Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 384 del 5/11/2003
Back Index Forward

TESTO AGGIORNATO AL 10 NOVEMBRE 2003

Pag. 49


...
Sull'ordine dei lavori (ore 13,18).

LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendo la parola a titolo personale come deputato e come ex presidente della Commissione parlamentare antimafia. Dopo l'annullamento da parte della Corte di Cassazione della sentenza che condannava il senatore Giulio Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli, accanto alla legittima soddisfazione per la riconosciuta innocenza dell'uomo politico (Commenti), si sono manifestate, tanto da parte dell'interessato quanto da parte di altri uomini politici, valutazioni assai critiche sull'operato della Commissione parlamentare antimafia dell'XI legislatura e nei confronti di chi vi parla, che allora la presiedeva.
Ho taciuto sino ad ora, signor Presidente, perché, quando è in discussione l'operato di un organo parlamentare, deve essere il Parlamento la sede nella quale prioritariamente si affrontano i problemi. Ho inteso così confermare il costume democratico che impone ai dirigenti parlamentari di affrontare in Parlamento, prima che in altri luoghi, le principali questioni politiche ed istituzionali del paese. È una questione che riguarda non solo il passato, ma il presente ed il futuro della nostra democrazia.
Se un organo parlamentare ed il suo presidente avessero davvero ordito una trama per accusare di gravi illeciti un uomo innocente, la democrazia in sé avrebbe ricevuto un colpo gravissimo (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia) e quella Commissione e quel presidente dovrebbero severamente rispondere di fronte al paese...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, mi sembra che la cosa migliore sia ascoltare ed eventualmente dissentire, come si fa democrazia.

LUCIANO VIOLANTE. ...e dinanzi alla vittima. Ma queste accuse sono false ed intendo dimostrarlo.
Il mio intervento, signor Presidente, sarà più breve del testo scritto e chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce del resoconto stenografico della seduta odierna dell'intero testo.
Non esiste alcun rapporto fra la relazione su mafia e politica approvata dalla Commissione antimafia il 6 aprile 1993 e


Pag. 50

i due processi penali nei quali è stato imputato il senatore Andreotti. La Commissione non si è mai occupata dell'omicidio di Mino Pecorelli: l'unico atto è costituito dalla lettera, ampiamente nota, con la quale informavo la procura della Repubblica di Palermo del contenuto di una telefonata anonima ricevuta nella mattinata del 5 aprile del 1993 secondo la quale in via Tacito... (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia - Commenti di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, per cortesia... Onorevoli colleghi, l'onorevole Violante mi ha chiesto di parlare a fine seduta. Credo che, è ovvio, nessun Presidente della Camera avrebbe negato, su una motivazione di questo tipo, all'onorevole Violante di intervenire alle 13,25. Naturalmente non c'è obbligo di presenza, per cui chi non vuol sentire è bene che defluisca, ma che rispetti chi parla. Credo sia un diritto di un parlamentare parlare qui in quest'aula, riportando valutazioni che ritiene importanti nella sede delle istituzioni.

LUCIANO VIOLANTE. Presidente, ma io comprendo il senso della protesta dei colleghi. Il mio intervento vorrebbe servire, cari colleghi, a cercare di spiegare le ragioni mie e della Commissione antimafia. Poi, voi sarete convinti o no, ma non è mio compito convincervi. Il mio compito è esporre le mie ragioni.
Dicevo che ricevetti una telefonata anonima nella mattinata del 5 aprile 1993, secondo la quale, in via Tacito, sede di OP, si sarebbe trovato un tale Patrizio, braccio destro di Mino Pecorelli. La comunicazione non mi apparve banale, perché sembrava consentire il ritrovamento dei documenti del giornalista ucciso. Né nella telefonata né nella mia lettera si parlava del senatore Andreotti o si accennava a responsabilità per l'omicidio.
Ricevuta la telefonata, informai il dottor Michele Coiro, capo della DDA di Roma e, in questa veste, mio interlocutore principale con la magistratura romana che indagava sull'omicidio. Al dottor Coiro chiesi se intendeva ricevere una comunicazione scritta. Il magistrato si riservò di valutare la cosa. Mi richiamò alcuni minuti dopo, informandomi che non era necessario inviargli una nota scritta, ma che forse la notizia poteva interessare anche la procura di Palermo. Da qui la trasmissione dell'informazione a quella procura.
Aggiungo che la comunicazione all'autorità giudiziaria di notizie di suo eventuale interesse è stata regola costante della Commissione antimafia da me presieduta ed era determinata dal dovere costituzionale di leale collaborazione tra poteri dello Stato.
Sono state fatte illazioni sulle ragioni per le quali quella lettera è agli atti del processo per omicidio di Mino Pecorelli. Non poteva accadere diversamente, come molti colleghi esperti sanno: il codice di procedura penale vigente all'epoca imponeva, infatti, al pubblico ministero di mettere a disposizione del giudice e dell'imputato tutti i documenti in suo possesso.
Si è sostenuto che la relazione della Commissione antimafia costituì il punto di partenza della vicenda giudiziaria nella quale è stato coinvolto il senatore Giulio Andreotti. Anche questa illazione è priva di fondamento. Il nome di Giulio Andreotti, come persona collegata ad esponenti di Cosa nostra, tramite Salvo Lima, era stato fatto all'autorità giudiziaria di Palermo da Leonardo Messina, collaboratore della procura di Caltanissetta - allora diretta dal dottor Giovanni Tinebra -, il 12 agosto 1992, addirittura mesi prima che la Commissione decidesse di avviare i suoi lavori.
Infatti, la Commissione antimafia si costituì il 30 settembre 1992 e decise di avviare un'inchiesta sui rapporti tra mafia e politica nella seduta del 29 ottobre, a seguito di richiesta espressamente avanzata nella seduta del 15 ottobre dai colleghi Ayala (repubblicano), Buttitta (socialista), Scotti (democristiano). La richiesta traeva origine dall'omicidio di Salvo Lima ed era fondata sulla legge istitutiva della


Pag. 51

Commissione che imponeva, tra l'altro, l'accertamento di tutte le connessioni del fenomeno mafioso.
Né si può dire che la relazione della Commissione abbia condizionato la decisione della procura di Palermo. La richiesta di autorizzazione a procedere venne trasmessa al Ministero di grazia e giustizia il 27 marzo; la relazione della Commissione di inchiesta venne, invece, approvata dieci giorni dopo, il 6 aprile.
La relazione fu approvata quasi all'unanimità e non si trattò di un'eccezione, perché tutte le deliberazioni di quella Commissione vennero assunte a grande maggioranza o all'unanimità. Votarono contro i parlamentari del Movimento sociale, che ritennero il testo troppo debole, e il deputato radicale Marco Taradash, che ritenne il testo omissivo.
Si è sostenuto che la relazione della Commissione avrebbe costituito un pesante atto d'accusa nei confronti del senatore Giulio Andreotti. Anche questa insinuazione è infondata. Nella relazione l'unica frase che riguarda il senatore Andreotti è la seguente: risultano certi alla Commissione i collegamenti di Salvo Lima con uomini di Cosa nostra. Egli era il massimo esponente in Sicilia della corrente democristiana che fa capo a Giulio Andreotti. Sulla eventuale responsabilità politica del senatore Andreotti derivante dai suoi rapporti con Salvo Lima dovrà pronunciarsi il Parlamento.
Sottolineo: la relazione parlava di eventuale responsabilità politica. Questa eventuale responsabilità politica avrebbe riguardato i rapporti di Giulio Andreotti con Salvo Lima. La Commissione non emetteva alcun giudizio, ma rinviava al giudizio politico del Parlamento al quale la relazione era destinata.
Si è sostenuto che quella relazione aveva affidato ai tribunali la soluzione di problemi politici (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia - Una voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo: «Taci!»). Non è vero. La relazione, infatti, aveva affidato al Parlamento e solo al Parlamento il diritto di esprimersi sulla eventuale responsabilità politica di Giulio Andreotti.
A riprova di improprie relazioni tra la Commissione antimafia e la procura di Palermo si è addotto il fatto che la richiesta di autorizzazione fosse stata portata a casa del presidente della Commissione antimafia il 27 marzo da un ufficiale di polizia giudiziaria. Non c'è nulla di misterioso. È capitato molte altre volte quando si trattava di documenti rilevanti per attività della Commissione. È stato detto che la Commissione non ha mai convocato il senatore Andreotti. Anche qui le cose stanno diversamente.
Feci chiedere al senatore Andreotti se intendeva essere ascoltato dalla Commissione antimafia. Egli fece sapere che intendeva parlare solo alla fine del lavoro relativo ai rapporti tra mafia e politica, come era suo diritto.
Prima che il lavoro finisse, giunse al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore da parte della procura di Palermo. Per evitare una sorta di processo pubblico fatto da cinquanta parlamentari nei confronti del senatore e che, di più, interferisse con la decisione del Senato, decidemmo di non procedere a nessun audizione di parlamentari accusati o indiziati o imputati, fermo restando che la Commissione avrebbe ascoltato coloro che lo avrebbero espressamente richiesto. Lo chiesero altri, per esempio il senatore Gava che venne immediatamente ascoltato. Il senatore Andreotti non lo chiese. Anche questa spiegazione ho fornito in un'intervista al Tg1 del 26 ottobre 1999 in replica ad alcune di dichiarazione del senatore Andreotti. Neanche questa intervista ricevette smentite.
Onorevoli colleghi, che le cose stessero in questi termini era largamente noto. Chiunque avrebbe potuto informarsi leggendo gli atti della Commissione. Taccio degli insulti, delle insinuazioni e delle volgarità (Commenti del deputato Lezza).
Noi tutti abbiamo il dovere di esercitare la nostra responsabilità per il presente


