Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 359 del 22/9/2003
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TESTO AGGIORNATO AL 23 SETTEMBRE 2003

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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva (4268) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4268)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e VII (Cultura) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VII Commissione, onorevole Santulli, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Pescante, il decreto-legge n. 220 del 2003, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, che giunge oggi all'esame dell'Assemblea, è stato varato dal Governo per contribuire a risolvere la grave situazione di incertezza e di confusione che si è venuta a creare, nei mesi passati, nel mondo dello sport ed in particolare in quello del calcio.


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Esso mira, quindi, prima di tutto a dare una risposta immediata ed operativa alle ben note difficoltà che hanno rischiato di impedire il regolare avvio del campionato di calcio; allo stesso tempo, tuttavia, esso affronta, almeno in parte, le questioni strutturali che hanno contribuito a determinarne la crisi, accentuatasi negli ultimi mesi, con particolare riferimento al rapporto tra l'ordinamento sportivo e quello della Repubblica ed al rapporto tra la giustizia sportiva e la giurisdizione dello Stato.
Introducendo questo provvedimento, che impropriamente viene chiamato decreto salvacalcio, signor Presidente, non si può rimanere estranei ai fatti di Avellino, dove, appunto, doveva disputarsi un incontro di calcio. Esprimiamo, pertanto, la nostra solidarietà al giovane Sergio Ercolano ed alla sua famiglia, alle forze dell'ordine e a quanti sono stati incolpevolmente coinvolti, nella speranza e con l'augurio che il tifoso napoletano possa superare questo difficile momento.
Al tempo stesso, però, esprimiamo la nostra ferma condanna per questi vergognosi atti di barbarie, i quali, oltre a produrre criminosi delitti, come quelli che si sono perpetrati allo stadio Partenio di Avellino, stanno distruggendo l'immagine della quasi totalità degli appassionati di calcio per colpa di sparuti gruppi di teppisti, che niente hanno a che vedere con questo sport e che meritano punizioni esemplari. Vorremmo cancellare per sempre certe immagini, che purtroppo, invece, si ripetono.
Questi deplorevoli fenomeni di violenza, che ci hanno già impegnato a varare un provvedimento specifico, proprio perché sono diffusi e comuni a tutto il territorio nazionale, non possono tuttavia essere ritenuti casuali. Le responsabilità sono diversificate: esse sono sicuramente favorite da realtà sociali sempre più problematiche, ma sono certamente il frutto di situazioni malgestite ed esaltate da irresponsabili polemiche mediatiche, spesso innescate da addetti ai lavori.
Bisogna pensare immediatamente, signor sottosegretario Pescante, ad una sorta di «patente a punti» - me lo conceda -, indispensabile per quanti vogliono occuparsi di sport, ed in modo particolare per i presidenti delle società, che per diventare tali non sono sottoposti a nessun accertamento professionale e a nessun corso di formazione. Niente di più grave: come se per alcuni l'essere economicamente facoltosi possa rappresentare un sinonimo di garanzia per lo sport, in modo particolare oggi con l'avvento delle Spa.
Non intendiamo criminalizzare nessuno; anzi, certe figure devono essere valorizzate per i sacrifici che sanno fare e fanno nel consentire alle attività sportive di continuare. Tuttavia, il fenomeno sportivo, per il foltissimo numero di proseliti e tifosi, innesca delicatissimi problemi di ordine pubblico che non sono comuni a nessun'altra attività societaria con fini di lucro. Per questo motivo, sono necessarie le specializzazioni.
Il dibattito relativo al provvedimento in esame nelle Commissioni ha evidenziato la necessità di intervenire radicalmente. Si è anche parlato di una legge quadro per lo sport. Tutti hanno convenuto sulla necessità di una verifica complessiva, altri si sono soffermati sulla necessità di revisione della legge n. 91 del 1981 e del decreto Melandri. Il Governo, per bocca del sottosegretario Pescante, si è impegnato in tal senso e noi oggi siamo qui a chiedere un'urgente conferma. Infatti, nonostante gli interventi legislativi per dare forza all'organizzazione sportiva nazionale, come quello oggi in discussione, si ritiene urgente che proprio il mondo dello sport ripensi e riveda la sua organizzazione. Infatti, le clausole compromissorie ed i vincoli normativi autonomi della giustizia sportiva appaiono sempre più come argini di un tranquillo ruscello che dovrebbero improvvisamente, come sta accadendo adesso, essere capaci di contenere le acque sempre più violente di un fiume in piena. La realtà decoubertiana dello sport cui è ispirata l'organizzazione sportiva ha subìto ferite gravissime che necessitano di interventi radicali, urgenti e non di semplice osservazione.


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Secondo i dati confermati dall'ISTAT, il numero degli italiani che praticano con continuità un'attività sportiva si attesta tra i 14 e i 15 milioni. Se poi si allarga l'indagine alle varie espressioni di vita attiva, il numero di coloro che praticano, seppur saltuariamente, attività sportive o similari è stimabile oltre i 34 milioni. Sono dati che ci riferiscono di un coinvolgimento attivo di quasi tutto il paese; però, è ormai chiara la differenziazione netta e sempre meno equiparabile, almeno nell'organizzazione e nella gestione, tra lo sport professionistico e quello dilettantistico.
Sottosegretario Pescante, al riguardo, mi piacerebbe conoscere quante società e quanti atleti dilettanti si siano mai rivolti fino ad oggi alla giustizia ordinaria: è un fenomeno essenzialmente dello sport professionistico. Per questo motivo, è necessario pensare ad altri modelli.
Questo Governo e questo Parlamento, con interventi che forse sono passati inosservati, hanno già iniziato un cammino preciso: con la legge n. 53 del 2003, la cosiddetta riforma della scuola, che ha introdotto l'associazionismo sportivo scolastico, lo sport per ognuno attraverso la scuola, con lo sviluppo delle attività motorie e delle competenze ludico-sportive e con la promozione degli indirizzi sportivi nel secondo ciclo di istruzione; vi è poi la legge finanziaria dello scorso anno, che ha equiparato alle società sportive dilettantistiche le associazioni sportive scolastiche con tutti i benefici economici e normativi.
Queste sono tracce essenziali di un nuovo ed indispensabile percorso educativo per una funzionale cultura sportiva quale elemento stabile ed obbligatorio di formazione ed istruzione. La corretta impostazione di un permanente coinvolgimento sportivo scolastico per ogni studente rappresenta un sicuro deterrente ed un insostituibile elemento, oltre che di generale formazione, di particolare prevenzione.
Infatti, signor sottosegretario Pescante, come già abbiamo avuto modo di sostenere anche per quanto attiene al doping, tutti gli interventi repressivi attuati isolatamente, ossia senza un'adeguata prevenzione, non avrebbero efficacia.
Il prossimo anno, il 2004, potrebbe essere un anno speciale, un anno propizio. Infatti, l'Unione europea lo ha dedicato all'educazione attraverso lo sport. Questo è il nostro auspicio.
Ritornando all'illustrazione specifica del decreto-legge n. 220 del 2003, in esame, bisogna precisare che esso tratta in particolare - come già detto precedentemente - del complesso tema dei rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento dello Stato. Tale tema è affrontato sancendo esplicitamente che la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale quale articolazione di quello internazionale. L'autonomia dell'ordinamento sportivo trova il proprio limite, in via generale, nel caso in cui le situazioni giuridiche dei soggetti che operano nel mondo dello sport siano rilevanti per l'ordinamento giuridico della Repubblica.
L'ambito in cui opera tale autonomia è specificato dall'articolo 2 che, in primo luogo, riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto il corretto svolgimento delle attività sportive ed i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare. In caso di controversie concernenti tali materie gli interessati sono obbligati a rivolgersi al giudice sportivo ed esclusivamente a lui, come si evince più chiaramente dall'inciso dell'articolo 3, comma 1, che fa riferimento alle controversie aventi ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni, riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2.
Si viene, così, a creare un ambito di materie nelle quali è esclusa la possibilità di ricorrere ai tribunali ordinari ed amministrativi per garantire appieno l'autonomia dello sport e l'ordinato svolgimento delle competizioni, riducendo al minimo le influenze esterne.
Occorre segnalare che, nel corso dell'esame in Commissione, alcuni gruppi hanno manifestato il timore che con tali disposizioni si rischi di escludere la tutela


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dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi eventualmente connessi alle materie richiamate dall'articolo. Tali timori sono stati in parte ripresi dalla Commissione affari costituzionali che, nel proprio parere, ha invitato a verificare ulteriormente se le materie non siano riconducibili anche a situazioni di diritto soggettivo o interesse legittimo al fine di evitare la possibile lesione del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione. A tale proposito merita, innanzitutto, segnalare che nel corso dell'esame in sede referente sono state apportate alcune significative modifiche al testo adottato dal Governo. Infatti, i relatori, oltre ad accogliere, dopo un'opportuna riformulazione, un emendamento all'articolo 2 presentato dai colleghi dell'opposizione che meglio specifica i contenuti della lettera a), hanno, con un proprio emendamento, realizzato un intervento che ha soppresso le lettere c) e d) che riservavano alla giustizia sportiva materie estremamente delicate. La problematica evidenziata da alcuni gruppi e, sia pure in forma dubitativa, dalla Commissione affari costituzionali, è quindi ben presente sia ai relatori, sia a tutta la maggioranza. Tuttavia, si è ritenuto che la limitazione delle materie riservate alla giustizia sportiva sia tale da garantire il rispetto delle norme costituzionali poste a tutela dei diritti e degli interessi dei singoli.
L'articolo 3 chiarisce ulteriormente i rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale, con particolare riferimento alle questioni attinenti alle competenze del giudice sportivo, del giudice ordinario e del giudice amministrativo. In particolare, il comma 1 stabilisce, in primo luogo, che spettano al giudice sportivo le controversie concernenti gli atti del CONI o delle Federazioni sportive nelle materie sopra richiamate (ad esempio, corretto svolgimento delle competizioni e sanzioni disciplinari). In secondo luogo, spettano al giudice ordinario le controversie concernenti i rapporti patrimoniali tra società ed atleti. In terzo luogo, spettano al giudice amministrativo tutte le altre controversie relative agli atti del CONI o delle Federazioni. Infine, è previsto che sia sempre necessario, prima di ricorrere al giudice amministrativo, esaurire tutti i gradi della giustizia sportiva.
Inoltre, viene fatta salva la possibilità di introdurre clausole compromissorie negli statuti e nei regolamenti federali, oltre che, come già previsto dalla legge, nei contratti degli sportivi professionisti. Tale disposizione, di cui al secondo periodo del comma 1, è anch'essa oggetto di un'osservazione da parte della Commissione affari costituzionali, che vede in tale disposizione un rischio di un ampliamento ad altre materie della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In proposito, va peraltro notato che, se è vero che alcune delle clausole compromissorie contenute negli statuti federali hanno un'estensione praticamente onnicomprensiva, un'interpretazione in base alla quale la norma fosse intesa come volta a dare forza di legge al divieto di adire il giudice ordinario sarebbe in palese contrasto con tutto il sistema di ripartizione delle materie tra i diversi organi giudicanti, che costituisce l'oggetto proprio del decreto-legge in esame. In realtà, le clausole compromissorie non si limitano a vietare il ricorso al giudice, ma comminano sanzioni disciplinari od economiche a chi viene meno a tale vincolo. In sostanza, la norma deve essere intesa come volta esclusivamente a sancire la perdurante liceità di introdurre clausole compromissorie negli statuti e nei contratti. Nonostante l'intervenuta ripartizione di materie tra giustizia sportiva e giurisdizione ordinaria, ove si ritenga che l'attuale formulazione possa indurre in equivoco, è senz'altro possibile valutare un'eventuale modifica di questo passaggio.
Il comma 2 dell'articolo 3 attribuisce alla competenza esclusiva del TAR del Lazio il giudizio di primo grado per tutte le controversie. Si tratta di una norma di particolare rilievo, volta a costruire un centro specializzato, in grado di giudicare materie omogenee in un campo che, come dimostrato dalle recenti vicende, rischia altrimenti di non andare esente dall'influenza di interessi localistici o da disparità di trattamento. Il comma 3 dell'articolo 3 definisce le procedure del giudizio


