle leggi sulle cartolarizzazioni e sull'alienazione del patrimonio pubblico. Allora, si lanciò un allarme in merito ad una situazione che poi però apparve in concreto assolutamente giustificata. Anche in questo caso lo può essere, laddove si consideri - lo si ignora - che questo condono prevede rilevanti misure economiche (è in tale aspetto che si differenzia) per procedere alla rimozione degli abusi.
Ciò porta con sé anche - mi rivolgo a quelle amministrazioni che intendessero procedere in tal senso e vi sono anche le risorse per farvi fronte, in relazione ad una modifica che è stata introdotta al Senato - la previsione che sia il prefetto a poter ordinare le demolizioni ed i ripristini.
In particolare, in questo momento, affiderei alla riflessione di ciascuna forza politica e di ciascuno di noi, al di fuori della mera presa di posizione, sia pur legittima sull'argomento, la possibilità di una grande azione, dove si voglia invece intervenire per ripristinare situazioni per le quali non si intende procedere al condono.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio i colleghi che mi hanno ceduto il posto. Prendo la parola per pochi minuti, anche perché devo cedere una parte del mio tempo al relatore, come abbiamo detto, per ricordare che abbiamo scritto nei giorni scorsi una lettera al ministro Tremonti, richiamata adesso dal relatore di minoranza, nella quale si ribadisce che, se il Governo non pone la questione di fiducia, siamo disponibili a ritirare un notevole numero dei nostri emendamenti.
Il presidente Castagnetti ha già svolto un'operazione diretta, ritirando gran parte degli emendamenti presentati dal gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo. La richiesta che rivolgo è avanzata a nome di tutti gli altri gruppi dell'Ulivo.
Abbiamo già assistito all'istituto della replica preventiva, pochi minuti or sono, perché il rappresentante del Governo è intervenuto in replica quando non vi è stato ancora un dibattito.
Comunque, abbiamo tenuto conto della sua osservazione ed insisto per questa ragione: intendiamo avere dal Governo una risposta alle nostre richieste. Stamattina ho sollecitato il ministro Tremonti in tal senso perché questo decreto-legge presenta alcune straordinarie anomalie che riguardano la scadenza per la conversione in legge, fissata al 30 novembre, con norme che avranno effetto dal 1o gennaio 2004; dal 1989 sono già ben 22 i decreti-legge collegati alla manovra finanziaria e non è qui l'anomalia. L'anomalia invece è su un altro terreno: è un'anomalia di contenuti e sul fatto che è stata posta la questione di fiducia al Senato e rischia di essere posta alla Camera, per cui il Parlamento non si è mai potuto misurare, né potrà farlo, se verrà posta la seconda questione di fiducia.
Il rischio della doppia fiducia impatta anche su un altro terreno: al Senato vi è


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stata una negoziazione, perché la questione di fiducia è posta contro la maggioranza, non contro l'opposizione - è del tutto evidente -, tra Governo e maggioranza per cui il testo è stato profondamente modificato.
Il testo giunge all'esame della Camera nella quale si è avuto un secondo tipo di negoziazione, nel senso che vi è un'intesa tra maggioranza e Governo per cui nel corso dell'esame della legge finanziaria si potrà modificare il decreto-legge (lo sappiamo tutti). Se è così, viene meno tanto l'ipotesi che ha fatto il relatore Romano, tanto l'ipotesi avanzata dal rappresentante del Governo, che è quella di aver adottato un decreto-legge per avere certezze.
Il meccanismo che introducete non dà alcuna certezza perché noi modificheremo, credo anche profondamente, attraverso la legge finanziaria, il contenuto del decreto-legge, se si pone la questione di fiducia, ed avremo instabilità normativa, non stabilità normativa.
Sono ragioni che dovrebbero farci riflettere a fondo sullo stato delle questioni anche perché devo dire che sul decreto-legge sono stati avanzati 43 rilievi del Comitato per la legislazione: se solo la metà sono fondati, il decreto-legge dovrà essere profondamente modificato attraverso la legge finanziaria. In questo quadro o il decreto-legge è inutile, perché verrà modificato, oppure il decreto-legge impedisce di misurarci sulla questione di fondo.
Questa doppia fiducia è un errore anche dal punto di vista politico generale perché il problema di fondo è il seguente: se manca la mediazione parlamentare sulla proposta del Governo, noi abbiamo col tempo uno scontro sempre più radicale fra società e Governo, in modo diretto. Ricordo qualche anno fa, una discussione presso l'università di Nanterre, nella quale dicevo che il Governo, quello precedente, avrebbe posto una tassa per entrare nell'Unione europea, perché avevamo necessità di danaro per risolvere alcuni problemi dei nostri conti pubblici. Tutti i colleghi degli altri paesi dissero che eravamo matti a chiedere agli italiani di pagare una tassa per entrare in Europa, cosa che invece gli italiani fecero e che fu in gran parte restituita.
Uno di questi colleghi, uno studioso francese, disse: in realtà, voi avete un grande Parlamento, avete cioè un grande strumento di mediazione tra società e Governo, di modo che non accade mai che un atto del Governo ricada immediatamente nella vita sociale senza passare attraverso il Parlamento e non accade mai che un conflitto sociale si scarichi direttamente sul Governo senza passare attraverso la mediazione parlamentare. Questo è un punto di forza del nostro paese! Su un tema così importante, in una situazione così delicata, come quella che abbiamo oggi, credo sia un gravissimo errore imporre al Parlamento la doppia fiducia ed evitare che vi sia una mediazione parlamentare su temi di così scottante urgenza per la vita quotidiana degli italiani.
D'altra parte, devo dire che la doppia fiducia su un decreto-legge collegato alla finanziaria si è avuta in un solo caso, nel settembre 1992, con il decreto Amato; ma eravamo in una situazione di crollo finanziario! Allora o il Governo riconosce che ha condotto l'Italia ad una situazione di disastro finanziario e quindi ha bisogno di una doppia fiducia - ma non mi pare sia questa la dichiarazione che ha fatto il sottosegretario - oppure la doppia fiducia si configura davvero come uno strumento pericolosissimo per le ragioni che ho detto.
D'altra parte bisogna anche tener conto che nel Parlamento vige un principio evangelico, quello di non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, nel senso che, se si adotta questa regola, evidentemente, questa regola non rimane fine a se stessa, ma rischia di essere, come dire, una malattia che si propaga anche nelle legislature successive.
Allora, Presidente, io chiedo che il Governo risponda alla richiesta avanzata dall'opposizione, tanto attraverso la presa di posizione dei colleghi della Margherita, quanto attraverso la presa di posizione di tutti quanti noi, e ci dica che cosa vuole fare. Credo sia una cosa estremamente grave e tale la considereremmo se il Governo


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insistesse nel porre la questione di fiducia a fronte di una disponibilità di tutta l'opposizione, come si è visto, a misurare il numero degli emendamenti riducendoli all'essenziale, affinché il Parlamento possa esprimere una parola definitiva sul decreto-legge, di modo che poi non ci troviamo, quando dovremo esaminare la finanziaria, ad affrontare di nuovo le questioni che pone il decreto, creando, come dicevo prima, una situazione di instabilità nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Castagnetti, lei ha chiesto la parola. Dato che non è iscritto in discussione sulle linee generali, su quale argomento vuole intervenire?

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Sull'ordine dei lavori, signor Presidente.

PRESIDENTE. Sull'ordine dei lavori? Lei conosce, onorevole Castagnetti, la lettera che il Presidente Casini ha inviato a tutti i deputati in merito a questo tipo di interventi?

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Sì e credo di inserirmi appropriatamente con questo brevissimo intervento proprio sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Prego, ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Io vorrei aggiungere la mia preoccupazione a quella appena espressa dal presidente Violante. Intervengo sull'ordine dei lavori proprio perché questa mattina abbiamo appreso dalla televisione che il Governo intenderebbe porre la fiducia oggi, prima ancora di avviare l'esame degli emendamenti e quindi del provvedimento. Allora, a me pare sia molto importante che il Governo risponda alla domanda posta poc'anzi dal presidente Violante, anche per orientare quel po' di dibattito e di discussione sulle linee generali, perché l'atteggiamento dei colleghi che debbono intervenire deve tenere conto di questi fatti: se ci sia già una riserva mentale, se ci sia già una decisione presa, se la decisione del Governo sia legata a qualche accadimento che può verificarsi in aula oppure no, se il ritiro degli emendamenti presentati possa modificare l'orientamento del Governo.
È importante che il Governo dica che cosa intende fare, perché i mezzi di comunicazione ne hanno già dato notizia! Noi siamo interessati, non siamo gli ultimi, quindi la mia richiesta di intervenire sull'ordine dei lavori ha a che fare proprio con l'ordine dei nostri lavori.
Vede, signor Presidente, noi ci troviamo di fronte ad un provvedimento che occupa gran parte della materia della legge finanziaria. È stato adottato un decreto-legge per le ragioni che ha detto il sottosegretario e che sono state lucidamente contestate da Violante. Questo decreto-legge lo si vuole convertire con un voto di fiducia, il voto di fiducia lo si pone prima dell'esame degli emendamenti: non c'è precedente in nessuna democrazia parlamentare di svuotamento così totale delle prerogative del Parlamento sulla legge di bilancio! Persino al Parlamento dotato di minori provvedimenti tra tutti i Parlamenti esistenti - parlo del Parlamento europeo - viene riconosciuta questa prerogativa! È un precedente terribile, che avrà delle conseguenze straordinarie! Se viene sottratta questa materia...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Castagnetti.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Allora, vorrei che il Governo ci dicesse se le informazioni che abbiamo appreso dalla televisione siano fondate o meno e se questi orientamenti si possano modificare in relazione a fatti che noi possiamo far in modo che si verifichino in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Castagnetti, la ringrazio, ma lei sa molto bene che le voci sono voci. Eventualmente, ci sarà una riunione del Consiglio dei ministri che


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dovrà decidere - se vorrà - quale atteggiamento assumere rispetto ad un'eventuale richiesta di voto di fiducia. Finché non ci sarà la riunione del Consiglio dei ministri, nessun membro del Governo potrà anticiparle una decisione del genere.

ALFONSO GIANNI. Posso chiedere la parola?

PRESIDENTE. No, onorevole, altrimenti riapriamo il dibattito. La ringrazio. Inoltre, oggi, come primo giorno di seduta dall'invio della lettera del Presidente Casini, ci comportiamo in maniera completamente...

ALFONSO GIANNI. Noi siamo disubbidienti per natura!

PRESIDENTE. Il concetto è stato espresso molto ampiamente, in fase di discussione sulle linee generali, nell'intervento che ho consentito di svolgere al presidente di gruppo, onorevole Castagnetti. Credo che su questo argomento non si debba aprire un dibattito.

ALFONSO GIANNI. Ma io non voglio entrare nel merito degli emendamenti. Hanno detto che li vogliono ritirare. Io non voglio ritirare nulla!

PRESIDENTE. Benissimo. Ne prendiamo atto.
È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento da due osservazioni preliminare, una di natura squisitamente politica e l'altra di natura costituzionale.
L'osservazione di natura politica è stata svolta dal mio presidente di gruppo, onorevole Castagnetti, e dal collega Violante.
Certamente, la vicenda relativa alla richiesta del voto preventivo, del voto di fiducia è ormai nota. Si tratta di notizie di stampa e non di dicerie da bar; hanno, quindi, una certa credibilità. Ciò la dice lunga sul tasso di democrazia di questo Governo.
La richiesta di voto di fiducia la si fa su un decreto-legge che è il cuore della manovra economico-finanziaria per il prossimo triennio. Sarebbe stato necessario, opportuno e soprattutto doveroso, invece, un confronto, se volete, assai serrato, ma di merito, su poche cose, sulle questioni essenziali, ritenendo che non sono influenti rispetto all'attuale situazione di grande criticità che caratterizza la nostra economia.
La questione di costituzionalità, già posta con la nostra pregiudiziale ed illustrata dall'onorevole Mattarella, è seria, anche se la maggioranza ha voluto ignorarla. È innegabile la violazione degli articoli 72, 77 e 119 della Carta costituzionale di cui ormai la maggioranza di centrodestra non tiene conto, subendo - e questo è molto grave - le imposizioni del Governo.
Su ogni questione pregiudiziale, la maggioranza, comunque, subisce questo Diktat del Governo, eppure il rispetto della Costituzione dovrebbe essere un obbligo per tutti, sia per l'opposizione sia per la maggioranza, proprio per gli aspetti che venivano richiamati poc'anzi, perché il nostro deve, vuole essere un grande Parlamento, quel grande Parlamento nel quale si attuano anche le mediazioni di certi conflitti sociali e nel quale si afferma la volontà del popolo italiano.
Non possono prevalere, dunque, ragioni di opportunità o di appartenenza. Ma per una valutazione del decreto in esame occorre, prima di tutto, verificare se gli obiettivi di finanza pubblica, fissati lo scorso anno e anche nel recente DPEF, siano stati centrati. Vi risparmio i dati. Essi, purtroppo, non sono stati raggiunti (qui, abbiamo il presidente della Commissione bilancio che, meglio di me, potrebbe fornire delucidazioni).
Voglio evidenziare che nella legge di assestamento il Governo ha dovuto riconoscere (obtorto collo lo ha fatto il sottosegretario Vegas al Senato) minori entrate per ben 18 mila miliardi di vecchie lire.


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Analizzando la manovra, balza evidente che essa è basata esclusivamente su entrate una tantum e non su scelte strutturali (lo ha detto il relatore di minoranza, confutando le percentuali del relatore per la maggioranza che, ovviamente, anch'io non condivido). Quindi, le condizioni della finanza pubblica italiana, purtroppo, peggiorano.
Il Governo non è stato in grado, con questa manovra, di rispettare neanche gli impegni contenuti nella risoluzione relativa al DPEF e approvata dalla maggioranza.
In essa, si parlava di due terzi di interventi correttivi strutturali e solo di un terzo di entrate una tantum. In questa manovra non avviene così: di strutturale vi è, al massimo, un miliardo di euro su dieci, quello derivante dall'aumento dei contributi dei parasubordinati e, forse, da una quota delle entrate derivanti dai videogiochi. Per il resto, le maggiori entrate riguardano il condono edilizio e le dismissioni di immobili pubblici, per oltre 8 miliardi di euro. Altri quattro miliardi deriverebbero dal gettito previsto dalla riapertura dei termini del condono fiscale e del nuovo concordato preventivo. Siamo dinanzi ad un continuo condono che, oggettivamente, crea sfiducia nei cittadini rispettosi delle leggi e dei doveri propri verso lo Stato e che crea le condizioni per l'abbassamento del tasso di legalità del nostro paese!
Purtroppo, questa è la strada indicata dal Governo fin dal suo insediamento, a cominciare dai provvedimenti adottati nei cosiddetti primi cento giorni, di cui il Governo non si vergogna di menare vanto e, anzi, indica al paese come un grande risultato. Mi riferisco alla depenalizzazione del falso in bilancio, alle rogatorie internazionali, al rientro dei capitali dall'estero, eccetera.

ANTONIO LEONE. Ma è una litania!

MARIO LETTIERI. Sì, caro collega Antonio Leone, è una litania, ma la ripeteremo per cinque anni, perché è una verità scomoda, ma vera e pesante!
Infine, parte del gettito previsto - circa due miliardi e mezzo di euro - deriverà dai risparmi dello Stato conseguenti alla trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni. Il Governo non menziona questo risparmio tra le una tantum - badate bene -, ma anch'esso lo è nei fatti: è una perla innovativa tra le tante trovate contabili del ministro dell'economia, il quale certamente non difetta di intelligenza né di fantasia! Ormai, per far quadrare i conti, il ministro innova mettendo fuori dalla contabilità delle pubbliche amministrazioni l'ANAS, la Cassa depositi e prestiti, la SACE e, ovviamente, le ben note Infrastrutture Spa e Patrimonio Spa.

MARIA TERESA ARMOSINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. No, Patrimonio Spa no!

MARIO LETTIERI. Eppure, queste pseudosocietà per azioni sono le vere protagoniste della spesa pubblica per investimenti: i privati arriveranno, forse, ma, finora, esse gestiscono soldi pubblici, dello Stato, cioè di tutti i cittadini italiani.
Non credo che con questi trucchi l'Italia farà molta strada. Il nostro paese non riuscirà ad uscire da questa fase di impoverimento complessivo ed a vincere la sfida della competitività che la globalizzazione dei mercati impone alle nostre imprese. Ricordo che la crescita accertata l'anno scorso è stata di un misero 0,4 per cento. La classifica della competitività dei vari paesi formulata dal Word economic forum vede il nostro paese, purtroppo, al quarantunesimo posto - badate bene! - mentre con i governi di centrosinistra esso era collocato al ventiseiesimo. In due anni e mezzo di governo del centrodestra si è andati indietro di ben quindici posizioni!
Del resto, abbiamo perso gran parte delle grandi industrie italiane, di cui il paese non può fare a meno. Quelle medio-piccole, purtroppo, registrano quasi tutte difficoltà e riducono le loro quote di esportazione. Chi avesse voglia di compulsare i dati ufficiali della Confindustria, dei vari istituti di ricerca e dello stesso Ministero


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dell'economia e delle finanze troverà conferma di quanto sto dicendo. Lo stesso made in Italy è in discussione, come dimostra la notizia di questi giorni relativa alla vicenda della Gucci, che, pare, finirà in mani francesi.
Per non parlare poi del Mezzogiorno, che, ormai, non fa più parte dell'agenda politica di questo Governo, al di là della chiacchiera meridionalistica del buon Micciché, del buon viceministro Micciché! Con i governi di centrosinistra il trend di crescita delle regioni meridionali era superiore alla crescita nazionale: superava finanche il nordest! Ora, il trend ha rallentato di molto ed i tempi di superamento del gap con il centronord si allungano.
Il Mezzogiorno deve essere messo in condizione di correre, di crescere con velocità maggiore per recuperare gli attuali squilibri economico-sociali e per essere protagonista, con le proprie risorse, nel paese ed in Europa, in quell'Europa dalla quale, per fortuna, ha attinto ed attinge notevoli risorse.
Ma il Presidente del Consiglio sembra ignorarlo e chiede all'Europa non una semplificazione delle procedure, come ha fatto l'altro giorno, ma una vera e propria deregulation. Evidentemente, ha la segreta speranza che anche in Europa si abbassi il tasso di legalità. Per fortuna che ci sono le regole europee, che vi sono le direttive europee, a cui volente o nolente anche il nostro paese deve adeguarsi, come deve fare per i principi di contabilità internazionale nella redazione dei bilanci delle società. Ma il Presidente del Consiglio preferisce un'altra strada: quella della irresponsabilità, quella della deresponsabilizzazione nel governo delle società, tanto che, anche in questo decreto, per quanto riguarda le sanzioni relative al rapporto fiscale di società, esse sono messe a carico non degli amministratori singoli, ma della persona giuridica. Eppure, i fatti gravi, gravissimi della Cirio - e speriamo non della Parmalat - dovrebbero indurci ad adottare altri provvedimenti per avere bilanci limpidi delle varie società quotate e non. Così, con questa norma che si introduce, nessun amministratore di società pagherà mai.
Verso il Mezzogiorno il Governo è a dir poco disattento e spesso agisce contro gli interessi delle regioni meridionali. Le grandi opere infrastrutturali per il Mezzogiorno - ferroviarie, autostradali, portuali, aeroportuali, telematiche, idriche e così via - non rientrano fra le priorità di questo Governo. Basta scorrere l'elenco della legge obiettivo e quello recentemente approvato in sede europea: non c'è nulla per il Mezzogiorno. Si faccia pure il corridoio 5, perché è necessario, è interesse del paese la sua realizzazione, ma si faccia anche il corridoio 8, per agganciare l'intero Mezzogiorno ai nuovi processi economici che essi potrebbero avviare. Per non parlare dell'alta velocità, che si ferma a Napoli; non se ne prevede il prolungamento né per Reggio Calabria né tanto meno per Salerno, Potenza, Taranto. La stessa autostrada Salerno-Reggio Calabria è diventata infinita, è un lento cantiere, non v'è certezza alcuna sui tempi di completamento.
Sono dati assai sconfortanti, signor Presidente. I ministri Lunardi e Tremonti devono rendersi conto che il Mezzogiorno non si accontenta dello sbandieramento del progetto del ponte sullo stretto di Messina, sulla cui opportunità e priorità hanno molto da dire gli stessi siciliani, che, a mio avviso, hanno ben altre esigenze.
Non solo non si finanziano le grandi infrastrutture di cui le regioni meridionali necessitano, ma il Governo, nella sua foga antimeridionalistica, ha addirittura bloccato per un anno e poi riavviato in misura ridotta e confusa il credito di imposta per le imprese. Il ministro Tremonti sapeva bene che questa era l'unica vera legge di incentivazione efficace, effettivamente snella, rapida ed accessibile agli operatori, ma non ha voluto sentire ragione. Gli atti di questa Camera lo testimoniano, testimoniano il nostro impegno perché non si toccasse il credito di imposta. Anche gli amici colleghi della maggioranza sostenevano


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la stessa cosa, ma alla fine hanno dovuto accettare le scelte del ministro dell'economia e delle finanze.
Ma il Governo non è riuscito a spendere neanche tutti i fondi stanziati per il sud con la finanziaria per il 2003 - basta vedere i residui passivi - ed ora per il 2004 non prevede granché. Rinvia il grosso degli stanziamenti agli anni successivi, se non sbaglio finanche al 2007. Ma c'è di più. Il Governo gioca contro il Mezzogiorno. Non stanzia fondi adeguati per valorizzare il vasto patrimonio archeologico, storico, culturale, esistente in maniera diffusa nelle regioni meridionali, e non fa una politica ambientale seria. Si pensi al condono edilizio. Onorevole sottosegretario, non so se lei conosce la realtà degli abusi edilizi in questo nostro paese e dei guasti terribili arrecati all'ambiente.

MARIA TERESA ARMOSINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Sono lì!

MARIO LETTIERI. Ma non c'è solo il condono edilizio. Si fa di più. Compie scelte scellerate, come quella relativa alla individuazione del sito nazionale per le scorie radioattive nel comune di Scanzano Ionico, che trovasi nella fascia costiera più interessante e vivace da un punto di vista agricolo e turistico del mar Ionio. In questa area, che è quella della Magna Grecia e di Pitagora, c'è una agricoltura moderna ed intensiva e importantissimi scavi archeologici; una moderna agricoltura i cui prodotti di pregio raggiungono tutti i mercati europei.
Evidentemente il ministro Matteoli non conosce la realtà della Basilicata, né lui né gli altri componenti del Governo la conoscono; forse, qualche sottosegretario, per caso, é nato o viene qualche volta in Basilicata, ma in maniera molto superficiale. Il ministro ne ignora la storia, la cultura e ancor più le risorse e il patrimonio ambientale e non sa che in quell'area - nel Metapontino e anche nel comune di Scanzano Ionico - sono stati realizzati o sono in atto investimenti turistici per diverse centinaia di miliardi di vecchie lire, che ora, ovviamente, la decisione del Governo mette a rischio. Non si contrabbandi la scelta del Governo come scelta tecnica; essa è una scelta squisitamente politica! Forse, si vuole penalizzare la Basilicata perché é totalmente ulivista: i risultati elettorali sono stati questi, e in democrazia bisogna prenderne atto, ma non si può penalizzare una regione soltanto perché non ha dato i consensi al centrodestra così come lo stesso sperava. É una scelta barbara! È distruttiva, fortemente contrastata da noi ma soprattutto dalle popolazioni e da tutte le istituzioni locali e regionali: non si è sentito neanche il bisogno di ascoltare la regione Basilicata.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, le popolazioni lucane - voglio ricordarlo qui - sono, per natura ed educazione, pacifiche, assai pacifiche, ma non si dimentichi che la Basilicata è stata anche terra di briganti: il più famoso, Carmine Antonello Crocco, è stato definito «brigante» ma era un rivoluzionario contro il potere che si ribellava alle angherie dei piemontesi e dei Borbone. Ecco perché, cari colleghi, onorevole sottosegretario, bisogna temere la collera dei miti, e anche la collera del mite popolo lucano.
L'intero Mezzogiorno ha potenzialità, derivanti dal patrimonio naturalistico, archeologico e ambientale, di uno sviluppo turistico imponente, ma le scelte del Governo, come quella cui ho fatto riferimento poc'anzi, le mortifica. Ma questo decreto-legge mortifica tutti i cittadini italiani i cui redditi sono falcidiati da un costo della vita sempre più alto. Il Governo avrebbe potuto e dovuto far funzionare i comitati euro istituiti dal Governo Prodi ed utilizzare la Guardia di finanza, coinvolgendo le prefetture, le regioni e i comuni nel controllo dei prezzi nei primi mesi del changeover. Sull'aumento dei prezzi c'è stata invece la congiura del silenzio e una certa ignavia da parte dei singoli ministri e dell'intero Governo. Hanno ragione coloro che, con il livellamento in alto dei prezzi e con la quasi automatica equiparazione dell'euro alla vecchia banconota da mille lire, sostengono


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che gli italiani ricevono lo stipendio o la misera pensione in vecchie lire e pagano con il nuovo euro. Ora il Governo vuole aumentare i controlli da parte della Guardia di finanza: lo fa dopo che i buoi sono scappati, dopo che i prezzi sono stati livellati in alto; comunque, lo faccia, nulla in contrario, ma stia attento a non mettere a rischio gli studi di settore la cui efficacia, per quanto riguarda le entrate, è accertata; essi non vanno messi in discussione. Voglio ricordarlo: questi furono introdotti a seguito di un'intelligente opera di concertazione tra il Governo di allora e le associazioni di categoria. Mi auguro che non si continui a distruggere ciò che funziona, come si è fatto con il credito d'imposta cui ho fatto riferimento poc'anzi. Per fronteggiare il costo della vita, tra i primi provvedimenti, c'è quello dell'adeguamento dei salari e delle pensioni al tasso reale d'inflazione che è di gran lunga superiore a quello programmato dal Governo. Ciò che si è verificato in Italia non è accaduto in nessun altro paese dell'euro, neanche in Germania e in Francia dove l'economia certamente non va bene, ma l'inflazione comunque è rimasta bassa, ed è molto più bassa della nostra. Questo Governo, anziché organici interventi a difesa dello stato sociale, propone con questo provvedimento un bonus per il secondo figlio: è un pannicello caldo, inefficace ed indiscriminato perché lo dà anche a chi è benestante.
Sul piano dei valori, questo provvedimento è l'espressione di un valore regressivo e di un veteroassistenzialismo. Ciò che è più grave, però - badate bene, forse è sfuggito ad alcuni colleghi - è il fatto che i 300 milioni di euro previsti vengano prelevati dal fondo di accantonamento destinato all'aumento delle indennità di disoccupazione, previsto nel Patto per l'Italia a suo tempo sottoscritto con i sindacati: quindi, si dà una briciola ai neonati e si toglie ai loro padri disoccupati (che, purtroppo, sono ancora tanti)! Serve ben altro: innanzitutto, un lavoro per chi non ce l'ha!
Con la riduzione di oltre 1.500 miliardi di trasferimenti agli enti locali, inoltre, il Governo vuole costringere questi a ridurre i servizi o ad aumentarne i costi, che ricadranno ovviamente sui cittadini. Non si tiene conto, invece, che gli enti locali sono i primi referenti proprio per le famiglie meno abbienti. È il classico «gioco delle tre carte»: si tratta di un gioco perverso al quale, giustamente, si oppongono i comuni e le regioni, che non vogliono né essere i gabellieri per conto dello Stato, né pagare per le sue scelte sbagliate.
Il dato più eclatante di questa manovra, comunque, è quello relativo all'avanzo primario. Esso peggiora in maniera drammatica: ricordo che era al 6,7 per cento del PIL, ma con il Governo Berlusconi è sceso al 2,8 per cento quest'anno, e scenderà al 2,4 per cento nel 2004; a ciò si aggiunga il macigno del debito pubblico, che è aumentato nonostante la riduzione dei tassi di interesse.
Si ha, quindi, un quadro davvero fosco; per tale motivo, vi sarebbe bisogno di una manovra forte e credibile, che superi questa situazione e prepari il paese e le imprese a cogliere le opportunità della ripresa internazionale, che sembra profilarsi per il secondo semestre del 2004.
Ma il Governo non ha una bussola precisa, non ha una politica economica certa, così come dimostra questa manovra finanziaria, che essendo di metà legislatura avrebbe dovuto essere caratterizzata da scelte forti e chiare per essere un riferimento vero per le imprese e per gli investitori, sia italiani sia esteri, e per dare quella fiducia che si può basare esclusivamente sulle scelte concrete, e non sull'ottimismo di maniera.
L'unica riforma strutturale che il Governo propone, con un provvedimento in discussione al Senato, è quella delle pensioni. In tale provvedimento, infatti, la famosa «gobba», risultante dalla curva del rapporto tra la spesa previdenziale ed il PIL, dal 2010 viene rimodulata verso il basso: evidentemente, per far accettare in sede europea una manovra costituita da misure una tantum, il ministro Tremonti ha imposto questo intervento, che noi non


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condividiamo né nel merito, né nel metodo (ma di questo parleremo quando sarà discusso in questa Assemblea).
Inoltre, si fa poco per la ricerca. Il collega relatore per la maggioranza ha evidenziato, con toni un po' entusiasti, le misure relative alla ricerca. A mio avviso, con la creazione dell'Istituto italiano di tecnologia si compie un'operazione di pura immagine, scimmiottando il mitico MIT statunitense. Anche la riduzione dell'imposizione per i redditi dei ricercatori è ben poca cosa per farli rientrare dall'estero: ci vuole ben altro!
Nulla poi si dice circa le privatizzazioni, che sono ormai scomparse dall'agenda di questo Governo. Esso si dichiara liberale, ma non agisce di conseguenza. Infatti, non facilita la concorrenza, come accade con la legge Gasparri, che tutela esclusivamente Mediaset e mortifica la libertà d'informazione.
A quest'ultimo proposito, mi sia consentito ricordare Sabina Guzzanti - che ieri si stava per «decapitare», per escludere dalla trasmissione di RAI 3 -, che ieri sera ci ha informato dagli schermi televisivi che, per quanto riguarda la libertà di informazione, da un'indagine risulterebbe che il nostro paese, tra tutti quelli del mondo, risulterebbe essere al cinquantatreesimo posto, vale a dire dopo il Ghana e il Madagascar - ma questo è un discorso a parte, ultroneo.
Con questo Governo - basta scorrere la legislazione approvata in questi due anni - si sono ridotti gli spazi della libera informazione e non si è ampliato - ciò è quello che mi preme sottolineare - il mercato interno né tanto meno vi è stato un aumento della concorrenza. Hanno prevalso interessi particolari, pochi e forti. Non penso al solito falso in bilancio, altrimenti il mio autorevole collega Antonio Leone, giustamente, si ribella, affermando che parlo sempre di questo benedetto falso in bilancio. Questa volta mi riferisco all'eliminazione della tassa di successione, quella tassa della cui necessità si faceva carico lo stesso Luigi Einaudi che, sicuramente, è stato il più grande liberale. Altro che Berlusconi!
Per dirla tutta, tale manovra fa giustizia dello stesso facile ottimismo diffuso dal Governo in questi due anni. Basta leggere il provvedimento, onorevole sottosegretario, per rendersi conto di quale cambiamento vi è stato rispetto all'impostazione di due anni fa.
Rispetto al passato vi è una modificazione degli obiettivi di politica finanziaria pomposamente enunciati dal Governo all'atto del suo insediamento. Lo ricorderete, come lo ricordo io: esso affermò una linea di protagonismo totalizzante e propose misure ed interventi che - a dire del ministro Tremonti - avrebbero realizzato tutti i risultati ipotizzati, anche in presenza di una congiuntura internazionale non favorevole. Secondo Tremonti, tutto ciò che avveniva nel resto del mondo sarebbe stato ininfluente rispetto a ciò che in Italia si poteva fare e si poteva raggiungere.
Oggi, speriamo che vi sia un reale ripensamento. In questa manovra, con lo 0,5 per cento di crescita ipotizzato, lo stesso ministro trova il suo alibi principale proprio nella difficile congiuntura internazionale, quella congiuntura, del resto, onorevole sottosegretario, da lei puntualmente richiamata.
A mio avviso, è giunto il momento che il Governo riveda seriamente la sua politica economica e sociale in relazione agli effettivi interessi del paese e al suo futuro in Europa e nel mondo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, secondo il regolamento della Camera dei deputati il mio intervento dovrebbe rientrare in quella che viene definita discussione sulle linee generali di questo provvedimento. La scorsa settimana si è concluso qualcosa che, sempre a norma del regolamento, andrebbe definito esame in Commissione. Forse, sarà il caso, signor Presidente, di cambiare il lessico regolamentare


