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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rivolta, sulla cui capacità di sintesi faccio affidamento. Ne ha facoltà.
Onorevole Mazzuca Poggiolini, ha chiesto di intervenire prima l'onorevole Rivolta; dopo toccherà a lei.
DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, credo che lo spirito che ha mosso i presentatori di queste mozioni sia ampiamente condivisibile da tutti e coincida con quello sotteso alle mozioni poco fa approvate da questo Parlamento all'unanimità. È lo spirito di chi si ribella a che venga eseguita la pena di morte, giudicandola, per motivi etici, morali, religiosi, come qualcosa di inaccettabile per una società che si vuole autodefinire civile.
Nonostante condivida appieno questo spirito, non posso esimermi, tuttavia, dal rivolgere alcune osservazioni ai colleghi, i quali, trascinati da questo sentimento positivo e condivisibile, sono incorsi, nel redigere le mozioni, in alcune imprecisioni, dimenticando alcuni aspetti fondamentali della realtà politica in Nigeria. Né posso fare a meno di ricordare a tutti i colleghi ciò che tutti sappiamo: la Nigeria non è l'unico paese nel quale viene comminata la pena di morte, non è l'unico paese nel quale si applica la sharia e non è l'unico paese in cui la pena di morte viene comminata per questi motivi; anzi, in una parte della Nigeria, nel nord della Nigeria, la sharia è applicata, se non ricordo male, da circa quattro anni e non mi risulta essere stata comminata, in tale parte della Nigeria, una sola condanna a morte.
Ciò che qualche collega dimentica è che la Nigeria è un Stato federale. In uno Stato federale, così come avviene negli Stati Uniti, la giustizia viene amministrata a livello statale e non sovranazionale.
Ogni Stato membro dello Stato federale ha la possibilità di amministrare la giustizia e, entro certi limiti, di applicare un proprio codice penale. Fu per voto democratico, da tutti riconosciuto, che, dopo anni di guerra civile, dopo anni di dominio, di dittatura militare, la sharia fu scelta nel nord della Nigeria. Contrariamente a ciò che viene sostenuto da qualche collega, da quel momento, nel nord della Nigeria, non ci furono più conflitti - lo dico perché queste cose si deve saperle e bisogna avere il coraggio di dircele, anche se evidentemente nessuno di noi è un seguace della sharia all'interno di questa Assemblea -, non ci furono più scontri di guerra civile, non ci furono più alcuni degli atti di malavita, che in altre parti del paese purtroppo sono continuati. I fenomeni di guerra civile e di scontri virulenti, che continuano in Nigeria, avvengono - sappiamolo colleghi, per essere sereni nella nostra valutazione - nella parte a sud della Nigeria, che religiosamente si ispira al cristianesimo o all'animismo. È altresì da sapersi che non fu soltanto, ma qui viene detto anche, per l'intervento della comunità internazionale che nel caso precedente di Safiya fu impedita l'esecuzione della condanna a morte, fu per due fattori, che vorrei i colleghi conoscessero. Il primo fattore è che gli stessi organi giudicanti della Nigeria sono consci che l'applicazione della sharia esiste solo da quattro anni e che soprattutto al primo grado di giudizio, trattandosi di giudici monocratici - ne conosciamo qualcosa in Italia -, vista la scarsa esperienza di applicazione, sono state emesse spesso delle sentenze che sono state giudicate errate, quindi modificate in secondo grado di giudizio. Così fu anche per il caso di Safiya, ma, a seguito della constatazione da parte degli organi di Governo e giudiziari degli Stati del nord della Nigeria che questo avveniva con una certa frequenza, si è cominciato ad applicare in Nigeria una scuola di formazione per l'applicazione della sharia per giudici di primo grado. Nel secondo grado il giudizio è collettivo, e il giudizio collettivo lascia maggiore spazio ad una valutazione approfondita anche della volontà e della modalità di applicazione della legge. E questo fu uno dei due grandi motivi che spinsero alla soluzione del caso di Safiya, il caso precedente, simile a quello di Amina Lawal. Ci fu un altro fattore. L'altro fattore fu che il capo spirituale dei musulmani di Nigeria, il governatore dello Stato di Zamfara, Sani, capo spirituale, perché lui stesso fu colui che per primo introdusse quella legge, la legge islamica, in quella parte della Nigeria e ispirò gli altri Stati musulmani a farlo, si recò prima del secondo grado di giudizio a carico di Safiya in Italia, incontrò, con il sottoscritto,
il presidente della regione Lombardia, l'onorevole Roberto Formigoni, e, discutendo con l'onorevole Roberto Formigoni del caso di Safiya, si impegnò al suo rientro, dopo averci annunciato l'apertura delle scuole per i giudici monocratici, a far sì che la sentenza, nel caso di Safiya, potesse essere la più tollerante e aperta possibile. Cosa che di fatto si realizzò.
Vorrei che si sapesse anche che lo stesso governatore dello Stato di Zamfara si è recato recentemente in Italia, ha incontrato ancora anche il sottoscritto, ha incontrato anche il presidente Formigoni, e ha preso pubblicamente posizione davanti alla stampa italiana, che a sua volta l'ha incontrato, assicurando che anche nel caso di Amina Lawal non verrà eseguita la sentenza capitale. Questo è importante che noi lo si sappia; non c'è niente di male, anzi è lodevole, che da parte di parlamentari italiani, cittadini italiani e di altri paesi ci si batta per eliminare la pena di morte, ma ciò che noi dovremmo cercare di evitare è di criminalizzare a priori una abitudine di vita, una cultura, un metro di applicazione, quando per la stessa cultura, la stessa applicazione di legge, anzi per peggiori risultati non si usa lo stesso metro. Non dimentichiamoci che altri paesi che applicano la sharia, ben più della Nigeria, hanno avuto sentenze capitali che sono state applicate, senza che ci fosse la stessa sensibilità mobilitata, come invece è successo nel caso della Nigeria. Allora io vorrei sottolineare che evidentemente sono d'accordo con questo dispositivo e con la richiesta che non venga eseguita la pena capitale.
Desidero ribadire che già c'è un impegno non da parte di un magistrato ma del capo spirituale dei musulmani della Nigeria a far sì che i giudici siano spinti a riflettere con tolleranza e buonsenso nell'applicazione di quella stessa legge. Lo stesso capo spirituale ha tenuto a ribadire, anche a noi cittadini italiani, che c'è da parte loro una volontà ferma di far sì che anche i giudici monocratici, quelli di primo grado, applichino con maggiore cognizione questa legge; norma che, a parere di questo capo spirituale, potrebbe svolgere una funzione principale di deterrenza e non di punizione, e resta salva comunque in caso di recidiva.