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amministrativo, al fine di garantirne la celerità, che evidentemente è della massima importanza in questo campo. Il comma 4, invece, sancisce l'applicabilità delle nuove disposizioni anche ai procedimenti in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge.
Nella formulazione originaria del testo del decreto-legge, con il comma 5 dell'articolo 3, si autorizzava il CONI ad adottare, su proposta della Federazione competente, anche in deroga ai rispettivi statuti, i provvedimenti transitori al fine di assicurare l'avvio dei campionati 2003-2004. Con tale disposizione si è voluto far fronte alla situazione di vero e proprio caos determinatasi nello scorso mese di agosto, rendendo possibile la pronta adozione di quelle modifiche organizzative che sarebbero state impossibili ai sensi degli statuti e dei regolamenti sportivi vigenti. Trattandosi, tuttavia, di una disposizione che ha ormai pienamente dispiegato i propri effetti - dal momento che i campionati 2003-2004 sono regolarmente partiti - si è ritenuto opportuno, nel corso dell'esame in Commissione, eliminare tale disposizione dal testo del decreto-legge, esplicitando peraltro, nel disegno di legge di conversione, che sono fatti salvi gli effetti già prodottisi fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione.
Resta, infine, da segnalare che nel corso dell'esame in Commissione sono state anche inserite nuove disposizioni in materia di scommesse e di concorsi pronostici relativi al calcio. Infatti, con un emendamento presentato dal gruppo della Lega nord, approvato con l'accordo di tutti i gruppi presenti in Commissione, è stato introdotto, nell'articolo 2, il comma 2-bis, che esclude dalle scommesse e dal totocalcio le squadre che appartengono ad un medesimo proprietario. Non è, però, esattamente chiaro se l'esclusione debba riguardare le squadre che partecipano anche a campionati diversi o, invece, esclusivamente le squadre che militano nel medesimo torneo. Quest'ultima è comunque una soluzione che i relatori ritengono più adeguata, anche perché non sembra vi possano essere conflitti di interessi se ci sono degli incontri tra squadre che non sono dello stesso campionato (nel senso che le squadre di serie A non possono giocare con le squadre di serie B o di serie C, a meno che non si tratti di partite di coppe o tornei diversi da quelli dei tornei regolari).
Con l'avvento delle società per azioni si assiste sempre più spesso al fatto che il proprietario di una squadra ne acquisti un'altra; si tratta di un fenomeno le cui radici sono complesse, ma che è legato alla profonda e crescente trasformazione che il mondo del calcio professionistico ha subito, allontanandosi sempre di più dalle tradizioni proprie del resto del mondo dello sport.
Senza voler affrontare in questa sede la complessa questione che, peraltro - sottosegretario Pescante -, dovrà quanto prima divenire oggetto di specifiche iniziative normative, l'emendamento inserito dalle Commissioni mira più modestamente ad impedire che la situazione creatasi determini nuove e gravissime circostanze di contenzioso, come succederebbe qualora il risultato di una partita cui partecipano queste squadre in potenziale conflitto di interessi fosse contestato ed eventualmente invalidato.
In conclusione, ferme restando le linee di principio attraverso le quali è stato introdotto questo provvedimento, come è già avvenuto nelle Commissioni nel corso dell'esame in sede referente, allo stesso modo nel corso di questo dibattito saremo attenti a recepire le osservazioni che potranno eventualmente rendere costruttivamente per efficace l'impianto normativo.

PRESIDENTE. Il relatore per la II Commissione, onorevole Gironda Veraldi, ha facoltà di svolgere la relazione.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, la relazione testè svolta dal relatore Santulli è stata esaustiva e completa; infatti, tutti i profili tecnici del provvedimento sono stati passati in rassegna e si è dato atto della proficua collaborazione fornita durante l'esame in Commissione.


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Tuttavia, mi permetto di osservare - ed ho quale interlocutore autorevole il sottosegretario Pescante - che questo decreto-legge costituisce ben poco rispetto al fenomeno della giustizia sportiva. Dicevo in Commissione che l'unico merito che va riconosciuto ad un presidente massiccio e rumoroso di una società di calcio è stato quello di aver posto all'esame dell'opinione pubblica e delle istituzioni il problema della giustizia sportiva.
Parlo dell'ordinamento sportivo e della giustizia sportiva con un senso di nostalgia e credo che a ciò si associ anche il sottosegretario Pescante, essendo un vecchio sportivo (ovviamente, vecchio non anagraficamente). Infatti, prima questi problemi non si ponevano perché venivano regolati e disciplinati dal senso della sportività dei partecipanti.
Svolgo queste osservazioni perché, oggi, non basta disciplinare questi profili tecnici contingenti, cioè l'interferenza legittima e doverosa dell'ordinamento amministrativo nel mondo dello sport. Vi sono alcuni emendamenti - sui quali richiamo l'attenzione del sottosegretario - che non ci possono lasciare indifferenti e che siamo stati costretti a respingere in Commissione, ma che abbiamo recepito come ordini del giorno comuni, in quanto soltanto in questo modo il fenomeno inquietante della giustizia sportiva potrà risolversi.
Prima le clausole compromissorie costituivano il toccasana per tutte le situazioni; infatti, attraverso la clausola compromissoria si obbligavano coloro che facevano parte delle federazioni a non chiedere l'intervento dei terzi. Lasciamo da parte la giustizia amministrativa o la giustizia ordinaria, in realtà, noi dovevamo regolare i nostri rapporti tra sportivi, e la clausola compromissoria accettata costituiva la preclusione a qualsiasi interferenza esterna.
Dunque, cosa è avvenuto? Perché si è dovuto intervenire attraverso questo decreto-legge, che è opportuno, tempestivo ed inevitabile? Perché, purtroppo, vi sono state queste interferenze esterne per regolare rapporti che in precedenza erano regolati nell'ambito delle federazioni.
Allora, signor Presidente, colleghi carissimi, come possiamo restare indifferenti rispetto a ciò che è avvenuto sabato scorso ad Avellino? Si è tanto scritto e parlato di come reprimere la violenza, ma il problema è un altro. Mi ricordo un tuo intervento in Commissione, caro Francesco, su tale questione: tutti gli atti possono incidere sulla lesione dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, anche una squalifica. Giustamente, si osservava a questo punto che siamo tutti preoccupati del fatto che si emani un decreto che sia afflitto da vizi di incostituzionalità. Ma come possiamo non renderci conto che il corretto svolgimento delle attività sportive deve essere affidato esclusivamente alla giustizia sportiva? Non so di chi sia la responsabilità di ciò che è accaduto sabato scorso, se dei napoletani o degli avellinesi, che ovviamente scaricheranno l'uno sull'altro le proprie responsabilità. Sicuramente è la giustizia sportiva che si dovrà occupare del caso. Vogliamo sul serio delegare al TAR del Lazio questi problemi? Questa è la ragione per cui quegli articoli del decreto-legge vanno rispettati.
Un'altra segnalazione molto importante è stata fatta. Chi deve gestire la giustizia sportiva? Durante la discussione emergerà che vi sono degli emendamenti che si occupano di questioni quali i criteri per le nomine dei giudici o i casi di incompatibilità. Sono tutti profili concreti e importanti, che l'Assemblea dovrà naturalmente affrontare. Ovviamente rispetteremo il volere dell'Assemblea, ma mi pare che allo stato, dovendoci occupare di un profilo molto limitato, questo decreto-legge possa essere condiviso da tutti. Ripeto che sarò uno dei primi a presentare un ordine del giorno anche se non so se come relatore potrò farlo.

PRESIDENTE. Sì, può farlo.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore per la II Commissione. Mi assocerò a tutti sottoscrittori degli ordini del giorno


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perché questo problema venga affrontato e risolto in maniera definitiva.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARIO PESCANTE, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, onorevole colleghi, relatore, siamo di fronte ad un provvedimento straordinario per far fronte ad una emergenza attuale, ma anche per rispondere ad un'esigenza obiettiva, sollevata da un decennio dal mondo sportivo.
Da molti anni vengono auspicate norme per razionalizzare il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione dello Stato, onde individuare i rispettivi limiti e confini con chiarezza. Sino a qualche anno fa, l'ordinamento sportivo, inteso come insieme di regole tecniche, organizzative e disciplinari, applicabili ai tesserati, atleti e squadre, è stato tradizionalmente riconosciuto come ordinamento autonomo. Così, l'organizzazione sportiva si è data un insieme di norme, un proprio sistema di giustizia sportiva, per rispondere alla necessità di ottenere decisioni rapide e di contare, e per la verità così è, su organi muniti di competenza specifica.
Ho premesso che l'ordinamento sportivo era tradizionalmente riconosciuto come autonomo. Tuttavia, chi insegna diritto sa che si faceva riferimento ad argomentazioni dottrinarie piuttosto che giurisprudenziali - basti pensare alla tesi sostenuta dal Santi Romano o dal Giannini sulla pluralità degli ordinamenti -, anche se, in verità, un riferimento giurisdizionale è rappresentato dalla sentenza n. 4399 delle sezioni riunite della Cassazione di qualche anno fa - credo addirittura del 1989, se non ricordo male -, che aveva escluso la possibilità di adire il giudice statale in relazione a decisioni di carattere tecnico degli organi di giustizia sportiva, allorché non si configurasse in materia l'esistenza di diritti soggettivi o di interessi legittimi. Ma questa sentenza è rimasta un fatto isolato.
Con l'andare del tempo e con le modifiche strutturali avvenute nel settore professionistico del calcio - ma anche di altre discipline, quali il basket per esempio -, questa sottile delimitazione tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria è venuta via via ad assottigliarsi. Da una parte, come ha ricordato in questa sede anche uno dei relatori, vi sono state differenti interpretazioni sul piano giurisprudenziale sul fatto che alcuni comportamenti dei tesserati potessero configurare la tutela di diritti soggettivi o di interessi legittimi oppure, semplicemente, potessero essere confinati tra i fatti giuridicamente indifferenti nella prospettiva statuale. Dall'altra parte, la scelta - a mio modesto avviso - infelice e sventurata del calcio professionistico di trasformare le società in società per azioni con fini di lucro, consentendo loro anche la quotazione in borsa, ha evidentemente reso permeabile ogni delimitazione che - lo ripeto -, come faceva osservare il relatore, era già in origine.
Ci siamo anche posti il problema se un rigore accordato o negato potesse rappresentare la violazione di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo. Come ho detto, questa delimitazione era incerta già in origine e, dunque, è sorta la necessità di chiarire in termini normativi i confini tra i due ordinamenti e, allo stesso tempo, di dare una validità più cogente alla clausola compromissoria, ovviamente nel rispetto dei diritti costituzionali dei cittadini. Questo problema non è soltanto italiano, ma esiste in moltissimi altri paesi. Per la verità, c'è anche una commissione di studio dell'Unione europea per cercare di elaborare direttive in materia (ma trattano questo tema da quattordici anni).
Il Governo aveva già allo studio un provvedimento in tal senso, da inserire tra le proposte di modifica del decreto Melandri sullo sport - rispetto al quale il Ministero dei beni e delle attività culturali ha ottenuto una delega da esercitare entro il 31 gennaio del prossimo anno -, in quanto quest'ultimo non trattava specificatamente l'argomento della giustizia sportiva. Però, gli accadimenti di quest'estate ci hanno convinto circa l'opportunità di intervenire con immediatezza e con urgenza per mettere riparo ad una