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per evitare di incorrere in clamorosi fraintendimenti.
Il passaggio del provvedimento in Commissione bilancio è paragonabile ad un Eurostar che passa per una stazione secondaria. Sull'orario ferroviario, la casella di corrispondenza di quel treno e di quella stazione è contrassegnata da una riga nera verticale che rappresenta l'aspetto dinamico di quell'intersezione. Il treno e la stazione, di fatto, non si incontrano; al limite, il capo stazione dirà: attenzione, sul secondo binario treno in transito.
Ecco, il presidente della Commissione avrebbe potuto fare un annuncio di questo genere: attenzione, maxidecreto in transito.
Non solo il Governo ha deciso che la Commissione bilancio della Camera dei deputati sia una stazione secondaria, ma che anche l'Assemblea sia una stazione secondaria: infatti, il treno forse rallenterà, magari potrà fermarsi un attimo, ma sicuramente non salirà né scenderà alcun passeggero.
Abbandonando la metafora ferroviaria, non si può che registrare, ancora una volta, lo scarso senso istituzionale di questo Governo e l'assoluta mancanza di rispetto per un Parlamento ormai esautorato dal suo ruolo costituzionale, quello di proporre, esaminare, discutere, modificare le leggi, concedendogli solamente, perché non se ne può fare a meno, la possibilità di ratificare le decisioni già prese a palazzo Chigi.
Tutto ciò - è stato spiegato molto bene dai colleghi che mi hanno preceduto - è di una gravità enorme non solo per la scorrettezza politica di questa incerta e litigiosa maggioranza, ma soprattutto per il contenuto del provvedimento in esame. Questo non apporta alcun beneficio reale ai nostri conti pubblici e non affronta i nodi strutturali della finanza pubblica. L'indebitamento netto previsto per il 2003 allo 0,8 per cento del PIL si attesterà attorno al 2,7 per cento; il debito pubblico cala più lentamente e rischia, addirittura, di riprendere un andamento crescente; cala l'avanzo primario; diminuiscono le entrate al netto dei condoni.
Quindi, abbiamo di fronte un provvedimento sul cui metodo bisogna svolgere un ragionamento. Sicuramente, vi era l'esigenza di una riforma della sessione di bilancio. Il Governo, quest'anno, avrebbe dovuto presentare un disegno di legge finanziaria molto meditata, frutto di un confronto politico e programmatico all'interno della propria maggioranza e, perfino, al proprio interno, sentite le parti sociali e dopo aver interloquito con chi di dovere. Così sembrava intendesse fare dopo aver presentato le varie linee di politica economica e finanziaria contenute nel DPEF. Tuttavia, invece di una proposta di riforma della sessione di bilancio e di una finanziaria concepita in tal modo, abbiamo un vero e proprio colpo di mano.
Per la prima volta, gli interventi della manovra finanziaria, le misure più importanti e portanti, vengono anticipate in un decreto omnibus, estrapolate dalla legge finanziaria complicandone l'iter e sottraendo al confronto parlamentare le scelte di politica finanziaria fondamentali per la vita del paese. La manovra, infatti, si articola in tre provvedimenti di diversa natura strettamente correlati tra loro: il disegno di legge finanziaria, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 269 ed un emendamento al disegno di legge collegato alla manovra di bilancio per il 2002 in materia previdenziale che costituisce l'unico provvedimento di tipo strutturale.
Nella nota di aggiornamento al DPEF presentata dal Governo si legge: esiste una stretta correlazione tra il provvedimento d'urgenza - noi ci chiediamo: quale urgenza e quale necessità? - che porta la data del 30 settembre, le misure aggiuntive in materia previdenziale ed il disegno di legge finanziaria la cui compatibilità finanziaria dipende largamente dalle misure contemplate nel citato provvedimento.
È evidente che viene stravolta la disciplina di contabilità pubblica (legge n. 468 del 1978) come pure i regolamenti parlamentari e nessuno, tranne noi, sembra scandalizzarsi. Detti regolamenti escludono la possibilità di esaminare durante la sessione di bilancio provvedimenti a contenuto


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finanziario con l'unica esclusione dei provvedimenti di conversione dei decreti-legge dato il carattere di straordinarietà ed urgenza che li contraddistingue. Il risultato, quindi, è la limitazione delle prerogative di esame, di valutazione e di proposta emendativa da parte del Parlamento.
Il decreto omnibus, infatti, contiene la maggior parte delle misure di copertura finanziaria. Su tale scelta ha sicuramente pesato lo stato di cattiva salute dei conti pubblici che non poteva consentire il cosiddetto assalto alla diligenza dei singoli parlamentari della maggioranza.
Quindi, ha prevalso la necessità di blindare provvedimenti scandalosi, quali il condono edilizio, da eventuali trasversali alleanze su punti particolarmente osceni.
Per compensare le una tantum, che costituiscono più dei due terzi della manovra complessiva, ma anche per tranquillizzare l'Europa, la Confindustria e gli altri referenti del Governo, ecco il collegato alla finanziaria, quello appunto relativo ai provvedimenti previdenziali. Ci troviamo di fronte ad un provvedimento che, come dicevo prima, non sa assolutamente affrontare i nodi strutturali del sistema. Tra l'altro, abbiamo una situazione che, dal punto di vista della crescita, peggiora progressivamente. Malgrado qualche recentissimo spiraglio, non possiamo che constatarne l'andamento negativo, perché i provvedimenti adottati dal Governo - nonostante i tanto sbandierati provvedimenti dei primi 100 giorni, che dovevano aprire ad un periodo di miracolo economico vero e proprio - non hanno saputo invertire un andamento, che è sicuramente di lungo periodo, perché ci sono difficoltà che non si esauriscono nella situazione particolarmente grave a livello internazionale. La posizione della nostra economia, è stato già detto, peggiora per competitività e per capacità innovativa. Essa si caratterizza per i bassi investimenti nei settori chiave, nei settori appunto dell'innovazione, che sono indispensabili per farci uscire da un'economia insostenibile anche dal punto di vista ambientale e sociale. Si configura, quindi, una situazione di vera e propria stagflazione: recessione che si accompagna a tassi di inflazione che si allontanano, sempre di più, da quelli degli altri paesi d'Europa. Allo stesso modo, si approfondisce il divario di crescita rispetto agli altri paesi europei e, più in generale, rispetto agli altri paesi industrializzati.
Per carità di patria non mi dilungo sui conti, anche perché l'argomento è stato autorevolmente, quanto impietosamente, affrontato dai colleghi che mi hanno preceduto. Vorrei, invece, dedicare il tempo che mi è concesso ad una rapidissima carrellata delle peggiori sconcezze di questo provvedimento. Vorrei iniziare con quella che considero una vera e propria ignominia, cioè fare cassa sulla pelle dei lavoratori: mi riferisco all'articolo 47 del decreto, sul quale non sarà neppure possibile fare un dibattito di merito, perché il Governo ha fretta di portare a casa il provvedimento e quei quattro soldi che intende incamerare. A pagare saranno quindi dei lavoratori, ma non lavoratori qualunque, bensì quelli che durante la propria vita lavorativa sono stati esposti ai terribili rischi per la propria salute, derivanti dall'esposizione all'amianto. Il ritocco del coefficiente di moltiplicazione degli anni di esposizione, previsto dall'articolo 47, allontana la prospettiva della pensione per molti lavoratori, per i quali ogni anno di permanenza in un ambito lavorativo insalubre comporta l'aumento del rischio di morbilità.
Sul piano del welfare, sono molti i passi indietro fatti da questo Governo e qualcuno di questi viene addirittura sbandierato come un intervento migliorativo. Pensiamo alla norma sugli asili nido condominiali, che consiste, di fatto, in un modo per liberarsi di fastidiose incombenze; ebbene, in questo decreto, si fa una deroga sulle modifiche delle destinazioni d'uso degli immobili. Così si potranno realizzare dei piccoli parcheggi per i propri bambini, per i quali ovviamente non sono previste risorse finanziarie adeguate.
E, in questi, con tutta probabilità, sarà ben difficile che vi siano l'assistenza, la competenza, gli standard educativi e didattici nonché le strutture ad hoc.


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Anche la tanto sbandierata de-tax è una vera e propria presa in giro. Nelle considerazioni della campagna «Sbilanciamoci» viene giustamente definita come una doppia truffa, visto che l'abilità mediatica del nostro esecutivo - che, anche se adesso sta un po' scadendo, certamente non manca - fa sì che ci sia la percezione che su 100 euro di spesa ne vada 1 in beneficenza, mentre la percentuale è da calcolare sull'IVA e non sul valore complessivo. Quindi, dei 100 euro sono solo 20 centesimi ad essere devoluti in beneficenza, cifra che sicuramente non è in grado di orientare i consumi.
Lo stesso fondo per le politiche sociali, per il 2004, il 2005 e il 2006, presenta uno stanziamento pari a 1.215.333 euro, al quale si possono sommare i 232 milioni di euro per le famiglie e i 100 milioni per le eccedenze di spesa. Complessivamente non si riesce a raggiungere l'importo di 1.716.555 euro del 2003 che, già tante volte, abbiamo detto essere insufficiente per raggiungere i livelli essenziali di assistenza che, tra l'altro, non sono stati ancora chiaramente definiti. Siamo dunque di fronte ad un Governo che, per quanto riguarda le politiche sociali, non ha altro interesse se non quello di sbandierare al centro della propria politica la retorica della famiglia per poi ridursi ad una politica davvero minimalista.
C'è da dire, però - riconoscendone anche la positività -, che l'articolo 20 si occupa di terzo settore. Tuttavia, anche quanto previsto in tale articolo - come abbiamo sottolineato nel testo alternativo presentato in XII Commissione - si sarebbe dovuto estendere anche a mezzi e strumenti al servizio dei volontari della protezione civile, soprattutto nei contesti ad alto rischio, nonché ai mezzi adibiti al trasporto di persone disabili non autosufficienti. Anche in questo caso siamo di fronte ad una misura positiva che, però, è assolutamente insufficiente.
L'articolo 21 poi introduce - ne abbiamo già parlato in altri contesti - un assegno una tantum per ogni secondo figlio. Abbiamo già commentato tale scelta - così come abbiamo commentato il ricorso agli asili nido condominiali - come misura demagogica e sprecona, discriminante nei confronti delle madri straniere, dunque priva di costrutto e incapace di raggiungere gli obiettivi che la politica familiare o familistica del Governo si propone. Una politica priva di spessore e incapace, al di là delle grandi dichiarazioni, di farsi sistematica, organica, sensata; magari non la condivideremmo, ma potremmo confrontarci su un terreno di buon senso, che abbia veramente la dignità di essere una politica.
L'articolo 42, recante disposizioni in materia di invalidità civile, rappresenta una vera e propria offesa alla dignità delle persone colpite da invalidità. In esso si prevedono misure vessatorie, in particolare l'eliminazione dei ricorsi amministrativi, che penalizza ulteriormente le persone disabili che, per adire le vie della giustizia ordinaria, saranno costrette a sostenere spese legali davvero ingenti.
Inoltre, le scelte in materia sanitaria sono sempre condizionate dai vincoli posti dal Ministero dell'economia, cui addirittura dovranno essere comunicati mensilmente i dati del monitoraggio della spesa farmaceutica, mentre le regioni continuano ad essere in credito nei confronti dello Stato di ben 14 miliardi di euro.
Così le misure per il contenimento della spesa sanitaria e della spesa farmaceutica, attraverso la previsione dell'agenzia nazionale per il farmaco, appaiono concepite in funzione del controllo ragionieristico della spesa, non come uno strumento per una strategia sulla ricerca e l'innovazione e per garantire in modo uniforme i livelli essenziali di assistenza farmaceutica. Manca perfino la previsione della necessaria concertazione tra i ministeri competenti (ricerca, attività produttive) e le regioni.
In tal modo appare evidente un approccio centralistico, dirigistico e, ripeto, ragionieristico. Si tratta di un'impostazione che si nota anche nell'articolo 50 in materia di monitoraggio della spesa. Si penalizzano infatti, per quanto riguarda l'esternalizzazione dei servizi relativi alla sanità, le regioni più virtuose.


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Ma anche il meccanismo previsto, in un altro contesto, per la vendita e il riaffitto degli immobili non sembra proprio un'idea brillante per sanare i conti pubblici. Ancora una volta, la miopia contabile del Governo punta ad intascare qualche soldo svendendo il proprio patrimonio immobiliare, tanto per far contenti i funzionari di Bruxelles che tuttavia continuano vanamente a spiegarci che dovremmo smetterla con le operazioni una tantum. Ma così facendo si aumentano gli oneri correnti, perché sarà a questo punto necessario pagare elevati canoni di locazione per poter usufruire degli immobili.
Si pensa davvero che questo sia un vantaggio per il paese? È come se una famiglia fosse costretta a vendere la casa e ad andare ad abitare in affitto per pagare i propri debiti. Sarà meglio o peggio dopo questa brillante trovata?
E semmai avessimo avuto dubbi sulla politica ambientale del Governo, questa manovra riesce a fugarli senza difficoltà. Ancora una volta, con l'articolo 16 del decreto-legge che rinnova le agevolazioni per gli autotrasportatori, si vuole proseguire la politica di incentivazione del trasporto merci su strada, drogando il mercato, aumentando lo squilibrio modale, già così pericoloso in Italia e che ci vede al primo posto in Europa, aumentando le emissioni inquinanti e i costi esterni della mobilità. Il tutto, ovviamente, sarà seguito dalla riproposizione del refrain sull'inadeguatezza della rete infrastrutturale viaria e sulla necessità di ulteriori colate di asfalto e cemento.
E a proposito di cemento non bisogna dimenticare il vero fiore all'occhiello di questo edificante - nel senso etimologico del termine - provvedimento: la sanatoria edilizia. L'articolo 32 rappresenta davvero quanto di peggio si sia mai riuscito a fare per la devastazione del territorio in oltre cinquant'anni di storia repubblicana.
Con tale norma si sovvertono valori costituzionali posti a fondamento del contratto sociale che ha generato la nostra Repubblica: la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e del patrimonio storico-artistico, ma anche il principio di uguaglianza e la salvaguardia della persona umana, della sua vita e della sua sicurezza. Mai in passato si era osato proporre di condonare abusi che coinvolgessero beni culturali e abusi sulle aree demaniali.
Il condono, infatti, prevede la possibilità di sanare abusi compiuti sul patrimonio disponibile ed indisponibile dello Stato e sul demanio. Come giustamente ha sottolineato il collega, senatore Turroni, si consente ai rapinatori di acquistare, con i proventi della rapina, la gioielleria che si è appena saccheggiata. Non c'è pudore, come non c'è stato e non c'è pudore nell'appoggio garantito all'emendamento Grillo, presentato al Senato per depennare il vincolo decennale di inedificabilità sulle aree boscate distrutte dagli incendi: affronteremo il problema quando dovremo discutere il disegno di legge finanziaria. Una norma come questa, a tutela delle aree boscate distrutte dagli incendi, era stata posta prima di tutto a tutela della sicurezza, perché gli incendi compromettono in modo inesorabile l'equilibrio idrogeologico del suolo con rischio altissimo di frane e smottamenti. Bisognava, quindi, prevedere una norma chiara non soltanto contro le speculazioni edilizie ma anche per lasciare alla natura il tempo di agire e di ripristinare l'equilibrio geologico.
Ci sono, poi, regioni che hanno trasformato il vincolo ricognitivo previsto dalla legge Galasso e dal decreto legislativo n. 490 del 1999 in un vincolo sostanziale: in base a leggi regionali si stabilisce la non edificabilità all'interno di determinate aree boschive. È chiaro che, se questa norma dovesse essere approvata così com'è, per costruire in queste zone vincolatissime, basterà incendiarle. E, nell'incendio, con gli alberi e con tutto il resto, spariranno anche i vincoli.
Il condono edilizio rappresenta un'ipoteca pesantissima sul futuro: non solo devasta il territorio ma condanna lo Stato a farsi carico dei disastri in caso di calamità. Le assicurazioni, per come sono state proposte sugli edifici condonati, sono una barzelletta: sappiamo in cosa consistono i costi, quando si verificano i disastri. Non consistono soltanto nel far fronte


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al disastro del singolo. È l'intero territorio ad essere compromesso e travolto dal disastro. E gli enti locali dovranno farsi carico delle spese aggiuntive, sicuramente superiori alle entrate, come hanno calcolato il CRESME e l'ANCI, che prevedono spese aggiuntive per un ammontare di 8,7 miliardi di euro. Tutto questo disastro, a fronte di entrate incerte. Sappiamo, infatti, che molte regioni si oppongono. Sappiamo, per esperienza, che le entrate previste dal condono non sono garantite. Ciò, in generale, per i condoni va detto.
Tuttavia, si è voluto procedere, contrariamente a quanto dichiarato, in un passato neanche tanto remoto, da autorevoli membri di questa maggioranza. Ne vorrei ricordare qualcuno. Il condono è un provvedimento inopportuno; non produce effetti economici e non è in linea con il nuovo assetto istituzionale: Pietro Lunardi, ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Corriere della Sera, 16 dicembre 2002. Il condono è un provvedimento immorale: premia i comportamenti illegali; scoraggia quelli virtuosi; incrementa la devastazione del territorio, provocata dall'abusivismo selvaggio. Non potremmo accettarlo neppure in una situazione di enorme difficoltà: Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia, Il Sole 24 Ore, 22 agosto 2002. Non solo come ministro sono contrario, ma anche come liberale, perché il condono è la devastazione dello Stato di diritto: Giuliano Urbani, ministro dei beni culturali, AP.Biscom, 17 settembre 2003. Neanche tanto tempo fa.
Esprimo netta contrarietà ad ogni ipotesi di condono edilizio: Roberto Maroni, ministro del lavoro e delle politiche sociali, AP.Biscom n. 15 del 2003. Mi sono espresso tante volte contro il condono edilizio: non cambio idea, sono contrario. Se verrà questa proposta porterò in Consiglio dei ministri i motivi del mio dissenso: Altero Matteoli, ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, Reuters, 28 agosto 2003.
In un Governo serio tutte queste persone si sarebbero dovute dimettere, ma dimenticavo: questo è il Governo di Berlusconi, quello delle barzellette. In questo momento, il mio pensiero, il pensiero dei Verdi, va ad Antonio Cederna, che a causa della sua dipartita almeno non deve assistere a questo scempio che io credo sarà veramente devastante per il nostro territorio, accompagnato dalla adesione così totale da parte di questa maggioranza e di questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, naturalmente, cercherò di non ripetere le cose - su cui sono d'accordo - che hanno detto il relatore di minoranza Michele Ventura, l'onorevole Lettieri, l'onorevole Zanella e gli altri colleghi di opposizione che sono già intervenuti. Vorrei partire da una considerazione fatta dal relatore di maggioranza, il collega Romano, che giustamente ha ricordato come ci troviamo, sì, a discutere del decreto-legge, ma in realtà a discutere complessivamente della manovra di politica economica e di finanza pubblica di questo scorcio finale del 2003 perché, come il Governo ha scritto nelle sue relazioni ai provvedimenti, ci sono tre cose che si tengono insieme in questo scorcio d'anno. Queste sono, da un lato, il decreto-legge, dall'altro la legge finanziaria ed infine l'emendamento in materia di riforma previdenziale.
Quindi, parto da questa considerazione generale, vale a dire dalla condivisione di questa impostazione, per fare una riflessione che non avrà un diretto e specifico riferimento esclusivamente al decreto-legge che stiamo discutendo, ma che sarà un po' più ampio e generale. Proprio per questo, voglio partire dalla situazione del paese perché mi pare che questo dobbiamo fare. Come sta andando l'Italia? Come sta il nostro paese?
Sono un po' sorpreso dalle cose riportate sui giornali di questi giorni - ciò è stato già ricordato - e sono un po' sorpreso dagli atteggiamenti che sono stati


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tenuti anche da autorevoli esponenti del Governo nei confronti di un dato - che è importante e significativo ma che è un po' parziale -, quello della crescita del prodotto interno lordo dello 0,5 per cento nel terzo trimestre. Vi è un'enfasi che francamente non arrivo a capire. Si dice che arriva la ripresa, è tornata la crescita, è un buon dato per il nostro paese, il ciclo negativo è alle spalle e ora può partire una fase positiva. Ebbene, certamente sono dichiarazioni impegnative e di fronte a queste dichiarazioni una persona - andando a leggere gli articoli di giornale - immaginerebbe di trovarsi di fronte, non dico a delle percentuali cinesi, ma perlomeno a percentuali americane. L'economia americana - ci dicono - crescerà quest'anno, probabilmente, del 3,5 per cento. Invece, scopriamo che tutta questa enfasi è motivata da un aumento dello 0,5 per cento del PIL nel terzo trimestre e che, se ci sarà uno 0,25 per cento in più - peraltro, come ci dicono l'ISAE e il Centro studi di Confindustria, non sicuro -, nell'ultimo trimestre si riuscirà a toccare la straordinaria e fantomatica crescita dello 0,5 per cento prevista dalla nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finaniziaria.
Sono un po' stupito di fronte a questo errore di prospettiva che consente di esprimere valutazioni lontane dalla realtà. Ha detto bene il collega Ventura: bisogna avere prudenza in merito a questi temi ed a queste cifre e lo stesso invito proviene dall'Istituto di analisi congiunturale ufficiale del Governo italiano (l'ISAE), nonché dal centro di ricerche economiche dell'organizzazione degli imprenditori italiani, vale a dire dal centro studi di Confindustria.
Se leggeste l'articolo che ho sotto mano, capireste le ragioni per cui questi dati andrebbero valutati con molta attenzione e cautela. Naturalmente non sono negativi e ne siamo contenti, ma vanno presi con molta cautela, lo ripeto. In realtà, l'Italia sta male e non ha affatto risolto i problemi di crescita. All'interno di questa mancata ripresa o di questa bassa crescita, si pongono i problemi strutturali che da tempo denunciamo. Sono ripartiti i differenziali, ad esempio, quello dell'inflazione tra l'Italia e gli altri paesi europei (il collega Lettieri ha ricordato il peggioramento dei dati relativi alla competitività del paese, nonché la classifica del World economic forum, che ci colloca oltre il quarantesimo posto, ampiamente citata dei giornali) e vi è una crisi strutturale della finanza pubblica. Lo abbiamo rilevato da un po' di tempo a questa parte ed il Governo lo ha autorevolmente riconosciuto in sede di assestamento di bilancio, provvedimento che abbiamo discusso non molto tempo fa. Si tratta dell'assestamento che ha registrato la riduzione delle entrate e l'aumento delle spese e che ci ha confermato un dato molto preoccupante per ciò che riguarda l'andamento della principale grandezza che ci serve per valutare lo stato di salute della finanza pubblica del nostro paese, vale a dire l'avanzo primario.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 16,30)

GIANFRANCO MORGANDO. Ricorderete colleghi che abbiamo assunto un impegno con l'Unione europea, in ragione del nostro elevato debito pubblico e del mantenimento dell'avanzo primario superiore al 5 per cento.
Sapete bene, colleghi, che l'avanzo primario nel 2000 era del 4,8 per cento, che nel 2001 e nel 2002 è passato rispettivamente al 3,8 e al 3,4 per cento, che nel 2003 è previsto al 3 per cento, mentre nel 2004 è previsto sotto l'1,9 per cento. Vi è un dato estremamente preoccupante dell'andamento dell'avanzo primario su cui da un po' di tempo vi invitiamo a riflettere. È il dato di una situazione di difficoltà strutturale della nostra finanza pubblica in cui le spese aumentano più delle entrate e, come capita in tutte le famiglie, quando le spese aumentano più delle entrate, il futuro è preoccupante.
Naturalmente, si pongono anche le questioni attinenti alle condizioni concrete delle persone. Cresce la forbice tra i redditi delle famiglie e l'aumento dei


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prezzi: siamo di fronte ad una situazione di impoverimento del paese, come molti oggi denunciano. La situazione dell'Italia si sta pericolosamente avvicinando a quella di altri paesi nei quali la povertà non è più confinata a particolari fasce, a particolari tipi di popolazione, poiché sta diventando una questione che attraversa ceti sociali che in passato non erano colpiti da tale problematica. La povertà dei lavoratori, l'impoverimento del ceto medio è un fenomeno che sta capitando anche nel nostro paese. Insomma, l'Italia non sta bene. Non è certo un articolo di giornale che risolve i problemi di fondo dell'economia del nostro paese, ma è un'attenta valutazione delle sue condizioni.
Noi continuiamo ad assistere, colleghi, ad un atteggiamento che non comprendiamo e lo dico con riferimento ad una questione su cui è stato scritto abbondantemente sui giornali (è stato abbondantemente dichiarato dal ministro dell'economia e ripreso dal collega Romano nella sua relazione). Ci viene detto che i temi sollevati dall'opposizione sono sbagliati e che la situazione è migliore di quella della Francia e della Germania.
Colleghi, vi invito a prestare attenzione di fronte a questa affermazione. Non c'è alcun dubbio che il nostro paese vada meglio della Francia e della Germania per quanto riguarda l'indebitamento netto, è vero; andiamo però peggio di questi due paesi per quanto riguarda il debito, ma soprattutto per quel che riguarda la produttività del lavoro.
La nostra situazione è molto critica rispetto a quella dei due paesi per quanto riguarda la quota della nostra partecipazione all'andamento del commercio mondiale, che scende, e la quota di partecipazione al commercio mondiale delle economie francese e tedesca sale, anche se non di molto.
Noi andiamo peggio per quel che riguarda le capacità innovative del nostro sistema produttivo e lo registriamo clamorosamente nella differenza fra i brevetti che vengono registrati in Italia e quelli registrati in Francia e Germania, rispettivamente il triplo e il quadruplo rispetto a quelli registrati in Italia.
Sono queste le problematiche sulle quali dobbiamo riflettere e che ci fanno dire che in realtà le difficoltà strutturali dell'economia non le abbiamo affatto risolte; ed invece, quando apriamo il dibattito sulla sessione di finanza pubblica e di politica economica, dobbiamo fare i conti con tali questioni.
Invece, ed è la seconda notazione, di fronte a tali questioni come si colloca la legge finanziaria? Di fronte a tali questioni la legge finanziaria non affronta i problemi, non essendo, per dirla in termini popolari, né carne e né pesce; essa non mostra, - e non è la prima volta perché questa osservazione l'abbiamo svolta anche negli anni precedenti -, da che parte affrontare il problema, ovvero se sul fronte del rafforzamento della domanda, come chiede ancora sui giornali di questi giorni il presidente della Confcommercio, o dal punto dell'offerta e quindi della valorizzazione della produttività delle imprese.
C'è molta enfasi su entrambe le questioni; tuttavia non si comprende come siano collocate all'interno della legge finanziaria.
Faccio qualche esempio rapidamente: sul fronte della domanda, ovvero dell'aumento delle risorse disponibili per i consumi, soprattutto per i ceti che hanno una maggiore propensione al consumo e quindi quelli economicamente più deboli, in questa manovra di politica economica si prevede pochissimo: in particolare, la previsione dell'assegno per il secondo figlio, il reddito di ultima istanza e la proroga dell'IVA al 10 per cento in edilizia.
Non mi sembra, ricordatemele se sbaglio, che vi siano altre previsioni; ne cito soltanto una, ovvero la misura sull'assegno sul secondo figlio. Vorrei parlarne non dal punto di vista dello strumento di politica familiare - sono contento che sia previsto, (per inciso, non è strutturale ed hanno ragione tutti quelli che lo hanno criticato), - bensì dal punto di vista dei suoi effetti sulla domanda in termini economici.


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Vi leggo quello che ha detto l'ISTAT nel corso dell'audizione in Commissioni riunite bilancio di Camera e Senato.
Secondo l'ISTAT, parlando sugli effetti dell'assegno per il secondo figlio sui redditi della famiglia, le stime è effettuate mostrano come a beneficiare del provvedimento saranno poco più di un milione di famiglie, con un guadagno medio pari a 415 euro; tuttavia, per il complesso degli oltre 21 milioni di famiglie italiane, il reddito disponibile familiare aumenterebbe in modo insignificante, in media dello 0,07 per cento nel 2004 rispetto ad uno scenario a legislazione invariata. La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi familiari si ridurrebbe in modo quasi impercettibile.
L'ISTAT dice cose non molto diverse per quel che riguarda la questione relativa alla proroga dell'IVA al 10 per cento in edilizia, che definisce una misura neutrale.
Naturalmente, come è stato ricordato, non si affrontano - noi riteniamo invece che si sarebbero dovuti affrontare e il collega Michele Ventura ha citato le nostre proposte - i problemi degli incapienti, degli anziani non autosufficienti e via dicendo, quei problemi cioè che potrebbero consentire di utilizzare strategie di redistribuzione del reddito anche in funzione di sviluppo della domanda e, quindi, in funzione di volano dal punto di vista della crescita economica.
Non è che le cose vadano molto meglio sul fronte dell'offerta. Anche qui, se non ho capito male, la manovra di politica economica sostanzialmente affronta due questioni: da un lato, nel decretone, tutta la parte relativa alla ricerca e all'innovazione; dall'altra, nella legge finanziaria, una serie di norme piuttosto confuse sul made in Italy e sulla sua valorizzazione. Sapete che cosa vi avrei letto, invece della relazione dell'ISTAT, se avessi potuto portarvi la documentazione che non ho avuto il tempo di andare a cercare? Vi avrei letto l'intervento del presidente della Confindustria, durante la stessa audizione, il quale ha evidenziato l'insufficienza di questo approccio rispetto ai temi della crescita strutturale e della capacità competitiva del nostro paese, perché, come è stato ricordato anche negli interventi precedenti, questi provvedimenti riguardano un solo anno; naturalmente nessuno programma strategie con riferimento ad un solo anno, perché viene dimenticata la dimensione distrettuale che è l'unico quadro in cui possono crescere le piccole e le medie imprese anche dal punto di vista tecnologico e dell'innovazione!
Quindi, questa è la prima questione che volevo affrontare e cioè di come, rispetto ai temi di un paese la cui economia va male - e va male certo non soltanto per colpa del Governo, ma per una serie di ragioni -, non ci troviamo di fronte quest'anno, come negli anni precedenti, ad una strategia che sappia costruire un'azione di sostegno alla ripresa della crescita e dello sviluppo.
Vi è una seconda questione su cui voglio soffermarmi, rapidamente, perché ne hanno già parlato in tanti. Questa manovra di politica economica si colloca all'interno di un quadro strategico che ha largamente sottratto al Parlamento la possibilità di intervenire, di correggere, di migliorare e di costituire, come veniva ricordato, uno strumento di collegamento tra le proposte del Governo e le domande del sistema economico e del sistema sociale. Il Parlamento italiano ha sempre migliorato le manovre di politica economica e di finanza pubblica, dal punto di vista dei saldi e dal punto di vista dell'efficacia rispetto ai problemi economici che venivano affrontati. Quest'anno ciò non è possibile, ma non è possibile per una ragione molto semplice: al Parlamento viene impedito di discutere, di approfondire di svolgere quell'azione di miglioramento dei provvedimenti che gli vengono presentati. E questo perché, come anche autorevoli istituti congiunturali e la Corte dei conti hanno ricordato, la sostanza della manovra è nel decreto-legge, non è nella legge finanziaria! Una larga parte della copertura è infatti affidata al decreto e gli interventi di carattere strategico sono tutti all'interno del decreto che stiamo discutendo.


