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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Buglio, che illustrerà anche la mozione Violante n. 1-00120, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi giorni si decide il futuro di migliaia di lavoratrici e lavoratori della FIAT e dell'indotto. Ci sono famiglie che, angosciate, aspettano di sapere da un foglio di carta il loro futuro di lavoratori e, di conseguenza, il futuro della famiglia e dei propri figli. Non è retorica, le deliberazioni di FIAT auto e del Governo decideranno il destino di molte aziende dell'indotto, di migliaia di donne e di uomini, che hanno dato parte della loro vita lavorativa alla FIAT, e non ultimo il futuro dell'ultimo grande patrimonio industriale italiano. Questo ci dà il segno che anche il profilo identitario della Repubblica si sta rimpicciolendo.
Il rischio reale è che, senza una guida unitaria, la strada della decadenza sia senza ritorno. Ecco perché tutti sono chiamati in causa, perché gran parte delle vecchie divisioni e dei vecchi calcoli elettorali oggi sono anacronistici.
Se non si risolverà la questione FIAT, non ci saranno vincitori, ma solo vinti, con un piccolo particolare non trascurabile: la FIAT e i suoi dirigenti in qualche modo salveranno la pelle, le istituzioni potranno sempre dire di aver fatto il possibile; gli unici che pagheranno un prezzo altissimo saranno, come al solito, i lavoratori. Con il piano industriale presentato da FIAT i lavoratori sulla soglia del licenziamento sono più di ottomila e diventeranno undici mila a giugno; vorrei inoltre dire che le aperture delle ultime ore di FIAT sono ancora insufficienti. L'indotto coinvolto è attendibilmente stimato in quarantamila lavoratori. Si tratta, in sostanza, di 50 mila posti di lavoro distrutti, 50 mila famiglie senza più reddito, 200 mila persone a dir poco gettate nell'incertezza e nella miseria.
Quando si parla di costi, di ricavi, di deficit, di debiti, forse non si riflette abbastanza sul fatto che, dietro a quei numeri, ci sono persone, anime disperate, occhi e gesti di rabbia e di rancore. La crisi FIAT rischia di provocare un'esplosione di rabbia sociale estremamente pericolosa, che andrà a sommarsi ad altre incertezze già presenti nella società italiana: una disoccupazione giovanile endemica nel sud, pensioni di anzianità a rischio, tutele fragili o addirittura inesistenti, servizi sociali senza un soldo da spendere. Tutto ciò genera, al tempo stesso, rabbia e paura, crepe profonde nel tessuto sociale, sfiducia nelle istituzioni.
Mai come adesso ci sarebbe stato bisogno della concertazione tra le parti sociali e di un sindacato forte, unitario e responsabile. Purtroppo, mai come adesso la concertazione è stata deliberatamente ridotta in pezzi e l'unità sindacale frantumata.
Raccogliamo ora i frutti avvelenati di 16 mesi di Governo dissennato che ha avuto in
testa una sola riforma cui tutto il resto doveva subordinarsi: isolare il più forte sindacato italiano, isolare l'intangibilità di un diritto, puntare verso un mercato del lavoro precario che mettesse il singolo lavoratore a tu per tu, senza intermediari validi, con l'impresa datrice di lavoro. Si vede ora quanto fosse bugiardo lo slogan Berlusconiano, fatto ingenuamente proprio da molte teste d'uovo del centrosinistra, secondo cui bisognava togliere privilegi ai padri per aprire un futuro ai figli. Ci ha pensato la crisi FIAT a farci toccare con mano quanto poco solidi fossero quei privilegi dei padri. Andatelo a raccontare ai quarantenni o ai cinquantenni di Termini Imerese, di Melfi, di Cassino, di Arese, di Mirafiori e sentirete cosa vi risponderanno a nome dei padri e dei figli. È esattamente in queste condizioni che stiamo affrontando la crisi FIAT.
SALVATORE BUGLIO. Abbandonare l'azienda alla sua crisi sarebbe una follia; lo Stato italiano investe nella FIAT dal dopoguerra con ripetuti contributi agli investimenti (5 miliardi di euro, lo ricordo, solo negli anni '90, tanti quanto i dividendi distribuiti dagli azionisti in quel periodo), con la decisione, 15 anni fa, di vendere l'Alfa Romeo alla FIAT anziché alla Ford e, soprattutto, con una legislazione che ha sempre favorito il trasporto su gomma rispetto a quello su rotaia e, tuttavia, lo Stato non può diventare azionista di FIAT auto.
Per rimettere in piedi un'azienda che nel 2002 perde 2 miliardi di euro ci vorranno almeno tre anni e investimenti per 5 miliardi di euro; il conto finale sarà vicino ai 10 miliardi, quasi l'1 per cento del prodotto interno lordo.
FIAT deve vendere; se non dismette una parte dei suoi gioielli è chiaro che non può pensare di rilanciare il settore auto; se non vende, lo Stato non deve aiutare la FIAT come è avvenuto nel passato, privatizzando i profitti e socializzando le perdite, tamponando le crisi industriali con il protezionismo e i sussidi. È una storia che conosciamo bene. Alla fine, il risultato è stato quello di rendere l'industria nazionale sempre più debole, sempre meno competitiva, sempre più dipendente.
Il bilancio è catastrofico, lo abbiamo sotto gli occhi: l'Italia non ha più una grande industria degna di questo nome. FIAT deve vendere partecipazioni non strategiche per generare risorse nuove che servano all'abbattimento del livello di indebitamento e, come sottolinea la nostra mozione, per diminuire il livello di rischio del sistema bancario, per migliorare la situazione finanziaria dell'azienda e per accrescere la qualità del credito sul mercato dei capitali. Nella nostra mozione sottolineiamo il ruolo delle regioni e degli enti locali interessati, il recupero dell'indotto e dei lavoratori oggi senza diritti.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici ci guardano con un misto di speranza e di disperazione; evitiamo inutili polemiche e contrapposizioni, pensiamo alla sostanza, cioè alla necessaria ricerca di una via d'uscita. Occorre mettere insieme forze diverse, spinte da motivazioni contrastanti e da opposti egoismi per inventarsi un futuro, magari senza la FIAT, almeno come siamo abituati a immaginarla, ma non contro la FIAT. Occorre farlo partendo dall'unico dato certo: FIAT Auto può salvarsi solo attraverso l'accordo con General Motors. Qualsiasi altra ipotesi è velleitaria ed impraticabile. Gli sbandamenti delle scorse settimane, dalle ipotesi di nazionalizzazione totale o parziale all'inedita soluzione di quote sociali di mercato, rappresentano false partenze e segnali poco incoraggianti che possono solo fornire pretesti al colosso americano dell'auto per favorire la sua posizione negoziale.
Signor presidente, onorevoli colleghi, la nostra mozione è fatta di proposte serie che possono essere arricchite e incontrare il consenso di tutti i gruppi. Non abbiamo fatto demagogia (sarebbe stato facile), non abbiamo dato la colpa al Governo in carica (non sarebbe serio), abbiamo una speranza: un voto unitario che pesi su
FIAT, sulle banche, su General Motors e che dia un segnale a tutti i lavoratori di una classe dirigente che nei momenti difficili sa costruire un nuovo patto di cittadinanza sulla base di un grande progetto per l'Italia e per i cittadini più sofferenti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfonso Gianni, che illustrerà anche la mozione Bertinotti n. 1-00122, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, come lei ha ricordato, in questo momento Roma è attraversata da un enorme corteo operaio.
È il nostro popolo, la nostra classe che si muove: la ragione per cui siamo qui e grazie alla quale siamo qui.
Quindi, non mi preoccupa un'aula deserta, mi preoccupa invece che questo Parlamento, non retoricamente, ricordi questo corteo che, peraltro, non sarà certamente l'ultimo poiché altri ne seguiranno nei prossimi giorni e nelle prossime ore, e si assuma finalmente la responsabilità di dare un contributo alla soluzione della profonda crisi del settore dell'auto e della FIAT in particolare.
Quindi, dobbiamo parlare di cose concrete, precise ma dobbiamo farlo sapendo che abbiamo poco tempo e che una decisione deve essere presa.
Ieri sera, per la prima volta, come hanno ricordato alcuni giornali, la FIAT ha momentaneamente «chinato la testa» accettando di sospendere l'invio delle lettere di cassa integrazione fino al 5 di dicembre: quello è lo spazio che abbiamo! Fino al 5 dicembre, saremo in tutti i luoghi possibili, in tutte le piazze d'Italia, in tutti i momenti di mobilitazione per favorire questa soluzione.
ALFONSO GIANNI. Noi, come gruppo di Rifondazione comunista, ci assumiamo le nostre responsabilità ed abbiamo presentato una mozione chiara e netta. Ne riassumo i punti all'attenzione dei colleghi - si fa per dire - e del Governo.
Innanzitutto, si tratta di respingere la richiesta di cassa integrazione a zero ore per un anno per 8100 lavoratori, dal momento che già la FIAT prevede che oltre la metà degli stessi non rientrerà più negli stabilimenti.
La cassa integrazione a zero ore prelude alla chiusura degli stabilimenti storici di Arese e di Termini Imerese con un massacro sociale senza dimensioni uguali!
È necessario ricorrere ad ammortizzatori sociali? Certamente, ma dipende per fare cosa e, in ogni caso, questi ammortizzatori sociali possono essere distribuiti a rotazione, possono essere trovate soluzioni che non allontanino stabilmente lavoratrici e lavoratori dagli stabilimenti, con contratti di solidarietà, con cassa integrazione e a rotazione. Tuttavia, questa è l'emergenza, ma rimane la sostanza. Cosa vogliamo fare della FIAT? Lo domando anche ai compagni e agli amici del centrosinistra. Il sindacato, unitariamente, in un documento, afferma che bisogna anche intervenire negli assetti proprietari dell'azienda attraverso un intervento diretto del capitale nel settore pubblico. Non capisco perché chi fa riferimento al sindacato voglia escludere categoricamente una soluzione che, peraltro, io vedo come l'unica possibile: indicatene un'altra!
La famiglia Agnelli? Ma non facciamo ridere! Le banche creditrici, le quali hanno il massimo interesse a ricavare solamente i loro soldi? Ma non facciamo ridere! La General Motors, cioè il colosso americano che smembrerebbe la FIAT e che già ad interviene in Europa tramite OPEL? Ciò significa, dopo la farmaceutica, dopo la chimica, dopo l'avionica, dopo la siderurgia, dopo l'informatica, consegnare un settore alto della produzione industriale del nostro paese per ridurlo - come hanno scritto autorevoli sociologi - ad un paese di serie C!
Allora, proponiamo l'intervento pubblico nel capitale della FIAT: sì, con coraggio
e con determinazione, fino anche all'acquisizione integrale della proprietà, se questo servisse! Siamo ovviamente pronti a discutere sulla quantità di tale partecipazione. In Europa, questa è la strada che si è seguita. Forse la Renault non è per oltre il 40 per cento di proprietà dello Stato? Forse la Volkswagen non è, per oltre il 25 per cento, di proprietà dei Länder? Forse queste aziende automobilistiche non hanno anch'esse attraversato crisi enormi? Il collega Tabacci lo sa bene, visto che abbiamo fatto dei paralleli nel corso dell'indagine sulla crisi del settore dell'auto. Tali industrie hanno appunto risolto la loro situazione proprio grazie all'intervento pubblico, grazie alla riduzione dell'orario di lavoro, grazie alla distribuzione degli ammortizzatori sociali nella loro crisi, rinnovando capacità inventiva, produzione e produttività sul mercato mondiale.
Vogliamo consegnare pezzi del lavoro italiano, cento anni di storia industriale alla General Motors? No, cari colleghi, vi è un'altra soluzione. Lo Stato si assuma le proprie responsabilità, entri direttamente nel capitale dell'azienda per attuare almeno due iniziative che sono possibili e necessarie.
Il mercato dell'auto a livello mondiale è maturo e su ciò non vi è ombra di dubbio. Vi è l'enorme problema di inventare nuove forme di mobilità. Non mi riferisco solo alle grandi città europee, americane o giapponesi, ma anche ai grandi agglomerati urbani, a quello che una volta si definiva terzo mondo o al mondo emergente, come l'Euro-Asia: essi soffocano e sono immobili. L'idea della mobilità del capitalismo nella sua fase più forte di sviluppo è diventata fissità ed immobilità. Bisogna progettare un nuovo oggetto auto, bisogna avanzare nella ricerca e attuare investimenti per applicarla alla sperimentazione, per realizzare motori ecocompatibili come quello all'idrogeno. Può farlo la famiglia Agnelli? Ma non diciamo sciocchezze! Come sappiamo, quei signori si occupano d'altro. Possono farlo le banche? Non ne hanno né la competenza né l'interesse. Possono farlo gli americani? Perché dovrebbero farlo per nostro conto? Allora, può farlo un intervento pubblico. Chi parla di ricerca applicata in sede di esame del disegno di legge finanziaria non può svincolare da questo problema. Ecco un terreno concreto per la ricerca, ecco la possibilità di applicare realmente questo discorso.
Dopodiché, dobbiamo fare un'altra cosa: sono stramaturi i tempi per la riduzione dell'orario di lavoro nel settore manifatturiero e lo sono ancora di più nel settore automobilistico. Con lo sviluppo della produttività abbiamo concretamente la possibilità di mantenere almeno quei livelli di occupazione (e non invece ridurli di 100 mila unità, come è avvenuto solamente negli stabilimenti torinesi nel giro di dieci anni), ridisegnando l'orario di lavoro giornaliero e settimanale, secondo un principio sociale. Non ne conosco altri: lavorare tutti, lavorare meno, non vi è un'altra soluzione. Infatti, non è stata trovata.
Per quanto riguarda la socializzazione delle perdite, certamente, se andiamo avanti a colpi di cassa integrazione a zero ore, a colpi di mobilità con costi enormi per lo Stato, lasciando la proprietà, il management e le possibilità decisionali completamente al di fuori della potestà dello Stato, allora sì che socializziamo le perdite, cari colleghi del centrosinistra, cari colleghi del centrodestra, cari colleghi del Governo! Allora sì che mettiamo sul «groppone» dei contribuenti italiani una spesa enorme a fondo perduto o, meglio, perduto per la collettività, goduto dalla famiglia Agnelli, dai grandi azionisti, dagli speculatori, dalle banche, da coloro che hanno compiuto un disastro nell'industria italiana automobilistica e non solo!
Allora, colleghi, ecco le ragioni della presentazione di una nostra mozione. All'inizio qualcuno ironizzava; oggi il sindacato, unitariamente (FIM, FIOM, UILM), chiede un intervento negli assetti proprietari anche del pubblico. All'inizio qualcuno ha sostenuto che l'Unione europea non lo consentirebbe. È falso. Rileggete gli articoli 86 ed 87 del Trattato di Amsterdam:
essi non contengono alcun divieto. Certamente, contengono un divieto di protezionismo, ma noi non chiediamo di nazionalizzare la FIAT per impedire alle auto straniere di entrare nel nostro paese. Chiediamo un intervento pubblico, affinché l'industria italiana si trovi nella possibilità di sviluppare una competitività ed una concorrenza sul terreno mondiale.
Pertanto, non vi è alcuna chiusura di tipo corporativo, nazionalistico o protezionistico. È questa l'unica soluzione, una soluzione che nel nostro paese ha fatto la storia. Lo ricordo a quelli di cultura laica, di cultura marxista, di cultura cattolica: ci siamo dimenticati l'atteggiamento di La Pira nei confronti del Nuovo Pignone? Ebbene, quella storia, che - intendiamoci bene - non è una storia idilliaca, ma di conflitto e di lotta di classe, ha fatto di questo paese il quinto paese industriale del mondo, salvo poi il fatto che ultimamente siamo molto scivolati di posizione.
Non mi piacciono le classifiche, ma voglio ricordare la differenza degli effetti tra una politica che, seppure in modo compromissorio, ha tenuto conto di esigenze sociali ed economiche collettive, ed una politica iperliberista che non è in grado di reggere la competitività mondiale e di assicurare la produzione e livelli di vita decenti all'interno dei singoli paesi.
Non si tratta di qualche ministro che ha cambiato idea, sono i nodi del liberismo che vengono al pettine, nel nostro come in altri paesi! Non è un caso che altri paesi, anche patrie del liberismo, facciano alcuni passi indietro e ci ripensino rispetto all'assoluta privatizzazione. Ad esempio, in Inghilterra si torna indietro rispetto alla privatizzazione del settore dei trasporti perché si è constatato che la privatizzazione è equivalsa alla distruzione di servizi e di economicità, oltre che di profitti. Non ha funzionato: questo è il problema!
Tuttavia, abbiamo un problema immediato: salvare il posto di lavoro delle operaie e degli operai della FIAT. È un dovere economico, è un impegno politico, è un dovere morale per una classe dirigente. Questo Governo, se vuole identificarsi con il Governo della guerra e della disoccupazione, come si sarebbe detto con un linguaggio antico, cioè il Governo dell'aggressione all'Iraq e della distruzione della FIAT, faccia pure! Noi abbiamo il dovere di dirgli che in tal modo il paese diventerà ingovernabile. Se ciò accade, il conto alla rovescia per la sopravvivenza di questo Governo comincia oggi, con le manifestazioni odierne. Ci pensino, dunque, i colleghi, tutti quanti, e sappiano essere all'altezza di un compito e di un dovere nazionale!