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situazione di emergenza che è stata eccellentemente illustrata dai relatori. È inutile ricordare che varie sentenze dei TAR hanno creato una situazione contraddittoria. Abbiamo assistito a rivendicazioni di competenza per materia oppure per territorio tra i vari organi giurisdizionali: tra TAR e Consiglio di Stato, tra gli stessi TAR. Sentenze cautelari emesse da diversi tribunali regionali, una dopo l'altra, hanno sempre, e con grande sollecitudine, dato ragione alle squadre locali. Così è cominciato una sorta di pellegrinaggio verso instancabili e solleciti tribunali amministrativi, con qualche sconfinamento ingiustificato, come ha lasciato intendere, in un intervista al quotidiano l'Unità, lo stesso presidente del TAR di Roma.
Così abbiamo assistito a sentenze che promuovevano delle squadre o che retrocedevano altre squadre, a richieste per non iscrivere squadre di calcio ai campionati - sto parlando della Roma e del Napoli -, oppure a squadre ammesse d'ufficio. Questo non è avvenuto solo nel calcio, ma anche in altre discipline: cito per tutti il basket, con il caso della Virtus di Bologna. Insomma, ci trovavamo di fronte ad una sorta di campionato parallelo giocato dai TAR, chiamati in causa da qualsiasi società avesse vaghi motivi di reclamo e, se mi consentite, forse anche la necessità di farsi perdonare qualche campionato sbagliato. Di fronte a questa situazione si stava rivelando impossibile dare inizio al campionato di calcio, attesa questa incertezza e questa conflittualità che si era determinata ed è a questo punto che abbiamo deciso di intervenire.
Il decreto-legge già illustrato dai relatori - mi fermo su alcuni aspetti essenziali - inizia con una importante dichiarazione di principio: vale a dire, «la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale». Questa è la prima volta che dal punto di vista legislativo si ha una declaratoria che fa giustizia di quel concetto di autonomia che precedentemente era unicamente affidato alla dottrina, per la verità, e ad un unico testo degli anni sessanta.
In secondo luogo e in esecuzione di questa importante declaratoria, si prevede la riserva all'ordinamento sportivo della disciplina sostanziale di certe questioni rispetto alle quali l'ordinamento dello Stato non ravvisa interessi giuridicamente rilevanti. Devo fare anche osservare che la formulazione iniziale presentata dal Governo era più ampia. Successivamente, il dibattito che si è svolto in maniera positiva nelle due Commissioni congiunte, cultura e giustizia, ci ha fatto ragionare insieme ai relatori e, per la verità, questo ambito di questioni è stato ridotto onde evitare che questo comma, come è stato definito in Commissione, potesse essere considerato come una specie di paniere dove vi erano diritti soggettivi, interessi legittimi e così via. Pertanto, lo abbiamo ridotto all'essenziale e ci pare di poter dire che le questioni che abbiamo sotto gli occhi sono di rigoroso interesse tecnico-sportivo.
Tra le altre questioni è stata mantenuta ferma la giurisdizione ordinaria, in particolare quella sui rapporti patrimoniali tra associazioni, società ed atleti. La competenza cautelare - questo mi pare un punto importante -, come attualmente è previsto, non è più accentrata per il solo giudizio di merito sul TAR di Roma al fine di evitare quelle che altri, impropriamente, con un termine che non accetto e che è da respingere, hanno definito giurisdizione locale, diciamo così domestica.
Infine, in considerazione della particolare situazione che si è venuta a determinare in relazione ai diversi casi di contenzioso aperto, il provvedimento ha consentito al CONI, su proposta di due federazioni - quelle del calcio e del basket -, di adottare provvedimenti di carattere straordinario e transitorio anche in deroga alle disposizioni previste dagli statuti vigenti al fine di assicurare il regolare inizio del campionato in corso.
In conclusione, non vi è alcuna invasione di campo da parte della politica e non vedo perché, nel momento in cui il Parlamento è chiamato a pronunciarsi, si debba parlare di invasione della politica nei confronti di taluni aspetti, che non riguardano un mondo dilettantistico di


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società di fatto, ma un mondo professionistico con fine di lucro dove sono tesserate Spa con fine di lucro, con profit: quindi, nessuna invasione.
Abbiamo cercato di dare adeguate risposte ad un'esigenza sentita dal mondo dello sport nei confronti di questa emergenza che sta mettendo in crisi un settore che - non dimentichiamolo - attraverso il totocalcio e le scommesse finanzia l'intero sport italiano. Questo è stato il motivo che ha sollecitato questo intervento.
Naturalmente, come è già avvenuto nei confronti di parecchi provvedimenti nel mondo dello sport - cito su tutti quello sulle società sportive dilettantistiche - che ho avuto l'onore ed il privilegio di presentare in quest'aula, invito i colleghi parlamentari ad esaminare il provvedimento al di fuori di logiche di schieramento. Questo è già avvenuto.
Non ho difficoltà nel riconoscere che questo decreto è stato l'unico rimedio possibile per fare fronte ai tanti errori, o forse a qualche abuso, che si sono verificati, ma resta - come ho detto nelle Commissioni cultura e giustizia - il problema di una riforma strutturale della giustizia sportiva e non solo.
CONI e federazioni devono mettersi una mano sulla coscienza e garantire che, di fronte a un riconoscimento così importante dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, i giudizi sportivi rispettino le regole del giusto processo: il contraddittorio tra le parti, il diritto di difesa e, soprattutto, la terzietà e l'imparzialità dei giudici. Questo aspetto lo ritroviamo in moltissimi degli emendamenti, che sono stati presentati in modo trasversale, ed è oggetto di tanta e profonda attenzione. Il Governo concorda nei contenuti e nel metodo, ma c'è solo un problema di maggiore approfondimento e di tempi per poter sottolineare anche questo aspetto dal punto di vista giuridico. Ho già citato in sede di Commissioni riunite che un tempo limite esiste e potrebbe essere quello della scadenza del decreto Melandri, allorché si possa ritenere che la modifica del decreto Melandri possa, in un certo senso, riguardare anche questi settori della giustizia sportiva, ma non so quanto questo rientri nella delega che è stata data al nostro ministero. Lo stiamo studiando e le prime risposte degli uffici e del ministero sono favorevoli.
Vi è un altro aspetto delicato, quello dei controlli, poiché il passaggio dal «mecenatismo» al «fine di lucro» non è stato accompagnato da interventi normativi adeguati, da regole e soprattutto da verifiche più rigorose. Anche in questo ambito è necessario fare chiarezza. C'è bisogno di un codice etico molto chiaro e rigoroso, di un codice sulle multiproprietà (anche se il discorso non è stato risolto, ma ha trovato spunto in un emendamento che abbiamo votato all'unanimità, se non ricordo male, in sede di Commissioni riunite), di un codice sui libri contabili e sulle fideiussioni.
Occorre risolvere a monte anche un altro problema strutturale, ancor prima dei problemi della giustizia sportiva. Questo aspetto è stato anticipato dal relatore Santulli, ossia se un calcio professionistico con fine di lucro sia compatibile con la sua base, sia compatibile con oltre 13 mila società sportive dilettantistiche e del mondo del calcio e oltre 150 mila dirigenti volontari; se sia compatibile con le esigenze di solidarietà - ora si dice mutualità - nel mondo del calcio ma anche nei confronti dello sport italiano, del CONI, che dal calcio viene finanziato. Insomma, abbiamo bisogno, è vero, di una giustizia sportiva autonoma, credibile e trasparente e di organi di controllo da rifondare, ma anche di chiarezza dal punto di vista strutturale.
Il decreto-legge che ci accingiamo a convertire è soltanto un primo passo in questa direzione. Ci auguriamo fermamente e sinceramente che lo sport italiano, nella sua autonomia, sappia dare risposte adeguate alle esigenze che ho prospettato.
Laddove necessitasse di un supporto normativo, potremmo completare questo provvedimento, così come qualche emendamento lascia intendere, in successivi interventi legislativi per i quali sarà chiesto l'intervento e la collaborazione di tutte


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le forze politiche, come sino ad ora ho verificato, ed auspico, per la conversione di questo decreto-legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milana. Ne ha facoltà.

RICCARDO MILANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avverto un certo imbarazzo nel prendere la parola su questo provvedimento alla luce di quello che è accaduto nei giorni scorsi e della tragedia che si sta consumando ad Avellino. Vi è imbarazzo perché è difficile discutere di questi argomenti estrapolandoli dalla realtà che viviamo, ma è impossibile non discutere di quello che avviene nel mondo del calcio senza ricordare le cose che abbiamo fatto, le cose che ci siamo detti e le cose che avete detto!
Oggi noto, lo abbiamo detto in Commissione nei giorni scorsi e lo ripetiamo adesso, che questo decreto-legge, che l'atteggiamento del Governo e dei relatori intende limitare ad un intervento tecnico per l'avvio dei campionati, è l'ennesima occasione persa per discutere di sport, di calcio in particolare, e di ciò che non funziona in questo importante settore della vita sportiva e sociale, ma vorrei aggiungere, anche di una certa cultura del nostro paese.
È un'occasione sciupata: continuate nelle vostre posizioni, continuate a dire che abbiamo ragione, lo illustrerò successivamente, ma in ogni caso dite che le cose le faremo qualora, è questa la novità di questi minuti, rientrino nei termini della delega che ha ricevuto il Governo. Se ciò non accade, cari relatori, non se ne farà niente! Sorge allora il dubbio che in realtà anche questa volta non si intenda intervenire e che si voglia continuare a considerare il calcio un qualcosa visto da molti, ma che appartiene a pochi.
Non posso, in premessa, non formulare un messaggio di solidarietà nei confronti della famiglia del ragazzo napoletano e sperare; non posso non solidarizzare con quei ragazzi - alcuni non erano neanche ragazzi e lo abbiamo visto dalle immagini televisive - inseguiti da una folla inferocita, presi a sprangate e a calci di fronte all'intera opinione pubblica nazionale ed internazionale.
Non posso neanche non stigmatizzare che un intervento del Governo viene svolto continuamente sulla base dell'emergenza, per «strappi» e su richiesta dei padroni del calcio.
Siamo di fronte all'ennesimo intervento salva-calcio; ne abbiamo svolto uno alla fine dell'anno che riguardava i bilanci e le modalità attraverso le quali «spalmare» le perdite dei bilanci in dieci anni; oggi scopriamo che questo provvedimento è sotto il monitoraggio della Commissione europea. Vorrei ricordare, per inciso, che noi lo avevamo detto, in particolare il sottoscritto insieme ad altri colleghi dell'opposizione.
Poi, in qualche modo oscuro si interviene - di sfuggita, nel mese di luglio - sull'IVA relativa ai diritti sportivi esteri per le società che partecipano alle competizioni internazionali - la Champions League in particolare - e adesso si interviene con il provvedimento sulla giustizia sportiva perché altrimenti il campionato non poteva iniziare.
Vorrei ricordare che, insieme al collega Lolli - che oggi è assente per cause fisiche e al quale rivolgo i miei auguri di pronta guarigione -, ho chiesto più volte che il Parlamento avviasse un'indagine sul calcio e più volte ci è stata data assicurazione che si sarebbe fatta: siamo ancora in attesa di capire quando iniziamo (l'ultima volta ci si è detto in Commissione). Ma è evidente che se si continua a rimandare un ragionamento approfondito su questa materia, non arriveremo mai alla soluzione del problema!
La verità è che l'azione di questo Governo e di questa maggioranza in questa materia - per altre materie parlano altri colleghi più autorevoli di me - è inadeguata. Mi limito a dire che, in campo sportivo, in particolare nel calcio, questo Governo e questa maggioranza pongono in essere un'azione inadeguata forse perché non hanno un'idea chiara - o forse ne hanno una fin troppo chiara - circa la proprietà, il perché del calcio, di chi sia il