Pag. 52

e per il futuro del paese, ma dobbiamo farlo sfuggendo ad un troppo facile mea culpa.
Conosco, per avere militato nel partito comunista, i presupposti e le conseguenze della cosiddetta autocritica che sovente ha rappresentato l'adesione o ipocrita o necessitata al pensiero dominante.
Ipocrisia e viltà fanno purtroppo parte della vita e anche della vita politica, ma dobbiamo combattere il rischio di affrontare questa vicenda, facendo prevalere l'ipocrisia o la viltà o le convenienze miserabili.
La sentenza di assoluzione definitiva ha fatto uscire da un incubo Giulio Andreotti e ha rasserenato buona parte del nostro paese, ma chi oggi rivede, alla luce di un atto giudiziario, scelte squisitamente politiche, rischia di celebrare, ancora una volta, il rito suicida della subalternità della politica alla giustizia. Siamo tutti chiamati ad un atto di coraggio e di indipendenza.
La storia della Repubblica non è una storia criminale, come alcune distorte applicazioni della cosiddetta tesi del doppio Stato hanno fatto intendere. Nella vita politica troppo spesso non si sono volute individuare le responsabilità politiche e si è così delegato ogni giudizio alla magistratura.
Anche per questa ragione, nei primi anni novanta, in Italia, si manifestarono orientamenti acriticamente giustizialisti.
Nel febbraio 1993, uno stimato commentatore politico scrisse queste parole: questi partiti devono retrocedere e alzare le mani. Devono farlo subito e devono farlo senza le furbizie che accompagnano i rantoli della loro agonia, perché, questo sì, sarebbe un golpe contro la democrazia: cercare di resistere contro la volontà popolare.
Nell'agosto successivo un parlamentare sostenne: c'è in giro uno sfrenato giustizialismo, ma il giudice non deve celebrare vendette. Anche nei momenti più difficili, deve puramente e semplicemente amministrare giustizia. L'unica ricetta che si può consigliare alla magistratura è sottrarsi all'esaltazione dei mezzi di informazione.
Il commentatore politico era il senatore Marcello Pera. Il parlamentare era chi vi parla.
Ho proposto queste due citazioni perché vorrei mettere in guardia dagli stereotipi costruiti sulla polemica politica e perché conosco la statura e lo spirito liberale del Presidente del Senato.
La storia della Repubblica è stata attraversata da molte tragedie. Nessun paese occidentale moderno e democratico ha avuto tante stragi terroristiche e mafiose, tanti uomini politici, imprenditori, magistrati e poliziotti uccisi perché si sforzavano di fare idealmente il proprio lavoro. E l'Italia ed il suo mondo politico non sempre sono stati tutti dalla parte giusta. Una parte dell'Italia e del suo mondo politico è stata con Michele Sindona, il banchiere di Cosa nostra, ed ha cercato di evitare, a spese della collettività, che egli rispondesse di sui crimini; un'altra parte dell'Italia e del suo mondo politico stava con Giorgio Ambrosoli, Paolo Baffi e Mario Sarcinelli. Una parte dell'Italia stava con Vito Ciancimino ed un'altra parte stava con Piersanti Mattarella.
Non siamo stati tutti uguali nella storia della Repubblica (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia) e le divisioni sono spesso passate...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...

MIMMO LUCÀ. Smettetela!

LUCIANO VIOLANTE. ...e le divisioni sono spesso passate dentro i partiti politici, per corruzione o per convenienza, per arroganza o per subalternità!
La fine della classe dirigente della prima Repubblica non è stata determinata da fattori giudiziari (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). L'intervento giudiziario ha concorso, certamente, e non sempre in modo proprio, ma le cause della crisi furono squisitamente politiche.
Dobbiamo riconoscere che le corruzioni c'erano e che i rapporti tra i mafiosi ed alcuni uomini politici c'erano. Dobbiamo riconoscere che l'intervento della


Pag. 53

magistratura in queste degenerazioni era doveroso. Dobbiamo anche riconoscere che la magistratura ha, in non pochi casi, agito nei confronti delle persone sbagliate e con effetti tragici, tanto per abusi individuali quanto per la fragilità di un sistema politico che non ebbe la forza di assumersi le proprie responsabilità neanche dopo i discorsi che tenne, in quest'aula, da quel banco, Bettino Craxi (Commenti del deputato Osvaldo Napoli), il 3 luglio 1992 ed il 29 aprile 1993 (Commenti dei deputati Osvaldo Napoli e Ilario Floresta).
Ma il carattere fondamentale dell'intervento giudiziario non fu l'abuso: fu il richiamo al rispetto delle regole da parte di un ceto politico, burocratico, imprenditoriale, che aveva deciso di vivere secondo altri codici, trascinando al disastro anche persone in buona fede. Molti di noi hanno ancora nella memoria la lettera atroce di un deputato che si suicidò.
Dobbiamo riconoscere, onorevole Presidente, la responsabilità di chi organizzava i cortei che assediavano i tribunali schernendo gli imputati, che assediarono addirittura questa Camera dei deputati con invettive contro il cosiddetto Parlamento degli inquisiti, che assediarono l'hotel Raphael in una sera che non fece onore alla democrazia. Riconoscere tutto questo è un atto di coraggio civile e politico (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Alcuni deputati del gruppo di Forza Italia escono dall'aula).
È sbagliato riscrivere la storia di ieri sulla base delle convenienze dell'oggi; e non è degno accusare oggi per coprire i silenzi di ieri.
Il sistema politico italiano crollò perché la fine dell'Unione Sovietica mise fine al bipolarismo internazionale. La fine del bipolarismo svuotò il patto politico che aveva legato, per circa mezzo secolo, i tradizionali partiti di governo.
Parallelamente, esplose il risentimento di una parte rilevante della società italiana. Se ne fece interprete, prima di altri e più di altri, la Conferenza episcopale italiana, con la pastorale Educare alla legalità dell'ottobre 1991. Se ne fece interprete Giovanni Paolo II con vari interventi contro la corruzione e contro la mafia, in particolare a Castellammare di Stabia (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale), nel marzo 1992 ...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego...

LUCIANO VIOLANTE. ...e ad Agrigento, il 9 maggio 1993 (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Vergognati, vile!

LUCIANO VIOLANTE. Il crollo di quel sistema avvenne per l'esaurimento delle sue funzioni nazionali ed internazionali e fu accelerato dalle dimensioni dell'illegalità. Essendo privo di possibilità di alternanza e non avendo preparato tempestivamente la successione a se stesso, quel sistema politico franò rovinosamente, trascinando nella propria rovina non tutti i colpevoli e non pochi innocenti. Queste furono le circostanze e le tragedie.
La teoria secondo la quale la crisi di quel sistema ed i processi ad alcune autorità politiche sono stati frutto di complotti addirittura transitati attraverso istituzioni parlamentari è una menzogna consolatoria, che pregiudica la verità e fa scivolare nella smemoratezza. Ma la verità è come il flusso dell'acqua: prima o dopo viene fuori, e più è stata compressa, maggiore è la sua forza dirompente (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia). Meglio per l'Italia se la sua classe dirigente dimostrerà, ora, il coraggio della verità.
Ci sono stati inerzie, calcoli, avidità. Il novecento, in Europa, è pieno di complotti inesistenti, denunciati al solo scopo di sbarazzarsi più velocemente dei propri avversari politici. L'idea del complotto impedisce di affrontare i nodi duri della nostra storia recente. Questa interpretazione è una palla al piede; è la teoria che consente di costruire nemici, di armare


Pag. 54

vendette, di usare il potere politico con spirito vendicativo; ci rende tutti, colleghi, prigionieri delle nostre storie personali e collettive e causa tra noi una contrapposizione puramente ideologica.
Il novecento, come dicevo, è pieno di complotti.
Io credo, signor Presidente, che su questi punti ciascuna forza politica potrà pronunciarsi, se lo ritiene, nella sua responsabilità; dobbiamo guidare l'Italia fuori dal corridoio in cui l'ha schiacciata la nostra incapacità di far maturare il bipolarismo e di superare lo scontro tra politica e giustizia.
Ciò che dà dignità alla politica è la flessibilità nelle analisi e la fermezza nei valori; ciò che le conferisce autorevolezza è decidere quale sia la cosa giusta ed impegnarsi a farla.
Qui abbiamo valori diversi, ma abbiamo le stesse responsabilità di fronte al paese e dobbiamo muoverci nell'esercizio di queste responsabilità. Per questo, signor Presidente, le chiedo di valutare l'opportunità di individuare il modo e i tempi nei quali si possa aprire in quest'aula un dibattito onesto sul modo di uscire dallo scontro.
Non si tratta, a mio avviso, dell'ennesima Commissione di inchiesta da usare contro l'attuale opposizione; questo è un metodo sbagliato e, se la maggioranza volesse perseguire questa strada, noi la lasceremo sola.
Noi comunque, se e quando torneremo al Governo, non useremo questi metodi (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Io chiedo un dibattito onesto su questi temi, non una resa dei conti, e so che l'Italia potrà esserci grata se sapremo fare ciò che è necessario.

ILARIO FLORESTA. Vergognatevi!

LUCIANO VIOLANTE. Ho sentito la responsabilità, colleghi, la responsabilià, il dovere e il diritto di difendere un organo del Parlamento che ho presieduto, i parlamentari e le parlamentari che, assieme a me, ne fecero parte, i funzionari e i dipendenti di questa Camera che vi lavorarono, gli ufficiali di polizia giudiziaria che cooperarono. Nessuno di loro, ve lo assicuro sul mio onore, lavorò nell'incubatore infettivo del virus giustizialista (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Tutti abbiamo servito lealmente la nostra Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo - Congratulazioni - Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Violante, la Presidenza autorizza la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del suo intervento sulla base dei consueti criteri.
Onorevoli colleghi, l'onorevole Violante, come voi sapete, aveva avvertito anche il Presidente della Camera e i capigruppo parlamentari della sua volontà di parlare nella sede parlamentare.
Evidentemente, ha fatto un'analisi politica, non solo riferita alla sua responsabilità di presidente della Commissione antimafia di allora; egli è capogruppo del più importante partito di opposizione, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, e non posso introdurre forme improprie di dibattito in quest'aula.
Poiché qualcuno mi ha chiesto di parlare, gli do la parola, ma consento di intervenire esclusivamente ad un oratore per gruppo per il tempo di cinque minuti. Scusate se uso questo metodo...

SANDRO BONDI. Ma come cinque minuti?

PRESIDENTE. Benissimo, l'onorevole Violante ha parlato 15 minuti. Allora, onorevole Bondi, se lei, che rappresenta il gruppo di maggioranza relativa, mi chiede di ampliare i tempi, io lo faccio, non ho alcuna difficoltà. Va bene, varrà anche per gli altri, non ho problemi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Follini, che è il primo. Ne ha facoltà.