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Io contesto - l'ho già fatto in Commissione e la contesto di nuovo qui - l'interpretazione del Governo che emerge dalla relazione e che è stata ribadita dal sottosegretario Armosino, che noi ci troviamo in presenza di una qualunque ragione che determini l'urgenza, perché le procedure della sessione di bilancio e della legge finanziaria danno la garanzia del tempo entro il quale i provvedimenti vengono approvati e, quindi, non vi è nessuna ragione di urgenza per approvare prima provvedimenti che in realtà entrano in vigore, come la legge finanziaria, il 1o gennaio 2004!
C'era una sola ragione di urgenza in questo decreto-legge, l'elemento che a noi piace di meno. È evidente, tuttavia, che ciò andava fatto per decreto: il condono edilizio, infatti, non sì può realizzare con legge ordinaria. Tutte le altre parti di questo provvedimento sono certamente importanti e su di esse avremmo voluto discutere. Infatti, quelli riguardanti la trasformazione della SACE in società per azioni e la valorizzazione della nostra capacità competitiva all'estero sono temi che condividiamo. Forse, avremmo potuto fornire un contributo rispetto alle proposte che sono state presentate. Certamente, con la fiducia al Senato e con la fiducia annunciata anche alla Camera, ci è stata sottratta la possibilità di svolgere questa funzione.
Terzo punto del mio intervento. La strategia di finanza pubblica e di politica economica di quest'anno prosegue imperterrita sulle strade già battute negli anni precedenti: è tutta basata sulle una tantum.
Devo correggere, in tal senso, la pregevole relazione di minoranza del collega Michele Ventura che ha dichiarato che l'85 per cento delle entrate è dovuto a provvedimenti una tantum. Secondo i miei conti, si tratta dell'88 per cento (non c'è molta differenza ma si tratta di una percentuale superiore). L'88 per cento delle entrate di questa manovra, dunque, è dovuta a una tantum. Naturalmente, ci troviamo in presenza di un rapporto tra entrate una tantum e entrate strutturali significativamente peggiore rispetto a quello previsto nel documento di programmazione economico-finanziaria, nel quale si afferma che i due terzi della manovra sono determinati da entrate una tantum ma un terzo della manovra è determinato da entrate strutturali derivanti da risparmi strutturali. Così non è in realtà. Che sia l'85 o l'88 per cento non è molto importante, non è molto diverso, ma si può dire che più dell'85 per cento della manovra è determinato da entrate una tantum.
Ha ragione il relatore: non bisogna demonizzare le entrate una tantum e saper gestire in modo oculato ed intelligente una strategia che mette insieme entrate una tantum ed entrate strutturali o risparmi di spesa è un esercizio intelligente che deve essere svolto dall'azione di Governo e della politica economica e di finanza pubblica. Naturalmente, ci vuole equilibrio.
Cari colleghi, da un po' di anni andiamo avanti, basando tutte le nostre manovre sulle entrate una tantum. Da un po' di anni, inoltre, il commissario europeo per le questioni economiche e monetarie, Pedro Solbes Mira, ci invita a spiegare cosa faremo dopo e come risolveremo il problema di sostituire le entrate una tantum. Naturalmente, non siamo in grado di rispondere perché l'unica risposta che abbiamo è la mitica attesa della ripresa economica e della crescita economica. Sta diventando tardi! Signor rappresentante del Governo, poiché fino alla seconda metà del 2004 di ripresa significativa non si parlerà, sta diventando tardi! Non ci sarà più il tempo, non ci sarà un periodo di ripresa sufficiente per garantire la copertura di queste entrate.
Per quanto riguarda quest'anno, naturalmente, non mi soffermo, perché molti colleghi ne hanno parlato. Condivido completamente le cose sono state ricordate. Quest'anno, le entrate una tantum sono particolarmente odiose, perché sono basate tutte sul condono edilizio che ovviamente ha le caratteristiche negative che sono state ricordate.
Cosa bisognerebbe mettere al posto di questa strategia che basa tutto sulle entrate


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una tantum? Anche in questo caso, mi permetto di fare una citazione. Nella relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2002, vi è un passaggio, a mio avviso, particolarmente efficace che voglio richiamare.
In questo passaggio, la Corte dei conti mette in contrapposizione due diverse strategie di politica di bilancio. Lo leggo: sembrano, dunque, essersi contrapposte due diverse modalità di conduzione della politica di bilancio, la prima caratterizzata da una sorta di aggiustamento fine intorno ai progressi realizzati nel periodo precedente con limitate correzioni della pressione fiscale, in quanto consentite dalla riduzione del peso della spesa per interessi, e da misure concertate di razionalizzazione della spesa - la nostra idea di politica di bilancio -, la seconda caratterizzata dall'annuncio di tagli robusti del carico fiscale, da misure di dismissione patrimoniale affidate ad operazioni di cartolarizzazione, dalla creazione di canali paralleli per il finanziamento degli investimenti pubblici, dall'introduzione di rilevanti entrate una tantum.
Queste sono, secondo me, le contrapposizioni tra le due strategie. Noi registriamo, poi, il fatto che anche le politiche di bilancio seguite da questa maggioranza e da questo Governo rischiano di rivelarsi, alla fine, nient'altro che proclami perché, ad esempio, com'è già stato ricordato in questo dibattito, la proclamata riforma fiscale, con la riduzione del carico fiscale, che doveva vedere nella legge finanziaria il punto di sua attuazione, di sua realizzazione, in realtà, non ha visto niente (e lo stesso avviene per altre proclamate riforme).
Queste sono le mie osservazioni. Nell'avviarmi alla conclusione, signor Presidente, desidero evidenziare altre due questioni.
Prosegue la strategia della finanza creativa: ieri, abbiamo assistito alla trasformazione dell'ANAS in società per azioni; oggi, assistiamo alla trasformazione in società per azioni della Cassa depositi e prestiti. Invito ad una riflessione: non so se l'unica strada che abbiamo per risolvere i problemi, per rendere efficienti strumenti di intervento importanti sia quella della loro trasformazione in società per azioni. Stiamo trasformando tutto in società per azioni! Ora, io credo che l'utilizzo degli strumenti privatistici per gestire anche funzioni pubbliche sia una cosa possibile, auspicabile ed opportuna. Naturalmente, però, non bisogna esagerare perché, altrimenti, la trasformazione in Spa diventa una barzelletta - come secondo noi è - oppure diventa il modo per mettere sotto il tappeto un po' di polvere: come la trasformazione dell'ANAS, così la trasformazione della Cassa depositi e prestiti significa trasferire sotto la linea un po' di deficit pubblico, in maniera che non appaia, che non si veda!
Un ragionamento analogo vale per quel che riguarda la tendenza di questo disegno di legge finanziaria, che in ciò segue i precedenti, a fare annunci privi di sostanza. È stato ricordato dal collega Michele Ventura l'Istituto italiano di tecnologia. Io ricordo il pomposo articolo sul controllo dei prezzi ed il reddito di ultima istanza, che sono due annunci dietro i quali non c'è nulla: dietro il controllo dei prezzi, c'è una grida di utilizzo della Guardia di finanza e dietro il reddito di ultima istanza c'è un contributo dello Stato per la sua eventuale istituzione da parte delle regioni.
Allora, signor Presidente, io ho concluso. Il quadro che ci viene consegnato da questi provvedimenti è confuso, non affronta i problemi veri del paese e presenta, al suo interno, contraddizioni molto forti. Il collega Michele Ventura, relatore di minoranza, ha indicato le nostre proposte alternative. Naturalmente, le condivido in pieno e le richiamo anch'io come un punto di riferimento della nostra iniziativa per costruire concretamente la prospettiva di una politica economica e di una politica di finanza pubblica capaci di rispondere meglio ai problemi del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ho il piacere di dire ai colleghi che sono presenti il direttore, gli insegnanti, i genitori e gli alunni delle classi quinte della scuola elementare di Rionero in Volture (Applausi). Li saluto e voglio fare presente, giacché l'aula non è particolarmente affollata, che questo non avviene per disinteresse dei deputati, ma perché in queste circostanze, quando si tratta di discussione sulle linee generali, sono presenti, nel dialogo tra i deputati e il Governo e tra i deputati e il relatore e il presidente della Commissione, coloro che si sono iscritti a parlare e che, quindi, hanno un mandato dal loro gruppo per svolgere ciò che è necessario sia conosciuto nella discussione sulle linee generali.
Dico questo perché molte volte si dice che il Parlamento è disattento, ma non è così. In altre riunioni c'è affollamento, molte volte non c'è la stessa attenzione che ha dimostrato il collega Morgando sugli argomenti che sono all'ordine del giorno. Perciò, questa è la situazione.
Sospendo per cinque minuti la seduta, per corrispondere ad una richiesta avanzata dal rappresentante del Governo.

La seduta, sospesa alle 16,55, è ripresa alle 17.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.
È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, penso di non svolgere l'intervento che mi ero proposto di fare o quanto meno vedrò di ridurre al minimo indispensabile quello sul merito del provvedimento al nostro esame, non prima di rilevare, visto che sono stato rispettoso del fatto che il Presidente della Camera abbia inviato una lettera secondo la quale non si può intervenire sull'ordine dei lavori durante una discussione sulle linee generali, cosa che, invece, è accaduta poc'anzi; e mi dispiace che non siano presenti né il collega Violante né il collega Castagnetti che, dopo lo spot iniziale, hanno inteso lasciare l'aula.

GIANCARLO GIORGETTI. Lanciano il sasso e poi...

ANTONIO LEONE. Esatto. Dico questo perché la ratio sulla possibilità che venga posta la fiducia su questo decreto-legge si rinviene proprio in alcuni tipi di intervento che sono stati fatti in quest'aula successivamente, molti dei quali nulla hanno a che vedere con il merito del provvedimento. Si è parlato di tutto. Proprio il collega Lettieri, al quale sono legato da estrema simpatia, ha inteso sottoporci oggi tutta una serie di considerazioni di politica economica che riguardano, ad esempio, la Guzzanti a cui sembra fosse stato «tagliato» il programma televisivo addebitando ciò, forse, al Governo ma dimenticando che chi aveva inteso non mandare in onda il programma della Guzzanti era tal Ruffilli appartenente alla sinistra.

PRESIDENTE. Ruffini.

ANTONIO LEONE. Ruffini, che non appartiene certo alla maggioranza di Governo e sappiamo da dove proviene. Se il collega Lettieri avesse letto un articolo apparso sul Corriere della Sera avrebbe ben potuto individuare tutto un percorso di sinistra inteso ad evitare che la Guzzanti andasse in onda; poi c'è stata la retromarcia.

GIANCARLO GIORGETTI. Attieniti al tema.

ANTONIO LEONE. Mi sto attenendo ai temi che sono stati proposti qui, in quest'aula. Lo stesso collega Lettieri, nel momento in cui ritiene che la scelta del Governo, per quanto riguarda le scorie nucleari, sia stata fatta nella sua regione solo e soltanto perché è a conduzione ulivista, ha posto in allarme tutte le regioni a conduzione ulivista. Insomma, perché sto rilevando questo? Perché evidentemente non si può venire in quest'aula e dire che il Governo ci deve venire a dire se vuole o meno porre la fiducia su questo provvedimento. Mi si trovi un


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esempio, in legislature precedenti, in cui il Governo ha fatto presente di avere intenzione di porre la fiducia prima di porla, non dimenticando, tra l'altro, quando si è parlato, da parte del collega Castagnetti, di lesione della democrazia parlamentare, che nella scorsa legislatura durante il Governo Prodi uno - qui, occorre stare attenti con i numeri, per il numero di governi che ci sono stati - venne posta la fiducia su un provvedimento di riequilibrio della finanza pubblica (decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79), con zero votazioni, dato che non vi fu alcuna votazione per quanto si chiedesse di passare alle votazioni, cosa che, invece, era stata già fatta in precedenza: quindi, i precedenti c'erano. Lo stesso è avvenuto il 20 maggio del 1997 per quanto riguarda il provvedimento recante disposizioni urgenti per favorire l'occupazione, in cui i voti, anche in quel caso, sono stati pari a zero e sul suddetto provvedimento fu posta la fiducia. Ancora, il provvedimento concernente le misure urgenti per gli accertamenti in materia di produzione lattiero-casearia del 21 gennaio 1998 con zero voti e posizione della fiducia, e così via, anche perché non voglio richiamare tutti i precedenti delle venticinque questioni di fiducia poste durante la scorsa legislatura da parte del Governo Prodi e degli altri successivi Governi.
Allo stesso modo non ritengo si debba poi venire in questa Assemblea per chiedere al Governo di essere chiaro sulla posizione della questione di fiducia, «ricattando» il Governo ed affermando di voler ritirare le proposte emendative se esso dovesse mutare indirizzo. Si tratta di una cosa che, tra l'altro, non risponde neanche al vero, dal momento che, nella sua dichiarazione, il collega Castagnetti ha parlato di mantenere 20 emendamenti, ritirando i restanti: ritengo che non siano richieste da avanzare in questa sede, e forse neanche al di fuori.
Si è speculato su una serie di argomenti, e persino sull'assegno per i figli, sostenendo che è troppo poco, ma io devo dire che nelle precedenti finanziarie di sinistra non ho trovato traccia di provvedimenti di tale fatta e di tale natura.
Il decreto-legge al nostro esame per la sua conversione rappresenta una parte fondamentale della manovra finanziaria. La lesione della democrazia parlamentare, costituita dal fatto di avere incentrato la maggior parte della manovra in questo decreto-legge, completandola con il disegno di legge finanziaria, non è nuova a questo Parlamento: infatti, vi sono alcuni precedenti, e non va dimenticato che, nella maggior parte delle democrazie parlamentari, la manovra finanziaria ha quasi un valore del tipo «prendere o lasciare». Nel momento in cui si va nelle aule parlamentari, infatti, il Premier presenta la manovra finanziaria che intende attuare, ma se il Parlamento non l'accetta, il suo rifiuto equivale ad un voto di sfiducia: se dobbiamo rapportarci ad altre democrazie parlamentari - che richiamiamo solo quando ci conviene -, allora bisogna sottolineare questi aspetti.
Le misure complessive di finanza pubblica per il prossimo anno si inseriscono comunque in un contesto economico che rimane piuttosto difficile. L'attesa ripresa economica internazionale, infatti, ancora non c'è, e sembra che in Europa debba ancora venire; i tassi di sviluppo del PIL sono ancora molto bassi, e solo negli Stati Uniti si è avviata una ripresa che, tuttavia, ancora non sappiamo quanto potrà essere forte e duratura.
È evidente che una minore crescita del prodotto interno lordo nel periodo 2003-2004 comporterà effetti negativi sulle entrate tributarie, in quanto queste sono strettamente correlate con la dinamica del reddito nazionale. È per questa precisa ragione economica che vanno valutati positivamente gli interventi di questo decreto-legge e di questa manovra economico-finanziaria, come il condono edilizio, il quale consente di reperire risorse fresche per oltre 3 miliardi di euro e fa seguito ad analoghi provvedimenti straordinari, varati nei due anni precedenti.
L'obiettivo del decreto-legge al nostro esame, dello stesso disegno di legge finanziaria e degli altri provvedimenti citati è


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quello di contenere il disavanzo dello Stato in rapporto al PIL entro il 2,5 per cento: ricordo che è dell'altro giorno un segnale positivo in tal senso. A tale riguardo, occorre ricordare che importanti pesi dell'Unione europea, come la Germania e la Francia, nel 2002 hanno superato il limite massimo del rapporto tra deficit e PIL, fissato dall'Unione europea al 3 per cento, e con molta probabilità lo supereranno ancora nel 2003 e nel 2004, mentre l'Italia - questa tanto bistrattata Italia -, malgrado il rallentamento economico, si sta mantenendo e si manterrà al di sotto di tale limite massimo.
Non a caso tali paesi stanno esercitando forti pressioni sull'Unione europea al fine di ottenere una maggiore flessibilità rispetto al vincolo massimo del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, in quanto sostengono che una maggiore possibilità di intervento sulla spesa pubblica potrebbe facilitare la ripresa economica europea in genere. Si tratta di una richiesta che ha anche un fondamento logico, ma ci sembra curioso constatare come paesi come la Francia e la Germania - che ci guardavano dall'alto in basso nel momento in cui venivano definite le regole dell'Unione monetaria europea - ora si trovino nella scomoda posizione di dover chiedere deroghe sui limiti alla spesa pubblica da loro fortemente sponsorizzati e voluti proprio per mettere «in riga» - e forse, dico io, in difficoltà - il nostro paese.
Come dicevo poc'anzi, una parte importante della manovra è costituita dal condono edilizio. Si tratta di una misura che è stata oggetto di numerose critiche, anche oggi in questa Assemblea, e che certo - bisogna ammetterlo - non è stata varata «a cuor leggero». Nell'attuale situazione della finanza pubblica, tuttavia, il condono costituisce un male minore, perché non sana tutti quegli abusi che incidono realmente sulla qualità del paesaggio e del territorio, e dunque non procura un danno effettivo all'ambiente, come afferma invece una parte dell'opposizione.
D'altra parte, non bisogna dimenticare che le norme relative al condono prevedono anche finanziamenti e strumenti nuovi per accelerare la demolizione delle opere abusive insanabili.
Ciò nel quadro di una politica realistica che, comunque, sottopone ad un prelievo finanziario quella parte dell'abusivismo che può essere sanato, ma che contestualmente deve iniziare a produrre gettito. Tuttavia, bisogna anche far mente locale su tutto ciò che non è stato fatto da parte delle amministrazioni. Vorrei, se fosse possibile, che i comuni che oggi, in linea con l'opposizione, contestano il provvedimento adottato dal Governo in materia di condono edilizio ci venissero a dire quando e come hanno adottato i piani regolatori, quando e come hanno iniziato le procedure per l'abbattimento delle opere abusive. Evidentemente, il non voler abbattere ed il non volere il condono fa sì che si inculchi un sospetto in chi ha un minimo di esperienza concreta della vita e delle amministrazioni: mi riferisco alla volontà di tenere appese situazioni che possono servire evidentemente in determinati momenti in cui può servire chi ha commesso l'abuso.
Bisogna avere il coraggio di dire queste cose e di metterle in piazza, per far sì che, una volta per tutte, con l'accelerazione delle procedure prevista nel provvedimento e con la sburocratizzazione delle procedure di abbattimento (con riferimento alle opere che non potranno essere sanate ed a quelle che, invece, potranno essere messe in regola), si ponga fine ad un annoso problema che non è certo di questi giorni e dei giorni del Governo Berlusconi.
Il contenuto di questo decreto-legge non è esclusivamente finanziario: sono previste misure per rilanciare la ricerca e l'innovazione e favorire il rientro in Italia dei ricercatori che operano all'estero; vi sono, poi, misure dirette a favore della piccola e media azienda, come le agevolazioni per le società che intendono quotarsi in borsa; è prevista l'introduzione, in via sperimentale, della cosiddetta de-tax che consente la devoluzione ad associazioni che svolgono attività etiche di una quota pari all'1 per cento dell'IVA relativa


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ai prodotti che si acquistano. Di particolare significato sociale - checché se ne dica dall'altra parte - è l'assegno di mille euro alle donne residenti in Italia per ogni figlio successivo al primo nato nel corso del prossimo anno. Il tutto per incidere su uno dei fenomeni più preoccupanti che caratterizzano la nostra società italiana: il declino della natalità.
Vale anche la pena sottolineare l'importanza politica dell'articolo 23 del decreto-legge, che contiene misure volte a contrastare l'aumento eccessivo dei prezzi, potenziando l'attività di controllo della Guardia di finanza sul commercio (non potendo fare altro, perché non vi sono gli strumenti tecnici per addivenire a diverse soluzioni) e prevedendo la possibilità di rivedere gli studi di settore per quei settori merceologici che hanno fatto registrare aumenti dei prezzi al consumo del tutto ingiustificati. Ciò dimostra, evidentemente, l'attenzione del Governo e la sensibilità al disagio sociale prodotto dagli aumenti di alcuni beni e servizi essenziali praticati dopo il changeover lira-euro, che hanno inciso negativamente sulla qualità della vita di molti percettori di reddito fisso.
Per quanto riguarda la parte fiscale, è prevista per i soggetti che esercitano attività di impresa e di lavoro autonomo la possibilità di aderire al concordato fiscale preventivo per il periodo di imposta in corso e per il successivo. Si prevedono maggiori introiti per circa 3 miliardi e 600 milioni di euro nel 2004. Ai fini del contenimento della spesa farmaceutica vi è l'istituzione dell'agenzia italiana per il farmaco e sono introdotte misure di contenimento della spesa farmaceutica in maniera consistente.
Allo stesso modo, è prevista anche l'introduzione della tessera sanitaria del cittadino e la definizione di un diverso modello di ricetta medica, al fine di garantire il rispetto dei livelli massimi di spesa sanitaria.
Come si vede - e concludo - siamo di fronte ad un provvedimento complesso ed articolato, che si inserisce in una situazione economica italiana ed europea molto difficile. Tuttavia, tale provvedimento - come, peraltro, è avvenuto per le leggi finanziarie del 2000 e del 2003 - consentirà non solo di mantenere in equilibrio i conti pubblici, ma anche di proseguire in quella graduale azione di risanamento che è stata concordata in sede europea.
In parallelo, è prevista tutta una serie di misure di carattere sociale e di sostegno alle attività produttive e della ricerca tecnologica, al fine di dare un impulso alla ripresa economica del paese, anche nell'attuale quadro di difficoltà internazionale.
Vi è, dunque, in questa manovra finanziaria un impulso positivo allo sviluppo che si deve avviare non facendo solamente affidamento sulla ripresa europea e mondiale che certamente favorirà questa svolta.
Dobbiamo, in altri termini, fare in toto la nostra parte in modo da agganciare pienamente la ripresa europea al fine di cogliere fino in fondo tutte le opportunità di crescita che ciò ci offrirà.
È questo che il Parlamento è chiamato a sostenere, al di là di strumentalizzazioni anche su cose che la stessa opposizione ha sempre voluto. Non si può parlare di privatizzazione sfrenata o di trasformazione sfrenata in società per azioni perché si tratta di questioni iniziate e volute dai Governi di centrosinistra che oggi, solo perché le porta a compimento un Governo di centrodestra, non le condividono più. È questo che noi non vogliamo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signora rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il collega Antonio Leone di Forza Italia, poco fa, ha iniziato il suo velocissimo intervento facendo riferimento al dibattito sulla questione di fiducia introdotto in quest'aula dai colleghi Violante e Castagnetti. Il collega Leone, però, nel ricordare i precedenti di altri Governi e di altre legislature in materia di posizione della questione di fiducia, si è dimenticato di ricordare che non vi è precedente, nella


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storia parlamentare, di posizione della questione di fiducia sia al Senato (è già avvenuto) sia alla Camera (come avverrà tra poche ore) su un decreto-legge che è parte integrante della manovra economico-finanziaria. Questa è la questione gravissima che si sta prospettando e che, probabilmente, si realizzerà nelle prossime ore.
Signor Presidente, non ho intenzione di seguire il collega Leone in tale polemica, ma ne ho solo accennato garbatamente, anche perché i fatti parlano più di qualunque parola. Per le questioni di carattere più generale mi richiamo agli interventi svolti in quest'aula dalla collega Zanella e da altri colleghi del centrosinistra. In particolare, ringrazio il collega Mariotti che mi ha consentito di anticipare il mio intervento.
Vorrei attirare l'attenzione del Governo, dell'Assemblea e di chi ci ascolta soprattutto sull'articolo 50 del decreto-legge in esame che reca: Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie. La rubrica di tale articolo è quasi asettica e, magari, ascoltandola così, potrebbe anche apparire condivisibile. Invece, su tale articolo si è incentrata, in questi giorni, non solo l'attenzione delle forze politiche dell'opposizione che hanno presentato emendamenti soppressivi o interamente sostitutivi del suddetto articolo, ma anche quella del garante per la protezione dei dati personali. Si tratta di una di quelle autorità di garanzia nel nostro paese che godono di indipendenza proprio perché devono sovrintendere alla tutela di diritti fondamentali: in questo caso i diritti della cosiddetta privacy.
Signor Presidente, per una volta, in quest'aula, non parlerò con le mie parole, ma dapprima con quelle del presidente dell'Autorità di garanzia per la protezione dei dati personali e, poi, con alcuni commenti più espliciti di un autorevole opinionista pubblicati su un quotidiano oggi in edicola.
In data 12 novembre il professor Stefano Rodotà ha inviato a me come presidente del gruppo misto, ma suppongo che l'abbia fatto anche con gli altri capigruppo parlamentari, sia di maggioranza, sia di opposizione, una lettera molto garbata, cortese ed equilibrata che nel contenuto solleva, però, questioni molto allarmanti. Ciò non solo con riguardo al rapporto tra Governo e Parlamento, tanto più se verrà posta la questione di fiducia che bloccherà tutto, ma soprattutto al rapporto tra il Governo e la totalità dei cittadini, qualunque sia il colore politico di questi ultimi.
Leggo la lettera del professor Rodotà e, per una volta, lo farò nel dettaglio perché vorrei che una lettera inviata correttamente ai capigruppo parlamentari si traducesse in una documentazione parlamentare poi accessibile a chiunque.
«In relazione all'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, il garante per la protezione dei dati personali, nell'esercizio dei suoi doveri istituzionali, richiama particolarmente l'attenzione sui contenuti di tale norma, che prevede modalità nuove per il trattamento dei dati relativi alle prescrizioni farmaceutiche ed alle prestazioni specialistiche.
Nella relazione che accompagna il decreto si sottolinea che "l'articolo 50 prevede disposizioni per l'accelerazione della liquidazione dei rimborsi ai soggetti erogatori di servizi sanitari nonché per il monitoraggio e controllo della spesa sanitaria". Tali finalità, sicuramente apprezzabili per l'obiettivo di un più razionale controllo della spesa sanitaria, sono tuttavia perseguite, a giudizio del garante, attraverso una strumentazione che violerebbe il diritto dei cittadini alla protezione dei dati personali per quanto riguarda le informazioni riguardanti la salute, giustamente considerate dal legislatore come particolarmente "sensibili", e quindi assistite da particolari e forti garanzie.
La costituzione di banche dati centralizzate, in cui confluirebbero tutti i dati riguardanti le prescrizioni di farmaci e di prestazioni specialistiche, appare in contrasto con il principio di proporzionalità, che impone, appunto, una valutazione del rapporto tra finalità perseguite e mezzi adoperati (simili banche dati non esistono


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in alcun altro paese). La legislazione vigente già prevede procedure per il monitoraggio della spesa sanitaria, che certamente possono essere rese più efficienti (permettendo, ad esempio, un rapido accertamento dei requisiti che danno diritto all'esenzione), ma che non possono tradursi in una non necessaria compressione del diritto alla protezione dei dati personali. Una scelta del genere contrasterebbe con l'orientamento appena assunto da Governo e Parlamento adottando il Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) e con quanto disposto dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla direttiva europea 95/46.
Nella norma in questione, in particolare, viene prevista la costituzione di un separata banca dati contenente il codice fiscale di tutti gli assistiti. Della pericolosità di tale banca dati sembra consapevole il legislatore» - in questo caso il legislatore d'urgenza, cioè chi ha emanato il decreto-legge e quindi il Governo - «tanto che, al comma 10, si dispone che «al Ministero dell'economia e delle finanze non è consentito trattare i dati rilevati dalla Tessera del cittadino degli assistiti». Questa garanzia appare, tuttavia, del tutto insufficiente, dal momento che la semplice esistenza di tale archivio conserva nel sistema la possibilità di risalire (ad opera di soggetti diversi dal Ministero dell'economia e delle finanze?) all'identità dell'assistito e quindi all'intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche. Altrimenti, una volta vietata l'utilizzazione di quei dati, a che fine conservarli? Se il Ministero dell'economia e delle finanze intende mettere a punto un sistema di controllo conforme a quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati personali, l'unica soluzione corretta è quella di escludere il trattamento di qualsiasi dato identificativo degli assistiti, costituendo eventualmente un archivio di soli dati anonimi.
Peraltro, se non si adottasse questa soluzione, si correrebbe concretamente il rischio di introdurre nel sistema giuridico una disciplina che discriminerebbe i cittadini in base al loro censo. Infatti, come già il garante segnalava nella relazione 2002, sfuggirebbero ad ogni forma di "schedatura" solo i cittadini che, potendo pagare direttamente farmaci e prestazioni specialistiche, non vedrebbero i loro dati personali inseriti in alcun archivio. La protezione dei dati personali si trasformerebbe così in un privilegio sociale, con palese violazione del principio di eguaglianza.
Il Garante sottolinea poi che, a parte le questioni riguardanti le competenze regionali, la strumentazione prevista rischia di aggravare il disordine e la confusione esistenti nel settore delle tessere o carte elettroniche identificative, dove una quarta tessera si aggiungerebbe a quelle già annunciate o in via di faticosa sperimentazione (carta di identità elettronica, carta dei servizi, carte sanitarie), con possibili rischi di indebolimento della protezione dei dati personali a causa della loro disseminazione».
Fin qua - signor Presidente, colleghi - la lettera scritta in punta di penna con grande equilibrio, garbo e rispetto dal professor Rodotà nella sua veste di Presidente dell'Autorità per la garanzia e la protezione dei dati personali. Lettera il cui contenuto è, francamente, molto allarmante e, a mio avviso, dovrebbe allarmare - e mi fa piacere che in questo momento il Presidente di turno sia il collega ed amico Alfredo Biondi - anche tutti quei settori della maggioranza che si ispirano ad una cultura liberale, ad una cultura di tutela dei diritti civili e dei diritti dei cittadini in quanto tali, a prescindere dal censo e dall'appartenenza politica.
Queste tematiche - me ne sono accorto venendo proprio qui alla Camera - sono affrontate in un'autorevole ed esplicito commento che compare su la Repubblica di oggi, 17 novembre, nella rubrica «Linea di confine», ad opera dell'opinionista Mario Pirani.
L'articolo, che riguarda lo stesso argomento, è intitolato «Sanità, Tremonti scopre il grande fratello». Ho già detto che, per una volta, il mio intervento oggi si traduce in una trasposizione negli atti


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parlamentari e nella trasmissione a coloro che ci ascoltano di questo duplice allarme giuridico e istituzionale da parte della presidente dell'Autorità per la garanzia e la protezione dei dati personali e da parte di un autorevole opinionista che, chi lo conosce, sa trattarsi di persona in genere non incline a posizioni demagogiche e a strumentalizzazioni di carattere ideologico.
Leggo dunque questo articolo in forma pressoché integrale: bisognerebbe tornare indietro di quasi vent'anni, al regime sovietico, ad un tempo autoritario, burocratico ed inefficiente, per trovare qualcosa di simile al meccanismo che è stato escogitato dal ministro Tremonti allo scopo asserito di monitorare la spesa sanitaria, nonché di valutare l'appropriatezza delle prescrizioni, campo quest'ultimo, dove nulla dovrebbe avere a che fare il dicastero dell'Economia, ricadendo la problematica terapeutica nella competenza delle ASL, degli assessorati regionali e del ministero della Sanità. - io correggo della salute - Ma l'onnivoro titolare di via XX Settembre ha inserito nel decretone di accompagnamento della Finanziaria, la cui conversione in legge è da oggi in votazione alla Camera, un articolo, l'articolo 50, di cui quasi nessuno si è accorto in mezzo a tante voci di vario genere, che istituisce una gigantesca banca dati centralizzata dove dovranno confluire in tempo reale, per via telematica, copia di tutte le ricette e di tutte le prescrizioni sanitarie rilasciate quotidianamente in ogni angolo del Paese. Ogni singolo medico, ogni farmacista, ogni ospedale, ogni clinica, ogni laboratorio e dispensario, ogni istituto universitario dovrà mettersi in rete e trasmettere al grande fratello orwelliano installato a Roma, tramite appositi codici a barre e altri marchingegni, nome, cognome, codice fiscale del paziente e del medico, numero e tipo dei farmaci nonché degli accertamenti specialistici prescritti.
All'uopo, oltre alle decine di migliaia di terminali da installare e ai milioni di nuovi ricettari standardizzati e controllati numericamente da distribuire a medici e strutture, tutti gli utenti dovranno essere forniti di una apposita «tessera del cittadino», comprendente il codice fiscale e altri dati, che si aggiungerebbero alla già annunciata carta d'identità elettronica, alla «carta dei servizi» predisposta dal dipartimento per l'innovazione, alla tessera sanitaria in via di attuazione. Questa tessera del cittadino (Tc) dovrebbe servire come interfaccia elettronica indispensabile per accedere al servizio sanitario nazionale. I soli liberi da questo obbligo sarebbero quei privati disposti a pagare tutto di tasca loro. In questo caso non solo la liberazione dalle pastoie burocratiche, tanto gravose in sanità, ma la possibilità di proteggere i propri dati personali, rappresenterebbe un privilegio per i più abbienti. Con palese violazione costituzionale. Del resto - viene qui ripreso il parere del professor Rodotà - il garante della privacy ha ripetutamente fatto presente ai legislatori che lo strumento escogitato al fine di un più razionale monitoraggio della spesa sanitaria e al necessario perseguimento delle irregolarità, soprattutto in materia di esenzioni, può essere efficacemente affrontato con mezzi più consoni e meno invasivi. Basterebbe, ad esempio, stabilire una copia elettronica delle ricette, trasmesse (questo sì) attraverso uno standard unico nazionale, ma solo e direttamente alle ASL interessate, obbligando queste ultime ai controlli eventuali. Non certo ricorrendo a banche dati centralizzate. Anche l'impegno, inserito nell'articolo 50, del Ministero dell'economia a «non trattare i dati acquisiti» appare al garante tale da non escluderne la pericolosità: «La semplice esistenza di tale archivio conserva, infatti, la possibilità di risalire dal codice fiscale, e quindi dall'identità dell'assistito, all'intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche». Quello che il Parlamento si appresta a votare è quindi, oltre ad una mostruosità burocratica, un attentato alla tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Inoltre è scandaloso che un paese dove ormai negli ospedali mancano i finanziamenti essenziali, dove il gravame sui più poveri e ai più anziani cresce ogni giorno per i tagli imposti dal Governo,


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decida di spendere centinaia di milioni di euro per impiantare una costosissima struttura elettronica, con la scusa di voler controllare meglio se qualcuno approfitta delle esenzioni o se qualche medico prescrive troppi farmaci. Come non pensare - si chiede Pirani - che si voglia, invece, mettere su un lucroso business? Chi produrrà, ad esempio, i sessanta milioni di tessere del cittadino? Chi la rete di apparecchiature e collegamenti telematici? Quali guadagni aggiuntivi verranno alle società di telecomunicazioni dalla trasmissione quotidiana di milioni di dati? In nessun paese del mondo un meccanismo di questo tipo è stato introdotto. Si facciano sentire in queste ore le associazioni del mondo sanitario laiche e cattoliche, i sindacati, la sinistra - dice Pirani - sin qui disattenta, la destra di buon senso per far cancellare questo nefasto articolo 50 dal decretone finanziario".
Ripeto che in realtà, insieme con altri gruppi dell'opposizione, abbiamo presentato un emendamento soppressivo all'articolo 50, ma l'appello finale che ho testé letto affinché si facciano sentire trasversalmente a livello politico e anche sul piano sociale e direi culturale voci di totale dissenso rispetto a questa schedatura di massa sul piano sanitario è valido, e lo faccio mio. È evidente che se verrà posta la questione di fiducia mantenendo l'articolo 50, l'appello sarà fatto cadere nel vuoto da parte del Governo e della maggioranza, ma non da parte dei cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.

ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, in questo dibattito senza confronto che portiamo avanti non rinunciamo a sostenere le nostre opinioni, a cominciare dalla relazione di minoranza e dagli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Né vale il richiamo del collega Leone a precedenti in materia di questione di fiducia, in quanto ritengo che ogni comportamento debba essere contestualizzato per comprendere bene cosa stia accadendo.
Voglio dunque ricordare che oltre un anno fa, alla fine della discussione sulla legge finanziaria qui alla Camera, di fronte allo stato di frustrazione dei parlamentari sia di minoranza sia di maggioranza - lo ha precedentemente ricordato anche il sottosegretario - vi è stata un'iniziativa politica ad opera dei presidenti delle Commissioni bilancio di Camera e Senato per avviare in forma sperimentale un nuovo metodo per la sessione di bilancio.
L'obiettivo era restituire dignità al Parlamento nell'esame di un provvedimento così importante e produrre un vero confronto tra le diverse proposte di politica economica e finanziaria, riportando la legge finanziaria e il bilancio dello Stato al rango qualificato dalla legislazione.
Si parlò di accordo tra gentiluomini, di un'intesa tra maggioranza, minoranza e Governo, senza anticipare la modifica della legislazione sulla sessione di bilancio. Questa iniziativa coinvolse in un'attiva opera anche i Presidenti di Camera e Senato. La risoluzione con la quale la Camera dei deputati approvò il documento di programmazione economico-finanziaria prevedeva uno specifico richiamo a questa intesa tra gentiluomini, che avrebbe dovuto esserci in occasione della sessione di bilancio per l'anno 2004. Il Governo, per tutta risposta, ha adottato la manovra finanziaria pubblica per il 2004 con un decreto-legge. Lo stesso è stato convertito in legge al Senato con un voto di fiducia e tutti sappiamo che accadrà la stessa cosa qui alla Camera.
Come dobbiamo definire il comportamento del Governo? Come esce da questa vicenda il Parlamento? È troppo parlare di espropriazione delle funzioni e delle prerogative del Parlamento?
Certamente è una mortificazione per noi tutti, ma, soprattutto, io penso che si tratta di una scorrettezza istituzionale nei confronti dei presidenti delle Commissioni bilancio di Camera e Senato, ma ancor di più nei confronti dei Presidenti della Camera e del Senato.


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Signor Presidente, colleghi, noi parlamentari dell'opposizione, pur sapendo che la partita vera si giocherà nella società, nel paese, dove si costruirà l'alternativa a questo Governo, stiamo partecipando a questo dibattito, così come abbiamo fatto in Commissione, seppure in tempi strettissimi, non certo perché il Governo possa cambiare atteggiamento - di questo siamo consapevoli - bensì per rispetto del Parlamento e degli italiani che ci hanno delegato a rappresentarli.
È già stato ricordato, ma io voglio citare una ricostruzione che il collega Rossi ha svolto tempo fa in un suo articolo, come ci sia stato un altro precedente in cui un Governo ha fatto ricorso ad un provvedimento di urgenza per varare la manovra finanziaria. Era il settembre del 1992 ed il Governo era presieduto da Giuliano Amato: va ricordato, però, che in sede di sessione di bilancio il tutto venne riunificato nella legge finanziaria, per cui l'anticipazione per decreto-legge fu fatta per quei punti di finanza e sui conti pubblici che dovevano essere corretti in quel momento perché non si poteva attendere il 1o gennaio. Allora, però, in Italia il quadro macroeconomico dei conti pubblici era il seguente: dal 4 al 17 settembre il tasso ufficiale di sconto fece un balzo notevole e la lira si trovò ai livelli di guardia; successivamente la svalutazione fu del 35 per cento in un sol colpo; la lira, dopo tale svalutazione, uscì dal sistema monetario europeo. Il 19 settembre il Governo varò una manovra economica di 93 mila miliardi di lire ed i principali effetti furono anticipati con un decreto-legge che il Parlamento convertì il 14 novembre dello stesso anno. I contenuti di quella manovra furono lacrime e sangue: tagli all'assistenza sanitaria, interventi in materia previdenziale, blocco degli stipendi, blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, istituzione della minimum tax.
A distanza di undici anni sembra che non sia cambiato niente. Vi è una replica da parte del Governo Berlusconi-Tremonti ed a questo momento non abbiamo capito ancora perché. Come stanno le cose riguardo ai conti pubblici? La situazione è drammatica così come lo era nel 1992, tanto da fare una finanziaria per decreto-legge? Se così è, io credo che il Governo farebbe bene a fare una dichiarazione, giustamente in questo caso, a reti unificate per spiegare al paese la situazione in cui versa.
Il paese, anzi lo Stato, rischia lo stato di insolvenza? È a rischio, come allora, il pagamento delle pensioni o degli stipendi ai dipendenti pubblici? Insomma, l'Italia è sull'orlo della bancarotta oppure no?
Se è così, è chiaro che la responsabilità non può che essere attribuita a voi, a Berlusconi, al suo Governo e alla sua maggioranza, che aveva promesso il nuovo miracolo e ha fatto la campagna elettorale in quel modo e con quella promessa. Infatti, quella del 2001 era un'Italia con forte potenzialità di sviluppo ad opera del Governo di centrosinistra che aveva perseguito il risanamento, soprattutto morale, di questo paese. Lui, in solo due anni e mezzo, ha sciupato questo patrimonio materiale ed immateriale.
Se le condizioni del paese non sono così drammatiche - e noi, pur sottolineando le difficoltà, siamo per questa seconda tesi - ciò significa che il Governo ha paura e non si fida della sua maggioranza: questo è il nodo. Quindi, l'appello del presidente Violante e dell'onorevole Castagnetti, questo togliere di mezzo qualsiasi ostacolo e qualsiasi giustificazione da parte delle minoranze perché il Governo possa giustificare un secondo voto di fiducia hanno questo senso. Noi vogliamo far emergere con chiarezza che questo Governo non si fida ed ha paura della sua maggioranza: in questo senso, per coprire le divisioni interne e una crisi politica che paralizza oramai Governo e maggioranza si ricorre a raffiche di voto di fiducia. Una cosa è certa: fino a questo punto del dibattito nessuno ci ha ancora ha spiegato quale tipo di urgenza ha costretto il Governo ad adottare per decreto alcune decisioni. Sulle nuove disposizioni sui fondi di garanzia ed i consorzi fidi noi condividiamo il fatto che c'era bisogno di questa riforma, tuttavia, ciò si poteva fare con una legge ordinaria, facendo partecipare il


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Parlamento alla definizione delle nuove norme e soprattutto ascoltando le categorie che sono fortemente allarmate rispetto ai contenuti di questo decreto. Riguardo agli incentivi per il rientro in Italia dei ricercatori residenti all'estero - l'ha ripetuto ora il collega Antonio Leone -, che è un provvedimento molto importante, sembra non risulti, non solo a noi, ma a nessuno in Italia, nemmeno alla polizia, che vi siano delle code alle frontiere per rientrare: quindi, non c'è nessun allarme da parte del Ministero dell'interno. Anzi, abbiamo invece notizia di 1700 ricercatori che, dopo aver vinto un regolare concorso in enti di ricerca e nelle università italiane, si vedono bloccate le assunzioni e minacciano - loro sì - di andare all'estero; pertanto, c'è un flusso al contrario.
Quale condizione straordinaria ed urgente ha imposto l'entrata in vigore per decreto dell'Istituto italiano di tecnologia, come è stato già detto dal relatore di minoranza, onorevole Ventura, oppure la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in Spa, così come è stato fatto, in modo raffazzonato. Mi spiace che alcuni pareri non vengono nemmeno riportati in quest'aula. Mi riferisco a quelli delle Commissioni di merito, ma anche al parere del Comitato per la legislazione, che non so se qualcuno ha letto (il relatore non ne ha fatto cenno ed il Governo nemmeno in questa replica preventiva che ci ha fatto). Il Comitato per la legislazione, sulla tecnica legislativa di questo decreto, ha prodotto quattro o cinque pagine di osservazioni, soprattutto partendo da un punto: dal fatto che in questo provvedimento ci sono materie disomogenee, che è la prima condizione che abbiamo sollevato quando abbiamo detto che esso non era costituzionale. Dopo di che il Comitato fa una serie di osservazioni, articolo per articolo, sugli errori di riferimento legislativo che creeranno una confusione enorme nella legislazione italiana. Io credo che dovremo metterci mano diverse volte per rimettere ordine sul piano proprio tecnico-legislativo a questa questione. Nessuno ne fa cenno e quindi credo che a questo punto si può sciogliere il Comitato per la legislazione oppure è bene che prima della fine della votazione di questo provvedimento qualcuno prenda atto di quelle osservazioni.
Come è scritto nella relazione alla legge finanziaria, la manovra è articolata su tre strumenti: il decreto, la legge finanziaria, la «controriforma» previdenziale che dovrebbe scattare nel 2008, come è stato ricordato. Tuttavia, su questo tema voglio tornarci un momento: se questa è una manovra sbrigativa del Governo, del ministro Tremonti, nei confronti dell'Unione europea, noi tutto questo potremmo anche accettarlo.
Se questo è il metodo, si può accettare. Se, invece, si dovesse trattare di una proposta vera tesa al raggiungimento di un obiettivo nei conti pubblici, vi sbagliate di grosso.
Sottosegretario Armosino, lei dice che il decreto-legge in esame serve per avere certezza nei conti pubblici. Voi fate affidamento sulla permanenza al lavoro dei lavoratori che hanno maturato l'età pensionabile, quindi la pensione (che verrà comunque conteggiata), e che poi nel gennaio 2004 continueranno a lavorare perché è previsto un incentivo. Fate questo dopo aver dimenticato che voi stessi avete varato un provvedimento sbagliatissimo, che abbiamo contestato, quello di togliere il divieto di cumulo tra la pensione ed il salario.
Spiegatemi quale lavoratore, bisognerebbe dargli una medaglia, rinuncerà al doppio stipendio per ricevere solo l'aumento del 40 o 37 per cento. Ciò non produrrà alcun effetto nel gennaio 2004, ma, al contrario, creerà un certo allarme tra le parti sociali e nel sindacato e la litigiosità, il disagio e lo scontro sociale arrecheranno danni anche all'economia italiana.
Questo è il motivo per cui si tratta di una norma sbagliata; inoltre, la suddetta sta accelerando il processo di pensionamento, anche con riferimento ai provvedimenti di mobilità lunga di accompagnamento alle pensioni. Sono tante le aziende che hanno aperto la procedura di mobilità lunga e tanti i lavoratori che vanno in pensione non a 57 anni, come oggi prevede


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la normativa, ma a cinquant'anni, con il meccanismo del prepensionamento e della mobilità che accompagna alla pensione, creando un danno enorme all'INPS ed all'economia nazionale.
La manovra di finanza pubblica per l'anno 2004, secondo il documento di programmazione economica e finanziaria e la nota di aggiornamento, è complessivamente di 16 mila milioni di euro.
Con il decreto-legge, secondo i dati del Governo, come risulta dal testo approvato al Senato, si fa una manovra di 14 mila e 685 milioni di euro, come ha detto il relatore di minoranza Ventura (siamo oltre l'85 per cento). Questo decreto-legge, nell'anno 2005, dovrebbe produrre 9 mila milioni di euro e, nel 2006, 9 mila e 537, ma questi dati, che proverò a confutare, non danno alcuna certezza per quanto riguarda le entrate.
I benefici sui conti pubblici per l'anno 2004 proverrebbero dalle seguenti disposizioni: dalla trasformazione della Cassa depositi e prestiti si avranno 2.500 milioni di euro; dalla valorizzazione e cessione degli immobili, 5 mila milioni di euro; dal condono edilizio conseguirebbe il malloppo di 3.500 milioni di euro; dal concordato, 3.500 milioni di euro, dai videogiochi, la cifra di 650 milioni di euro, l'unica somma ripetibile rispetto a questa manovra (non è un'entrata una tantum).
Le stesse cifre più o meno vengono previste in questo decreto-legge per gli 2005 e 2006, ma, al riguardo, occorre affidarci alla fortuna, perché chi fa il condono nel 2004 non credo lo rifarà nel 2005, a meno che non incentiviamo l'abusivismo con questo metodo, come se si volesse dire: fate gli abusi che poi li potete condonare, perché si ha bisogno di soldi. Mi pare veramente molto azzardato sostenere ciò.
In merito alla quantificazione, alla copertura finanziaria del decreto-legge e dei singoli articoli, che spesso sono delle vere e proprie proposte di legge separate, come già detto, vorrei esprimere alcune considerazioni. In particolare, sono stati sollevati dubbi e rilievi sulla sua correttezza e prudenzialità che il Governo né in Commissione né in aula, come emerso nel corso dell'intervento del sottosegretario, ha chiarito. Per certi aspetti, ha aumentato in noi la preoccupazione rispetto ai conti pubblici. Si fa fronte a spese in conto corrente, con entrate in conto capitale, senza rispettare la normativa con riferimento alla stessa natura contabile delle entrate e delle uscite.
Le entrate impegnate per coprire la spesa non presentano lo stesso profilo temporale rispetto alle uscite, per cui si verificheranno certamente disallineamenti temporali tra entrate ed uscite che produrranno maggiori oneri, non quantificabili oggi, per la finanza pubblica.
Per le misure contenute in diversi articoli si prevedono coperture finanziarie provenienti da maggiori entrate ipotizzate nel provvedimento stesso, senza precisare a quali entrate specifiche si faccia riferimento. Non soltanto si prevedono coperture non previste dalla vigente disciplina contabile, che puntualmente ha rilevato il servizio bilancio dello Stato della Camera, ma non si tiene conto del fatto che questo decreto-legge interviene su materie molto disomogenee, per cui è scorretto prevedere coperture «intrecciate» senza fare chiarezza sulla specificità e sulle stesse destinazioni.
Sono stati sollevati dubbi, non chiariti fino ad ora, sia sulle quantificazioni delle minori spese che produrrà la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in Spa, sia soprattutto su quale rapporto questa nuova Cassa depositi e prestiti quale società per azioni avrà nei confronti della finanza pubblica.
Vorrei fare alcuni esempi: l'articolo 14 tocca nuovamente la gestione dei servizi pubblici locali e modifica l'articolo 35 della legge finanziaria 2002. La relazione tecnica non considera questo articolo, dicendo che non produce effetti sulla finanza e sui conti pubblici.
Vorrei ricordare che l'articolo 35 della legge finanziaria per il 2002, nella relazione tecnica, stimava economie di spesa pari a cento, duecento e trecento milioni di euro rispettivamente per gli anni 2002, 2003 e 2004. Due allora sono le cose: o la


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relazione tecnica che accompagnava la legge finanziaria per il 2002 era falsa oppure è falso quello che si dice nella relazione tecnica di questo decreto-legge rispetto a tale versante.
All'articolo 16, commi 2 e 3, relativi alla copertura finanziaria delle agevolazioni sul gasolio per autotrazione e sui pedaggi autostradali, la copertura stessa viene prevista in modo non conforme perché si utilizza il fondo di rotazione per le politiche comunitarie, senza assicurarsi della effettiva sussistenza del fondo stesso. Questo comportamento è suscettibile di produrre certamente un aggravio sul bilancio dello Stato.
Infine, per la valorizzazione e privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (previste agli articoli dal 26 al 30 del decreto-legge) si prevedono importi rilevanti nelle entrate per effetto delle dismissioni. Si tratta di entrate una tantum: noi, per inciso, pensiamo che si sarebbero dovute utilizzare per abbattere il debito strutturale, mentre voi le utilizzate per la spesa corrente e quindi per la gestione relativa all'anno 2004.
Ciò che però vorrei far rilevare è che la dismissione degli immobili viene prevista in modo progressivo, mentre la spesa per far fronte agli affitti degli spazi che continueremo ad occupare per uffici pubblici viene considerata invariata. Due sono le questioni: o chiudiamo i ministeri e gli uffici pubblici oppure su questo disallineamento occorre fornire qualche chiarimento.
Si è tanto parlato - vi faceva riferimento anche il collega Antonio Leone - del provvedimento una tantum per i secondi figli. Si è discusso se l'entità fosse sufficiente o insufficiente: sicuramente la cifra di mille euro per ogni figlio mi sembra veramente inconsistente, soprattutto dopo che questa maggioranza ha prodotto un Libro bianco sulla famiglia, curato dall'onorevole Sestini per conto del ministro del welfare, nella cui indagine sui consumi delle famiglie si individuano le rispettive percentuali di povertà in base ai figli a carico.
Questo Libro bianco indica che il 9,4 per cento delle famiglie con figli a carico risultano povere.
Il 14 per cento delle famiglie con due figli a carico e il 24,5 per cento delle famiglie con tre figli a carico risultano povere. Non credo che risolveremo questa condizione di povertà - io sto ai dati elaborati in questo Libro bianco sulla famiglia - con queste misure una tantum di mille euro, perché lo stesso Libro bianco quantifica che il costo mensile per un figlio va dai 500 agli 800 euro. Dare mille euro per tutta la vita, è veramente bassa propaganda! Il Governo, ignorando perfino i suoi studi e le analisi che ha svolto sulla famiglia, ha stabilito che per far diventare adulto un figlio, ci vogliono mille euro!
Sulle entrate, voglio ricordare quello che hanno già prodotto le entrate una tantum, soprattutto i condoni - il condono fiscale e adesso anche il concordato preventivo -, che sono delle regalie vere e proprie agli evasori e che hanno già fatto tanto danno al sistema delle entrate ordinarie in questo paese, tant'è che in questo anno, nella legge di assestamento, noi abbiamo rilevato che l'IRPEF è scesa di 4 miliardi e 600 milioni di euro, le imposte sostitutive sono diminuite di un miliardo e 200 milioni di euro. Vi è un crollo delle entrate, nonostante le entrate una tantum per quanto riguarda i condoni e le sanatorie di 6 miliardi e 300 milioni di euro! Quindi, le entrate totali sono diminuite per effetto dei crolli veri e propri delle entrate ordinarie e questo è il prodotto di una politica fiscale che premia gli evasori.
Il condono edilizio è un vero e proprio premio agli speculatori. Il sottosegretario poco fa, nel suo intervento, ha detto che bisogna essere disincantati e comunque prendere atto della situazione che c'è nel paese. Io non sono per niente d'accordo a prendere atto di una situazione di illegalità! Dove c'è una situazione di illegalità noi abbiamo il dovere di intervenire, non di prenderne atto! Questo mi sembra sia il punto. Credo che l'atteggiamento del Governo, che si è concretizzato con questo


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provvedimento di condono edilizio, sia un atteggiamento che va a premiare gli speculatori, anche con la modifica apportata al Senato: quando parliamo di tremila metri cubi, stiamo parlando di palazzi, non di abuso o di necessità.
Un'altra misura mi ha colpito molto e vorrei metterla insieme a queste due, condono edilizio da una parte e concordato preventivo dall'altra: il recupero dei 900 milioni di euro attuato con l'articolo 44 di questo decreto-legge nei confronti dei lavoratori in cassa integrazione dal 1993 al 2002. Un intervento retroattivo, che passa sotto la dicitura di interpretazione autentica e stabilisce che la cassa integrazione guadagni deve essere distribuita in dodici mensilità anziché tredici. Tutto questo porterà un'entrata di 900 milioni di euro per il bilancio dello Stato. Si premiano quindi i furbi e i disonesti e si infierisce sui cassintegrati e sulla povertà diffusa.
Stesso trattamento rigoroso anzi vessatorio viene riservato agli invalidi civili e ai lavoratori esposti all'amianto, rispetto ai problemi dei quali diciamo che bisogna trovare una soluzione (ne ha parlato anche il relatore per la maggioranza); ma quando e dove trovare una soluzione a questo problema che riguarda tantissimi lavoratori, i quali hanno visto la propria salute danneggiata dal lavoro che hanno svolto a contatto con l'amianto? Mi pare sia nostro dovere trovare una soluzione! Quindi, non c'è che dire: un bell'esempio di equità da parte di questo Stato.
L'ultima questione riguarda l'intervento della Guardia di finanza con riferimento all'aumento del costo della vita, all'inflazione programmata, all'inflazione ufficiale rilevata dall'ISTAT e soprattutto all'inflazione percepita dai cittadini. Partiamo da quest'ultima: i cittadini hanno percepito - come ha dichiarato l'ISTAT durante le audizioni - un'inflazione intorno o superiore al 6 per cento, anche se quella ufficiale è molto bassa. Il punto è che esiste uno scarto troppo alto tra l'inflazione programmata (a tale proposito, voglio ricordare che su di essa si fa affidamento per gli adeguamenti salariali, quando c'è l'adeguamento salariale, attraverso il rinnovo dei contratti) e l'inflazione ufficiale. Siamo sempre oltre un punto in percentuale. Significa che, nel giro di due o tre anni, vi è stata una diminuzione netta e abbastanza consistente dei salari e degli stipendi. Tale diminuzione va, addirittura, dall'11 per cento medio per l'impiegato al 9 per cento medio per gli operai, al 7,3 per cento medio per i dirigenti. Stiamo parlando della media. Infatti, se guardiamo settori specifici (e in modo particolare il settore automobilistico che, oggi, è in maggiore difficoltà e dove i contratti integrativi non si fanno per questa ragione), la diminuzione media tocca punte del 21,3 per cento. Ecco perché vi è un impoverimento delle famiglie, un calo dei consumi e, quindi, una difficoltà anche del mercato interno e di tante piccole aziende che lavorano prevalentemente all'interno di questo mercato.
Con queste azioni contenute nel decreto-legge si fa tutt'altro, perché tagliando la spesa agli enti locali, alle regioni e ritardando i trasferimenti si va ad eliminare, a restringere quel welfare di prossimità che viene sostenuto tutto dagli enti locali e dalle regioni. Le famiglie, dunque, vivranno ancora di più una situazione di difficoltà rispetto alle capacità di spesa.
Queste ed altre ragioni ci hanno indotto a presentare proposte alternative, così come ha illustrato il relatore di minoranza, onorevole Ventura. Con riferimento a queste proposte, avanzate - badate bene - non per creare buchi nel bilancio dello Stato, ci siamo fatti carico di trovare coperture alternative. Quindi, a parità di saldi di finanza pubblica, sosteniamo politiche che, a nostro avviso, sono più efficaci. Su questi aspetti avremmo voluto confrontarci.
Continuiamo a sperare, se non in questa occasione, almeno in quella in cui esamineremo il disegno di legge finanziaria, tra qualche giorno (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mariotti; cronometricamente, lei è rimasto nei trenta minuti, senza utilizzare un


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minuto di più. È veramente un caso da Immanuel Kant (Si ride).
È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.

NICOLA ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame potrebbe essere discusso nel metodo, nel merito e nei tempi. Del metodo e del merito molti hanno parlato. Le opposizioni, prima di me, lo hanno fatto con dovizia di argomenti. Io non ci tornerò sopra. Altri lo faranno dopo di me. Non vorrei tornare sopra gli aspetti di metodo e di merito, se non - lo ripeto - per quanto riguarda i tempi di questo provvedimento (non credo siano irrilevanti). Quando parlo di tempi non mi riferisco al fatto fin troppo «scoperto» che, in realtà, al provvedimento in esame si arrivi con questa rapidità, con questi voti di fiducia, con quest'affanno, anche perché, probabilmente, è l'unica strada per portare il rapporto tra debito e PIL entro la fine dell'anno al di sotto dei livelli dello scorso anno.
La sensazione, nettissima, del resto confermata, questa mattina, anche dal centro studi di Confindustria, è che l'unica speranza che il Governo ha di non fare un'altra figuraccia è quella di varare quanto prima questo decreto-legge - vedremo come - sperando che la norma sulla trasformazione in società per azioni della Cassa depositi e prestiti dia ad esso la possibilità, contabilmente, di portare il rapporto fra debito e PIL al di sotto del valore dell'anno scorso. Naturalmente, è bene chiarire che si tratta, come l'anno scorso, di manovre contabili che, purtroppo, non incidono sulla tendenza di lungo periodo del rapporto fra debito e PIL, che rimane in crescita, come, peraltro, è segnalato in maniera abbastanza evidente dalla divaricazione costante ormai presente fra i dati di fabbisogno ed i dati di indebitamento.
Quando mi riferisco ai tempi, in realtà, ho in mente un'altra cosa: il fatto che questo decreto-legge interviene nel momento in cui cominciamo a vedere, altrove nel mondo, i primi segni di un'inversione di tendenza. Credo sia utile ed importante discutere del contenuto di questo provvedimento avendo in mente tale scenario.
Lo scenario che abbiamo davanti è abbastanza semplice. I segni della ripresa, negli Stati Uniti, si vedono con una certa nettezza: si vedono non solo nei dati di prodotto, ma si vedono, direi, soprattutto nelle indagini che rilevano il grado di fiducia degli imprenditori e degli amministratori di imprese. Si vedono con una nettezza assai meno pronunciata nell'Europa continentale. In particolare, qualcosa si comincia a vedere in Germania, mentre si vede ancora molto poco in Italia, dove quello relativo al terzo trimestre è un dato che possiamo considerare positivo solo perché abbiamo in mente il buco nero del secondo trimestre; altrimenti, diciamolo, tale non lo considereremmo. Dobbiamo anche sapere sin da ora che uno 0,5 per cento nel terzo trimestre, trattandosi null'altro che di un rimbalzo rispetto al secondo, non sarà seguito da un dato altrettanto positivo nel quarto trimestre. Perciò, il risultato finale dell'anno sarà, appunto, non lontano da quello che si immaginava già da tempo: quello 0,4 che rappresenta veramente, per il secondo anno consecutivo, un dato molto deludente.
Però, considerato che lo scenario è questo, dobbiamo porci alcune domande per capire meglio come vi si inseriscano questo decreto-legge e la manovra di cui esso è tanta parte. Forse, è bene sottolineare che di tale scenario non è ancora del tutto chiara la natura, nel senso che, ad esempio, i dati relativi all'occupazione negli Stati Uniti sono ancora molto contrastanti: ci sono dati positivi per quanto riguarda i nuovi occupati, ma, non più tardi di tre o quattro giorni fa, le richieste di sussidi di disoccupazione hanno registrato un andamento diverso, in senso negativo, purtroppo, rispetto a quelle che erano le previsioni. Quindi, è ancora poco chiaro se questa ripresa avrà in sé le capacità di trasformarsi in una ripresa duratura, solida e, possibilmente, robusta.
Nel contempo, è poco chiaro se si tratti di una ripresa ancora sostenibile. Il termine


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«sostenibile» qui va interpretato, sempre dal punto di vista degli Stati Uniti, alla luce dei seguenti aspetti: non è chiaro se gli Stati Uniti potranno reggere a lungo i deficit gemelli che li caratterizzano, cosa possibile solo se alcune banche centrali dell'Estremo Oriente riterranno opportuno continuare nella politica di accumulo di riserve in dollari fatta finora; non è chiaro, inoltre, se una ripresa finanziata pressoché interamente da spese militari cospicue e da massicce riduzioni fiscali, accompagnate da un costo del denaro ad un livello così basso come da decenni non si vedeva, sia mantenibile ove non si traduca, appunto, in maggiore occupazione ed in maggiori redditi.
Quindi, questo è lo scenario complessivo. A fronte di questo scenario, domandiamoci dove il Governo ci porta. Il Governo ci porta essenzialmente su una strada che, con buone probabilità, non ci permetterà di catturare quel po' di venticello che dalla ripresa mondiale arriverà, quando arriverà. In Italia è probabile che un po' di quel venticello arriverà tra qualche mese, non subito, noi di solito tardiamo a cogliere i segni di questa ripresa; questi prima vanno a finire nell'Europa continentale e poi dall'Europa continentale spesso e volentieri arrivano da noi, ma già molto depotenziati e sminuiti. Ma quando si arriverà a quel punto il problema sarà capire quanto ne potremo catturare di quel vento. La sensazione è che il Governo non stia facendo molto per permetterci di catturare quel poco di vento che potrebbe riempire le vele dell'economia italiana. Perché? Perché ci arriva con una finanza pubblica in condizioni abbastanza serie e perché soprattutto, in questa manovra, in questo decreto, poco o nulla c'è di tutto ciò di cui ci sarebbe bisogno per permettere alle imprese italiane di essere più pronte e più presenti sui mercati quando quel problema si porrà. Noi ci arriviamo, come ho detto prima, con un debito che, se lo rendiamo inferiore ai livelli dell'anno scorso, è solo e semplicemente perché facciamo delle operazioni contabili; il che significa che quando alla metà del 2004, come già oggi molte previsioni ci suggeriscono, avremo i primi segni di rialzo dei tassi di interesse, che saranno la conseguenza di una ripresa robusta, se ripresa robusta ci sarà, noi naturalmente questi rialzi li prenderemo tutti, per così dire, con un debito che nulla avrà fatto per andare sotto, per andare verso quel 60 per cento a cui dovremmo portarlo secondo gli accordi europei. Questo da un lato. Dall'altro naturalmente (e questo è l'altro punto importante da sottolineare) il Governo dovrebbe capire, dovrebbe ricordare - tutte le volte che in Italia e in Europa, a volte con uno scarso senso della situazione, osserva, guarda, trova nel patto di stabilità un vincolo ulteriore - una cosa molto semplice: la ripresa americana è possibile semplicemente perché George Bush oggi utilizza lo spazio che Bill Clinton gli ha creato, raggiungendo il pareggio di bilancio. È il pareggio di bilancio di Bill Clinton che permette oggi al deficit americano di superare il 3 per cento ed è il pareggio di bilancio di Bill Clinton che ha dato al Governo americano la possibilità di fare una politica, che possiamo ritenere giusta o sbagliata, ma che certo ha sostenuto i consumi delle famiglie americane. L'esempio americano è proprio l'esempio di come il patto di stabilità potrebbe funzionare; è forse assai meno stupido di quanto non pensiamo, ma l'esempio americano è esattamente la controprova della insipienza di un Governo, che invece di sfruttare al massimo i margini che si erano creati, dovuti al processo di risanamento della finanza pubblica, li ha tutti completamente consumati, sino a diventare privo degli strumenti di una vera e propria politica anticongiunturale. Quando il Governo Berlusconi è entrato in carica, il deficit strutturale era intorno al 2 per cento, forse dovrei dire l'1,5, oggi è sopra il 3 per cento; il che lascia supporre che il Governo Berlusconi aveva un punto, un punto e mezzo di margine per fare una reale politica anticongiunturale, che ha buttato dalla finestra. Ma mica ha buttato dalla finestra solo quello; ha buttato dalla finestra anche un punto di PIL che gli derivava dal calo dei tassi d'interesse: un