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mondo del calcio. Io ritengo che appartenga a tutti i praticanti, a tutti coloro che lo seguono, a tutti quelli che scrivono di questo argomento, che si appassionano, si emozionano, vanno finanche in depressione per le vicende sportive. Voi forse ritenete che questo pianeta sia di pochi proprietari.
Mi permetto di dire a Pescante, uomo di sport, che questa concezione ha già in qualche modo ridimensionato fortemente il movimento sportivo nel basket (visto che lo ha citato lui). L'idea che esso appartenesse ai proprietari ha in qualche modo fatto appassire una pianta sportiva che era molto importante e feconda nel nostro paese. Voi continuate, anche nel calcio, con questa idea.
Da qui nasce questo provvedimento, con tutte le storture giuridiche che colleghi più autorevoli di me hanno già sottolineato e sottolineeranno nel corso del suo iter di approvazione; provvedimento che, non affrontando il tema vero, quello della revisione della giustizia sportiva - che si farà, sempre che sia nei limiti della delega, come abbiamo sentito qualche minuto fa -, costringe tutti quelli che vivono in questo mondo e che lo seguono a subire qualcosa di poco chiaro. È sui giornali di questi giorni: la partita ad Avellino non si è giocata perché il presidente della Lega calcio ha detto che non si doveva giocare. È evidente che non si doveva giocare, ma la sensazione che a decidere questo, a decidere il risultato di questa partita - si gioca, non si gioca e via dicendo - siano i padroni, i proprietari del calcio ingenererà nuovi fenomeni di frustrazione! Credo che, approvando un provvedimento monco come questo, il Parlamento si renda responsabile di tutto ciò. Infatti, l'occasione c'è! È possibile che neanche per l'ultimo grado di giudizio si voglia introdurre una norma, che in questo caso è semplice? Per l'ultimo grado, al CONI, si vada con un giudice terzo! Ne sentiamo tutti la responsabilità, ne sentiamo tutti l'urgenza, tutti diciamo di essere pronti a farlo da domani: oggi c'è l'occasione e non lo facciamo! La verità è che, a mio avviso, abbiamo una diversa concezione dello sport e dell'appartenenza, della proprietà, del diritto sportivo.
Abbiamo detto molte cose. Il sottosegretario Pescante, alla fine del suo intervento, ha ricordato che bisognerà intervenire anche sugli organi di controllo dei bilanci perché in questi anni le cose non hanno funzionato.
Perché non lo facciamo? Non è difficile, con questo decreto-legge, stabilire che, con riferimento a tale vicenda, si nominano tre, quattro, quindici (quanti volete voi) responsabili terzi. È possibile che coloro che controllano i bilanci debbano essere scelti sempre dal palazzo del calcio? È evidente che, all'interno di ciò, nascono sospetti enormi, signor sottosegretario, a tutti i livelli, ed esplodono gli scandali (vedi l'estate che è appena trascorsa ed il risultato che porta a questo decreto-legge, urgente ed indispensabile, ma monco).
Perché, dunque, non lo volete fare? Perché, invece di rispondere alla domanda diffusa di giustizia, di equità che c'è nel mondo sportivo, rimanete legati agli interessi dei proprietari? Penso che si perda un'altra occasione e che ciò non rappresenti un bene per il calcio, per lo sport e per il nostro paese nel complesso. Credo, inoltre, che abbiate fatto bene ad introdurre, in questo decreto-legge, il principio che lo sport sia autonomo. Avete fatto bene a ribadirlo, soprattutto a qualcuno che, nella vostra compagine, di queste cose non si ricorda.
Credo di non rivelare fatti segreti - sono stati riportati dai giornali in tutto questo periodo - con riferimento al fatto che l'autonomia dello sport, in questi mesi, sia stata calpestata, come mai era accaduto. Il Vicepresidente del Consiglio chiede ripetutamente le dimissioni del presidente della Federazione italiana gioco calcio. Il presidente del CONI, durante la festa di un partito di maggioranza, avrebbe risposto (sono in attesa di smentite) che il presidente della Federcalcio sarebbe indifendibile, ma che sta lì perché lo vuole il Presidente del Consiglio. Avete fatto bene ad introdurre un capitolo sul


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l'autonomia dello sport; fareste bene anche a rispettarlo. Fareste bene a chiarire meglio la portata di alcuni interventi.
Quando si interpreta, signor relatore, la proposta emendativa della Lega sulla proprietà come l'impossibilità per qualcuno di possedere due società della stessa categoria, si compie uno sforzo inutile, signor sottosegretario; lo sappiamo, questo già è presente. Credo vada fatto qualcosa di più. Credo che tutte queste azioni di partiti di maggioranza e di opposizione tendenti ad introdurre maggiore trasparenza vadano prese nella giusta considerazione e che vada perseguito questo scopo, non rimandando tutto a futura memoria.
Concludo, lasciando ad altri il compito di intervenire sugli aspetti giuridici di questa vicenda, sui profili di costituzionalità, su quello che significa questo decreto-legge per l'ordinamento giuridico rispetto al giudice naturale. Molti e più autorevoli di me l'hanno già fatto e lo faranno in questi giorni. Mi permetto di aggiungere, signor sottosegretario e colleghi relatori, che se non si interviene con forza, con decisione, se si continua a dichiarare sui giornali che vanno responsabilizzate le società di calcio, mentre si producono atti che invece non le responsabilizzano e si respingono le proposte emendative che in questo Parlamento, da più parti, sono state presentate, tendenti a responsabilizzare le società di calcio, se non si recupera serietà nell'intervento su questa materia, questo sistema non avrà salvezza. Assisteremo a fatti orribili e alla disgregazione del sistema; perderemo ancora di più l'amore per questo sport che è tanto importante nel nostro paese, che è tanto importante per la vita sociale, che è molto importante per la vita economica.
Credo che uomini di sport, uomini di Governo e tutte le persone interessate abbiano il dovere di compiere uno sforzo maggiore di quello che state facendo voi in questi mesi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, egregi colleghi, per la verità, attese le vicende di queste ultime settimane, le quali hanno reso sostanzialmente inutile la quasi totalità del decreto-legge che il Parlamento si accinge a convertire in legge, questa occasione di discussione parlamentare dovrebbe vedersi ridotta al minimo. Ciò nondimeno, i fatti evocati da tutti i presenti, dal rappresentante del Governo, ai relatori, al collega Milana, i fatti gravissimi accaduti ad Avellino e la consapevolezza del fatto che, ancorché molto limitato nel suo contenuto normativo, il decreto-legge ci consente, oggi, una discussione politica sul fenomeno sportivo, sull'assetto dello sport nel nostro paese, devono renderci coscienti di operare in un momento parlamentare comunque importante.
Ho apprezzato moltissimo, non ho difficoltà a riconoscerlo, la prima parte della relazione qui esposta dai colleghi relatori e, in particolare, la parte che, opportunamente, ha inteso inquadrare in una serie di considerazioni culturali e politiche il provvedimento preso nel suo contenuto normativo. E deve pure essere significativa la circostanza che il consenso senza riserve da me espresso in relazione a tale prima parte si trasformi, poi, in dissenso totale in relazione alla seconda parte, a quella parte della relazione, cioè, nella quale sono stati illustrati i contenuti specifici della disciplina che ci accingiamo, da domani, a votare.
La considerazione dalla quale ritengo si debba partire, cercando poi, coerentemente, di arrivare alle conclusioni normative, è che, nel nostro paese (ma credo che analoga considerazione si possa fare anche in altri paesi), lo sport sta vivendo una crisi profonda, l'intero assetto sportivo sta vivendo una crisi profonda. Ciò accade perché, mentre, da sempre, hanno alimentato il fenomeno dello sport valori etici e sociali, oggi, su questa realtà, spirano ormai interessi, valutazioni, realtà, concretezze tutte differenti rispetto a quei valori che noi siamo naturalmente portati a connettere allo sport in quanto tale.


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Signor sottosegretario, dobbiamo riconoscere che lo sport vive a due dimensioni e, probabilmente, a tre: il professionismo costituisce una sua realtà; il dilettantismo ne costituisce un'altra; vi è, poi, una terza realtà ancora, che è certamente quella più diffusa, caratterizzata dai numeri che i relatori hanno fornito a questa Assemblea.
Allora, non dobbiamo stupirci - mi rivolgo a lei, signor sottosegretario - se autorità di Governo riconoscono ciò che lei ritiene essere fattore molto negativo in questo momento rispetto alla organizzazione della realtà sportiva: l'introduzione di un concetto di profitto, di interesse economico in una realtà come quella del calcio professionistico. Mi rivolgo a lei fuor di polemica, perché lei ha già fatto polemica con il mio collega; quindi io mi limito a ricordare che, quando qualche anno fa il Governo di centrosinistra riconobbe veste giuridica di società per azioni alle società di calcio, il presidente del CONI fu d'accordo su questo intervento, che io continuo a ritenere giusto ed opportuno proprio perché parto dalle premesse alle quali prima facevo riferimento. Riconoscere che una società come la Juventus possa assumere la veste di società per azioni altro non significa che dare una veste giuridica che già era nei fatti, soltanto che, pur essendo nei fatti, quei fatti non avevano la disciplina giuridica necessaria. Ma in una realtà dello sport che è ormai globale, al pari di qualsiasi altra importante attività di una società evoluta come quella italiana, si poteva negare una realtà siffatta? Associazioni non riconosciute, come prima erano le società di calcio, che erogavano stipendi miliardari, che contraevano intese miliardarie, che erano in concorrenza con società interne e società esterne che avevano ben altra veste giuridica, potevano mai sottrarsi alla necessità di regole? Infatti, quei riconoscimenti giuridici altro non erano che l'introduzione di regole giuridiche di cui lo sport professionistico, ormai così lontano a quelle istanze ideali di cui abbiamo parlato, aveva assoluta necessità.
Il problema quindi è un altro; il problema è quello di avere le idee chiare ormai sull'articolazione di questo fenomeno, di avere le idee chiare su quello che noi possiamo fare come classe politica e come classe di Governo per preservare quella parte del fenomeno sportivo che non può alimentarsi di miliardi per vivere e di cui pure la società italiana, come la società internazionale, ha assoluto bisogno per stare meglio, perché i cittadini possano vivere meglio, perché la vivibilità possa connotarsi positivamente in modo sempre più marcato. Credo che noi dobbiamo fare questo. È la parte bella, gradevole, importante culturalmente da me totalmente condivisa, che è stata esplicitata dai colleghi.
E allora sia questa l'occasione, signor sottosegretario - e so di esprimere un pensiero che ella condivide ampiamente -, perché il Parlamento, le forze politiche e il Governo assumano insieme un forte e preciso impegno. Lei, in Commissione, ha parlato di una conferenza dello sport; non so se debba essere una conferenza dello sport, ma l'impegno deve essere comunque verso un momento di concertazione importante della politica, dell'associazionismo, della dirigenza sportiva per la formulazione di una proposta alta, che divenga la legge quadro dello sport del nostro paese, che tenga conto di quelle differenze, di quelle articolazioni, di quelle esigenze, di quelle necessità, sulle quali devo dire tutti quanti concordiamo.
Noi - e vengo più allo specifico - nelle Commissioni, e nuovamente anche oggi, abbiamo espresso una posizione fortemente negativa e critica nei confronti del decreto-legge adottato dal Governo e presentato al Parlamento. Io e gli altri colleghi del mio gruppo parlamentare infatti ci riconosciamo pressoché totalmente nelle considerazioni politiche espresse poc'anzi dal collega Milana; difatti, siamo convinti che il decreto-legge in esame sia un provvedimento sbagliato perché ha costituito un'invasione di campo nei confronti dell'autonomia dello sport professionistico del nostro paese.
Signor sottosegretario, voglio comunque darle atto della sua grande disponibilità mostrata durante il lavoro svolto nelle Commissioni; disponibilità che consente