Un'ultima imprecisione che non posso non menzionare su una delle due mozioni al nostro esame concerne il fatto che la condanna alla lapidazione discenderebbe per aver avuto una figlia al di fuori del matrimonio. Al riguardo ribadisco che la condanna in primo grado alla lapidazione - vi sono tre gradi di giudizio nello Stato (la condanna è stata in secondo grado confermata tecnicamente), mentre per il quarto grado il giudizio è federale - è seguita non tanto per aver avuto una figlia fuori dal matrimonio quanto per il reato di prostituzione. Sottolineo questo aspetto, che fra l'altro non rende diverso o meno grave il fatto che si proceda a delle condanne a morte, perché ho avuto modo di ascoltare in questa sede che qualcuno vorrebbe tornare a punire, non con la pena di morte, la prostituzione anche in Italia.
MAURA COSSUTTA. Ma cosa stai dicendo!
DARIO RIVOLTA. Ricordo che in Italia per legge, da questo punto di vista correttamente, la prostituzione non è reato, ma è reato invece lo sfruttamento della prostituzione. Diffido pertanto i colleghi a pensare che la prostituzione di per sé possa essere un reato perché, anche se la pena prevista fosse diversa, ci troveremmo nella stessa situazione che oggi si vuole in questa sede condannare.
In conclusione, ritengo che si debba votare a favore del dispositivo di queste mozioni, ma tuttavia non si può tacere - dico ciò con cordialità ai colleghi - di rilevare imprecisioni e scorrettezze come quella per cui addirittura ci si vorrebbe intromettere all'interno della normativa, giuridicamente legale, di Stati stranieri chiedendo al nostro Governo di far modificare la loro normativa. Ciò configurerebbe, a mio parere, un vero e proprio atto di ingerenza.
MAURA COSSUTTA. Avete accettato la guerra, alla faccia dell'ingerenza!
DARIO RIVOLTA. Tuttavia, le modifiche apportate, su suggerimento del Governo, al contenuto delle mozioni possono eliminare questo rischio.
PRESIDENTE. Prendo atto della buona volontà espressa dai colleghi di intervenire nell'arco di pochi minuti, tuttavia per fare ciò occorre che i colleghi si contengano in ordine ai tempi dei loro interventi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, il gruppo parlamentare a cui appartengo voterà a favore di queste mozioni; abbiamo soltanto un dubbio sul secondo capoverso del dispositivo della mozione Ronchi ed altri n. 1-00245, così come riformulata dal Governo, e, conseguentemente, riteniamo preferibile la nostra.
Comunque, riteniamo molto importante che venga approvata dalla Camera dei deputati - mi auguro all'unanimità - la parte fondamentale del dispositivo.
Ho ascoltato con interesse le osservazioni svolte dal collega Rivolta, che mi sembra un esperto non solo della situazione nigeriana, ma anche della sharia, della legge coranica e della sua applicazione. Credo si tratti di un sistema di regole estremamente complesso, nel quale è difficile addentrarsi, proprio perché entrano in gioco non solo precetti religiosi, ma anche l'interpretazione ideologica che di essi è stata data sia in varie epoche storiche, sia da parte dei diversi popoli e delle diverse etnie.
Vorrei limitarmi ad affermare che tali regole non sono uguali per tutti, ed in particolare che sono molto più intransigenti con le donne che con gli uomini, e non è infrequente che i tribunali ne offrano una interpretazione gravemente sessista. Il collega Rivolta ha ricordato che Amina non è stata condannata alla lapidazione per aver messo al mondo una bambina, tuttavia vorrei ricordare anche che il fatto di aver messo al mondo questa bambina rappresenta l'unica prova sulla quale si è basato il tribunale per condannarla. Si tratta di una prova che, invece, non era evidentemente possibile utilizzare contro il suo compagno, il quale, infatti, è stato prosciolto dal tribunale perché ha giurato sul Corano che la bambina non era sua e non aveva avuto rapporti sessuali, al di fuori del matrimonio, assieme ad Amina.
Ritengo comunque importante l'approvazione di tale mozione da parte della Camera dei deputati, anche perché nel nostro paese esiste una forte mobilitazione a favore di questa donna, divenuta un simbolo. In tale mobilitazione, che ha portato, finora, alla raccolta di 4 milioni di firme, si sono segnalati anche organi di stampa molto attivi; vorrei ricordare, al riguardo, una trasmissione radiofonica come Zapping, diretta da Aldo Forbice, che è stata in prima linea in questa vicenda. Anche le democratiche di sinistra, per iniziativa della nostra coordinatrice, l'onorevole Barbara Pollastrini, hanno raccolto oltre 50 mila firme per un appello rivolto sia al Presidente nigeriano, sia al Presidente della Repubblica italiana.
Per concludere, vorrei dire all'onorevole Rivolta che credo che dietro tale questione ve ne siano molte altre. Mi auguro che la vita di Amina possa essere salvata, così come, grazie ai buoni uffici del presidente Formigoni, si dichiara sicuro l'onorevole Rivolta; tuttavia, ribadisco la mia convinzione che dietro questa vicenda vi siano molti significati simbolici, che a noi stanno parecchio a cuore.
Infatti, sono passati otto anni dalla Conferenza mondiale di Pechino, conclusasi con una dichiarazione molto impegnativa su questioni estremamente serie, che riguardano i diritti umani delle donne. «Il benessere delle donne è il presupposto del benessere di un paese e di un'intera società» - così recita la dichiarazione di Pechino - «I diritti delle donne sono parte inalienabile ed inscindibile dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Infine, afferma sempre tale dichiarazione: «I diritti umani delle donne includono il diritto ad avere il controllo e a decidere liberamente e responsabilmente circa la
propria sessualità, inclusa la salute sessuale e riproduttiva, senza coercizione, discriminazione e violenza».
Credo, dunque, che sia in atto uno scontro non tra il mondo arabo ed il mondo occidentale, come qualcuno potrebbe pensare, ma piuttosto tra il passato e il presente, tra il fondamentalismo - tutti i fondamentalismi - e la laicità degli Stati, delle leggi e dei tribunali.