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altro bonus che si sarebbe potuto utilizzare, ma che non abbiamo voluto utilizzare.
Allora, piuttosto che prendersela con il patto di stabilità probabilmente, proprio guardando all'esempio americano, il Governo italiano dovrebbe in realtà piangere sul latte versato; e noi tutti dovremmo probabilmente farlo. Allora, da un lato arriviamo con l'affanno, dal punto di vista della finanza pubblica, e con il serio pericolo di quanto può accadere sul fronte del servizio del debito nei prossimi mesi; ma dall'altro lato ci arriviamo con un'occasione straordinaria persa. Io voglio prendere sul serio il Governo, voglio anche ammettere che vi fossero dei motivi di necessità ed urgenza per un decreto, ma quale maggiore motivo di necessità ed urgenza che quello che deriva dal fatto che si vuole arrivare pronti con una serie di strumenti, di batterie, per quando la ripresa arriverà?
L'avrei compreso; allora, a quel punto, bisognava adottare questo decreto-legge per mettere in condizioni il nostro sistema di piccole e medie imprese, che é quello che oggi più soffre, di essere pronto. Ma, che cosa c'è per le piccole e medie imprese? Io non so se il Governo se lo sia chiesto; credo, invece, che se lo siano domandato le piccole e medie imprese e le risposte non sono molto, molto positive. Andiamo un attimo a vedere. Si dice che si è incentivata la ricerca. Ma credo che tutto quello che abbiamo imparato in questi mesi e che il Governatore della Banca d'Italia ci ha ripetuto più volte, così come il Centro studi della Confindustria (con ciò non cito fonti ascrivibili all'opposizione) è che la ridotta dimensione delle nostre imprese in sé impedisce un'attività di ricerca.
Vorrei che fossimo chiari anche sul tema della defiscalizzazione dei profitti anche perché nel 2004 non ce ne saranno. Non so, quindi, se il Governo abbia un'idea di qual è la situazione delle nostre piccole e medie imprese la quale, in questo momento, non è brillantissima. Biella, per fare l'esempio di un distretto tessile, è passata, negli ultimi mesi, dal 3,5 al 5,5 per cento di disoccupazione e questi sono livelli che non conosceva da tempo. Quel tipo di piccole e medie imprese, quindi, ricerca non la fa, e non la farà neanche con la presenza della cosiddetta «tecno-Tremonti». Questa «tecno-Tremonti» a che cosa servirà? Servirà a finanziare quelle imprese, medio-grandi, che facevano ricerca già da prima. E il 23 per cento della ricerca privata in Italia oggi è fatta dalla FIAT. Ora, va benissimo e, quindi, non c'è assolutamente niente di male a decidere di finanziare la ricerca della FIAT, però, per favore, non diciamo che stiamo facendo un'operazione per facilitare la ricerca delle piccole e medie imprese.
Ci sono ancora due articoli interessanti, da questo punto di vista, nel decreto-legge in esame, uno dei quali tassa i confidi; noi abbiamo parlato dell'accordo di Basilea due ed abbiamo detto che le piccole imprese possono avere uno shock da tale accordo, così come abbiamo anche detto che l'accesso al credito per loro è complicato. La nostra risposta al riguardo qual é? Tassare quell'unico strumento che in qualche maniera li avvicina al mercato del credito. Credo, quindi, che ci voglia veramente molta attenzione per poter arrivare a definire una cosa di questo genere.
Ancora, nel decreto-legge in questione ci sono due articoli diversi, uno dei quali incentiva la quotazione in borsa, e l'altro, invece, che detassa ai fondi di investimento che investano nelle piccole e medie imprese capitalizzate. Ma qualcuno nel Governo, nella maggioranza o qualche simpatizzante del centrodestra italiano non si è mai domandato (e si è risposto) quante sono le piccole e medie imprese quotate? E quante sono quelle che intendono quotarsi? É forse noto a questo Governo che la stragrande maggioranza, non voglio dire la totalità, di queste imprese sono società di persone le quali guardano ad articoli come questi come si potrebbe guardare qualcosa di assolutamente astratto e lontano?
Io vi ho elencato quello che in questo decreto-legge c'è e, nel farlo, vi ho elencato ciò che ci poteva essere e che non sarebbe


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stato difficile avere. E ciò che ci poteva essere é esattamente il contenuto di alcuni emendamenti che noi abbiamo presentato, che non sono soltanto emendamenti dell'opposizione, ma ci sono stati chiesti a Prato, a Biella, nel distretto del cosiddetto salotto materano, dai pellettieri marchigiani, dal mondo della piccola e media impresa italiana. Era veramente così complicato? Era veramente così complicato riconoscere che in realtà quello che si sta facendo perde anche quel significato, che poteva essere accettabile, di correre per mettere in condizione l'economia italiana di correre al momento opportuno? Evidentemente, debbo immaginare che non era questo l'obiettivo verso cui si stava tendendo. Pertanto, le critiche che sono state rivolte, nel metodo e nel merito, a questo decreto-legge sono tutte assolutamente condivisibili; inoltre, anche se si volesse disperatamente ricercare un qualche elemento, in grado di giustificare questa necessità e urgenza, è francamente difficile trovarlo.
Inoltre, è difficile trovarlo su un altro argomento, che vorrei sottolineare perché ritengo sia istruttivo al riguardo. Vi è, infatti, un altro argomento che poteva giustificare l'urgenza del provvedimento, ed è quello che, sul versante delle uscite, riguarda l'evoluzione della spesa sanitaria.
Sappiamo bene che in molte regioni tale spesa può manifestare tendenze preoccupanti per la finanza pubblica, e dunque sappiamo bene che era probabilmente opportuno ipotizzare sin da subito qualche intervento, ma in questo decreto-legge trovo una norma che segnala la difficoltà del Governo di comprendere il mondo in cui vive. Infatti, è prevista una norma che applica il concetto di premialità - già ripetutamente adottato, soprattutto nei rapporti con le regioni del Mezzogiorno -, anche alla spesa sanitaria, stabilendo che verranno premiate con maggiori fondi le regioni che avranno dimostrato di saper contenere il loro disavanzo sanitario.
Mi domando adesso come sia possibile, di fronte ad un diritto costituzionalmente garantito, prevedere che vengano premiate le regioni che riducono comunque il loro disavanzo sanitario, perché esiste una maniera molto semplice di ridurre i disavanzi sanitari, e consiste nell'azzerare i servizi. A quel punto, immagino che quelle regioni saranno premiate in ogni caso, ma azzerare i servizi significa non offrire più quelle prestazioni sanitarie cui i cittadini hanno costituzionalmente diritto: anche in questo caso, mi sembra che il Governo manchi veramente di un rapporto con la realtà che lo circonda e con sé stesso.
Per concludere, vorrei sottolineare che l'evento di qualche giorno fa, citato dal collega Lettieri, è veramente molto significativo, ed anche se non ha nulla a che fare con il decreto-legge, illustra bene il modo di procedere del Governo. Sto parlando della questione del sito per le scorie nucleari di Scanzano Jonico, perché - come ho cercato di dire anche prima - questo è un Governo che sembra non avere rapporto con il mondo esterno e nemmeno con sé stesso.
La questione della collocazione delle scorie nucleari a Scanzano, infatti, suggerisce appunto come il Governo non abbia rapporti con coloro che devono poi sopportare le sue decisioni, perché, da quanto sappiamo, nessuno era stato avvisato di quanto stava per accadere; ma ciò che è ancora più incredibile è che questo Governo - non quelli precedenti, i quali avevano solo istruito la materia - ha approvato (se ricordo bene, non più tardi di un anno e mezzo fa) due contratti di programma, ciascuno per parecchi milioni di euro, tutti di carattere turistico e tutti centrati su quella collocazione geografica.
Se ricordo bene questa volta, la Sogin è di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze, e dunque in questo caso vi è un ministro che da un lato approva alcuni contratti di programma e dall'altro lato non è in grado di comprendere che quanto compie in qualità di azionista della Sogin può essere di grave nocumento per quanto ha appena deciso, come decisore dei contratti di programma, in sede di CIPE. Naturalmente, non mi sognerei di


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affermare che c'è qualcosa di patologico, tuttavia credo che la situazione sia seria e che dovreste preoccuparvene un po'.
Del resto, che la maggioranza sia consapevole dei limiti della sua azione e dei gravi limiti del Governo mi viene confermato da quanto ha sostenuto l'onorevole Antonio Leone poc'anzi nel suo intervento, perché si parla di un Governo Prodi-1 solo quando si ha la consapevolezza - come l'abbiamo noi e come anche voi, a questo punto, avete - che presto ci sarà un Prodi-2 (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Savo. Ne ha facoltà.

BENITO SAVO. Signor Presidente, approfitto di questo momento per svolgere qualche considerazione sul provvedimento che ci accingiamo ad approvare. A differenza dei colleghi che mi hanno preceduto, infatti, non sono così pessimista: anzi, riconosco al Governo l'intelligenza per le sue scelte nel campo dello sviluppo economico, perché stiamo procedendo lungo una tendenza di carattere globale.
Fino alla metà del novecento, infatti, si trovavano in una condizione di prosperità ed avevano prospettive incoraggianti per il futuro solamente quei popoli che godevano di foreste e di miniere, perché tutta l'economia partiva dalla disponibilità di materie prime.
Nella seconda parte del novecento, in particolare in Italia, si è affermata l'industria di trasformazione, il cosiddetto manifatturiero, che ha avuto ampio spazio nella nostra economia in tutta la metà del secondo novecento.
Alle soglie e, quindi, ormai dentro il terzo millennio, ci troviamo a dover percorrere un'altra strada, la strada della tecnologia e, in particolare, della tecnologia avanzata. Infatti, l'attività manifatturiera, per ragioni di manodopera a basso costo, è esercitata e si espande ad opera dei popoli dell'Asia e di quanti hanno un minor costo di manodopera.
Pertanto, la nostra scommessa è nell'indirizzo della ricerca, della promozione e della tecnologia nell'ambito del nostro territorio. In tale direzione si è mosso il nostro Governo quando, all'articolo 1 del decreto-legge che stiamo sostenendo, consente un'ulteriore deduzione dal reddito di impresa dei costi di ricerca e di sviluppo, finanzia le spese per le fiere all'estero dove vengono rappresentati i nostri prodotti, sostiene le spese per gli stage aziendali destinati a studenti neodiplomati e neolaureati e così pure le spese per la quotazione in borsa delle piccole aziende.
Inoltre, l'articolo 2 dello stesso decreto-legge dispone che le risorse derivanti dalla cartolarizzazione dei crediti dello Stato e di altri enti pubblici, relativi a finanziamenti di investimenti in ricerca e innovazione, sono destinate alla concessione di ulteriori finanziamenti di investimenti in ricerca ed innovazione. Si consente la possibilità del rientro dei ricercatori che hanno dimostrato validità all'estero, pur essendo italiani, prevedendo che i redditi di lavoro dipendente o autonomo dei medesimi ricercatori siano imponibili per il 10 per cento del loro ammontare.
Infine, l'indirizzo della prospettiva di sviluppo nell'ambito della tecnologia avanzata lo si ritrova quando il Governo pensa alla fondazione dell'istituto italiano di tecnologia.
Fino adesso abbiamo parlato dell'indirizzo del Governo dal punto di vista delle scelte in termini di investimenti che ritengo opportune e consistenti sotto il profilo dei riflessi positivi che avranno nei confronti della nazione italiana.
Passando, poi, a considerare il discorso delle entrate che ci consentiranno di coprire i nostri fabbisogni, che corrispondono ad oneri pari a 8.472 milioni di euro, gran parte di queste entrate saranno assicurate dai diversi condoni. Di fronte alla parola «condono» ognuno si scandalizza e si meraviglia. Eppure, per quanto riguarda il condono edilizio, a mia memoria, ne sono stati effettuati già tre e questo dovrebbe essere un condono ulteriore.
Poi vi è il condono fiscale, la vendita dell'ente tabacchi, la vendita di quote azionarie dell'ENEL e la cartolarizzazione del fondo INPDAP. Inoltre, è prevista la


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vendita di immobili di proprietà pubblica che, non avendo caratteristiche storiche, architettoniche ed artistiche, possono essere dismessi, mettendoci in condizione di non doverne effettuare la manutenzione. Pertanto, invece di produrre solo costi, essi vengono collocati sul mercato. Questo decreto-legge si caratterizza, inoltre, per la revisione del processo di vendita, che con una modifica attribuisce ai fruitori di questi immobili il diritto di prelazione.
Per quanto riguarda i condoni, quello per il quale si è imprecato di più in quest'aula è il condono edilizio. Dunque, signor Presidente, devo impiegare qualche minuto ad illustrare l'attività di chi, oggi, nell'ambito dello stivale, ricorre ancora all'abusivismo edilizio. L'abusivismo edilizio non è comodo per nessuno e tanto meno per chi è costretto a ricorrere alla violazione di legge. Chi pensa di ampliare la propria casa trova difficoltà nel muoversi attraverso la burocrazia. Inoltre, la stragrande maggioranza dei comuni italiani, soprattutto i piccoli, non dispongono di strumenti urbanistici adeguati e celeri. Pensate a quale mezzo possa ricorrere un cittadino medio che ha la necessità di sistemare la famiglia e mettersi in una condizione più decorosa. Dunque, cominciamo a correggere qualche vizio a monte.
A mio avviso, signor Presidente, le ragioni dell'abusivismo edilizio risiedono, innanzitutto, nelle norme di cui oggi siamo costretti ad usufruire. Non è un mistero per nessuno che alcuni comuni per vedere approvato il proprio piano regolatore impiegano minimo 7 anni e, alcune volte, ne sono stati necessari 17. Quando il comune va ad attuare il piano regolatore approvato, quest'ultimo è ormai superato dalle condizioni storiche in cui ci si trova.
Come può essere punito chi ricorre all'abusivismo di necessità? I miei colleghi, quando si parla di abuso edilizio, pensano subito al palazzinaro degli anni sessanta e settanta che costruisce grandi edifici e grossi volumi a fini speculativi. Invece, ci troviamo di fronte a cittadini della cosiddetta categoria borghese medio-piccola che ricorrono soprattutto all'abusivismo di necessità per sé stessi e per la propria famiglia.
Pensiamo a quella condizione in cui si trova chi vive in montagna e salvaguarda l'ambiente. In altri tempi, un secolo fa, certi servizi e certi luoghi coperti si realizzavano molto facilmente, ma in un modo molto ristretto. Come si può pensare che un pastore in alta montagna possa continuare a vivere senza un minimo di servizi e, se prova a modificare il suo stato ricercando una casa almeno decorosa per sé stesso e la propria famiglia, viene subito confinato tra quei malfattori che compiono l'abuso edilizio?
Inoltre, non si tiene conto della realtà geografica, della condizione geologica del territorio e delle differenze storiche se si pensa che la maremma toscana sia identica alla Sila in Calabria o alla Ciociaria nel Lazio. Per ragioni storiche, geografiche e culturali abbiamo una variabilità dal nord al sud delle singole situazioni, soprattutto in senso ambientale ed abitativo. Se vogliamo che il sud recuperi quella distanza presente sul piano abitativo e, nello stesso tempo, diminuisca la quantità di abusivismo dobbiamo realizzare le infrastrutture e concedere alle province la possibilità di approvazione dei piani regolatori. Così non dovremmo in futuro, ancora una volta, fare ulteriori sanatorie per l'abuso edilizio che comporta - come lei sa, signor Presidente - problemi di carattere penale ed economico per chi lo fa soprattutto per ragioni di bisogno.
Signor Presidente, in conclusione, il ricorso alle una tantum come il condono edilizio e quello fiscale non solo non è da aborrire, ma, a mio avviso, è da apprezzare.
Ciò in quanto il Governo, in questo modo, non è stato costretto - come succedeva in passato, quando si passava dalla pioggia alla grandine e poi all'alluvione provocata dal torrente - alle solite una tantum. Nello stesso tempo, ci troviamo nella condizione di non dover ricorrere, ancora al nostro tempo, a nuova imposizione fiscale.


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Signor Presidente, per l'oculatezza nel reperire le entrate, da parte del Governo che sosteniamo, e, ripeto, per l'intelligenza delle scelte che vanno nell'indirizzo dello sviluppo, noi condividiamo la politica che il Governo ha svolto sino ad oggi. Ci sarà da pensare in avanti. Questa finanziaria sarà approvata e speriamo al più presto: è un'altra finanziaria che non consente ulteriori stillicidi del denaro degli italiani. Pertanto, siamo favorevoli alla soluzione positiva e, quindi, all'approvazione di questo provvedimento. Come Governo della Casa delle libertà, al punto dove siamo, abbiamo costruito gli stipiti di un portale. Adesso cominciamo a costruire l'arco e saranno solo le riforme da fare a mettere la chiave di volta nel programma del Governo del Presidente Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.

LAURA MARIA PENNACCHI. All'inizio dell'odierna discussione i presidenti Violante e Castagnetti hanno insistito sulla gravità della circostanza nella quale ci troviamo, nel senso che le agenzie di stampa hanno già annunciato che il Governo si sta predisponendo molto rapidamente a porre il voto di fiducia sul provvedimento al nostro esame, mentre noi siamo qui a discutere, ignorando formalmente quali siano i propositi reali del Governo. Ci troviamo in una situazione di escalation della gravità delle ferite che vengono portate al tessuto istituzionale che dovrebbe reggere la convivenza civile nel nostro paese, i rapporti tra maggioranza e minoranza nel Parlamento e i rapporti tra Parlamento e Governo.
A questa denunzia, fatta con parole estremamente lucide e convincenti dai presidenti Violante e Castagnetti, poi riprese dai tanti colleghi che sono intervenuti, voglio solo aggiungere che questo è l'atto finale, il cui seme era già contenuto nelle modalità con cui è stata predisposta, quest'anno, l'intera manovra di finanza pubblica. Si tratta, infatti, di una manovra dispersa in provvedimenti diversi; in gran parte è contenuta nel «decretone» al nostro esame, ma c'è anche il disegno di legge finanziaria e il maxiemendamento alla delega previdenziale, in relazione al quale il ministro Tremonti ha detto che era, ed è, parte costitutiva della manovra di finanza pubblica, sia in senso tecnico, sia - poi correggendosi - soprattutto in senso politico.
Discutiamo, quindi, di misure che sono disperse in vari provvedimenti, che peraltro sono stati presentati anche in tempi diversi; il maxiemendamento alla delega previdenziale è stato presentato solo qualche giorno fa e non sappiamo se e quando esso sarà discusso e, quindi, la delega previdenziale approvata.
Siamo veramente in una situazione di grande confusione che aggrava l'instabilità normativa, come ha detto il presidente Violante.
Quindi, ci troviamo in una situazione opposta rispetto a ciò che, almeno formalmente, il Governo vorrebbe ottenere attraverso la discussione del decreto-legge e la posizione della fiducia, vale a dire quello di dare stabilità e certezza, come anche il sottosegretario Armosino ha tentato di argomentare quest'oggi. La verità è che la situazione è proprio l'opposto, in quanto si aggrava l'instabilità normativa.
Intendo indicare almeno tre aspetti di questo aggravamento dell'instabilità normativa. In primo luogo, le misure correttive dei tendenziali; quelle misure che, secondo la legge di contabilità nazionale, dovrebbero essere contenute nella legge finanziaria e che, invece, sono previste nel decreto al nostro esame, nel quale si stabilisce chiaramente, all'articolo 52, che gli effetti delle entrate agiranno dal 1o gennaio 2004. Ciò da una parte smentisce le ragioni di urgenza del decreto-legge stesso e, dall'altra, conferma con estrema chiarezza che è il decreto la vera finanziaria, facendo riferimento agli effetti, che entreranno in vigore dal 1o gennaio 2004.
Il secondo grave elemento di confusione e di instabilità normativa riguarda il fatto che la legge finanziaria vera e propria, che in queste ore giunge all'esame


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delle Commissioni di merito e della Commissione bilancio e che già conosciamo per essere stata discussa e approvata dal Senato, è piena di norme che, in questo caso, non corrispondono al contenuto proprio della legge finanziaria, non avendo influenza sui saldi. Infatti, come lei, Presidente Biondi mi insegna, il contenuto proprio della legge finanziaria deve essere quello di avere influenza sui saldi!
In terzo luogo, soprattutto osservando il decreto al nostro esame, siamo di fronte a molte norme che non dovrebbero essere contenute né nel decreto né nella legge finanziaria, ma nel bilancio tendenziale a legislazione vigente. Infatti - come nel caso dei 5 miliardi di euro di entrate da dismissioni -, si tratta di misure che erano già state definite e che quindi non dovrebbero far parte della manovra correttiva, ma del bilancio a legislazione vigente.
Questa instabilità normativa, che costituisce la fonte dell'ulteriore grave ferita che viene inferta alle funzioni del Parlamento in termini di esproprio delle sue competenze primarie, è anche a fondamento del fatto che stiamo assistendo ad un continuo ed ininterrotto deterioramento degli equilibri di finanza pubblica; altro che il buco che il ministro Tremonti denunziò all'indomani dell'esito delle elezioni del 2001 all'atto dell'insediamento del nuovo Governo (buco che avrebbe lasciato in eredità il Governo di centrosinistra)!
Qui siamo di fronte alla compromissione del risanamento finanziario, che era stato realizzato dai Governi di centrosinistra. Pensiamo, ad esempio, agli 11 miliardi di euro di correzione effettiva che vengono previsti soprattutto con il decreto al nostro esame.
È già stato sottolineato dai colleghi intervenuti - mi riferisco al relatore di minoranza onorevole Michele Ventura e al collega Morgando - che il rapporto di due terzi di misure una tantum - che in sé non sono demonizzabili, ma che vanno discusse nei contesti evolutivi - e un terzo di misure strutturali, al quale il Governo e la maggioranza si erano impegnati approvando la risoluzione sul DPEF dello scorso luglio, non è assolutamente rispettato.
Vi è una quantità enorme - oltre l'85 per cento - di entrate e di misure aventi carattere una tantum, quindi transitorio.
C'è il concordato fiscale, c'è la proroga del condono fiscale, è pendente l'idea di estensione del condono fiscale ai redditi dichiarati e guadagnati nel 2002 (tutte cose che quando venivano denunziate dall'opposizione ci si stracciava le vesti nel dire che non sarebbero mai state fatte) e c'è quello scempio che è il condono edilizio, da cui vengono un po' meno di quattro miliardi di euro di entrate.
Abbiamo sentito poco fa il collega Savo, di Forza Italia, spendersi in un'ardua difesa persino, oserei dire, dei fondamenti morali della legittimità dei comportamenti di coloro che illegalmente compiono abusi in materia edilizia. Il sottosegretario Armosino ha almeno tentato di argomentare dicendo che singolarmente tutti i membri del Governo - così mi pare abbia testualmente detto - sono contrari, nel foro della loro coscienza, al ricorso ai condoni, perché si tratta di premi a comportamenti sbagliati, illegittimi e illegali.
Tali comportamenti soggettivamente possono senz'altro essere determinati da uno stato di necessità, ma il compito e il dovere dei legislatori e dei governanti è di richiamare al rispetto delle leggi, non di giustificare persino moralmente la violazione delle leggi, e di dare il buon esempio. Il buon esempio conta moltissimo nella creazione di un'etica pubblica e di un senso civico che sono i fondamenti del vivere associato. Siamo tuttavia di fronte al paradosso che i membri del Governo soggettivamente sono tutti contrari al ricorso al condono, poi però quando si mettono insieme fanno la somma e dalla somma non esce una contrarietà soggettiva, ma esce una positività oggettiva.
Quindi il Governo, dopo tante dichiarazioni di segno diverso, ha non solo varato il condono, ma nel passaggio al Senato ha addirittura esteso i limiti di sanabilità degli edifici di nuova costruzione


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fino a 3 mila metri cubi, vale a dire 1.000 metri quadrati per interi immobili.
Segnalo che sugli equilibri di finanza pubblica ha notevole rilevanza la svendita del patrimonio pubblico, con implicazioni molto serie già denunziate - su cui non insisto ma che ricordo - sui beni culturali di alto valore artistico, con le famose procedure di silenzio-assenso. Tutto ciò avviene in un contesto in cui l'avanzo primario crolla. L'avanzo primario, che nel 2004 scende sotto il 2 per cento del PIL, è l'indicatore più rilevante che indica le possibilità che un paese si dà di far fronte ad andamenti negativi e di adottare misure positive per l'economia.
C'è un ulteriore aspetto molto rilevante: siamo ancora in una condizione di crollo della spesa per interessi, che era stata voluta proprio dai governi dell'Ulivo. La spesa per interessi era pari al 12 per cento del PIL nel 1996, mentre oggi è intorno al 5 per cento del PIL. In valori assoluti, è scesa da 202 mila miliardi di vecchie lire nel 1996 a circa 130 mila miliardi di vecchie lire attuali.
Dunque, c'è la liberazione di un'enorme quantità di risorse che avrebbero dovuto essere utilizzate per lo sviluppo, cosa che non è avvenuta, in una situazione nella quale, come veniva ricordato, iniziano ad apparire timidi segnali di ripresa a livello economico internazionale che anche l'Italia dovrebbe mettersi nella condizione di sfruttare. Tanto più quanto più quei segnali di ripresa, che vengono ad esempio dagli Stati Uniti, hanno, come molti osservatori mettono in evidenza, un'intrinseca fragilità. Pertanto sarebbe quanto mai necessario non pensare di associarsi semplicemente alla locomotiva americana che riparte, ma mettere in funzione quel grande motore costituito dal mercato interno e dalla domanda interna europei, credendo di più e davvero nell'Europa, nonché il mercato interno e la domanda interna italiani.
La fragilità della ripresa, soprattutto in America, viene indicata da molti osservatori in funzione del livello abnorme del deficit raggiunto negli Stati Uniti, che rovescia, con una discontinuità drammatica, quanto era stato compiuto dall'amministrazione Clinton. Oggi, tutti gli osservatori denunciano il deficit gemello degli Stati Uniti d'America, deficit delle partite correnti, che viaggia verso il 5 per cento del prodotto interno lordo, e deficit pubblico interno, che ha già superato il 4 per cento del prodotto interno lordo americano; a ciò si aggiungono l'indebitamento delle famiglie e l'indebitamento delle imprese. Siamo, quindi, in una situazione complessa, aggravata dalla droga che viene immessa affinché i mercati azionari riprendano una loro vitalità dopo l'esplosione della bolla speculativa, con tutte le conseguenze nefaste che essa ha portato: ricordo, ad esempio, che gli Stati Uniti hanno perso più di tre milioni di posti di lavoro nel giro degli ultimi tre anni.
Tutto questo accade mentre in Italia la produzione industriale crolla, il prodotto interno lordo ristagna. Non possiamo basarci sugli ultimi dati per inneggiare ad una svolta; viceversa, i prezzi e l'inflazione crescono, con essi crescono le difficoltà delle famiglie nel fare fronte a questo incremento dei prezzi ed a questo decremento della produttività e del PIL. Tali difficoltà crescono a tal punto che le famiglie risentono del fatto che la mancata restituzione del fiscal drag, che la manovra di finanza pubblica dovrebbe invece restituire, ammonta oggi, se sommiamo gli anni in cui questa mancata restituzione si è prodotta, a 5 miliardi di euro (diecimila miliardi di vecchie lire), soldi che vengono sottratti alla loro disponibilità.
Nel frattempo assistiamo alla pressoché totale scomparsa della grande impresa nazionale, ad una fuoriuscita da tutte le frontiere tecnologiche avanzate, ad una ricerca e ad uno sviluppo che crollano, ad una fuga di cervelli, ad un capitale umano che si depotenzia. Che cosa offre la manovra di finanza pubblica per rispondere a tutto ciò? Offre qualcosa di veramente risibile, perché abbiamo, da una parte, la tecno-Tremonti, di cui i colleghi hanno segnalato i limiti gravissimi; bisogna solo aggiungere che per finanziare questo strumento, che dà un beneficio per un solo


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anno, non si rifinanziano due fondi esistenti che avevano progetti già pronti, spingendo ad intervenire perfino la Confindustria che ha criticato severamente la misura; sul fronte sociale abbiamo invece i mille euro per i secondi nati, un premio di natalità. Tale provvedimento, oltre ad essere discutibile in sé, lo è anche dal punto di vista della mia concezione della vita: pensare ai figli come ad un problema che si risolve dando un premio di natalità è veramente sconcertante. Tutto ciò a fronte del fatto che si posticipa la spesa in conto capitale per infrastrutture, si persegue la politica dei definanziamenti della scuola; se sommiamo questi tre anni di Governo essi ammontano al 40 per cento, ciò vuol dire minori attività didattiche pomeridiane, soppressione degli insegnanti di recupero per i portatori di handicap, cancellazione delle iniziative per gli studenti con debiti formativi e via dicendo. Abbiamo un gravissimo definanziamento delle università, niente fondi per gli stipendi, blocco delle assunzioni, tagli all'edilizia universitaria, niente fondi per servizi agli studenti e per la ricerca, la scomparsa del prestito d'onore. Intanto il Mezzogiorno viene confermato nel suo destino di marginalità, sono depresse risorse e quindi i ruoli qualitativi degli enti locali, il cui taglio ulteriore ai trasferimenti non può non tradursi in un depotenziamento dei servizi. Va avanti la frammentazione e la destrutturazione del mercato del lavoro, impulsi molto forti di privatizzazione vengono dati all'istruzione, alla sanità ed alla previdenza.
Concludo venendo all'ultimo aspetto che volevo segnalare, l'unica vera misura strutturale a cui il Governo fa ricorso e cioè il maxiemendamento sulla delega previdenziale.
Questo aspetto non è oggi al nostro esame, ma per fare una valutazione complessiva, che la frammentazione della manovra cerca di non agevolare - perché la frammentazione della manovra distrugge la visibilità della manovra stessa e quindi la possibilità di una ponderazione, di una valutazione meditata - è in ogni caso nostro compito e nostro dovere tentare di ricostruire.
Quindi, dicevo che sulla previdenza gravitano le uniche misure strutturali che questo Governo ha adottato in questa manovra di finanza pubblica: si tratta però di misure sbagliate e gravemente contraddittorie. Sbagliate, perché la spesa pensionistica è in realtà sotto controllo e gli stessi ministri del Governo, come il ministro Maroni, hanno sostenuto che era sotto controllo soltanto fino a due mesi fa. In ogni caso, ce lo dicono i dati internazionali, per cui la spesa pensionistica avrebbe raggiunto il 23 per cento del PIL senza le riforme adottate negli anni novanta, mentre oggi la spesa è persistentemente stabile, attorno al 14 per cento del PIL, ed alla fine del periodo di previsione sarà addirittura al di sotto di questa cifra. Inoltre, noi sappiamo bene che le prestazioni pensionistiche medie scenderanno - la spesa è sotto controllo proprio per questo - per l'agire dell'effetto numero, cioè il minore numero di pensioni, e per l'agire dell'effetto importo, vale a dire minori prestazioni.
Tuttavia, queste misure sono, oltreché fortemente sbagliate, gravemente contraddittorie. Nel merito, perché ad esempio la decontribuzione - che rimane nella delega previdenziale: non è stata cancellata -, fino a 5, anzi, 6 punti dell'aliquota previdenziale, rende molto più appetibile e conveniente per le imprese il lavoro dei giovani, che viene però gravemente e ulteriormente precarizzato e questo è in contraddizione con gli incentivi che si vogliono dare per il permanere in attività agli anziani. Soprattutto, la decontribuzione crea ulteriori ragioni di spesa e ulteriori ragioni di squilibri sulla finanza pubblica come noi già denunziammo quando discutemmo la delega previdenziale in questa sede, oltre a distruggere o a creare grandi problemi alla previdenza pubblica.
In conclusione, signor Presidente, siamo davvero di fronte in questo caso ad un miracolo. Questo è il vero miracolo che questo Governo è riuscito a compiere, in


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quanto ha compromesso il risanamento finanziario che i governi e dell'Ulivo e di centrosinistra erano riusciti a realizzare, utilizzando i sacrifici di tutti i cittadini italiani, e non è riuscito però a rilanciare l'economia e a spingere l'Italia al di fuori di quel sentiero di declino economico, civile e sociale verso cui purtroppo rimane avviata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, la mia non vuole essere una nota di polemica, per carità, anche se nel discutere di questo decreto-legge credo vi sia sicuramente la necessità di polemizzare un po' con il Governo. Prima di fare delle considerazioni sul decreto-legge che stiamo discutendo, che già altri hanno fatto prima di me, vorrei per un istante ricordare all'onorevole Antonio Leone, al di là dei dati da lui riportati, secondo me poco aggiornati, che il relatore di maggioranza e lo stesso rappresentante del Governo hanno affermato che la manovra effettuata con questo decreto-legge supera di fatto l'85 per cento della manovra complessiva e del resto i dati che sono in nostro possesso lo testimoniano.
Pertanto, stiamo sostanzialmente discutendo non solo del suddetto decreto-legge, con tutte le difficoltà, contraddizioni e problemi di costituzionalità che presenta, ma anche, di fatto, della legge finanziaria. È giusto che il collega Lettieri, nel corso del suo intervento, abbia sottolineato aspetti che non sono irrilevanti, ma rilevantissimi; secondo il nostro punto di vista, nel momento in cui si parla di aspetti che sono collegati al condono edilizio, ma che attengono anche a questioni ambientali generali, ha fatto bene a sottolineare l'incongruenza di questo Governo che definisce e sigilla patti e contratti di programma e poi in una certa area prevede un sito per le scorie radioattive. Ha fatto bene anche a ricordare aspetti importanti della manovra che incidono negativamente sugli aspetti di sviluppo.
Questo è il motivo per cui credo che il decreto-legge in esame debba essere sicuramente ridefinito (occorrerebbe prevedere per lo stesso un nuovo titolo). Con riferimento al medesimo, non credo affatto vi siano le condizioni per lo sviluppo del nostro paese; anzi, vi sono indicatori chiari di una situazione di grave difficoltà e preoccupazione non soltanto per le misure una tantum previste nel provvedimento, ma anche per gli aspetti futuri di un rilancio dell'attività produttiva, economica e, quindi, anche sociale, sotto il profilo dell'occupazione, anche con riferimento al Mezzogiorno d'Italia.
Con enorme pacatezza, abbiamo anche il dovere di sottolineare, come hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduto, non solo il dato di incostituzionalità, rilevato nel corso delle discussioni precedenti, ma anche le contraddizioni che questo provvedimento pone alla nostra attenzione, sia con riferimento agli articoli, ai capitoli dello stesso, sia per quanto riguarda gli aspetti procedurali dello stesso.
Siamo profondamente convinti che vi debba essere una responsabilità del Governo; quando si presenta una legge finanziaria e si discute del bilancio dello Stato è chiaro che per il Governo vi deve essere la possibilità di individuare, con grande determinazione, un modo per la posizione della questione di fiducia. Il Governo, quindi, può porre, a scatola chiusa, le condizioni di una legge finanziaria in quanto tale.
Il problema è che noi oggi viviamo in un sistema regolamentare diverso; è, quindi, naturale, ovvio ed opportuno che vi sia il rispetto delle regole, soprattutto di quelle parlamentari, che vi sia il rispetto, come giustamente è stato sottolineato, nel rapporto tra maggioranza ed opposizione, tra Parlamento e Governo, quindi il rispetto delle regole democratiche nel corso delle discussioni che vengono affrontate, anche con riferimento all'istruzione più in generale.


