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PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione congiunta dei disegni di legge n. 3200-bis e n. 3201.
È iscritto a parlare l'onorevole Cardinale. Ne ha facoltà.
SALVATORE CARDINALE. Credo di non far torto alla verità se dico che il dibattito sulla finanziaria ha dovuto misurarsi prima su una bozza predisposta dal Governo (peraltro vivacemente criticata anche all'interno della maggioranza) e solo da qualche giorno su un maxiemendamento che ormai si propone come una finanziaria «trasfigurata». Oltre tutto si tratterebbe di una riscrittura del testo originario ancora largamente insufficiente, che peraltro non sarebbe stata possibile senza quella spinta critica e quella capacità
di proposta che il gruppo della Margherita e l'Ulivo hanno saputo esercitare, raccordandosi con le valutazioni provenienti dal movimento sindacale e dallo schieramento dei comuni, delle province e delle regioni.
Un ulteriore elemento negativo è stato offerto dal contorno che ha accompagnato la nuova proposta nella quale oggi la finanziaria si sostanzia; un contorno che appare contrassegnato dallo scambio fra un idea confusa di devoluzione e di federalismo fiscale (in nome della quale leggo che Bossi intraprende un viaggio per effettuare arruolamenti in Sicilia) e l'urgenza di colmare i buchi neri costituiti dalle inadempienze gravi verso il Mezzogiorno, verso il sistema delle imprese (soprattutto le piccole) e verso il sistema dei servizi e delle infrastrutture che rappresentano il parametro della modernità nel nostro paese.
Siamo in presenza di un ritorno a forme di contrattualismo che immaginavamo superate da un meridionalismo critico che per oltre cinquant'anni è stato sempre orientato all'unità del paese e all'orizzonte europeo. La verità è che continua a circolare, all'interno della maggioranza, lo spettro di un federalismo usato come clava istituzionale e, nella sua impostazione fiscale, dominato dalla concezione egoistica secondo cui la ricchezza generale deve essere patrimonio pressoché esclusivo dei territori che la producono, ignorando così il concorso che anche sotto le molteplici forme dei servizi resi e consumati viene dall'intera società nazionale.
Non risulta convincente il quadro delle proposte rivolte al Mezzogiorno, non tanto per le singole modificazioni introdotte in materia di incentivi (bonus per l'occupazione e credito d'imposta, ma anche il ripristino di alcuni meccanismi di sostegno agli investimenti), quanto per il profilo generale che la proposta del Governo ha alla fine mantenuto. Quando il Mezzogiorno diviene mero oggetto di scambio fra grandi interessi sociali e territoriali, la questione sociale che condiziona l'equilibrio del paese e ne contrassegna la civiltà e la modernità cessa di costituire la priorità civile.
Queste rapide riflessioni richiamano naturalmente temi politici più generali ed evocano i nodi e le contraddizioni su cui il Governo è andato avviluppandosi, rivelando un crescente malessere anche all'interno della maggioranza. Un malessere che costituisce la spia di una chiara insoddisfazione, sia per come il progetto di Governo si autorappresenta verso l'intera società italiana sia per il logoramento che si intravede nelle relazioni che la maggioranza ritiene di intrattenere con il paese reale.
La disputa politica che si sta accendendo nei confronti delle posizioni assunte dal ministro dell'economia e delle finanze e attorno alla sua figura, alimentata da smentite pubbliche e da implicite conferme, rivela la delicatezza di questo passaggio sociale. Così come ugualmente preoccupanti appaiono gli appuntamenti, non del tutto cifrati, che vengono dati al ministro Tremonti quando, nell'aprile 2003, verranno resi noti i dati relativi ai rendiconti di cassa, dai quali si teme la conferma di tante previsioni sbagliate, di tante illusioni perdute e di tanti ottimismi di maniera.
Tremonti ripete - e lo ha fatto anche di recente in un'intervista rilasciata al Corriere della sera - che, in primavera, non ci saranno stangate né manovre aggiuntive innescate da una minor crescita dell'economia. Tuttavia, aggiunge che i problemi che porrà la minor crescita potranno essere affrontati superando le rigidità del patto di stabilità e leggendone i vincoli e le obbligazioni in maniera non stupida. Il nostro ministro dell'economia, però, non chiarisce come, una volta bypassati i vincoli, si possa innescare una crescita tanto virtuosa dell'economia, che consenta al Mezzogiorno, ai bisogni sociali, alle infrastrutture, alla ricerca e all'istruzione, all'innovazione e alla modernità del paese, di compiere quei passi in avanti che ognuno di noi colloca in cima alle sue attese e ai suoi desideri.
Non amo le polemiche pregiudiziali, l'esperienza di governo ha insegnato a tanti di noi a misurare mezzi e fini, a praticare il realismo dei conti e del rapporto tra risorse e bisogni. Proprio questa visione realistica è, tuttavia, carica di una grande sensibilità verso i problemi del paese. Tale visione, in passato, ci ha consentito di porre mano a progetti che hanno permesso all'economia di scandire ritmi più accelerati, al sistema industriale di entrare nella dimensione matura delle nuove tecnologie della comunicazione, alla società meridionale di ritrovarsi in una trama concertata di relazioni euromediterranee, sostenuta da uno straordinario concorso di volontà istituzionali, scientifiche ed imprenditoriali, su base interstatuale, delle quali oggi, per un verso, si è persa traccia, per altro, si rivendicano meriti inesistenti o ancora tutti da verificare.
D'altra parte, cosa potremmo mai attenderci da quella che, pur con le modifiche predisposte, appare una finanziaria di galleggiamento che, per la sua intrinseca fragilità e contraddittorietà, non riesce ad aggredire le tre questioni fondamentali di uno Stato moderno, vale a dire il lavoro, il fisco, la previdenza? Si tratta di tre questioni che nessuno può illudersi di affrontare secondo una logica libanese, frazionandola per specifiche emergenze, retrocedendo verso le gabbie salariali o inseguendo l'utopia di un new deal europeo in grado, per impulso esterno, di ricomporre i tasselli di un sistema nazionale avviato verso il declino.
Naturalmente, nessuno di noi nasconde le difficoltà gravi della congiuntura internazionale, derivanti dai tragici stravolgimenti che abbiamo vissuto con dolorosa partecipazione. Quindi, il nostro non è un grido alla luna, in quanto abbiamo viva la consapevolezza delle difficoltà sorte nell'economia mondiale e dei riflessi indotti nell'economia nazionale e continentale.
Tuttavia, proprio questa consapevolezza comune e il senso della tragedia vissuta avrebbero dovuto suggerire una più coraggiosa attitudine al realismo e alla franchezza, di cui deve essere capace un Governo che sappia parlare al paese con il linguaggio delle responsabilità e della coerenza tra progetti e scelte concrete.
Che il paese avverta segni tangibili del declino non è l'invenzione di catastrofisti professionali, ma un dato reale. La crisi della FIAT, con gli effetti rovinosi che minaccia di produrre anche in Sicilia attraverso la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, né è solo un sintomo. Il progressivo logoramento delle posizioni detenute nel mercato mondiale dall'industria italiana - e non solo da quella dell'auto -, la sofferenza che manifestano comparti fino a ieri dinamici, l'insofferenza che rivela il sistema delle piccole e medie imprese, il ritardo dei processi di ammodernamento del sistema infrastrutturale, che annaspa tra il miraggio del Ponte di Messina e la precarietà degli attuali collegamenti operanti nel Mezzogiorno e in alcuni gangli vitali dell'economia del nord, sono tutti segni di una crescente inadeguatezza del paese a reggere le sfide del mondo globalizzato dalla tecnica, da mercati e dalla finanza.
Sono queste le ragioni, legate all'orizzonte generale delle aspettative e delle speranze del paese, che inducono ad un giudizio negativo sulla finanziaria, pur in presenza di alcune modifiche che certamente non sottovalutiamo, perché hanno ricevuto il consenso di una parte significativa delle forze sociali. Noi rispettiamo la dialettica in atto tra sindacati. Rispettiamo l'autonomia delle parti sociali. Comprendiamo il diverso orizzonte nel quale si colloca il loro differenziato giudizio, poiché esso si collega più direttamente e materialmente alle emergenze, ai bisogni concreti, alle dinamiche reali e alle obbligazioni della congiuntura.
Tuttavia, alle forze politiche compete la responsabilità di una lettura più larga delle prospettive del paese, in grado di tenere realisticamente in conto non soltanto gli interessi concreti che sono in campo ma anche il quadro di civiltà e di qualità sociale sul quale l'Italia deve scommettere, se non vuole accentuare la sua
marginalità nei confronti dei grandi motori civili e produttivi che muovono il mondo.
In conclusione, non c'è soltanto un problema di merito sulle singole voci, sugli strumenti individuati, sul ripensamento relativo a meccanismi, prima, cancellati e, poi, sotto la spinta politica e sociale, reintrodotti in finanziaria.
PRESIDENTE. Onorevole Cardinale, la invito a concludere.
SALVATORE CARDINALE. Ho concluso, signor Presidente.
C'è anche un problema di politica generale, di adeguatezza del Governo, di sintonia con i bisogni profondi e le speranze di un'Italia che guarda con preoccupazione al futuro e che teme di pagare una doppia crisi esterna ed interna, certamente per ragioni internazionali ma, soprattutto, per le insufficienze organiche della politica italiana che nessun espediente potrebbe colmare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, signor rappresentante del Governo, l'intervento di oggi verterà sicuramente sull'ex articolo 37 della finanziaria, con alcune domande, sull'articolo 13, con altre domande, e, in generale, sul sistema della ricerca scientifica. Innanzitutto, come gruppo parlamentare vorremmo fare una riflessione: questa è una finanziaria con un'impostazione solida e compatibile con lo sviluppo; è una finanziaria che non ha chiesto lacrime e sangue agli italiani ma ha posto un'ipoteca di sviluppo che noi ci sentiamo di condividere e che appoggiamo in pieno. Tuttavia, inizialmente, questa finanziaria è stata scarsamente difesa da questo Governo, soprattutto, in alcune sue parti.
In particolare, già nell'esame in Commissione abbiamo sottolineato come fosse difficilmente comprensibile aver presentato coralmente una finanziaria per lo sviluppo del sud e, dopo pochi giorni, aver predisposto una serie di emendamenti correttivi, proposti addirittura al Capo dello Stato. Lo sviluppo del sud è una priorità: lo ha affermato il Presidente della Repubblica, lo affermano i gruppi parlamentari, lo afferma la Lega nord. Ma lo sviluppo del sud non è soltanto una questione quantitativa, legata a centinaia di milioni di euro che vanno avanti o indietro (scusate l'espressione).
Abbiamo sentito il ministro Buttiglione dire che, finalmente, con il maxiemendamento il sud è ritornato al centro della politica industriale del paese. Ebbene, noi non crediamo che sia stato l'aumento di 500 milioni di euro a determinare questo grande salto. Anzi. Lo sviluppo del sud, quindi, non è soltanto una questione quantitativa e ce lo dimostrano alcuni fatti e alcuni dati. Mi riferisco ai finanziamenti europei per 1.800 milioni che le amministrazioni regionali del sud non riescono a recuperare ed impegnare, ma anche ad altri strumenti che vengono citati come particolarmente importanti e su cui credo che dovremmo aprire una riflessione critica: mi riferisco ai patti territoriali, ai contratti d'area, ai contratti di programma.
In particolare, sui patti territoriali di prima generazione - quindi, parliamo degli anni tra il 1996 e il 1997 - dobbiamo verificare come i primi finanziamenti siano arrivati con due anni di ritardo e qui mi rivolgo alla sinistra, che ha cavalcato la battaglia del sud, ma che nel 1996 e nel 1997 governava. Questo strumento, che le è estremamente gradito, è stato mal utilizzato ed è mal funzionante: addirittura, solo il 31 per cento delle risorse stanziate è stato poi utilizzato. Parliamo dei patti di seconda generazione, iniziati nella seconda metà del 1999 (anche qui con ritardo): al 31 dicembre del 2000 avevamo assegnato solo il 15 per cento delle risorse. Quindi, si tratta di uno strumento che si è rivelato poco efficace.