All'interno dello stesso mondo islamico esiste un movimento, anche abbastanza forte, di numerose donne (dall'Algeria al Marocco, fino agli Stati del Medio Oriente), che riescono ad essere protagoniste di una «rivoluzione silenziosa» ed a ricoprire ruoli anche di grande importanza e responsabilità all'interno dei loro Governi, e ritengo che dovremmo essere al loro fianco. Non lo dico solo per la sottosegretaria Boniver, delegata per la materia dei diritti umani e che so essere sensibile su questo argomento, ma anche per la ministra Prestigiacomo, perché la globalizzazione dei diritti umani passa anche - e vorrei dire soprattutto - attraverso l'affermazione delle pari opportunità.
Ringrazio il Presidente Casini di aver voluto calendarizzare questa mozione in tempo perché il 24 agosto vi sarà una nuova udienza per Amina e, se non cambiano le cose nella direzione auspicata poco fa da tutti noi, la sentenza dovrebbe essere eseguita il 25 settembre.
Per tutti i significati che sono dietro questa mozione, credo che sia stato molto utile discuterla in questo momento, sia pure nell'imminenza della pausa estiva, e mi auguro che il Governo saprà intervenire con la decisione necessaria e, soprattutto, con tutto il peso che deriva dal semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea per salvare la vita di questa giovane donna, ma anche per difendere con lei in maniera pacifica (perché con queste battaglie si ottiene molto di più che con le guerre) le ragioni della civiltà (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, auspichiamo che su queste mozioni si ritrovi la stessa continuità di coscienza e la stessa continuità tra Parlamento e società civile e anche con il Governo che vi è stata in occasione delle mozioni precedenti. Il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo voterà a favore delle mozioni e, in particolare, si riconosce nella mozione Magnolfi ed altri n. 1-00200, sia in base a motivi specifici del caso e specifici per il rapporto tra legge federale e diritto consuetudinario nel caso della Nigeria, sia per motivi generali relativi ai principi di giustizia cui l'Italia si ispira nella promozione dei diritti umani e nel convinto rifiuto per la pena di morte.
Partendo dal livello più generale, vorrei anch'io esprimere la contrarietà assoluta nei confronti della pena di morte, qualsiasi sia il tipo di crimine, anche il più abbietto e il più pericoloso per la sicurezza dello Stato o il più riprovevole per la coscienza comune. Chi uccide è, a sua volta, un assassino.
Siamo contrari alla pena di morte indipendentemente dal regime politico che la commina e dalle garanzie del processo cui corrisponde e indipendentemente dall'evidenza della colpevolezza rispetto al comportamento giudicato come criminale.
A questa posizione si è richiamato in maniera estremamente pertinente nella discussione il collega Giachetti che del resto ha citato tutte le numerose iniziative di società civile, da Nessuno tocchi Caino alla Comunità di Sant'Egidio che altri hanno ricordato. Vorrei qui ricordare la posizione delle numerosissime associazioni di donne che in questa ed in altre occasioni si sono mobilitate.
Venendo alla Nigeria, non intendiamo entrare nel merito politico dei rapporti tra la legislazione federale e il diritto comunitario qual è la sharia, se non per il fatto che la legislazione federale ha già dichiarato non applicabile quella parte del codice comunitario sulla cui base si pronunciano alcuni tipi di condanna, in particolare
quelle capitali e, nello specifico, quelle relative a comportamenti trasgressivi della morale familiare, tra l'altro equiparati nella pena ai delitti a sfondo sessuale.
Quanto alla prostituzione, ricordiamocene quando espelliamo le prostitute anche nigeriane da questo paese. La Nigeria, come altri paesi, vive in condizioni di estrema povertà e ciò favorisce la riduzione in schiavitù di giovani donne che vivono in piccoli villaggi dove vengono reclutate dal racket internazionale della prostituzione. Nel momento in cui si decide il rimpatrio obbligatorio le aspetta la detenzione in carcere e le organizzazioni criminali sono le uniche in grado di pagare le ingenti somme stabilite per le relative cauzioni. Se sono sottoposte alla sharia è prevista, come si sa, la pena di morte per lapidazione. In questo caso, dunque, invece dell'espulsione, andrebbe applicato in Italia il diritto d'asilo per il rischio connesso.
Del resto, l'accusa di prostituzione per una donna che ha rapporti al di fuori del matrimonio spesso viene utilizzata in molte società ed è stata utilizzata anche nella nostra in un passato abbastanza recente.
Comunque, noi sosteniamo la nostra contrarietà alla pena capitale anche per i reati ed i delitti a sfondo sessuale, anche se non è questo il caso.
La sostenibilità giuridica della nostra posizione, inoltre, non riguarda esclusivamente la posizione già definita dal Governo federale, ma anche il fatto che il Governo italiano e le istituzioni internazionali hanno il dovere di sollecitare la Nigeria al rispetto delle convenzioni internazionali sottoscritte, e di favorire un processo che sembra, in parte, già in atto. La Nigeria ha sottoscritto la Convenzione contro la tortura o altri trattamenti o pene crudeli ed il patto internazionale sui diritti civili e politici.
Perciò, la pressione che vogliamo sia esercitata ulteriormente dal Governo italiano sul Presidente nigeriano e la mobilitazione dell'opinione pubblica e dei parlamentari si pongono nella prospettiva di sollecitare la Nigeria al rispetto degli impegni sottoscritti allontanando il doppio standard fin qui seguito tra alcune dichiarazioni in sede internazionale ed una certa non tempestività rispetto alla violazione palese di diritti umani in questo ed altri casi.
Nel caso specifico, Amina Lawal vede rinviata la sentenza al 27 agosto, in un processo, come ha argomentato in maniera appassionata ed impeccabile il collega Giachetti, che non ha avuto né garanzie sufficienti, né una corte sufficientemente qualificata. La collega Magnolfi ha già messo in luce quale sia la prova del crimine per cui Amina Lawal rischia la lapidazione: la prova è costituita da sua figlia e dal fatto che ha ammesso di averla concepita fuori dal matrimonio fidandosi della promessa di un uomo che, poi, non l'ha voluta per moglie e ha negato la paternità per non rischiare egli stesso la condanna. Sappiamo che vi è anche un conflitto nella cultura musulmana fra le dichiarazioni di paternità e l'impossibilità di utilizzare test quali quello sul DNA.