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al nostro confronto di continuare a svolgersi anche oggi su un piano di assoluta correttezza e comprensione reciproca. Ella ha replicato a questa nostra critica, a questa nostra censura, ricordandoci che quella deroga - che costituisce il cuore del decreto-legge in esame - ai regolamenti e agli statuti, rimessa agli organismi dirigenti dello sport, che ha consentito la formazione di un torneo di serie B a 24 squadre con il ripescaggio di una serie di importanti società calcistiche professionistiche, ha in concreto premiato soprattutto città e società insistenti in municipalità politicamente di sinistra. Io replico a questa sua replica osservando che, quando noi accusiamo il Governo di invasione di campo nell'ambito dell'autonomia sportiva, non intendiamo dire che il Governo ha inteso avvantaggiare squadre di calcio di città amministrate da una giunta di sinistra anche perché si sarebbe trattato non soltanto di un'invasione di campo politica ma anche di un atteggiamento semplicemente e stupidamente fazioso; noi al contrario abbiamo inteso dire che, attraverso il decreto-legge alla nostra attenzione, il Governo ha esteso a tal punto l'autonomia delle dirigenze nazionali dello sport calcistico da consentire l'introduzione di deroghe e l'applicazione di norme in deroga rifiutate e rigettate dalla totalità dei soggetti che subiscono quelle regole. Cerco di essere più chiaro. Perché il Governo merita la nostra censura e la nostra critica? Perché ha consentito al CONI di formare un torneo di serie B a 24 squadre là dove, al di fuori delle quattro squadre beneficiate, la totalità delle altre società (le altre 20 squadre) negavano e rigettavano l'applicazione di quella deroga. La rifiutavano perché si trattava di una regola che veniva formulata e applicata a posteriori; e si lamentavano che, nonostante avessero conquistato sul campo, nel rispetto delle regole statutarie, quel posto in quel torneo calcistico, altre società, sulla base di una norma piovuta dal cielo, potessero avvantaggiarsi al pari loro.
Questa è una scelta politica, questa è una potestà politica che viene data, ed essa viene concessa, attraverso un decreto-legge, da chi governa questo paese: è qui il senso della nostra principale censura.
Ebbene, al di là di questo aspetto - che comunque costituisce la critica principale, vale a dire l'argomento principe che ci induce a mantenere il nostro fermo atteggiamento di contrarietà al presente decreto-legge, e che ci indurrà a votare contro -, non possiamo non sottolineare che, nell'ambito del provvedimento, permangono una serie di norme che riteniamo per un verso sbagliate, per un altro inopportune e per un altro verso ancora illegittime, giacché contrastanti con il nostro ordinamento costituzionale.
Ci riferiamo, in rapida sintesi, alla norma che individua nel TAR del Lazio, con sede in Roma, il giudice territorialmente competente per tutte le controversie insorte nel nostro paese per la lesione sia degli interessi legittimi, sia degli interessi soggettivi, attesa la giurisdizione esclusiva. Ciò perché pensiamo che una norma siffatta, proprio perché concepita in tal modo, introduca nel nostro sistema una disciplina eccezionale, che non può avere fondamento costituzionale; in seguito, in sede di illustrazione delle relative proposte emendative, cercheremo anche di approfondire le argomentazioni giuridiche.
Ci sembra altresì inaccettabile, e comunque non esaustivo, il modo con il quale il decreto-legge cerca di disciplinare l'autonomia della giurisdizione statuale nei confronti del sistema della giustizia sportiva.
Sul piano teorico, credo non vi possano essere difficoltà nell'individuare i confini e le delimitazioni dei due ordinamenti; in concreto, tuttavia, insorgono difficoltà certamente cospicue ed importanti, e non ci sembra che la disciplina legislativa abbia ottenuto il risultato di delimitare con chiarezza questi due ambiti. Poiché, come è noto, nel nostro sistema è previsto che non si possa limitare in alcun modo la tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi in relazione alla tutela giurisdizionale della magistratura, credo pertanto che larghe parti del decreto-legge al nostro esame meritino il dubbio dell'eccezione di incostituzionalità.


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Il terzo momento critico della disciplina al nostro esame riguarda la clausola compromissoria, che in questo provvedimento trova una legittimazione normativa in una estensione che svuota, di fatto, la giurisdizione ordinaria nel campo dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi violati nell'ambito dell'ordinamento sportivo.
Ultimo, ma non ultimo, vorrei segnalare il quarto comma dell'articolo 3 del decreto-legge al nostro esame, laddove si prevede, per legge, la sospensione di un provvedimento giudiziario. Ho già ricordato, nel corso della discussione in sede referente nelle Commissioni di merito, che vicende analoghe si sono verificate in passato in questo Parlamento, poiché anni fa accadde che, attraverso un decreto-legge, si «cassarono» le sentenze della Cassazione e si compensarono financo le spese dei giudizi già conclusi.
Cionondimeno, il fatto che vi sia questo grave precedente non legittima la replica di una disciplina analoga. Il nostro sistema si fonda sulla democrazia parlamentare e sulla divisione dei poteri e attraverso un atto avente forza di legge non si può modificare e incidere su un provvedimento giurisdizionale del giudice ordinario.
Ciò detto e con riserva ovviamente di approfondire, ampliare e meglio chiarire il nostro ragionamento connesso alle critiche ed alle censure che nel merito abbiamo espresso, concludo questo mio intervento preannunciando che l'intero centrosinistra proporrà un ordine del giorno con il quale chiederemo al Governo di impegnarsi in tempi ragionevolmente brevi per l'organizzazione di un momento di concertazione e di consultazione politica molto ampio, che consenta, sempre in tempi ragionevolmente brevi, al Governo di presentare al Parlamento una legge quadro che contenga i principi per una disciplina organica e di sistema dell'intera realtà sportiva del nostro paese - lo ripeto - sempre assunta nella sua ricchezza e nella sua grande articolazione, giacché siamo fermamente convinti - come è stato detto meglio di quanto non stia facendo io - che lo sport è realtà troppo importante per questo paese e per gli aspetti sociali più rilevanti della società italiana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Filippo Mancuso. Ne ha facoltà.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli deputati, questo è un testo per il quale dovrebbe essere molto utile la duttilità politica e tecnica del Governo onde apportarvi modifiche non di sola forma, che tuttavia parrebbero anch'esse necessarie, ma di sostanza e persino di principio, malgrado si tratti di una normazione settoriale.
Ha detto bene il collega Bonito nell'evocare il precedente, analogo sebbene non identico, di una legge che interveniva sui giudicati incidendo persino sull'atto discrezionale per eccellenza che è il regolamento delle spese del processo. Si trattò di una legge di alcuni anni fa che intervenne in materia di trattamento pensionistico dei dipendenti statali.
Tuttavia, mai come nel caso di urgenza, possono sfuggire agevolmente gli insegnamenti dei precedenti e questo testo, purtroppo, ne è un esempio allarmante nel senso peggiore, perché denota una tale superficialità di terminologie, di assetti normativi e di proclamazioni che lasciano dubitare anche persino di quella stessa speranza che io ho premessa, cioè della discussione in Assemblea in sede di valutazione degli emendamenti.
È la buona volta che il Governo e tutti noi ci si convinca che l'urgenza non è l'acquaio delle incompetenze e delle sopravvenienze improvvise, perché anche queste vanno regolate secondo termini compatibili di logica, di sistematica e di costituzionalità giuridica.
L'urgenza non giustifica tutto perché, come le esperienze vanno insegnando, l'urgenza mal governata e mal regolamentata dà causa ad altre urgenze, sempre diverse e sempre uguali. È così nel caso dell'urgenza perorata, giustamente in quel senso,


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per la disciplina negli stadi, la normativa sportiva la quale - non faccio demagogia né mi avventuro in terreni che non sono in grado di affrontare - non ha impedito nulla, ad esempio, i recenti episodi di Avellino. Non è soltanto un determinismo sommario quello che indico attraverso la censura all'improvvisazione delle leggi, ma anche un modo di contestare questa facile parola per cui tutto è risolvibile con le buone intenzioni che, poi, vengono espresse, come - ripeto - in questo caso, in modo inadeguato.
Vado al testo, anzi, prima ancora, alla stessa relazione che lo accompagna. Non comprendo come si possa dire, in un passo di tale presentazione, che in effetti l'ordinamento statale deve manifestare completa indifferenza verso la normativa tecnica, laddove vi è una disposizione fondamentale del nostro ordinamento che pone limite all'autonomia privata ed anche all'autonomia pubblica nelle norme di ordine pubblico. Come è possibile presentarsi dignitosamente dicendo che un ordinamento settoriale è così autonomo che può fare da sé anche in ordine ai problemi, ai principi, alle violazioni di questo livello? So per certo, meglio ancora, intuisco, che si tratta di enfasi partigiana e, al tempo stesso, involuta, della quale si sarebbe potuto fare a meno.
Però, non siamo solo a questo nell'infelice presentazione del testo, vi è anche del rimanente. Non voglio abusare delle urgenze che saranno precipitate al Ministero quando si vive ciò che nell'estate scorsa si andava configurando nel campo della disciplina sportiva del calcio; lo capisco. Però, vi sono uffici tecnici, uffici legislativi, nei quali si matura per primo il senso di rispetto per le assemblee che dovranno tramutare in termini formali le proposte che vengono, in materia di decreto-legge, presentate direttamente e direttamente rese esecutive.
È questione di concezione dei doveri, non solo, se ho usato la parola rispetto ne amplio il significato, di rispetto istituzionale. In questo caso il rispetto istituzionale manca - come ho detto - già dall'esordio in cui si confonde un'esigenza settoriale, per quanto essenziale, con un fondamento di deroga persino alle norme essenziali dell'ordine pubblico. Infatti, a leggere quella frase si desume ciò, a meno che non vi sia, anche in questo caso, colui che si alza e dice: mi avete frainteso.
È mio dovere, direi dovere disinteressato, riconoscere la dignità delle relazioni sia dei relatori, sia dello stesso Governo.
Tuttavia, ciò non impedisce, ripeto, di ammonire, di rilevare - forse ammonire è troppo -, di far presente, perlomeno, quanti errori e quante improprietà sono state commesse, assieme a quelle rilevate dai colleghi che mi hanno preceduto.
Spero che lei, signor sottosegretario, scriva le cose che ascolta e non quelle che pensa, perché questo è un altro momento nel quale la sollecitudine istituzionale vuole appunto un rapporto anche visibile. Vi dovete rendere conto che quando un parlamentare esplica le sue attribuzioni egli sente il bisogno non di contrattaccare, ma di sentirsi ascoltato, anche se poi, per esempio, lei sta compilando la schedina...

PRESIDENTE. Non gioca al totocalcio il sottosegretario!

FILIPPO MANCUSO. Ma, signor sottosegretario, mostri un'attenzione che sia pari a quella che noi, criticando od approvando, mostriamo per il Governo.
Chiedo da quale testo, da quale studio, da quale idea avete tratto l'arbitrio di dire, in una legge ordinaria, che la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo, perché se è una proclamazione originale essa è materia di Costituzione, come lei, sottosegretario, ben sa dall'articolo 2 in avanti; se, viceversa, si tratta di una ricognizione di un principio contenuto in una disposizione costituzionale, le chiedo quale potrebbe essere. Allora, in questo caso, vi è anche un errore nella costruzione della frase: non la Repubblica riconosce, ma atteso che la Repubblica riconosce e così via.
Le leggi si fanno, come si fanno i contratti, in cui la vigilanza dell'interesse individuale viene tramutata nel più alto interesse della collettività e del sistema.