Anche sul contratto d'area, che in termini ipotetici è uno strumento prezioso, al
31 dicembre del 2001 solamente il 25 per cento dei fondi stanziati dal CIPE è stato utilizzato. Dal 1998 al 2001 sono state accettate 526 iniziative imprenditoriali, con 2.001 milioni di euro di agevolazioni su un totale di 2.928 milioni di euro di investimenti e 18.043 occupati. Ebbene, vi è una media di più di 300 milioni di vecchie lire per ogni occupato.
Sicuramente sono andati meglio i contratti di programma: dal 1987 al 1998 con 30 contratti si sono realizzati 23 mila miliardi di lire di investimento: qui abbiamo una riduzione degli oneri statali per 11 mila miliardi, con 27 mila nuovi occupati. Quindi, lo strumento dei contratti di programma è più agevole e sicuramente è da considerare come preferibile.
In ogni caso, lo strumento del credito d'imposta ci trova sicuramente più favorevoli. Di certo, ci sono delle storture - l'ha sottolineato il ministro Miccichè - perché in alcuni casi è stato mal utilizzato, ma è lo strumento diretto che forse ha creato maggiore occupazione. C'è una riduzione dei passaggi in un contratto diretto tra il produttore e lo Stato: investi tanto, ti viene dedotto tanto. Credo questo sia un punto di passaggio fondamentale. Noi crediamo che un aumento della burocrazia e dei soggetti che fanno da intermediari territoriali possa molte volte trasformarsi in un freno agli investimenti diretti.
Forse dobbiamo ricordarci che gran parte della classe politica della prima Repubblica ha costituito la base della sua fortuna politica sulla capacità di gestire fondi e finanziamenti a fondo perduto. Credo che questo Governo debba dare un forte segnale di discontinuità rispetto al passato e l'impostazione originaria della legge finanziaria si muoveva in questo senso. Dico questo non tanto come uomo della Padania o come uomo del nord, ma come sostenitore di questo Governo.
Non riusciamo a capire che il sistema - un sistema, forse, ancora corrotto, romanocentrico, burocratico ed elefantiaco - va modificato. Ripercorriamo allora la storia. Quando Roma si è impantanata, ha avuto dei segnali dall'esterno, dai barbari, dalle nuove religioni della Riforma, ha avuto dei segnali anche da parte della Lega nord: credo si debba fortemente tener conto di questi segnali.
Le rivendicazioni del sud sono giuste, ma credo si debba un po' uscire da questa dinamica. Vi è qualcuno che, in qualche modo, vuole soffiare su un sentimento di ingiustizia, su un vissuto vittimistico, facendo notare di essere stato dimenticato dallo Stato. Quelle forze politiche che insistono su questo sentimento hanno una grossa responsabilità nei confronti dello sviluppo di tutto il paese. È come se a questo sentimento di abbandono si dovesse contrapporre un sentimento egoistico, oppure un sentimento di rivalsa da parte di un sistema (del centro, del nord, della Padania) che si sente sfruttato dal sistema Italia: con queste posizioni noi non faremo un passo in avanti. Comunque, abbiamo l'impegno morale di verificare dove e come vengano spesi i soldi; si tratta di un impegno morale di tutti gli amministratori.
Oggi sappiamo come amministratori - lo so anche come medico - che sul denaro si gioca anche la vita. Sappiamo che, se in un sistema di 100 mila abitanti potessimo usufruire di un'autoambulanza attrezzata (con 500 milioni di spesa solamente per il personale) si potrebbero salvare due unità in termini di vite all'anno. Dobbiamo ricordare - lo voglio ricordare anche a questo Governo - che esiste l'impegno etico di spendere bene i soldi, anche quelli del nord. Ricordiamoci, infatti, che la ricchezza viene prodotta anche, e soprattutto, nel nord di questo paese dove la situazione non è d'oro, dove non siamo in presenza di una situazione rosea.
Parlando della regione Emilia-Romagna, in Emilia il settore meccanico rallenta, sono in calo ordinativi, fatturati ed occupazione; siamo di fronte ad una previsione di reddito relativa agli artigiani e alle piccole e medie imprese del settore metalmeccanico emiliano in calo del 15 per cento. Vi è la sospensione di 242 aziende, con un intervento dell'ente bilaterale regionale per 900 dipendenti. Vi è una riduzione nella media di occupati per
impresa: in tre anni siamo passati da 5,5 addetti a 5,2 addetti. A Modena chiudono gli studi dei commercialisti perché non hanno lavoro, quindi la situazione non è rosea.
Oggi lo sviluppo deve essere un imperativo, ma non è sufficiente pensare ad alcuni incentivi per permettere il salto di qualità del sud. Dobbiamo passare dalla logica dei clientes, secondo la quale i governi passati hanno sempre sostenuto i consumi o il reddito dei cittadini e dobbiamo cercare di far diventare cives i cittadini del sud.
Quindi, non si tratta solamente di una rivoluzione economica - 500 milioni avanti e indietro -, ma crediamo debba addivenirsi ad una rivoluzione culturale, ad una rivoluzione della mentalità.
Nel sud deve nascere un patto nuovo con lo Stato che possa diventare virtuoso; non sarà tollerato da parte dei cittadini il mantenimento di disuguaglianze forti come quelle che esistono attualmente. Ne ricordo solo qualcuna. Del carico fiscale del nord, forse, nessuno parla e, pertanto, credo che un accenno vada fatto. Per quanto riguarda il saldo dei conti INPS, vale a dire ciò che i cittadini, contando anche gli interessi, versano e ricevono, un cittadino Lombardo è in credito di circa 40 milioni e settecentomila vecchie lire, mentre un cittadino dell'Emilia-Romagna è in credito di tre milioni e 96 mila vecchie lire. Un cittadino della Puglia, invece, prende 27 milioni e 914 mila in più di quanto viene versato, mentre un cittadino siciliano prende 30 milioni e 29 mila lire in più. Questi sono i segni concreti di solidarietà.
Al di là delle chiacchiere, mi sembra che il nord paghi e continui a pagare, ma vuole sicuramente garanzie. Vuole garanzie da questo Governo e da questa maggioranza e le chiede con serietà, con pacatezza, ma con determinazione.
Pertanto, vorrei rivolgere al Governo alcune domande. Intanto, in merito all'articolo 37 (ex articolo 37) che è stato rifinanziato (si parla di un'ulteriore cifra di mille milioni utilizzati attingendo al serbatoio di agevolazioni poco utilizzate), se in fase di replica si potesse essere più chiari ve ne saremmo grati.
Un altro nodo è quello relativo al credito di imposta: vi è stata una precisazione del Governo sul decreto omnibus per cui il credito di imposta doveva valere anche per le aree C del trattato. Vi è stato poi un ricatto forte da parte del sindacato per escluderle, però ricordo che sul decreto omnibus, che estendeva il credito di imposta alle poche aree del centro nord previste dal trattato, questo Governo ha posto la questione di fiducia. Credo che in fase di presentazione del maxiemendamento se ne debba tenere conto.
Quanto all'articolo 34, ci chiediamo se la legge n. 488 del 1992 sia stata rifinanziata. Ci farebbe piacere. Cosa resta, quindi, del fondo unico (fondo per le aree sotto utilizzate), intuizione fondamentale e buona?
L'altra preoccupazione, signor sottosegretario, è sull'ex articolo 13, relativo all'acquisto di beni e servizi. Certo, l'obiettivo è quello di realizzare ulteriori economie di gestione, estendendo le procedure di acquisto tramite la Consip; tuttavia, avvertiamo la necessità - e lo testimoniamo con gli emendamenti che abbiamo presentato - di alcune revisioni.
Il comma 5, ad esempio, identificato in Commissione da parte di qualcuno come oneroso, limita la trattativa privata ai soli casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone preventiva comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti. È evidente che nessun dirigente vorrà mai attivare questa pratica.
Inoltre, avvertiamo la necessità di chiarire che queste misure restrittive sono previste fatta salva l'esclusione prevista dal comma 2 (il suddetto comma si riferisce agli appalti di piccoli comuni). Inoltre, abbassando le soglie per l'applicazione delle direttive dell'Unione europea, si potrebbe aggravare un'anomalia del mercato già esistente, relativa agli appalti di forniture e ai servizi di società concessionarie della rete autostradale nazionale.
Infatti, tutte le restrizioni dei due decreti legislativi si applicano soltanto alle concessionarie con maggioranza di capitale pubblico, lasciando fuori la società Autostrade Spa e gli altri concessionari privati. In questo modo, mentre la società Autostrade Spa può continuare benissimo ad assegnare il servizio in trattativa privata alle sue partecipate, altre società con maggioranza di capitale pubblico, anche se hanno lo stesso identico oggetto sociale, sono costrette ad effettuare comunque la gara per l'assegnazione degli appalti di forniture e servizi, venendo meno alla convenienza ad ingrandirsi con un giro di partecipate.
Quindi, noi vediamo con favore l'assegnazione di una maggiore libertà ai piccoli comuni, con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, tenuto conto della minore consistenza degli appalti di forniture e servizi indetti da tali amministrazioni.
Vi è, inoltre, una riflessione sulla legge Merloni, in quanto, con le disposizioni restrittive, tutti gli incarichi professionali per la progettazione di lavori pubblici andrebbero in qualche modo rivisti. Ricordiamo che la linea del Governo e della maggioranza, con il collegato infrastrutturale, è stata quella di alleggerire la normativa, rendendo meno rigido l'impianto della legge Merloni. Pertanto, questo articolo sarebbe in contrasto con quanto approvato e preannunciamo un emendamento nel merito.
In ordine alla ricerca scientifica, condividiamo nella maggioranza la preoccupazione per la competitività del sistema industriale. Ebbene, credo che probabilmente una rivisitazione del fondo per gli investimenti tecnologici debba essere presa in considerazione in qualche modo, tenendo presente che, fermo restando questo impianto, il FIT non riuscirà a pagare neanche la metà degli impegni assunti per quest'anno.
Vi è poi una riduzione del capitolo n. 8922 per la ricerca scientifica, al quale vengono assegnati alcuni milioni di euro in meno. Vi sarà quindi una difficoltà del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella ripartizione del fondo, con un disagio per gli enti di ricerca. Sul nuovo capitolo di bilancio, il 9000, fondo unico da ripartire, ci sembra che non siano stati trasferiti tutti gli stanziamenti derivanti dalle previsioni di legge di bilancio per l'anno 2002. Infatti, poiché tale capitolo assorbe integralmente o parzialmente i capitoli nn. 8921, 8923, 8932, 8947 e 8969, lo stanziamento, prendendo in esame la tabella n. 7, dovrebbe comportare una riduzione.
PRESIDENTE. Onorevole Polledri, la prego di concludere.
MASSIMO POLLEDRI. Crediamo quindi, signor rappresentante del Governo, che vi saranno alcuni aspetti sui quali potrà rispondere, tenendo presente che la valutazione complessiva circa il patto fra gli italiani del Nord e quelli del Sud deve essere mantenuto.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le oggettive difficoltà dell'economia internazionale, unite alla pervicace incapacità del Governo di ammettere i propri errori di valutazione e di prendere quindi, nei tempi giusti, le necessarie contromisure, hanno portato alla stesura del secondo documento di programmazione economico-finanziaria, nel quale il ministro Tremonti ha inserito una stima di crescita dell'1,3 per cento.
È una piccola concessione al senso della realtà, ma ben lontana dai valori che tutti gli osservatori economici stavano da tempo formulando. Soltanto al momento di predisporre la legge finanziaria si è compreso che non era possibile mantenere una stima così improbabile e pertanto, ad appena un mese di distanza e senza che siano intervenute vicende clamorose, il Ministero dell'economia ha dimezzato la stima di crescita ed ha dovuto presentare la nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria. Si giunge così al disegno di legge finanziaria per l'anno 2003, nel quale il Governo
avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema fiscale, portando gli scaglioni IRPEF da 5 a 2 e diminuire così in modo consistente la pressione fiscale; le entrate complessive sarebbero comunque dovute aumentare in virtù dell'incremento del prodotto interno lordo.