Dunque, il crimine, alla fine, sta nell'aver voluto mettere al mondo sua figlia (l'accusa di prostituzione è lo strumento pretestuoso) e nel fatto di averlo ammesso apertamente, anche per ignoranza sulle forme di applicazione della sharia. Oltretutto, il crimine è giudicato, di fatto, con un doppio standard per le donne, di cui la prova di maternità è certa, e per gli uomini, che possono ritirare la parola data e negare la responsabilità sulla paternità. Del resto, anche su questo la storia italiana ha qualche memoria.
Naturalmente, non sosteniamo un'abolizione del doppio standard del giudizio penale in base al genere per parificare donne e uomini nella condanna, al contrario. Tuttavia, dobbiamo constatare come la valutazione differente delle responsabilità femminili e maschili di fronte alla procreazione consegua anche ad una diversa credibilità sociale della parola della donna rispetto a quella degli uomini. Non stiamo giudicando una cultura, bensì, semmai, criticando l'applicazione di un sistema giuridico sulla cui inapplicabilità si è dichiarato espressamente anche il
Governo federale in relazione ai suoi rapporti internazionali ed alla volontà di integrarsi nel consesso delle nazioni.
Sul piano culturale, d'altronde, sappiamo che non solo nell'islam o nel diritto consuetudinario della sharia sono presenti diverse ambivalenze. In moltissime legislazioni la definizione del rapporto tra i sessi resta legata a modelli culturali ambivalenti: di estremo rispetto formale e simbolico nei confronti delle donne e di pratica, invece, di discriminazione.
Come diversi deputati ho ricevuto, qualche tempo fa, un pregevole libretto, che davvero ho apprezzato, di cultura islamica sulle relazioni matrimoniali.
Abbiamo apprezzato, in esso, il senso di reciprocità e di rispetto, al quale vengono richiamati gli sposi, in maniere diverse ma connotate altrettanto positivamente rispetto a quel che avviene per principi di altre religioni, comprese le confessioni cristiane, o comunque nella nostra cultura, che non riteniamo l'unica portatrice di diritti e di valori positivi nei confronti delle donne. Tuttavia, sappiamo bene che la discrasia tra il livello del discorso e il livello delle pratiche sociali, in particolare per quel che riguarda le relazioni donna-uomo, è anche tipica di una lentezza nel cambiamento sociale ed è per questo che possiamo parlare con Amina e non solo a favore di Amina.
Sottolineiamo, a favore della parte positiva dell'ambivalenza culturale, che la maggior parte delle culture africane risultano fortemente matricentriche, pur se connotate da relazioni di potere fortemente patriarcali e ciò vale anche per la sharia; si tratta di un'ambivalenza che conoscono bene, peraltro, anche le nostre culture mediterranee. A questa comune concezione matricentrica, che rende degne le scelte di maternità - ed anche più eroiche se si producono fuori dal matrimonio -, noi vogliamo richiamarci, non solo per scongiurare la condanna di Amina Lawal, ma anche per chiedere la sua assoluzione e la sua liberazione, affinché la Nigeria faccia memoria...
PRESIDENTE. Onorevole Bimbi, la invito a concludere.
FRANCA BIMBI. ...di quella Conferenza internazionale di Nairobi - concludo Presidente -, promossa dalle Nazioni Unite del 1985, nella quale le donne di tutti i paesi, anche quelle africane e nigeriane, si espressero per la prima volta a favore dei diritti riproduttivi delle donne. È anche su questo punto che richiamo l'attenzione del Governo che, in tempi anche abbastanza lontani da noi, ma in fondo vicinissimi per il cambiamento della coscienza sociale delle relazioni tra donna e uomo, si è espresso ed ha lavorato con una certa continuità (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. Vorrei immediatamente chiarire un aspetto già sollevato dalla collega Magnolfi e che a me sta particolarmente a cuore. Qui non stiamo parlando di una contrapposizione tra islam e cristianesimo; perlomeno, per quanto mi riguarda, di questa materia parlo a partire da un posizionamento che mi viene dalla mia storia di donna e dalla mia storia femminista. Noi, come donne, oltre che come femministe, in Italia abbiamo dovuto fare duramente i conti con una cultura maschile patriarcale, che storicamente ha interdetto le donne e le ha costrette ad una condizione di deprivazione della loro soggettività morale, della loro sovranità rispetto al proprio corpo e della loro dignità come soggetto sociale, politico e giuridico. Questa, che noi chiamiamo cultura patriarcale, è stata veicolata spesso drammaticamente nella storia da tutte le grandi religioni monoteiste, che hanno responsabilità grandissime nell'aver sedimentato tutta una serie di meccanismi sociali e giuridici, che ad un certo punto (da noi) la modernità ha aiutato le donne a decostruire e a scombinare, anche se con molte difficoltà. A tale riguardo, vorrei
ricordare ai colleghi e alle colleghe presenti che fino a non moltissimi anni fa lo stupro era un reato contro la morale e l'onore (del maschio, ovviamente) e non contro la persona.
Questo per dire che le interdizioni contro le donne, in realtà, derivano da una complessa stratificazione storico-antropologica nonché culturale che al centro ha il rapporto tra i sessi e su cui le religioni - soprattutto le grandi religioni monoteiste - hanno concorso a costruire il primato dell'autorità maschile. Quindi, mettiamo sotto accusa questo aspetto e non la dimensione religiosa musulmana.
Tra l'altro, per quanto riguarda la sharia - rifacendomi a quanto affermato in precedenza dal collega Rivolta -, intendo ricordare che esiste una complessa giurisprudenza, diversificata nel tempo e nelle zone del mondo, relativamente all'applicazione della legge coranica. In moltissime zone del mondo e in lunghi periodi storici, non si è dato il caso di applicazione della lapidazione per adulterio o per delitti legati alla libertà o alla gestione della propria sessualità da parte delle donne fuori dalle regole comunitarie. Non si è data perché, in realtà, i meccanismi di verifica del cosiddetto reato erano così rigidamente complessi - ad esempio, si chiedeva addirittura la presenza contemporanea di quattro testimoni del fatto in relazione al quale si formulava l'accusa e la necessità che tali testimoni reiterassero, dopo un certo periodo di tempo, la loro testimonianza - che, di fatto, il contesto giuridico rendeva impossibile stabilire la colpa della donna.
Dico ciò per affermare che l'idea che una donna possa essere colpita da una pena di questo genere rimane terrificante, ma dal punto di vista che dicevo prima, vale a dire dal punto di vista della pretesa di questo ordine patriarcale e maschile di imporre il controllo sociale sul corpo, sulla sessualità e sulla libertà sociale delle donne. Questo problema è stato all'ordine del giorno di un grande capitolo della storia contemporanea che, ovviamente, viene misconosciuto.