Vi sono momenti in cui la discussione in questa sede è importante. Credo questo sia uno di tali momenti in cui un Parlamento alza la testa e prende, naturalmente nell'ambito delle sue competenze, una decisione che in questo caso ha il senso ed il valore di una decisione storica. Per favorirla noi, piccolo gruppo, faremo tutto quello che potremo. Abbiamo presentato una mozione che tratta gli aspetti da me riassunti, ma presenteremo - lo annuncio qui - una risoluzione aperta, firmabile e sostenibile da tutti coloro che lo vorranno, che non conterrà tutto il nostro ragionamento, ma un punto sì. Mi riferisco a quella fase, a quella posizione, a quel punto di vista che unitariamente, dopo tanta divisione, il sindacato ha assunto. È su tale posizione che il sindacato siederà nella trattativa da qui al 5 dicembre a seguito della sospensione della cassa integrazione ottenuta ieri sera (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00129, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la crisi della FIAT ha, ovviamente, origini lontane. Il dibattito parlamentare di oggi non può che registrare una decadenza del principale gruppo industriale italiano che ha agito, tra l'altro, in un mercato nazionale, negli ultimi anni, in assenza di concorrenza interna nel settore strategico dell'industria
automobilistica. Queste origini lontane si riconducono a precise scelte che hanno portato l'azienda a non effettuare gli investimenti necessari nel settore automobilistico al fine di poter competere nei mercati più sviluppati.
Origini e prospettive della crisi sono state oggetto di una lunga ed estremamente accurata indagine conoscitiva promossa dalla X Commissione, le cui conclusioni sono state condivise da tutti i gruppi parlamentari con l'eccezione di Rifondazione comunista. Tale indagine venne conclusa il 30 luglio scorso e devo dire che fu seguita con un certo fastidio dall'azienda e, a tratti, non con assoluta precisione da parte dello stesso Governo. Noi non eravamo i pierini che volevano arrivare prima.
Tuttavia, questi segnali erano di tutta evidenza e infatti già un anno fa, quando furono convocati Fresco e Cantarella, avevamo avanzato delle obiezioni sulla durezza della crisi e sull'esigenza di anticipare i tempi per affrontarla.
La recessione che investe oggi il mercato automobilistico mondiale si ripercuote sulla FIAT in misura maggiore che sugli altri produttori. La FIAT ha perso continuamente quote di mercato, significativamente nel nostro paese, ma anche su scala mondiale. Poiché nel 2010 si ipotizza che non saranno più di sette o otto i produttori nazionali nel mondo a concentrare la produzione di automobili, si capisce l'importanza della questione che abbiamo di fronte. D'altro canto, al momento, la gamma di modelli a disposizione della FIAT è inadeguata a sostenere la competizione con gli altri principali produttori e anche le azioni intraprese dal Governo Prodi nella scorsa legislatura hanno avuto come conseguente effetto quello di avvantaggiare i competitori (ovviamente non per colpa del Governo, ma per le condizioni nelle quali la FIAT e il suo gruppo dirigente si muovevano).
Ciononostante, l'industria automobilistica del gruppo FIAT è una realtà di grande importanza per il paese e fornisce un significativo contributo all'economia nazionale, non solo in termini di occupazione, ma anche in termini di attività di ricerca e sviluppo, nonché di introduzione di nuove tecnologie, con ricadute positive su tutto il sistema produttivo. Questo è un aspetto che abbiamo ben chiaro e che non intendiamo assolutamente dimenticare, così come abbiamo ben chiare le motivazioni di ordine umano e sociale che oggi si agitano dietro la mobilitazione di decine di migliaia di lavoratori. È interesse del paese che un'industria automobilistica di grandi dimensioni continui a mantenere in Italia l'intero ciclo di produzione dell'automobile; tuttavia affinché ciò si verifichi occorre rispettare delle condizioni (non essendo pensabile che ciò si verifichi soltanto perché lo desideriamo).
In primo luogo, la FIAT deve modificare profondamente la propria strategia industriale. Il punto da tenere presente è che la crisi della FIAT ha una natura industriale e a tale livello va affrontata, restituendo all'azienda la necessaria competitività. Dal piano industriale va tenuto ben distinto il piano sociale, ossia l'impatto che la crisi della FIAT ha sui livelli di occupazione. Se noi facciamo confusione tra i due livelli, rischiamo di determinare delle ricadute negative. Se la problematica industriale verrà affrontata seriamente, vi saranno delle garanzie di attenuazione dell'impatto sociale. Se invece i due piani di azione vengono confusi e sovrapposti, vi è il rischio che in breve tempo si profili una crisi irreversibile. Questi sono i termini del problema: il piano industriale e quello sociale. I due livelli della crisi vanno quindi messi a fuoco separatamente, al fine di elaborare ipotesi di soluzione coerenti con la natura di ciascun livello di intervento.
L'azienda, con il nuovo piano industriale, che pure suscita perplessità circa la tempistica relativa ai nuovi modelli e all'adeguamento della rete distributiva, si propone di compiere una significativa inversione di rotta. Questo, pur essendo auspicabile, va messo comunque alla prova dei fatti.
Il nuovo piano industriale va coerentemente attuato e la sua realizzazione va accelerata nella misura del possibile,
perché non abbiamo davanti tempi lunghi. Affinché ciò possa avvenire, il gruppo della FIAT deve concentrare le risorse, di cui dispone, nel settore automobilistico, dismettendo le partecipazioni non strategiche (dopo il fallimento sostanziale, con grave ripercussione a danno dell'auto, delle cosiddette diversificazioni strumentali). Non possiamo però nasconderci come l'attuazione del piano industriale non richieda solo risorse, ma inevitabilmente anche tempo, perché questo è il punto: vi è una gara contro il tempo. Si tratta di riconquistare il terreno perduto, di recuperare posizioni e di tornare ad essere competitivi. Un vero bilancio si potrà fare solo nel 2006, anche se sarà importante verificare già nel corso del 2003 e del 2004 gli effetti derivanti dall'applicazione del piano. In questa prima fase, proprio per permettere al piano di decollare, occorre concentrarsi sulla riduzione del debito e sul ridimensionamento dei volumi produttivi, perché una considerevole fetta di quello che la FIAT oggi produce non è vendibile sul mercato.
E non è pensabile che, di fronte ad una sovracapacità produttiva - che nell'ultimo anno è risultata pari a 200 mila vetture, con una proiezione sul 2003 che tende a 250 mila -, si possa ritenere di produrre non per il mercato, ma per il piazzale. Questi sono dati che non possiamo e non dobbiamo nasconderci.
Produrre in eccesso vuol dire - lo ricordo - continuare a far crescere l'esposizione debitoria di FIAT e, se si vuole che l'azienda resti sul mercato, ciò non è più possibile.
Giunti a questo punto, un piano di ristrutturazione è necessario per evitare che l'azienda continui a maturare debiti, anzi a macinare debiti e a perdere credibilità in borsa. Questa è la condizione, anzi il presupposto, affinché domani vi possa essere il rilancio dell'azienda, un recupero di produttività e, quindi, una salvaguardia dell'occupazione produttiva.
Il risanamento ed il rilancio non sono operazioni facili e mi guarderei in merito dal fornire indicazioni vincolanti all'azienda, perché ognuno deve svolgere il proprio mestiere, anche se il documento prodotto a suo tempo dal nostro Parlamento aveva fornito anzitempo indicazioni che, oggi, posso ritenere assolutamente aggiornate.
Ad esempio, non capisco perché, nella mozione dell'Ulivo - non lo dico per polemizzare, d'altra parte sapete bene che sono lontano da tali necessità -, si pretenda di vincolare interamente il ricavato delle dismissioni alla riduzione dell'indebitamento. Dove sta scritto? Di ciò le banche potrebbero anche ringraziare, non è la prima volta che capita; tuttavia, ritengo che il Parlamento si debba anche preoccupare che le banche condividano il piano di investimenti, perché credono nel rilancio industriale dell'azienda, e che siano disposte, in linea di principio, ad impegnarvi parti delle risorse che deriveranno dalle dismissioni.
Ci sono due punti sui quali vorrei richiamare la vostra attenzione. Come è stato possibile che il sistema bancario abbia autorizzato e sostenuto - ovviamente, anche con il beneplacito della Banca d'Italia - l'OPA su Montedison nel luglio 2001 con un indebitamento della FIAT che era già alle stelle? La FIAT non era nelle condizioni di lanciare una OPA su Montedison, ma lo ha fatto solo perché dietro vi era il sistema bancario che, attraverso questa iniziativa, ha pensato di realizzare un'operazione di potere. Questo non è un buon precedente, è un precedente negativo!
Se poi si guarda al problema dei trasferimenti dei rischi, c'è da farsi accapponare la pelle. Sulla recente vicenda della Cirio, il collocamento dei bond è stata un'operazione di trasferimento dei rischi sui risparmiatori, per lo più ignari. Vi sembra, quindi, che possiamo sostenere la tesi che le dismissioni devono tendere ad una totale riduzione dell'indebitamento a garanzia del sistema bancario? Ma cerchiamo di essere un po' più seri!
Non comprendo, inoltre perché, nella stessa mozione dell'Ulivo, si escogitino soluzioni fantasiose per aumentare il capitale
della FIAT. Non c'è ingegneria finanziaria che tenga, a meno che non si tratti di assistenzialismo mascherato.
Ho ascoltato le argomentazioni del collega Alfonso Gianni, le rispetto, ma non le condivido. Nuovi investitori si faranno avanti solo se il piano industriale risulterà credibile; e c'è bisogno di nuovi investitori, di qualche industriale che si affianchi, in attesa di sostituire gli azionisti di riferimento di oggi.
È necessario che il piano industriale sia credibile e che la FIAT sia posta in condizione di attuarlo, a cominciare dal piano di ristrutturazione. Si tratta di elementari verità che, probabilmente, è più difficile affermare da qui, ma restano elementari verità; capirei se si dovessero affermare in piazza, e magari qualcuno, oggi, sarà costretto a dire delle mezze verità, ma qui abbiamo il dovere di dire delle verità intere.
Essere chiari sulla natura e sulla soluzione della crisi non esime, naturalmente, dal dovere di assumersi tutte le responsabilità per quanto riguarda i riflessi sociali della crisi stessa; ecco il punto. In merito, dobbiamo innanzitutto chiedere che la FIAT quantifichi, in modo trasparente, gli attuali esuberi e i piani di riassorbimento dei lavoratori, che verranno collocati in cassa integrazione; misura quest'ultima dalla quale, a breve, non sembra possibile prescindere.
L'obiettivo dovrà essere quello di reimpiegare, nel termine di un periodo il più possibile contenuto, il maggior numero di lavoratori e gli ammortizzatori sociali dovranno porsi tali obiettivi, fermo restando che è il mercato a stabilire i livelli di produzione della FIAT, non li fissiamo noi per decreto, non decidiamo noi a priori quante auto si debbano produrre. Si dovranno produrre auto in una misura che garantisca il loro acquisto da parte del mercato in Italia e nel mondo. Certamente, non possono essere prefissate per decreto.
Quello che si può e si deve fare, innanzitutto - e lo ripeto -, è verificare che il piano industriale venga rigorosamente e speditamente attuato. Bisogna avere il coraggio di dire che pensare di far produrre automobili comunque e di tenere in ogni caso aperti gli stabilimenti, anche in assenza di un mercato, avrebbe un costo insostenibile per l'azienda e per il paese, non tanto alla lunga ma già nel breve termine, e rischierebbe di impedire il risanamento ed il rilancio del settore automobilistico, cosa che ancora oggi è possibile fare.
Ecco perché nella nostra mozione si sottolinea l'opportunità di utilizzare a fondo e in modo mirato gli strumenti per il sostegno dell'occupazione e la promozione dello sviluppo nelle aree interessate dalla crisi FIAT, comprese quelle dell'indotto: la programmazione negoziata, le risorse comunitarie, il sostegno alle attività di ricerca e di sviluppo possono fornire risposte in termini occupazionali, costituendo al contempo soluzioni valide sotto il profilo economico, ad un costo complessivo sicuramente minore rispetto a produzioni di automobili fuori mercato. Pensiamo ad esempio all'intera vicenda di Melfi. Melfi, Mirafiori e Termini Imerese vanno considerati come un'interconnessione: è un unico stabilimento virtuale nella produzione del modello Punto. Ma, se con la Punto si sono vendute 370 mila auto nel 2002 e se ne venderanno probabilmente - ammesso che si riesca - 240 mila nel 2003, è chiaro che la riduzione di produzione va organizzata all'interno di questi tre stabilimenti. Melfi è uno stabilimento di grandi performance e viene considerato uno dei primi cinque o sei a livello mondiale nel settore dell'auto; quindi, le riduzioni di capacità produttiva devono intervenire a Mirafiori o a Termini Imerese.
È questo il problema che si deve affrontare, pensando alle soluzioni alternative. Non si tratta di buttar fuori lavoratori o di sguarnire aree socialmente così delicate, ma non si può pensare di produrre beni che il mercato non vuole. Allora, bisogna operare utilizzando gli strumenti a disposizione, anche con l'impegno della FIAT e di altri imprenditori, che possono essere trovati. È questa la funzione del Governo: utilizzare gli strumenti a disposizione
per realizzare piani industriali alternativi, laddove è dimostrato che non è possibile continuare con questo tipo di produzione. È così complicato dire questo? È certo che, se non si farà così, ci troveremo a gestire una crisi di portata drammatica, magari con risvolti di ordine pubblico neppure troppo difficili da prevedere.
In conclusione, sappiamo che il Governo può fare ben poco in termini diretti ma può fare molto in termini di coordinamento e di iniziativa, tenendo conto delle norme europee e del fatto che ogni intervento nel settore rischia, allo stato, di favorire i concorrenti della FIAT. Quindi, l'azione deve essere coordinata nel tempo e modulata.
Si può stimolare la domanda complessiva, utilizzando la leva fiscale o l'innovazione tecnologica localizzata in Italia; si possono gestire al meglio gli ammortizzatori sociali; si possono favorire progetti di riconversione industriale a Termini Imerese, con il completo assorbimento dei lavoratori, come ha dimostrato lo studio elaborato da Roland Berger già alcuni mesi fa e ripreso oggi dal Ministero delle attività produttive. È possibile avviare rapidamente iniziative di riconversione negli altri siti toccati dalla ristrutturazione, per mettersi al riparo dagli eventi futuri, perché gli eventi futuri saranno comunque difficili. Pensare oggi di mettere una toppa, senza porsi il problema della prospettiva, vuol dire agire nascondendosi la verità.
Inoltre, si può favorire la ripresa del confronto con GM. L'Italia ha riguadagnato un ruolo importante nel mondo? Bene, favoriamo allora anche i contatti con General Motors: con una base FIAT ristrutturata su basi competitive c'è la possibilità di farlo. Credo non si possa prescindere da quell'accordo strategico. E, poi, si può trattenere in Italia il governo dei marchi di lusso, pensando ad un'aggregazione industriale tra Alfa, Maserati e Ferrari di grande potenzialità sul piano industriale e dell'innovazione tecnologica. Sostenere una valida ristrutturazione in un'ottica di mercato, per produrre una base competitiva stabile, vuol dire attrarre altri privati in grado di affiancare gli attuali azionisti, che mi sembrano in disarmo. È la maggiore garanzia di mantenimento delle produzioni in Italia: non per decreto ma creando le condizioni economiche perché questo possa avvenire.
Rifuggiamo poi da nuovi IRI. Dai banchi della sinistra sono venute spesso polemiche sulla funzione dell'IRI. Rivendico qui quell'intuizione di politica industriale che è stata alla base del grande rilancio dell'industria del paese. Non c'è dubbio che la funzione delle industrie a partecipazione statale sia stata decisiva per ancorare il processo di sviluppo a qualcosa di importante. Però, abbiamo girato pagina, non si può pensare di dare segnali così contraddittori, una volta in una direzione, una volta nell'altra. Ma quali segnali diamo ai mercati internazionali? Non si può tornare indietro, vorrebbe dire lanciare messaggi contraddittori come se il paese fosse senza una guida. Questo non è possibile, non perché non si riconosca la funzione dello Stato, ma la logica dello Stato imprenditore, malgrado le folgorazioni alla new deal, va aggiornata: bisogna che noi perseguiamo la strada che abbiamo insieme scelto a cavallo degli anni novanta, per ragioni legate alla riduzione del debito ed anche per ragioni di mobilitazione delle risorse, per creare un maggior dinamismo imprenditoriale. Indietro non si torna; bisogna essere rigorosi e compiere scelte conseguenti; stare lontani dal populismo vuol dire pensare all'interesse generale del paese. Queste sono le cose che, io credo, competono ad un Governo che abbia voglia di impegnarsi con grande serietà e con grande decisione attorno a questa vicenda.
Per concludere, poiché nella nostra mozione vi è un riferimento, vorrei che rimanesse agli atti che, d'accordo con gli altri presentatori, è stato riformulato il sesto capoverso della parte motiva della mozione sostituendo le parole da: «è allo stato» sino alla fine del capoverso con le seguenti «appare inadeguato per quanto concerne la tempistica prevista per il lancio di nuovi modelli l'adeguamento della
rete distributiva». Si tratta sostanzialmente di una attenuazione: non vorrei che prevalesse una sorta di pessimismo della ragione, ma vorrei invece che rimanessero l'ottimismo della volontà e la possibilità di imprimere una svolta importante. Pertanto, crediamo che si possa fare qualcosa, che si possa agire conseguentemente, crediamo che il Governo possa fare in fondo la sua parte (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saglia. Ne ha facoltà.