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Non perché io tratto di faccende che non incidono nel mio patrimonio sono autorizzato a fare della sommarietà terminologica. Questa è una cosa grave: lei l'ha vantata e per questo motivo è ancora più grave. La legge ordinaria non si identifica né istituzionalmente, né storicamente, né funzionalmente con la Repubblica. La legge ordinaria disciplina, con i valori che le sono propri, le materie sulle quali incide. Quindi, già si comincia con un difetto, che sembra assegnare a questo provvedimento qualcosa di tolemaico, di fondamentale. È una legge del tutto ordinaria; il dato che sia fatta male la rende straordinaria.
Dov'è che è fatta male questa legge, signor sottosegretario? Ripeto, confido ancora nell'intelligenza e nella sensibilità di porre orecchio a ciò che verrà detto in sede di discussione del provvedimento. Il collega Bonito ha detto - ed io non lo ripeto, perché non voglio far perdere tempo con le ripetizioni - che nessuno può essere privato dell'ordinarietà delle tutele giurisdizionali; aggiungo, neppure di quelle amministrative. Però, in questo provvedimento, si parte da un punto di vista, signor sottosegretario, che è in nuce erroneo. Si altera, cioè (e poi vedremo in quale malo modo), la ripartizione dei poteri giurisdizionali, senza aver definito questo concetto: le distribuzioni attribuzionali di giurisdizione o di competenza - in questo caso usate il termine giurisdizione - non configurano le condizioni dell'azione per le quali esse sono date.
Vale a dire: è inutile prevedere la possibilità di ricorrere al giudice ordinario o al giudice amministrativo se non si specifica qual è la natura dell'atto che può impugnarsi presso una di queste due autorità. Non è la definizione sulla competenza che stabilisce la natura giuridica dell'atto; quella è un effetto e non la premessa che, invece, sta nell'identificare cosa si ha in mano in sede di tutela.
Signor sottosegretario, a questo riguardo lei ha reso un'affermazione impressionante, chiamando con parole di deprecazione la trasformazione delle società sportive in società per azioni. Non è stato assolutamente un trapasso deprecabile, probabilmente non si sarebbe dovuta scegliere la formula della società per azioni, che limita le responsabilità al capitale sociale mentre, se si fossero scelte altre forme di società, si sarebbero coinvolti in questo gioco - che è sempre gestionale e privato - anche i responsabili partecipanti o conferenti in società in accomandita. Ciò per dirle che anche questa alzata di scudi contro la trasformazione in società per azioni degli enti di fatto non è provvida.
Dopo questa introduzione, ricordo un magnifico studio del professor Andrioli - che vorrei mi ascoltasse dall'aldilà, essendo una delle anime migliori che la vita mi ha concesso di incrociare - in cui si spiegava l'utilità di questa trasformazione.
Al collega Bonito ricordo che il problema giuridico-formale implicato da queste normative presuppone effettivamente i vari piani attraverso i quali l'attività sportiva si esprime, si articola e si realizza. Tra questi, ve ne è uno più importante dal punto di vista del principio, vale a dire quello della diversa dimensione dell'ordinamento formale dello sport e del sentimento con cui esso viene percepito, che non è materialistico - anche se poi sfocia in queste furie che, anche di recente, abbiamo visto -, ma tutto interiore e non controllabile dal punto di vista normativo in via antecedente.
Ciò conferma la necessità di parlar chiaro attraverso le leggi, di non confondere l'attenzione o la disattenzione del pubblico. Occorre modificare i regolamenti interni dello sport - come, del resto, di ogni altra situazione della vita - affinché su di essi non cada l'equivoco o, se si vuole, anche la speculazione. Faccio un esempio: cosa vuol dire l'espressione contenuta nel comma 2 dell'articolo 2 del presente decreto-legge in base alla quale: «Nelle materie di cui al comma 1, le società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire (...)»? In termini giuridici l'onere non è l'obbligo, non è il dovere, non è la condizione, non è la validità o l'invalidità di un atto o di una attività. L'onere è concepito come il


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diritto potestativo per eccellenza collegato ad un duplice effetto: se si attiva, si consegue il risultato dell'onere processuale o sostanziale; se non si attiva, tale risultato non si consegue.
Cosa c'entra il termine «onere»? Cosa vuol dire che «ha l'onere di adire secondo le previsioni»? Semmai avrà l'obbligo. Voi ignorate in questo testo persino le terminologie. Certo, ad Avellino, nella furia di sabato scorso, non si sarà fatta una questione di oneri e di obblighi, non si sarà fatta una questione di confusione e di ruoli davanti alla confusione delle discipline, almeno spero che sia così.
Cosa vuol dire il termine «onere»? All'articolo 3, primo comma, si dice: «in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie». Ma a cosa si riferisce? Signor sottosegretario, questo testo è gravissimo, scandalosamente grave, agli occhi di chiunque abbia la decenza di richiedere a se stesso e agli altri il rispetto delle forme.
Voi dite questo: esauriti i gradi della giustizia sportiva, ferma restando questa sorta di riserva, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale è devoluta alla giurisdizione esclusiva. Nella prima proposizione, avete consapevolmente considerato un caso di giurisdizione cosiddetta condizionata. Si ha giurisdizione condizionata quando per adire i mezzi giurisdizionali devo prima aver compiuto qualche attività, come nel campo del diritto ferroviario o in altri settori. Ma quando voi fate sfociare nella giurisdizione condizionata ogni altra questione diversa da quella immessa nella tutela condizionata, come collegate questi due concetti? Come potete prevenire il permanente equivoco sulle situazioni tutelabili?
Poi ignorate, e questo si vede ancora più chiaramente, quello che è il concetto ormai vecchio di oltre trent'anni nella giurisprudenza sia del Consiglio di Stato che della Corte di Cassazione in materia di doppia tutela, che per certe ipotesi ha dato luogo all'esigenza della giurisdizione esclusiva di cui ho parlato. Per cui la doppia tutela riguarda ambiti di interessi i quali non possono avere che la sede naturale di sfogo nel foro di relativa competenza. Non sto facendo un'esercitazione accademica, ma una valutazione di natura politico-tecnica sulla bontà o sulla perversità di questa legge, che, secondo il mio modesto avviso, non raggiungerà gli effetti desiderati, come è avvenuto con l'altro provvedimento in materia di ordine pubblico negli stadi.
Non basta. Vorrei sapere ancora che cosa vuol dire la frase «la materia è devoluta». Ciò vuol dire che fino ad oggi non era devoluta, quindi è una disciplina per il futuro. Allora, finora a chi era devoluta? Qual è il presupposto per cui la devoluzione avviene in forma esclusiva alla giurisdizione del giudice amministrativo? Scusi, signor sottosegretario, perché si parla di giurisdizione esclusiva?
Se lei stesso ammette la possibilità che, nell'intrigo tra pubblico e privato, l'esclusività venga meno per ragioni essenziali, nessuno, e tanto meno un testo così raffazzonato, può negare l'evidenza che situazioni innestate su rapporti civili e su rapporti che voi chiamate di ordine sportivo - io parlerei di ordine settoriale - possano generare pretese diverse. Come le collegate se, come ho precisato prima, non avete qualificato l'azione dalla quale nasce il bisogno di tutela? Come è possibile? Capisco che, ancora una volta, questo beato paese andrà avanti con simili cadute. Si rimedierà. Poi vedremo. C'è sempre un «poi», in cui vedremo. Speriamo. Auspichiamo. È uno degli strumenti meno nobili del fare politica e del governare.
In sede di esame di emendamenti, dobbiamo discutere di questi argomenti. Dobbiamo dire se il legislatore italiano usa la lingua dei giuristi o la lingua dei bar, come è in questo caso, senza nulla togliere all'intenzione benevola della legge, che pur maltratta l'articolo 5 del codice di procedura civile.
Signor sottosegretario, mi ero ripromesso di parlare meno. Ma chi ha mai prescritto la durata delle lettere d'amore? Quello che le dico rappresenta una dichiarazione d'amore per la legge. E la prolungo quanto neppure sfiora la pienezza


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delle mie aspirazioni al riguardo. E le dico, per esempio, che nell'ultimo capoverso dell'articolo 3 si legge che il comitato adotta i provvedimenti di carattere straordinario transitorio, anche in deroga alle vigenti disposizioni, sul che vorrei esporre due osservazioni. «In deroga alle vigenti disposizioni» vuol dire, in primo luogo, che la legge interviene sul potere regolamentare interno degli enti, sul cosiddetto potere di ordinanza. E come può farlo? La legge lo fa? Questa è una violazione. Chiunque avesse la fantasia di eccepire - e probabilmente ciò avrà luogo - che questo viola l'autonomia organizzativa e normativa degli enti, potrebbe dar luogo ancora ad un'altra storia. Questa disposizione, oltre alla violazione di cui ho detto, ne contiene un'altra. Davanti a questa potestà di urgenza per cui si fanno e si rifanno i calendari, ad esempio, quale tutela ho? E si può negare che questa tutela, sebbene verta su materia di organizzazione dello sport, in virtù del collegamento pubblico-privato di cui abbiamo detto, incida anche su diritti soggettivi, incida anche su interessi legittimi?
E voi liquidate questa massa di interrogativi, questa massa di questioni che fanno il paio con le voci di Avellino, con gli schiamazzi di Avellino. La liquidate e la consegnate ad un Parlamento il quale vi sta mostrando, invece, sia pure - se si tratta di me - in modo inadeguato, quanta responsabilità esso senta verso i problemi anche di questa natura (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge in discussione è legato alla travagliata fase che ha vissuto il mondo del calcio italiano in questa lunga estate. Non è possibile fare la cronistoria: sarebbe lunga, tortuosa, complessa, piena anche di fatti spiacevoli che hanno seminato il caos nello sport più seguito dagli italiani. Per problemi di sintesi, ma anche per chiarezza, riprenderò alcune questioni che considero però centrali in questo dibattito e che sono state alla base concreta delle infuocate polemiche che hanno coinvolto la comunità calcistica italiana. La prima: tutto ha inizio dall'irregolare partecipazione alla gara Catania-Siena di un calciatore di quest'ultima squadra. La seconda: la decisione della CAF, ultimo organo di istanza della giustizia sportiva, di assegnare per l'errore commesso dal Siena il risultato di 3-0 a favore del Catania, con conseguente permanenza del club etneo nel campionato di serie B. La terza: il paradossale intervento successivo, mai verificatosi in precedenza, della corte federale di annullamento della decisione della CAF, retrocedendo il club calcio Catania in serie C1. Infine, la presentazione da parte della società etnea di un ricorso al TAR di Catania che ha riconosciuto subito la permanenza della squadra catanese, anche in soprannumero, nel campionato di serie B 2003-2004, senza però determinare danno per altre squadre, con la sottolineatura della intangibilità della decisione di ultima istanza della CAF.
Mi permetto di dire che il caso non è stato creato da una società di calcio ma dalla presidenza della Federcalcio e dai responsabili della giustizia sportiva che con una serie di sentenze discutibili e di errori hanno portato alcuni responsabili di club calcistici a superare la clausola compromissoria e a ricercare giustizia negli organi della giurisdizione amministrativa. Pertanto, si è realizzato lo scontro tra chi, in maniera non del tutto disinteressata, ha posto la necessità di salvare l'autonomia della giurisdizione sportiva e la società, i tifosi ma anche i cittadini di Catania, che non volevano subire l'ennesima ingiustizia. Infatti, va opportunamente ricordato - credo che il sottosegretario lo ricordi perfettamente - che la squadra della città di Catania è stata radiata 10 anni fa dai campionati professionistici per aver presentato con un ritardo di un solo giorno fideiussioni vere, non «taroccate» così come purtroppo si è verificato in questa estate per alcune società di calcio. Quindi,


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sarebbe bastato un po' di buon senso, meno arroganza da parte del presidente Carraro e dei vertici federali che a tratti hanno avuto - lo voglio qui ricordare - atteggiamenti ritorsivi, minacciosi e intimidatori nei confronti di alcune istituzioni e soprattutto nei confronti di un'intera comunità. Sarebbe bastato da parte sua, signor sottosegretario - me lo deve permettere - maggiore rispetto per le istituzioni: se lei avesse applicato la prima sentenza del TAR, essendo stato nominato commissario ad acta, non avremmo avuto i successivi scontri localistici e campanilistici, con il caos che si è determinato.
In questa condizione di pieno caos, nel tentativo grottesco di difendere il presidente Carraro e il proprio amico Galliani, presidente della Lega calcio, il Presidente del Consiglio ha rivolto un appello preciso: lasciare separati sport e politica. Le debbo dire che è apparso subito grossolano un invito di questo genere da parte del Presidente del Consiglio, che, come sappiamo tutti, è anche presidente di una squadra di calcio, la squadra che detiene la Coppa dei campioni; un presidente del Consiglio che, dall'alto della sua funzione - lo ricordiamo -, ha avuto una battuta sprezzante ed inopportuna nei confronti di un commissario tecnico, determinandone poi le dimissioni da responsabile della nazionale.
Infine, è apparso grossolano proprio dal capo di un movimento che, in maniera impropria, echeggia l'incitamento alla nostra nazionale. Ma, come siamo stati più volte abituati, il Presidente del Consiglio, probabilmente preoccupato per l'ordine pubblico, ma soprattutto per la propria immagine, ha invertito in pochi giorni la propria rotta di 180 gradi e, nel tentativo di porre rimedio ad una situazione sempre più difficile, ha varato nel Consiglio dei ministri un decreto-legge che ha portato subito alcune forze politiche della maggioranza ad una corsa a legittimare pseudo meriti. Ricordiamo innanzitutto le dichiarazioni del coordinatore di Alleanza nazionale, la corsa a marcare l'appartenenza di una squadra, di una tifoseria e di una città, un intreccio maldestro tra politica, sport, territorio e localismo, che però ha peggiorato le condizioni del mondo del calcio.
Noi abbiamo rigettato e rigettiamo questo squallido tentativo di creare uno strumentale e interessato rapporto tra calcio e politica. Ci siamo battuti non per avere concessioni, non per esprimere arroganza, ma per la legalità, per non far applicare ancora una volta nei confronti del sodalizio catanese norme anomale, per non far subire un'ennesima ingiustizia alla società e, soprattutto, alla città di Catania. Ci siamo battuti per un avvio del campionato senza traumi e scontri.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FABIO MUSSI (ore 17)