Pag. 55

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, onorevole Violante, la abbiamo ascoltata con il rispetto che è dovuto alla sua persona, al suo ruolo, ed il rispetto da parte nostra è pari al dissenso.
Il dissenso sta su due punti fondamentali. Il primo punto riguarda il passato, la storia che si è dipanata nella sua ricostruzione. C'è un Presidente del Consiglio che è stato accusato - io dico che si tratta di un'accusa surreale - di omicidio; c'è un'accusa che penzola nei tribunali e che diventa una sorta di metafora del nostro paese e ne riassume l'immagine: quella di chi stava dalla parte di quel Presidente del Consiglio, ma anche, allo stesso modo, quella di chi contrastava con le risorse e gli argomenti della democrazia quella politica.
Dieci anni dopo quel Presidente viene assolto, e tutto questo non dice nulla, tutto questo non introduce un cambiamento nella ricostruzione, nel ragionamento, nella prospettiva.
Io credo si possa dire che in quella sentenza c'è giustizia ma, allo stesso modo e per le stesse ragioni, credo che nel processo vi sia stata una ingiustizia e credo che nel clima che ha accompagnato quel processo e quelle vicende vi sia stata un'altra ingiustizia. Nessuno pensava che questo dovesse dare vita ad una sorta di rito di autocritica, che non appartiene certo alla nostra tradizione, ma un ripensamento era lecito chiederlo ed è doveroso da parte nostra aspettarcelo.
Poi, c'è un dissenso che verte sul presente perché, tra le righe del ragionamento che lei ha svolto qui, riemerge ancora una volta l'idea che ci sono i corrotti da una parte e gli onesti dall'altra o anche, senza arrivare ad un'impostazione così radicale, che esiste pur sempre una qualche discriminante morale che taglia in due il campo della politica: non è così, non è vero, non è giusto (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Non funziona un'alternanza fondata sul pregiudizio etico. Togliete di mezzo l'idea di essere le persone perbene contro l'armata delle tenebre (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e di deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Io dico che perbene lo siamo noi, lo siete voi, lo siamo tutti; dobbiamo cercare di rappresentare una politica che non abbia dentro di sé la ferita di una discriminante moralistica.
Lei ha citato Sindona. Ebbene, c'è una risposta semplice che le diamo noi, ma forse immagino che sia la stessa risposta che le possono dare i colleghi della Margherita seduti sui banchi accanto ai suoi: Sindona non è un simbolo della storia della Democrazia Cristiana (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Commenti del deputato Osvaldo Napoli). E la disputa sul passato non può durare all'infinito, perché è una disputa che rischia di avvelenare, è una disputa che rischia di distorcere la verità.
Noi vorremmo una politica che non fosse appesa all'albero del suo passato e dei suoi fantasmi, altrimenti capiterà che oggi si ricorda Sindona, domani magari si ricorda Breznev e, in questo modo, sfuggiamo tutti, gli uni e gli altri, alla disputa sulle cose di oggi e sulle cose di domani, che sono quelle che stanno a cuore al nostro paese.
Io vorrei far politica senza dimenticare nulla, ma vorrei farlo senza che Sindona o Breznev o qualche altro fantasma diventasse il cuore della nostra controversia, perché sento che quella controversia non è più vera.
Esiste la questione morale; essa ha molti risvolti. È esistita, continua ad esistere in tutti i suoi profili e va affrontata senza rivendicare impunità. Ma esiste anche - diciamolo - una questione giustizialista, un modo sommario, partigiano, di infilzare l'avversario in nome di un teorema giudiziario. Ci aspettavamo che le sue parole ci allontanassero da questo teorema, perché fin quando questo teorema


Pag. 56

resta in piedi, fin quando questo teorema ci divide, tutto il paese continua a perdere un'occasione.
Noi ne cercheremo un'altra di occasione; non siamo cultori del colpo di spugna, ma troppe volte il colpo di spugna è sembrato essere l'unica risposta efficace alla agitazione del cappio: togliamo il cappio e toglieremo anche la tentazione del colpo di spugna.
Io non griderò al complotto, non fa parte della mia formazione politica cercare troppi retroscena e non le cucirò addosso i panni, che qualche volta le vengono offerti, del grande inquisitore, ma la strada per arrivare ad un rapporto normale, ad un rapporto sereno tra la politica e la giustizia anche per le cose che abbiamo sentito oggi, è una strada ancora lunga. Noi, per parte nostra, testardamente, vi aspetteremo lì (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, è doveroso riconoscere al collega Violante la serietà e lo spessore della sua analisi, oltre che lo sforzo per incanalare un dibattito serio su ciò che si è aperto dopo la sentenza della Cassazione che ha definitivamente liberato il senatore Andreotti da ogni ombra di responsabilità per l'omicidio Pecorelli.
Però, come era prevedibile, questo discorso ci riporta inevitabilmente a quel drammatico 1993, l'anno che ha cambiato la storia recente del nostro paese. Si potrebbe dire che è troppo presto, o forse troppo tardi, per giudicare quanto è avvenuto in quell'anno con il distacco necessario. Il paesaggio politico era molto diverso dall'attuale, ed ognuno di noi oggi è costretto a porsi nuovamente dentro un contesto che ormai è superato. Io stesso sono costretto a farlo, e nel farlo sono consapevole che dirò cose che probabilmente non saranno condivise da tutti i colleghi del mio stesso gruppo, ma dobbiamo tornare lì.
Il 1993 fu l'anno dei referendum e delle leggi elettorali, delle dimissioni di una decina di ministri solo perché raggiunti da avvisi di garanzia, l'anno dei suicidi illustri - in particolare, di un nostro collega, di cui ero personale amico -, l'anno dell'enorme accusa ad Andreotti, l'anno del salto di qualità dalla Repubblica corrotta alla Repubblica che sarebbe stata guidata da uomini collusi con la criminalità e sospettati addirittura di omicidio.
La cronaca puntigliosa di quegli avvenimenti e la esegesi puntuale dei documenti non rendono il senso di un clima, di un contesto in cui anche le parole più innocenti entravano in un gioco più grande, che ne trasformava il loro stesso significato, rendendolo funzionale ad un mosaico distruttivo complesso e apparentemente coordinato.
Vorrei limitarmi a due sole considerazioni. Una riguarda Andreotti. Nei giorni scorsi, ho detto che forse la DC non fece abbastanza e non avvertì l'implicazione di quel salto di qualità che, con quel perverso impianto accusatorio, si stava realizzando: implicazioni, in primo luogo, per la credibilità internazionale del paese, che da quel colpo continua ad essere segnata. Ma in questa sede ho il dovere di ricordare che i suoi capigruppo, Gerardo Bianco e Gabriele De Rosa, depositarono proprio in quei giorni un esposto alla procura della Repubblica di Roma contro gli ignoti, ma già allora ipotizzabili, manovratori dei pentiti che formulavano quelle accuse.
Ma di questa vicenda voglio ricordare un aspetto che non possiamo trascurare: l'umiliazione ed il travaglio umano gestiti con la singolare dignità di un parlamentare sempre presente alle udienze e sempre presente alle sedute parlamentari. Qualunque sia la nostra personale opinione sulle responsabilità politiche di Andreotti per la degenerazione del nostro sistema - e le mie sono particolarmente severe -, non possiamo oggi non inchinarci di fronte ad una sofferenza, che noi


Pag. 57

possiamo solo immaginare, sua e dei suoi familiari. L'ingiustizia inflitta in nome della giustizia è straziante.
Lasciatemi ricordare un pensiero del laico Pietro Calamandrei a proposito di un'altra polemica di questi giorni, una polemica che potremmo evitare. Calamandrei diceva che nelle aule di giustizia il crocifisso andava appeso non alle spalle, ma davanti ai giudici, affinché avessero sempre negli occhi l'immagine della sofferenza e dell'ingiustizia patita. Questo della sofferenza ingiusta non è un aspetto secondario, non è un atteggiamento di pietismo: è il cuore di uno Stato di diritto vero.
Vengo alla seconda ed ultima osservazione. L'Italia, dieci anni fa, era politicamente divisa tra chi leggeva quella drammatica crisi morale come la caduta ingloriosa e imperdonabile di una lunga stagione politica, peraltro preziosa per la democrazia e la crescita del paese, e chi, invece, la riteneva come il sospirato e logico epilogo di una stagione politica non condivisa, subita, sopportata come un inevitabile intermezzo che, finalmente, poteva concludersi.
Quei due modi di leggere la vicenda di Tangentopoli segnarono quegli anni e, forse, ancora oggi, da qualche parte, si vede qualche strascico.
Adesso, dobbiamo guardare avanti, ricostruire una normalità democratica: ai tribunali ciò che compete ai tribunali, alle aule parlamentari ciò che compete alle aule parlamentari; né interferenze né intimidazioni tra un ordine e l'altro.
Riprendiamo a discutere responsabilmente di come uscirne. Il passato non va rimosso, ma non va neppure brandito come arma del presente. È giusto, come ha detto l'onorevole Violante, non riscrivere la storia di ieri sulla base delle convenienze di oggi, di nessuna convenienza - aggiungo io - né di oggi né di ieri, ma solo secondo verità (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bondi. Ne ha facoltà.

SANDRO BONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non questo Parlamento, non i parlamentari di questo Parlamento, ma lei, onorevole Violante, era chiamato oggi ad un atto di verità. E lei, purtroppo, non ha pronunciato oggi in quest'aula un discorso di verità, ma - se me lo permette - lei ha pronunciato un discorso ipocrita, un discorso falso, un discorso indegno (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Onorevole Violante, come nella storia i nodi politici, prima o poi, vengono al pettine, così anche nella vita delle persone gli errori, prima o poi, si pagano. C'è una giustizia superiore, in cui possono credere laici e credenti, che ci chiama personalmente a rendere conto dei nostri comportamenti, dei nostri atti e delle nostre responsabilità (Commenti).

ILARIO FLORESTA. Fate silenzio! Presidente...

SANDRO BONDI. Deve essere chiaro, onorevole Violante, che lei non è una vittima. Le vittime sono altre: le vittime sono quegli uomini, politici e non, che hanno subìto accuse gravissime, perfino surreali, che sono stati accusati ingiustamente, che hanno subìto la gogna e perfino la tortura, che hanno sofferto, insieme alle loro famiglie, pene fisiche e pene morali ingiustificate. Le vittime, onorevole Violante, si chiamano Andreotti, si chiamano Mannino, si chiamano Musotto...

MARCO RIZZO. Sono Falcone e Borsellino le vittime!

SANDRO BONDI. ...le vittime si chiamano Carnevale, si chiamano Dell'Utri (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...


Pag. 58

SANDRO BONDI. Mi fa piacere che lei abbia riacquistato il sorriso, onorevole Violante.

MARCO RIZZO. Falcone e Borsellino sono le vittime!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego di non mettere in difficoltà il Presidente che ha tutelato il diritto di tutti a parlare. Pertanto, credo che, in questo caso, l'intelligenza debba prevalere sulla passione.

SANDRO BONDI. Mi fa piacere che lei abbia riacquistato il sorriso. Lei, dunque, onorevole Violante, non è una vittima; lei, semmai, è il carnefice (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia).
Ma sia ben chiaro: noi sappiamo e vogliamo distinguere tra quelle che sono le sue responsabilità ed eventuali responsabilità del suo partito, della sinistra in generale, in quell'aberrazione tutta italiana che è l'uso politico della giustizia contro gli avversari politici. Dopo il suo discorso di oggi, onorevole Violante, la necessità di istituire al più presto una Commissione di inchiesta sull'uso politico della magistratura si fa ancora più necessaria (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi (Commenti del deputato Bonito)...
Onorevoli colleghi, vi richiamo all'ordine ed al rispetto verso chi parla (Commenti del deputato Mazzarello)...
Onorevoli colleghi, vi richiamo ancora! L'onorevole Bondi ha diritto di parlare come tutti gli altri, non ha diritti minori degli altri. E credo che dimostrare la propria vocazione democratica significhi ascoltare gli altri.

SANDRO BONDI. All'origine di tutto c'è un dato politico e storico. Dopo la caduta del muro di Berlino - lei lo ha ricordato - e dopo la crisi e la fine del comunismo, il suo partito, onorevole D'Alema, onorevole Fassino...