STEFANO SAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi crediamo che questo dibattito non possa che essere anticipato da un'analisi il più possibile approfondita delle cause della crisi del comparto automobilistico italiano e, più in generale, mondiale. Queste analisi sono state approfondite e studiate nel corso di un'indagine conoscitiva che le Commissioni di Camera e Senato hanno condotto questa estate. Si è trattato di un esame dettagliato della questione del mercato automobilistico che parte, innanzitutto, dalla considerazione che vi è una congiuntura mondiale recessiva e che non vi sono le condizioni oggi per uno sviluppo di una industria in qualche misura fortemente ciclica. Accompagnate a questa congiuntura mondiale non particolarmente favorevole, ci sono certamente le criticabili iniziative assunte in questi mesi e in questi anni dai principali vertici del gruppo automobilistico italiano. Il gruppo FIAT ha guardato con interesse al mercato automobilistico italiano e all'estero e, soprattutto, nel proprio piano degli investimenti si è concentrato sul mercato nazionale e sui paesi emergenti, come in America latina, e sui paesi dell'est europeo.
Questo è stato un fattore che sicuramente non ha favorito la possibilità attuale di riuscire a ridurre una congiuntura sfavorevole, perché proprio in quei mercati la domanda di veicoli si è contratta in maniera significativa. Basti pensare ad alcuni esempi. In Italia abbiamo una riduzione del 15 per cento della domanda, in Polonia del 20 per cento, in Turchia del 57 per cento e in Brasile del 12 per cento. Ciò significa che, proprio laddove il gruppo FIAT ha orientato la maggior parte dei propri investimenti, vi è stata una contrazione della domanda. Questo può essere imputato ad una scarsità di analisi o ad un errore di valutazione, ma dall'altro lato, in una prospettiva più a medio o a lungo termine tale strategia può portare a dei risultati positivi proprio perché, secondo gli analisti e gli osservatori che anche le Commissioni parlamentari hanno audito, vi è una possibilità di crescita proprio di questi mercati molto più consistente di quanto non lo siano mercati più maturi come quelli dell'Europa.
Ed allora queste sono analisi che ci possono consentire di pensare che all'orizzonte non vi sia una situazione esclusivamente negativa e che, invece, vi possa essere una ripresa del mercato; anche secondo quanto affermato dal Presidente del Consiglio dei ministri ciò è possibile, ma da questo punto di vista noi non vogliamo sostituirci a coloro che hanno il compito di effettuare queste valutazioni. Infatti, troppo spesso la politica ha cercato, in qualche misura, di sostituirsi a quanti hanno la responsabilità di decidere nel campo delle aziende private. In questa occasione non si tratta di diventare manager della domenica, ma di cercare insieme soluzioni secondo le proprie competenze, le proprie opportunità.
Noi non crediamo negli effetti salvifici di un mercato senza regole, ma in una moderna economia sociale di mercato, nell'ambito della quale tutti gli attori protagonisti riescano a mettere in campo azioni e convincimenti che insieme possono raggiungere risultati. Certamente vi sono alcuni problemi che riguardano il livello occupazionale, perché pensare ad un piano industriale che metta in cassa integrazione 8.100 persone non può che essere valutato in termini molto preoccupati da un Governo responsabile; ciò perché non sono in vista soluzioni che possano, in qualche misura, consentire una nuova occupazione per questa manodopera, per questi lavoratori.
Inoltre, bisogna anche chiedersi perché in Italia vi sia solo la possibilità di collocare questi lavoratori nel circuito del gruppo FIAT, perché - ad esempio - il gruppo FIAT abbia perso quote di mercato e, quindi, ormai più del 60 per cento dell'offerta sia determinata da gruppi e marchi stranieri e perché questi gruppi e marchi stranieri in Italia non abbiano investito in unità produttive.
Vi è un problema antico dato dall'incapacità di attrarre investimenti legandosi solamente ad un sistema di carattere assistenziale e protezionistico che, certamente, non ci consente di guardare ad altri investitori, anche stranieri, che sul territorio nazionale potrebbero produrre nuova ricchezza e, quindi, nuovi posti di lavoro. Abbiamo legato il nostro destino manifatturiero esclusivamente alle scelte di un gruppo che, evidentemente, non è infallibile e che nel momento in cui sbaglia dei passaggi, o vi è - come accade oggi - una congiuntura economica sfavorevole, condiziona completamente quelle che sono le stesse ricadute sociali.
Hanno ragione coloro che sostengono che quello odierno non può essere un dibattito esclusivamente sulle ricadute sociali, ma non si può neppure trattare di un dibattito nell'ambito del quale non si tenga conto che vi sono aree del paese fortemente legate al sistema FIAT, al gruppo automobilistico italiano. Si tratta di aree del paese dove le riconversioni industriali sono molto complesse, proprio perché in quel luoghi si sono provocati investimenti solo in una direzione.
Noi non siamo tra coloro che ritengono le riconversioni industriali un tabù, ma ci chiediamo perché, nel momento stesso in cui queste vengono annunciate, si apra una tensione sociale di grandissima rilevanza che denuncia poca fiducia nei confronti delle istituzioni che dovrebbero governare questi meccanismi. Siamo convinti che non si possa fare come gli struzzi, occuparsi cioè di un problema mettendovi una toppa, un tampone che poi tra un anno o due non basterebbe più, con eventi ancor più drammatici. Noi siamo tra coloro che ritengono che vi sono aree del territorio che possono sopportare una riconversione industriale, a patto che le maestranze, la manodopera possano trovare con chiarezza e trasparenza nuove opportunità di lavoro; vi sono anche aree dove, purtroppo, in questa congiuntura economica non è possibile perseguire questo tipo di soluzioni: il caso di Termini Imerese è emblematico. Riguardo a questa questione, vogliamo cercare di capire quale sia il ruolo che deve ricoprire un Governo responsabile nell'ambito di una nuova politica industriale; infatti, le tradizionali leve delle politiche industriali attraverso le partecipazioni pubbliche e gli investimenti pubblici diretti non sono più praticabili; ciò, non solo perché si vuole in qualche modo aderire ad un liberismo di carattere statunitense, ma proprio perché non vi sono più quegli strumenti.
Pertanto, riproporre scelte anacronistiche e demagogiche non fa certamente onore ad una classe politica che deve anticipare gli aventi e che, soprattutto, deve assumere decisioni importanti per capire se esiste la possibilità di fare politica industriale senza queste tradizionali leve, a disposizione dei Governi sino a qualche decennio fa.
Oggi si può fare politica industriale attraverso un'azione di coordinamento, di concertazione e, certamente, di dialogo sociale, ma soprattutto attraverso la costruzione di regole di un mercato che va governato e che, quindi, in qualche misura può essere protagonista di una stagione di riforme.
Vi sono situazioni ataviche che non vengono affrontate e che, fortunatamente, questo Governo ha voluto in qualche modo aggredire. Non possiamo pensare ad una crisi del sistema automobilistico, senza considerare che vi è la necessità di una riforma del mercato del lavoro, di un'apertura reale e di liberalizzazioni anche nel campo della distribuzione, del commercio e dell'energia che sicuramente influiscono sul mercato dell'automobile e, più in generale, sull'industria. Al contrario, non saremmo consapevoli del fatto che la politica non può incorrere sempre in tentazioni dirigistiche e non può pensare
di sostituirsi a coloro che hanno la responsabilità, in questo caso, di decidere.
La crisi dell'auto è globale: nel 1970 i produttori di automobili erano 40 nel mondo, nel 2001 sono stati solamente 14 ed è probabile - così dicono gli osservatori - che nel 2010 saranno solamente sette. Sarà compresa l'Italia fra questi sette?
Noi evidentemente ci auguriamo di sì, ma è chiaro che non possiamo permetterci di fermare le cascate con le mani; tutti i grandi gruppi industriali mondiali fanno parte di un mercato maturo dell'auto, caratterizzato soprattutto da una enorme sovracapacità (ad esempio, dei 55 milioni di veicoli che vengono prodotti 22 milioni non sono neppure commercializzati).
Non possiamo allora non considerare il fatto che vi è la necessità di grandi aggregazioni industriali. In questo senso, l'aggregazione con General Motors è una scelta opportuna che va condivisa e governata, ma si auspica - questo è il senso di alcuni punti della mozione che i presidenti di gruppi di maggioranza hanno ritenuto di voler proporre all'Assemblea - che restino in Italia non solo le unità produttive che sino ad oggi hanno prodotto, ma anche i centri direzionali più significativi, anche con riferimento, soprattutto, allo sviluppo e alla ricerca dell'innovazione tecnologica.
Al sistema dell'auto è legato il 25 per cento degli investimenti nel campo della ricerca applicata all'industria. Non possiamo non considerarlo perché, da questo punto di vista, non solo nei confronti delle ottomila imprese italiane dell'indotto si evidenzia la possibilità di sviluppo, di innovazione e di ricerca, ma tutto il sistema industriale manifatturiero è legato a doppio filo con la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione tecnologica nell'ambito dell'industria automobilistica.
Pertanto, vorremmo che oggi si riuscissero ad affrontare tali problematiche, per evitare che domani non lo possano essere più.
Vi è anche da considerare un fatto, tornando ai problemi dei livelli occupazionali e delle ricadute sociali di tale vicenda.
Noi oggi stiamo ragionando su un piano industriale del quale, per primi, attraverso l'impegno parlamentare che si è manifestato con la presentazione della mozione dei presidenti di gruppo della Casa delle libertà, chiediamo una correzione. Chiediamo, inoltre, che possano esservi accorgimenti nuovi e che vi siano certezze nella conduzione di questa difficile trattativa.
La decisione di ieri di sospendere la cassa integrazione va nel senso di un maggiore approfondimento della questione.
Con riferimento ai livelli occupazionali, non possiamo non sottolineare, senza alcuno spirito polemico, che il gruppo FIAT, alla metà degli anni novanta, aveva 115 mila dipendenti. Nel 1999, i dipendenti erano circa ottantamila, alla fine del 2000 erano circa 74 mila e nel giugno del 2001, circa 59 mila. Vi è stata cioè, certamente non nel periodo di Governo del centrodestra, una riduzione quasi del 50 per cento della manodopera del gruppo FIAT. È una crisi, quindi, che viene da lontano.
Vi è la necessità di ridurre i costi del lavoro nell'ambito dell'industria automobilistica, ma tutti abbiamo responsabilità o per aver assistito inermi ad una situazione che si andava via via deteriorando o per non aver anticipato gli aventi necessari per poter sopperire a questa situazione.
Pertanto noi non vogliamo semplificazioni: vogliamo andare fino in fondo rispetto agli impegni che la politica deve assumersi di fronte ad una crisi di questa dimensione; abbiamo a cuore non soltanto quello che è il destino straordinariamente importante di oltre ottomila lavoratori che potrebbero essere con molta incertezza collocati in cassa integrazione, ma anche il destino di quasi ottomila aziende dell'indotto, che a mano a mano si sono affrancate dal monoprodotto FIAT, - infatti soltanto il 45 per cento delle loro commesse proviene dal gruppo FIAT.
Si tratta di aziende dell'indotto non soltanto presenti nelle aree del centro nord - Piemonte e Lombardia -, ma anche nelle aree del centro sud e che sono state capaci di competere sui mercati internazionali, senza aiuti di Stato ed
agevolazioni, mostrando tutta la capacità di potersi affrancare da una situazione difficile, ma che probabilmente in questa occasione - considerato che si possono ancora teorizzare interventi che prevedono incentivi o «l'aggressione» nei confronti della fiscalità, che in Italia è molto più elevata che altrove per quanto attiene al mercato automobilistico - possono essere sostenute in questa opera di internazionalizzazione e di eccellenza della quale le industrie, piccole e medie, sono state capaci nel corso di questo anno.
Per concludere, cosa chiede la mozione presentata dalla maggioranza e dai gruppi della Casa della libertà? Chiede in primo luogo che il gruppo possa rimanere a conduzione italiana anche nei prossimi anni, pur cercando di governare quella che è un'alleanza strategica con la General Motors; che vi sia la concessione della cassa integrazione soltanto alla certezza di una data della ripresa produttiva, con particolare riferimento allo stabilimento di Termini Imerese per le considerazioni svolte poc'anzi. Vi è infatti una situazione sociale difficilmente assorbibile con gli strumenti tradizionali, mentre in altre aree del paese questa è più sopportabile. Sicuramente occorre intervenire su quella che è la cosiddetta programmazione negoziata: infatti, se è vero che noi non consideriamo la riconversione industriale un tabù, occorre cominciare a pensare ad essa in maniera strategica, ipotizzando anche un percorso in cui siano coinvolte le regioni e gli enti locali, i soggetti cioè che hanno gli strumenti per investire sul territorio in formazione, nel sostegno alla ricerca, nell'attrazione di nuovi investitori, siano essi italiani o esteri.
Così come non abbiamo sottaciuto - altri colleghi lo hanno sottolineato - la necessità di un confronto serrato con il sistema del credito. L'indebitamento del gruppo FIAT è sicuramente preoccupante; tuttavia occorre rendersi conto che esistono due fattori importanti, sottolineati anche dal presidente di Confindustria nel corso dell'audizione svolta nell'ambito dell'indagine conoscitiva.
In primo luogo, il sistema del credito italiano rischia di essere ingessato da questa grande esposizione nei confronti del principale gruppo industriale italiano e, in secondo luogo, probabilmente in contraddizione con il primo aspetto, le banche non possono non rendersi conto che vi è la necessità di un accompagnamento del sistema industriale. Non si può pensare che gli istituti di credito si preoccupino esclusivamente del rientro dei propri crediti: devono assumersi responsabilità importanti nei confronti del sistema economico, che necessita di una serie di attori.
Infine, occorre la costituzione, come del resto il Governo ha già fatto opportunamente e per tempo, di un tavolo di consultazione permanente con tutte le parti in causa. Per raggiungere questi obiettivi noi crediamo sia necessario un Governo che decide, e sicuramente la maggioranza può essere di stimolo nei confronti del potere esecutivo, di un'opposizione che solleciti e che abbia la responsabilità di non correre dietro a proposte massimaliste che oggi non hanno più ragione di esistere, se non altro nella loro praticabilità, di banche e di un sistema del credito che ascoltino e siano capaci di rispondere alle moderne necessità di un sistema industriale in difficoltà e di parti sociali responsabili.
Il ruolo del sindacato è straordinariamente importante: è giusto e sacrosanto che rivendichi il proprio ruolo, è giusto che il Governo tenga conto fino in fondo delle aspettative di coloro che rappresentano i lavoratori. Dall'altro lato, però, serve anche una ragionevolezza, per riuscire ad evitare tensioni sociali che certamente non portano ad una soluzione del problema e che anzi acuiscono, per motivi spesso di carattere politico e non amministrativo o di governo, una situazione che già è particolarmente delicata.
Per concludere, noi riteniamo che si debba governare oggi ciò che domani si potrebbe solamente subire e che, quindi, nell'attualità e nel contingente si possa anche sfuggire alle proprie responsabilità, ma che nel percorso storico di una crisi industriale come questa certamente emergeranno le responsabilità, che non resteranno
in capo solamente a coloro che temporaneamente governano ma a tutta una classe politica, se non avrà trovato le risposte necessarie per affrontare una crisi sia sul piano sociale che sul piano industriale (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morgando, al quale ricordo che ha sei minuti di tempo. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, in sei minuti è difficile sviluppare argomentazioni compiute attorno ad una questione di rilievo così grande, per cui cercherò di fissare soltanto quattro punti, di cui esprimerò poco più che i titoli, per sviluppare in qualche modo i contenuti della mozione dell'Ulivo che è stata illustrata.
In primo luogo, io prendo atto positivamente del fatto che l'avvio di questo dibattito, in una sede così autorevole, dimostra che c'è una consapevolezza dell'importanza del problema. Noi ci troviamo di fronte alla crisi di un grande gruppo industriale, ed è cosa molto importante. Ma ci troviamo di fronte a qualcosa di più: come hanno sottolineato molti commentatori, ci troviamo di fronte al rischio di registrare, nella crisi della FIAT, una crisi più complessiva del sistema produttivo del nostro paese, ci troviamo di fronte al rischio di registrare l'uscita dell'Italia da un settore come quello della produzione automobilistica che, in tutte le economie industriali, è un settore capace di innervare fortemente il sistema produttivo, un settore in cui si esprimono rilevanti capacità di innovazione, rilevanti complessità nell'organizzazione delle attività produttive e nell'individuazione di soluzioni nuove, un settore che è antico nella vita industriale dei paesi occidentali ed è destinato a durare ancora molto nel tempo, in cui si concentreranno tante innovazioni tecnologiche molto importanti per le loro ricadute su altre attività. Noi affrontiamo il tema della FIAT con la consapevolezza che stiamo discutendo di una questione che attiene alla competitività del paese e su cui, quindi, non sono ammesse disattenzioni.
Signor Presidente, signor sottosegretario, abbiamo visto troppe incertezze nel modo con cui il Governo ha affrontato questo problema. Abbiamo visto troppe lentezze, troppi rinvii. Credo sia opportuno che il Governo si renda conto che deve utilizzare in modo intelligente gli spazi che si sono creati ieri, con la sospensione delle decisioni e con l'individuazione di un periodo di tempo in cui si può approfondire il piano industriale, in cui si possono individuare nuovi contenuti dello stesso piano, in cui si può individuare una più compiuta strategia del Governo su questa questione.
In secondo luogo, la dimensione finanziaria del problema FIAT è una dimensione molto importante, imponente. Ma io condivido quello che qualcuno ha già detto: il problema non va affrontato sotto questo aspetto, il problema va affrontato nella sua dimensione industriale.