Questo scenario tuttavia fa parte del passato o, meglio, dei sogni del passato. Il brusco risveglio è avvenuto nel corso dell'estate, quando il ministro ha preso atto del crollo delle entrate, - fino al meno 15 per cento - e ha predisposto il decreto fiscale con cui intende rastrellare 4 milioni di euro, 8 per le categorie, intervenendo, in deroga rispetto alle previsioni dello statuto del contribuente, con misure ad effetto retroattivo incidenti sui bilanci in corso delle aziende.
Ma il capolavoro viene realizzato con il decreto «blocca-spese», con cui si arriva perfino ad espropriare il Parlamento della competenza fondamentale e fondante l'istituto stesso di determinare gli equilibri di bilancio e viene assegnato all'esecutivo il potere di modificare il bilancio con atto amministrativo.
Il Governo tenta così di porre rimedio, seppure in modo maldestro, ai pasticci frutto di 15 mesi di provvedimenti di politica economica, finanziaria e fiscale a dir poco stravaganti - perfino senza copertura, come la legge Tremonti-bis - che, se accontentavano una parte dell'elettorato di Berlusconi (coloro che si avvantaggiano dell'abolizione delle imposte di successione e donazione sui megapatrimoni o coloro che vengono premiati dai benefici della legge sul falso in bilancio e di quella sul rientro dei capitali illegali dall'estero), finivano però per fare entrare in piena crisi i conti dello Stato, con il rischio di destabilizzare l'intero sistema paese. Come uno spettro, si ripresentano la crescita del rapporto tra debito pubblico e PIL, il rallentamento della riduzione del debito pubblico, la mancanza di risorse per le opere pubbliche.
La risposta del Governo, ancora una volta, appare drammaticamente irresponsabile: una finanziaria di rigore e di sviluppo, così viene presentata una manovra che approfitta delle decisioni della Commissione europea di rinviare per l'Italia al 2006 l'obbligo del pareggio di bilancio per prendere tempo e intanto predisporre una serie di misure che non solo non aggrediscono strutturalmente i problemi per affrontare con coraggio ed equilibrio una situazione oggettivamente critica, ma la aggravano, lasciando nel disorientamento e nell'incertezza le categorie economiche, le parti sociali, la cittadinanza nel suo insieme.
In quest'ultimo anno abbiamo assistito a continui richiami al Governo da parte dei più autorevoli organismi economici nazionali ed internazionali a causa del peggioramento dello stato di salute dei nostri conti pubblici. Nell'aprile scorso, la Banca centrale europea e la Commissione europea chiedevano esplicitamente all'Italia di porre in essere riforme strutturali per modificare il trend negativo del rapporto tra deficit e PIL, affiancando alle misure una tantum - utili per fare cassa in tempi rapidi - interventi strutturali certi e duraturi. In quella circostanza Tremonti aveva lasciato intendere perfino di poter confermare il pareggio di bilancio per il 2003 senza bisogno di alcuna manovra aggiuntiva. Ai primi di settembre arrivano ulteriori brutte notizie per i conti pubblici: gli stessi tecnici del Ministero dell'economia registrano, infatti, un disavanzo di circa tre miliardi di euro. Con un «buco» di tre miliardi, il fabbisogno pubblico dei primi otto mesi dell'anno aumenta ben del 60 per cento rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente.
Un paio di settimane fa, Pedro Solbes, commissario europeo per gli affari economici e finanziari, avverte che si è verificata una preoccupante interruzione nella diminuzione del debito pubblico nel nostro paese, che ha raggiunto livelli allarmanti: il 110 per cento del PIL, il più alto di tutta l'Unione europea. Infine, è dei primi giorni di ottobre l'ennesima cattiva notizia, che arriva da Bankitalia: nuovo record per il debito pubblico, entrate fiscali ancora in calo. Il debito delle pubbliche amministrazioni ha infatti toccato, in luglio, quota
1.386 miliardi di euro; rispetto al luglio del 2001, il debito è salito del 3,83 per cento.
Anche sul fronte fiscale le cose non vanno certo meglio: si ha una flessione ad agosto del 4,02 per cento rispetto all'agosto del 2001. A ciò aggiungiamo un costo della vita che sta crescendo in modo preoccupante, con un divario tra l'inflazione del nostro paese e quella degli altri partner dell'unione in aumento.
Il 13 ottobre la Corte dei conti, analizzando la manovra finanziaria, avanza dubbi sulla tenuta dei conti pubblici e sul rispetto dei parametri imposti dall'Europa. Le correzioni del disavanzo tendenziale indicate dal Governo - dicono i magistrati contabili - non appaiono in grado di assicurare effetti permanenti di miglioramento dei conti pubblici.
Alla manovra, passata in Consiglio dei ministri, mancherebbero, più o meno, 30 miliardi per centrare, il prossimo anno, un rapporto, tra debito e PIL, del 105 per cento. Per la Corte dei conti si tratta di una manovra basata su misure di sanatoria fiscale una tantum, a fronte di esigenze di spesa costanti.
Circa una settimana fa, la stima del Fondo monetario internazionale, nel suo rapporto dedicato all'Italia, ha affermato che il PIL salirà di appena lo 0,5 per cento, contro lo 0,7 precedentemente atteso, mentre, l'anno prossimo, ci si fermerà al 2 e non al 2,3 per cento. Il rapporto tra deficit e PIL non scenderà al 2,1 per cento, fissato dall'esecutivo, ma resterà fermo al 2,3 per cento.
Critico il giudizio sulla legge finanziaria 2003: troppe misure una tantum, mentre il condono viene bocciato. Un provvedimento che l'Italia viene esplicitamente invitata a non ripetere per non scoraggiare i contribuenti a fare il loro dovere in futuro. Anche il Governatore della Banca d'Italia, Fazio, giudica la manovra debole e carente di interventi strutturali e critica pesantemente il condono perché mina la credibilità dell'amministrazione finanziaria.
Il disegno di legge finanziaria 2003 ammonta a 20 miliardi di euro, otto dei quali previsti dal concordato fiscale, quattro da operazioni contabili e cartolarizzazioni realizzate attraverso le nuove società Infrastrutture Spa e Patrimonio dello Stato Spa, otto dai risparmi della pubblica amministrazione. Tredici miliardi di euro serviranno ad apportare correttivi ai conti pubblici, mentre il resto servirà ad attuare il primo modulo della riforma IRPEF, ridurre l'IRAP e l'IRPEG, e a finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali.
La precarietà della manovra appare in tutta la sua evidenza. Sul lato della riduzione della spesa, l'unico intervento strutturale riguarda i risparmi della pubblica amministrazione, risparmi che, dando per scontato che non incideranno sulla qualità e la quantità dei servizi per la collettività, sono compensati dalle minori entrate derivanti dagli interventi fiscali. Gli altri due elementi portanti della manovra sono caratterizzati da provvisorietà e aleatorietà. In pratica, non solo gli esiti della manovra 2003 sono tutt'altro che certi, ma non hanno neppure conseguenze strutturali sui nostri conti pubblici.
In più, la previsione di un concordato che già molti ipotizzano sarà trasformato in un condono tombale, non solo prosciuga il gettito di potenziali accertamenti per gli anni passati ed incassa prematuramente, con l'anticipazione triennale, quello sui prossimi anni, ma, minando la credibilità dello Stato in materia fiscale, incentiva evasione ed elusione future nella speranza di nuovi «perdoni».
La manovra non riesce a centrare neppure un obiettivo. La stima del deficit per il 2003, ad esempio, appare troppo ottimistica, visto che servirebbero circa 18 miliardi di euro per ridurre il valore del 2,8 del tendenziale all'1,5 del programmato, mentre il Governo destina alla correzione dei conti una cifra aleatoria non superiore a 12 miliardi di euro.
Gli enti locali, con questo disegno di legge finanziaria, assaggiano il calice amaro del federalismo fiscale di Tremonti. Al di là di ogni pessimistica previsione, vengono pesantemente penalizzati tagli e trasferimenti, blocco delle assunzioni, congelamento dell'addizionale IRPEF. Non
riusciranno nemmeno a garantire lo standard attuale dei servizi e ad espletare le funzioni di cui sono titolari.
I sistemi di welfare municipale che si erano andati consolidando in molte città, favoriti dalla legislazione e dai finanziamenti mirati del precedente Governo, rischiano di saltare, come pure l'intero sistema sanitario pubblico che subisce un taglio pesantissimo di 8 miliardi di euro nel prossimo triennio.
Assolutamente inaccettabili sono le misure previste per sud. L'azzeramento dei crediti d'imposta, lo spostamento delle risorse previste dalla legge n. 488 e la trasformazione in prestiti di finanziamenti a fondo perduto sono stati al centro di un fortissimo scontro in Commissione, tra maggioranza ed opposizione, e nel paese, nonché oggetto del maxiemendamento del Governo che, tuttavia, non sembra invertire la rotta, anzi.
Vengono operati tagli in settori che, per un paese moderno e democratico, sono centralissimi: la scuola, l'università, la ricerca e la giustizia.
Ma il punto davvero dolente, e tanto più doloroso oggi, dopo la tragedia annunciata di San Giuliano di Puglia, è l'ambiente. La politica economica del Governo appare, qui, totalmente inadeguata. Vengono drasticamente ridimensionati i fondi necessari alla salvaguardia del territorio ed alla difesa del suolo (445 milioni di euro in meno nel prossimo triennio), nonché quelli destinati alla bonifica dei siti inquinati. Gli innumerevoli disastri ambientali, causati, spesso, dalla pessima gestione del territorio e dalla mancanza di una politica di manutenzione, avrebbero dovuto avere insegnato che è insensato risparmiare sulla prevenzione e sulla sicurezza, mettendo a repentaglio vite umane e destini di interi paesi, ed essere costretti, poi, ad intervenire in via d'emergenza, con spese infinitamente superiori e strutture spesso inadeguate. Per la Protezione civile (che si trova, attualmente, senza guida e senza risorse e che ha già visto una riduzione degli stanziamenti) si prevedono 319 milioni di euro in meno nel triennio. Per non parlare delle aree protette, che rappresentano una solida opportunità di integrazione tra sviluppo economico e tutela del territorio, della fauna e della flora.
Sono debolissimi, inoltre, i finanziamenti previsti per la riduzione dell'inquinamento nelle aree urbane, per lo sviluppo della mobilità sostenibile, per il rispetto degli impegni contenuti nel Protocollo di Kyoto (ratificato proprio quest'anno), per il benessere animale ed è stata abbandonata, altresì, ogni ipotesi di ricorso alla tassazione delle emissioni di gas serra, come si potrebbe e si dovrebbe fare reintroducendo la carbon tax.
In conclusione, credo che nessun altro disegno di legge finanziaria abbia raccolto tante bocciature e critiche feroci, tanto che, a distanza di un mese dalla sua presentazione al Parlamento, il Governo si trova costretto a dover reimpostare daccapo quasi tutta la manovra, attraverso la presentazione di maxiemendamenti. Quella fin qui discussa - com'è stato detto - è stata, in realtà, una manovra economica virtuale! Non ci sembra certo il modo più corretto e democratico di affrontare il dibattito sul disegno di legge centrale per la vita istituzionale e fondamentale per il paese: è istituzionalmente scorretto e, politicamente, è quanto mai irresponsabile!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.
TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, la settimana scorsa, il viceministro Baldassarri, con un'uscita naïf degna di Maria Antonietta, ha affermato che gli esuberi FIAT potrebbero essere proficuamente impiegati come infermieri.
Se Maria Antonietta poteva essere scusata (ma non so fino a che punto, considerato che, dopo 200 anni, ne parliamo ancora) per il fatto di non conoscere le condizioni nelle quali viveva il popolo di Parigi e di non sapere, quindi, che, se esso lottava e protestava per mancanza di pane, non poteva certo permettersi le brioche, il viceministro di un Governo che fa della comunicazione la sua più potente arma ha
dimostrato, oltre che un'imperdonabile ignoranza, la totale alterità rispetto alle problematiche del lavoro e della sanità: un'estraneità che offende la dignità dei lavoratori dell'industria e di quelli della salute, trattati, gli uni, come pezzi di ricambio pronti per la rottamazione, gli altri senza una minima considerazione per la loro alta professionalità.