MARCO RIZZO. Stavi da questa parte, Bondi!

SANDRO BONDI. ...avrebbe dovuto ed avrebbe potuto ancora fare i conti con la propria storia e diventare, finalmente, un forte partito democratico, riformista e occidentale, capace di presentarsi come un credibile partito di Governo. Purtroppo, anche quell'occasione fu sprecata, come tante altre in passato.
È avvenuto che i partiti democratici, i vincitori della storia, i difensori della libertà sono stati posti sul banco degli accusati, mentre voi, gli sconfitti della storia, avete ottenuto un lasciapassare giudiziario ed avete così potuto conquistare il potere non attraverso il consenso, ma attraverso la scorciatoia giudiziaria eliminando tutti i vostri avversari politici (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e di deputati del gruppo della Lega nord Padania - Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Certo, le classi politiche della cosiddetta prima Repubblica non sarebbero scomparse così facilemente, non sarebbero state spazzate via così facilmente se non vi fosse stata una crisi precedente nel rapporto tra cittadini e sistema politico italiano.
Tuttavia, il dato di fondo è che la storia - come lei ha detto, onorevole D'Alema - non si può scrivere con le inchieste giudiziarie. La storia non la possono scrivere i magistrati. Il rinnovamento vero di un paese, l'unico rinnovamento possibile di un paese, può passare soltanto attraverso le vie della politica, della legalità e della democrazia (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia). Solo in sede politica, infatti, sarebbe stato possibile esprimere un giudizio severo, rigoroso, anche impietoso, sulle responsabilità di un intero sistema politico nel non aver combattuto, come sarebbe stato forse necessario, l'intreccio tra Stato, politica e criminalità organizzata.


Pag. 59


Ma chi come lei, onorevole Violante, ha infettato, ha avvelenato il sistema dei partiti (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)...

FRANCESCO BONITO. Delinquente!

SANDRO BONDI. ...e ha introdotto, come ha detto giustamente il presidente Del Turco, il virus giustizialista nella politica italiana, non ha alcun titolo, non ha alcun diritto di affrontare questo problema né di impartire lezioni di democrazia (Commenti del deputato Bonito) o di lanciare nuove accuse come ha fatto soltanto pochi giorni fa (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Lei, oggi, onorevole Violante, poteva soltanto avere il coraggio di dire una parola di verità e non ha avuto questo coraggio. Lei, oggi, poteva decidere di non nascondersi dietro giustificazioni, dietro spiegazioni che sono, francamente, ridicole.
Quando ricostruisce le circostanze dell'avvio delle accuse contro il presidente Andreotti, lei, onorevole Violante, è al di sotto della sua fama e rischia di avvicinare la sua figura di uomo politico, certamente discussa ma anche orgogliosa, a quella di un volgare mentitore (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Vivi commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghi... (Vive proteste dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! Io sto presiedendo un dibattito delicato, che non io...

COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. È una vergogna, Presidente!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi... Onorevoli colleghi... Onorevole Bondi, mi scusi un secondo.

GIUSEPPE PETRELLA. Ma cosa dici! Questo è un delinquente!

FRANCESCO BONITO. Sei un delinquente!

PRESIDENTE. Onorevole Petrella, la richiamo all'ordine! Onorevole Bonito, la richiamo all'ordine!

LUCIANO MARIO SARDELLI. Smettila Bonito!

FRANCESCO BONITO. Sei un delinquente!
Sei un ladro di voti, Sardelli!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghi (Scambio di apostrofi tra il deputato Bonito e il deputato Sardelli - Commenti del deputato Petrella)!
Onorevole Petrella, la richiamo per la seconda volta all'ordine! Onorevole Bonito, la richiamo all'ordine!
Onorevoli colleghi, è chiaro che tutti i giudizi che si danno in questa sede io intendo che siano giudizi politici, perché non posso pensare che siano altro che giudizi - che pure si possono ritenere inaccettabili da una parte - politici. Pertanto, richiamo tutti al senso della misura e al rispetto delle persone.
Debbo dire che era largamente prevedibile che il dibattito assumesse dei contorni sgradevoli e credo di non aver mancato di sottolinearlo. Il presidente Violante ha assunto una decisione, che io rispetto, che è quella di portare un suo intervento nella sede propria del Parlamento. Vi prego, pertanto, di avere tutti il rispetto verso gli altri e il senso della misura, anche nelle proteste.
Prego, onorevole Bondi.

SANDRO BONDI. Forse qualcuno pensava che noi oggi avremmo dovuto applaudire l'onorevole Violante (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Si ride - Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
Lei, onorevole Violante, è il primo a sapere che suona falsa e ridicola la ricostruzione che lei fornisce della telefonata anonima, che lei avrebbe ricevuto da una persona che aveva, se non ricordo male,


Pag. 60

un accento piemontese (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo: «È Trantino?») e dell'informazione datane allora al procuratore di Roma, che per la verità non era il dottor Coiro, come lei ha affermato, e della successiva comunicazione formale al dottor Scarpinato.
Lei sa, onorevole Violante, che nessuno né in quest'aula, né nel paese può credere a questo racconto? E chi può dare torto al presidente Andreotti, il quale non ha esitato a denunciare le sue impronte digitali e a individuare proprio in lei l'origine delle trame orchestrate contro Andreotti e contro la Democrazia cristiana?
Ma questa, onorevole Violante, non è una novità per noi. Già nel 1999, un esponente storico del Partito Comunista Italiano, che io ho avuto (ed ho) l'onore di conoscere, l'onorevole Macaluso, scriveva in un libro intitolato Mafia senza identità che il processo Andreotti si apre nella Commissione antimafia presieduta da Luciano Violante, il quale interroga i pentiti per scrivere il capitolo della relazione intitolato: mafia e politica. In quella sede si presenta - scrive Macaluso - il quadro di riferimento, su cui sarà immediatamente dopo dato l'avvio all'iniziativa giudiziaria.
Non siamo soltanto noi a dire queste cose, lo ripeto, ma esponenti storici del Partito Comunista Italiano. Gerardo Chiaromonte, ad esempio, confidò all'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, prima di lasciare la presidenza della Commissione antimafia per motivi di salute: sto subendo pressioni dall'interno del mio partito, affinché io convochi e ascolti in Commissione questi pentiti di mafia, ma, finché sarò io a presiedere questa Commissione, nessuno di questi mafiosi metterà piede in Parlamento.
Lei ha fatto in modo che questi pentiti, questi mafiosi, mettessero piede in Parlamento e infangassero l'onore delle persone e dei partiti politici (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e del deputato Didonè).
Ho voluto ricordare queste voci nobili ed autorevoli della sinistra italiana per mostrare come la linea, le finalità e i metodi seguiti dall'onorevole Violante non siano identificabili con la storia, con i programmi e con la politica della sinistra e dell'opposizione in generale.
Ed è da qui che si può forse ripartire per aprire una fase politica nuova nel nostro paese, a patto che lei, onorevole Violante, non rivendichi ciò che non si può rivendicare e riconosca apertamente e onestamente le ferite aperte nella nostra storia nazionale e a patto che il suo partito - mi rivolgo anche agli onorevoli D'Alema e Fassino - dimostri di avere il coraggio, l'intelligenza e la forza - come è avvenuto in altre fasi e momenti della sua storia - di riconoscere apertamente questi errori e di imboccare finalmente una strada nuova, utile non soltanto alla sinistra, ma anche agli interessi generali del nostro paese, per costruire veramente un paese che sia finalmente normale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Diliberto. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, devo dire che, dopo il rivoltante - non trovo altro aggettivo - intervento dell'onorevole Bondi (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo), la prima cosa che mi sento di affermare è quella di dichiarare la piena, convinta, sincera e fraterna solidarietà a Luciano Violante.

NITTO FRANCESCO PALMA. Siete della stessa pasta!

OLIVIERO DILIBERTO. Lo faccio a nome mio e del gruppo che ho l'onore di presiedere. Piena e convinta solidarietà!
Dopo l'assoluzione del senatore Andreotti, si è aperta una vera e propria caccia all'uomo. Ma, al di là della caccia all'uomo, vi è un punto politico che vorrei brevemente sottoporre all'attenzione di tutti colleghi.


Pag. 61


Anche oggi - ma, in verità, nei giorni passati è stata più volte ricordata - è aleggiata la tesi secondo la quale la cosiddetta prima Repubblica sarebbe crollata per via giudiziaria e, per giunta, con dei magistrati guidati da una falange comunista. Si tratta di una tesi sostenuta, peraltro, non soltanto dall'attuale maggioranza, ma anche da qualcuno all'interno del nostro schieramento, come emerge da un'intervista - che, francamente, reputo inaccettabile - rilasciata dal senatore Del Turco. Questa tesi è peggio di un crimine - direbbe uno più importante di me -, è un errore, in quanto ci impedisce di capire quanto è accaduto e anche gli scontri di oggi.
L'onorevole Follini ha ricordato la questione morale e il Presidente della Camera, opportunamente spesso, da qualche tempo a questa parte, la ricorda al paese. Proprio in questi giorni mi è capitato di rileggere un articolo del 1981 - quindi, più di 10 anni prima di Tangentopoli -, scritto per il settimanale La Rinascita da Enrico Berlinguer. In tale articolo venivano precisati i contorni di quella che, appunto, venne chiamata la questione morale, che Berlinguer non interpretava come moralistica, ma come grande questione politica.
Schematizzo, Berlinguer scriveva che: o i partiti avevano la forza di riformarsi o sarebbero stati inevitabilmente sconfitti e spazzati via; o si riusciva a spezzare il circolo vizioso tra politica, economia, malaffare, corruzione o, altrimenti, la crisi avrebbe coinvolto tutti, anche lo stesso partito comunista italiano. Questa sfiducia verso i partiti e verso la politica avrebbe portato alla sfiducia verso le istituzioni e lo Stato e ciò avrebbe lasciato sul campo - finiva Berlinguer - una sola autorità morale nel nostro paese, vale a dire la Chiesa cattolica.
Berlinguer scriveva queste cose nel 1981, con un'enorme capacità profetica.
La crisi del 1992-1993 non è la via giudiziaria al socialismo, è esattamente la figlia di quella crisi profonda di lungo periodo della politica percepita, e spesso praticata, come malaffare, come rampantismo, egoismo, guadagno facile: un gigantesco gioco del Risiko, non la politica!
Sono gli anni ottanta, sono gli anni del CAF. La corruzione c'era, ed era profonda e insopportabile. Ha ragione Violante: il crollo del muro di Berlino ha determinato la fine del blocco politico che in Italia sosteneva la conventio ad excludendum contro i comunisti. Vogliamo dirla con parole di verità, come chiedeva l'onorevole Bondi? Il tappo è saltato anche perché gli Stati Uniti d'America e la borghesia italiana non avevano bisogno della mediazione di quel blocco politico.