Credo sia legittimo ed opportuno discutere degli assetti dell'azionariato, dell'opportunità, in condizioni straordinarie, dell'ingresso, per una fase transitoria, di capitale pubblico. La discussione su tutti questi aspetti, sui quali sono state espresse opinioni diverse, mi sembra, dunque, legittima ed aperta. Tuttavia - questo è l'elemento che dobbiamo considerare centrale -, o risolviamo il problema del futuro industriale della FIAT e del gruppo, oppure non andiamo da alcuna parte.
Credo sia necessario un piano di ristrutturazione e che sbaglieremmo nel dare l'impressione che dello stesso si possa fare a meno. Credo sia necessario discutere con coraggio di questo piano di ristrutturazione e che tutti siano pronti a fare la propria parte. Non si può, tuttavia, discutere di un piano di riorganizzazione se lo stesso non è credibile dal punto di vista industriale. Non si può discutere di un piano di riorganizzazione se, nella prospettiva, viene meno la necessaria dimensione dell'azienda per affrontare il
problema del mantenimento di un ruolo produttivo nel futuro dell'economia industriale del nostro paese.
Credo sia giusto chiedere la revisione del piano industriale alla FIAT ma ritengo giusto farlo nell'ottica di predisporre uno strumento che sia in grado di rappresentare un punto di riferimento per la discussione sul futuro, altrimenti non andiamo da alcuna parte.
Vi è un problema di tempi relativi ai nuovi modelli indicati nel piano; vi è un problema di organizzazione delle strategie della distribuzione; vi è un problema di destinazione dei siti e di rapporto tra gli stabilimenti italiani e la produzione negli altri paesi europei. Tali questioni devono essere chiarite. Senza tale chiarimento non è possibile discutere seriamente sul modo con cui ognuno può fare la propria parte nell'affrontare questo problema...
PRESIDENTE. Onorevole Morgando...
GIANFRANCO MORGANDO. ...sapendo che lo stesso non può essere risolto al di fuori del processo di riorganizzazione dell'industria mondiale dell'automobile e che non possiamo rinunciare alla presenza, in Italia, di un gruppo automobilistico complesso che svolga contemporaneamente funzioni di alta direzione, di ricerca, di produzione e finanziarie. Questa è, infatti, la condizione per le ricadute sulla crescita del sistema produttivo che ricordavo precedentemente.
Vorrei accennare all'ulteriore seguente aspetto; crediamo che debba esserci la consapevolezza che l'industria italiana dell'automobile non è soltanto la FIAT. Vi è un'attività di produzione di componentistica che, nel corso degli anni, si è profondamente trasformata; essa ha avuto la capacità di internazionalizzarsi, di crescere tecnologicamente, di crescere nell'ambito della ricerca e della produzione. È in una fase di forte cambiamento che va sostenuto, rafforzato; in tal senso occorre compiere uno sforzo importante. Occorre legare la strategia degli ammortizzatori sociali a questa strategia di crescita e di soluzione dei problemi industriali, sapendo che vi è bisogno di ammortizzatori sociali per affrontare i problemi della FIAT e dell'indotto e che sono indispensabili, anche su questo fronte, innovazioni legislative; occorre introdurle celermente. A nostro avviso, andavano introdotte nel disegno di legge finanziaria per il 2003.
PRESIDENTE. Onorevole Morgando...
GIANFRANCO MORGANDO. Mi avvio alla conclusione, Presidente, richiamando l'esempio della mia città, Torino. Venerdì scorso, Torino si è fermata in una grande manifestazione cittadina cui hanno partecipato tutte le componenti (gli operai della FIAT e delle altre aziende, i commercianti, gli amministratori pubblici, gli artigiani).
Tale manifestazione ha testimoniato la volontà di mantenere, a Torino, la presenza della FIAT come luogo in cui si concentrano grandi capacità di innovazione industriale per il paese.
È questo l'auspicio che facciamo e su cui chiediamo impegni importanti del Governo per garantire un futuro all'industria italiana (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Perrotta, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, noi, deputati del gruppo della Margherita, abbiamo sottolineato per primi la gravità della crisi FIAT e le possibili ripercussioni dal punto di vista economico e sociale con la perdita di posti di lavoro.
Per questo, fin dall'8 ottobre, abbiamo chiesto al Governo di venire a riferire in aula e, con vari atti di sindacato ispettivo, abbiamo pungolato i ministri competenti, in modo da fare esprimere loro una posizione che andasse oltre la gestione degli ammortizzatori sociali. Consideriamo, quindi, tardivo il dibattito odierno.
Il Governo avrebbe dovuto sentire il bisogno di un confronto in aula e, in
particolare, avrebbe dovuto presentare una proposta percorribile durante il dibattito consumatosi in occasione dell'approvazione del disegno di legge finanziaria. Invece, il Governo ha lasciato la FIAT nella logica del «fai da te» e si è avvitato, spesso, nelle molteplici dichiarazioni in libertà: dall'iniziativa in casa Berlusconi, quando fu annunciato il proposito di fare entrare lo Stato nel capitale FIAT, alle proposte per un intervento di Finmeccanica e di Sviluppo Italia ed alle dichiarazioni di un viceministro (che dice di aver studiato economia) sulla possibilità di riconvertire gli operai in cassa integrazione in infermieri professionali (oltre a tante altre che qui non riprendo).
Un passaggio decisivo, ne conveniamo, è stata la riunione di ieri sera. Riteniamo positiva la decisione di dare uno stop all'avvio della cassa integrazione. È stato compiuto un passo importante. Sia chiaro, però, che l'obiettivo rimane il sostanziale cambiamento del piano industriale, unica base per riprendere un negoziato che, lo sappiamo, potrebbe prospettarsi ancora difficile e pieno di incognite. Per quel che ci riguarda, l'azienda deve passare da un piano di tagli ad uno di investimenti che guardino all'innovazione, alla ricerca, ma anche alla possibilità di riconquistare quote di mercato.
Su tutti questi temi, il Governo non può rimanere neutrale: per essere credibile rispetto a quanto è avvenuto ieri notte, deve essere convincente e pressante nei confronti dell'azienda e deve essere disponibile ad allocare risorse, a partire dal Senato, presso il quale è in corso la discussione del disegno di legge finanziaria. Un'ipotesi percorribile potrebbe essere quella del contratto di programma che veda la partecipazione, oltre che dello Stato, delle regioni, degli enti locali e dell'azienda e che si ponga l'obiettivo del rilancio produttivo, dell'innovazione e della ricerca, ma anche del mantenimento dei livelli occupazionali.
Mi permetta di fare un'ultima considerazione, signor Presidente. Solo ieri notte i lavoratori hanno potuto tirare un sospiro di sollievo! Negli ultimi giorni, la situazione era diventata sempre più difficile sul fronte sociale; e c'è stato anche il rischio che, da un momento all'altro, essa esplodesse in maniera incontrollata. Per ottenere i primi risultati, gli operai hanno dovuto fare tante e tante ore di sciopero! Ma si sono mobilitati tutti: i familiari, la Chiesa cattolica, le istituzioni, la popolazione, che ha spesso manifestato la sua solidarietà nei confronti dei lavoratori. Non v'è stata una guerra tra nord e sud, ma un patto di solidarietà!
Noi riteniamo che tale patto non vada spezzato e che vadano respinti i tentativi di palliativi, i trasferimenti di quote di produzione da uno stabilimento ad un altro. È necessario che sia approntato un nuovo piano industriale che guardi all'innovazione, alla possibilità di cercare nuove quote...
PRESIDENTE. Onorevole Burtone...
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. ...di mercato ed al mantenimento dei posti di lavoro.
Noi riteniamo che non si debba soltanto esprimere un auspicio in tal senso e ci auguriamo, pertanto, che il Governo si impegni fermamente a porsi quale garante delle iniziative che saranno intraprese nei prossimi giorni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Fallica. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FALLICA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio ringraziamento al Governo è ovvio, ma anche profondamente sentito, non soltanto per l'attenzione da esso dedicata alla nostra interpellanza urgente dell'8 ottobre 2002, a prima firma dell'onorevole Mormino, ma anche per avere accettato, l'11 novembre scorso, un ordine del giorno con il quale lo abbiamo impegnato ad esercitare decisive pressioni sulla FIAT per impedire la chiusura totale degli stabilimenti di Termini Imerese e per consentire il conseguente ritorno al lavoro dei dipendenti che dovrebbero essere temporaneamente sospesi.
Pertanto, non soltanto grazie per l'attenzione, ma per quell'attenzione certo maggiore riservata al drammatico problema del comparto industriale della produzione auto nel nostro paese e, quindi, principalmente, al problema del rilancio della FIAT, e, soprattutto, per la sensibilità dimostrata più volte al problema dei lavoratori. È un aspetto fondamentale quello della solidarietà ai lavoratori di Termini Imerese, di Arese e a tutti gli altri coinvolti in questa situazione che operano nelle imprese dell'indotto e che sono anch'essi irrimediabilmente colpiti dalla crisi della FIAT auto. Signor Presidente, noi tutti dobbiamo di continuo dimostrare questa solidarietà, se vogliamo che la situazione si avvii verso un processo virtuoso, pur tenendo presenti le regole del moderno mercato.
Quest'ultima riserva non vuole né potrà mai essere un pavido tentativo di sottrazione all'enorme difficoltà che la crisi internazionale dell'auto riporta all'economia del nostro paese, ma vuole essere un tentativo per ragionare tutti insieme sulle cose da fare, senza eccessi di demagogia, senza approfittare della eco che il bisogno di migliaia di lavoratori determina nella società.
Il nostro paese ha registrato negli ultimi tempi e per troppo tempo una colpevole disattenzione per la necessità dell'ammodernamento e della innovazione della produzione industriale. Abbiamo avuto - ed uso il plurale perché non è l'occasione questa per accusare qualcuno - la massima disattenzione per ciò che significava riqualificazione dell'offerta, nuove relazioni industriali, competizione, mercato globale. L'Italia è rimasta colpevolmente indietro. Quando da molte parti oggi si chiedono investimenti pubblici, diciamocelo pure, denunciamolo con forza, si fa soltanto demagogia. Siamo componenti autorevoli dell'Unione europea e ciò non è possibile; questo è noto a tutto il Parlamento nazionale.
Il nostro impegno e la nostra massima attenzione devono essere concentrati su un'azione a sostegno dei lavoratori, senza che lo Stato ritorni però dentro il mercato. Abbiamo aspettato per troppo tempo, lo abbiamo detto, letto e scritto in tutti i modi: meno Stato, più mercato. Tutte le forze politiche, tranne sparuti settori, hanno ecumenicamente condiviso questo assunto. È arrivato il momento per provare se siamo realmente pronti ad organizzarci ed esprimerci in serie iniziative o soltanto disdicevoli discorsi.
Lo Stato deve tutelare, vigilare, regolare il mercato; chi oggi chiede che lo Stato entri nel pieno rilancio della FIAT o comunque costituisca sistemi d'impresa che siano volti alla soluzione del problema occupazionale non posso ritenere voglia il bene dei lavoratori oggi drammaticamente interessati. Avremmo fatto meglio nel passato a pensare a cosa sarebbe successo nel paese con modelli di automobile prodotti sempre peggio, senza più le Lancia di una volta, le Giulia Alfa Romeo, invidiateci da tutto il mondo. Il ricordo, che rimane a me, ma credo anche a molti italiani, è di scioperi incredibili ai cancelli di Mirafiori, di una Alfa Romeo venduta, per così dire, alla FIAT e di una cassa integrazione abusata in momenti in cui si sarebbe dovuta invece garantire la competizione.
Nei confronti della prima e forse più importante impresa del nostro paese abbiamo, per troppo tempo, fatto l'errore di considerare le sue crisi come congiuntrali e non strutturali o progettuali. Mentre la Renault, la Chrysler, la Ford Opel sono state, già da più di un lustro, portate ad innovare, a trovare gli strumenti, le occasioni e, quindi, i mezzi per il loro rilancio, in Italia abbiamo fornito soltanto interventi per la rottamazione. Ma c'è di più; le migliaia di miliardi di utili che ne sono derivate sono state utilizzate per una diversificazione aziendale che ha esaltato la dispersione di risorse, di attenzione, di iniziativa: in una parola si è determinato, in poco tempo, con delittuosa velocità, il disastro. Ora, si tenta di far credere a migliaia di poveri lavoratori che la colpa della loro sofferenza è soltanto di chi, oggi, ha la responsabilità di governare il paese.
Noi non ci stiamo; io, signor Presidente, non ci sto; questo è il solito gioco al massacro dove a pagare sono sempre i più
deboli. Non ci sto perché sono convinto che nella sua opera di tutela e vigilanza il Governo garantirà i lavoratori e perché sono convinto che troveremo una soluzione. Per questo ringrazio il Governo, anche per la riunione di ieri sera; per questo non cesserò di parlare in difesa dei lavoratori di Termini Imerese e di tutti gli altri lavoratori italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo a nome del gruppo dei Comunisti italiani che ha anche presentato una mozione che sarà votata nella giornata di domani.
Voglio iniziare dicendo che i metalmeccanici degli stabilimenti FIAT di tutta Italia sono arrivati a migliaia nella capitale e stanno manifestando contro il piano di ristrutturazione dell'azienda che prevedeva di mettere in cassa integrazione la prima tranche di 5.600 lavoratori praticamente da subito. Ieri notte si è avuta una piccola vittoria, frutto dei sacrifici, delle mobilitazioni di tanti lavoratori e lavoratrici, di tante donne e di tanti uomini che, con il sindacato unito, si sono battuti per la loro dignità e per la loro esistenza. Ieri notte si è aperto uno spiraglio, piccolo ma importante: lo stop all'avvio della cassa integrazione fino al 5 dicembre che i sindacati vedono come la prima possibilità di entrare nel merito dei problemi, primo fra tutti, il cambiamento del piano industriale, per iniziare a parlare di investimenti, di sviluppo, di strategie industriali e non di tagli occupazionali. Va detto, con rabbia, che, da mesi, abbiamo chiesto, in mille occasioni, al Governo nazionale di aprire un tavolo intorno al quale riunire i sindacati e la FIAT per discutere del futuro dell'azienda automobilistica torinese e della revisione del piano industriale. Si sarebbe evitato di perdere quasi due mesi su una trattativa fondamentale. Ora, finalmente l'esecutivo si è deciso a convocare le parti e ci auguriamo che il Governo voglia assumersi le proprie responsabilità davanti a migliaia di famiglie a cui verrà a mancare ogni sostegno economico se si dovesse procedere secondo le linee fin qui tracciate; il Governo dovrà dire, chiaramente, da che parte sta.
La crisi FIAT rischia di essere un disastro per il nostro paese poiché si tratta dell'ultimo pezzo di grande industria manifatturiera che abbiamo a seguito del depotenziamento di altri grandi settori quali l'aeronautico, il siderurgico, il chimico, il farmaceutico, l'elettronico. Vediamo aumentare l'acquisizione da parte di imprese estere di aziende italiane ma non vediamo accadere il contrario, anzi le partecipazioni italiane vanno diminuendo.
Un'analisi della crisi FIAT non è certo facile da trattare in pochi minuti ma è certo che, in questi anni, vi è stata una crescente indifferenza dell'azionista di riferimento che ha investito in settori altri, a redditività immediata: assicurazioni, editoria, energia, distribuzione, telecomunicazioni, servizi finanziari e immobiliari, piuttosto che investire o reinvestire nel settore automobilistico. Una serie di gravi errori di strategia e di gestione compiuto dagli stessi gruppi dirigenti e ciò ha portato ad un ritardo forte nell'innovazione tecnologica, ad una cattiva organizzazione della produzione, ad una perdita crescente e permanente di quote di mercato, ad una continua diminuzione della redditività, ad una continua diminuzione dell'occupazione.
Se negli anni ottanta i dipendenti diretti FIAT erano 130 mila, si è poi passati a 90 mila, fino a 50 mila nella metà degli anni novanta e ai 30 mila dell'ultimo decennio.
Oggi, si «chiede la testa» di altri ottomila lavoratori - chiamati esuberi - ai quali vanno sommati circa 24 mila esuberi nell'indotto di primo e secondo livello.
L'indotto è una forte componente dell'economia locale (si pensi a quelle di Torino Mirafiori, di Arese, di Melfi, di Cassino, di Termini Imerese). Inoltre, questi lavoratori non hanno le stesse protezioni di quelli delle grandi fabbriche e il problema, per loro e per le loro famiglie, sarà ancora più pesante.
In tutto questo quadro, vorrei ricordare che le più penalizzate sono le donne, le quali rappresentano la maggior parte della manodopera. Nella componentistica le donne rappresentano fino al 70 per cento della forza lavoro e, quindi, saranno ancora una volta loro a pagare il prezzo più alto!
PRESIDENTE. Onorevole Pistone...
GABRIELLA PISTONE. Ho finito signor Presidente. È una corsa contro il tempo, non va sprecato neppure un minuto: tutti, insieme ai lavoratori, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, per batterci, affinché questa vera e propria mattanza non abbia mai a verificarsi, accanto ai sindacati che hanno l'arduo compito di confrontarsi con all'azienda e con l'esecutivo per trovare soluzioni che vedano nettamente rientrare le decisioni fin qui assunte. La battaglia è tutta da giocare, per tutti gli stabilimenti insieme, non per uno a scapito dell'altro!
Vorremmo investire per lo sviluppo. Anche lo Stato dovrà fare la sua parte, come d'altronde è già successo nel caso di altre importanti realtà automobilistiche. Il rischio è grande e non vogliamo che l'Italia - e simbolicamente Torino - diventino un'alta Detroit. La capitale dell'auto è oggi desertificata, per cui si è detto che il sogno americano non abita più a Detroit (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pistone.
È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Il rinvio delle procedure di cassa integrazione e l'impegno dichiarato dalla FIAT di far ripartire lo stabilimento di Termini Imerese, a sei mesi anziché ad un anno dalla chiusura, sono segnali apprezzabili ma non sufficienti.