Questa estraneità del Governo ai temi sociali e del comparto sanità è la chiave di lettura di questa finanziaria! Infatti, mentre il ministro Sirchia si ostina a parlare di finanziaria senza tagli alla sanità, con una politica di aggressione ai diritti e di mercificazione dei bisogni il disegno di legge al nostro esame, aumentando il carico fiscale reale sulle famiglie (quest'anno, già 500 miliardi di vecchie lire in più sono stati posti a carico dei cittadini ed altri lo saranno a causa della mancata eliminazione dei ticket sulle prestazioni diagnostiche e dell'incremento di quelle sulle cure termali), fa della destrutturazione privatistica di tutto il sistema di welfare uno dei propri assi strategici.
Il servizio pubblico qui viene preso in considerazione solo per ridimensionarlo o in vista di possibili economie, senza alcuna attenzione alla qualità dei servizi, anzi, con il retropensiero - ma non so in realtà quanto sia retro, quale sia il vero obiettivo - che più si frammenta, si corporativizza e si depotenzia il servizio pubblico più spazi di manovra si lasciano ai privati.
È la dequalificazione del pubblico che viene perseguita prima di tutto attraverso l'insufficienza delle risorse, poi aumentando le difficoltà per demotivare un personale sempre più sovraccaricato di oneri a cui non corrisponde un adeguato riconoscimento, dagli infermieri - che cos'è la bella idea di tenere aperti giustamente i laboratori sette giorni su sette ma senza oneri aggiuntivi? -, che vengono così mortificati, ai direttori generali, ai quali nulla viene chiesto in termini di risposte ai bisogni di salute, ma solo di non avere i bilanci in rosso, e questo non potrà che avvenire tagliando i servizi.
È per questo che il nostro emendamento, pur conservando la nostra contrarietà di fondo a questa figura monocratica, prevede la cancellazione del licenziamento in tronco per criteri meramente aziendalistici. Il metodo scelto per far digerire ai cittadini questi tagli è quello a cui ormai questo Governo ci ha abituato: continui annunci falsi e mirabolanti da «paese di bengodi» - le dentiere per tutti! - a cui seguono provvedimenti concreti in direzione diametralmente opposta, una riduzione pesante delle risorse per la sanità, le politiche sociali, la scuola, con l'obiettivo di smantellare i servizi senza farlo capire - fino a che i nodi non verranno al pettine - nemmeno a chi materialmente di quei servizi viene privato.
Questa tattica, per esempio, in questa finanziaria è stata applicata all'aumento dei ticket sulle prestazioni termali; per far digerire l'aumento dei ticket si è usato l'effetto annuncio del raddoppio a 70 euro e poi si è accettato benevolmente il successivo ridimensionamento a 50, con la spudoratezza poi di parlare di riduzione del ticket di 20 euro invece di un aumento di oltre 14 per ciclo di terapia. Ma oltre che Federterme, come già hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto, tutti gli addetti ai lavori del comparto sanità e del sociale hanno bocciato questa finanziaria, che prevede nuovi tagli indiscriminati e privi di razionalità ai servizi e riduce le prestazioni. Abbiamo sentito le lamentele di Federfarma, del tribunale dei diritti del malato, di Farmindustria dell'ANAAO, della CGIL medici, della CISL, delle regioni, della CIMO, un sindacato non certo vicino noi, che ha parlato di massacro per i medici dipendenti. Infatti, in questa legge finanziaria non troviamo nulla sul piano dell'organizzazione del lavoro nel campo della sanità, nel quale sarebbe invece indispensabile superare le situazioni di precariato, a partire da quella degli specializzandi, sulle cui spalle grava gran parte del lavoro ospedaliero senza alcun riconoscimento dignitoso. Al di là dell'annuncio nel documento di programmazione economico-finanziaria, ora, invece, non si trovano in questa finanziaria le risorse per i contratti di formazione. Nulla viene detto sulla carenza di infermieri, nulla per i
medici, per i quali si trascina una situazione di mancato adeguamento degli organici e di voluta confusione circa la necessaria divisione tra chi lavora per il servizio sanitario nazionale e chi svolge la professione privata.
Questa legge finanziaria poi non solo non realizza quell'adeguamento del fondo sanitario nazionale indispensabile per mantenere il livello dei servizi, ma invade anche pesantemente il campo dell'autonomia regionale con una serie di adempimenti burocratici e di misure la cui efficacia, in termini di contenimento della spesa, rimane tutta da dimostrare, mentre renderanno sicuramente impossibile alle regioni sostenere anche i livelli essenziali di assistenza.
Se da una parte calano i soldi disponibili, dall'altra alle regioni viene data sempre maggiore autonomia sul controllo e sull'erogazione della spesa, così che, inevitabilmente, essa sarà sempre più differenziata a seconda delle realtà locali. Così, oltre al diritto alla salute, come peraltro avviene per il ripudio della guerra, un altro principio costituzionale viene di fatto abrogato, quello della rimozione degli ostacoli che limitano l'uguaglianza dei cittadini. Chi è ora, signor sottosegretario di Stato, il garante dell'uguaglianza del diritto alla salute su tutto il territorio nazionale? Non si tratta di un semplice decentramento degli obblighi sanitari, ma della creazione di tanti diversi sistemi sanitari nel nostro paese.
Anche per quanto riguarda le politiche sociali, troviamo il fondo decurtato, mentre per le risorse che vi affluiscono si attenua il vincolo di destinazione, così che i previsti livelli essenziali da garantire su tutto il territorio nazionale saranno definiti sulla base delle risorse. Saranno, in altre parole, i finanziamenti disponibili a determinare il livello dei servizi.
Ciò si tradurrà, in concreto, in un indebolimento della rete dei servizi e in un aumento degli oneri a carico delle famiglie.
Rifondazione comunista intende aiutare i cittadini - è anche questo il senso delle iniziative che stiamo intraprendendo sulla sanità, regione per regione - a capire la realtà concreta che si nasconde dietro ai continui e confusivi annunci del Governo e vuole aiutarli anche a capire che, continuando su questa strada, avremo, non solo, un futuro con meno servizi sanitari qualificati ed efficienti, con meno medicinali appropriati, con meno servizi per i portatori di handicap, ma, quel che è più grave e forse irreversibile, avremo la distruzione di un sistema di solidarietà e l'aumento delle disuguaglianze territoriali, di genere e di classe. Contro questo assalto, l'obiettivo primario è l'adeguamento del fondo sanitario (è da ricordare che siamo sempre fermi appena al 5,8 per cento del PIL), perché è la costante sottostima del fabbisogno che ha prodotto e produce quell'indebitamento delle regioni al quale, ora, non si potrà far fronte se non aumentando i balzelli o riducendo i servizi pubblici e, per logica conseguenza, visto che i bisogni sanitari non solo sopprimibili, creando un vasto mercato privato.
Nella finanziaria per il 2001, grazie ad un emendamento di Rifondazione comunista, erano stati cancellati gli odiosi, ingiusti e classisti ticket per l'assistenza specialistica e per la diagnostica a partire dal primo gennaio 2003. Questo Governo, prima ha differito ed ora cancella questa conquista che avrebbe portato ad un reale e consistente risparmio per le famiglie (si valuta circa in 2 miliardi e 170 milioni di euro). Riproporremo con grande forza questo emendamento per cancellare questa odiosa tassa sulla malattia, e anche per ribadire l'importanza della prevenzione e del principio solidaristico nel nostro sistema.
Per noi, riaffermare e pretendere il rispetto dell'articolo 32 della Costituzione vuol dire anche denunciare che, mentre nulla viene fatto contro l'aumento degli infortuni e delle malattie professionali, dovuto al progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, con questa finanziaria, si scatena un'aberrante guerra tra poveri utilizzando il fondo di 516 milioni di euro non utilizzati per il completamento delle pensioni minime a un milione,
destinando quelle risorse per rispondere ai problemi di salute di quei lavoratori che hanno svolto, per anni, un lavoro a contatto con l'amianto. Ancora, nella finanziaria non vi è traccia del già annunciato aumento delle pensioni al minimo per i disabili gravi, che noi introdurremo con un nostro emendamento, né del fondo per i non autosufficienti, mille volte annunciato, e del loro diritto alla cura senza limiti di età e di tempo; essi sono stati scaricati, di fatto, dalla sanità all'assistenza, dalla collettività alla famiglia, con servizi ridotti e sempre più sostituiti da buoni servizio e assegni di cura che servono, da una parte, a creare un mercato e, dall'altra, a scaricare sulle famiglie (e quando dico sulle famiglie si legga sul lavoro gratuito delle donne, al di là dello spreco di retorica), i bisogni che lo Stato non intende più soddisfare.
Insomma, il disegno reale sotteso a questa legge finanziaria, come a tutti gli altri provvedimenti che avete varato in materia sanitaria in questo anno e mezzo, è uno solo: state pianificando e provocando, attraverso il ridimensionamento della spesa, i tagli, i ticket, il collasso del sistema per darvi, così, un alibi per poter demolire la sanità pubblica regalando ai privati, alle assicurazioni ed ai gestori dei servizi una fetta di mercato tanto più appetibile in quanto riguarda il soddisfacimento di bisogni insopprimibili; un processo che porterà ad un peggioramento delle condizioni di salute generali nel paese, come ci dimostrano gli esempi internazionali di riforme privatistiche dannose come quella del Regno Unito, con il crollo, ad esempio, dopo la cura della destra liberista, della sopravvivenza dei malati di cancro, o come quello dei paesi dell'est dove la caduta dei sistemi sanitari pubblici è fra le cause principali della più grande riduzione della speranza di vita alla nascita che la storia democratica ricordi; perché, il Governo deve ricordarlo, riducendo le spese per la salute si riduce la sopravvivenza. Ma rifondazione comunista vuole battere questo disegno e lo sta facendo con l'impegno parlamentare soprattutto promuovendo la mobilitazione e la lotta contro lo smantellamento della sanità pubblica sia a livello regionale, contro l'introduzione dei ticket e il progressivo smantellamento dei servizi locali, sia a livello nazionale, contro le politiche di contenimento della spesa sanitaria pubblica e le gravi prospettive aperte da questa legge finanziaria, sia impegnandoci nel movimento dei movimenti che, riproponendo la centralità della persona e dei suoi bisogni indica le strade per la costruzione di un mondo nuovo che passa anche per la rifondazione di un sistema sanitario pubblico equo, gratuito e universale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.
ANDREA COLASIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, credo si abbia noi tutti la precisa consapevolezza che con questa finanziaria, la seconda del governo della Casa delle libertà, si possa iniziare a meglio focalizzare il senso, la filosofia e, correlativamente, l'efficacia delle politiche che questa maggioranza ha faticosamente - di questo sì, vi diamo atto - cominciato ad implementare. Gli interrogativi sono allora squisitamente politici ed attengono all'adeguatezza delle vostre politiche in relazione al mutato scenario, al nuovo contesto entro cui è chiamato ad operare il nostro sistema di governo.
Ci si interroga, e non certo solo noi dell'opposizione, ma la società italiana, sulla congruenza o meno delle vostre azioni di governo rispetto agli imperativi che conseguono ai nuovi problemi, alle nuove domande che provengono da una società postfordista, da una società della conoscenza, che poggia sempre più la sua capacità competitiva su fattori immateriali, sulla sua capacità creativa, sulla sua capacità di generare nuovi reti connettive ed una costante capacità di innovazione.
Se vi è un settore, un insieme di politiche dove la registrazione di questa vostra inadeguatezza è quanto mai preoccupante, di certo è quello delle politiche di sostegno alla crescita, al consolidamento, allo sviluppo del capitale culturale complessivo
del paese: scuola, università, sistema della ricerca, beni culturali, sono ambiti strategici che definiscono, al tempo stesso, l'identità del paese, la sua capacità di riprodurre le proprie specificità e particolarità quali limiti alla globalizzazione e la sua capacità di produrre innovazione, di saper leggere e fornire risposte flessibili, adattive al mutamento di scenario che la globalizzazione impone.
Come non leggere, del resto, all'interno di queste coordinate, le politiche scolastiche, sia quelle delineate nella legge delega sia quelle previste da precise norme della vostra finanziaria o, ancora, quelle adombrate in disegni di legge come quello sulla riforma degli organi collegiali o, per finire, le risoluzioni di vecchio sapore illiberale, come quella sui libri di testo scolastici, dove si arriva ad ipotizzare una sorta di censura governativa sui contenuti, travalicando, ebbene sì, sfere costitutive di una cultura liberale, quale l'autonomia della comunità scientifica?