ALFREDO BIONDI. E nemmeno del consociativismo!

OLIVIERO DILIBERTO. Nel 1994 non hanno vinto i comunisti, non sono andati al potere i comunisti per via giudiziaria, ha vinto l'antipolitica, l'estremismo nuovista, ha vinto Berlusconi, l'imprenditore che salta la mediazione politica.
Dunque, chi è che ha lucrato dalla crisi della cosiddetta prima Repubblica? Ma il partito postfascista sarebbe mai potuto andare al Governo? La Lega, che un mese fa ha scritto che i democristiani andavano fucilati, sarebbe mai potuta andare al governo? Sono i vostri alleati.
Ebbene, voglio contrastare, e continueremo a contrastare, l'idea che la cosiddetta prima Repubblica sia stata costruita da tre partiti, l'uno colluso con la mafia, l'altro formato da ladri e da corrotti e l'ultimo costituito da agenti di una potenza straniera al soldo del KGB. Questa idea della politica avvelena l'Italia, ed è un'idea largamente alimentata proprio dalle vostre ricostruzioni storiche.
Credo davvero che quei partiti, che erano ideologicamente all'opposto in un mondo diviso radicalmente in due blocchi, che si contrastavano, molto più di quanto si faccia adesso, anche e soprattutto ideologicamente, abbiano avuto la grande forza di scrivere insieme la Costituzione repubblicana. E non è un caso che le forze politiche eredi di quei partiti, oggi stiano largamente dalla nostra parte, uniti appunto da un comune sistema di valori.


Pag. 62

Quelle forze politiche continueranno a fare la loro parte in difesa della democrazia e della legalità, che voi calpestate tutti i giorni (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, apprezzo la scelta dell'onorevole Violante di investire la Camera di un tema così scottante che lo riguarda personalmente. Apprezzo la scelta, ammiro la presunzione. Ridurre in pochi minuti l'analisi di ciò che è accaduto in questi ultimi anni è impossibile. Ma la scelta la apprezzo, perché è segno di rispetto nei confronti del Parlamento.
Tuttavia, mi chiedo quale sia la motivazione di fondo di tale scelta: orgoglio? Risentimento? Ferita per il passaggio da inquisitore a inquisito? Con un ossimoro, si potrebbe dire: la ricerca del falso della verità o, se preferite, la ricerca della verità nel falso.
Ma in questa breve occasione si deve discutere di altro, e non del fatto personale. Se solo di questo si trattasse, francamente mi limiterei a dire che non ho mai dato ascolto ai clamori e alle insinuazioni.
Vale per chiunque, varrà per chiunque e vale a maggior titolo per un parlamentare che ha ricoperto con prestigio e autorevolezza la funzione di Presidente della Camera. Posso dirlo perché non ne ho condiviso talvolta il metodo, non ne ho condiviso talvolta le decisioni, ma le ho sempre criticate in quest'aula.
Ma oggi discutiamo di altro che il fatto personale. Discutiamo ancora una volta dei rapporti tra la magistratura e le istituzioni politiche. È acclarato ed accettato - perché su questo non vi è discussione - che la corruzione fu elevata a sistema. Discutiamo per interrogarci, oggi forse senza dare risposte, sul ruolo dei pentiti, trasformati da indispensabili, reali, non leali collaboratori a strumenti di azioni diverse per obiettivi diversi. Discutiamo, ciascuno - se possibile - per riprendere il proprio ruolo, la propria funzione, il proprio ambito di autonomia dalle reciproche interferenze tra magistrati e politica, intesa questa nel senso più alto. E così come sento con imbarazzo commenti sulle decisioni giudiziarie, ascolto con disagio valutazioni, commenti, insulti, giudizi e pregiudizi dei magistrati, dell'Associazione nazionale e dello stesso CSM su ciò che alla politica appartiene (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale e di deputati del gruppo di Forza Italia).
Allora, torniamo al fatto che qui ci porta a discutere, per porre alcune domande e alcune considerazioni. Ma l'onorevole Violante, che da anni - e ancora oggi - è il leader indiscusso dei magistrati di sinistra e che ha contribuito a creare la situazione di allora e questa di oggi, quanto ha contribuito a portare dentro la magistratura e dentro il CSM quelle valutazioni politiche la cui punta estrema ha avuto luogo oggi - proprio oggi -, con l'eclatante protesta dei membri laici del CSM, insultati e vilipesi assieme al Presidente del Consiglio con la strumentalizzazione di un ruolo e di una funzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)? E quanto ha contribuito, non fosse altro che con la predicazione, a consentire e a giustificare quella giornata della protesta che oggi i magistrati hanno lanciato in tutta Italia, per parlare di politica e per interferire sulla politica? Quanto ha contribuito a trasformare il CSM e l'Associazione nazionale magistrati in un veterosindacato? E quanto tutto ciò - l'interferenza nella politica - ha condotto all'esasperazione odierna, che travolge - essa sì - il prestigio della magistratura?
Non discuto i fatti, li giudico. Ma se, come direbbe un mio carissimo amico, sono certo soltanto del dubbio, allora mi chiedo perché vi sia la strenua opposizione della sinistra ad un'indagine che faccia luce sul passato, che esprima un giudizio ed una valutazione politica dei fatti e dei


Pag. 63

comportamenti, affinché, così come ci è stato insegnato, si restituisca a ciascuno il suo?
La vicenda del senatore Andreotti, al quale va, come va al presidente Carnevale, tutta la mia solidarietà umana (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale e del deputato Bondi), può essere letta in modi diversi. Può essere letta come esaltazione dell'autonomia della magistratura che ha ritrovato se stessa oppure come distorsione della stessa magistratura che si è arrogata il compito, attraverso l'equivocità di fatti artatamente costruiti, di dare e di offrire un giudizio politico di un sistema, che ho combattuto ma sempre attribuendo agli elettori, al popolo il giudizio finale, perché a loro spetta la sovranità (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Si tragga, quindi, insegnamento, con toni più sommessi e più cauti - e lo dico a tutti -, per interpretare i veri sentimenti e le vere necessità del popolo italiano e per dar luogo, apertura, a riforme assolutamente necessarie, e che devono essere condivise (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Vorrei dire ai colleghi del gruppo misto, che mi hanno chiesto di intervenire, come ha già fatto l'onorevole Diliberto, e che parleranno successivamente, di avere un minimo di autoregola in più, perché naturalmente per il gruppo misto devo...
Ha chiesto di parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, devo constatare ancora una volta che le difficoltà crescenti di questa maggioranza parlamentare vengono maldestramente ricomposte su campagne ideologiche. Quella unità che va in frantumi sul terreno programmatico, si cerca di ricostruirla, appunto, su un scontro ideologico che, secondo noi, è deleterio per il paese e destruttura gli assetti democratici del nostro stesso paese.
Il fondo di questa campagna è sbagliato. Il giustizialismo - si dice e lo si è detto in maniera francamente intollerabile - è servito a far andare al Governo le attuali forze dell'opposizione. Io trovo che sia davvero paradossale che questa virulenta crociata contro il giustizialismo proceda con le forme e i ritmi di una pacchiana inquisizione. Mal sopportate ogni sorta di tribunale e non esortate a trasformare i vostri mass media e queste aule in un improvvisato tribunale. Il vostro furore contro le dietrologie finisce per produrre la più perfetta delle dietrologie: semplicemente, fate vostra la più improbabile delle teorie del complotto.
Insomma, il vostro antigiustizialismo guadagna i gradi del processo sommario, come, per esempio, nelle iniziative che riguardano la Commissione Telekom Serbia o la Commissione Mitrokhin, nelle quali diventate campioni di giustizialismo.
L'assoluzione di Andreotti non è la cancellazione della storia siciliana e della storia italiana. Vedete, su questo punto voglio essere molto chiaro: noi abbiamo sempre distinto il giudizio politico da quello penale; per noi non sono mai state sufficienti connessioni logiche o giudizi politici come presupposto per avviare giudizi penali. Tuttavia, è del tutto evidente che i giudici non hanno assolto, insieme al senatore Andreotti, anche Lima o Ciancimino o gli esattori come i Salvo. Voi, invece, volete cancellare la memoria scandalosa di un potere mafioso che inquinò lo Stato e la politica.
Ma davvero Cosa nostra è solo l'epopea di una banda armata? Certo, la storia non si può e non si deve fare in un tribunale, ma neanche la politica può trasformarsi, come sta succedendo oggi, in una sorta di tribunale.
Mettiamo a bilancio una intera lunga parabola dell'antimafia, quella nata sull'asfalto di Capaci e di via d'Amelio. Ci furono limiti in quella pur straordinaria stagione? Eccessi di legislazione emergenziale o sbandamenti giustizialisti? Bene, discutiamo di questo, ma non facciamo una caccia alle streghe.
La verità è che in quegli anni il livello di legittimazione dello Stato era caduto clamorosamente in basso, drammaticamente


Pag. 64

in basso, proprio per il peso che la mafia aveva anche nella determinazione delle vicenda politica italiana.
Così sulla vicenda di Tangentopoli io credo che debba finire questa storia per cui viene dipinta una società politica che vessa l'imprenditoria italiana. No, la verità è che lì c'era un sistema che ottimizzava gli interessi di cui traevano vantaggio l'imprenditoria italiana con la classe politica dell'epoca, cioè un sistema e un modello di sviluppo. Volete riproporlo? È questo sistema che volete riproporre?
La corruzione e la collusione non furono un teorema della magistratura ma furono una tragedia della democrazia italiana. Per questo noi chiediamo di poter discutere serenamente e politicamente su questi temi.
Noi siamo tra coloro che non hanno mai gradito la spettacolarizzazione del processo penale, che non hanno mai amato la mitologia dei pubblici ministeri angeli vendicatori.

PRESIDENTE. Onorevole Giordano, la prego di concludere.