Le preoccupazioni per le sorti dello stabilimento siciliano e per il futuro complessivo del settore dell'auto nel nostro paese restano tutte intere e il dibattito in corso lo sta dimostrando.
Gravi sono le responsabilità del Governo, che si è ridotto all'ultimo minuto per avviare una trattativa che è appena all'inizio ma che ci auguriamo porti ad una soluzione definitiva di rilancio del settore auto nel nostro paese.
Comunque, la decisione di ieri serve almeno a bloccare i tentativi di dividere i lavoratori siciliani e meridionali da quelli degli stabilimenti del nord e fa giustizia anche dei comportamenti irresponsabili di quanti, nei giorni scorsi, hanno tentato di mettere i lavoratori di Termini Imerese contro quelli di Melfi così come contro quelli degli altri stabilimenti.
La FIAT, o si salva tutta intera o, prima o poi, stabilimento dopo stabilimento, finirà con lo scomparire! Di ciò occorre avere consapevolezza. I lavoratori che stanno manifestando qui a Roma in maniera unitaria, ce l'hanno: a loro va la nostra solidarietà!
La crisi della FIAT, i cui segnali sono diventati sempre più forti negli ultimi due anni per l'evidente disimpegno della proprietà, era apparsa chiara anche a chi non segua i fatti economico-industriali. Quando la casa torinese accentuò la sua presenza nel settore dell'energia, costituendo con la EDF francese la Italenergia, allora, il Governo ed il ministro dell'industria - sempre assente sui grandi fatti industriali e produttivi di questo nostro paese - furono ciechi e sordi, ignorando volutamente che la scelta del gruppo avrebbe avuto effetti devastanti per il settore dell'auto.
Lo stesso Governatore della Banca d'Italia si limitò ad affermare che le vicende sono costantemente seguite con attenzione agli interessi generali ma non aggiunse esaustivi dettagli.
Eppure, il caso FIAT suscitava interrogativi di prima grandezza che non hanno trovato risposta alcuna da chi aveva il dovere di fornirla, da chi sapeva che la cosiddetta diversificazione degli investimenti, decisi dalla proprietà, coniugata
con il pauroso crollo delle vendite delle auto, avrebbe, prima o poi, portato all'attuale situazione di crisi del settore.
La FIAT, oltre ad essere la più grande impresa privata italiana di dimensioni internazionali, è soprattutto parte rilevante dell'occupazione e dell'economia italiana, per il numero dei dipendenti direttamente impegnati o indirettamente occupati nell'indotto, le cui sorti sono strettamente legate al destino degli attuali stabilimenti FIAT localizzati in varie regioni italiane, ma costituenti - come ha detto l'onorevole Tabacci poc'anzi - un tutt'uno. Egli ha ragione quando afferma che il destino di Melfi è legato a quello di Termini Imerese ed a quello di Mirafiori.
Nel Mezzogiorno la presenza della FIAT e del suo indotto è notevole e diffusa ed ha rappresentato e rappresenta il reddito, la speranza ed il futuro di decine di migliaia di famiglie, di decine di migliaia di giovani. Non è in discussione il dato relativo alla crisi mondiale del settore auto (è stato già ricordato come le aziende produttrici di auto da 40 si siano ridotte a 14). È, invece, in discussione la presenza ed il ruolo di FIAT auto nel nostro paese, il cui segmento di mercato - lo ripeto - è vorticosamente caduto dal 51 al 31 per cento. Ciò ha messo a rischio gli interessi diffusi di centinaia di migliaia di lavoratori, degli stessi risparmiatori, penalizzati dal crollo del titolo in borsa, e, più in generale, del nostro paese.
Signor Presidente, vorrei ancora un minuto per dire che, se ciò è vero, com'è vero, la vicenda della FIAT riguarda tutti, anzitutto il Governo, che deve guardare agli interessi complessivi del nostro paese. La FIAT è un pezzo importante, forse il più significativo del capitalismo italiano o, almeno, lo è stato, ma è anche uno dei simboli forti dell'Italia nel mondo. Essa è, soprattutto, il patrimonio di idee, di cultura, di persone, di passione della storia del nostro paese.
Indubbiamente, pesanti sono le responsabilità della famiglia Agnelli, che sembra quasi vivere quel clima di decadenza così ben descritto da Thomas Mann ne I Buddenbrook, per avere scelto di fare business in altri settori e di abbandonare la tradizionale attività familiare, non investendo, quindi, nella ricerca, nei nuovi modelli e subendo l'aggressione dei concorrenti. Un serio piano industriale - che noi chiediamo e che il Governo deve chiedere - deve essere completamento rivisto nella direzione di un impegno finanziario diretto della famiglia nella ricerca di nuovi azionisti, nel coinvolgimento più diretto della stessa General Motors, mantenendo, però, in Italia i centri decisionali, i centri produttivi ed i centri di ricerca, per rilanciare il settore auto in Italia, in Europa e sui mercati mondiali (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Signor Presidente, sono stata educata ad un'idea della politica scandita da una serie di eventi temporali: il tempo della riflessione, il tempo dell'ascolto, il tempo della propaganda, il tempo della decisione ed il tempo dell'azione. Credo che oggi si consumi in questo dibattito in aula il tempo della decisione, di una decisione importante che riguarda le sorti del sistema produttivo del paese e che affronta, a partire dalla crisi del settore auto della FIAT, la responsabilità di un'azione di governo che deve cogliere, all'interno di questa crisi, l'opportunità di dire al paese quale idea di sviluppo ha e quale impegno si assume di fronte ad una grave crisi, di fronte alla vera, prima, grande e grave crisi che la FIAT ha vissuto nel corso degli anni.
Nel dibattito che si è svolto poc'anzi, molti colleghi del centrosinistra lo hanno ricordato: all'interno di questa crisi vi è la crisi di una strategia industriale, l'assenza di un piano presentato alle forze sociali ed a cui hanno risposto le grandi mobilitazioni di questi giorni, dal momento che in esso non si rinviene la credibilità di una ripresa degli investimenti e, soprattutto, vi è quasi la negazione dell'interesse da parte dell'azienda FIAT di reinvestire in termini di qualità e non solo di redditività per risolvere il problema del settore auto.
Del resto, sono anni che la stessa azienda ed i vertici aziendali hanno scelto di non investire in termini di qualità. Eppure, soprattutto all'interno delle fabbriche dell'indotto, nei settori della componentistica, oggi possiamo vantare, grazie anche all'apertura dei mercati internazionali, una grande capacità di innovazione tecnologica. Tuttavia, né le strategie aziendali e nemmeno l'insieme delle azioni, che pure la dovevano accompagnare, hanno fatto sì che vi fossero investimenti concreti e tangibili per legare e coniugare la qualità alla formazione, alla tecnologia, all'impegno sulla qualità vera con cui oggi si compete sui mercati mondiali e, in particolare, europei.
È una crisi vera quella della FIAT perché non vi è solo il problema delle perdite di questa azienda. Sarebbe assai grave che in un dibattito parlamentare ci limitassimo semplicemente ad analizzare il piano industriale ed a capirne i limiti già denunciati e non sapessimo coniugare a tale aspetto un problema ad esso strettamente connesso. La crisi dell'auto investe non solo la qualità delle strategie aziendali, ma chiama in causa anche un'idea dell'organizzazione del lavoro e della qualità della vita di chi dentro quelle fabbriche occupa la propria intelligenza e la propria professionalità. Si tratta degli uomini e delle donne in carne ed ossa che rappresentano la gran parte della forza lavoro della FIAT.
Vi è un altro punto all'interno di questa discussione che non ci convince. È vero, ieri vi è stato un segnale importante che ci permette oggi di discutere senza la spada di Damocle delle lettere di cassa integrazione per migliaia di lavoratori e la disperazione delle tante famiglie. Tuttavia, è inaccettabile e va assolutamente evitato che sulla vicenda della FIAT si innestino, ancora una volta, non visioni unitarie, ma diversi palliativi rispetto ai vari settori degli investimenti produttivi e degli stabilimenti della FIAT.
Signor Presidente, signor sottosegretario, sono stata eletta con il sistema proporzionale nella circoscrizione Lazio 2. In tale territorio vi è una vicenda che non è stata sotto i riflettori come tante altre. Mi riferisco allo stabilimento di Cassino che già negli anni ha subito processi di ristrutturazione e che si trova in un territorio che costituisce una cerniera tra le aree industrializzate ed il Mezzogiorno. Sarebbe interessante ricostruire la storia di questa azienda che parte dagli anni settanta e che per trent'anni ha visto le fasi storiche del ciclo, anche di crisi, della FIAT. Si è andati dai cosiddetti «metalmezzadri» ai protagonisti dei processi ad alta tecnologia e robotizzazione alla fine degli anni ottanta e dei processi di qualità totale alla fine degli anni novanta. Agli inizi del 2000, con il controllo rigido della riduzione dei costi per la competizione globale e, quindi, con la scomposizione del processo produttivo e con la terziarizzazione ed il decentramento, vi è stato il passaggio da una forma di azienda centralizzata e chiusa ad un sistema di aziende diffuse nel territorio.
Ebbene, lo stabilimento di Cassino, come gli stabilimenti di Termini Imerese, di Torino, di Arese, oggi vive tale situazione di incertezza sul proprio futuro non solo con dignità, ma volendo essere protagonista del rilancio di questi settori. Infatti, gli investimenti della FIAT hanno rappresentato e rappresentano oltre il 40 per cento del reddito di tale provincia. Se venisse meno un impegno di diversificazione e un'azione del Governo che non si occupi solo degli ammortizzatori sociali ma accompagni i processi con i quali costruire più occasioni di lavoro, il rischio della marginalità e dell'incertezza peserebbe come una clava sulla responsabilità politica che ci dobbiamo assumere tutti fino in fondo.
Vedete, colleghi, ho ancora davanti agli occhi, come altre colleghe del centrosinistra, un incontro straordinario con le donne di Termini Imerese. Non erano semplicemente le mogli degli operai che aspettavano con drammaticità quella situazione: la situazione di una cassa integrazione a zero ore, il rischio del licenziamento immediato. Vi era in quell'orgoglio ed in quella dignità la richiesta non solo di una difesa del posto di lavoro, ma
che a partire dal lavoro si costruissero nuovi diritti di cittadinanza, nuove possibilità di occupazione per non ritrovarsi, da qui a pochi mesi, magari con piani industriali fittizi, nella situazione in cui oggi affrontiamo la discussione.
Allora, è bene dire subito che non ci accontentiamo solo di politiche di ammortizzatori sociali, ma vogliamo che ci si impegni in una discussione sul tipo di tessuto produttivo con cui l'Italia oggi torna a competere in Europa.
Chiediamo inoltre che dal Governo provenga alle regioni interessate un'idea e che il Governo dimostri una capacità di tavolo negoziale che si occupi della rimessa in discussione di strumenti straordinari che possono in qualche modo riassumere eventuali processi di ristrutturazione.
Si crea lavoro se, ad esempio (soprattutto nelle zone del Mezzogiorno), i contratti d'area, la capacità di attuare politiche negoziali e di mettere al centro le università come elemento importante per la qualificazione e l'alta tecnologia diventano il terreno sul quale quell'insieme di strutture, delle quali la FIAT rappresenta un perno, garantisca ...
PRESIDENTE. Onorevole Amici, la invito a concludere.
SESA AMICI. ... anche i processi dell'integrazione con le piccole e medie imprese. Questo è l'obiettivo che dobbiamo perseguire e pertanto, pur salutando come importante e significativo l'incontro di ieri sera, tutti dobbiamo sapere che quello non può essere un elemento sul quale fermarci. Da esso dobbiamo ripartire per una discussione che sia vera, che presenti al paese una risoluzione altrettanto convinta e che offra alle donne e agli uomini di questo paese la certezza non solo di un posto di lavoro ma del diritto di pensare al proprio futuro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rosso. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROSSO. La crisi della FIAT non è di tipo congiunturale - lo abbiamo detto tutti - e quindi conseguenza della stagnazione del mercato europeo dell'automobile, che anzi è aumentato costantemente in questi cinque anni sia in Germania, sia in Spagna sia in Francia (mentre soltanto in Italia è calato purtroppo del 15 per cento), bensì di tipo strutturale, originata da una serie di errori strategici e gestionali, che hanno progressivamente minato la posizione di leadership europea che la FIAT aveva raggiunto nel dopoguerra e mantenuto a fatica anche nei terribili anni settanta.
Ancora agli inizi degli anni settanta, la FIAT controllava (o partecipava a costruire) fino al 35 per cento della produzione europea (contro il 4 per cento di oggi), attraverso Fiat, Seat, Simca, Zastava, Polski Fiat, Togliattigrad, Turkish Fiat, con partecipazioni dirette o produzioni su licenza. Torino era considerata la capitale dell'industria automobilistica europea e non vi era produttore automobilistico o Governo dei paesi in via di sviluppo che a Torino non ricorresse, per negoziare licenze con la FIAT oppure rapporti di collaborazione con i carrozzieri torinesi o la componentistica di settore.
Alla fine degli anni sessanta la FIAT aveva risorse finanziarie abbondanti e competenze tecniche eccellenti, tali da potersi porre l'obiettivo strategico di diventare il punto di aggregazione dell'industria europea dell'automobile (sembrano altri tempi, ma si tratta soltanto di trent'anni fa). Partì infatti alla conquista di Citroen, che non riuscì non solo per mancanza di determinazione, ma anche perché la contestazione iniziata nel 1968 distolse l'attenzione dalle problematiche strategiche, per concentrare l'impegno manageriale nell'affrontare le difficoltà quotidiane. Quella contestazione di tipo ideologico ebbe effetti nefasti negli anni settanta e minò la capacità di risposta dell'azienda sul piano delle sfide competitive internazionali.
Inoltre, la pressione a voler ad ogni costo trovare un nuovo modo di fare automobile enfatizzò l'aspetto manifatturiero,
spingendo l'azienda verso sistemi di produzione capital intensive, basati su automazioni molto costose e poco flessibili al cambio di modelli. Nel contempo una politica governativa che premiava l'investimento necessario e giusto nel Mezzogiorno con incentivi legati al capitale investito convinse l'azienda a trasferire al sud le localizzazioni produttive dei nuovi modelli, con gravi penalizzazioni però per le sedi produttive torinesi, dove non risultò più conveniente investire, determinando così la crisi di Rivalta e di Mirafiori di oggi e la destabilizzazione del più grande distretto industriale automobilistico europeo, ovvero quello di Torino.
Ma un errore manageriale ancora più rilevante è stato quello di non aver perseguito una politica di marketing che preservasse i valori dei marchi e li posizionasse correttamente sui segmenti di mercato ad essi più consoni, mantenendo una ben definita e distinta identità di marca, che consentisse di presidiare i vari segmenti di mercato. Invece i marchi Lancia od Alfa Romeo sono stati progressivamente appiattiti sul marchio FIAT, senza poter apportare quel contributo che era loro proprio, in termini di premium price rispetto al prodotto di base del corrispondente segmento di mercato. Fu questa una grave presunzione a cui il management FIAT non seppe sottrarsi. Ciò ha determinato la debole presenza dell'azienda nella parte alta di ciascun segmento, dove si realizzano i margini più elevati. Non si comprese che le piattaforme che debbono realizzare le comunanze per ridurre i costi andavano concepite a servizio dei marchi, e non viceversa, e che le differenziazioni di prodotto andavano attribuite ai marchi in relazione alla loro identità di marca.
Anche il Governo italiano ha le sue responsabilità: la vendita dell'Alfa Romeo alla FIAT (indipendentemente dal minor prezzo pagato rispetto a quello offerto dalla Ford) è stata un errore di politica industriale colossale.
I paesi dove esiste una forte industria automobilistica sono quelli dove è sempre esistita una sana concorrenza tra più produttori. La FIAT ha, di fatto, sempre evitato di confrontarsi in casa con altri produttori internazionali, facendo barriera ad un loro ingresso a produrre in Italia. Così ha evitato che la General Motors comprasse la Lancia e che la Ford comprasse l'Alfa Romeo, non sapendo poi essa stessa come valorizzare le aziende acquisite.
Ciò ha determinato un arretramento della capacità competitiva del suo stesso indotto. A quest'ultimo, poi, sono state offerte condizioni lontane dagli standard europei (ad esempio, i pagamenti a 120 giorni fine mese, data fattura, anziché i 60 giorni che offre l'industria europea). Questo sistema di pagamento riduce la necessità di capitale proprio, che ha sempre fatto comodo al suo azionista di riferimento per mantenere il controllo della società, ma ha indebolito la FIAT che, per pagare più a lungo, ha dovuto accettare anche di pagare più caro, con effetti deleteri sui margini.
La FIAT ha, inoltre, imboccato la strada perversa di drogare il mercato, che le è stata consentita dal Governo attraverso le rottamazioni incentivate, che non sono altro che un anticipo della domanda futura. Finito questo effetto la FIAT si è rifugiata in una prassi commerciale ancora più deleteria per il conto economico - lo ha riconosciuto anche l'attuale amministratore Boschetti a proposito del suo predecessore -, vale a dire quella delle «immatricolazioni a chilometraggio zero».