Inoltre, la drastica riduzione del personale ATA, l'introduzione di meccanismi di riduzione e di controllo selettivo e burocratico rispetto agli insegnanti di sostegno, l'inadeguatezza delle risorse allocate per l'edilizia scolastica, pur a fronte delle prescrizioni cogenti della legge n. 626 sulla messa a norma degli edifici scolastici entro il 2004 (tema questo, ahimè, drammaticamente attuale), l'erosione delle risorse previste per il diritto allo studio, il decremento di quelle previste dalla legge n. 440 per l'autonomia scolastica: questi sono tutti elementi indiziari di un processo, ne siate consapevoli o meno come maggioranza, che concorre a creare situazioni di incertezza, di demotivazione negli operatori, il tutto con effetti di riverbero negativi sulla qualità globale dell'offerta formativa. Ma che senso ha, allora, che il ministro Moratti evochi i dati sul tasso di scolarizzazione, che, comparati a quelli dei nostri grandi partner europei, fotografano impietosamente la situazione di arretratezza del paese?
Certo, è giusto ripensare poi al ruolo ed alle funzioni della formazione professionale, penalizzata nel nostro paese da una tradizione idealistica che destituisce di valore e saper fare; al tempo stesso era però doveroso intervenire sull'ordinamento dei cicli con l'obiettivo - questo sì, strategico - di elevare il tasso di scolarizzazione degli italiani e, di converso, il nostro capitale culturale globale, la nostra principale materia prima. Certo, la canalizzazione precoce - a tredici anni - verso il sistema della formazione professionale e la correlata e sintomatica abrogazione prevista della legge n. 9/99 sull'obbligo scolastico non rappresentano sicuramente la risposta più coerente e congruente per riallinearci ai nostri partner europei, così come non è congruente il fatto di evocare la forte divaricazione tra soggetti che entrano nel nostro sistema universitario e l'esiguità di quanti, tra costoro, si laureano, e fornire come risposta una decurtazione del fondo di finanziamento ordinario delle università.
Non fa onore al nostro paese - comunque la si pensi - che il presidente della CRUI, la conferenza dei rettori, sia costretto a paventare la nostra fuoriuscita dagli standard del sistema universitario europeo a causa del collasso delle risorse, nonché dell'impossibilità di programmare un adeguato turn over generazionale del nostro corpo accademico. Tuttavia, ciò che lascia più perplessi è come non si sia voluto sostenere con politiche adeguate e con interventi finanziari modulati e a termine il processo in atto di riforma degli ordinamenti (il tre più due), che necessita più che mai nella sua fase genetica di un attento monitoraggio e di una valutazione rigorosa.
Analogamente, il nostro sistema pubblico di ricerca deve saper assumere come obiettivo ineludibile di riferimento il suo raccordarsi e integrarsi in quello spazio della ricerca europea assunto come parametro su cui modulare le politiche dell'Unione delineate dal documento Busquin e dal sesto programma quadro. Infatti, solo se ed a condizione che le nostre politiche di settore sappiano assumere la scala europea come dimensione operativa, il nostro paese potrà efficacemente concorrere
alla costruzione di un comune spazio europeo nella ricerca scientifica e tecnologica.
Tale processo - per noi sì strategico - ha come suo prerequisito la concertazione fra i vari attori e le reti degli istituti scientifici, di modo che la politica europea della ricerca si sappia configurare come qualcosa di diverso dalla mera sommatoria delle politiche dei singoli Stati membri.
Il nostro sistema pubblico di ricerca - sia chiaro - presenta un tasso di produttività ed una qualità analoga a quella dei partner europei. Esiste, però, un gap quantitativo per risorse allocate rispetto al PIL, per numero di ricercatori, per investimenti e, di converso, per numero di pubblicazioni e brevetti depositati. Tanto più, allora, è incomprensibile politicamente la scarsa attenzione, il non rilievo strategico, anche in termini di risorse, che si è dato al nostro sistema pubblico di ricerca.
Nell'ultimo piano di riparto si è assistito all'allocazione di risorse decrescenti. Da un lato, si evocano ambiziosi obiettivi europei, come il conseguimento di un livello di spesa per la ricerca dell'1 per cento sul PIL, si approvano le nuove linee guida per la ricerca, il CIPE delibera di conseguenza, ma poi le azioni non sono conseguenti.
Così, di converso, mentre si riducono le risorse, depotenziando la capacità produttiva degli enti di ricerca pubblici che devono ridurre gli investimenti in personale, in nuovi apparati tecnologici nel loro impegno internazionale si mette mano ad un processo di riforma del CNR, evocato e smentito più volte, che produce una drastica riduzione degli istituti (da 108 a 15), il tutto senza concertazione alcuna con la comunità scientifica e con la previsione - questa sì veramente regressiva - di una nomina politica di responsabili di dipartimento nonché di istituto.
Infine, per quanto riguarda le politiche dei beni culturali, la lettura del bilancio di previsione del Ministero lascia trasparire con chiarezza come, a dispetto delle dichiarazioni del ministro Urbani che evoca scenari europei dell'1 per cento della spesa, in realtà, si assista ad una drastica riduzione delle risorse, che penalizza tutte le direzioni con punte di caduta più accentuate nel settore strategico dei beni archeologici. Si tratta di una situazione di criticità che, relativamente alla società Patrimonio Spa dello Stato, paradossalmente il fulcro dell'azione di governo in ambito di beni culturali, è stata esplicitata pubblicamente dal presidente Romiti che paventa il rischio - questo sì - della perdita di parte del nostro patrimonio culturale. Le garanzie di tutela non possono essere politiche, ossia discrezionali, ma devono trovare un forte ancoramento giuridico. Qui si è rotta una grande tradizione che, pur tra alti e bassi, ha visto il nostro paese riconoscere la tutela del nostro patrimonio culturale come indissociabile dalla sua identità e, quindi, non negoziabile, non meramente riconducibile ad una logica di mercato.
Siamo al SOS per beni culturali e - sia chiaro - se il Governo si impegna ad allocare in favore dei beni culturali il 3 per cento delle risorse destinate alle infrastrutture, come previsto dall'articolo 33 del disegno di legge finanziaria, ammesso e non concesso che ciò trovi declinazione reale, non deve essere certo pensato come risarcimento di politiche di alienazione di pezzi significativi del nostro patrimonio.
Autonomia scolastica, autonomia universitaria, autonomia della comunità scientifica, rilevanza identitaria del nostro patrimonio culturale: sono tutti elementi che, a nostro avviso, configurano un certo modo di strutturare il rapporto tra società e Stato, tra istituzioni e cittadini, dove autonomia e autogoverno sono indissociabili dalla necessità di un più forte radicamento delle politiche sia rispetto al territorio sia rispetto alla comunità internazionale.
In conclusione, crediamo ad un paese più forte ed autorevole in un'Europa politica dove centrale è il ruolo della conoscenza, della cultura e dei saperi specialistici. Si tratta di uno scenario dal quale con le vostre politiche ci allontanate relegandoci in un ruolo marginale all'interno di quello stesso contesto europeo che il nostro paese, con la sua storia e tradizione,
ha autorevolmente concorso a costruire (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto come parlamentare non posso non esprimere disagio e manifestare allarme istituzionale per la decisione del Governo di presentare il cosiddetto maxiemendamento questa mattina in aula. Fino ad oggi, in Commissione bilancio e nel paese, si è discusso di una finanziaria, come diceva qualche collega, assolutamente virtuale. Vi è, ovviamente, in questo una gravissima ferita istituzionale, l'ennesima. Un ramo del Parlamento viene espropriato della discussione e della possibilità di decisione su una legge fondamentale dello Stato.
Siamo, poi, alla rottura di ogni regola istituzionale e parlamentare quando il ministro Bossi, con un vero e proprio ricatto, afferma che la Lega voterà gli emendamenti per il sud in cambio della discussione al Senato della modifica dell'articolo 117 della Costituzione prima dell'approvazione della legge finanziaria.
Oggi siamo, quindi, a discutere di una legge fondamentale per la vita dello Stato che, di fatto, è stata svuotata di significato politico e programmatico, fatta, purtroppo, merce di scambio e compromesso da parte di un Governo che non riesce che a portare avanti i propri interessi privati.
Nelle parole del Presidente del Consiglio questa doveva essere una finanziaria di rigore e di sviluppo, ma sembra, più che altro, la finanziaria dei rinvii e delle scommesse: nessuna misura strutturale di contenimento della spesa pubblica; ricorso a misure una tantum per compensare un calo permanente del gettito fiscale; scommessa in una crescita sostenuta nel 2003 di cui, francamente, ad oggi non si ravvisano i sintomi. Il rinvio, inoltre, dal 2004 al 2006 del termine per raggiungere il pareggio di bilancio nei paesi dell'Unione monetaria permette al Governo di mantenere sì alcuni impegni presi nel patto per l'Italia, ma senza interventi strutturali di taglio sulla spesa pubblica e di rilancio dell'economia.
Sul lato delle entrate si prevedono solo sanatorie, per definizione misure una tantum. Gli 8 miliardi di entrate aggiuntive dovrebbero provenire soprattutto dal concordato di massa che, di fatto, è l'anticamera di un condono generalizzato e dal concordato preventivo triennale per le piccole imprese. Completano la manovra i 4 miliardi provenienti dalle cartolarizzazioni e dalle neonate Patrimonio e Infrastrutture Spa.
Le cartolarizzazioni e le dismissioni alle due nuove società anticipano, è vero, entrate future, ma comportano oneri impliciti per lo Stato superiori a quelli normalmente pagati sul debito pubblico. I condoni, soprattutto quando sbandierati come interventi volti a fronteggiare emergenze sul versante dei conti pubblici, alimentano tra i cittadini l'aspettativa che a queste misure si tornerà a ricorrere in futuro in caso di nuovi cali del gettito. I condoni fiscali distruggono la credibilità dello Stato nella lotta all'evasione e vanificano anni di difficile lavoro di lotta all'evasione fiscale portata avanti con rigore dai governi dell'Ulivo. Sembra che il ministro Tremonti, illustre tributarista, non riesca a far altro che a programmare l'evasione fiscale.
Questa finanziaria ha una meta: essa propone un modello di deresponsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni, di ridimensionamento del loro ruolo, di salvaguardia degli interessi delle rendite, con il conseguente degrado del nostro sistema produttivo che può portare, alla lunga, il nostro paese fuori dalla competizione tra i sistemi economici avanzati.
L'emendamento per il sud presentato oggi dal Governo è un ulteriore inganno per il sud. Fatti i dovuti calcoli dopo la correzione l'anno prossimo vi saranno per il Mezzogiorno poco più della metà delle risorse presenti nel 2001 con la finanziaria del Governo dell'Ulivo. Dopo solo un anno e mezzo di Governo la maggioranza di centrodestra è riuscita a mettere a rischio i conti pubblici, non ha saputo realizzare
il promesso secondo miracolo economico italiano, né porre in essere le necessarie politiche per contrastare, almeno in parte, gli effetti del ciclo internazionale sfavorevole.
Per quanto riguarda il comparto degli enti locali, la legge finanziaria per il 2003 avrebbe dovuto essere una finanziaria di svolta, nella parte relativa ai rapporti fra le istituzioni locali e regionali. I comuni si aspettavano l'avvio di un percorso di attuazione di quel modello di federalismo fiscale - che ha peraltro costituito uno dei punti salienti del programma elettorale del Governo -, in attuazione del nuovo titolo V della Costituzione e dell'intesa interistituzionale firmata dal Presidente del Consiglio dei ministri il 20 giugno 2002.
La nuova legge finanziaria parte invece da un'impostazione nettamente centralistica, proponendo misure fortemente penalizzanti per i comuni, sia dal lato del mancato rispetto dei principi di autonomia, sussidiarietà e pari dignità istituzionale, sia nella parte relativa alla drastica riduzione di risorse sulle quali i comuni potranno contare nel prossimo anno (un taglio pari a 1,7 miliardi di euro).