FRANCESCO GIORDANO. Ho finito Signor Presidente.
Tuttavia, abbiamo sentito in maniera crescente l'esigenza di coniugare il tema cruciale delle garanzie dei cittadini e il tema di un controllo di legalità a 360 gradi, senza fare sconti come voi richiedete sistematicamente per coloro che abitano abitualmente nei palazzi del potere.
Infine, signor Presidente, mi permetta di svolgere una brevissima riflessione sul terreno della politica. Il sistema dell'alternanza è fondato sul reciproco riconoscimento, sulla reciproca legittimazione e su regole condivise. Forse, è il caso di prendere atto che questo sistema non funziona più, perché non vi è più una regola condivisa e vi è lo strappo di ogni forma di condivisione.
Per tale motivo, credo che, forse, dovremmo ritornare ad un'altra stagione della democrazia (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, ringrazio il presidente Violante per aver chiesto ed aperto questo dibattito e ringrazio lei, signor Presidente della Camera, per averlo consentito. Anche nelle sue asprezze e difficoltà, forse, inevitabili (tuttavia, qualcuna poteva essere evitata, collega Bondi), questo dibattito fa onore al Parlamento che oggi discute, sia pure in un dibattito incidentale, di temi cruciali che attraversano l'intera opinione pubblica italiana.
Sono stato, per gran parte della mia vita politica, un avversario politico della DC, finché è esistita, sia pure cercando sempre il dialogo ed il confronto parlamentare, ma sono stato anche un avversario sia del terrorismo politico sia dell'uso politico della giustizia, sempre in difesa della democrazia politica, dello Stato di diritto e del sistema delle garanzie.
Proprio perché la mia storia politica è assai lontana dalla sua, ripetutamente in questi anni ho espresso la mia solidarietà al senatore Andreotti non solo quando è stato assolto (era facile), ma anche l'anno scorso, quando è stato incredibilmente condannato a 24 anni di carcere per omicidio, e fui criticato per questo.
Non sono tra coloro che ritengono che le sentenze non si possano criticare. Io l'ho fatto molte volte e non solo in riferimento a Giulio Andreotti, politicamente mio avversario, ma anche in tutta la terribile vicenda giudiziaria che ha riguardato il mio amico Adriano Sofri, che si trova da sette anni, a mio parere ingiustamente, in carcere e che in carcere rimane, nonostante il Presidente della Repubblica Ciampi, il Presidente del Consiglio Berlusconi ed anche la maggioranza dei deputati, con l'appello promosso da Sandro Bondi e Enzo Bianco, si siano dichiarati favorevoli alla concessione della grazia, finora impedita dal ministro Castelli.
Proprio perché negli anni delle tre grandi emergenze, antiterrorismo, antimafia


Pag. 65

ed anticorruzione, ho sempre rivendicato in quest'aula sia il dovere di combattere terrorismo, mafia e corruzione, sia il dovere di farlo, nel pieno rispetto delle garanzie dello Stato di diritto, oggi non ritengo accettabile una sorta di giustizialismo a rovescio, questa volta sul piano politico e non giudiziario.
Luciano Violante sa bene, appartenendo allo stesso schieramento politico e avendo un lungo rapporto di positiva collaborazione politica e parlamentare sia dall'opposizione sia, nella scorsa legislatura, in maggioranza, che noi abbiamo ed abbiamo avuto, anche in passato, idee e posizioni talora diverse sui temi della giustizia e del rapporto tra giustizia e politica.
Ho sostenuto queste idee in quest'aula e fuori di qui nel 1994 e per tale motivo non venni neppure candidato dai progressisti alle politiche, ma non cambiai idea e continuai per la mia strada a testa alta. Le mie concezioni garantiste le ho sostenute anche quando alcuni facili garantisti di oggi dai banchi della destra agitavano le manette in quest'aula, indossavano i guanti bianchi delle loro ostentate ipocrite mani pulite, sventolavano il cappio da forca, immersi nelle risate sguaiate del loro gruppo politico, organizzavano fuori di qui il linciaggio personale di Bettino Craxi, insieme anche ad alcuni della sinistra, e accoglievano con indifferenza la lunga sequela di suicidi dentro e fuori le carceri.
Essendo ferocemente contrario al terrorismo, alla mafia ed alla corruzione politica, ho vissuto quegli anni di illusioni sulla rivoluzione giudiziaria con orrore e sgomento, con pena e distacco profondo, ma proprio per questo oggi ho orrore per la campagna scatenata contro Luciano Violante, che le sue idee ha sempre professato a viso aperto e senza ritrarsi dalle proprie responsabilità.
Quelle idee spesso non le ho condivise, ma quanti farisei vedo oggi scagliarsi contro di lui! Quanti ipocriti, quanti sepolcri imbiancati, quanti garantisti di oggi che ieri hanno taciuto, che ieri festeggiavano la caduta del vecchio sistema dei partiti, che ieri facevano a gara a prendere le distanze da indagati e arrestati anche del proprio partito!
No, signor Presidente, onorevoli colleghi, non sono d'accordo con questa campagna che pensa di far dimenticare gli errori del giustizialismo giudiziario di ieri, rilanciando una sorta di giustizialismo politico oggi.
Giulio Andreotti ha il diritto di difendersi prima e dopo i processi e le sentenze che lo riguardano, uno dei quali è ancora di fronte alla Corte di Cassazione. Ma come è stata una colossale idiozia tramutare una sentenza di condanna o addirittura una requisitoria d'accusa nella vera storia d'Italia, così è altrettanto colossale idiozia pensare che sia un'altra sentenza, questa volta giustamente di assoluzione, a riscrivere ancora una volta la vera storia d'Italia.
Una vicenda giudiziaria in uno Stato di diritto sulla base di una concezione liberaldemocratica può entrare a far parte della storia di un paese - pensate al caso Dreyfuss in Francia - ma non scrive mai con le proprie istruttorie, con le proprie requisitorie e con le proprie sentenze, la storia di quel paese.
La vera storia d'Italia non la scrivono né i pubblici ministeri o gli avvocati, né gli imputati né le parti civili, neppure i giudici che con loro sentenze devono soltanto dichiarare se un'ipotesi accusatoria risulti alla fine fondata o infondata; i giudici, quando condannano, anche a torto, affermano una responsabilità individuale e non di un partito, e quando assolvono, ed in questo caso giustamente assolvono un imputato, non un partito o un pezzo di storia - che in uno Stato di diritto non siedono nei banchi degli imputati -: questo è lo stato di diritto, per chi ci crede non soltanto quando fa comodo. Chiudiamo, onorevoli colleghi, questa pagina!
È ridicolo che qualcuno pensi oggi di mettersi la coscienza a posto, mettendo sul banco degli imputati Luciano Violante. Se volete veramente fare i conti con la storia d'Italia, se vogliamo liberarci dai fantasmi


Pag. 66

del passato, proviamo a ripercorrere le vicende italiane con animo sgombro da pregiudizi ideologici.
Il terrorismo c'è stato, c'è ancora e va combattuto; la mafia c'è stata, c'è ancora e va combattuta; la corruzione c'è stata e purtroppo c'è ancora e va combattuta; le deviazioni, le deformazioni, le distorsioni sono avvenute a causa delle logiche emergenziali e della cultura del sospetto.
Questi sono fantasmi del passato da cui dobbiamo liberarci senza facili caprii espiatori. Mi chiedo se sapremo farlo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo e di deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa inusuale occasione che vede un presidente di gruppo, già Presidente della Camera, inserirsi nel dibattito sul post-sentenza Andreotti, obbliga il nostro movimento Lega nord Padania a ribadire le proprie posizioni rispetto alla mafia e al fenomeno mafioso in generale.
Un fenomeno estraneo alla Padania e di cui la Padania è stata sempre vittima; come possiamo non ricordare che tutti i movimenti autonomisti nascono dalle battaglie contro il soggiorno coatto dei mafiosi, dei malavitosi nei territori del nord?
La mafia è un fenomeno tipicamente italiano che non ha eguali in tutta Europa. È un fenomeno criminale, con una forte capacità militare, un fenomeno sociale, culturale e dunque capace di incidere anche sulla realtà politica.
Siamo convinti che forze dell'ordine e magistrati siano gli strumenti da utilizzare e da tutelare con ogni risorsa, anche economica, per abbattere il livello criminale e malavitoso della mafia.
Siamo altrettanto convinti che il livello politico, o di contiguità politica o di influenza nefasta della mafia sulla politica, debba essere contrastato con la politica, con le riforma della politica, per eliminare il flusso dell'assistenzialismo, lo spreco di denaro pubblico, situazioni in cui vive e prospera il malaffare mafioso. Riforme per dare spazio alla parte sana della Sicilia, della gente siciliana che vuole un altro tipo di società.
La sinistra non ha scelto questa strada, quella cioè di bloccare l'assistenzialismo, la benzina del motore mafioso, ed ha invece pensato, anche con l'onorevole Violante, che la magistratura potesse e dovesse risolvere il problema del cosiddetto livello politico e, di conseguenza, teorizzare che la sinistra in Sicilia e nelle zone del sud a presenza mafiosa rappresentasse il bene e la parte sana rispetto agli altri avversari politici.
Questa visione non ci ha mai convinto, ci sembrava ipocrita, falsa e non capace di cogliere la drammatica complessità del fenomeno mafioso.
Inquadrato il problema nei suoi termini generali, registriamo come la vicenda Andreotti-Violante, se relegata ai soli aspetti personalistici, ci trovi seriamente imbarazzati. Il nostro giudizio, come Lega nord Padania, su ciò che ha rappresentato politicamente Giulio Andreotti, è chiaro e limpidamente negativo: è un giudizio che condanna l'incapacità di Andreotti e della DC dell'epoca di utilizzare, in nome dell'assistenzialismo e del consociativismo, le risorse economiche di tutto il paese per creare sviluppo e capacità imprenditoriali nella parte più arretrata del paese stesso.
Per quanto riguarda l'onorevole Violante, in quanto rappresentante principale - come viene comunemente indicato anche dai mass media - di quel cosiddetto partito dei giudici, il nostro giudizio politico - sottolineo politico - non può che essere altrettanto negativo. Non sappiamo se l'onorevole Violante, come si legge su alcuni quotidiani, sia stato il suggeritore materiale di alcuni pentiti; speriamo di no. Ma sappiamo che l'onorevole Violante è stato sicuramente uno dei protagonisti della stagione giustizialista dei primi anni novanta, stagione che rappresentò l'epilogo del rapporto tra la finta opposizione consociativa del Partito Comunista Italiano e


Pag. 67

la DC, partito-Stato del secondo dopoguerra. L'onorevole Violante, per la sua formazione politica - e sappiamo l'importanza che nella cultura comunista e sovietica ha rivestito l'elemento giudiziario come strumento di educazione politica -, è stato, lo ribadiamo, il protagonista di una visione che implica l'utilizzo del potere giudiziario per incidere sulla realtà politica.
La questione centrale, secondo la Lega nord Padania, al di là della vicenda Andreotti-Violante, è quale visione si debba avere in questo paese del ruolo della politica e, conseguentemente, della possibilità o meno della politica stessa - e dunque del popolo e dei cittadini - di decidere il proprio destino.
Lo Stato, i suoi apparati, e dunque anche la magistratura, devono essere al servizio della sovranità popolare. Ribadiamo: della sovranità popolare, non della maggioranza o del Governo. Oggi, in Italia, si rivendica la difesa del principio dell'indipendenza della magistratura, principio che noi condividiamo, se tale indipendenza significa dipendenza della magistratura e dei magistrati dalla legge e solo dalla legge. Oggi, in Italia, non è così: questo principio dell'indipendenza è un'ipocrita finzione, condizionata dall'esistenza di una magistratura - o, meglio, di una parte di essa - politicizzata come in nessun'altra parte d'Europa. È venuto il momento, con le riforme che questa maggioranza deve fare, di eliminare questa finzione. È venuto il momento di rilegittimare la politica.
Ho concluso, signor Presidente. Onorevole Violante, nel suo intervento, che abbiamo ascoltato con molta attenzione, lei ci dice che una parte dell'Italia è stata con Michele Sindona, un'altra parte con Sarcinelli e Ambrosoli e un'altra parte ancora con Vito Ciancimino. Ebbene, noi non eravamo con nessuna di queste parti: noi eravamo altrove, noi eravamo in Padania (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mastella. Ne ha facoltà.