Rimane da chiedersi come sia stato possibile che una grande impresa, forte di indubbie capacità tecniche e professionali, con la disponibilità, nel distretto industriale di Torino, di uno dei più completi ed efficienti economici mercati della componentistica per autoveicoli, abbia potuto, negli ultimi 20 anni, ricevere denaro in così enormi quantità dalle casse dello Stato, con stabilimenti e investimenti nel Mezzogiorno d'Italia pagati dalle casse pubbliche e personale a metà costo grazie agli sgravi fiscali e contributivi e, ciononostante, anziché distruggere la competizione straniera, vedere ridurre ad un quarto l'originaria presenza sul mercato europeo. Così che, ancora nell'ultimo quadriennio
- dal 1997 al 2001 -, mentre la produzione di automobili è costantemente aumentata in Francia, in Germania e in Spagna, è invece scesa, in Italia, di oltre il 15 per cento.
La risposta può arrivarci da alcune scarne cifre: 12 mila sono stati i miliardi di lire che, in quest'ultimo decennio, la FIAT ha ottenuto dallo Stato come contributo alla produzione automobilistica e 12 mila miliardi di lire sono stati gli investimenti che il Gruppo ha fatto per acquistare partecipazioni in settori estranei a quello automobilistico.
Ciò ha avuto inevitabili riflessi sulla qualità dei prodotti: infatti, mentre gli investimenti contenuti in ogni veicolo leggero del gruppo FIAT è pari a 638 euro, la media di BMW, Mercedes e Volkswagen è pari a 1.634 euro, quasi tre volte tanto. Sembra di vedere, ad El Alamein, i nostri poveri carri armati contro quelli inglesi o tedeschi.
Da ultimo, una terza cifra: proprio nel momento in cui il mercato mostra di attribuire un premio crescente al marchio, la FIAT, nell'arco di un ventennio, ha profondamente svalorizzato il proprio alto di gamma, ricompreso nei marchi Lancia e Alfa Romeo, con ciò distruggendo notevoli quote di valore ove si pensi che, in Germania a parità di contenuti, la differenza di prezzo tra la berlina di 2 litri a più buon mercato (la Daewoo Nubira) e la più cara (la Mercedes 180 K) sale, tra il 1997 e il 2002, da 9.118 a 12.665 euro.
Per questo ha fatto bene il Governo a non chiudere più gli occhi sulle responsabilità del management aziendale, chiedendo finalmente di correlare la concessione di ammortizzatori sociali straordinari soltanto a fronte di precise garanzie per l'occupazione e per il rilancio produttivo, così da evitare gli episodi tristi e noti del passato, quali lo smantellamento della Lancia di Chivasso a pochi mesi dall'incasso «a babbo morto» dei contributi statali e, oggi, la chiusura dell'Alfa di Arese, dopo l'acquisizione di una somma enorme per realizzare in quell'ambito la nuova auto ecologica.
Tuttavia, finalmente, ha fatto altresì onore alla FIAT lo scatto d'orgoglio della sua rinnovata dirigenza che, prese le distanze dagli errori del passato, ha segnalato l'esatta portata degli investimenti necessari, accettando di affrontare l'enormità della sfida senza l'ipocrisia di questi ultimi anni.
Di entrambe le cose abbiamo vitale bisogno per salvare, con l'industria italiana dell'auto, un pezzo importante dell'intelligenza tecnologica e produttiva e della capacità di pensare e di innovare di tutta la nostra nazione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, anche noi salutiamo con soddisfazione questo nuovo incontro avvenuto tra la dirigenza FIAT e i responsabili dei ministeri interessati, per la riapertura sostanziale del tavolo di trattativa, al fine di rivedere al ribasso le eventuali casse integrazioni e ristrutturazioni richieste dall'azienda.
Come indichiamo anche nella nostra mozione, appoggiamo altresì il modo nuovo rispetto al passato, con cui la presente maggioranza sta affrontando questa nuova puntata della storia infinita del gruppo FIAT dal punto di vista industriale. Infatti, come è giusto che sia e come compete a chi ha la responsabilità di governare, il Governo sarà presente e, in qualche modo, interverrà per ridurre al minimo l'impatto sociale di quanto sta avvenendo nel gruppo FIAT; però, giustamente, chiederà in cambio ai responsabile dell'azienda di presentare un piano industriale che sia effettivamente realizzabile e che presenti una minima possibilità di riapertura in direzione di un futuro sviluppo industriale.
La storia della FIAT è veramente emblematica, dal punto di vista politico più che da quello industriale, della storia degli ultimi trent'anni del nostro paese. Come è stato appena ricordato, tra le due guerre e subito dopo la seconda guerra mondiale,
il gruppo FIAT era il riferimento europeo, quasi mondiale - si può dire -, per quanto riguarda la produzione delle automobili e costituiva il vanto dell'industria nazionale, rappresentando una percentuale significativa del prodotto nazionale e, soprattutto, della capacità industriale di imporsi sui mercati esteri. Passato quel periodo magico, la FIAT ha infilato una serie di errori industriali incredibili, ogni volta supportati dalle maggioranze del momento che, in ogni occasione, hanno peggiorato le scelte già sbagliate operate dalla dirigenza industriale.
Ricordiamo soltanto gli errori più clamorosi degli ultimi anni. Faccio riferimento, per esempio, alla volontà di diversificare, da un punto di vista finanziario, un gruppo che era prettamente operativo ed industriale nel vero senso del termine, drenando risorse proprio dalla produzione automobilistica verso il settore finanziario e verso tutti gli altri settori fra cui oggi è distribuita la galassia FIAT. Sono stati commessi errori strategici, come quello di andare sui mercati teoricamente favorevoli in futuro ma con grandi problemi di affidabilità, come il sud America. Verifichiamo oggi che fine abbiano fatto le produzioni del Brasile. Quanto all'espansione nell'est europeo, finché si è trattato di realizzare Togliattigrad in Unione Sovietica, ciò aveva un senso anche dal punto di vista industriale e politico; poi, l'espansione nei paesi dell'est, come la Polonia, ha abbassato non tanto i costi quanto la qualità del prodotto e l'immagine globale che negli anni l'azienda aveva saputo presentare ai propri utenti. Ricordo, inoltre, la volontà di rimanere nella fascia bassa della produzione industriale, per l'incapacità di investire e di attaccare i mercati con maggior profitto industriale.
Tutto ciò denota l'incapacità industriale di mettersi alla pari con i più grandi produttori europei che, al contrario, hanno abbandonato i prodotti più poveri, per concentrarsi soltanto sui prodotti di grande qualità, con ottimi risultati sia da un punto di vista industriale sia da un punto di vista economico-finanziario. Oggi il gruppo FIAT ha un problema molto semplice: produce automobili che non riesce a vendere. È vero che c'è una relativa crisi delle vendite nel settore automobilistico; tuttavia, negli altri paesi la situazione non è assolutamente così drammatica come nel nostro, in particolare in riferimento al gruppo nazionale. Oggi la FIAT produce soltanto auto di fascia bassa, in cui il prezzo deve necessariamente essere basso, la concorrenza dei paesi emergenti è spietata e il margine è praticamente inesistente.
PRESIDENTE. Onorevole Dario Galli, la invito a concludere.
DARIO GALLI. Nella fascia media, dove ha sempre avuto cavalli importanti, la FIAT è sostanzialmente assente. Gli ultimi modelli non hanno avuto alcun successo ed è completamente fuori dai mercati innovativi, come quelli dei fuoristrada, delle sport utility e di tutti i prodotti di nicchia, senza ricordare poi, come è già stato fatto, affari del passato che hanno fornito un'indicazione chiara di come i governi e le maggioranze del passato abbiamo sempre fatto di tutto meno che la politica industriale. Ricordo, uno per tutti, il caso dell'Alfa Romeo, con la distruzione del marchio della fabbrica di Arese, o l'affare Lancia, con la distruzione del marchio e della qualità che il prodotto deteneva in quel momento.
Concludendo, visto che il tempo è estremamente ridotto, il problema della FIAT non è un problema industriale, perché nei paesi europei avanzati, quali Francia e Germania, esiste una grande quantità di marche automobilistiche che hanno raggiunto ottimi risultati: Mercedes, BMW, Audi, Volkswagen, Porsche, Ford, Opel e tantissime altre.
Il problema è esclusivamente industriale e di capacità del management. Quindi, l'attuale Governo deve intervenire presso la FIAT, pretendere un piano industriale adeguato che sia effettivamente realizzabile e, in cambio di questo, adottare gli ammortizzatori sociali. Tuttavia, se da parte del gruppo torinese non vi sarà questa capacità di rilanciare l'azienda, lo
Stato dovrà intervenire direttamente e in maniera diversa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lumia, al quale ricordo che ha 9 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo ad un passaggio delicato per la vita industriale del nostro paese. Da come sapremo affrontare la grave crisi della FIAT emergerà un'Italia forte, innovativa, coesa e solidale, oppure verrà fuori l'antica «Italietta», piccola, divisa, pasticciona, furbetta e marginale nel sistema produttivo europeo e mondiale. I lavoratori e le organizzazioni sindacali hanno mostrato di avere la cultura giusta e l'approccio giusto alla crisi. Hanno avanzato proposte unitarie, capaci di non dividere il paese, in grado di rilanciare il settore auto a Termini Imerese, come a Melfi, a Torino, come a Cassino e in tutti gli altri stabilimenti presenti nel nostro paese. Hanno rifiutato il tranello degli ammortizzatori sociali, in altre parole, del contrattare la sconfitta: in particolare, la chiusura di Arese e di Termini Imerese ed il ridimensionamento della presenza della FIAT nel settore auto e della presenza complessiva del nostro paese nel settore industriale della produzione dell'auto. I lavoratori e le organizzazioni sindacali hanno chiesto da subito il tavolo industriale perché la crisi è industriale e perché su tale settore bisogna trovare le soluzioni adeguate e giuste. Con il loro impegno sono riusciti a aprire uno spiraglio, il risultato di ieri sera. Le organizzazioni sindacali e i lavoratori hanno bloccato la trappola della cassa integrazione guadagni ed hanno costretto la FIAT ed il Governo a stare seduti attorno ad un tavolo. Quindi, sono riusciti a mettere in discussione il piano industriale della FIAT, a svelare la vacuità della presenza del Governo, l'assenza di proposte serie e della capacità tempestiva di intervenire con autorevolezza e con argomenti.
A questo proposito, vorrei segnalare in modo particolare le straordinarie capacità che hanno dimostrato i lavoratori e le organizzazioni sindacali di Termini Imerese. Non penso di esagerare o di fare campanilismo sottolineandone le virtù. Hanno capito subito la portata della questione ed hanno protestato in modo davvero severo, ma civile. Hanno coinvolto tutti gli strati sociali presenti in Sicilia e a Termini Imerese ed hanno saputo creare un rapporto positivo con tutte le aziende dell'indotto. Inoltre, sono riusciti anche ad interloquire con altri stati sociali: pensiamo alle donne che con intelligenza, dignità e progettualità hanno avanzato proposte buone per tutti gli stabilimenti, dando così lezioni anche a chi voleva dividere e contrapporre fra di loro gli stabilimenti.
Invece, nello stesso tempo è stato evidenziato un atteggiamento sbagliato della FIAT, che in questi anni è stata ingannevole e non ha saputo investire adeguatamente nel settore auto: ha diversificato dove sono più facili i guadagni finanziari ed è stata incapace di produrre un piano industriale robusto, credibile, innovativo di rilancio per produrre e non di rilancio per vendere al miglior prezzo alla General Motors. Ieri la FIAT ha subito un primo stop e ha dovuto prendere atto che il piano industriale non è adatto al rilancio produttivo: adesso dovrà fare altro.
Innanzitutto dovrà dare un segnale di rilancio finanziario del settore auto, attraverso la dismissione dei gioielli di famiglia per abbattere i debiti ed avere più forza nel rapporto con le banche e la General Motors e diventare così, nello stesso tempo, più credibile nei confronti del mercato, più capace di rapportarsi con i lavoratori e le organizzazioni sindacali, più forte nell'intraprendere strade nuove per il settore auto che produce e sta in Europa con l'innovazione, con la testa, con il cuore e con le strategie.
La FIAT dovrà rivedere il piano industriale e dire chiaramente quali innovazioni di prodotto e di processo dovrà realizzare, come creare nuovi modelli, come prepararsi alle energie alternative e come allocare i nuovi modelli e le quote di produzione stabilimento per stabilimento. In particolare, dovrà saper indicare, in
modo molto concreto e meno generico di ieri sera, qual è il futuro dello stabilimento di Arese e di quello di Termini Imerese. Riguardo a Termini Imerese, dovrà contrattare con i lavoratori e con le organizzazioni sindacali, non solo la riorganizzazione di una linea produttiva con il rilancio della Punto, ma, sin da adesso, dovrà riuscire a localizzare un nuovo modello su cui impegnare la seconda linea e dare, quindi, una soluzione stabile, lunga, solida e non solo congiunturale e legata semplicemente allo sprazzo di qualche mese.
Anche il Governo non è stato all'altezza dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, si è trattato di un esecutivo scorretto in molti passaggi. Pensiamo agli incontri ad Arcore: come può un grande paese affrontare un tema così delicato e decisivo del suo passato, del suo presente e del suo futuro nell'ambito di un incontro personale tenuto in una casa privata? Si è trattato di un Governo pasticcione che ha avanzato proposte contraddittorie, spesso incredibili: dalla partecipazione del capitale pubblico alla esaltazione del libero mercato, sino alla proposta ridicola ed irrealizzabile di trasferire i lavoratori in esubero verso nuove professioni, come ad esempio quella di infermiere professionale. Il Governo ha lasciato molto spazio al tema della cassa integrazione, delle riconversioni produttive, arrivando in ritardo ed impreparato al tavolo della contrattazione.
Un Governo serio deve intervenire con proposte e risorse, così come è avvenuto in Francia ed in Germania, senza che questo abbia creato scandalo o interventi censori della Commissione europea.
Noi Democratici di sinistra abbiamo subito chiesto la costituzione di un tavolo, non presso il Ministero del lavoro, ma presso la struttura delle attività produttive. Abbiamo dato la nostra piena disponibilità a lavorare insieme con la maggioranza per affrontare con molto rigore la questione della crisi e trovare le soluzioni più adeguate. Non ci siamo limitati a questo: siamo stati sempre accanto ai lavoratori ed abbiamo anche avanzato delle proposte realizzabili. Abbiamo chiesto l'immediato blocco dell'attuazione del piano industriale della FIAT per la chiusura, in particolare, degli stabilimenti. Abbiamo anche chiesto di subordinare, come è scritto nella mozione, l'eventuale attivazione degli ammortizzatori sociali ad un piano industriale nuovo e credibile. Abbiamo anche chiesto al Governo di adoperarsi per evitare la chiusura degli stabilimenti di Arese e di Termini Imerese, opponendo un netto rifiuto alle proposte della cassa integrazione guadagni a zero ore e, nello stesso tempo, abbiamo avanzato delle proposte concrete per contribuire alla ricerca di una soluzione che assicuri la presenza industriale automobilistica in tali realtà, attraverso il mantenimento della produzione e con l'assegnazione immediata di nuovi modelli produttivi, da incentivare con adeguati strumenti della programmazione negoziata e con il coinvolgimento delle regioni interessate.
Queste proposte le abbiamo fatte valere chiedendo che il Parlamento sia coinvolto; quest'ultimo - ahimè - è arrivato un po' in ritardo, adesso deve senz'altro recuperare, discutere e confrontarsi e, domani, votare. Infatti, abbiamo bisogno di un voto per far recuperare al Governo una funzione più forte e più credibile per fare in modo che quel tavolo sia risolutivo ed in grado, realmente, di rilanciare la FIAT, di collocarla bene nel mercato europeo ed internazionale, affinché tutti gli stabilimenti, a partire da quello di Termini Imerese, abbiano un futuro produttivo e certo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi, che ha a disposizione cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, la vicenda FIAT rappresenta, per la storia di questa industria, per le dimensioni economiche in campo, per le ripercussioni sociali ed occupazionali, un problema di carattere nazionale.
È una crisi che viene da lontano, le cui motivazioni sono anche di carattere internazionale (la crisi del settore auto si è
manifestata in maniera più attenuata nel mondo occidentale ed in modo più pesante nei paesi in via di sviluppo, Polonia, Argentina e Turchia). Si tratta di un mercato saturo, con problemi di sovrapproduzione le cui cause sono però da rinvenirsi in elementi di carattere interno, tipicamente italiani. Queste motivazioni si riconducono, infatti, ad un capitalismo familiare che ha sbagliato, che si è adagiato, che ha fraternizzato in maniera talvolta errata con la politica. Sicuramente il gruppo della Lega nord Padania non è stato protagonista di questa stagione politica ed economica. Non eravamo intimi di certi salotti e senz'altro lo era di più una certa parte della sinistra e del mondo sindacale. Certamente frequentava di più i salotti torinesi della famiglia Agnelli il segretario dei Democratici di sinistra Fassino piuttosto che il segretario della Lega Umberto Bossi.
Questo è il motivo per cui l'impostazione data alla discussione che mette sul banco degli imputati l'attuale Governo di centrodestra non ci vede assolutamente concordi. Il Governo (l'accordo di ieri sera, che ha previsto ancora dieci giorni di tempo per ridiscutere il piano industriale, ne è la prova più lampante) è un alleato dei lavoratori. Tutte le forze parlamentari sono alleate dei lavoratori in questo difficile momento economico e sociale. Non vi sono schieramenti diversi, non vi è chi è a favore dei lavoratori né chi non lo è: questo è il messaggio che vogliamo lanciare in maniera chiara e precisa. Non vi sono più tabù ideologici.
La mozione dei Democratici di sinistra esclude, ad esempio, a priori ipotesi di acquisizione da parte dello Stato del capitale FIAT o addirittura si preoccupa, come sottolineava il collega Tabacci, del rientro, dell'esposizione del sistema bancario a posizioni di liberismo estremo, così potremmo definirlo, di un liberismo di altri tempi che non trova nemmeno concordanza nello schieramento di centrosinistra perché le posizioni del gruppo di Rifondazione, ma anche di un'ampia fetta del mondo sindacale, sicuramente non sono su questa linea.