Si tenta di risolvere così i problemi del federalismo fiscale con delle fughe in avanti, fatte di proclami ed enunciazioni di principi, per nascondere il fatto che vengono adottate misure assolutamente centralistiche e negatrici dell'autonomia locale. Quelle contenute nella legge finanziaria sono proposte gravi, perché rappresentano una conferma di un clima non solo percepito, ma verificato nei fatti, di ritorno indietro rispetto al progetto federalista e rispetto al principio di sussidiarietà; con ciò mi riferisco anche alla qualità e alla quantità di risorse messe a disposizione delle stesse autonomie.
Ancor più chiaramente questo processo si è percepito con la cosiddetta legge obiettivo per le grandi infrastrutture, con gli orientamenti espressi e praticati su questioni centrali come la scuola e la sanità, fino alla recente legge delega in materia ambientale. Questi sono stati tutti fatti concreti, assolutamente coerenti con la filosofia che li ha ispirati e che hanno inaugurato una nuova stagione di centralismo statale. La legge finanziaria per il 2003 rappresenta l'esito naturale, pesante e grave, di questo processo e non possiamo farci ingannare dalle affermazioni verbali sulla devoluzione prossima e sull'ennesimo tavolo centrale, cioè l'alta commissione che dovrà ridisegnare la fiscalità locale.
Gli enti locali non chiedono per il 2003 - qui sta il nodo centrale - risorse straordinarie di parte corrente, ma il riconoscimento delle stesse risorse ricevute nel 2002, con un incremento pari al tasso di inflazione e con l'utilizzo dei risparmi realizzati nell'ambito della finanza locale; inoltre, qualora la ridefinizione delle aliquote IRPEF produca minor gettito per i comuni, si chiede che la pari entrata venga ovviamente garantita dallo Stato.
Per quanto riguarda le regioni, poi, dopo l'illusione del tavolo tecnico, è arrivata la beffa del maxiemendamento, che ignora - dico ignora - tutti gli impegni presi dal Governo, a partire da quelli dell'agosto scorso, ma su questo tornerò fra poco. Alla richiesta dunque delle autonomie locali di stabilire insieme meccanismi di responsabilizzazione nella gestione della finanza locale - richiesta condivisa peraltro più volte dal Governo - la risposta della legge finanziaria è contenuta in misure di limitazione dell'autonomia degli enti o in tagli alla spesa, vincoli, tetti e controlli nei confronti dei comuni, accusati ingiustamente di avere fuori controllo le voci di spesa.
Al riguardo vorrei fare alcuni esempi. Le misure punitive previste dalla legge finanziaria prevedono: tagli del 2 per cento ai trasferimenti statali degli enti locali (ben 277 milioni di euro); non viene riutilizzato, come invece negli anni scorsi, tutto il risparmio sul Fondo per gli investimenti (588 milioni di euro); aumentano gli esborsi degli enti locali per l'IVA, ma guarda caso nel contempo il Fondo rimborso IVA per l'esternalizzazione dei servizi è ridotto di 263 milioni di euro, a cui si aggiungono 244 milioni di euro di minori rimborsi IVA per il trasporto pubblico locale (e anche questa rappresenta una mazzata per il trasporto pubblico
locale). È inoltre previsto un taglio addirittura di 51 milioni di euro alle isole minori ed una diminuzione dei fondi per la riqualificazione urbana. Le addizionali facoltative comunali e regionali IRPEF per l'anno 2003 vengono congelate; la compartecipazione IRPEF, sempre in sostituzione dei trasferimenti, sarà del 6,5 per cento per i comuni e dell'1 per cento per le province. Non viene però riconosciuta alcuna compensazione per i comuni a seguito della riduzione delle aliquote nazionali IRPEF ed è ovvio che tutto ciò comporterà minori entrate per circa 264 milioni di euro, in quanto minore sarà il gettito della compartecipazione IRPEF al 4,5 per cento e delle addizionali facoltative IRPEF già applicate nel 2002.
Quindi, i tagli e il minor gettito fiscale per gli enti locali ammonteranno a 3.340 miliardi delle vecchie lire. Ed è evidente che ciò renderà difficile l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e che comporterà gravi riduzioni di servizi.
È prevedibile un blocco della spesa per beni e servizi a livello del 2002, con l'esclusione - come nel 2002 - dei comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, con l'obbligo per gli acquisti del ricorso alle convenzioni quadro, definite dalla CONSIP, pena, addirittura, la nullità dei contratti stipulati in difformità. È facile così prevedere un aumento di tariffe, di aliquote fiscali e di dismissioni del patrimonio per gli enti che non riusciranno a far quadrare i bilanci.
Anche la spesa scolastica verrà ridotta con meno personale - in particolare, operatori scolastici - e, quindi, con prevedibili ricadute sui comuni e sulle province. Mentre anche alle regioni vengono ridotte le risorse, tagliando l'IRAP e congelando l'addizionale IRPEF, la sottostima del fabbisogno di spesa sanitaria permane aggravata da un ritardo del trasferimento delle risorse pattuite con l'accordo dell'agosto 2002.
Resta aperta la necessità che il fondo sanitario nazionale possa avvicinarsi, in modo pluriennale ma con scadenze precise, al 6,5 per cento del PIL, così come pattuito nell'accordo Stato-regioni dell'agosto 2002. Invece, assisteremo alla reintroduzione del ticket e all'aumento delle tasse regionali.
Il patto di stabilità interno sarà particolarmente rigido e paralizzante. Per i comuni sopra i 5.000 abitanti, il disavanzo finanziario non potrà superare quello del 2001, maggiorato del 3,6 per cento. Non sono previsti premi per gli enti virtuosi e il mancato rispetto delle norme comporterà la riduzione dei trasferimenti statali, il divieto di investimenti e il blocco delle assunzioni.
È come se, con la scure dei tagli e dei dettagliati vincoli punitivi della legge finanziaria 2003, si volessero porre le autonomie locali sotto accusa per il deficit crescente dello Stato: la realtà dimostra che, invece, il comparto degli enti locali ha sempre - dico sempre - rispettato il patto di stabilità interno.
Per vigilare sugli equilibri finanziari, addirittura, la legge finanziaria rispolvera una commissione centrale finanza locale, ma non è così che i bilanci e i programmi degli enti locali si realizzano positivamente.
Con l'intesa interistituzionale, si conveniva sulla previsione di definire l'impianto complessivo del federalismo e sull'avvio del trasferimento di una parte delle risorse necessarie per svolgere le competenze esclusive e le funzioni amministrative derivanti dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. È l'esatto contrario!
Con riforma del titolo V della Costituzione, aumentano le competenze e le funzioni degli enti locali e delle regioni, mentre con legge finanziaria del 2003 vengono tagliate e diminuite le risorse per farvi fronte.
Il rinvio al 2004 di un imprecisato federalismo fiscale, preceduto da un 2003 di tagli, di violazione dell'autonomia di entrate e di spese e da vincoli centralistici, può diventare il modo per affossare la riforma federalista dello Stato e per colpire i ceti più deboli, oggi assistiti dagli interventi di welfare degli enti territoriali. Si tenga conto che lo Stato sociale è incardinato sui servizi locali, per gli anziani
e per gli handicappati, per l'infanzia e la scuola, per la sanità e le famiglie meno abbienti.
Da una parte, si afferma di voler praticare una diminuzione dell'IRPEF ma, dall'altra, il contribuente vedrà aumentare la pressione tributaria e tariffaria da parte degli enti locali e delle regioni, vincolati al pareggio di bilancio.
È indubbio che la scelta obbligata degli enti territoriali sarà fra il taglio e la riduzione dei servizi sociali o l'aumento delle tasse locali e delle tariffe.
È noto che le entrate dei bilanci degli enti locali soffrono di una forte rigidità. Il gettito ICI rappresenta la maggiore entrata dei comuni (9.600 milioni di euro), mentre l'addizionale facoltativa IRPEF ha dato un gettito di 1.153 milioni di euro (applicata da 4.640 comuni su 8.100), di cui 1.400 con l'aliquota massima dello 0,5 per cento. Considerando che, rispetto allo scorso anno, l'incremento del gettito è stato del 33 per cento, si dimostra che l'addizionale IRPEF è rimasta l'unica possibile risorsa di entrate a fronte dei continui tagli dei trasferimenti statali.
Il Governo - guarda caso - ha deciso una riduzione delle aliquote IRPEF e, per non vederle vanificate dall'aumento obbligato dell'addizionale facoltativa comunale e regionale sull'IRPEF, congela tali imposte proprie degli enti territoriali; un atteggiamento simile è incredibile ed assurdo.
Se non si vuole, quindi, annullare il processo federalista, si tratta di essere coerenti con il principio dell'articolo 119 della Costituzione, che prevede che gli enti locali e le regioni stabiliscano ed applichino tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Ciò che succede con questa finanziaria è esattamente l'opposto di quanto previsto dalla Costituzione.
La manovra finanziaria per il 2003 avrebbe dovuto dare risposte alla contingenza del prossimo anno ed avviare, nel contempo, un processo di riforma delle finanze territoriali. Si sarebbe dovuto prevedere anche il potenziamento del fondo perequativo con risorse provenienti dalla compartecipazione all'IRPEF, dal riconoscimento del tasso di inflazione e da economie di spesa per mutui in estinzione, privilegiando le aree svantaggiate, gli enti sottodotati, i piccoli comuni e quelli montani. La riconferma, come nel 2002, di solo 87 milioni di euro per i comuni sotto i 3.000 abitanti ed il modesto incremento di 25 milioni di euro, di cui soltanto 10 per spesa corrente, ...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Tidei.
PIETRO TIDEI. ...a sostegno delle unioni e delle comunità montane - sto concludendo - sono insufficienti e non nascondono certamente i tagli penalizzanti per i bilanci dei piccoli comuni.
Avviandomi alla conclusione, i previsti tavoli di confronto con il Governo o con le commissioni di studio devono essere resi immediatamente operativi con la partecipazione di comuni, province e regioni. Governo e Parlamento dovrebbero ascoltare le responsabili proposte di correzione della legge finanziaria 2003 e di riforma per un federalismo fiscale. Ma questo Governo - e concludo veramente - e questa maggioranza, francamente, ci sembrano ciechi e sordi rispetto alle esigenze che i cittadini manifestano ormai da settimane attraverso i loro enti locali.
Voglio augurarmi che almeno quei colleghi, che sono stati e sono ancora amministratori locali, sappiano uscire da una logica centralista e di schieramento e votare favorevolmente almeno su quegli emendamenti che potrebbero migliorare questa legge finanziaria che, così come è, rappresenta, francamente, il peggio che questo Governo potesse partorire (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stradiotto. Ne ha facoltà.
MARCO STRADIOTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, venerdì ho ascoltato l'intervento del relatore Angelino Alfano,
il quale iniziava dicendo che la chiave di lettura di questo periodo economico è l'incertezza. Condivido in pieno questa affermazione: la situazione economica internazionale e nazionale non garantisce alcuna certezza. Quindi, porci, oggi, obiettivi credibili di crescita economica, di diminuzione del rapporto deficit-PIL e di contrazione dell'inflazione sembra un'operazione del tutto virtuale. Formulare una finanziaria partendo da dati sbagliati ed eccessivamente ottimistici è un grave errore. Dobbiamo avere il coraggio di dire la verità agli italiani. Sappiamo tutti che nel corso del prossimo anno sarà quasi un miracolo se riusciremo ad ottenere un aumento del PIL superiore all'un per cento e a contenere l'inflazione al 2 per cento. Con tali premesse sembra irraggiungibile l'obiettivo di ridurre all'1,5 per cento l'indebitamento rispetto al PIL. Lo stesso aumento dell'occupazione, che negli ultimi anni ha fatto registrare un trend molto positivo, sta invertendo la rotta.
Di fronte a questo scenario, che trae origine dalla situazione internazionale, ma anche da errate disposizioni legislative attuate da questo Governo e dall'attuale maggioranza, non si vuole dire la verità agli italiani. Si continua a far finta che i problemi non esistano. I provvedimenti sul sommerso non hanno dato i risultati sperati. La Tremonti-bis pare abbia bruciato 5 miliardi di euro sotto forma di minori entrate, senza produrre alcun incremento significativo del PIL. Si criticano i provvedimenti economici presi dai precedenti governi di centrosinistra, ma non vi è il coraggio di modificarli, forse perché non erano poi tanto sbagliati.