MARIO CLEMENTE MASTELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci sono momenti nei quali l'orgoglio dell'appartenenza, il senso dell'identità, che magari sembrava reso opaco da percorsi abbastanza tortuosi, prende il sopravvento e le ragioni apparentemente del cuore sopravanzano anche le ragioni dell'intelletto. Questa è una di quelle circostanze, per quanto mi riguarda, in cui sembra di assistere ad un ennesimo processo rispetto a quello che è stato un grande partito, una grande storia: la storia del mio partito, la storia della Democrazia Cristiana.
Allora furono in tanti, con atteggiamento corale, tra l'indifferenza di molti, tra una intellighenzia che aveva sempre ritenuto che la presenza costante dei cattolici alla guida del nostro paese fosse un incidente della storia e un apprezzabile, grande, enorme consenso elettorale, che arrivava a ratifica di quella vertenza che è data dall'elemento della democrazia; allora la Democrazia Cristiana venne distrutta, molti giocarono contro la Democrazia Cristiana. Per favore, non giocate oggi, utilizzando la nostra storia e il nostro patrimonio per le vostre vicende personali o politiche.
Abbiate rispetto della nostra tragedia, molto più grande di quelle evocate, in alcune circostanze, da Goethe; una tragedia che ha visto indulgenti, da una parte e dall'altra. Mi rivolgo all'onorevole Anedda: vada a rileggere (in questi giorni, faremo pubblicare ciò sul nostro quotidiano, per chi non avesse questo senso dell'opportunità) ciò che dichiaravano l'onorevole Matteoli e il senatore Florino rispetto alla relazione sprezzantemente antagonista, l'equazione, dove il nesso tra la Democrazia Cristiana e la compiacenza mafiosa sembrava essere la proprietà e non il dileggio di questo grande patrimonio e di questo grande senso dello Stato appartenuto al partito dei cattolici italiani.
Ci fu, ci fu. Perché non riconoscerlo? Ne ha parlato anche il collega Castagnetti. Fummo là, però devo dire, Castagnetti: io c'ero. Non posso dire, né dirò mai, come Pietro, non c'ero. In quell'orto degli ulivi c'ero. Anche su di me c'erano sudori. Per


Pag. 68

la verità, arrivai in Commissione parlamentare - come ricorderà l'onorevole Violante - quando la relazione era stata già stata consumata ed intervenni, anche partecipando e (l'ho ricordato a più riprese) rivolgendomi, in quella circostanza, al segretario del mio partito. In uno sforzo disperato, insieme ai presidenti di gruppo, andai dal senatore Andreotti per dire che la circostanza per noi era accettare il giudizio impietoso oppure tentare di rileggere ciò, con una rilettura che avvenne successivamente, e fu una rilettura dal sapore e dall'atteggiamento politico. Certo, era un modo di mitigare, uno sforzo, a fronte di tante mancate indulgenze.
A Bondi voglio ricordare che si può strumentalizzare, ma non si parla, Bondi, su questi argomenti. Chi ha il diritto di parlare per le vicende della Democrazia Cristiana sono i cattolici e i democristiani; è l'anonimo della Democrazia Cristiana che può chiedere il risarcimento, ma non lei, onorevole Bondi.
Io (e Violante ne è a conoscenza) ho contestato e contestai, per quanto mi riguardava, per ciò che era la circostanza, non per un arretramento. Non arretrammo in tanti. E chiedo scusa all'onorevole Biondi se, in una frase consumata in maniera diversa nel racconto in filigrana che è apparso, in questi giorni, su un quotidiano, pur apprezzabile ed egregio, della capitale, ho dato ragione di una cosa che, invece, non gli apparteneva. Anche Biondi, come me, era perplesso rispetto a ciò che si stava verificando in tale circostanza.
Devo dire la verità: noi - lo ricordo a Castagnetti - facemmo un tentativo. Utilizziamo un percorso di natura politica per tentare di riportare sul piano politico, di rispondere (questa fu l'accettazione) politicamente a quell'accerchiamento che noi, poveri indiani metropolitani democristiani, come altri socialisti successivamente ebbero, con un dato che rievocava la presenza dell'onorevole Moro quando, in quest'aula, richiamò il «non processerete la Democrazia Cristiana». Questa fu la ragione. Non toccava a noi intervenire. Sul piano giudiziario non eravamo competenti. È avvenuto ciò per molti motivi, per molti elementi. Si è frantumata e noi democristiani siamo diventati prigionieri politici di una vicenda che ci ha superato, forse in parte, ma - lo devo dire a Luciano Violante - con molto rispetto e con determinazione, la mia storia e quella di tanti come me, di giovani di provincia, di intellettuali, di uomini e di donne, non può essere legata alla storia di «Sindona sì, Sindona no».
Quella della Democrazia Cristiana è una storia che, sul crinale del nostro paese, mitigò asprezze, smussò gli angoli, determinò l'ascesa delle classi operaie, rispettando le vostre classe operaie, assieme all'insorgenza, di cui si caricò in maniera puntuale, del mondo contadino. Questo grande partito di cattolici e della cattolicità, della cristianità rispettò i propri principi e valori in chiave biblica, ma al tempo stesso rispettando la laicità. Anzi, nello scontro Sturzo-De Gasperi, assommò primariamente alla laicità dello Stato tali aspetti clericaleggianti che pur motivavano alcuni apprezzamenti della storia della democrazia cristiana.
Se posso, vorrei aggiungere la seguente considerazione. Se volete davvero rispettare la nostra tragedia, la tragedia di una cosa non più ricomponibile (non ci sarà mai più il clone della Democrazia Cristiana e dei democratici cristiani!) e se ciò vale come insegnamento, ritorni in questo nostro paese la tolleranza. Questo fu il grande valore della Democrazia Cristiana!
Accettate questo pegno, allora salverete la nostra storia, allora non sarà la disputa tra di voi di questo strano bipolarismo che contende - per chi ha contese - l'eredità della Democrazia Cristiana.
Forza Italia ne ebbe pegno dopo, altri successivamente. Non mi interessa. Allora sì, vale la morte di tanti democratici cristiani, di quelli che fecero la nostra storia; avrà un valore e un grande significato.
C'è, c'è l'unità, in questa circostanza, se non volete giocare con le parole. Se non volete impiccarvi alle parole, rispettabili


Pag. 69

mi paiono - e li prendo così - gli esiti finali sia dell'intervento di Violante sia di quello di Bondi.
C'è quell'unità, richiamata dalla Democrazia Cristiana con forze socialiste, laiche e non, che fu l'unità contro il terrorismo (vi sono aspetti che ritornano in questi giorni); c'è l'appello del Presidente del Consiglio; ci sono la forze sindacali.
Accetti questo Parlamento, unitariamente! Allora sì non avrete giocato, allora sì non avrete ammazzato ulteriormente la storia di quel grande partito che fu il mio: la Democrazia Cristiana (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, di deputati del gruppo di Forza Italia e di deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo)!

UGO INTINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte alla più grande questione politica e morale degli ultimi decenni. Da anni, il mio partito insiste affinché essa sia affrontata con spirito critico ed autocritico, con parole di verità e con serenità, perché non si può né seppellire né usare cinicamente il passato. La nostra democrazia non tornerà alla normalità sino a che la guerra civile della prima metà degli anni novanta non sarà chiusa con un giudizio equilibrato.
Il nostro compagno di partito, Del Turco, ha insistito, con una critica politica, sulle responsabilità personali dei commissari antimafia, di sinistra e di destra, e su quella del presidente, onorevole Violante. Ha ragione - gliela danno i fatti - perché i giudizi della Commissione antimafia di allora si sono dimostrati sbagliati; oggi, nessuno li potrebbe più sottoscrivere. L'onorevole Violante non deve vedere in questo un'aggressione. Soprattutto, non è possibile riaccendere tra SDI e DS uno scontro anacronistico, immaginabile soltanto da chi non abbia esercitato, in questi anni, appunto, lo spirito critico ed autocratico prima ricordato.
Il giudizio equilibrato presuppone il rifiuto delle posizioni estremiste. Sarebbe estremista negare che un allargamento della corruzione e un degrado della vita democratica si sono davvero manifestati: un degrado che l'opinione pubblica non tollerò più finita la «terza guerra mondiale» tra est ed ovest, tra comunismo ed anticomunismo. Sarebbe estremista immaginare che un complotto di politici e magistrati comunisti abbia distrutto la prima Repubblica. Sarebbe, tuttavia, altrettanto estremista negare che una parte della magistratura, appoggiata dalla stampa e dalle televisioni - tutte - e dai partiti di opposizione, in quegli anni sia uscita dai suoi limiti istituzionali.
È evidente a tutti che la carcerazione preventiva è stata spesso usata come strumento di tortura per estorcere confessioni, che la violazione del segreto istruttorio è stata usata per alimentare la caccia alle streghe sui mass media. È stato evidente anche al Papa - lo cito anch'io - il quale ha dichiarato solennemente, ad un'udienza per i magistrati: il rispetto dei diritti della persona esclude il ricorso ad una carcerazione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo; è di grande importanza un rapporto con i mass media improntato a doveroso riserbo. Chi vuol capire non ha difficoltà a capire.
Sì, si è voluto usare i processi per fare una rivoluzione: da parte di troppi dirigenti politici; di troppi mass media; di troppi imprenditori; ed anche di troppi magistrati. Il fondo di un quotidiano diceva: l'opinione pubblica da questa classe politica non è disposta ad accettare più nulla, neppure gli auguri di Natale e Capodanno; se per rivoluzione si intendono le barricate ed i morti, questa non è rivoluzione; ma, se per rivoluzione si intende un integrale e traumatico passaggio di consegne da una classe dirigente ad un'altra, questa è una rivoluzione.
Sì, si è voluto sostenere che i partiti democratici erano guidati da ladri e da mafiosi; e Andreotti è stato condannato ancor prima della sentenza. Il fondo di un quotidiano lo descriveva così: per lui, il bene consisteva soltanto in un uso accorto