Pertanto, occorre ragionare a tutto campo - noi sicuramente lo faremo - sul dibattito tra pubblico e privato, anche con riferimento alla stagione di privatizzazione che ha dato risultati non aspettati (in alcuni campi è stata anche fallimentare).
Sicuramente il nostro gruppo ragionerà al riguardo a tutto campo per individuare le migliori soluzioni e fornire una risposta sia dal punto di vista occupazionale, sia dal punto di vista delle prospettive e del rilancio industriale di un settore che è fondamentale per il nostro paese. Pertanto, la nostra azione si esplicherà su alcune linee direttive.
Il problema non è solo di Termini Imerese: esiste anche la questione di Arese, di Mirafiori, della zona torinese. Pertanto, il problema della FIAT dev'essere valutato, dal punto vista geografico, nella sua interezza.
La situazione occupazionale, ovviamente, colpisce direttamente i lavoratori della FIAT, ma ancor più direttamente i lavoratori dell'indotto. Migliaia di piccole e medie imprese, talvolta di piccole industrie e di artigianato, si ritrovano alle prese con una crisi devastante.
Nella mozione comune del centrodestra abbiamo voluto sottolineare l'attenzione che il sistema bancario deve dimostrare nei confronti delle piccole e medie imprese le quali, spesso e volentieri, vengono strozzate dal sistema bancario stesso, sempre pronto a finanziare operazioni di scalate finanziarie che, spesso, non raggiungono i risultati sperati e capace talvolta di mettere alle corde il sistema produttivo più vivace e più capace di creare occupazione.
Attenzione quindi ai lavoratori della Fiat e a quelli di tutte le categorie. Il nostro Governo, che ha anche una visione interclassista, sa che oltre al problema degli operai della FIAT vi sono altre situazioni difficili in cui migliaia di operai avvertono problemi di tale tipo.
Si tratta dunque di un piano industriale (ovviamente i piani industriali non competono al Governo, né al Parlamento, ma all'industria, alla FIAT) che deve prevedere una cosa molto semplice (è un po' l'uovo di Colombo ma deve essere previsto):
una produzione di automobili che siano vendibili, appetibili sul mercato e concorrenziali dal punto di vista della sicurezza, del prezzo e del design. Questa è l'unica via per rimanere competitivi su un mercato complesso come quello dell'auto (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le notizie di ieri ci dicono di una momentanea sospensione per quanto riguarda la procedura finalizzata all'adozione della cassa integrazione straordinaria e, finalmente, dell'avvio di un tavolo di trattativa presso il Ministero delle attività produttive. Segno che quando i lavoratori sono uniti ottengono risultati: l'unità sindacale paga! Anche la politica, con i sindacati uniti, può fare meglio il proprio mestiere. Per fare meglio il proprio mestiere la politica oggi non può mostrarsi appagata di fronte alla disponibilità del gruppo FIAT a rivedere una parte del piano di riduzione del personale, perché ciò non è accompagnato ancora da un vero e proprio piano industriale, da un progetto credibile di risanamento e rilancio della produzione dell'auto in Italia e, nemmeno, da un netto impegno del Governo.
La politica dunque deve occuparsi di una crisi gravissima del comparto auto che genera allarme sociale, serie difficoltà e forti disagi in moltissime famiglie, gravi sofferenze sul piano occupazionale, le quali sono però l'esito di una cattiva gestione del gruppo FIAT, l'esito visibile del crepuscolo del capitalismo familiare italiano, di una malattia del sistema industriale del nostro paese, che occorre curare rapidamente perché non dilaghi.
Sono queste le cause che vanno aggredite, i dati strutturali che vanno radicalmente cambiati. Dire ciò non è irresponsabile propaganda, ma responsabile richiamo al fatto che la crisi dell'auto trascina con sé in tutto il paese la messa in pericolo di migliaia di posti di lavoro dell'industria italiana dell'indotto e che coinvolge migliaia di lavoratori che vanno tutelati, al pari di quelli dei grandi stabilimenti.
Si prospetta la possibile chiusura di centinaia di piccole aziende dell'indotto o un loro ridimensionamento; aziende che rappresentano l'ossatura del sistema produttivo diffuso e che vanno accompagnate con adeguate misure e non abbandonate a se stesse nella crisi. Lo ha detto l'indagine conoscitiva, lo dicono le cifre: il settore dell'auto occupa un milione e mezzo di lavoratori, 190 mila nella sola componentistica, 380 mila nella distribuzione e nella vendita.
Il settore dell'auto genera peraltro il 15 per cento del complesso della ricerca applicata nel nostro paese. Proprio ieri il nuovo rettore del politecnico di Milano, all'apertura dell'anno accademico, ci ha voluto dire del rapporto vitale della ricerca, anche universitaria, con il territorio, senza il quale la vita dei nostri atenei rischia l'impoverimento e gli sbocchi occupazionali per i giovani laureati decrescono. È del tutto evidente che senza l'Alfa Romeo a Milano, ad esempio, anche il riferimento territoriale della ricerca sarà più lontano e minor forza avrà la ricerca per l'utilizzo di nuove tecnologie e delle energie alternative a basso impatto ambientale, la ricerca per la produzione dell'auto ecologica oppure quella per la realizzazione eventuale di un polo dell'auto sportiva italiana che includa anche l'Alfa Romeo.
Il mantenimento della ricerca e della produzione dell'auto nel polo ecologico a Milano è una questione strategica per l'Italia. Non è soltanto una questione di posti di lavoro da preservare, posta sotto una luce magari localistica e di pura rivendicazione territoriale. Ai faciloni come ai prevenuti, che ne fanno soltanto una questione di disponibilità di posti di lavoro nell'area milanese e in quella del nord d'Italia, di contro all'assenza di sbocchi occupazionali in quella siciliana o meridionale, dico che affondando Arese non si salverà nemmeno Termini Imerese
perché è del tutto evidente che diminuirà la competitività complessiva del sistema.
Questa è la consapevolezza con la quale operai, impiegati e tecnici di Arese lottano in questi giorni. Non vi riuscirà di contrapporli ai colleghi siciliani, signori del Governo, così come non vi riesce di contrapporli agli altri lavoratori del gruppo, oggi tutti solidali a manifestare in piazza per il futuro del lavoro e dell'industria italiana.
Oggi, dunque, sono stati fermati gli orologi per dare corso alla trattativa sindacale. Spero sia chiaro a tutti che gli orologi vanno fermati anche per riflettere e fare chiarezza sul futuro di tutto il gruppo FIAT. FIAT non è solo auto, è anche energia, e gli orologi vanno fermati per impedire che il futuro riservi all'Italia la svendita del monopolio dell'auto a General Motors e del primo gruppo privato nella produzione di energia a Electricité de France.
Anche le banche hanno una loro specifica missione da compiere, se non come quella alla tedesca di inclusione nella diretta gestione delle aziende, ma certo è che possono, anzi, devono contribuire ad uscire da un'intricata situazione finanziaria del gruppo, accompagnando FIAT verso un ben congegnato aumento di capitale che attragga nuove risorse finanziarie ed una oculata cessione di attività non strategiche, come Toro e FIAT Avio, che liberi risorse, risorse fresche, utilizzabili nel piano industriale di rilancio. Così per le auto potranno essere messe in campo nuove risorse da impiegare per un più robusto piano industriale e per costruire un quadro certo, entro il quale anche l'uso degli ammortizzatori sociali risulti finalizzato a nuova occupazione e le regioni e gli enti locali possano svolgere il loro ruolo istituzionale e di programmazione territoriale.
Naturalmente, questi ruoli non possono riconoscersi credibilmente nella proposta del sindaco di Milano, il quale, anziché assumersi un più diretto impegno per il futuro dell'Alfa nell'area milanese, propone, da amministratore di condominio quale è, ai futuri possibili disoccupati di Arese nuovi 500 posti di tassisti (peraltro al momento non disponibili). Né l'impegno della regione Lombardia può limitarsi a prefigurare l'utilizzo dell'area dismessa, come ha fatto con grande incuria sinora l'assessorato regionale alle attività produttive lombardo, trattando l'Alfa e la crisi Alfa - l'ha detto anche durante un'audizione tenutasi a luglio in Commissione attività produttive - come una non priorità, salvo riconversioni dell'ultima ora del presidente Formigoni, accorso in ritardo a promettere interessamento.
Infine - ma non perché meno importante - gli orologi vanno fermati per un'adeguata riflessione che riguardi il Governo. Il Governo non può atteggiarsi a semplice osservatore, non può non adottare tutte le necessarie misure che impegnino in modo significativo anche il bilancio statale. Non si legge nulla di tutto ciò, nella legge finanziaria, che riguardi, ad esempio, il settore dell'automobile italiana.
Dal Governo nazionale, invece, possono e devono essere reperite altre importanti risorse, non già per prevedere partecipazioni dirette dello Stato al capitale azionario, ma per contribuire con tutti gli altri soggetti - azienda, lavoratori, banche, enti locali - a dare un futuro all'auto italiana, in Europa e nel mondo. Solo così, con il rilancio dell'auto italiana, anche gli stabilimenti di Termini Imerese e Alfa di Arese potranno essere salvati (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lion. Ne ha facoltà.
MARCO LION. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando quattro anni fa venne varata la rottamazione dei veicoli non catalitici, i denigratori lo definirono un aiuto indiretto alla FIAT per aggirare i divieti comunitari. Tra gli stessi Verdi e gli ambientalisti si aprì un acceso dibattito sull'opportunità del provvedimento che, comunque, avrebbe potuto rappresentare un'operazione tesa a rinnovare un parco auto inquinante e obsoleto. In ogni caso, di
quel finanziamento ebbero i frutti molte aziende automobilistiche e non soltanto l'azienda italiana che, anzi - purtroppo -, non seppe sfruttare al meglio quell'opportunità.
Venendo in aula oggi, tutti noi abbiamo attraversato le vie di questa città intasata dal traffico. Abbiamo tutti visto accanto ai marciapiedi - e talvolta anche sopra - che ogni centimetro è occupato dalle auto in sosta, benché siamo in una zona a traffico limitato.
Quando ci spostiamo da una parte all'altra del nostro paese, restiamo intasati nelle strade e nelle autostrade. Tutto questo lo vediamo, ma non tutti siamo disposti a comprenderne il significato. Nelle nostre città il livello di inquinamento è al limite del massimo consentito dalla legge - che sappiamo già essere elevato - e spesso i sindaci delle grandi città sono costretti a vietare la circolazione fin quando una pioggia provvidenziale trasferisce l'inquinamento dall'aria che respiriamo alla nostra terra.
Non è necessario essere dei grandi economisti per capire che le vendite di automobili hanno raggiunto un picco dal quale il mercato è sceso e continuerà a scendere, magari con episodici periodi di ripresa, e non sarà sufficiente il turnover del parco autoveicoli perché non tutte le famiglie sono disposte a spendere migliaia di euro ogni anno per cambiare la macchina.
Tutto questo era chiaro anni fa e bastava guardarsi intorno per capire. Eppure, i vertici della FIAT, negli ultimi anni, non hanno saputo far altro che incamerare facili guadagni nel periodo della rottamazione e in altri periodi senza fare per tempo un serio piano industriale di riconversione. Ed eccoci qui, oggi, a discutere di una prevedibile crisi che si sta trasformando in drammatica emergenza sociale. Da anni noi, deputati dei Verdi, ci sgoliamo per chiedere investimenti e ricerca nel settore della mobilità sostenibile perché siamo convinti che non si risolve il problema del traffico solo aumentando le corsie autostradali né quello dell'inquinamento aumentando i livelli massimi di tossicità. Esistono tecnologie innovative, esiste la concreta possibilità di creare motori con combustibili meno inquinanti e più facilmente reperibili: il motore all'idrogeno, per esempio, di cui la FIAT è a conoscenza e sul quale ha anche dei progetti interessanti ma su cui è drammaticamente indietro rispetto ad altre case automobilistiche, ad esempio europee.
La FIAT non investe seriamente nella ricerca e nell'innovazione dai tempi del suo ultimo prodotto di successo, la Punto. L'unico obiettivo che ha saputo perseguire è stato quello di ridurre i costi del personale, trasferendo alcuni importanti impianti di produzione in paesi dove la manodopera costa meno. Quando un'azienda non sa fare altre innovazioni se non quella di ridurre il costo della paga degli operai vuol dire che ha scelto chiaramente una strada minimalista. Non crediamo di essere di fronte ad un periodo di crisi. Oggi, stiamo affrontando la crisi del settore automobilistico...
PRESIDENTE. Onorevole Lion...
MARCO LION. ...i cui epigoni non sono tutti conosciuti e il cui epilogo finirà per essere la tragedia di migliaia di famiglie di operai. Rispetto a questo, rispetto ai piani della FIAT, a quanto ci ha proposto, chiediamo che, prima di intervenire con ammortizzatori sociali e prima di applicare misure devastanti di riduzione del personale, i lavoratori della FIAT siano, in primo luogo, coinvolti con un piano di solidarietà, sulla falsariga, magari, di quello utilizzato dalla Volkswagen nel periodo di crisi del mercato tedesco, con una riduzione delle ore di lavoro e degli stipendi di tutti pur di mantenere impiegata la stessa forza lavoro. Siamo convinti, in conclusione, che la ristrutturazione dovrà prevedere una seria riconversione che tenga conto, non solo dei profondi cambiamenti del mercato automobilistico, ma anche di una prospettiva di cambiamento della concezione stessa di mobilità (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
Chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto
stenografico della seduta odierna delle considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza autorizza la pubblicazione sulla base dei consueti criteri.
È iscritto a parlare l'onorevole Nicolosi, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a sua disposizione. Ne ha facoltà.
NICOLÒ NICOLOSI. Signor Presidente, l'esito dell'incontro di ieri sera tra Governo, proprietà e sindacati rende meno drammatica la discussione odierna e consente di guardare con qualche speranza a ciò che accadrà nei prossimi giorni fino al 5 dicembre.
Aver stabilito che gli operai di Arese e di Termini Imerese - sia coloro che la FIAT aveva indicato per la cassa integrazione sia coloro che appartengono a strutture che la stessa azienda torinese aveva stabilito di chiudere - potranno rientrare in fabbrica è già un elemento che dà qualche conforto.
Personalmente (ma, credo, anche tanti di noi), non avrei auspicato la chiusura - che è stata evitata -, in particolare, dei due stabilimenti di Arese e di Termini Imerese, ma, magari, soluzioni che, comportando anche una riduzione del lavoro, avessero, nel contempo, potuto agevolare riconversioni o, comunque, adeguamenti di questi stabilimenti.
Tuttavia, siamo più speranzosi. Vorremmo, però, che il rientro dei lavoratori, di cui si parla nella mozione che abbiamo sottoscritto e condiviso, a prima firma del collega Elio Vito, avvenisse presto e, comunque, non certamente fra un anno (come assumeva la FIAT) né fra sei mesi; possibilmente, almeno per lo stabilimento di Termini Imerese, il rientro dovrebbe avvenire fra tre o quattro mesi al massimo. Mi scuseranno, gli amici della Lega nord Padania se faccio una differenza tra Termini Imerese e Arese e Mirafiori, ma, se è vero che l'onorevole Pagliarini, qualche giorno fa, intervenendo sul disegno di legge finanziaria, ponendo in rilievo l'importanza, il valore ed i contenuti dello statuto speciale siciliano, ha affermato che ce lo invidiava, è altrettanto vero che io invidio le autostrade, i porti, le ferrovie, i treni veloci e tutte le infrastrutture esistenti nel centronord, che, purtroppo, non esistono nel centrosud.
È per questo che, al di là delle analisi, fatte in quest'aula dai colleghi Rosso e Tabacci, circa la validità delle iniziative della FIAT per un rilancio del settore industriale automobilistico in Italia, giudico rilevanti, in questo momento, le cosiddette ricadute sociali, accompagnate, certo, da un rilancio del settore. Ritengo importante anche quel capoverso della predetta mozione Elio Vito n. 1-00030 in cui si parla dell'esigenza di migliorare le infrastrutture in Sicilia.
Di fronte ad una crisi come quella che stiamo vivendo nelle aree del sud, bisogna fare in modo che essa non si trasformi in una tragedia sociale ed occorre avere la consapevolezza che si tratta di una difficoltà tipica delle nazioni industriali mature, da risolvere, pertanto, con interventi specifici o con le alternative esistenti in loco. Se a Termini dovesse verificarsi ciò che la FIAT ha minacciato per un certo periodo, circa diecimila famiglie, tra dipendenti, indotto e commercianti, patirebbero una crisi nera che, invece, va assolutamente evitata, in particolare con gli interventi che si preannunciano possibili dopo la netta e rilevante presa di posizione di ieri sera del Governo, di cui ha dato conto il Vicepresidente del Consiglio Fini.
Ad ogni modo, questo è il nostro auspicio. A taluno, il Governo può essere sembrato, talvolta, incerto o non significativamente deciso, ma a noi esso è sempre apparso consapevole della gravità della crisi. Mi pare che adesso si stia imboccando la strada giusta per dare una soluzione adeguata ad un problema molto grave, in particolare, per le aree del Mezzogiorno.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Nicolosi.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia, al quale ricordo che dispone di quattro minuti. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che quanto è accaduto ieri sera - lo ricordava, poco fa, il collega Nicolosi - sia importante, per il semplice motivo che le parti sociali, il sindacato, il Governo ed il Parlamento hanno cominciato a discutere in modo sereno, ma forte, della crisi della FIAT e delle sue conseguenze sull'economia nazionale.