La maggioranza e il Governo stanno attuando una politica di corto respiro. Berlusconi ha fatto la sua fortuna economica e politica facendo divertire e sognare gli italiani ed oggi che sarebbe più che mai necessario riportare tutto alla realtà, intaccando rendite di posizione e privilegi, non vi è il coraggio di farlo. Il Presidente del Consiglio è ostaggio dello strumento che ama di più: i sondaggi.
In questa situazione, ricca di incertezze economiche, il Governo contribuisce ad aumentarle non tenendo conto neanche delle poche certezze che abbiamo. Dopo aver letto l'articolo 3 e quelli che vanno dal 13 al 21 di questo disegno di legge finanziaria, sono andato a rivedere l'articolo 114 della Costituzione della nostra Repubblica il quale recita: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni (...)». Successivamente, ho letto l'articolo 119 della nostra Costituzione, che recita: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante». Come può la legge finanziaria andare contro la Costituzione, obbligando gli enti locali a non applicare aumenti alle addizionali, come nell'articolo 3, e a utilizzare le convenzioni CONSIP spa per gli acquisti di beni e servizi (vedi l'articolo 13)? E che dire dell'articolo 16 che obbliga i comuni nell'acquisto di beni e servizi a non spendere nel 2003 più di quanto speso nel 2001? Ancora, come può la legge finanziaria prevedere che gli effetti della compartecipazione comunque non porteranno alcun vantaggio se è vero che alle somme risultanti viene posto un limite pari ai trasferimenti degli anni precedenti (vedi l'articolo 18)? Infine, l'articolo 21 che impone il blocco delle assunzioni.
Siamo consapevoli - l'ho chiaramente detto all'inizio del mio intervento - che la situazione economica del nostro paese è critica. Tuttavia, non è che si risolve il
problema mortificando l'autonomia degli enti locali: anzi, l'autonomia degli enti locali potrebbe essere una vera e propria risorsa per lo Stato. Anche gli enti locali debbono concorrere al raggiungimento del patto di stabilità e su questo nessuno di noi ha dubbi. Ma è un obiettivo che può essere centrato in modo più efficace e concreto dando spazio alle autonomie e senza imporre lacci e lacciuoli: autonomia significa anche maggiore responsabilità. La legge finanziaria dovrebbe - uso il condizionale proprio perché spero che cambi completamente l'impostazione - stabilire un unico rapporto tra Stato ed ente locale. L'ente locale non deve contribuire ad aumentare il deficit dello Stato, ma deve essere libero di gestire i servizi, i tributi e le tariffe come ritiene più opportuno.
La legge finanziaria dovrebbe prevedere un unico articolo di riferimento per gli enti locali, partendo dai limiti e dalle possibilità date dal titolo V della Costituzione. In questo articolo dovrebbe essere chiaro che gli enti locali sono enti autonomi e in quanto tali non possono contribuire ad aumentare il deficit dello Stato. Dovrebbe essere prevista una compartecipazione alle più importanti entrate fiscali e tributarie relative al territorio di competenza, come IRPEF, IVA e IRPEG. L'importo di tale compensazione però non dovrebbe essere bloccato, come nella legge finanziaria dello scorso anno e quella di quest'anno, ma stabilita un'aliquota che risulti vantaggiosa per i comuni: ecco che allora si svilupperebbe anche da parte degli enti locali la ricerca del sommerso. Ci vorrebbe poi un fondo perequativo per riequilibrare le risorse a favore delle aree più svantaggiate del nostro paese, ma ci dovrebbe essere libertà assoluta da parte degli enti locali di stabilire in che modo e quali servizi erogare, se assumere personale o valersi di aziende esterne, se acquistare utilizzando CONSIP Spa o attraverso degli appalti che consentono di risparmiare ulteriormente.
Quando lo scorso anno sono andato a votare «sì» al referendum confermativo relativo alla modifica del titolo V della Costituzione ero convinto che qualunque Governo avrebbe utilizzato questo strumento per dare maggiore autonomia e per chiedere maggiore responsabilità. Voi eravate contrari alla modifica del titolo V della Costituzione e dicevate che era troppo poco federalista. Ebbene, a distanza di un anno non applicate neanche quel poco; continuate a parlare di devolution ma nel frattempo ponete limiti e vincoli assurdi agli enti locali. So che il presidente della Commissione bilancio Giancarlo Giorgetti e il relatore Angelino Alfano sono molto sensibili a questi argomenti. Siete ancora in tempo per preparare un emendamento che rimoduli completamente in senso federalista la finanza locale, pur mantenendo inalterati i saldi. Anzi, un sano federalismo fiscale permetterebbe di ottenere minori spese per lo Stato e una maggiore base imponibile derivante dall'emersione del sommerso.
Qualora non riusciate a superare l'ottusità del ministro dell'economia e delle finanze, che considera gli enti locali un peso e non una risorsa, spero almeno che riusciate a ridurre il danno che secondo noi provocano gli articoli precedentemente citati di questo disegno di legge finanziaria, accogliendo alcuni emendamenti, che io e altri colleghi, sia di maggioranza che di opposizione, abbiamo presentato.
All'articolo 3 va prevista la possibilità, per i comuni che non hanno mai applicato l'addizionale IRPEF, di applicare - qualora ne avessero la necessità - almeno una variazione di aliquota, ai sensi dell'articolo 1, comma 3 del decreto legislativo n. 360 del 28 settembre 1998 e successive modificazioni ed integrazioni.
All'articolo 13 va precisato che i comuni sono liberi di effettuare gare e trattative private seguendo i limiti imposti dalle direttive comunitarie e dalle leggi nazionali, con particolare riferimento alla legge n. 109 del 1994 e successive modifiche. Sempre all'articolo 13 va previsto che costituisce danno erariale spendere per beni e servizi più di quanto previsto dalle convenzioni Consip, ma rispetto a questo limite i comuni e gli enti sono liberi
di indire gare d'appalto o trattative private nei limiti previsti dalle direttive europee e dalla legislazione nazionale vigente.
All'articolo 16, relativo al patto di stabilità, va previsto che il rispetto del patto viene valutato solo dal saldo relativo alla competenza e alla cassa rispetto al 2001, aumentato del 4,5 per cento; vanno rimossi i limiti imposti dal comma 5, in particolare quelli che bloccano la possibilità di aumentare la spesa per la fornitura di beni e servizi.
All'articolo 18 va previsto un rimpinguamento di risorse per compensare i rinnovi contrattuali e l'inflazione reale; infatti, non va dimenticato che nel corso degli ultimi anni sono aumentate le competenze per gli enti locali; gli stessi tagli effettuati sulla scuola nella scorsa legge finanziaria si stanno ripercuotendo nei bilanci comunali. Sempre più spesso i dirigenti scolastici, nell'intento di garantire un servizio scolastico efficiente, si rivolgono ai comuni allo scopo di ottenere fondi per poter sopperire alla mancanza di insegnanti di sostegno per i portatori di handicap e di insegnanti per l'apprendimento delle lingue straniere.
All'articolo 21 va eliminato il blocco delle assunzioni per gli enti virtuosi che negli scorsi anni hanno rispettato il patto di stabilità.
Spero che a differenza dello scorso anno, quando non siamo stati ascoltati per la stesura della legge finanziaria - che tuttavia siete stati, comunque, costretti a correggere dopo che molti sindaci, anche della vostra parte politica, hanno protestato -, questa volta teniate in considerazione le nostre proposte in modo da modificarla fin da subito (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tocci. Ne ha facoltà.
WALTER TOCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in queste settimane nel tessuto industriale del paese sono accaduti due importanti fatti. L'azienda di Catania, la STMicroelectronics, sotto la guida Pistorio e dopo anni di investimento in ricerca ha raccolto i suoi frutti: sta per acquistare la multinazionale Motorola e diventare così il secondo produttore mondiale di semiconduttori. Negli stessi giorni la FIAT entrava in crisi per un motivo molto semplice: la rinuncia a sviluppare ricerca. Negli ultimi anni l'azienda torinese ha avuto un livello di investimenti in ricerca pari ad un quarto delle sue concorrenti. Sono due storie italiane che dimostrano, una in positivo e l'altra in negativo, quanto sia importante per lo sviluppo economico di un paese l'investimento in ricerca scientifica. Che altro deve succedere allora perché questo Parlamento assuma tale priorità per il futuro del paese?
Fra poche ore cominceremo a discutere i diversi articoli della legge finanziaria che incideranno, più o meno, sui diversi parametri dell'economia nazionale. Vi è soltanto un investimento che non si limita ad un più o ad un meno nei risultati; è l'investimento in ricerca che decide il rango dell'Italia nella competizione internazionale. Quanto investiremo oggi in ricerca deciderà se l'Italia potrà continuare ad essere un grande paese, oppure se le sue produzioni - sempre più manifatturiere - cominceranno ad essere insediate dei paesi in via di sviluppo.
Con i nostri emendamenti proponiamo di aumentare l'investimento del 18 per cento nella ricerca scientifica; può sembrare tanto, in realtà si tratta di una richiesta moderata ed equilibrata. Semplicemente, proponiamo di attuare le previsioni che lo stesso Governo aveva fatto con la delibera CIPE nel mese di aprile sulle linee guida per la ricerca scientifica.
Noi, nell'interesse del paese, eravamo pronti ad applaudire dai banchi dell'opposizione, se davvero, voi del Governo, aveste mantenuto l'impegno con quello stanziamento. Invece, siamo costretti a denunciare che avete cestinato le linee guida per la ricerca scientifica e diminuito di nuovo, dopo il taglio già operato l'anno scorso, il finanziamento per il settore della ricerca.
Siamo costretti a raccogliere il grido di allarme dei rettori delle università italiane che non ce la faranno con questi stanziamenti a chiudere i bilanci delle università. Con i vostri tagli li costringerete ad aumentare le tasse agli studenti così come dovranno fare, tra l'altro, i comuni e le regioni con i loro cittadini.
Vi è una singolare divisione dei compiti: Berlusconi vuole dare solo buone notizie e, per mantenere il suo sorriso a 180 gradi, costringe sindaci, governatori regionali ed anche i rettori delle università a far piangere i redditi delle famiglie italiane. Allora, le linee guida per la ricerca erano un altro pesce d'aprile? Fino a quando continuerete ad avvitarvi in promesse faraoniche, in impegni non rispettati e poi in nuove bugie?
Dire che gli obiettivi delle linee guida saranno rispettati a fine legislatura è l'ultima bugia perché ciò è falso! Quel documento stabilisce aumenti cadenzati negli anni e per il 2003 prevede appunto il 18 per cento di aumento, mentre l'attuale disegno di legge finanziaria prevede un taglio del 2 per cento. Cercate l'alibi della recessione economica, ma non lo sapevate sei mesi fa, quando avete annunciato a reti unificate quegli impegni?
Le linee guida, inoltre, vincolavano il rispetto di quegli impegni all'aumento del PIL al 2,5 per cento; si tratta, grosso modo, dello stesso obiettivo della legge finanziaria. Pertanto, erano false le linee guida, oppure è falso il livello del 2,5 per cento della legge finanziaria? Forse che gli altri paesi non affrontano la crisi economica, così come l'affrontiamo noi? Eppure, in questo momento, gli altri paesi stanno decidendo cospicui aumenti nel settore della ricerca scientifica: in Francia, vi è un aumento del 2,2 per cento; in Germania, del 2,1 per cento; in Inghilterra di circa il 7 per cento, mentre gli Stati uniti d'America, nel pieno di un'economia di guerra, si permettono un aumento dell'8,5 per cento. Rimanere fermi in questo campo, mentre gli altri paesi vanno avanti, significa andare indietro nella competizione internazionale.