Pag. 70

del male. Ecco Andreotti, il grande custode del sistema, il sistema delle tangenti e della mafia. Ringraziamo i giudici di avercene liberati.
Sono i fondi del Giornale nuovo di Berlusconi e sono le parole di Indro Montanelli. Ho scelto proprio queste per chiarire che la retorica della rivoluzione giustizialista stava a sinistra come a destra; anzi, soprattutto a destra, tra i cronisti trasformati in portavoce delle procure, ma anche tra le icone più prestigiose del giornalismo italiano e dei conservatori. Gli errori stavano a sinistra come a destra.
Oggi, chiediamo una riflessione, in particolare, alla sinistra; e prendiamo atto - basta leggere l'ultimo libro di Fassino - che essa c'è stata.
Chiediamo questa riflessione soprattutto alla sinistra non perché essa sia più colpevole, ma per tre solide ragioni. Perché ci si aspetta dalla sinistra - non dalla destra - una posizione garantista e libertaria. Perché noi siamo nella sinistra lealmente e sino in fondo e ci sta a cuore, perciò, proprio da parte della sinistra, una riflessione che recuperi l'elettorato ex socialista ed ex democristiano disgustato dagli eccessi giustizialisti.
Perché l'errore della sinistra è stato più grave, ha avuto infatti per la sinistra stessa le conseguenze più catastrofiche; ed era ovvio: quando viene delegittimata la politica, non vince la sinistra, vince la destra e vince il denaro.
Se si chiede sul tema della giustizia una Bad Godesberg della sinistra, credo lo si faccia con spirito non distruttivo ma costruttivo, perché così si costruisce la vittoria elettorale della sinistra, così si svuota l'unico argomento propagandistico rimasto a Berlusconi dopo il fallimento della sua politica economica, così - ed è un tema concretissimo - si costruisce una giustizia autorevole ed indipendente. Lo si fa contestando l'eccesso di oggi, la prevaricazione della politica sulla magistratura, ma con l'autorevolezza che deriva dal riconoscimento dell'eccesso di ieri, la prevaricazione della magistratura sulla politica, una prevaricazione della quale ha fatto giustizia, per la verità, su Andreotti, la magistratura stessa, aprendo una grande occasione indicata con parole semplici dal senatore Elia: la chiusura delle vicende giudiziarie offre una grande occasione per dare alla DC, al PSI e ai partiti liberaldemocratici quel che è loro dovuto.
Se i compagni dei Democratici di sinistra-l'Ulivo coglieranno questa occasione e andranno avanti sulla strada che, bisogna riconoscerlo, hanno da tempo intrapreso, ci daranno ciò che, nonostante i nostri tanti errori, è giusto e daranno a noi tutti, all'opposizione intera, una carta elettorale in più.
Concludo, signor Presidente, osservando che occorrerebbe uno spirito di tolleranza in questi dibattiti. Non c'è nulla di peggio di un paese invecchiato e rancoroso, che ogni mese si dilania in una nuova rissa su una questione del passato. Vogliamo guardare al futuro, avere una maggioranza ed una opposizione che si rispettano a vicenda, come continuamente insiste il Presidente Ciampi.
La lista unica alle europee significa per noi, per i compagni e gli amici dei Democratici di sinistra e della Margherita, guardare al futuro. Serve alla sinistra, perché aiuta a costruire una sinistra moderna di Governo, ma serve anche alla destra e all'Italia, perché aiuta a costruire una normale democrazia europea, una serena democrazia dell'alternanza nella quale continuiamo, nonostante tutto, testardamente, a sperare (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa e di deputati della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Chiara Moroni.

CHIARA MORONI. Signor Presidente, la sentenza definitiva del processo Andreotti segna una pagina di giustizia e di verità e riapre ancora una volta la discussione sul rapporto tra magistratura e politica. Giustizialismo e cultura del sospetto hanno caratterizzato l'ultimo decennio della vita politica del nostro paese, delle sue istituzioni, dei suoi cittadini.


Pag. 71


Troppo insistente è il dubbio che talvolta travalica in convinzione di un rapporto eccessivamente stretto tra una parte della magistratura ed una parte del potere politico, troppe volte in questi anni è sembrato che avvisi di garanzia, arresti, rinvii a giudizio, ossia strumenti giudiziari, fossero strettamente legati ai tempi della politica. Troppo per non chiedere un chiarimento profondo in merito a questi temi, a come in questi ultimi dieci anni la giustizia sia diventata arma di scontro politico, a come attraverso lo strumento giudiziario sia stata processata, annientata e sostituita un'intera classe politica, a come parte della magistratura abbia fatto e faccia politica con buona pace dei proclami sull'indipendenza e l'autonomia della magistratura, che certo non possono e non devono essere a senso unico, a come questo clima abbia consumato una profonda frattura tra le istituzioni e la politica da una parte e i cittadini dall'altra.
Onorevoli colleghi, è tempo di aprire questo vaso di Pandora e di trovare la forza politica per affrontare ciò che ne esce. Questo paese non potrà mai costruire un futuro luminoso, saldando quella frattura fra istituzioni e cittadini, recuperando una pratica politica di confronto duro, ma sereno fra maggioranza ed opposizione e ripristinando il primato della politica fino a quando non avrà certezza del proprio passato recente, fino a quando con la chiarezza non avremo sconfitto la cultura del sospetto che ha dominato finora.
È tempo, onorevole Violante, di un dibattito sereno su questi ultimi dieci anni, ma questo dovrà essere fatto in una Commissione parlamentare, la Commissione d'inchiesta sull'uso politico della giustizia. Non è più possibile rimandare il tempo dei chiarimenti, il momento di dissipare i dubbi sul meccanismo vero che portò all'eliminazione di un'intera classe politica e se questo meccanismo fu caratterizzato - come pare - da uno spregiudicato uso politico della giustizia.
Se così fu, la classe politica odierna ha il dovere di mettere in campo tutti i possibili meccanismi per evitare che ciò si ripeta attuando riforme della giustizia e delle relazioni che possono intercorrere con il potere politico, evitando che, ogni volta che si pronunci la parola riforma, colui che l'ha pronunciata venga immediatamente accusato di fantomatici attacchi all'autonomia e all'indipendenza della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Questa maggioranza ha promesso riforme, e riforme farà anche sulla giustizia: separazione delle carriere e responsabilità dei magistrati non possono e non devono essere tabù.
Onorevole Violante, lei ricorda le parole lasciate scritte all'allora Presidente della Camera, Giorgio Napolitano, da un parlamentare che si suicidò; anch'io le ricordo, e le ricordo bene, e ricordo anche come quelle parole nel 1992 furono vane e nulla cambiarono. Mi auguro che oggi, in un clima diverso, non debbano essere più vane e che questo Parlamento sappia trovare la forza di impedire che ciò che abbiamo visto in quegli anni e negli anni che seguirono abbia a ripetersi di nuovo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, di Forza Italia e Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, alcune considerazioni per chiudere questo dibattito, questo giro di opinioni.
Anzitutto, onorevole Violante, vorrei dire a lei, davanti ai suoi colleghi, davanti al Parlamento, che io apprezzo sempre chi si assume le proprie responsabilità nelle sedi proprie. E pur in presenza di un dissenso politico, di diverse visioni, che tra di noi ci sono sempre state da quando ci conosciamo, ho apprezzato il fatto che lei abbia voluto portare qui, nella sede della Camera dei deputati, le riflessioni che sono state al centro di un dibattito politico svoltosi in sedi parallele ed esterne al Parlamento.
Certo, posso rammaricarmi di alcuni toni, ma registrare anche, con soddisfazione, come il tema del rapporto tra politica e giustizia, anche per la sua iniziativa, sia stato riportato in Parlamento, nella sua sede istituzionale, nell'aula della Camera dei deputati.


Pag. 72


Troppo spesso e per troppi anni questi temi sono stati affrontati in sedi che possiamo ritenere improprie; mi riferisco anche alle aule giudiziarie, che né ieri né oggi possono occupare lo spazio che è proprio del dibattito e della riflessione politica. Almeno su questo sono lieto che si sia registrata una comune valutazione.
Oggi abbiamo maturato la consapevolezza diffusa che non sono ammesse né supplenze né sostituzioni nello scrivere le pagine della nostra storia nazionale.
La questione che lei ha posto, la questione di fondo su cui noi abbiamo dibattuto, è che tutti veniamo da storie diverse, di cui ciascuno è legittimamente orgoglioso. Tanti di noi sono entrati in quest'aula venti, o anche più, anni fa (l'onorevole Biondi, l'onorevole Colucci e tanti altri), ed abbiamo sostenuto posizioni diverse, anche antitetiche, ma con la stessa passione di militanti politici. Dobbiamo vergognarcene? Ce ne vergogniamo? Credo che bisogna temere una classe politica che, per viltà o per opportunismo, disconosca le proprie radici: un paese, una politica senza radici e senza convinzioni è destinata ad un effimero permanente.
Tutti, però, provenendo da strade diverse, abbiamo capito che una certa stagione è finita e su questa vicenda sarà la storia a dare il suo giudizio in maniera, per quanto è possibile, obiettiva e serena.
Se adesso abbiamo a cuore l'interesse delle istituzioni, dobbiamo evitare, infatti, ogni strumentalità nella valutazione del nostro passato. Molti giudizi sono mutati nel tempo, a seconda delle convenienze; troppe volte si è passati da un radicalismo ad un altro, di segno opposto, nel giudizio sulle vicende dell'ultimo decennio, in una maniera che non aiuta a ricomporre il nostro tessuto politico e istituzionale.
Proprio in funzione di questa ricomposizione, vorrei rivolgermi a lei, onorevole Violante, che nel suo intervento ha detto che - cito testualmente - qui abbiamo valori diversi, ma abbiamo le stesse responsabilità di fronte al paese. Ma questo schema - io capisco cosa vuole dire oggi rispetto alla responsabilità, egualmente importante, di maggioranza ed opposizione, ciò a cui lei si riferisce - può e deve essere ribaltato, se non vogliamo rimanere prigionieri di una evidente patologia del nostro sistema.
La verità è che oggi le responsabilità sono diverse, ma i valori debbono essere condivisi. Sono i valori condivisi l'anima di un bipolarismo maturo, che non si riduca ad un inutile scontro tra estremismi contrapposti ed in cui l'asprezza dei toni non prevalga sulla serietà dei contenuti.
In conclusione, consentitemi, rappresentando tutte le opinioni emerse, di indirizzare un affettuoso saluto a Giulio Andreotti, che tanti di noi ricordano Presidente del Consiglio, ministro ed esponente della Democrazia Cristiana. Siamo tutti sinceramente lieti che il suo calvario sia finito, ma personalmente non posso non rilevare che accuse infamanti verso un nostro uomo di Governo lo abbiano costretto a subire l'umiliazione di peregrinare, per anni, da un tribunale a un altro. Anche questo dovrà essere oggetto di una riflessione che è solo e tutta politica, che non potrà essere rancorosa e impregnata nei veleni del passato, ma proiettata verso la costruzione di un futuro migliore per l'Italia.
Io sottolineo che queste non sono conclusioni, sono alcune brevi considerazioni. Le questioni poste ed i temi affrontati sono tali da richiedere una riflessione nei tempi e nei modi adeguati, e su questo mi riservo una valutazione più meditata. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Margherita, DL-l'Ulivo).
Sospendo brevemente la seduta.

Back Index Forward