Il collega Rivolta - che non vedo presente in aula - ci ha dato una dotta lezione dei tentativi evolutivi delle regioni dominate dagli integralisti islamici - e non dai gruppi religiosi islamici - nel nord della Nigeria, senza tuttavia avere in mente che vi è stato un appuntamento mondiale di estrema importanza - lo ricordava prima la collega Magnolfi -, vale a dire la V Conferenza delle donne delle Nazioni Unite a Pechino, nella quale donne di tutte le religioni, di tutte le tradizioni e di tutte le nazionalità hanno posto con forza all'ordine del giorno della comunità internazionale il grande problema dei diritti delle donne come diritti fondativi dei diritti umani e non come parti aggiuntive degli stessi. Mi dispiace per il collega Rivolta, ma non si può parlare di sforzi di adattamento ad una concezione integralista della religione islamica, attraverso accomodamenti, per renderla meno criticabile dal punto di vista dei paesi occidentali.
Voglio ricordare che l'impostazione integralista dell'islam è diretta innanzitutto - non a caso Amina Lawal è nigeriana - a colpire i processi di emancipazione e di liberazione di donne e uomini di quelle parti del mondo, che sono comuni a tutte le comunità del mondo. Donne e uomini di tutti i paesi hanno cercato faticosamente di trovare strade di maggiore convivenza con la vita.
Ricordiamo l'Algeria: sono stati colpiti donne e uomini di quel paese, e dovunque si affermino i gruppi integralisti e le strategie politiche fondate sull'integralismo religioso, a farne le spese sono le donne e gli uomini di quei paesi. Le donne algerine hanno pagato in maniera durissima il tentativo degli integralisti di imporre sharia, legge coranica e il loro dominio sul paese.
Questo deve essere molto chiaro, e si deve discutere a partire da punti di vista che arricchiscano la complessità dei percorsi storico-politici e sociali e non la inaridiscano e non la riducano a scontri di civiltà. All'interno delle civiltà ci sono sempre conflitti di classe e conflitti di genere, ovvero conflitti tra la parte maschile
e la parte femminile. Ci troviamo di fronte al tentativo di imporre una legge, la legge coranica, in versione integralista, in versione ideologico-politica, in versione, come ha sottolineato il collega Rivolta, di deterrenza sociale.
Si tratta di un grande problema che la contemporaneità ci consegna, ovvero quello della religione usata come strumento di deterrenza sociale al fine di governare in un certo modo l'ordine sociale pacificato di cui parlava il collega Rivolta, che si basa sul terrore religioso; non mi pare si tratti di una questione di poco conto.
E il terrore religioso ha come cifra e come elemento di esercizio e di esercitazione, come tutto quello che accade oggi, il corpo femminile. Non è un caso che la sharia venga applicata sempre senza tante mediazioni e senza tanti sconti soprattutto nei confronti delle donne. Il caso di Amina Lawal e del suo amante parla chiaro: lei non ha l'autorità morale per farsi credere dal tribunale, lui sì, basta la parola, perché è un maschio.
Tutto ciò è stato fortemente contrastato dalla conferenza delle donne di Pechino, che ha voluto restituire anzitutto alle donne valore morale e diritti sociali, a partire dalla salute, dall'istruzione, dall'accesso alle risorse e dalla sovranità sul proprio corpo ed al diritto a disporne, al di fuori dalle leggi feroci del diritto maschile camuffato da religione.
È di questo che dobbiamo discutere, della complessità delle situazioni che hanno condotto oggi a utilizzare in tal modo la religione musulmana, caricandola di aspetti che storicamente si erano diluiti e che si erano persi in consuetudini molto più umane, conviviali e sopportabili. Oggi viene recuperata una lettera feroce, e anche un'interpretazione - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - feroce, misogina e finalizzata a stabilire un terrore e un controllo sociale che ha nel controllo sulle donne il suo veicolo principale.
Intendo svolgere un'ultima considerazione, signor Presidente, che ho già svolto, lei era alla Presidenza e mi redarguì...
PRESIDENTE. Non sono capace di redarguire!
ELETTRA DEIANA. Un altro elemento fondamentale da tenere presente è il seguente: in generale, su tali questioni di straordinaria rilevanza, quali i casi di Amina Lawal e di Safiya Hussaini, e delle donne con il burka costrette a subire tutte le vessazioni feroci della sharia fino a decapitazioni ed amputazioni, il silenzio dell'Occidente era assoluto.
Poi, quando serve, la questione dei diritti umani diventa il veicolo non di un'azione di civilizzazione attraverso le armi della diplomazia, del rapporto, delle pressioni, dell'aiuto delle donne, che spesso in quei paesi sono alla testa di una...
PRESIDENTE. Guardi che ora la redarguisco davvero, perché ha utilizzato due minuti in più rispetto al tempo a sua disposizione.
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, ho concluso. Semplicemente diventa il veicolo per azioni alla Bush: andiamo in guerra e ristabiliamo l'ordine per le donne. Il Presidente Biondi mi disse questo.
NICOLÒ CRISTALDI. Sono stati forse gli americani?
ELETTRA DEIANA. No, non sono stati gli americani. Ma, oggi, la ripresa di un estremismo islamista è anche la conseguenza di quello che succede nel mondo. Ne è anche la conseguenza. È una risposta. È l'utilizzazione del disagio e dei disastri nella chiave che conosciamo. Teniamo conto, quindi, che i casi all'Amina potranno moltiplicarsi nel mondo, oggi. Bisogna, dunque, tenere alte la vigilanza e l'attenzione, affinché tali casi non diventino pretesto per altre cose.
Comunque, voteremo a favore di queste mozioni, perché ovviamente apprezziamo...
PRESIDENTE. La ringrazio vivamente, onorevole Deiana.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
Vi avverto che ci sono ancora sette, otto interventi. Se ognuno volesse commisurare gli interventi alla vastità del tema, potremmo stare qui una nottata.
LAURA CIMA. Signor Presidente, sarò veloce anche perché...
PRESIDENTE. No, non è obbligatorio. Ci si può stare.
LAURA CIMA. Pregherei la Presidenza di rispettare l'ordine...
PRESIDENTE. Mi scusi. Mi permetto di dire che è stato detto: facciamo dieci minuti, venti minuti, un'ora; alle 14 si va via. Credo che, poi, i lavori riprenderanno in ritardo, perché ognuno ha diritto a vivere.