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Questo decreto-legge, quindi, dal nostro punto di vista, non presenta i connotati di una decretazione d'urgenza ed i capitoli che in esso sono riportati testimoniano il fatto che avrebbero potuto essere affrontati con grande puntualità e riflessione da parte dell'intero Parlamento, ad eccezione del condono edilizio, cui si è fatto richiamo.
Un condono edilizio che difficilmente può essere supportato dalle argomentazioni che la stessa maggioranza ha cercato di porre in essere; un condono edilizio che era nelle intenzioni e nelle dichiarazioni che lo stesso Vicepresidente di questo Governo ha svolto in passato e che oggi approda nell'aula della Camera prevedendo circa mille metri quadri per condono edilizio.
Non si tratta di una questione che riguarda esclusivamente gli strumenti urbanistici dei piccoli comuni o dei tanti comuni che in ogni caso, al di là di quelle che sono le normative vigenti, consentono lungaggini nell'approvazione dei piani regolatori. Si tratta di creare una condizione di grande difficoltà rispetto ai principi di legalità e del rispetto del territorio: riscontriamo sistematicamente nelle discussioni di questi anni che con questo Governo in questo paese aumenta il tasso di evasione e di elusione e che non si ha alcun rispetto delle leggi dello Stato. Lo stesso Stato, nel momento in cui determina queste indicazioni, realizza le possibilità per evadere e quindi per non eliminare i problemi estremamente seri del nostro territorio.
Proprio sulla questione concernente il condono edilizio credo che anche il gettito che il Governo ha definito sia un gettito aleatorio, che determinerà condizioni di grande difficoltà per gli enti locali perché i cosiddetti oneri di urbanizzazione porranno in difficoltà gli stessi enti locali; nello stesso tempo il gettito previsto non vi sarà perché molte regioni hanno fatto presente che ricorreranno, trattandosi di materia di potestà concorrente, alla Corte costituzionale. Si tratta quindi di una condizione di grande precarietà e difficoltà che questo Governo ha posto in essere per realizzare entrate che, come si sosteneva negli interventi precedenti, sono sicuramente non soltanto una tantum, ma anche non definibili per il semplice fatto che si innescano meccanismi che determinano l'incertezza di queste entrate.
Si tratta quindi di un decreto-legge che a nostro avviso non determinerà quelle condizioni che intendeva realizzare; un decreto-legge che affronta la questione dell'innovazione tecnologica, ma credo sia estremamente chiaro che non è pensabile che si possa discutere e definire come indicatore dello sviluppo di questo paese gli elementi portanti dell'innovazione tecnologica, la formazione continua, gli interventi nel campo della ricerca e poi non conoscere lo stato di questo paese per quanto attiene alla piccola e media impresa.
Una piccola e media impresa che è destrutturata, che non ha la capacità di intervenire sull'innovazione tecnologica e la ricerca; nello stesso tempo, proprio per quegli aspetti fondamentali della ricerca e dell'innovazione tecnologica, si interviene sui processi relativi all'università per la quale non si prevedono le condizioni positive per farla operare. Si bloccano quindi le scelte per la ricerca che vadano nella direzione dello sviluppo.
Queste non sono certamente questioni che pone l'opposizione, sono questioni che ha posto con fermezza il comitato dei rettori, i quali guardano con grande preoccupazione a ciò che sta accadendo nel mondo dell'università - per le questioni relative alle assunzioni, all'edilizia universitaria e via dicendo -, che viene ad essere fortemente penalizzato dalle scelte di questo Governo.
E certamente non si può dire che in questo decreto-legge vi siano importanti segnali per i ricercatori. Diceva bene il collega che è intervenuto in precedenza: alle frontiere non vi sono ricercatori che spingono per rientrare nel nostro paese, vi sono invece tanti ricercatori che hanno oggettivamente la necessità di andare fuori, perché non vedono garanzie per il loro lavoro, non vedono certezze negli atti


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che questo Governo adotta nei riguardi di un settore così importante per lo sviluppo economico della nostra nazione.
Non si può certamente affermare, come d'altronde hanno sostenuto con grande difficoltà i colleghi della maggioranza, che in questo decreto-legge vi siano quegli elementi essenziali come la ricerca, la possibilità di incentivare i ricercatori e di determinare una crescita importante per il nostro paese e per la piccola e media impresa; non c'è chiaramente sotto la lente di ingrandimento la vera condizione di questo paese, i grandi problemi delle piccole e medie imprese per lo sviluppo e per la possibilità di rilanciare una attività produttiva.
Come d'altronde viene chiaramente evidenziato, questo Governo non ha una politica economica né una politica industriale seria. Basta pensare che in alcuni settori importanti della nostra economia, in alcuni settori strategici, non vengono adottati interventi definitivi in grado di creare le condizioni, anche di partenariato con molte realtà internazionali. Mi riferisco, ad esempio, al settore aeronautico, in cui è fortemente deficitaria un'iniziativa forte da parte di questo Governo affinché si creino le possibilità di rilancio di questo settore importante, strategico per la nostra economia e per la nostra nazione.
In questo settore, infatti, come in altri settori che sono stati già indicati, vi sono grandi problematicità, non soltanto per il futuro, ma anche per quanto riguarda le condizioni di occupabilità che investono in modo negativo le condizioni del Mezzogiorno d'Italia. Questo settore, ad esempio, nei prossimi mesi metterà fuori decine e decine di persone soprattutto nell'area del Mezzogiorno e quindi si avranno ulteriori difficoltà per quanto riguarda le possibilità di occupazione e di crescita della realtà del nostro Mezzogiorno.
Quali sono le iniziative che vengono assunte? Ci sarà in questo decreto o nella legge finanziaria che andremo a discutere nei prossimi giorni la possibilità di uscire da questa situazione di grave difficoltà economica, occupazionale e produttiva per questo paese? Noi crediamo di no: questi provvedimenti sono disarticolati tra loro, lo abbiamo già verificato nei mesi e negli anni passati.
Si tratta di un Governo che non è in grado di determinare gli indici tendenziali di crescita. Voglio ricordare a tutti che nel 2003 abbiamo dovuto rivedere il documento di programmazione economico-finanziaria parecchie volte, perché questo Governo non era in grado di definire con chiarezza le condizioni di crescita. E noi avevamo già detto in tempi passati che la crescita di questo paese non si poteva che aggirare sullo 0,4-0,5 per cento.
Questi sono i dati che abbiamo oggi, al di là delle manifestazioni di entusiasmo del ministro Tremonti, il quale nelle ultime interviste ha evidenziato come in quest'ultimo trimestre la crescita abbia raggiunto lo 0,5 per cento.
E come giustamente sottolineavano i colleghi, tale crescita si può aggirare attorno allo 0,4, 0,5 per cento; avremo tali dati nel quarto trimestre.
Questo decreto-legge contiene un po' di tutto, dalle questioni riguardanti i ricercatori (i cosiddetti cervelli) a quelle inerenti al condono edilizio che, a nostro avviso, è una cosa veramente indegna per un paese democratico e civile che vuole rispettare soprattutto gli onesti. In questa logica, si va a determinare anche il concordato fiscale che - è stato sottolineato - prevederà non soltanto le questioni del 2001, ma anche quelle del 2002.
Tale paese, oggettivamente, crea le condizioni per suscitare nei cittadini grande inaffidabilità, perché gli stessi non intravedono, in questo Governo, una linea chiara, di grande responsabilità e di rigore. Com'è possibile volere che un cittadino rispetti le regole quando lo stesso Governo pone il cittadino nelle condizioni di non rispettarle attraverso i sistematici condoni? Credo che questo debba essere uno spunto di grande riflessione per le nostre coscienze. Tutti dobbiamo prestare su tali aspetti grande attenzione in maniera sistematica, per fare in modo che non si creino tali condizioni, anche con riferimento alle entrate passate, comunque in diminuzione in virtù delle scelte errate,


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delle scelte che vanno a garantire i disonesti all'interno del nostro paese e non certamente coloro che, sistematicamente, con grande responsabilità, hanno ottemperato ai dettami del nostro Stato!
Certamente, non sì può pensare di guardare con interesse ai problemi sociali di questo paese, alle famiglie, stabilendo di concedere esclusivamente mille euro. È un fatto importante. Io, a differenza di altri, sostengo che vi è la necessità di incentivare le iniziative a favore della famiglia. Ma credo vi sia il bisogno di contribuire con uno sforzo maggiore al fine di creare condizioni diverse perché la famiglia possa essere, di fatto, agevolata nell'ambito delle spese e di fare in modo che in Italia vi siano più consumi. Ciò avrebbe posto la nostra economia nelle condizioni di creare situazioni diverse. Non è sufficiente la previsione di mille euro.
Con riferimento a ciò, vorrei rilevare con puntualità che, se da una parte si pensa di attuare interventi a mio avviso riduttivi sulla famiglia, dall'altra vi sono elementi altrettanto negativi per i lavoratori a contatto con l'amianto, per cui molti saranno sicuramente eliminati da alcune - non si tratta di privilegi - situazioni oggettive. In Italia e nel mondo di amianto si muore. E nella nostra realtà nazionale vi sono ancora tantissime persone che lavorano a contatto con l'amianto.
Ecco perché credo non sia pensabile determinare una condizione di grande difficoltà e di grande disparità, avendo definito una situazione di gravità per i lavoratori dell'amianto.
Non è, inoltre, pensabile che in una discussione così importante vengano sottovalutati (lo dicevo anche in precedenza) i problemi riguardanti il Mezzogiorno d'Italia. Ancora oggi, il Mezzogiorno è in gravi difficoltà di crescita a causa alle iniziative di questo Governo. Infatti, negli anni passati, con i Governi di centrosinistra vi erano condizioni sicuramente diverse. Vi era una crescita diversa che andava nella direzione di recuperare il gap tra nord e il sud.
Si ponevano le condizioni per fare in modo che si creassero certe situazioni. Gli imprenditori, le imprese, potevano avere certezze in ordine ai percorsi che si venivano determinando.
Oggi, in questa situazione, le imprese non credono più nelle possibilità del Mezzogiorno perché lo stesso Governo non dà garanzie, non dà certezze su quelli che possono essere gli aspetti importanti di un recupero del Mezzogiorno considerato non solo problema nazionale, ma, in un contesto più generale, problema europeo. Il Mezzogiorno non ha infrastrutture, non ha la necessaria rete di logistica intelligente, non ha quelle potenzialità per realizzare le quali questo Governo ha avuto i voti nel 2001, per il Mezzogiorno. Oggi, gli indicatori sono negativi e non si intravedono, al di là delle enunciazioni affidate sistematicamente ai mezzi di comunicazione, iniziative forti per fare in modo che il Mezzogiorno d'Italia possa essere una risorsa per la nazione e per l'intera Europa.
Queste sono alcune tra le tante considerazioni che potrei proporvi. Altre potrebbero riguardare, ad esempio, gli asili nido e le defiscalizzazioni. Tutto ciò ci fa essere estremamente contrariati non soltanto per il metodo che questo Governo ha adottato con il decreto-legge al nostro esame, ma anche per il merito, soprattutto per il merito. Le misure recate dal provvedimento sicuramente non creeranno condizioni per la crescita e la stabilità del paese.
È per questo che noi siamo profondamente convinti che l'opposizione a questo Governo ha fatto bene a presentare una sua piattaforma per evidenziare quali sono le scelte, quali le possibilità di rilancio, quali le indicazioni alternative. Il centrosinistra non le presenta semplicemente a quest'Assemblea: nel momento in cui sarà posta la fiducia, saremo in grado di presentarle ai cittadini italiani e di far capire loro quali sono le scelte da fare per lo sviluppo, per la certezza e per l'equilibrio del nostro paese. Grazie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, da queste prime battute del


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dibattito in Assemblea ma, soprattutto, dalle iniziative assunte in questi giorni dalle varie categorie sociali, economiche, imprenditoriali, mi pare di capire che i giudizi negativi sulla manovra finanziaria per il 2004 sono pressoché unanimi. Le misure contenute nel disegno di legge finanziaria e nel decreto-legge n. 269 del 2003 sono accomunate, infatti, da due elementi negativi: innanzitutto, da una logica centralista che impone oneri addizionali senza prevedere adeguate coperture; in secondo luogo, da una forte riduzione delle risorse.
Disegno di legge finanziaria e maxidecreto valgono una manovra da poco più di 16 miliardi di euro: 13,7 il provvedimento di urgenza; 2,4 il disegno di legge finanziaria per il 2004. L'ampiezza dell'intervento effettuato con il decreto-legge n. 269 del 2003 rappresenta, a nostro ed a mio giudizio, una violazione della vigente disciplina contabile, la quale prescrive, come tutti sanno, l'unitarietà della manovra di finanza pubblica annuale. Tale lacerazione istituzionale si è ripercossa negativamente sulla legge di bilancio, divenuta poco leggibile, ed ha determinato, quindi, un depotenziamento dei ruoli di controllo, di verifica e di critica politica esercitati dal Parlamento.
Inutile ricordare che il centrosinistra non ha mai fatto e, probabilmente, non farebbe mai, una manovra per decreto, come ha fatto questo Governo, per vincere soprattutto i malumori presenti all'interno della maggioranza. Questo provvedimento ha stravolto le leggi di bilancio ed ha operato forzature profonde non solo tra maggioranza ed opposizione, ma tra Governo e Parlamento. La nostra Repubblica e le parti che la compongono ed i suoi luoghi decisionali non possono essere ignorati o svuotati di significato, ridotti alla pari di un consiglio di amministrazione che deve ratificare semplicemente la volontà del suo azionista di maggioranza!
Nel 2001, quando questo Governo ha vinto le elezioni, c'era un equilibrio del paese - inutile negarlo! - c'era una dialettica, c'erano delle regole tra le forze sociali. Oggi, il paese è lacerato, com'è lacerato il Governo di centrodestra.
Non è così che, a nostro giudizio, si può governare un paese complesso come l'Italia, se non si vuole arrivare ad una crisi istituzionale senza precedenti, ad un vero e proprio collasso del sistema istituzionale. Vede, un primo segno significativo di come si sia giunti al limite sono gli emendamenti presentati dalle regioni, sia di centrodestra sia di centrosinistra, alla legge finanziaria che è stata ritenuta da tutti inaccettabile. Questo Governo ha smarrito il senso di un disegno complessivo e, come quelli che si smarriscono, non solo non segue la strada segnata, ma non riesce a trovarne neanche una alternativa e, per questo, non dà corso coerentemente al progetto istituzionale sancito dalla Costituzione e non riesce a contrapporvi un disegno alternativo e coerente. L'effetto è l'inconcludenza, la confusione, il logoramento dell'istituzione e l'inefficacia delle loro politiche. C'è, a mio avviso, un forte pericolo di involuzione del processo di riforma dello Stato e questa proposta di legge finanziaria, insieme al maxidecreto marcatamente centralista, ne è la conferma. Tutte le regioni, le associazioni, il mondo delle autonomie locali, i sindacati, anche la Confindustria, con differenziazioni varie, hanno espresso il proprio parere negativo sulla nuova proposta.
Il Governo in questi sei mesi ha anche la responsabilità della Presidenza di turno dell'Unione europea. Avrebbe dovuto essere una marcia trionfale, invece è solo un lento arrancare, di cui credo gli italiani non auspichino altro che vederne la fine. La crescita di questo paese si è praticamente fermata, i consumi - è già stato detto nel dibattito di questa sera - sono caduti e sono aumentate le preoccupazioni delle famiglie italiane. Il nostro è un paese incerto nel suo futuro, è un'Italia che non ha traguardi, come qualcuno ha detto. Questo senso di preoccupazione e di paura che pervade il paese, queste inquietudini derivano anche da una crisi internazionale che sfugge sempre più al controllo della politica. Una crisi che sempre più spesso


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è affidata alla potenza delle armi, come nel caso dell'Iraq, al delirio sanguinoso del terrorismo, alla precarietà e all'incertezza economica. Proprio per questo mai come quest'anno il binomio rigore e sviluppo avrebbe dovuto ispirare la manovra finanziaria per il 2004. Conciliare il rigore e lo sviluppo in questi frangenti consiste nell'avviare riforme che riducano significativamente il debito pubblico e finanzino politiche di rilancio vero.
Voglio sottolineare anche il metodo usato dal Governo nella fase di elaborazione della legge. Anziché cercare, tramite lo strumento della concertazione, il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle parti sociali, degli enti locali, nel raggiungimento degli obiettivi di risanamento della finanza pubblica, è stata invece scelta la strada di logiche apertamente centraliste e unilaterali, ignorando quanto disposto dalla Costituzione, che stabilisce - come tutti sanno, è inutile ripeterlo - l'equiordinazione tra le parti della Repubblica. L'immagine che si trae è quella di uno Stato che tende a spostare in modo autoritario l'onere dell'aggiustamento dei conti pubblici sugli enti decentrati, nella speranza forse di non doverne pagare i costi politici. Uno Stato che di fatto impone il raggiungimento degli obiettivi di risanamento tramite una riduzione delle spese e, quindi, presumibilmente, dei servizi piuttosto che con un aumento delle entrate.
Siamo ben lontani non solo dal riconoscimento del principio costituzionale della pari dignità degli enti territoriali, ma anche dall'attuazione di un corretto rapporto istituzionale tra diversi livelli di Governo. Vede, dopo la riforma del titolo V, infatti, il meccanismo è regolato dal Governo senza nessuna concertazione preventiva con gli enti locali e le regioni. I vincoli del patto di stabilità interno non contengono variazioni significative rispetto al regime previsto con la finanziaria dello stesso anno; cioè, possiamo dire che non si è migliorato quello che era già pessimo. Con il maxidecreto del 30 settembre 2003 n. 269, che rappresenta - lo ripetiamo - l'80 per cento della manovra finanziaria, e con la legge finanziaria per il 2004, il Governo propone una linea centralistica punitiva nei confronti di comuni, province, comunità montane e regioni. La disponibilità delle autonomie locali a definire con il Governo un contenimento dell'indebitamento, anche ai fini dei parametri europei, è stata umiliata, negando qualsiasi concertazione e dialogo. Le scelte imposte dal Governo agli enti locali sono estremamente gravose, lo hanno detto in più riunioni i rappresentanti e le rappresentanze delle autonomie locali: un taglio dei trasferimenti pari a circa 850 milioni di euro rispetto al 2003, penalizzando in particolare i comuni minori; vincoli del patto di stabilità interno che ne determineranno un contenimento pari a 1.800 milioni di euro segnatamente con riferimento alle spese per nuovi servizi sociali agli anziani, all'infanzia, alla scuola, ed ad interventi a sostegno dello sviluppo.
Il blocco delle addizionali facoltative IRPEF e d'ogni possibile imposta di scopo. Il mancato rinnovo del turn over ed un sostanziale blocco delle assunzioni che comporterà l'impossibilità ad aprire nuovi servizi. Ed, infine, maggiori spese per l'istruttoria delle pratiche, ahimè, del condono edilizio.
Oltre ai tagli previsti c'è un'assenza di investimenti per il 2004 in alcuni comparti strategici per gli enti locali quali il fondo per le aree sottoutilizzate per trasporti, acqua, dissesto idrogeologico, ricerca e sicurezza che, con un ridotto finanziamento di appena 100 milioni di euro nel 2004, rinvia lo stanziamento maggiore di 2 mila 700 milioni di euro al lontano 2007; e, infine, il ridicolo stanziamento per il 2004 di 11 milioni di euro per l'edilizia scolastica a fronte di una previsione nel piano pluriennale del ministro Moratti di 7,5 miliardi di euro.
Il convegno annuale di lega autonomie, che abbiamo tenuto a Viareggio, e la ventesima assemblea dell'ANCI, a Firenze, hanno sottolineato in maniera chiara la disponibilità a definire un apporto al patto di stabilità interno in proporzione all'incidenza percentuale della spesa degli enti locali sulla spesa pubblica complessiva


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richiedendo, nel contempo, la salvaguardia dei trasferimenti statali per la stessa entità del 2003 e a garantire le risorse per l'esercizio delle funzioni trasferite.
Insieme al superamento delle norme centralistiche e punitive, si richiede che venga avviato un percorso con scadenze certe per l'applicazione dell'articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale; a questo riguardo desidero sottolineare che io sono il primo firmatario di una proposta di legge che va in tal senso e, certamente, c'è da augurarsi che, dopo questa finanziaria, questo percorso possa essere ripreso. La scadenza dell'elaborazione ed approvazione del bilancio di previsione, per evitare un percorso che porti al taglio dei servizi e al disavanzo, ha bisogno di certezze.
Il Vicepresidente del Consiglio, all'assemblea dell'ANCI di Firenze, ha invitato tutti ad accantonare polemiche e incomprensioni per dar vita ad un nuovo confronto, cioè quello che è mancato, in effetti, nella preparazione della finanziaria per l'anno 2004 manifestando, anche a nome del Governo, una nuova e piena disponibilità. Dobbiamo registrare, a distanza di qualche settimana, che queste, evidentemente, erano parole al vento, parole dette, ovviamente, in libertà.
Ma c'è un altro aspetto che più preoccupa ed è quello sanzionatorio, rimasto invariato: le sanzioni previste per chi non rispetta gli obiettivi del patto di stabilità interno. Mi riferisco all'impossibilità di indebitarsi per investimenti; impossibilità, come dicevo, di assumere personale a qualsiasi titolo; la riduzione forzata del 10 per cento delle spese per acquisti in beni e servizi. Queste sanzioni sono talmente rilevanti che, se confermate nel corso dell'iter parlamentare della finanziaria, condurranno certamente un gran numero di comuni e province ad una situazione difficilmente sostenibile. Siamo di fronte, rispetto al 2003, ad una diminuzione delle risorse agli enti locali per 833 milioni di euro. Il taglio dei fondi colpisce in modo particolare, come abbiamo detto, i comuni al di sotto dei cinquemila abitanti ai quali è riservato l'80 per cento del fondo ordinario per gli investimenti e soprattutto i comuni al di sotto dei tremila abitanti destinatari del contributo aggiuntivo a tale fondo. I fondi assegnati all'unione dei comuni, che interessano anch'essi prioritariamente i piccoli comuni, vengono praticamente azzerati.
Voglio inoltre sottolineare un dato, che avremo modo di sottolineare meglio durante la discussione della finanziaria, e cioè che gli enti locali e le regioni concorrono al patto di stabilità e alla riduzione dell'indebitamento netto per 2,5 miliardi di euro, di cui 1,8 miliardi a carico di comuni e province e ciò rappresenta il 35-40 per cento degli interventi strutturali per l'economia del bilancio statale, mentre per i ministeri l'apporto al contenimento dell'indebitamento è nell'ordine soltanto del 20 per cento. Vedete anche qui la sproporzione, la disparità di trattamento, tra Governo centrale ed enti locali. É per questo che proponiamo sinteticamente per gli enti locali la conferma dei trasferimenti erariali e degli stanziamenti già previsti nel 2003 con risorse perequative ed investimenti aggiuntivi soprattutto per i comuni minori e montani e per l'associazionismo dei comuni, rifinanziando adeguatamente anche il fondo per la montagna, il riutilizzo per il fondo ordinario, la perequazione del fondo sociale nazionale di una parte dei 500 milioni di euro, risparmi del fondo nazionale degli investimenti destinati agli enti locali.
In terzo luogo, proponiamo il superamento del blocco dell'addizionale facoltativa IRPEF, con la possibilità di poter decidere su imposte di scopo facoltative, restituendo cioè autonomia alla capacità impositiva degli enti locali.
Occorre garantire, inoltre, l'effettivo esercizio delle funzioni trasferite, assicurando agli enti locali e alle regioni adeguate risorse per beni, servizi e personale, mentre ai fini del patto di stabilità interno proponiamo di considerare nel disavanzo finanziario le spese eccezionali, in particolare le maggiori spese per il potenziamento dei servizi sociali agli anziani e all'infanzia. Ci riempiamo tutti la bocca di queste parole - anziani ed infanzia -, ma


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quando si tratta di riempirle con contenuti concreti, allora il Governo diventa evasivo, anzi assente!
Proponiamo, infine, di garantire risorse per il rinnovo del contratto di lavoro dei dipendenti degli enti locali, il cui incremento è pari ad un maggior costo del 5,66 per cento (si doveva prevedere un contributo dell'1 per cento da parte dello Stato), di evitare il blocco del turn over, premiando lo sviluppo dei servizi e l'impegno di innovazione e riorganizzazione, di superare la Tesoreria unica per i comuni sopra i 10.000 abitanti e di mantenere aperti i termini per la liquidazione e l'accertamento dell'ICI limitatamente alle annualità di imposta 1999 e successive, facilitando il recupero di entrate comunali.
Il contenimento imposto in modo così pressante agli enti locali determinerà - lo affermano in tanti, non soltanto l'opposizione - una riduzione della spesa per i servizi e gli interventi destinati ai cittadini e al welfare locale. Il welfare subisce, in questa finanziaria, un attacco durissimo: il presidente della regione Piemonte, che non è certamente del mio partito, ha dichiarato che, con questa finanziaria, ogni cittadino avrà 150 euro in meno di servizi sanitari, vale a dire meno visite convenzionate, esami, ecografie e TAC. In altri termini, una famiglia di quattro persone perderà 600 euro all'anno in assistenza sanitaria: ciò significa che, se un componente di quella famiglia si ammala, dovrà pagarsi le cure mediche.
La riforma previdenziale proposta dal Governo, inoltre, rischia di avere effetti marginali sul debito pubblico, perché sposta la spesa previdenziale nel corso del tempo, anziché ridurla in modo permanente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta del Governo non rappresenta un impegno credibile per ridurre il debito, perché si tratta più di un rinvio che di una riforma.
La manovra finanziaria contiene di tutto, tranne la lungimiranza: ma perché il Governo - si domandano in tanti - propone ora una riforma i cui effetti agiranno a partire dal 2008? Tutti però si sono dati una risposta: è per avere via libera, nonostante il disegno di legge finanziaria indecente, dall'Unione europea: è come se il Governo chiedesse un mutuo all'Unione europea che poi pagheranno i cittadini!
L'onorevole Di Gioia si è già soffermato sulla questione dell'amianto, perché il grave peggioramento imposto dal Governo, con la riduzione da 1,50 a 1,25 del coefficiente per il calcolo dei benefici previdenziali dovuti ai lavoratori esposti all'amianto rappresenta un colpo durissimo ad una categoria che merita attenzione e rispetto da parte sia del Governo, sia del Parlamento. Il provvedimento, inserito nell'articolo 47 del decreto-legge al nostro esame, a nostro avviso è un furto sulla salute e sulla vita di questi lavoratori, la cui comprovata esposizione all'amianto può diventare nel tempo la causa per l'insorgenza di drammatiche malattie.
Ma questo provvedimento, che sottrae una parte dei benefici già concessi con la vigente legge n. 257 del 1992, rappresenta anche un'offesa al lavoro e alla volontà del Parlamento, perché proprio al Senato, in Commissione lavoro, con il contributo di tutti gruppi, è stato predisposto un progetto di legge unificato per migliorare la legge in atto e per inserire tra gli aventi diritto quei lavoratori che, per difficoltà di documentazione, erano rimasti esclusi. Il decreto-legge al nostro esame, invece, va in senso contrario!
Signor Presidente, non basta che il ministro Tremonti, per attuare il dissesto finanziario nel quale sta trascinando il bilancio dello Stato e l'economia del nostro paese, proceda «a spron battuto» con pesanti tagli sui conti delle regioni e degli enti locali, riducendo la capacità di intervento di tali amministrazioni sulla rete dei servizi, provocando riduzioni dolorose per i bisogni dei cittadini - soprattutto i più deboli, i più poveri, i disabili ed i senza lavoro; non solo egli accentua la privatizzazione, vendendo quote di azioni del Tesoro e parte del patrimonio immobiliare, ma affonda il suo bisturi anche sui malati, sui malati di cancro e sui lavoratori esposti all'amianto, che invece hanno bisogno di cure e di protezione sociale.