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Questo decreto-legge, anche se ha fatto superare degli errori che la federazione voleva commettere, alla fine ha sbloccato l'inizio delle gare, ma è comunque frutto di un brutto compromesso che ha come centralità la riconferma di un esasperato principio di autonomia dell'ordinamento sportivo rispetto all'ordinamento giuridico della Repubblica e che, pertanto, non tiene per nulla conto della valenza pubblicistica di specifici aspetti dell'attività sportiva.
Invece, va ribadito che l'attività delle federazioni sportive, a volte e su alcune materie, presenta profili di rilevanza pubblicistica che non possono essere oggetto di riserva dell'ordinamento sportivo e che vanno comunque sottoposti al controllo del giudice amministrativo. Il tentativo della FIGC, invece, confortato da questo Governo, è stato sempre e rimane quello di creare uno Stato nello Stato, nel quale le regole vengono applicate arbitrariamente e secondo i casi. Infatti, l'ordinamento sportivo federale, pur essendo dotato di una propria autonomia, non è disgiunto dall'ordinamento statuale. Esso, al contrario, vive all'interno dell'ordinamento statuale ed è tenuto a rispettare i principi e le regole poste nell'interesse pubblico generale per la corretta ed ordinata


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organizzazione della vita e delle attività federali. Questo disegno di legge, quindi, anche se ha risolto il problema dell'avvio dei campionati, anche se non ha determinato un'ennesima ingiustizia, rimane comunque discutibile sotto il profilo tecnico-organizzativo.
Esso presenta ancora tanti problemi che non consentono di risolvere le difficoltà del mondo del calcio. Appare subito un palliativo, una «toppa». Noi avremmo voluto che si fosse posta mano in maniera più responsabile ad una diversa e migliore organizzazione di un'industria, quella del calcio, che oggi è corrosa, in primo luogo, dal conflitto di interessi e dal lassismo delle federazioni, nonché dal fatto di vivere al di sopra delle proprie possibilità. Infatti, un clima di capitalismo selvaggio rischia di trasformare quella che un tempo era la macchina dei sogni in un grande business, dove gioco, entusiasmo e piacere vengono soppiantati da denaro e profitti e dove le società sono diventate aziende.
Purtroppo accade sempre più che vincere un campionato non significa avere maggiore gloria sportiva, ma pensare ad un aumento di fatturato, ad una migliore quotazione in borsa. Il nostro calcio rischia di essere «drogato» da giochetti finanziari speculativi, da faccendieri spregiudicati.
La prima cosa da fare è quindi «raddrizzare» i conti delle società e recuperare un minimo di saggezza contabile. Significativa in tal senso è l'iniziativa che vuole essere introdotta da parte dell'UEFA per le squadre che parteciperanno il prossimo anno alle competizioni europee. Le indicazioni che vengono date dall'UEFA potrebbero essere estese a tutte le società di serie A e di B perché giustamente si parla di certificazione di bilancio e della necessità di azzerare i debiti nei confronti del fisco, degli enti previdenziali da parte dei tesserati. Si parla opportunamente dell'abbattimento dei costi, di un tetto per gli ingaggi.
Vi è quindi la necessità di avere club più trasparenti che devono essere controllati, quelli quotati in borsa dalla Consob, ma anche da Bankitalia, considerato che le banche determinano grandi flussi finanziari nei riguardi dei club professionistici.
Un'ultima considerazione: al di là delle strumentali polemiche sulla Federazione italiana gioco calcio e sulla composizione dei campionati di serie A e di serie B, occorre prendere atto che il calcio italiano non aveva mai toccato un livello così basso di credibilità e così alto di ingovernabilità.
La dirigenza federale si è dimostrata inadeguata, signor rappresentante del Governo: iperprofessionisti che si sono comportati da iperdilettanti.
Questi dirigenti hanno accumulato una serie interminabile di insuccessi: la vicenda del doping, quella dei passaporti falsi, delle retrocessioni, delle fideiussioni, per non dimenticare il disastroso momento organizzativo della partecipazione della nostra nazionale ai mondiali di calcio.
Ci avevano detto che soprattutto nello sport si giudica in base ai risultati: i risultati sono questi, ne prendano atto e si assumano le proprie responsabilità!
In particolare, il presidente Carraro, che è stato ipersfiduciato dalle squadre di serie A e di serie B, non si avviti alla poltrona e non pensi comunque alle protezioni di cui gode nell'alto da parte di alcuni poteri e con dignità se ne vada!
Per il futuro occorre un codice etico e comportamentale molto chiaro e rigoroso ed è quindi urgente un commissariamento super partes, autorevole e responsabile, che dia l'avvio nel calcio a profonde riforme per una stagione migliore e diversa, all'altezza delle nuove sfide (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Pescante, ci è appena giunta la notizia che Sergio Ercolano, il giovane tifoso di san Giorgio a Cremano, è morto. Il nostro cordoglio va alla famiglia nonché ai tanti giovani della «normalità» che come lui vanno allo stadio per vivere uno


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spettacolo sportivo, unitamente all'attenzione, che in quest'aula già è stata sollevata, verso le forze di polizia, che ieri abbiamo visto maltrattate come non mai.
Noi ci siamo iscritti a parlare, signor sottosegretario, quando i fatti di Avellino ancora non erano accaduti, per cui non eravamo preparati ad affrontare la questione odierna sotto questo profilo. Tuttavia, questi gravissimi episodi hanno riportato all'attenzione di tutto il paese il problema della violenza negli stadi. Può sembrare pleonastico stare qui a dibattere un provvedimento così lontano da quei fatti che in questi minuti si sono drammaticamente posti alla nostra attenzione, e parlare di giustizia sportiva, ma ascoltando i colleghi autorevoli che quest'oggi hanno voluto approfondire il dibattito, pensavo che un nesso esiste ed è bene approfondirlo ora, in questa sede, proprio perché la situazione è davvero ad altissimo rischio.
Questa mattina, sul Corriere della Sera, un sociologo molto conosciuto anche nell'ambito dello sport, Alessandro Dal Lago, che oggi può essere considerato tra i maggiori esperti del fenomeno ultras, ha sottolineato il nesso tra i fatti di Avellino e la tormentata estate trascorsa dal calcio tra tribunali e scandali, che poc'anzi è stata evocata ancora una volta. Dal Lago sostiene - ed io condivido la sua opinione - che tutto l'enorme teatrino avvenuto durante l'estate ha gettato benzina sul fuoco dell'inclinazione alla violenza delle frange più estreme degli ultras. Questa nuova rabbia dei tifosi dovremmo sapere tutti da dove arriva e perché, dice Dal Lago, chiamando in causa quelli che lui definisce testualmente i «burattinai del calcio», i quali hanno un nome e un cognome, che non conosciamo soltanto noi in Parlamento o gli addetti ai lavori, ma conoscono tutti gli italiani, di ogni schieramento politico, che hanno capito bene chi da trent'anni gioca questa partita.
Il modo in cui il calcio ha amministrato i problemi, premiando in modo discutibile alcune società e punendone altre, ha fatto crescere nelle frange ultras un senso di ingiustizia profonda, così che la loro rabbia è cresciuta ancora. E c'è il rischio - dicono gli esperti - che questo sia soltanto l'inizio dell'incendio.
Faremmo bene dunque a considerare attentamente, anche sotto questo profilo, il provvedimento sulla giustizia sportiva che stiamo esaminando questa sera e non fare altrimenti, pensando che il fenomeno ultras si combatta soltanto con le misure di polizia. Ho sentito una sua intervista alla radio questa mattina, sottosegretario Pescante, ed ho letto anche le dichiarazioni da lei rilasciate ai giornali: sono preoccupato, perché lei non è sottosegretario per l'interno, lei è sottosegretario per i beni e le attività culturali con delega allo sport: da lei ci si attendono ben altre parole! Le misure di polizia sono parte di un fenomeno più grande e più complesso ed evocarle nel modo in cui lei ha fatto questa mattina significa sbagliare, lo dico veramente con spirito costruttivo e di collaborazione.
Ma torniamo al provvedimento all'ordine del giorno. Di che cosa si tratta? Volendo fare dell'ironia - e non è, né la giornata adatta né il momento giusto - potremmo definire questo provvedimento un decreto-legge «coperchio», ovvero un mezzo adottato per impedire che il gran pentolone dello sport professionistico, ribollente di tensioni, di sospetti e di divisioni feroci e conflitti di interesse, alla fine, esploda nelle aule giudiziarie, coinvolgendo un po' tutti gli attori di questo teatrino.
E si sa che, quando una pentola esplode, tutto quel che c'è sul fondo, e non si vede, alla fine, schizza fuori ed imbratta l'intera cucina. È un'immagine colorita, forte, ma perfettamente calzante.
Ritorniamo a quest'estate. Nel corso delle vicende sul caso Catania, appena ricordate, sulle fideiussioni false, abbiamo ascoltato dirigenti calcistici ai massimi livelli affermare cose gravissime che fanno pensare ad un profondo malessere del sistema; abbiamo appreso che organi federali prenderebbero decisioni basate sulla geopolitica, invece che sul diritto e di giochi di potere rivolti a favorire qualcuno, danneggiando altri, di coercizioni minacciate


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e sottobanchi promessi ai reprobi che adivano le vie dei tribunali ordinari. Ci si sarebbe aspettati un intervento del Governo mirato a fare chiarezza, a mettere il sistema in condizione di agire con maggiore trasparenza a garanzia di tutti ed invece si è preferito imboccare la strada del rendere le cose più difficili a chi riteneva di aver subito torti da un sistema di gestione del potere, sportivo e clientelare e, comunque, poco corretto.
Si è preferito blindare lo status quo, secondo la regola che i panni sporchi si lavano in famiglia. È trent'anni che lo sport italiano ci fa vedere questo spettacolo. Non siamo d'accordo. Lo spettacolo sportivo e, in particolare, quello calcistico hanno grandi responsabilità morali nei confronti delle giovani generazioni. Si è sempre detto che una delle funzioni positive dello sport - anche l'inizio di questa discussione lo avete rievocato in forme ormai di routine, quasi come un paravento -, l'unica rimasta per davvero, è di fornire esempi positivi ai giovani. L'unica cosa che lo sport spettacolo dovrebbe fare è quella di dare esempi positivi e giovani, di fornire, con i sui campioni e le sue regole, esempi da imitare. Ma quali esempi da imitare ci avete propinato in questi mesi? Che cosa avete raccontato all'Italia che guarda allo sport? La mancanza di trasparenza. E questa è una colpa grave. Avremmo voluto, invece di questo decreto-legge, un'indagine conoscitiva per capire se questo sistema sportivo meriti ancora l'attenzione e la fiducia che larga parte degli italiani gli riserva. Si tratta, dunque, di un provvedimento sbagliato, sbagliatissimo, sotto il profilo etico e sbagliato anche sotto il profilo strategico. Esso viene dopo il cosiddetto decreto «spalma debiti» che lascia molto dubbioso circa la sua legittimità il commissario europeo Mario Monti e viene dopo la legge sulla violenza negli stadi, una legge sulla cui legittimità costituzionale si nutrono, ancora oggi, non poche riserve e che, comunque, non incide sul problema, usando le misure della repressione.
Sono toppe ricucite qua e là, alla rinfusa, su un vestito ormai logoro, superato dal tempo. C'è il rischio serio che quel vestito, a forza di mettere toppe, più che un ambito decente, sia un patchwork impresentabile.
Lo sport italiano va ripensato nel suo insieme, dalle fondamenta, da quello di base, che avete affamato e ridotto al nulla, a quello di vertice. Oggi, non c'è famiglia che si possa permettere di avviare i figli alla pratica sportiva senza mettere mano, e seriamente, al portafoglio. Ma questo sembra non interessare. È un fatto che stato portato in secondo ordine. Lo sport italiano va ripensato secondo un disegno strategico, che dia anche quelle regole nuove, certe e trasparenti che sono tanto necessarie in ogni settore del comparto sportivo.
Con la riforma del titolo V della Costituzione, la materia della politica sportiva nazionale è rimasta, di fatto, nelle mani del Governo. È una responsabilità del Governo dare al paese un sistema sportivo moderno ed efficiente, gestito nella chiarezza e nel rispetto dei diritti di ciascuno.
Se queste sono le perplessità etiche e strategiche, anche la natura stessa del provvedimento ci lascia perplessi.
Autorevoli colleghi hanno detto, in maniera molto chiara, quante sono le inadempienze di questo provvedimento. Viene detto che esso nasce per salvaguardare la clausola compromissoria, regola esistente in tutti gli ordinamenti sportivi europei e, dunque, in qualche modo, necessaria. Ma la clausola compromissoria non viene inventata oggi, con questo decreto-legge: c'è sempre stata nel nostro ordinamento sportivo e, per alcuni decenni, ha funzionato egregiamente, superando anche lo scoglio di sporadici ricorsi ai tribunali.
Poi, ad un certo punto, la clausola ha cominciato a scricchiolare. Se ne è avuto un segno tangibile quando il nuovo statuto del CONI ha istituito la camera di conciliazione ed arbitrato, definita da qualcuno la «Cassazione» dello sport, avente il compito proprio di ricondurre nell'alveo sportivo le vertenze che tendevano ad uscirne. Il limite della camera di conciliazione è che i suoi membri sono nominati