LAURA CIMA. Presidente, pregherei anche la Presidenza di rispettare l'ordine degli interventi, che nel mio caso non è stato rispettato.
PRESIDENTE. Guardi che non è vero. È stato trascritto male. Vede, onorevole Cima, lei ha una visione pessimistica della vita (Applausi).
LAURA CIMA. Va bene, Presidente. Sarò pessimista perché ci sono i trascrittori non corretti. Comunque, questo mi dispiace, perché mi impedisce un altro impegno. Parteciperò alla discussione in termini molto limitati, a differenza di quanto avrei voluto, magari facendo contenti i colleghi.
Come Verdi abbiamo sottoscritto la mozione che più riconosciamo vicina a ciò che pensiamo. Mi riferisco alla mozione presentata dalla collega Magnolfi che, tra l'altro, mi sembra anche molto corretta nel modo in cui impegna il Governo, tenendo conto della delicatezza dei problemi che sono stati sollevati in tutti gli interventi ma tenendo conto, soprattutto, che il dibattito più generale che abbiamo svolto stamattina sulla moratoria delle esecuzioni capitali in questo caso si complica ulteriormente: c'è una valenza di genere, oltre che una questione di laicità o meno degli Stati.
Vorrei ricordare alla sottosegretaria Boniver, come ho già fatto altre volte in Commissione, che esiste una risoluzione del Parlamento europeo sulle donne e il fondamentalismo, atto 2000/2174, che è assolutamente significativa da questo punto di vista. Siccome abbiamo la Presidenza dell'Unione europea, invito il Governo italiano a tenerne conto. Questa è un po' la lacuna del dibattito, perché nessuno fra i colleghi e le colleghe ha ricordato questa risoluzione, secondo me importantissima perché, sulla scia del già ricordato Congresso mondiale delle donne, tenutosi a Pechino nel 1995, invita la Commissione europea e gli Stati membri a prendere impegni precisi. Ad esempio, la Commissione deve realizzare uno studio sul diritto di famiglia degli Stati ad orientamento fondamentalista. Qui siamo in un caso particolare perché lo Stato del nord, applicando la sharia in questi termini, si discosta dagli impegni presi dallo Stato federale e dal suo Presidente.
Inoltre, si propone di applicare una politica estera comune che, nell'ambito della PESC, dia la priorità alle iniziative a favore dell'adozione di una moratoria universale delle esecuzioni capitali, argomento sul quale stamattina abbiamo già approvato alcune mozioni.
Quindi, anche questa risoluzione spinge in questa direzione. Inoltre, esorta la Commissione ad elaborare un programma informativo e formativo destinato alle donne e incentrato sull'influenza dei fondamentalismi, affrontando in esso la problematica della secolarizzazione e della modernizzazione sociale e familiare. Faccio presente che Amina è analfabeta e quindi non ha potuto neanche rendersi conto di quanto succedeva: non conosceva l'applicazione della sharia, non è riuscita neppure a rendersi conto fino in fondo dei diritti che non le sono stati riconosciuti durante il processo penale, come le varie
associazioni hanno denunciato, da Amnesty International a Nessuno tocchi Caino, perché non vi era una garanzia di giusto processo. Come la stessa sottosegretaria ricordava, nel corso del primo processo di Safiya non era stato possibile a lei beneficiare della piena rappresentanza legale. A me pare che qui si stia ripetendo la stessa questione.
Questa risoluzione del Parlamento europeo, poi, chiede alla Commissione di creare, nel contesto della sua politica di cooperazione e di sviluppo, «reti di raccolta di dati concernenti i progressi e i miglioramenti prodottisi nella situazione dei diritti della donna», si appella al Consiglio e alla Commissione perché «nel quadro delle relazioni esterne dello sviluppo delle politiche MEDA e LOME» si sostenga l'operato delle ONG che lottano per l'affermazione dei diritti delle donne e chiede al Consiglio di richiamare l'attenzione sui regimi dei paesi terzi con cui sono stai conclusi accordi economici e commerciali. Per questo motivo, ad esempio, anche in occasione del processo di Amina, noi abbiamo inviato un telegramma all'ambasciatore nigeriano dicendo che se veramente il Presidente nigeriano vuole rilanciare il ruolo della Nigeria nello sviluppo del continente africano - e aggiungo anche usufruire di quanto la Nepad propone -, dovrà non solo salvare Amina, ma risolvere questa contraddizione esistente al suo interno tra lo Stato del nord e gli accordi che il Governo federale ha firmato.
Quindi, sempre la stessa raccomandazione esorta gli Stati membri a uniformare i propri accordi e la propria politica estera nei confronti degli Stati che non rispettano i diritti delle donne e che applicano sentenze come quelle comminate ora ad Amina e prima a Safiya. In precedenza, il processo a Safiya le ha salvato la vita, ma non ha risolto questa contraddizione; su questo processo ad Amina, il collega Rivolta si dice sicuro che darà gli stessi risultati. Noi, come Amnesty International, abbiamo molta paura che la questione non sia così semplice, ma soprattutto crediamo che l'Italia, il Governo italiano, nel suo ruolo di Presidenza di turno dell'Unione europea, possa giocare in questo momento un'opera di chiarimento molto più approfondita, senza entrare negli affari interni del paese, ma condizionando gli aiuti al rispetto dei diritti delle donne che, come a Pechino si è affermato molto chiaramente, sono diritti universali e non possono essere superati dai particolarismi delle religioni, delle culture e delle leggi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, sarò brevissimo, non certo come i colleghi che mi hanno preceduto. Certamente, lo fanno perché così tutto rimanga scritto, ma si rischia di fare una confusione tale, come ho sentito ultimamente, che non credo poi chiarisca le idee su quanto sta succedendo.
Signor Presidente, è impossibile non esprimere solidarietà nei confronti di Amina che ha concepito un figlio al di fuori del matrimonio a seguito di una violenza e che la legge islamica, la sharia, ha condannato a morte per lapidazione.
La mozione presentata al Parlamento fa parte di un vasto movimento di sensibilizzazione dell'opinione pubblica internazionale che ha già sortito effetto positivo sull'analoga situazione di Safiya, altra cittadina nigeriana, condannata e poi graziata in extremis nel marzo 2002.
Non è un mero atto demagogico, dunque. Forse, sommando più azioni dello stesso tipo sarà possibile operare una pressione incisiva sull'amministrazione nigeriana per abolire in via definitiva queste condanne.