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Non condividiamo questo indirizzo: ci opponiamo e ci opporremo a questa politica negatrice di elementi, di diritti e di conquiste sociali, e ci batteremo per ripristinare l'interezza del coefficiente al tasso dell'1,50 per cento.
Non si lesina poi il ricorso - e questa è la questione più grave - a misure una tantum, volte ad aumentare il gettito per il 2004, a costo di pregiudicare le entrate e le uscite future e, dunque, peggiorando il debito pubblico.
Come avevamo denunciato lo scorso anno, le entrate per l'erario previste dal Governo nella legge finanziaria per il 2003 erano largamente sopravvalutate, un puro esercizio di fantasia costruito sulla previsione di un tasso di crescita annuo della ricchezza nazionale al 2,4 per cento. Ora, la certificazione delle entrate tributarie presenta un buco di quasi dieci miliardi di euro rispetto agli incassi stimati nel bilancio di previsione. Se si considera - queste osservazioni sicuramente sono state già svolte - che il condono fiscale, i cui termini sono stati più volte riaperti, ha portato un gettito di 13 miliardi invece dei 5 previsti, ciò significa che vi è un buco nelle entrate ordinarie di ben 18 miliardi di euro, vale a dire 2 miliardi in più del valore della cifra globale ipotizzata per la legge finanziaria per il 2004. E il tasso di crescita annuo, ovviamente, è stato, nel primo trimestre del 2003, pari solo allo 0,4 per cento.
La politica dei condoni - è stato già detto e, sicuramente, nel corso di questo dibattito verrà ripetuto - è sempre un premio per chi non rispetta la legge, a danno dei cittadini che, invece, pagano le tasse e la rispettano.
In questi giorni, alcuni esponenti del Governo hanno affermato che il condono edilizio è una misura positiva: ma positiva per chi? Si condonano gli abusi, non i piccoli bensì i grandi e i grandissimi abusi (ad esempio, palazzi costruiti illegalmente con i denari della mafia e della camorra). Si condonano anche gli abusi demaniali, ossia viene protetto e garantito chi ruba terreno dello Stato. I condoni, come è successo quest'anno, sono la causa principale dell'elusione fiscale. L'approvazione del condono edilizio comporta per gli enti locali costi superiori rispetto agli introiti della sanatoria promessi dal Governo agli enti locali.
La Lega si straccia le vesti, rinviando a gennaio la verifica sulle cosiddette riforme istituzionali federaliste e finge di dimenticare che queste riforme sono state clamorosamente calpestate con il condono edilizio proposto proprio dal ministro prediletto dai leghisti e da Bossi, ossia Tremonti. Infatti, la riforma già approvata del titolo V della Costituzione considera l'urbanistica e tanto più l'edilizia materie di competenza regionale nei confronti delle quali il Parlamento e il Governo conservano la responsabilità di approvare leggi di principio. È uno scontro frontale. Secondo l'articolo 117 della Costituzione, in materia di edilizia, lo Stato dovrebbe stabilire i principi fondamentali e le regioni dovrebbero applicarli con loro leggi e regolamenti. Ma lo Stato è andato ben oltre i principi, stabilendo nei minimi dettagli la disciplina sul condono.
A tale proposito, bisogna sottolineare con favore l'iniziativa di alcune regioni di approvare provvedimenti che disinnescano il potenziale distruttivo del condono proposto dal Governo. Regioni - e mi avvio alla conclusione - che tengono alla loro autonomia molto più della Lega nord e dei suoi rappresentanti politici in Parlamento hanno giustamente presentato ricorso alla Corte costituzionale.
Il Governo, proponendo il condono edilizio, infrange apertamente il principio federalista; senza bisogno di aspettare gennaio, i comuni italiani, i cui bilanci sono stati già saccheggiati, dovranno fornire, di tasca propria, i soldi per raccogliere i proventi del condono, che finiranno in gran parte nelle casse del Governo centrale; dopodiché, il Governo che, forse, avrà racimolato i preventivati 3 miliardi di euro, lascerà, forse, ai comuni gli oneri di urbanizzazione necessari per le costruzioni legalizzate: alla faccia, anche qui, ovviamente, del federalismo!
Il condono edilizio agisce anche sul lato delle spese future: non solo alimenta il


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dissesto del nostro territorio, ma nel caso di calamità naturale induce lo Stato a compensare i costruttori abusivi in zone a rischio. L'obbligo di assicurazione per gli immobili per le calamità naturali serve, forse, a salvare la coscienza dalle future sciagure causate con il condono stesso.
Vengo ora ad affrontare un altro aspetto di cui forse si parla poco. Nel decreto-legge n. 269 del 2003 è stata apportata una variazione anche alla disciplina sui servizi pubblici locali, così come richiedeva l'Unione europea. Si tratta di un provvedimento tampone, che non affronta i punti principali di una riorganizzazione del settore. L'incertezza del quadro normativo causa crescenti difficoltà nell'attrazione di investimenti e nello sviluppo della potenzialità delle aziende: questo è un grave vincolo per lo sviluppo locale e gli enti locali chiedono certezza sui contenuti.
Come sottolineato più volte, vi è bisogno di una nuova normativa organica nel settore dei servizi pubblici.
Dopo l'esclusione dal testo della finanziaria di risorse specifiche per il settore attraverso la destinazione ai trasporti pubblici locali di 3 centesimi di euro per ogni litro di benzina venduto, il settore del trasporto pubblico locale con questa manovra rischia di perdere risorse per almeno 650 miliardi all'anno. L'accisa consentirebbe alle aziende di acquistare circa 3 mila autobus all'anno con un notevole miglioramento della qualità dei servizi, anche sotto il profilo ambientale. Le risorse per il settore sono praticamente ferme ai livelli del 1996 e gli investimenti sono drasticamente ridotti.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 19,45)

PIETRO TIDEI. Nel frattempo, galoppa il costo della vita che comporta un freno alle gare per la gestione dei servizi.
La trasformazione della cassa depositi e prestiti in cassa per lo sviluppo è un provvedimento che preoccupa in quanto tale cassa è stata da sempre considerata la banca che finanziava a condizioni favorevoli le infrastrutture pubbliche locali. Cambiando il suo ruolo vi è il rischio che perda la sua fondamentale funzione di aiuto ai programmi di sviluppo degli enti locali. Non parliamo, poi, dei tagli di spesa effettuati in maniera indiscriminata come quelli attuati secondo le procedure introdotte dal decreto blocca spese del 2002. Una logica di provvisorietà si riscontra anche nella sostanziale rinuncia ad intervenire in modo mirato sulla spesa.
Non mancano nuove voci ad arricchire il catalogo delle ipoteche sul futuro. Le vendite di immobili mediante cartolarizzazione, se non opportunamente preparate, possono creare problemi nel futuro quando dovranno dar luogo a vendite reali per rimborsare i sottoscrittori dei titoli. Ancora peggiore è il caso delle operazioni di vendita a terzi, che poi riaffittano ai proprietari originali, su immobili utilizzati da enti pubblici che irrigidiscono per decenni i bilanci futuri della spesa per affitti.
L'impressione è che, invece di concentrare le risorse su pochi interventi, si sia scelto di mettere una serie di bandierine per evitare di essere accusati di disinteressarsi delle politiche per la famiglia, della fuga dei cervelli, dell'innovazione tecnologica, e così via. Peccato che la portata di tali interventi sia soltanto simbolica e, per certi versi, ridicola.
I costi di un'economia senza regole, gli effetti di una politica concentrata sul breve periodo sono negativi non solo per la finanza pubblica, ma anche per l'economia nel suo complesso. Rendere incerte le regole in materia tributaria o di incentivi per l'occupazione non favorisce, certo, gli investimenti privati e lo sviluppo. Premiare chi ha violato le regole costa ancora di più. Provvedimenti come la riapertura dei termini del condono tributario fino a marzo 2004 sono devastanti per la credibilità delle istituzioni.
Tra i fattori che determinano investimenti e crescita economica, forse più che la pressione tributaria, vi sono anche la qualità delle istituzioni, il rispetto delle leggi, il senso civico. È un problema di fiducia: facile distruggerla, molto molto più difficile ricostruirla. Questo Governo


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ha perso, a mio giudizio, la fiducia degli italiani e sta, purtroppo, distruggendo tutto quello che di buono era stato fatto fino ad ora.
Augurarsi, concludendo, un atto di resipiscenza del Governo è il minimo che in questo momento possiamo fare nell'interesse del nostro paese, nell'interesse dei cittadini italiani (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.

ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, dichiariamo, ovviamente, la nostra piena contrarietà al provvedimento in esame e nel mio intervento cercherò di motivarne, seppure in modo riassuntivo, le ragioni.
Vi è, innanzitutto, la questione pregiudiziale - di fatti, in tale sede l'abbiamo posta, ma la dobbiamo riproporre all'attenzione del Governo e dei colleghi anche in sede di discussione sulle linee generali - riguardante la violazione costituzionale che la semplice presentazione, non dico poi la posizione della questione di fiducia, di questo decreto-legge comporta. Siamo di fronte, come i colleghi ben sanno, ad un decreto-legge che contiene circa l'85 per cento - posso, naturalmente, sbagliare su qualche valore percentuale, ma non sulla dimensione di grandezza - della manovra finanziaria complessiva che il Governo prevede per quest'anno. Siamo, quindi, di fronte ad un'innovazione del metodo legislativo.
Onorevole Leone, non si può fare i bambini dicendo continuamente che anche il precedente Governo lo aveva fatto, mentre quelli del precedente Governo vanno ancora più indietro dicendo che lo avevano fatto quegli altri, e così via: questo è semplicemente infantile ed irresponsabile.
Dobbiamo convenire che siamo di fronte ad una modificazione del metodo legislativo, laddove quest'ultimo riguarda gran parte del nostro sistema istituzionale. Se almeno fossimo d'accordo su questo punto, potremmo poi discutere se questa modificazione è opportuna e gradita oppure se non piace, ma almeno avremmo una base comune di discussione. Vi invito, dunque, colleghi della maggioranza, a non fare i bambini, ma a riconoscere che siamo di fronte ad una violazione clamorosa di ogni regola, che non è giustificabile da nessuna ripicca né con il passato Governo di centrosinistra, né con il centrosinistra di vent'anni fa. Non c'entra, infatti, niente, perché è tutta vostra responsabilità e ve lo posso dimostrare molto facilmente. Poi ognuno, ripeto, può anche dire che questo sistema è giusto e che, anzi, non è una regressione, ma un passo in avanti; tuttavia, certamente non è uguale a quello in base al quale questo Parlamento - e lo dico anche a lei, signor Presidente, perché in quanto Presidenza ha una responsabilità - dovrebbe funzionare e lavorare.
Vede, signor Presidente, noi abbiamo conosciuto, e questo per responsabilità dei Governi precedenti a quello attuale, un processo di svuotamento strisciante, però continuativo, dell'istituto della legge finanziaria. L'essenza di tale istituto - rimando sempre alle definizioni, nella loro semplicità - è, o dovrebbe essere, il collegamento tra la legislazione vigente e una legislazione di bilancio pluriennale. Tale istituto venne, dunque, così concepito nella riforma del 1978 e poi, via via, trovò forma nella discussione parlamentare, fino a configurarsi, in tempi più recenti, in una pomposa, quanto non praticata, sessione di bilancio, con un qualche ammiccamento ai sistemi d'oltreoceano, naturalmente, come sempre, in forma evocativa e mai nella verità, mai nella sostanza, mai nell'impegno reale delle persone, mai nel senso di responsabilità del Governo e mai in nulla di concreto.
Pareva che qui, a Montecitorio, e al Senato, esistendo il bicameralismo perfetto, ci si riunisse per davvero, per lunghe settimane e per lunghi mesi, a disputare delle cifre e delle quantità, che marxisticamente fanno qualità, così come pareva che effettivamente vi fosse la possibilità di intervenire, di discutere e di modificare il testo; insomma, di rendere un po' oleato il sistema della decisione, creando degli


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snodi e dei momenti veri e propri di discussione. Così, tuttavia, secondo me non è stato mai, tranne forse in rarissimi e felici momenti, ormai passati nel dimenticatoio. Si è passati poi ad un sistema, che ebbi a definire, in tempi passati, di crisalide, sebbene in confronto a quello attuale quel sistema era quasi una meraviglia, perché sostanzialmente c'era una legge finanziaria. Quella legge finanziaria era una crisalide, all'interno della quale c'era un baco che poi diventava farfalla. Questa farfalla erano i collegati, che venivano discussi in un momento successivo alla legge finanziaria; tali collegati erano, però, ad essa vincolati per il meccanismo complesso e farraginoso di discussione, di cui la Commissione bilancio era la vestale.
Oggi, onorevole Armosino, siamo invece di fronte ad una modificazione, che lei non mi può negare. Con il decreto-legge, prima di ogni altra considerazione, noi siamo non all'esame del collegato, che viene dopo la finanziaria, ma siamo ad un qualcosa che svuota la finanziaria prima.
Precedentemente, nella legge finanziaria, non potevamo discutere alcune materie perché dovevano essere previste nei collegati e, via via, questi ultimi erano più autorevoli per la portata di impatto sociale, economico e dunque politico rispetto alla legge finanziaria; e già questa era una bella limitazione! Oggi, non possiamo praticamente fare nulla perché tutta la sostanza della questione, tutta la «ciccia» della questione viene anticipata a causa di un decreto-legge sul quale oltretutto pende la spada di Damocle - questa davvero non nuova - della posizione della questione di fiducia.
Questa modificazione istituzionale delle modalità del dibattito a me pare una questione di primaria grandezza. Ripeto, si può vederla da destra o da sinistra e, perché no, persino dal centro, tuttavia occorre riconoscere che siamo di fronte ad una modificazione. Se non si comprende che le regole stanno cambiando, prima o poi si andrà a sbattere contro un muro, perché non ci si accorge del mondo circostante.
Con questo nuovo sistema, si riafferma il sogno che proviene da lontano, vale a dire la teoria dell'inemendabilità delle leggi afferenti alle materie finanziarie - di cui non è responsabile il Governo Berlusconi -, che risale a mia memoria a vent'anni fa, ad un certo decisionismo di marca craxiana che ha segnato - ahimè in modo negativo - la storia della democrazia di questo paese. Naturalmente, quel decisionismo viene implementato - come si dice nella bella lingua - dal Berlusconi di oggi.
Pertanto, siamo di fronte ad una traduzione dell'idea - poi, Tremonti ci ha messo del suo, in quanto anche lui vuole far parte della storia a modo suo - di una sostanziale inemendabilità della legge finanziaria. Se si sposta la manovra finanziaria dalla sua posizione naturale, vale a dire quella di una legge che più parlamentare di così non potrebbe essere e che addirittura dovrebbe costituire una sessione di bilancio e la si trasporta nella sede del decreto-legge che più estranea ad una sessione di bilancio non potrebbe essere, si realizza il capolavoro della perversione. Usate voi termini accettabili in un linguaggio parlamentare, che qui non posso pronunciare, ma - onorevoli colleghi - l'immaginazione non vi mancherà!
Siamo di fronte alla traduzione per altra via della teoria della inemendabilità delle leggi finanziarie, precisamente siamo di fronte ad una violazione degli articoli della Costituzione. Mi riferisco all'articolo 77 - e su questo numero non sbaglio - vale a dire quello riguardante i requisiti di necessità e di urgenza del decreto-legge e, in questo caso, è ovvio che non vi è alcuna necessità - visto che si potrebbe discutere della legge finanziaria - e nessuna urgenza, anzi quest'ultima rappresenta una violazione della necessità, dunque una contraddizione in termini. Quindi, siamo fuori dall'articolo 77! Siamo fuori dall'articolo 81 - qui, Presidente, posso sbagliarmi sulle cifre ma lei è molto magnanimo nei miei confronti, me lo consentirà - che riguarda le modalità di discussione della legge di bilancio.


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Insomma, siamo di fronte ad un pasticcio e ad una modificazione strisciante, ma reale, della Costituzione italiana nelle sue parti essenziali che riguardano il delicato equilibrio tra il potere legislativo e quello esecutivo. Lasciamo perdere una volta tanto quello giudiziario che, in questa discussione, mi auguro non entri. Ma, certamente, il rapporto tra i primi due poteri è completamente capovolto.
Cosa succederebbe, onorevole Armosino, onorevole Giovanardi, se il Parlamento - facciamo un periodo ipotetico del terzo tipo, dell'irrealtà - improvvisamente avesse, per ragioni imperscrutabili riguardanti per così dire la variazione delle umane sorti, una maggioranza diversa e votasse contro la conversione di questo decreto-legge, il quale peraltro in quanto decreto-legge è già entrato in vigore?
Cosa succederebbe del condono edilizio? Cosa succederebbe del concordato fiscale? Cosa succederebbe della proroga del condono tombale? Cosa succederebbe di tutte le varie agevolazioni fiscali e finanziarie previste? Tutto ciò dovrebbe cadere. Ma se cadesse, signor Presidente, quale legge finanziaria potremmo successivamente discutere? Forse quella alternativa, che il mio collega Russo Spena si accinge a presentare a questo Parlamento. Ma, naturalmente, troppa grazia, sant'Antonio: non ci sarebbe più legge finanziaria!
Dunque, onorevole Leone, la questione non è quella di fare i bambini: la questione è che questa modifica del meccanismo dibattimentale e istituzionale, questo affossamento della sessione di bilancio, questo schiacciamento di un'autonomia parlamentare sulla legge di bilancio è consustanziale e coerente con la posizione della questione di fiducia.
Non ho dubbio che questo avverrà: che altro può fare il Governo? Non può mica permettersi il lusso che non ci siano più il condono edilizio, il condono tombale e il concordato fiscale, che possa rientrare tutto quanto ha promesso a ristretti gruppi di èlite in questo paese, per rimanere in piedi sulla base dell'elusione e dell'evasione fiscale e della vigliaccheria nei confronti del rispetto delle norme costituzionali che prevedono che ciascuno paghi il dovuto! Non lo può fare! E come fa? Certamente porrà la questione di fiducia. Che altro può fare questo Governo?
È una conseguenza implicita. Come il contratto a termine - per usare argomenti di cui mi occupo - ha incorporato in sé il licenziamento - al di là di tutte le sciocchezze che vengono dette in questa Assemblea sulla bellezza del contratto a termine - così il decreto-legge in esame che contiene l'85 per cento della manovra finanziaria ha incorporata in sé la questione di fiducia.
Naturalmente, sarei lieto di essere smentito: toccherei il cielo con un dito, farei tombola, ma temo di avere ragione. Per questo siamo al di fuori della sessione di bilancio: in questo momento celebriamo l'affossamento della riforma del 1978 (i parlamentari più anziani dovrebbero ricordarla). Ma ci fosse qualcuno che abbia il coraggio, dai banchi del Governo e della maggioranza (ma non ce l'ha nessuno, anche perché manca la cultura necessaria) di alzarsi e dire: la sessione di bilancio è una scemenza. Ricorda, signor Presidente, la battuta di Paolo Villaggio sul film La corazzata Potëmkin? Si alzò e disse: è un'emerita str....a! Liberatorio, per la sinistra! Non c'è nessuno che dalla destra dica: la sessione di bilancio, quella americana...

PRESIDENTE. Onorevole...

ALFONSO GIANNI. Ma è una citazione di cultura, signor Presidente! Cito la televisione di Stato, non succede niente!

PRESIDENTE. Per fortuna, il Parlamento è qualcosa di diverso.

ALFONSO GIANNI. Infatti, ma la cito in modo critico, come vedrà. In realtà, la citazione è: «è una boiata pazzesca».
Dunque, se ci fosse qualcuno della maggioranza che si alzasse e dicesse: la sessione di bilancio è una... quello che ho già detto, e che non ripeto per grazia nei


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suoi confronti, signor Presidente, si metterebbe mano a un ragionamento più articolato e complesso. Ma non c'è nessuno che abbia questo coraggio.
Dunque, vuoi il decreto-legge, vuoi la fiducia, pezzo a pezzo, un argomento di qua, un argomento di là, onorevoli colleghi, diciamo la verità, che alcuni giuristi hanno colto appieno: se guardiamo la prima parte della legislatura, la forma e la qualità dei provvedimenti che sono stati adottati, l'utilizzo dei decreti-legge, delle leggi delega - che sono ancora più micidiali, e che proliferano -, dei decreti legislativi che non possono essere discussi dal Parlamento e sui quali può essere espresso soltanto un parere da parte delle Commissioni competenti, giungiamo a questa conclusione: siamo di fronte al passaggio dalla democrazia parlamentare alla democrazia governamentale.
È quello che stiamo registrando. Anche in questo caso, vorrei che qualcuno avesse il coraggio di dire: è giusto perché, siccome il Parlamento è un'aula sorda e grigia, ben venga un Governo che decide. Ma voglio vedere se, qui, qualcuno ha il coraggio di riprendere il dibattito sul decisionismo degli anni ottanta. Non ho sentito nessuno, perché nessuno, rispetto a quell'epoca, ha la coscienza a posto. E qui mi fermo, per carità di patria. Nessuno ha il coraggio di riprendere quella discussione. Però, lo si fa sotto banco - diciamo così - negli interna corporis che vanno da palazzo Chigi a Montecitorio a palazzo Madama. Siamo di fronte a questo passaggio istituzionale. Siamo di fronte ad una controriforma costituzionale non detta, non proclamata ma, proprio per questo, assai più pericolosamente effettuata: il passaggio da una democrazia parlamentare ad una democrazia governamentale. Non conta qui l'elenco dei decreti-legge o dei voti di fiducia. Conta il sistema legislativo. Lo ripeto: colleghi della maggioranza, guardatevi alle spalle e troverete decreti-legge o leggi delega, in ogni caso atti di imperio da parte dell'esecutivo sul potere legislativo. E troverete leggi delega rafforzate da voti di fiducia e via di questo passo, in un crescendo che di rossiniano, dal punto di vista del gradimento, non ha assolutamente nulla. In sostanza, siamo di fronte ad un dilaniamento della nostra Costituzione.
Inoltre, signor Presidente - e scusi il linguaggio -, rispetto a questo decreto-legge, siamo di fronte a delle porcherie - «porcherie» si può dire -, nel senso che ci sono articoli che gridano vendetta. Voi lo sapete, colleghi della maggioranza. Alcuni di voi - e non fatemi fare nomi - nelle assemblee firmano emendamenti che cancellano queste indegne porcherie. Conosco il meccanismo di governo. Si prendono esperti o funzionari e, dalla mattina alla sera, gli si dice: liberismo; risparmio delle spese; devi tagliare; devi dare addosso a chi fa domande. Poi, si sa che i prodotti sono conseguenti all'input politico. Naturalmente, sono porcherie. Non vorrei usare nuovamente questo termine, ma è proprio ciò che penso. Un esempio è rappresentato dall'articolo sui lavoratori dell'amianto.
Onorevoli colleghi, qui non siamo di fronte a gente che chiede di andare in pensione prima. Lo voglio dire in termini nudi e crudi: siamo di fronte a gente che chiede di morire nel proprio letto, vale a dire di fronte a gente che chiede di non essere costretta a morire sul posto di lavoro, sapendo che, con ogni probabilità - statisticamente, purtroppo, questa probabilità è accertata in modo incidente rispetto agli esposti all'amianto -, dovrà morire prima degli altri. A questi cosa diciamo? Le sciocchezze, le nefandezze che qualcuno ha scritto nell'articolo 47: riduzione del coefficiente da 1,5 a 1,25; 100 fibre/litro; dieci anni di esposizione; otto ore. Si tratta di vincoli, di parametri, di pezzetti, di cose. Ma qualcuno di voi ha mai sperimentato una realtà operaia? Non vi voglio chiedere se qualcuno di voi sia mai andato a lavorare. Tutti dicono «sì», giustamente, perché ciò che facciamo qui rappresenta un lavoro. Vi sto chiedendo un'altra cosa: qualcuno di voi è andato a lavorare veramente, in fabbrica, in un posto dove si manipola l'amianto, dove si fanno le pallottoline, dove nessuno ha detto alcunché? I criminali non avevano


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spiegato cosa fosse l'amianto. Ugualmente, quelli di Porto Marghera - dei criminali - non avevano spiegato cosa fossero quei prodotti. E la storia industriale di questo paese è fatta così: criminali, senza saperlo.
Il problema è che quando uno se ne accorge dovrebbe almeno dire: caspita - cosa ho fatto! - non ho detto la verità o non la sapevo e faccio autrocritica!
Ed allora lo Stato viene in soccorso: certamente, non può guarire quelli che hanno un tumore dentro di sé o che si rivelerà tra qualche anno, ma almeno può rendere loro più facile l'esodo dalla vita. Ma perché non avete questo senso cristiano? Perché è sparito? Guardate che non era possibile, anni fa, fare una porcheria di questo genere, non era ammissibile! Infatti, per quanto ci fosse il capitale, il profitto, la borghesia, le classi dirigenti, l'aristocrazia romana, i forti e i potenti, c'era pietas per coloro che stavano in basso. In questo decreto-legge non c'è neanche questo, signor Presidente: questo è lo stato in cui siamo.
Vogliamo continuare? Vogliamo vedere l'articolo 44, quello che con la storia della tredicesima porta via i soldi della cassa integrazione ai lavoratori? Qui siamo di fronte ad una cosa divertente. Vado ad un'assemblea dell'Alfa Romeo e sento che il ministro Maroni farà - farà... farà... - un emendamento alla legge finanziaria per mandare avanti la cassa integrazione all'Alfa Romeo. Aspettiamolo questo emendamento; intanto, si li ruba i soldi dei cassintegrati: se li ruba su base annua e addirittura pretende che nel 1993 gli vengano restituiti. Ecco due esempi di grandi porcherie.
Lei, che è più elegante ed è più fine di me, usi il termine che crede, ma sono convinto, signor Presidente, che anche lei converrà sul fatto che forse queste cose non vanno bene. Allora, è intervenuta la posizione della questione di fiducia, la blindatura di questo provvedimento, l'impossibilità materiale persino di arrivare ad una discussione sugli emendamenti, che sono stati bocciati anche da coloro che li avevano firmati nel corso delle assemblee operaie perché, di fronte agli operai ed ai lavoratori non avevano avuto il coraggio di dire esattamente che cosa facevano in Parlamento. Neanche questo potrà avvenire.
Naturalmente, qualcuno dirà che li rivedremo nella legge finanziaria. D'accordo ma domani - come dire? - è sempre un altro giorno ed io spero di vivere a lungo, di vederne tanti di questi giorni. E saremo sempre pronti, signori del Governo - caro collega Giovanardi, lo dico a lei -, qualora ci fosse un passo, anche caritatevole, da parte del Governo - uso un termine che non mi piace -, nei confronti di lavoratrici, di lavoratori, di cassintegrati, di gente che perde il posto di lavoro, di gente che cova un tumore nelle proprie membra, di gente sfibrata dal lavoro di tanti anni, anche se vi fosse un provvedimento puramente caritatevole da parte del Governo - a parte la questione politica generale e la critica che non verrebbe meno - noi saremmo in grado di apprezzarlo. Tutto ciò può avvenire con questo meccanismo di discussione? È con la questione di fiducia, con un martello contro la maggioranza, contro i leghisti che si agitano confusamente perché perdono voti, quelli dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e quelli di Alleanza nazionale e quelli di Forza Italia che vorrebbero tenere insieme tutti gli altri, senza riuscirci? A me questo importa poco. Il problema essenziale è che questi sedili vuoti a cui io sto parlando perdono di autorità, non perché non vi sono le persone, ma anche perché se vi fossero potrebbero poco nei confronti di uno svuotamento della legge di bilancio. Quindi - credo di non avere ancora molti minuti a disposizione, perciò mi avvio alla conclusione -, torniamo su un punto. Non voglio assolvere il Governo Berlusconi, dico però - questo lo dico a tutti - che non è un caso, onorevoli colleghi, che questo accade. Perciò, anche noi della sinistra dovremo riflettere su questa questione più a fondo. A Parigi vi è stata una settimana di discussioni molto intensa nel Forum sociale europeo e lì si è posto in evidenza che questa Europa, come si va costruendo, non va bene. Se il 9 maggio


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prossimo a Roma si firmerà, vi beccherete - io mi auguro - la più grande manifestazione di tutti tempi contro la firma di una costituzione europea che arretra tutte le costituzioni nazionali più avanzate, quelle nate dopo il 1945, dopo la lotta contro il nazifascismo.
In particolare, mi preoccupa che i Parlamenti e, persino, i governi nazionali siano svuotati di una potestà di decisione, perché sopra di essi vi è un incardinamento di logiche che si rinvengono nei trattati di Maastricht e di Amsterdam, nei vincoli, nelle normative e disposizioni europee che pervadono le legislazioni nazionali, come nel campo del lavoro, facendole arretrare.
Noi, signor Presidente, cercheremo, nel corso della discussione del disegno di legge finanziaria, di presentare in modo preciso una manovra finanziaria alternativa e lo faremo con dati e cifre che certamente faranno tremare le vene dei polsi di qualcuno, a dimostrazione di come, anche all'interno del vincolo del 3 per cento, sia possibile concepire una manovra economica espansiva dal lato della domanda e dal lato dell'offerta, ciò di cui il nostro paese, l'Europa nel suo complesso, avrebbe bisogno.
Non vi è, soprattutto, un vincolo divino: Amsterdam, Maastricht sono fatti da uomini, come tutti gli atti. Non vi sono atti di uomini che possano vincolare le prossime generazioni. Potrei ricordare, signor Presidente, quanto risulta scritto nella Costituzione che deriva dalla rivoluzione francese. È scritto che le generazioni di oggi non possono arrogarsi il potere di decidere il futuro delle generazioni successive, il che significa che non vi è nulla di sacro e di immutabile.
Attenzione a coloro che intendono firmare l'accordo il 9 maggio a Roma, che sia loro chiaro e stampato bene in testa che non compiranno un atto irreversibile, altrimenti di irreversibile vi sarà soltanto e solamente la loro colpa e già lo si riscontra nell'incidenza delle decisioni adottate in organismi del tutto ademocratici, come quelli attuali dell'Unione europea, sulle politiche di bilancio e sulle leggi italiane.
Non vi è il problema di difendere il paesino di Bossi o di qualcun altro o il problema del campicello; occorre avere respiro e guardare non al proprio paese, ma al mondo intero. Occorre guardarci con occhi diversi e concepire una politica economica diversa. Questo è il problema! Noi lo dimostreremo, perché ciò è possibile. Non è vero che mancano i soldi nel nostro paese! Non è affatto vero che il bilancio va male! L'avanzo primario continua da dieci anni.
Il problema è discutere sul debito e lo faremo nel dettaglio. Insomma - permettetemi di dirlo - non solo un altro mondo è possibile (è un'espressione un po' vaga), ma anche un'altra finanziaria è possibile ed è possibile un'altra sessione di bilancio.
Per il momento, preannuncio l'espressione del nostro voto contrario sulla conversione in legge del decreto-legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, vorrei riconoscere al Governo che è stato introdotto un maggiore realismo, rispetto al passato, nelle previsioni che stanno alla base della manovra finanziaria, perché, in definitiva, si riconosce che l'economia italiana, come quella dei paesi più sviluppati, si trova in una crisi grave, duratura e profonda.
Certo, le manifestazioni di giubilo del ministro Tremonti sullo 0,5 per cento di aumento del PIL nel terzo trimestre, come se fosse il duca di Wellington, dopo Waterloo, si collocano su tutt'altra linea. Ci hanno riportato a ben altro linguaggio, a ben altre previsioni, normalmente del tutto slegate dall'andamento effettivo dell'economia italiana.
Tuttavia, nonostante questo, devo riconoscere che, abbandonata perché indecente l'idea di chiamare sempre in causa i governi passati, ora ci si accorge che la crisi esiste e peraltro con un'enfasi eccessiva su questa componente delle difficoltà della finanza pubblica.


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Si conferma così l'abitudine di confondere l'analisi della situazione della economia italiana con la ricerca delle cause e delle responsabilità; un atteggiamento che porta il Governo ad attribuire le difficoltà della finanza pubblica a qualunque altra causa, che possa in qualche modo assolvere le scelte politiche del Governo stesso.
È dal 2001 che siamo di fronte alla politica dello scaricabarile: prima si trattava del cosiddetto buco dei governi precedenti, ora si tratta del peggioramento della congiuntura internazionale. Tuttavia, occorre ammettere che un passaggio significativo, quasi un salto, vi è stato: dopo due anni il linguaggio del Governo è passato dal nuovo miracolo economico al riconoscimento della crisi. Meglio tardi che mai!
Noi dal 2001 diciamo che vi è una crisi in atto e che occorre affrontarla con strumenti idonei sul piano del rigore della gestione della finanza pubblica e delle scelte di politica economica. Normalmente veniamo chiamati catastrofisti: tuttavia sono disposto persino a comprendere, certo non a condividere, il desiderio di scaricare le responsabilità su altri per occultare le proprie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 20,20)

PIETRO MAURANDI. Quello che non è accettabile è che questa abitudine porti anche a letture false, ideologiche della realtà e a mezzi non appropriati per affrontarla.
L'errore di valutazione del 2001 era bene espresso dall'idea che il nuovo miracolo economico fosse alle porte e conduceva ad errori conseguenti di politica economica e di politica di bilancio. La conseguenza più importante che si traeva era che per consentire ad un miracolo di esplicarsi pienamente bastasse liberarne le forze, con la riduzione delle imposte, i premi agli esportatori illegali di capitali, la compressione del reddito reale, dei diritti dei lavoratori e della spesa sociale.
Persino le leggi della vergogna, come l'eliminazione del reato di falso in bilancio ed altre, venivano da qualche parte ricondotte nell'ambito di questa ambiziosa strategia che con grande rapidità ed efficacia, ricordo bene la retorica dei cento giorni, avrebbe dovuto liberare le forze del miracolo, a cominciare da quelle del Mezzogiorno d'Italia che, ricordate, doveva diventare il motore del nuovo miracolo economico.
Noi abbiamo giudicato sbagliati quegli strumenti e quella strategia: prima di tutto, perché l'obiettivo era del tutto fantasioso ed improbabile e poi perché strumenti sbagliati in sé, in quanto inefficienti rispetto agli obiettivi e profondamente iniqui perché prefiguravano sin dall'inizio quello che puntualmente è accaduto, ovvero una gigantesca redistribuzione del reddito a danno dei redditi medio-bassi che avvantaggia i redditi alti.
Inefficienti, quegli strumenti, perché si fondavano sulla illusione che fosse sufficiente diminuire le imposte o premiare i capitali fuggiti per aumentare investimenti e redditi. È accaduto invece quello che in qualunque moderno manuale di macroeconomia si prevede e cioè che in presenza di aspettative negative le imprese non sono indotte ad investire né da riduzioni di imposta né da «tagli» del costo del lavoro e le aspettative non si modificano facendo balenare come miraggio il nuovo miracolo economico.
Le nostre critiche si concentrarono allora soprattutto sull'obiettivo di suscitare un nuovo miracolo economico e sulle previsioni che lo sostenevano. La critica agli strumenti era soprattutto la conseguenza della improbabilità dell'obiettivo, dell'errore di prospettiva, dell'ideologismo nella lettura della realtà, dalla quale scaturiva in modo macroscopico che la critica e la polemica si concentravano su di essa e mettevano in secondo piano la critica alla natura degli strumenti prescelti.
Sino ad allora tutta la divergenza sembrava ridursi a diverse previsioni sull'andamento dell'economia nazionale e internazionale, quasi ad un problema di econometria o di affidabilità degli istituti di previsione.