Debbo sottolineare, però, che la sospensione della procedura di cassa integrazione a zero ore certamente non ci pone nella condizione di avere un quadro chiaro della situazione con riferimento, più in generale, alla riapertura dello stabilimento di Termini Imerese (come di quello di Arese). Mi pongo un problema e lo pongo a voi con altrettanta onestà e responsabilità: è possibile concordare la cassa integrazione a zero ore per sei mesi per Termini Imerese, chiudere lo stabilimento per tale periodo e, poi, pensare di riaprirlo? La risposta è implicita: se chiuderà per sei mesi, questo stabilimento chiuderà definitivamente i battenti in quell'area! Così dicasi per lo stabilimento di Arese.
È per questo che, con ferma convinzione, riteniamo che il piano industriale della FIAT debba essere rivisto nella sua interezza: il settore dell'auto è importante per l'economia nazionale e per l'immagine internazionale di questo paese.
Certamente un settore dell'auto non può essere ridimensionato, come il piano FIAT prevede, ma deve essere implementato, deve essere rideterminato, si deve costruire una condizione di sviluppo complessivo all'interno di questo paese. Quindi, noi abbiamo la convinzione che bisogna confrontarsi sempre di più con la FIAT, per comprendere gli sbagli che questo management ha compiuto, gli sbagli sulle scelte di marketing, gli sbagli sulla commercializzazione e gli sbagli sulle questioni della qualità.
Credo non si possano addebitare ai lavoratori della FIAT, come si faceva qualche tempo fa, le inefficienze di questo stabilimento. Oggi i livelli di produttività negli stabilimenti FIAT sono elevati, oggi i costi di produzione si sono abbassati notevolmente e, quindi, se vi è una crisi profonda di questa realtà, questa è semplicemente da addebitare al management della FIAT, che ha sbagliato nelle scelte e soprattutto non ha creduto. Anche questo io credo che bisogna sottolineare con fermezza, con convinzione: la FIAT è stata assistita negli anni passati, ma, nel momento in cui si è liberalizzato il mercato, nel momento in cui bisognava concorrere con le altre case automobilistiche a livello europeo e internazionale, non ha avuto la capacità di competere, non ha avuto la capacità di affrontare con responsabilità le condizioni di un mercato più generale.
Quindi, oggi, si vuol far pagare questa crisi ai lavoratori dipendenti del Mezzogiorno e del nord. Noi riteniamo, invece, che bisogna fare in modo che questa crisi del settore auto - essendo il settore auto un settore strategico per le politiche industriali di questo paese - debba essere rilanciato fortemente, con le iniziative che debbono essere prese anche da questo Governo.
Noi socialisti democratici italiani presenteremo una mozione chiara perché si discuta delle politiche industriali di questo paese, perché questo paese non ha alcuna politica industriale. Dopo la FIAT vi saranno altri settori che entreranno in crisi, dopo la FIAT entreranno in crisi altri sistemi, come probabilmente l'IVECO, che comunque è una questione che riguarda la FIAT. Per questo io credo che abbiamo la forte necessità di discutere della politica industriale di questo paese, e questa discussione dobbiamo farla in questo Assemblea se vogliamo fare in modo che questo paese cresca, se vogliamo fare in modo che questo paese abbia un respiro a livello europeo e a livello internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario di Stato, cosa stiamo celebrando questa sera? Dai toni dei colleghi sembra
che questo Parlamento, in qualche modo, celebri un rito. La discussione della FIAT assume quindi in questa Assemblea i caratteri di un rito e il rito parla della storia, parla dei sentimenti. Quando parliamo della FIAT parliamo della storia di tutti noi, parliamo della storia dei nostri genitori, dei ricordi, dei loro incontri, delle fotografie, parliamo dei sentimenti di una Italia il cui livello economico si stava innalzando (di questo la FIAT è stato il simbolo). Quindi, credo che questo Parlamento, con questo rito, dimostri chiaramente che crediamo fortemente nel valore della FIAT, crediamo fortemente nel valore strategico della FIAT. Questo Governo ha dimostrato sempre, forse in passato in modo acritico, adesso credo in modo più puntuale, di credere nella presenza strategica, nel sistema paese, di una linea di produzione, di una linea manageriale, decisionale e di ricerca nel paese. Ma chi altri ci crede? Forse i primi a non crederci in FIAT sono gli stessi proprietari. Purtroppo è una famiglia che invecchia, come questo paese.
Forse non ci credeva quando, si diceva, procedeva ad una diversificazione, forse abbandonando le energie più giovani e la capacità propulsiva, ideativa nell'auto; comprava Italenergia e si diversificava su Montedison. Forse, allora, come giustamente ricordava qualche collega, qualcun altro, che, sicuramente, era tenuto a credere in questo paese, avrebbe dovuto vigilare quando le parole di Bankitalia sono risuonate, forse timidamente e senza eco, sui giornali dichiarando che «forse il piano di acquisizione di FIAT delle banche di Montedison non era così chiaro, era sovraesposto». Ah! Ma questo non è semplicemente un sasso, è un macigno che viene gettato nello stagno economico-finanziario! Forse, quindi, non ci credevano neanche le banche.
Vedo, con un certo stupore, che nella mozione dei colleghi della sinistra, si parla di diminuire il livello di rischio del sistema bancario; ebbene qui c'è qualcuno - mi sembra evidente - che vuole mettere le mani sui gioielli di famiglia, magari a poco prezzo. Mi farebbe piacere e avrebbe fatto piacere a tutti poter vedere, magari, i patti parasociertari. Se deve esserci una corresponsabilità nel mantenere la FIAT deve esserci a partire dal Governo, passando per la famiglia, fino alle linee creditizie e bancarie. Troppo comodo privatizzare le perdite e tenersi gli utili!
Ma vorremmo spezzare una lancia a favore di un'altra categoria, oltre ai lavoratori, che ci crede ed è costretta a crederci: le piccole e medie imprese: 7.386 ditte in Italia, di cui 1.460 hanno a che fare con l'indotto FIAT, 9 mila posti di lavoro a rischio nel Piemonte, 900 in Lombardia, un settore che ha una propria capacità di esportazione forte (solamente in Piemonte quasi quattro miliardi di euro). Chi penserà alle piccole e medie imprese? La piccola e media impresa non ha strumenti, non ha grandi banche che chiudono un occhio o tutti e due e non può attivare la cassa integrazione guadagni straordinaria.
Per questo l'invito che sale forte da questo Parlamento e dal cuore del paese e del popolo italiano è di credere in questa FIAT, credere in un futuro strategico per l'automobile in questo paese e di non abbandonare le piccole e medie imprese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione.
STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la crisi del settore industriale in Italia è un ulteriore punto di debolezza del nostro sistema produttivo, un allarme consistente che segna il graduale, inesorabile deperimento della consistenza economica del nostro paese, della sua competitività, della sua capacità di reagire alle crisi dei settori produttivi; segna, in buona sostanza, con la gravissima crisi della FIAT, un irreversibile declino del Mezzogiorno, delle sue potenzialità e si coniuga con una pesante, elevata tensione sociale aggravata dal permanere di mai cessate scorribande della criminalità mafiosa ed organizzata.
La mozione di cui sono firmatario va in direzione di una richiesta forte al Governo
perché esca da questo atteggiamento di certezza, quasi rassegnazione, di debolezza. Non bastano le decisioni assunte ieri per dare certezza ai lavoratori FIAT, occorre una definitiva archiviazione del piano presentato dalla FIAT che porterebbe, inesorabilmente, alla chiusura degli stabilimenti; occorre un nuovo piano che dia certezze ai lavoratori, al mondo dell'indotto, con un dignitoso atto di responsabilità dei vertici aziendali.
L'Italia, in una grave fase di incertezza economica e sociale, non può tollerare la chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese e di Arese. Sarebbe un colpo mortale ad un paese che vede riproposte tutte le gravi patologie che bloccano i processi di crescita di una comunità, con tutti gli indicatori in negativo, a conferma di una deriva di cui la vicenda FIAT è la spia preoccupante ed anticipatrice di nuove ed irreversibili crisi nel mondo produttivo.
Auspichiamo, pertanto, il mantenimento della produzione, la non attivazione della cassa integrazione, l'avvio di nuovi modelli con lo strumento della programmazione negoziata, una nuova concertazione con le organizzazioni sindacali, il varo di nuove misure incentivanti, il conseguente aumento di capitali con il coinvolgimento delle banche creditrici, misure finanziarie di sostegno volte a favorire i processi produttivi per fornire alla FIAT risorse necessarie per il suo rilancio, la riduzione delle esposizioni bancarie per l'avvio di un vero e proprio piano di risanamento economico (un piano di dismissioni preparato dagli azionisti).
Ciò che più emerge da questa vicenda è il livello altissimo di responsabilità dei lavoratori, i quali hanno espresso compostamente e dignitosamente la loro rabbia, la loro tragedia umana, con manifestazioni che, per la loro forza la loro civiltà, hanno risvegliato l'attenzione del Governo e reso l'Italia l'azione dei partiti di centrosinistra, i quali hanno posto al centro della loro iniziativa la vertenza FIAT come vertenza nazionale, per salvare l'Italia da un irreversibile declino, per rilanciare l'azienda FIAT con un grande sforzo di ricerca e di innovazione insieme, al fine di collocare l'azienda definitivamente nel grande solco della sua migliore tradizione.
Saremo vigili come UDEUR-Popolari per l'Europa e non permetteremo che Termini Imerese sia sacrificata sull'altare di nuove, sciagurate politiche aziendali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.
GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli anni ottanta il paese commise alcuni errori. Vennero concentrati i marchi nazionali in una sola mano - fu un errore dell'IRI cedere l'Alfa Romeo alla FIAT -, vennero dismessi da parte del gruppo FIAT marchi buoni come SEAT: insomma, FIAT divenne l'unico produttore europeo senza concorrenti nazionali.
Ritengo che anche negli anni novanta si siano continuate a compiere scelte sbagliate da parte dei governi, anche di quelli di centrosinistra. Si continuò infatti sulla via dei sussidi e dei sostegni verso un'azienda privata tenuta in vita da una fortissima incentivazione pubblica che ha provocato distorsioni evidenti nel mercato.
L'assenza di concorrenti nazionali ha poi privato l'azienda di quel dinamismo e di quella capacità che altre aziende europee hanno dimostrato. Un libero mercato con concorrenti dinamici permetteva di innovare, di investire, di innovare il prodotto: oggi, la crisi della FIAT è sostanzialmente una crisi di prodotto.
Gli ecoincentivi ed alcuni primi provvedimenti da parte di questo Governo sono un'aspirina - certamente li riteniamo provvedimenti positivi per quanto riguarda la qualità dell'ambiente o per svecchiare il parco auto -, ma si tratta sostanzialmente di un'aspirina per quanto concerne il grande gruppo industriale di cui ci stiamo occupando.
Tuttavia, non v'è dubbio che siamo di fronte ad un problema di salvaguardia di un capitale umano e di un patrimonio tecnologico, a seguito degli errori e delle inadeguatezze dei governi del passato.
Oggi abbiamo un problema, consistente appunto nel salvaguardare tale capitale
umano e tale patrimonio tecnologico. Quindi, dobbiamo essere in grado di mettere in campo le scelte giuste. Purtroppo, da questo punto di vista, non vediamo un protagonismo del Governo teso ad aiutare l'azienda per costruire un piano industriale che non sia solo il sottoprodotto di scambi politici, bensì un piano industriale che permetta di conservare nel paese la produzione automobilistica, così come il grande patrimonio e il capitale umano con essa.
Sono stato eletto in una città e rappresento i cittadini torinesi ed un'area metropolitana che oggi possiede risorse per candidarsi a diventare un luogo di produzioni plurali. Già oggi il nostro tessuto industriale, mi riferisco all'indotto, non è più completamente dipendente dal gruppo FIAT, ma vede una presenza attiva di partnership strategiche, anche maggioritarie, con i produttori europei e mondiali. Ecco, allora, il piano industriale che dobbiamo favorire come Governo e come Parlamento: dobbiamo puntare alla creazione di un polo europeo dell'auto.
Riteniamo che debbano essere anticipati i tempi dell'integrazione fra FIAT, Opel e General Motors ed i nuovi modelli (considerato che si tratta di risollevare l'azienda da una crisi di prodotto) devono essere già figli di questa alleanza.
Nella legge finanziaria per il 2003 vorremmo rinvenire risorse adeguate, ma purtroppo troviamo uno scarso riscontro. Vi è un problema di aree, che oggi rischiano di diventare a forte declino industriale ed a forte depressione, nelle quali va incentivato lo sviluppo. Pensiamo, quindi, a risorse adeguate nel fondo unico aree depresse, ai contratti d'area, a bandi speciali in base alla legge n. 488, nei settori in cui gli esuberi sono più pesanti e pensiamo di favorire la localizzazione di altre imprese nelle aree territoriali colpite dalla crisi. Non mi riferisco soltanto all'area torinese ma anche alle aree della Basilicata ed a quelle siciliane.
Riteniamo vadano costruite politiche attive per promuovere l'Italia come produttore pluralistico. Pensiamo al caso del marchio automobilistico Toyota. La Toyota, dieci anni fa, cercava di localizzare una quarta fabbrica e trovò in questo paese forme di ostracismo e di ostruzionismo. Pertanto andò a localizzarsi oltralpe, dove i governi francesi crearono condizioni favorevoli per lo sviluppo di quell'impresa. Pertanto, dobbiamo riprendere una politica industriale, a partire dal grande capitale umano e dal grande patrimonio tecnologico esistente nel nostro paese. È un paese in cui vi sono i più grandi designer del mondo, in cui vi è forza lavoro specializzata e in cui vi è oramai un indotto autonomo e qualificato. Pertanto, ci attenderemmo da questo Governo politiche industriali attive, in grado di attrarre investimenti e nuove imprese.
Concludo le mie riflessioni con un'ultima battuta, anche con riferimento alla politica del lavoro attiva e agli ammortizzatori sociali. La strategia da adottare non si può fondare su ciò, ma certo vorremmo anche in questo caso un ampliamento della scansione temporale della cassa integrazione e la valorizzazione delle professionalità. Pertanto, vorremmo interventi che accompagnino i lavoratori in questa crisi che si annuncia pesante (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Savo. Ne ha facoltà.
BENITO SAVO. Signor Presidente, la ringrazio perché ha dato la parola ad una delle espressioni della Ciociaria nell'ambito della Camera dei deputati. Vengo eletto in provincia di Frosinone, in Ciociaria, dove insiste una rilevante presenza industriale della FIAT (mi riferisco a Cassino) con 4.500 dipendenti, di cui 1.200 sarebbero destinati alla cassa integrazione.
Il procrastinare la cassa integrazione, dopo le ultime trattative con il sindacato sotto l'egida del Governo, è un aspetto positivo e dimostra l'impegno del Governo stesso e della Casa delle libertà nell'indirizzo del mondo del lavoro.
Signor Presidente, il decadimento della FIAT non è odierno, ma è iniziato circa vent'anni fa quando le migliori espressioni
che oggi fanno capo all'Ulivo avevano la dignità di essere presenti nel salotto buono torinese. Erano e sono stati i tempi in cui l'Autobianchi, l'Alfa e la Lancia venivano assicurate alla FIAT quasi senza alcun sacrificio. Perciò, la politica industriale e di mercato della FIAT ne ha risentito da vent'anni a questa parte.
La FIAT è stata sempre certa dell'intervento risolutore dello Stato a suo sostegno. Ogni tanto vi è stata la minaccia della chiusura degli stabilimenti, ogni tanto la minaccia della cassa integrazione, ma lo Stato interveniva sul bilancio dell'azienda. Oggi lo Stato in questa condizione deve essere presente lo stesso, ma vigilando, non acquistando. Bisogna vigilare affinché il sistema bancario sia più liberale, affinché si creino quelle infrastrutture che mancano a servizio dell'industria automobilistica e dell'utente, affinché si rinnovino i parchi macchine e, come suggerisce la mozione Vito che condivido appieno, anche abbattendo il bollo per le auto e recuperando la perdita con l'IVA che si andrebbe ad incassare con il rinnovo del tutto. In questo senso lo Stato è presente dove necessario a sostegno ed a difesa del mercato.
Non può essere che 1.200 lavoratori della Ciociaria vengano messi in cassa integrazione quando già hanno scontato danni a livello dell'indotto come, ad esempio, per quanto riguarda l'Elcat che ha chiuso con la messa in liquidazione dal lavoro di circa 800 operai.
Signor Presidente, già in un'altra occasione ho fatto presente tale situazione. Dalle mie parti si dice che gli interni in pelle della 154 Alfa Romeo, dopo essere stati realizzati in Ciociaria per cinque mesi, vengono ora realizzati in Sudafrica e poi reimportati dalla FIAT a 350 mila lire in più rispetto a quando venivano prodotti in Ciociaria.
PRESIDENTE. Onorevole Savo...
BENITO SAVO. Concludo, signor Presidente.
Lo stesso, con un incremento del costo dell'8 per cento, si verifica per la Stilo, quell'auto attraverso la quale si pensava di rilanciare la FIAT. Fresco ha detto: la medicina è amara. Ciò vuol dire tagli, dunque la medicina è amara per gli operai affinché si possa curare la salute, ancora una volta, dei soliti padroni. Il Governo è invitato a fare diversamente.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MARIO VALDUCCI, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Mi riservo di intervenire successivamente.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione del disegno di legge recante misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza.
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