La situazione è abbastanza complessa da far apparire lontana questa soluzione. La Nigeria è una federazione di Stati ed il Presidente del Governo centrale, Obasanjo, esponente della popolazione cristiana e ricca del sud del paese, ha già dichiarato incostituzionali molti aspetti della legge islamica. Le regioni federali del nord della Nigeria però hanno, via via, reintrodotto
ufficialmente la legge islamica e la stanno applicando in forma radicale. Pare che l'amministrazione centrale abbia pochi poteri per contrastarli.
Ancora una volta, sono nel mirino la legge islamica, le fazioni fondamentaliste che ne predicano l'applicazione; in Africa ciò sembra trovare terreno sempre più fertile, soprattutto dopo il conflitto in Afganistan che ha riacceso il confronto tra islam ed occidente, nonostante la campagna propagandistica portata avanti dai paesi in conflitto per evitare il diffondersi di questa immagine radicale.
Problematico è il punto della mozione che chiede un impegno contro la pena di morte. Sicuramente il Governo si impegnerà in tal senso, ma i risultati effettivi a livello internazionale sono sempre tarpati da legislazioni americane in materia. Concludendo, signor Presidente, la Lega nord esprimerà un voto favorevole sulle mozioni presentate.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, Amina Lawal Kurami (31 anni) è stata condannata alla lapidazione per aver avuto un bambino al di fuori del matrimonio, a distanza di anni dal divorzio. La sentenza è stata pronunciata il 22 marzo dello scorso anno dal tribunale di Bakori, nello Stato nigeriano di Katsina, uno dei 12 stati della Nigeria settentrionale in cui nel 2000 è stata reintrodotta la sharia, la legge islamica.
Vi è stato in passato un caso analogo: mi riferisco a Safiya, salvata dalla lapidazione per adulterio. Chissà quanti altri casi di violenza legalizzata contro la persona femminile, sconosciuti o considerati assolutamente irrilevanti in tutto il mondo, si attuano ogni giorno. A volte, vi è anche della casualità nelle mobilitazioni che si organizzano rispetto a casi del genere; anche con riferimento ai casi di condanna alla sedia elettrica negli Stati Uniti, magari vi è una mobilitazione per un condannato, mentre non la si organizza per altri venti. Ciò determina problemi giganteschi nel nostro orizzonte ed anche nelle nostre coscienze. Credo che non si possa ricordare un caso e dimenticarne tanti.
Con Amina, nome sconosciuto fino a qualche tempo fa, dopo la campagna di Safiya e la reintroduzione in Nigeria della legge coranica in una forma arcaica, con il dominio brutale del maschio sul corpo della femmina, si riapre in noi e nelle nostre coscienze un problema. Amina Lawal diviene un simbolo per aver fatto nascere la figlia Wasila esclusivamente fuori dal matrimonio.
Il 24 agosto ci sarà la nuova udienza ed il 25 settembre ci sarà l'eventuale sentenza di esecuzione che noi ci auguriamo non esservi mai. Vorrei dire che le iniziative che vengono intraprese non sono mai troppe per salvare comunque una vita umana e quella di una donna, in questo caso Amina, che appartiene alla schiera di quelle donne spesso invisibili che sono vittime di abituali e quotidiane ingiustizie.
Vorrei che con queste nostre mozioni aiutassimo la Nigeria ed anche il Presidente nigeriano nel non consentire il perpetuarsi di inutili crimini nei confronti di persone, e di una donna in questo caso; sicuramente tale vicenda non deve essere letta come un'ingerenza da parte nostra nei confronti di quelli che potrebbero essere definiti gli affari interni di un paese.
Vorrei sottolineare anche che gli affari interni di un paese, sull'onda della globalizzazione e della libera circolazione delle idee e dell'economia, sono qualcosa che ci è molto vicino e che dobbiamo prendere in considerazione non solo nel senso che non abbiamo nessun tipo di problema quando intendiamo esportare il nostro modello economico o affermare in maniera forte il nostro predominio economico in questi paesi, ma anche e soprattutto quando si tratta di un'«ingerenza» di esclusivo carattere umanitario e di diritto internazionale, con particolare riferimento ai diritti delle donne. Ripeto: si tratta di donne troppo spesso invisibili e troppo spesso
abbandonate a se stesse (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il rischio di questi dibattiti è dato dall'ampiezza dell'argomento e spesso si finisce col discutere di cose gigantesche che non possono essere affrontate all'interno di un dibattito che pure è stretto da tempi alquanto modesti.
Qui il problema non è la supremazia di una religione nei confronti dell'altra perché se dovessimo seguire attentamente le cose che sono state dette in questa sede sembrerebbe che vi sia qualcuno che intenda ostacolare le persone che credono in un altro modello di religione.
Va però precisato che scorrendo la storia, in Italia e nel Mediterraneo, ci accorgiamo che per secoli l'islam, il cristianesimo e l'ebraismo potevano tranquillamente convivere. Qui tuttavia il problema non è stabilire per quale ragione non siano emerse dentro l'islam in un certo periodo le vicende che emergono ora: la verità è che l'islam non è soltanto una religione.
Secondo la nostra cultura, noi amiamo dire che la politica è una cosa, l'economia un'altra, la religione un'altra ancora. Per l'islam, no! Esso è una cultura, un modo di concepire la vita e l'organizzazione della società.
Per questa ragione l'islamico è un soggetto che si muove all'interno di una fede religiosa, ma anche all'interno della cultura economica, spirituale e temporale al tempo stesso; e non esiste un solo islam.
Quando si parla di «islamismo», si utilizza un termine eccessivamente generico. C'è una miriade di islam! Se penso a coloro che si professano islamici, musulmani e vivono nel Maghreb, penso ad un certo tipo di islam; se penso ai fondamentalisti, penso ad un altro tipo di islam; se penso agli integralisti, penso un altro tipo di Islam. Allora, il dibattito - non solo quello che sta avendo luogo in quest'aula, ma anche quello che più vastamente ha luogo in Italia, in Europa, nel mondo - rischia di imbattersi in argomenti talmente grandi da non poter essere affrontati in così poco tempo.