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Oggi siamo in una situazione diversa e certamente più chiara. La realtà si è incaricata di sistemare le cose, il Governo si è rassegnato all'idea che il miracolo economico non è alle porte e che c'è invece una crisi grave, lunga e profonda da affrontare. In questa nuova situazione, le previsioni sono diventate in certo senso più convergenti, nel senso che nessuno viene più chiamato catastrofista e non ci sono più in circolazione i miracolisti, anche se le previsioni numeriche del Governo sono ancora influenzate dall'ottimismo del passato.
Ma proprio questa maggiore convergenza sull'andamento effettivo dell'economia rende più forte, più pregnante e più irriducibile la divergenza sulle misure da mettere in campo; è diventato più chiaro ed esplicito che sono quelle misure che qualificano la politica del Governo, perché incidono sulle scelte degli operatori economici e sul tenore di vita dei singoli cittadini. Venuta meno la polemica sull'improbabilità degli obiettivi, la nostra critica si concentra sulla natura degli strumenti, sulla loro inefficienza e sulla loro iniquità.
È qui che si esprime la divergenza e lo scontro tra la politica del centrodestra e quella del centrosinistra. Una divergenza che si misura sotto due profili, quello della finanza pubblica e quello della politica economica per affrontare la crisi. Sulla finanza pubblica è evidente che il Governo non riesce a controllare le variabili fondamentali. L'avanzo primario viene continuamente eroso: era superiore al 5 per cento del PIL fino al 2001, scende sotto al 3 per cento nel 2003; in tre anni si è ridotto di circa 3 punti percentuali. Peggiora il saldo netto da finanziare nonostante la caduta dei tassi di interesse; significa che il rigore nel governo delle entrate e delle spese è venuto meno, che la gestione della finanza pubblica va avanti con manovre puramente contabili e con misure dissennate e pasticciate, come si verifica puntualmente anche nel decreto-legge n. 269 che oggi discutiamo.
In questo decreto, accanto alla consueta sopravvalutazione di entrate, accanto alla consueta sottovalutazione di spese, vi sono numerosi articoli in cui la copertura delle spese non è specificata, né per quanto riguarda la natura di spese ed entrate né per quanto riguarda le loro scansioni temporali. L'anomalia sta nel fatto che numerosi articoli del decreto prevedono come copertura una quota generica delle entrate complessive recate dal provvedimento. È evidente che qui non c'è solo il contrasto con la legge di contabilità, ma si annida una fonte di disordine e di lassismo nella gestione della finanza pubblica, perché quella forma di copertura non esclude fra l'altro che spese correnti possano essere coperte con entrate in conto capitale, in contrasto con la legge n. 468, o che abbiano profili temporali disomogenei (tanto più che il decreto contiene norme che esplicitamente coprono spese correnti con entrate in conto capitale, come è il caso della previsione di coprire le spese di affitto per gli uffici pubblici per il 2004 con una quota di entrate provenienti dalla vendita del patrimonio immobiliare dello Stato).
C'è poi il problema delle una tantum, che rappresentano più dei due terzi - come è stato sottolineato stasera - della manovra. Noi non siamo contrari alle una tantum: di fronte a situazioni particolari, eccezionali e comunque transitorie, può essere necessario ed opportuno il ricorso a misure anch'esse transitorie. Ma qui non siamo in questa situazione! Con le vostre scelte, in questi due anni e mezzo, voi ci avete ricondotto alle prese con il problema del risanamento, ci avete riportato in una situazione in cui l'avanzo primario diminuisce, nel senso che le spese correnti aumentano più delle entrate correnti e quindi ci avete ricondotto al problema del controllo della dinamica delle spese e delle entrate come problema strutturale.
Allora, la presenza nella manovra di una tantum in quella misura - i due terzi e più - o rivela una totale incapacità di padroneggiare la finanza pubblica oppure - scegliete voi - significa che non avete colto la natura profonda del problema. Io propendo per quest'ultima spiegazione, un po' perché voglio essere generoso e un po'


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perché voi siete convinti che la situazione della finanza pubblica sia sostanzialmente sotto controllo, come si evince dalle affermazioni di Tremonti che la nostra situazione sarebbe migliore di quella di paesi come la Francia e la Germania.
A parte il fatto che in Italia l'inflazione, com'è noto, è ben più elevata; a parte il fatto che i problemi di competitività dell'economia italiana non sono minimamente paragonabili a quelli della Francia e della Germania (tutte cose che, in qualche modo, sono destinate ad incidere sulla finanza pubblica), a parte ciò, è appena il caso di ricordare che il rapporto debito-PIL dell'Italia è notevolmente più elevato rispetto a quello della Francia e della Germania. Questa vostra idea insensata di stare meglio degli altri rivela l'incomprensione della vera natura del problema. Anche la richiesta continua, petulante di rivedere il patto di stabilità rientra in questa logica. Naturalmente, il patto di stabilità non è intoccabile, ma il problema è che la vostra richiesta nasce dall'idea che gli ostacoli risiedano nelle regole, che il rigore nella gestione della finanza pubblica sia un problema dell'Unione europea, anzi, come ha detto Berlusconi, dei burocrati dell'Unione europea, che pare che questo problema se lo siano inventato, come se esso, invece, non fosse un problema nostro, della nostra economia che ha bisogno di grande cura nella gestione della finanza pubblica e di grande coraggio nelle scelte di politica economica.
Per quanto riguarda la politica economica, vorrei ricordare che per questo Governo che pensava alla riduzione delle imposte come strumento principe per liberare le forze del presunto miracolo, scoprire che il miracolo non è dietro l'angolo e che la finanza pubblica ha bisogno di risanamento, significa trovarsi senza politica economica appropriata per affrontare la crisi. Ciò che resta è una politica di tagli, di condoni, di vendita del patrimonio per fare cassa, ossia sostanzialmente l'oggetto, gli argomenti di questo decreto-legge.
Una realtà aggravata dal fatto che questa nuova situazione si somma a due anni di scelte dissennate. È venuto a mancare qualunque obiettivo di politica economica o meglio l'obiettivo è diventato quello di superare, come si può, in qualche modo, le difficoltà, in attesa della mitica ripresa che verrà. È dall'inizio della legislatura che il Governo annuncia che, fra qualche mese, inizierà la ripresa. Certo, primo poi, l'azzeccherete, ma è la vostra previsione che non ha alcuna credibilità.
Nel frattempo, le forze produttive del paese siano abbandonate a se stesse, strette sul piano della competitività tra i prodotti di paesi emergenti e quelli di paesi avanzati e ricchi di contenuto di innovazione tecnologica.
I lavoratori sopportano le conseguenze negative della situazione. Larghe fasce di cittadini sono interessate da situazioni di vero e proprio impoverimento derivante dall'inflazione, dei tagli agli enti locali, dei contratti di lavoro non conclusi, dalle imprese che non hanno spazio per muoversi adeguatamente sul mercato.
Il relatore per la maggioranza ha lamentato in Commissione, ripetendo una logora litania, che l'opposizione si limita a dire «no», che non ha presentato proposte alternative, anzi, come si dice, costruttive. Devo dire che, ascoltando il relatore, qualche dubbio mi è venuto. Vuoi vedere - mi sono chiesto - che ha ragione lui? Vuoi vedere che, se avessimo presentato proposte alternative, chissà, il Governo le avrebbe prese in seria considerazione? Forse, si sarebbe aperto un confronto vero, il famoso dialogo che ci viene sempre chiesto, invece della discussione un po' farsa e un po' virtuale di oggi, dato che, fra qualche ora o qualche minuto, verrà posta la fiducia. Vuoi vedere che il Governo - mi sono chiesto ancora - ha deciso di porre la fiducia sul decreto-legge proprio a causa dell'assenza di proposte alternative dell'opposizione? E vuoi vedere che siamo noi, con il nostro presunto vuoto di proposte, che abbiano impedito al Governo di eliminare la manovra finanziaria dal decreto-legge per trasferirla correttamente nel disegno di legge finanziaria? Voi vedere che siamo noi che abbiamo reso possibile questa sconcezza


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della manovra varata per decreto? Ho avuto qualche dubbio, ma - devo dire - mi sono ricreduto quasi subito. Ancora di più, mi sono di ricreduto, ascoltando, oggi, il sottosegretario Armosino e l'onorevole Leone. I tre quarti e più della manovra del decreto-legge entrano in vigore nel 2004. Su questo siamo tutti d'accordo.
Allora, l'urgenza invocata dal sottosegretario e dall'onorevole Antonio Leone, non c'è almeno per i tre quarti delle norme del decreto-legge. D'altra parte, è noto che anche da ambienti della maggioranza si chiedeva o si auspicava il trasferimento di molte norme prive del carattere di urgenza dal decreto-legge al disegno di legge finanziaria.
E la fiducia? Con cento deputati di maggioranza in più e con l'offerta dell'opposizione di ritirare buona parte degli emendamenti da essa presentati, lasciando quelli politicamente significativi, la motivazione della fiducia non sta nel rischio che il decreto-legge non venga convertito, ma nell'obiettivo di chiudere la bocca alla maggioranza e nel tentativo di rendere inemendabile la manovra finanziaria.
Allora, voglio dire alcune cose al relatore ed a chi pensa che l'opposizione non abbia proposte alternative. Prima di tutto, noi non possiamo presentare una manovra compiuta, una controfinanziaria, perché le leve di controllo sono, ovviamente, nelle mani del Governo e, poi, perché alle nostre spalle, in questi trenta mesi di legislatura, ci sono tutte le misure del Governo, che hanno compromesso l'andamento dei flussi della finanza pubblica e che hanno lasciato allo sbando l'economia italiana. Per fare una manovra equa ed efficiente, quest'anno, avremmo dovuto cancellare le nefandezze da voi fatte negli anni precedenti; ma questo non si può fare, almeno stando all'opposizione. I colleghi della maggioranza potrebbero farlo, se lo volessero, ma, ormai, verranno ridotti all'impotenza sul decreto-legge, con la richiesta della fiducia, in cambio dell'impegno a lasciar dispiegare tutte le loro capacità durante l'esame del disegno di legge finanziaria.
Faccio molti auguri ai colleghi della maggioranza, perché questo, di accantonare il decreto e di puntare tutto sulla finanziaria, mi sembra un modo un po' anomalo, un po' rabberciato, ma, insomma, un modo per rivendicare il diritto del Parlamento di entrare nel merito della manovra. Per questo, mi auguro, ed auguro ai colleghi della maggioranza, che la promessa di potere introdurre modifiche nel disegno di legge finanziaria non sia uno specchietto per le allodole e che essi, dopo avere ingoiato il decreto-legge così com'è, non siano costretti ad ingoiare anche il disegno di legge finanziaria così com'è.
Detto questo, però, collega relatore (ma mi rivolgo anche a quelli che pensano che l'opposizione non abbia proposte alternative), se avesse la pazienza di andarsi a leggere le proposte emendative da noi presentate, vedrebbe che da lì vengono fuori le linee di una manovra vera, efficiente, equa, con risorse appropriate per finanziarla, che non persegue l'obiettivo di galleggiare in attesa della ripresa, ma che vuole rilanciare lo sviluppo dell'economia italiana e, contemporaneamente, restituire rigore alla finanza pubblica e ripristinare l'equità sconvolta. E se fosse troppo faticoso districarsi tra tutte le proposte emendative, abbiamo predisposto uno schema che raggruppa le nostre per materia e ne sintetizza i contenuti.
Infatti, per concludere, noi pensiamo che sia necessario prospettare un obiettivo grande ed importante al paese, mettere in movimento le forze dello sviluppo e le ragioni dell'equità, rilanciare, insomma, i fattori e le energie produttive, che sono trascurati, marginalizzati ed umiliati dalla vostra politica.
Un'alternativa è possibile ed è quella che noi avanziamo con le nostre proposte di modifica del decreto-legge e con quelle che proporremo al disegno di legge finanziaria. E se non avremo, come sembra, molte possibilità di confrontarci in Parlamento, lo faremo - e lo faremo - nel paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!


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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.

GRAZIA LABATE. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, per la prima volta, gran parte degli interventi di finanza pubblica aventi effetti per l'anno 2004 vengono anticipati in un decreto-legge, pregiudicando e condizionando il normale iter del disegno di legge finanziaria.
Le norme introdotte risultano estemporanee e prive di organicità, come risulta da un'attenta analisi del provvedimento, anche per quel che riguarda le politiche sociali e per la salute.
L'aggravamento delle disuguaglianze tra i cittadini si conferma anche per il 2004 come la vera cifra di lettura della politica sociale del Governo, per la pressoché totale assenza di interventi attivi di politica sociale nei provvedimenti alla nostra attenzione, a conferma, se ancora ce ne era bisogno, dell'inconsistenza del libro bianco sul welfare tanto sbandierato a suo tempo dal ministro Maroni, per gli inevitabili effetti sociali di un corposo insieme di misure contenute nel decretone e nella finanziaria che sarà prossimamente alla nostra attenzione.
Va da sé che l'assenza di significativi interventi di politica sociale in una situazione di crisi economica perdurante, di salari sostanzialmente bloccati, di carovita crescente e di progressiva concentrazione della ricchezza nelle fasce sociali medio-alte ha per effetto inevitabile l'ulteriore allargamento della forbice delle disuguaglianze.
L'unica misura attiva di politica sociale è la previsione dell'assegno di natalità di mille euro per i nuovi nati successivi al primo figlio tra il 1o gennaio 2003 e il 31 dicembre 2004: Una misura una tantum di entità irrisoria rispetto agli elevati costi di mantenimento dei figli nel tempo ben oltre la nascita. Dunque, è del tutto inefficace ai fini delle decisioni di procreazione, iniqua, perché attribuita in egual misura a mamme benestanti e bisognose, pertanto con effetti redistributivi pressoché nulli, razzista, perché esclude dal beneficio le mamme extracomunitarie, con l'indecente motivazione che esse comunque fanno già molti figli. Un intervento del tutto ideologico, un concentrato di cinismo, di valori regressivi, di inefficacia, con cui viene monetizzato a basso costo il desiderio di maternità e la fatica di crescere un figlio. Come non bastasse, i soldi per il premio di natalità vengono prelevati dal fondo di accantonamento per aumentare l'indennità di disoccupazione previsto dal famoso patto per l'Italia. Il modesto beneficio per i nuovi nati anche di mamme ricche viene dunque fatto pagare ai disoccupati, che si troveranno il loro fondo falcidiato per circa 300 milioni di euro.
Per il resto, una elencazione anche parziale delle misure di politica sociale prevista dal Governo assomiglia ad un catastrofico bollettino di guerra: il reddito minimo di inserimento, istituito a suo tempo dal centrosinistra e in virtù della cui prima sperimentazione circa 200 mila famiglie cominciavano ad uscire dalla condizione di povertà, viene sostituito dallo stigmatizzante reddito di ultima istanza, il cui finanziamento peraltro viene interamente scaricato sulle regioni; il fondo sociale è decurtato di 150 milioni di euro, di cui 120 milioni sottratti alle regioni; l'attuazione della legge n. 328 del 2000 per il sistema integrato dei servizi sociali viene definanziata per il terzo anno consecutivo; il progetto «dopo di noi» per le famiglie con membri disabili, nell'anno internazionale dell'handicap, è ancora una volta privato di risorse; è ulteriormente ridotto il contributo integrativo del costo dell'affitto per le persone bisognose; viene abolito lo stanziamento di 10 milioni di euro per il terzo settore; e così di seguito.
Ma non meno devastante è l'impatto sociale di altri provvedimenti contenuti nel decreto alla nostra attenzione. La de-tax, prevista dall'articolo 19, rappresenta un intervento marginale in un contesto fiscale incerto e non in grado di promuovere invece un'attenta politica di sostegno fiscale in favore degli enti e dei soggetti operanti nel sociale.
L'articolo 20 costituisce indubbiamente un segnale di attenzione verso le organizzazioni del terzo settore, ma anch'esso è


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insufficiente in quanto andrebbe esteso anche a mezzi e strumenti al servizio del volontariato di questo paese, che va ben oltre le autoambulanze, ma riguarda la protezione civile, soprattutto nei contesti territoriali ad alto rischio, e i mezzi adibiti al trasporto di persone disabili o non autosufficienti.
L'articolo 21 introduce un assegno una tantum, come vi dicevo, che rappresenta davvero la novità selettiva; altro che politica di sostegno per la famiglia!
Una misura del genere avrebbe dovuto essere inquadrata in un più ampio contesto legislativo di sostegno alle famiglie a partire dalle agevolazioni per la casa e ad una più ampia ed efficiente rete dei servizi. Invece, no; si è previsto che quei mille euro risulteranno insufficienti per le reali esigenze dei nuclei familiari.
L'articolo 22, riguardante gli asili nido, viene a configurarsi come un'altra misura spot del tutto ininfluente nella realizzazione di una rete di servizi all'infanzia che, invece, deve essere rafforzata ma non nell'ottica in cui si muove la politica di questo Governo, anche alla luce del provvedimento che quest'Assemblea ha appena esaminato sulla questione dei nidi aziendali, ma dentro un'offerta formativa, sociale e educativa, che deve caratterizzare la rete intera dei servizi alla prima infanzia del nostro paese. É così a ben guardare l'articolo 42, che detta disposizioni in materia di invalidità civile. Attraverso quest'articolo si evidenzia un atteggiamento vessativo colpevolizzante nei confronti del mondo della disabilità che verrebbe, per l'ennesima volta, additato, a causa di sprechi, ed assoggettato ad un'ingiustificata e costosa ripetizione di visite di controllo di dubbia opportunità ed efficacia in quanto precedenti provvedimenti hanno notevolmente ridotto i margini di possibili abusi e d'illegalità.
Le norme non solo non prendono in considerazione né il tante volte annunciato aumento delle pensioni a 516 euro né le particolari esigenze dei nuclei familiari ma, al contrario, con l'eliminazione dei ricorsi amministrativi, penalizzano ulteriormente le persone disabili costringendole a sobbarcarsi di pesanti spese legali. Questa misura comporterà incertezza normativa, un incremento del disagio a carico di persone svantaggiate e un appesantimento di procedure e di apparati burocratici. E, così, come potremmo sottacere che, di fronte ai fatti accaduti nel nostro paese, che riguardano la problematica degli anziani non autosufficienti, questo Governo ha trovato il modo di non inserire una misura seria perché il paese affrontasse questa problematica? E siamo in forse con l'egregio lavoro svolto dalla Commissione affari sociali, che ha visto maggioranza ed opposizione unita nell'offrire al Governo un'occasione unica di affrontare il problema della non autosufficienza nel paese, con una posizione, ancora una volta, chiusa da parte del Governo e, in modo specifico, del Ministero dell'economia e delle finanze che, a fronte di una proposta data unitariamente, attraverso una tassa di scopo, ci dice che questo provvedimento non ci piace, ma non ci propone alcunché perché al caldo killer che c'è già stato o a quello che verrà nella prossima estate, se sono vere le previsioni dell'Organizzazione mondiale della meteorologia, non saremo in grado di dare una risposta seria alle problematiche della popolazione anziana non autosufficiente che, è vero che fa del nostro paese quello più longevo, ma anche quello con una popolazione anziana che non vive una vita di qualità e non sta bene fisicamente tanto, appunto, da affermarne la non autosufficienza.
Ma se volessi dare, attraverso il decretone, uno sguardo attento agli articoli che riguardano la politica sanitaria e della salute nel paese dovrei constatare, ancora una volta, l'assenza di un qualsiasi intervento sistematico ed organico da parte del Governo e, mi consentano, signor sottosegretario e signor ministro, anche un comportamento irresponsabile dell'esecutivo che continua a non dare risposte alle regioni in merito ai trasferimenti in tempi certi delle quote di fondo sanitario nazionale atte a garantire i livelli essenziali di assistenza. Le regioni congiuntamente, senza distinzione di maggioranza politica,


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hanno chiesto al Governo l'osservanza del patto siglato l'8 agosto 2001 e che ad oggi le vede in credito nei confronti dello Stato di circa 17,8 miliardi di euro.
È evidente il ridimensionamento delle prerogative del Ministero della salute, considerato che financo i dati del monitoraggio della spesa farmaceutica devono essere comunicati mensilmente al Ministero dell'economia e delle finanze.
Chiedo quindi al Governo di riflettere: ma come è possibile che un Ministero della salute, che aveva appena rinnovato, con la gara d'appalto istituita dal precedente Governo di centrosinistra, il suo servizio informatico nazionale, possa aver speso 146 miliardi di vecchie lire di denaro pubblico ed essere oggi tenuto fuori dal monitoraggio della spesa farmaceutica? Cosa c'è che non insinua nell'esecutivo uno spirito collaborativo tra i due Ministeri? Cosa accade, perché il Ministero dell'economia e delle finanze tiene sotto giudizio il comportamento di un altro Ministero?
Sono rimasti inascoltati i pareri espressi dalle regioni per quanto riguarda gli articoli 48, 49 e 50 del decreto-legge. Si intravede il rischio che la costituenda Agenzia nazionale del farmaco divenga unicamente strumento di razionalizzazione e contenimento della spesa farmaceutica, a tutto svantaggio di azioni efficaci di indirizzo strategico sulla ricerca, l'innovazione farmacologica e i livelli essenziali di assistenza farmaceutica da garantire alla popolazione.
Signori del Governo, vi è una sproporzione nel pensiero di quello strumento, vale a dire tra quanto si intende fare da noi - un trasferimento sic et simpliciter della direzione generale farmaci di quel Ministero - e su come funzionano le cose in questo campo, invece, nei paesi dell'Unione europea, in Francia ed in Inghilterra (con l'Emea, l'agenzia europea del farmaco).
Vi è, dunque, una sproporzione di competenze a carico del Ministero dell'economia e delle finanze: non vi è nessuna concertazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con quello delle attività produttive e con le regioni, ed in questo quadro quel tetto, fissato al 16 per cento della spesa, rischia di naufragare, perché la negoziazione del prezzo dei farmaci rimane tutta interna alla logica dei prezzi amministrati o, nell'equivoco, del prezzo medio europeo (che, peraltro, un provvedimento di questo esecutivo ha traslato a negoziare al prossimo anno). Le regioni, infine, ancorché presenti nel consiglio di amministrazione, sono escluse nell'indirizzo di compiti e delle funzioni, configurando così il nuovo strumento con una forte connotazione amministrativo-dirigistica.
Che dire, infine, sulla esternalizzazione di servizi da parte delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, perché continua così, attraverso questo articolo del decreto-legge, una politica del Governo disattenta e penalizzante per le regioni più virtuose, così come le disposizioni di cui all'articolo 50, in materia di monitoraggio della spesa e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, risultano fortemente accentratrici.
Il Governo, purtroppo, continua a considerare la sanità una spesa e non un investimento nella rete di salute e di welfare del paese, nell'innovazione e nella ricerca biomedica e nella ricerca scientifica e tecnologica, e le regioni risultano impossibilitate a garantire ai cittadini i livelli essenziali di assistenza, con situazioni di vera emergenza in Sicilia, Campania e Lazio.
Dunque, signor Presidente, onorevoli colleghi e signori rappresentanti del Governo, nel decreto-legge alla nostra attenzione possiamo toccare una volta ancora di più con mano che nell'esecutivo vi è sostanzialmente l'idea - e la finanziaria fa da pendant a quest'idea - dell'abbandono della giustizia sociale.
Ciò è reso manifesto da misure che, prese singolarmente, produrranno ciascuna effetti a catena sull'intera scala delle disuguaglianze sociali, aumentando le sperequazioni tra le famiglie, tra le generazioni e tra i sessi: in buona sostanza, nell'intero corpo sociale tra i singoli cittadini. Considerate nel loro insieme queste


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misure, onorevoli colleghi, disvelano il disegno non di una pur necessaria riforma del welfare italiano, bensì del suo sistematico smantellamento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.

ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento in discussione, fin dal suo oggetto, ossia disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dei conti pubblici, si presta a riflessioni critiche e, se non fosse perché è in gioco una parte del futuro del paese, anche ironiche, dati i contenuti presenti in esso e, più in generale, nella manovra finanziaria.
Sono già state svolte, nel corso del lungo dibattito che ha preceduto questo mio intervento, notazioni critiche sull'utilizzo dello strumento del decreto-legge (che, quindi, non riprenderò, se non ovviamente aderendovi completamente) e sul fatto che la fiducia per tutelare la maggioranza da se stessa, così com'è stato detto in molti interventi, è l'unica vera ragione che porta sostanzialmente il Governo a scegliere questa strada come è stato già preannunciato e come, forse, verrà annunciato nel corso di questa stessa seduta.
Come diceva oggi il collega Ventura, si tratta di sottrarre al Parlamento un atto di regia della manovra economico-finanziaria e, quindi, anche di impedire di fatto a questo ramo del Parlamento, così come è già avvenuto in Senato, una discussione seria sui contenuti di questo provvedimento, tentando di modificarlo su parti che avrebbero potuto essere decisamente migliorate (se pure non significativamente migliorate, dato l'impianto complessivo della manovra finanziaria).
Nel provvedimento in discussione, manca - questo è il punto vero - un disegno di politica economica e finanziaria per lo sviluppo di cui, invece, questo paese necessita profondamente. Vi sono, invece, in esso provvedimenti pericolosi per la lesione di un principio di legalità in un paese nel quale, purtroppo - ciò va detto - non mancano da ormai troppo tempo segnali inquietanti di scarso rispetto della legge e di complessiva deturpazione dell'ambiente (mi riferisco, ovviamente, al condono edilizio), con i problemi ed i rischi che periodicamente ricorrono nella vicenda di questo paese.
È vero che dobbiamo cercare di collegarci ad un'auspicabile (come è stato detto in questi giorni) ripresa dell'economia mondiale. Ed è altrettanto vero - e non sono certo i dati della trimestrale che lo possono dimostrare - che questa ripresa deve essere intercettata dal nostro paese. Noi saremo pronti a dare il nostro contributo perché ciò avvenga, in quanto è evidente che maggioranza e opposizione, da questo punto di vista, non possono che essere concordi sulla necessità di ridare fiato all'economia di un paese che oggi si presenta in grave difficoltà.
Non possiamo permetterci, come paese, di stare al di fuori di un'eventuale ripresa dell'economia mondiale, ma il binomio di cui si ha la necessità per poter fare ciò, ossia rigore e sviluppo, binomio che dovrebbe essere contenuto negli strumenti finanziari che andiamo ad approvare, manca completamente. Conciliare rigore e sviluppo in questi frangenti consiste nell'avviare riforme che riducano significativamente il debito pubblico e, con la credibilità acquisita, finanziare politiche di rilancio dell'economia.
È questo l'unico modo per cercare di agganciare la ripresa sotto gli occhi dei mercati e dei partner dell'unione monetaria che guardano con legittima preoccupazione allo stato dei nostri conti pubblici, data la montagna del debito pubblico (non certo relegabile a questo Governo, ma che questo Governo non sta aggredendo nella misura giusta). E il tetto del 3 per cento del deficit strutturale impostoci dal patto di stabilità e crescita è una regola che, come è noto, è definita proprio per impedire un cammino esplosivo del debito pubblico.


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Per questo motivo, i provvedimenti contenuti nella legge finanziaria (penso, ad esempio, a quelli sulle pensioni) si dimostrano del tutto inadeguati, in quanto non vanno neanche ad ottenere il risultato preannunciato, invece, dal Governo al momento della loro presentazione. Mi riferisco a quello di risolvere strutturalmente il problema della spesa pubblica. Essi non ottengono questo risultato, spostano il problema avanti nel tempo, creano un'altra ragione di conflitto sociale di cui questo paese non necessita, avendo questo Governo aperto nel corso della propria esistenza molti conflitti sociali, senza tra l'altro arrivare, su nessuno di questi, a conclusioni che li giustificassero, anche se da questo punto di vista non li avremmo comunque condivisi.
Nelle proposte di revisione del patto di stabilità e di crescita elaborato dalla Commissione europea le riforme strutturali che riducono il debito pubblico devono sì legittimare transitorie violazioni del tetto del 3 per cento, ma devono essere accompagnate da politiche strutturali: tutto ciò non avviene.
Per quanto riguarda la politica industriale di cui questo paese necessita - penso, ad esempio, a due settori particolarmente importanti nell'economia del nostro paese - chiedo quali soluzioni siano presenti in questo provvedimento. Esse erano assenti nelle precedenti due leggi finanziarie ed il provvedimento in esame riconferma tale assenza.
Per quanto riguarda il settore auto, un parlamentare di Forza Italia, l'onorevole Rosso, che la collega Armosino ben conosce essendo piemontese come noi, ha tappezzato i muri di tutto il Piemonte dicendo che il Governo ha dato ben 8 miliardi di euro alla FIAT (vorremmo, poi, conoscere in quale capitolo di bilancio si trovano essendo dati non al settore auto, ma proprio alla FIAT). Vorremmo chiedere quali altri provvedimenti siano contenuti in questa manovra finanziaria a sostegno del settore dell'auto. A noi interessa capire quali risorse sono state immaginate per tale settore, come si pensa di tenerlo in piedi - al di là di ciò che le aziende del settore stanno facendo, a cominciare dalla FIAT stessa - di sostenerlo e di stimolarlo esattamente come fanno tutti gli altri paesi che hanno grandi aziende produttrici di automobili.
Vorremmo anche sapere come si pensa di accompagnare tale settore nel difficile passaggio della competizione globale che, sempre più, rischia di indebolire la nostra industria nazionale con le conseguenze che ben conosciamo. Queste ultime non riguardano solo la casa madre, ma anche la miriade di migliaia di piccole e medie aziende che in tale settore operano creando ricchezza ed occupazione nel nostro paese.
Dov'è finita l'auto ecologica? Ad avviso di alcuni questo potrebbe essere un tema di secondo piano, ma sappiamo bene che alla ricerca sull'auto ecologica è collegata quella sull'auto ad idrogeno e sappiamo che su tale settore si creerà la vera concorrenza in materia di produzione auto nei prossimi anni. Cosa fanno le nostre industrie, cosa questo Governo le sta stimolando a fare? Nulla o poco più e la mancanza di risorse finisce, così, col ledere anche la possibilità di un futuro.
Penso anche al settore tessile: quali provvedimenti si immaginano per tale settore, al di là di una generica, imprecisa ed inconcludente dichiarazione di guerra commerciale alla Cina fatta, fin dall'inizio di questa vicenda, dal ministro Tremonti? Come e con quali risorse pensiamo di sostenere i distretti del tessile di Prato e Biella? Come supportiamo e con quali risorse le nostre imprese e come le aiutiamo nell'innovazione e nella ricerca a mantenere un ruolo di leadership nel sistema industriale mondiale del settore tessile?
Perché per entrambi i settori di cui ho parlato (ovviamente, altri settori soffrono degli stessi problemi) non si traducono in fatti concreti le dichiarazioni di molti ministri - penso, in particolare, a quelle del ministro Maroni - sul sostegno ai lavoratori di tali imprese, tanto più quando si tratta di piccole e medie imprese? Tutto ciò era stato preannunciato


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nei mesi, ormai potremmo dire negli anni, scorsi senza che poi seguisse alcun provvedimento.
In conclusione, come vengono utilizzate le risorse raccolte in modo così costoso per il futuro di questo paese e quali sono le prospettive che esse creano? Emblematico è il caso degli interventi sulla spesa sociale. È ampiamente documentato come il nostro sistema di welfare manchi di un insieme di ammortizzatori sociali che copra l'intero mercato del lavoro.
Il patto per l'Italia ha creato tanto dibattito e scontro in questo paese. Per quale ragione avete creato tale scontro per non realizzare, poi, ciò che in tale patto era contenuto? Gli intenti del patto per l'Italia, che oggi possiamo dire tranquillamente disatteso, prevedevano, ad esempio, di destinare al rafforzamento dell'indennità di disoccupazione 700 milioni: dove sono finiti? Oggi sono lettera morta.
Nella finanziaria per il 2004 non si trova più traccia degli ammortizzatori, mentre circa 500 milioni di euro sono destinati a finanziare il bonus neonati di mille euro. Tuttavia, come è già stato detto oggi in molti interventi, tale provvedimento è accompagnato da un taglio ancor più feroce di quelli degli ultimi anni verso le amministrazioni locali che, quindi, non saranno in grado di dare ai nascituri gli stessi servizi, spesso già carenti ed insufficienti, dati a coloro che sono nati precedentemente. Tra l'altro, il suddetto bonus viene dato in maniera indiscriminata a prescindere dalle condizioni di reddito.
Quale politica, dunque, viene fatta verso le amministrazioni locali e verso le stesse regioni, che tra l'altro hanno dimostrato, ormai molto spesso in questi ultimi anni, di poter essere anche loro, attraverso un uso intelligente e razionale delle risorse pubbliche, degli strumenti di crescita e di sviluppo del nostro paese, a livello locale, con effetti di volano che in qualche modo possono anche allargarsi ed estendersi al di là ovviamente dei loro confini geografici?
Per concludere, le nostre proposte, che sono state illustrate, avrebbero consentito - e tuttora consentirebbero, se adottate - di aumentare le entrate, senza pesare sui conti pubblici e senza pesare ovviamente neanche su dei soggetti che altrimenti rischierebbero di essere penalizzati nelle loro attività. Esse consentirebbero, inoltre, di avere più risorse da destinare a ciò di cui necessita questo paese, ad esempio, come dicevo prima, in termini di sostegno alla ricerca, allo sviluppo e alle politiche economiche.
Tutto ciò non è presente nel provvedimento che stiamo esaminando, così come non è presente, ad oggi, neanche nella legge finanziaria, che certamente cercheremo di modificare. Gli effetti di una politica concentrata sul breve periodo, com'è questa vostra politica finanziaria, sono negativi non solo per la finanza pubblica, ma anche per l'economia nel suo complesso. Rendere incerte le regole, ad esempio in materia tributaria o di incentivi per l'occupazione, come viene fatto in questo provvedimento, non favorisce certo gli investimenti privati e lo sviluppo. Premiare chi ha violato le regole costa ancora di più e provvedimenti come la riapertura dei termini del condono tributario sono devastanti per la credibilità delle istituzioni.
Come diceva qualche giorno fa un famoso quotidiano economico, The Economist, è un problema di fiducia: è facile distruggerla, ma è molto più difficile ricostruirla. E non parlava di quella che voi chiederete, magari fra poche ore, ai deputati della maggioranza che sostengono questo Governo, ma di quella che ha il paese reale nei confronti della politica del Governo che, se sbagliata, rischia di affossare ancora di più un paese, che già oggi è in difficoltà (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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