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direttamente dal consiglio nazionale del CONI, ovverosia dai vertici di quelle federazioni contro i quali, in genere, si fa ricorso.
Ancora peggio vanno le cose con le commissioni di giustizia interne alle singole federazioni ed alle leghe, dov'è chiarissimo il ruolo di tali organizzazioni come giudici e parti in causa contemporaneamente! Questo è un difetto che non elimina la litigiosità ed i sospetti, a prescindere dalla qualità umana e professionale dei componenti la camera di conciliazione. Che su questo organismo non si facesse grande affidamento lo dimostrano proprio le molteplici vertenze aperte, la scorsa estate, davanti ai tribunali della Repubblica.
Ora, arriva questo decreto-legge a rendere ancor più rigida la clausola compromissoria e ad impedire il ricorso ai tribunali non sportivi. Perno del decreto è, dunque, una norma, quella relativa alla clausola compromissoria, che, però, non può essere il paradigma unico della giustizia sportiva. Quella regola, forse, può ancora funzionare nello sport dilettantistico, ma serve a ben poco nel mondo dello sport professionistico, dove gli interessi economici sono ormai dappertutto.
Viene detto che il decreto-legge al nostro esame non impedisce ad un tesserato, atleta o società, di adire la giurisdizione statale per ciò che concerne i rapporti patrimoniali. Ma cos'è che non ha risvolti patrimoniali nel grande sport? Fateci qualche esempio! Lo faccio io qualche esempio.
Nel famoso caso dei passaporti falsi, una squalifica preventiva degli atleti, mentre la magistratura ordinaria non aveva ancora emesso i suoi giudizi, si sarebbe trasformata in un danno economico per la società. Peggio ancora sarebbe stato se le squalifiche fossero state seguite da assoluzioni nei tribunali della Repubblica. Questo aspetto, se non sbaglio, fu sottolineato dall'allora padrone di una delle società coinvolte, quotata in borsa, il quale minacciava di portare la federazione in tribunale in caso di squalifica preventiva dei suoi atleti. Ma lo stesso caso Catania, or ora evocato dal collega Burtone, ha risvolti patrimoniali: stare in serie B o in serie C comporta importanti differenze patrimoniali! Lo capiscono anche - come dire? - i cittadini più semplici di questo nostro paese! Anche il caso delle cosiddette fideiussioni false aveva rilevanti aspetti patrimoniali: giudicare buone o fasulle le iscrizioni presentate da talune società faceva differenza di miliardi per quelle società e per le loro concorrenti!
Non si fa fatica ad immaginare altri casi possibili: ad esempio, quello di un campione fermato per più anni da una sentenza sportiva per un caso di doping incerto. L'aspetto patrimoniale della vicenda è, anche qui, innegabile. E che dire delle società quotate in borsa, i cui amministratori, davanti ad un danno patrimoniale ingiustamente provocato da sentenza sportiva, sarebbero costretti ad adire le vie legali per non essere a loro volta portati davanti ad un giudice da un qualsiasi azionista!
Sotto questo profilo, dunque, il decreto-legge al nostro esame risolve poco o nulla. Lo vedremo nei prossimi mesi che esso non serve a niente perché, in questo campo, nulla può essere risolto con imposizioni per decreto. Vi è, infine, un altro aspetto che viene sottolineato da non pochi giuristi: nessuna clausola compromissoria e nessun decreto-legge possono legittimamente impedire ad un cittadino o ad una società finanziaria di esercitare i suoi diritti.
Ma, al di là delle questioni giuridiche - che altri hanno affrontato meglio di me, questa sera - la radice del problema è un'altra.
L'ho già accennato all'inizio del mio intervento: il sistema ha perso serenità, ha perso fiducia nei meccanismi stessi che lo governano, soprattutto ora che le poste in gioco sono così rilevanti sotto il profilo economico; le stesse reti dei tifosi, (organizzati e non), che abbiamo visto come facilmente si lasciano trascinare nel fiume della violenza, hanno perso fiducia nel sistema, e per capirlo, oltre alle osservazioni degli esperti, basta semplicemente andarsi a leggere gli striscioni che vengono


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esposti negli stadi e nei cortei. Sono segnali fortissimi di dove stanno le responsabilità e quali sono i problemi e la posta in gioco.
È indubbio che una parte almeno delle violenza da stadio si origina qui, e non è un puro esercizio di stupidità, a prescindere, come qualcuno ci vorrebbe far credere. Una diversa e più chiara gestione del sistema non eliminerebbe il teppismo esercitato da alcune frange di tifosi, ma di certo aiuterebbe non poco a trovare una soluzione radicale. Si è preferito imboccare la via del coperchio premuto sulla pentola - e qui si tratta di una pentola davvero pericolosa - invece di modificare un sistema sempre più carente di democrazia e di trasparenza, dove continuano ad imparare lobby economiche, dove troppo potere si concentra in poche mani, che inoltre da un bel po' di decenni sono sempre le stesse.
Bisogna cambiare registro, questa è la nostra posizione; ecco perché siamo così presenti anche come gruppo in quest'aula. Bisogna mettere mano ad un ammodernamento del sistema che cancelli razionalmente ed adeguatamente le storture, le inadeguatezze, i ritardi, le inefficienze, ogni possibilità di accordi di sottobanco e di affari loschi, che in questo mondo si sono inserite e che sono tuttora sotto gli occhi di tutti.
Lo sport continuerà ad essere un grande spettacolo nazional popolare e quindi anche un'industria miliardaria finché la gente potrà guardarlo, trasferendo in esso il suo bisogno di sognare. Se crescerà il dubbio che sui campi di gioco e nei palazzetti dello sport lo spettacolo che si rappresenta è solo la facciata più evidente di una brutta farsa, allora sì che la situazione sfuggirà di mano.
Ho paura di certe dichiarazioni - dicevo prima - rilasciate dal sottosegretario Pescante e anche da altri membri del Governo, che chiedono o ipotizzano un ulteriore giro di vite nella caccia al giovane ultras. Si vuole alzare il livello dello scontro in modo irresponsabile? Vogliamo che ci scappino altri morti? Ai giovani bisognerebbe dare occasioni di farsi una cultura vera dello sport, praticando lo sport, non trasformandoli in clienti da stadio, da spennare, soffiando sulla loro passione da tifosi quando c'è da incassare quattrini e dando loro di manganello e di carcere quando si rendono conto che qualcosa non va. Ma come fa oggi un giovane non abbiente a fare sport? Qual è la politica di questo Governo a favore della promozione dello sport giovanile? Ma avete in testa una politica? Ce la volete raccontare? La volete raccontare agli italiani? Questo Governo ha mostrato in più occasioni di essere rapidissimo nel volare in soccorso degli attuali vertici sportivi, per tutelare gli interessi dello sport spettacolo, per togliere le castagne dal fuoco quando era necessario; non vi siete risparmiati, come in occasione del ricordato provvedimento spalma debiti, uno scandalo, uno scandalo che indigna il paese. Ma né questo Governo ne i dirigenti dello sport italiano ci dicono che cosa fare per il futuro. Non importa un fico secco della pratica sportiva educativa per le giovani generazioni.
E basta vedere come avete affamato le società sportive di base, come sono ridotti gli enti di promozione sportiva, che hanno dovuto anche loro imprendere e quindi anche loro vendere pur di mantenersi a galla e non scomparire. La verità è che dovremmo preoccuparci di allevare generazioni di sportivi e invece pensiamo soltanto ad allevare generazioni di tifosi, sempre più arrabbiati, sempre più compressi. Dopo il provvedimento che ha inasprito le misure di polizia nei confronti dei tifosi violenti qualcuno aveva già cantato vittoria, dicendo che il trend degli incidenti era in flessione. Non era vero, ovviamente, era l'ennesima bugia, l'ennesima menzogna, l'ennesimo spot. Non poteva essere vero. La violenza era lì, stava solo aspettando la miccia, l'innesco, fregandosene di quanta polizia c'era ad attenderla.
Non è il numero dei poliziotti, non sono gli stadi bunker, e non sono nemmeno i sistemi repressivi che vi tireranno fuori da questo problema! Ad Avellino anche la polizia ha pagato un prezzo ad una politica dello sport che non si può dire che è inadeguata soltanto perché non


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esiste! Così, non si può andare avanti! Gli ultrà in Italia sono decine e decine di migliaia; tra le 40 squadre di calcio di A e di B si contano almeno 2 mila facinorosi per ogni società. Cosa volete fare, arrestarli tutti preventivamente e costruire nuove carceri? Metterli in catene negli stadi? Qual è il provvedimento che voi suggerite? Senza contare poi gli ultrà di altri sport dove non c'è certo da sorridere. Vogliamo metterli tutti in galera? Oppure, vogliamo provare a disinnescare il loro malcontento il quale è contemporaneamente malcontento giovanile e malcontento sportivo? Questo mondo ha indignato il paese! Lo ha posto di fronte ad uno spettacolo indecoroso; i giovani soprattutto di fronte a queste situazioni esplodono. Non possono ragionare come gli adulti, si lasciano trascinare da dieci o venti delinquenti in manifestazioni come quelle avvenute ad Avellino. Cosa chiediamo in definitiva? E cosa chiedono i giovani e i tifosi? È molto semplice: chiedono regole chiare, certe e trasparenti per lo sport-spettacolo, non quindi pentoloni con coperchi a pressione. Chiediamo per qualsiasi giovane italiano un'occasione autentica di vivere lo sport sul campo e non solo su una curva dello stadio o davanti ad una televisione a pagamento perché lì voi li state portando, creando arricchimento in maniera indebita.
Questo provvedimento non va, né in una direzione né nell'altra. Accettate questa nostra critica che è fatta con la testa ma anche con il cuore; nessuno infatti può pensare che una forza dell'opposizione di fronte ad una tragedia come quella di Avellino e di fronte ad una situazione così grave possa pensare di approfittarne. Noi siamo qui a chiedere di collaborare, ma date dei segnali forti di apertura e di rinnovamento ed uscite dal bunker nel quale vi siete ficcati e dove tra pochi mesi rischiate di rimanere asfissiati (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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