Per restare nell'ambito della questione, con tutto il rispetto per le cose che sono state dette, ci teniamo a confermare quanto abbiamo affermato durante la discussione sulle linee generali: affrontiamo una piccola questione nel tentativo non soltanto di salvare una vita umana, ma anche di aggiungere un altro granellino di sabbia nella costruzione del grande deserto necessario perché si realizzi la globalizzazione - in senso positivo - della cultura della vita. Qui non si tratta di mettere in difficoltà le diplomazie di un paese o di contrastare le leggi di un altro Stato; però ciascun abitante del pianeta ha il compito morale di lavorare affinché la cultura della vita prevalga sulla cultura della morte. È questa la ragione!
Quando ci siamo trovati tutti d'accordo contro la pena di morte, il Parlamento italiano ha dato dimostrazione di un atto di civiltà. Quando ci pronunciamo contro la sharia, otteniamo un altro risultato di civiltà, perché qualunque sia la nostra convinzione ideologica, politica, morale o spirituale, noi lavoriamo tutti insieme, nella cultura occidentale, perché la cultura della vita prevalga sulla cultura della morte.
Ecco la ragione per la quale, nonostante siamo fermamente convinti del testo della nostra mozione, accogliamo la modificazione proposta dal Governo, perché comunque la filosofia del provvedimento rimane invariata. A volte, quando si scrivono dei documenti, quelli che si scrivono sembrano dei semplici aggettivi, ma poi ci rendiamo conto che bisogna mettere in pratica ciò che si scrive. Quindi, dal momento che il Governo propone la modifica di un aggettivo, ci rendiamo conto che ciò può facilitare il raggiungimento del risultato.
Per quanto riguarda questa vicenda, onorevole Presidente, ci fermiamo qui, perché altrimenti rischiamo di andare oltre
il tempo a nostra disposizione e rischiamo di entrare in una fase diversa. A noi piace - lo dico al rappresentante del Governo - non solo il fatto che il nostro paese sia impegnato a far prevalere all'interno delle proprie strutture e della società la cultura della vita e, quindi, a lavorare perché questo sia sempre più propagandato, soprattutto tra le nuove generazioni, ma anche il compito, affidato al Governo italiano, di lavorare nelle sedi internazionali affinché prevalga la possibilità che una persona che commette un reato sia condannata, ma non per questo privata della vita. È un concetto che riserviamo in questo momento alle vicende barbariche che hanno luogo in certe parti del pianeta, ma che, con grande rispetto e con grande fermezza, riserviamo anche a paesi culturalmente avanzati e democratici, come ad esempio gli Stati Uniti d'America (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, la ringrazio innanzitutto per il suo stoicismo e per la sua fedeltà all'aula, al limite della sua resistenza fisica...
PRESIDENTE. È il tema che mi appassiona...
MASSIMO POLLEDRI. Credo si tratti di un argomento estremamente importante. A noi neofiti - almeno per quanto mi riguarda - a volte capita di sentire il peso di quest'aula e di sentire ancora l'eco di quelle grandi battaglie per la libertà che hanno contraddistinto la nostra storia. Basti pensare alle esperienze di Matteotti, alle grandi battaglie contro le tirannie che hanno solcato questi banchi.
Ebbene, ora si parla di un'altra grande battaglia per la libertà. Vorrei fare una citazione: faremo in modo che la gente di questa specie, i martiri, vengano dimenticati.
Questa è un'affermazione programmatica di Himmler il quale credeva che l'oblio fosse la medicina per proporre una nuova società.
Questo Parlamento, oggi, accende una candela, forse disattenta, forse stanca, nei confronti di una vittima, una donna, simbolo di tante altre donne e di tante altre vittime esistenti, fortunata, forse, perché qualcuno ha avuto il coraggio di porla sotto i riflettori. Ma quante altre vittime sono, invece, nella zona dell'oblio?
Quello passato, per quanto riguarda il numero delle vittime, è il secolo del grande macello. Ne parlo, forse per quelle vittime che non sono mai state considerate: 160 mila morti cristiani in quest'anno. Quaranta milioni di morti cristiani dall'inizio del secolo ad oggi. Questa è la punta - lo ripeto - nel grande macello. Ma qual è la causa del cancro che stava per uccidere una giovane vita? La causa del cancro si chiama sharia, non si chiama solo maschilismo. La malattia ha un nome preciso. Esiste questo cancro che sta distruggendo 32 paesi del nostro mondo di fronte al nostro silenzio, a volte complice, a volte pigro, a volte solidale con i carnefici per vari motivi; un cancro che ha portato a un genocidio inaudito: 160 mila cristiani morti; si tratta dell'applicazione costante e continua di un regime di discriminazione con una legge contraria agli elementari diritti dell'uomo, ma che colpisce anche la nostre istituzioni.
Vorrei citare l'ONU. Esiste un'associazione che si chiama Christian Solidarity International che, fino al 1999, era un membro consultivo dell'ONU. Si occupava della schiavitù. Basti pensare che, nei primi sei mesi del 2001, 145.550 schiavi sono stati liberati. Ebbene, su indicazione del Sudan, esso è stato estromesso dai membri consultivi dell'ONU. Esiste un nuovo nazismo, un nuovo fascismo. Esiste un cancro simile nel nostro mondo e si chiama sharia e deve essere chiaro l'impegno dei paesi democratici, deve essere chiaro l'impegno dei paesi civili come l'Italia, per isolare, per combattere questo fenomeno che ha radici anche nel nostro paese. Ne parlano gli arti amputati, ne parlano le donne sottoposte a sevizie genitali! Non è tanto lontano da noi! È a Napoli, a Brescia, a Milano. Sta incominciando a diffondersi anche fra di noi!
L'invito che vogliamo rivolgere è a chiamare le cose con il loro nome e, nei confronti di quest'ultima vittima, erigersi con fermezza, con una certezza democratica. Lo dico anche per par condicio. Giustamente, vi è stata una sollevazione nei confronti del regime castrista. Per carità! Si tratta di un regime che ha violato i diritti umani, ma vogliamo paragonare i regimi del Sudan, vogliamo paragonare i regimi dell'Arabia Saudita, vogliamo paragonare i regimi di alcune parti della Nigeria - forse ha ragione il collega Rivolta - al regime castrista? Ma è un dilettante allo sbaraglio!
Allora, forse, l'abc della politica oggi è: anything but Christianity; c'è una conventio ad excludendum nei confronti dei diritti dei cristiani.
Volevo rivolgere un appello a non considerare solamente questa vittima, ma a ricordarsi anche delle centinaia di migliaia di vittime cristiane che subiscono ogni anno violenze (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Mazzuca Poggiolini, che aveva chiesto di parlare: si intende vi abbia rinunciato.
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