Se questo disegno di legge finanziaria non cambierà, l'Italia farà un altro passo indietro nella ricerca scientifica ed i primi a pagare questo arretramento saranno i nostri giovani ricercatori (per il secondo anno sono bloccate le assunzioni negli enti di ricerca e nelle università). I nostri professori universitari sono la metà degli altri paesi, in rapporto al numero degli studenti e ciò avviene mentre viene attuata la riforma universitaria e si pontifica ogni giorno sulla società della conoscenza. I nostri ricercatori hanno un'età media di cinquant'anni ed in molti laboratori, grandi maestri, grandi scienziati non trovano giovani ai quali trasmettere la loro esperienza e le loro metodologie.
Si blocca così quel naturale scambio generazionale che è alla base del progresso scientifico. State impedendo ad una nuova generazione di ricercatori italiani di dimostrare il proprio talento; li costringete ancora ad emigrare per fare ricerca.
Poche settimane fa, un altro nome italiano si è aggiunto alla storia dei premi Nobel, il professor Giacconi, il quale ha raccontato il motivo per cui si è dovuto recare in America per trovare le risorse ed i mezzi indispensabili per il suo studio. Là, ha detto il professor Giacconi, mi è stato offerto, come a Michelangelo, un muro da affrescare.
Oggi, vi sono in Italia tanti giovani talenti che non chiedono prebende o favori, ma solo un muro da affrescare. Perché negarglielo? Cambiare qualche rigo di quell'articolo 21 consentirebbe di assumere nuovi ricercatori. Consentirebbe, inoltre, alle menti migliori tra i nostri giovani di disegnare il futuro.
Accogliere anche qualche emendamento di modesta portata significherebbe mantenere il passo con l'Europa. Ci sono diversi progetti dai quali rischiamo di rimanere esclusi.
In questi giorni, per carenze finanziarie, l'Italia rischia di non partecipare, per fare qualche esempio, alla missione spaziale su uno dei pianeti più affascinanti, Venere. L'Italia ha un prestigio in campo spaziale: dopo i russi e gli americani è stato il primo paese ad inviare nello spazio
satelliti ed astronauti. Sarebbe la prima volta che il nostro paese non partecipa ad un'importante missione internazionale. Andare su Venere significa compiere grandi passi avanti nella ricerca e nello stesso tempo coinvolgere anche l'opinione pubblica che in questi progetti vede un'occasione per comprendere meglio il progresso della scienza. I progetti spaziali infatti mostrano una correlazione forte fra l'attività di ricerca e l'immaginario collettivo, i sogni e le speranze del largo pubblico. Venere non è soltanto un pianeta da studiare, ma anche, ricordiamolo, il simbolo della bellezza femminile. Chiediamo al ministro Moratti di accogliere l'appello delle deputate: non tolga alle donne italiane anche il sogno di Venere.
In questi mesi avete aperto una oziosa quanto inutile querelle fra la ricerca di base e la ricerca applicata, fra ricerca pubblica e ricerca privata. Nel leggere il testo del disegno di legge finanziaria sembra abbiate risolto brillantemente la questione negando ad entrambi i fondi. Sono rilevanti i tagli agli enti pubblici e prive di fondi sono anche tante imprese che hanno partecipato ai bandi del FAR e del FIT. Eppure quella contrapposizione è dannosa per il paese.
Volete distruggere il CNR togliendo i fondi a questa gloriosa istituzione scientifica e mettendo a capo dei laboratori i vostri fiduciari politici, trasformandola in una sorta di RAI. Neppure il fascismo osò mettere in discussione l'autonomia della scienza. È proprio il CNR che nel panorama europeo rappresenta un punto di eccellenza nella nostra ricerca. Vorrei ricordare che, con risorse di gran lunga inferiore, il nostro Consiglio nazionale delle ricerche ha un livello di pubblicazioni percentualmente equivalente a quello del Max Planck tedesco e a quello del CNRS francese. Pensate davvero che dare un colpo al CNR significhi liberare energie per la ricerca industriale? Pensate che questa sia la strada giusta?
Personalmente, ciò mi ricorda un apologo in cui vi era un contadino credulone che possedeva un grande albero che, producendo tanti frutti, dava sostentamento alla sua famiglia. Questo albero aveva rami sottili e tronco grosso. Un giorno un burlone disse al contadino che i rami erano piccoli e soffrivano perché tutta la linfa era assorbita dal tronco. Così il contadino credulone tagliò il tronco e passò il resto dei suoi giorni in miseria.
Predicate ad ogni piè sospinto che la ricerca deve essere finalizzata ad applicazioni produttive. Eppure, con questa legge finanziaria, date un colpo all'Istituto nazionale per la fisica della materia, con un taglio rilevante del 34 per cento dei fondi. L'INFM è l'ente di ricerca maggiormente in grado di suscitare innovazione tecnologica. Leggete la pagina culturale de Il Sole 24 Ore di ieri che ci ricorda i 21 spin off dell'INFM, i progetti europei in tutti i settori di punta, a cominciare dalle nanotecnologie. Fra dieci anni tutti parleranno della nuova generazione di computer basati sui fenomeni della fisica quantistica; pochi sanno però che i laboratori dell'INFM sono in questo momento all'avanguardia nel mondo nella quantum information. Riusciranno a mantenere quella posizione di avanguardia con un taglio del 34 per cento dei fondi nei propri bilanci?
Noi proponiamo una strada diversa: potenziare la ricerca fondamentale in modo da mutare la crescita di reti di imprese innovative che utilizzano i risultati della ricerca. È l'esperienza migliore dei distretti high-tech a ricordarci che l'innovazione non nasce nel deserto della ricerca di base, ma intorno a forti centri pubblici di ricerca e di formazione.
Proponiamo in tal senso un emendamento che consente detrazioni fiscali alle imprese che svolgono ricerca in stretto rapporto con i centri di ricerca di base. La forza però di questi distretti sta nel non perdere il collegamento internazionale e, prima di tutto, quello europeo.
La strada maestra rimane quella indicata dal miglior ministro della ricerca scientifica che l'Italia abbia mai avuto, il professor Antonio Ruberti, che per primo parlò di spazio europeo della ricerca. Quell'idea è stata ripresa al vertice di Lisbona, con la previsione dell'investimento in ricerca nella misura della media
europea del 3 per cento del prodotto interno lordo, e rilanciata in questi giorni dal commissario Busquin che si è spinto anche sino ad immaginare l'istituzione di un Consiglio europeo della ricerca, ovvero di una nuova agenzia che sia capace di integrare le risorse e le strutture per gli scienziati che, da sempre nel loro lavoro, sono abituati a svolgere ricerca su scala internazionale.
Chiediamo che il Governo sostenga questi indirizzi in sede europea, ma, per fare ciò, è necessario correggere la legge finanziaria. Vi chiediamo, quindi, di riflettere su tutti gli emendamenti riguardanti il settore della ricerca scientifica che verranno esaminati: sappiate che ogni emendamento sulla ricerca che viene bocciato, toglie un pezzetto di futuro all'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Pappaterra, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.
LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la legge finanziaria per il 2003 si basa essenzialmente su due elementi fondamentali: la crescita del paese ed il controllo della spesa pubblica. Per quanto riguarda la crescita del PIL, essa è indicata nel 2,3 per cento e corrisponde a quella comunemente stimata nell'area dei paesi aderenti all'euro ed assunta dalla Commissione europea come dato realistico. Per quanto concerne invece il fronte della spesa, l'indebitamento netto programmatico è fissato all'1,5 per cento del PIL ed il Governo ha stimato questo obiettivo compatibile con l'andamento complessivo dei conti pubblici e con la tecnica di valutazione applicata in sede Ecofin.
Entrando nel dettaglio, l'entità della manovra è intorno ai 20 miliardi di euro e consente il rispetto sia del patto di stabilità europeo, sia del patto per l'Italia. Fondamentalmente, essa consente il finanziamento di una riduzione delle imposte dirette per 5,5 miliardi di euro per quanto riguarda l'IRPEF, di due punti percentuali per quanto riguarda l'IRPEG - dal 36 al 34 per cento - e di 500 milioni di euro per quanto riguarda l'IRAP, corrispondenti a 0,5 punti percentuali di PIL, oltre ad un significativo stanziamento per interventi correttivi per circa 20 miliardi, pari all'1,5 per cento. Tutto ciò in un quadro di contenimento dell'inflazione su valori previsti dall'1,3 all'1,4 per cento.
La logica politica della manovra è basata sul binomio rigore e sviluppo. Rigore, nel senso che la spesa primaria corrente al netto degli interessi aumenta, ma in maniera contenuta, con un'incidenza sul prodotto interno lordo che passa dal 38,1 al 37,6 per cento. Ciò significa che non vi sarà alcun taglio della spesa sociale, perché non sono previsti interventi in riduzione su pensioni, sanità o altre voci di spesa sociale, bensì un buon governo nella gestione dei conti pubblici, con la volontà di invertire una tendenza oramai incontrollata nel settore pubblico di aumento del fabbisogno. A ciò aggiungiamo una riduzione della spesa discrezionale dei ministeri, sull'ordine del 10 per cento, realizzabile grazie alla centralizzazione degli acquisti, alla flessibilità nell'utilizzo di unità di bilancio omogenee, all'adozione di procedure più rigorose nei meccanismi di spesa e ad una maggiore responsabilizzazione dei soggetti interessati.
Sul versante della spesa, in aggiunta alla parte definibile di rigore - o meglio, incomprimibile -, vi è una diversa configurazione della stessa grazie alla modifica di alcune forme di finanziamento, che passano dalla definizione originaria di contributi ad una configurazione mista di contributi e finanziamenti, con una invarianza sostanziale dell'effetto economico per i beneficiari, ma con una ben diversa configurazione della struttura della spesa da parte dell'ente.
Per quanto riguarda lo sviluppo, nella sua configurazione generale, questa legge finanziaria ha rispettato il patto per l'Italia. Si è dato l'avvio alla riforma fiscale, concentrata sui redditi bassi, producendo
maggiore equità e migliorando alcuni elementi economici del rapporto di lavoro, riconducendo sostanzialmente il cuneo fiscale nella logica di determinare un impulso alla domanda. Per quanto riguarda l'IRPEF, si prevedono cinque aliquote e nuove deduzioni per introdurre un'area a zero tasse; gli sgravi IRPEF riguardano i contribuenti fino a 25 mila euro, area in cui i soggetti svantaggiati sono 23 milioni. Gli scaglioni di reddito saranno così rimodulati: fino a 15 mila euro sarà applicata l'aliquota del 23 per cento, mentre da 15 mila a 29 mila euro sarà applicata l'aliquota del 29 per cento, che diventerà del 31 per cento per i redditi da 29 mila a 32 mila e 600 euro.
Il prelievo sarà del 39 per cento tra 32.700 e 70.000 euro e l'aliquota massima, oltre questo valore, sarà del 45 per cento.
È prevista una clausola di salvaguardia per evitare aumenti di tasse per qualsiasi contribuente. È prevista anche una deduzione alla cosiddetta no tax di 3 mila euro valida per tutti, che salirà a 7.500 per i dipendenti, a 7 mila per i pensionati, 4.500 per i lavoratori autonomi. Questa soglia no tax diminuirà al crescere del reddito.
La riduzione dell'IRPEF riguarda 356 mila imprese, tra società di capitali ed enti commerciali, e comporta benefici totali per il mondo produttivo pari ad oltre 2,5 miliardi di euro rispetto a quanto pagato nel 2002.
Le riduzioni dell'IRAP, previste dalla legge finanziaria, riguardano circa 3,4 milioni di imprese. Tra queste, 2,4 milioni sono imprese senza dipendenti, interessate all'aumento del minimo imponibile da 5.165 a 7.500 euro. Le altre imprese, pari a quasi un milione, sono interessate dalla riduzione di 2 mila euro a lavoratore, prevista per i primi cinque lavoratori delle imprese fino a 400 mila euro di fatturato.
Un discorso a parte lo merita il concordato triennale preventivo. Interessa imprese e lavoratori autonomi soggetti ad IRPEF ed IRAP con ricavi non superiori a 5 milioni di euro che potranno, attraverso il concordato, per il periodo 1997-2000, definire, per il triennio successivo, la base imponibile delle imposte relative alla propria attività nel periodo precedente. Eventuali maggiori imponibili, rispetto a quelli concordati, non saranno soggetti ad imposta ma quest'ultima non sarà ridotta per imponibili eventualmente minori.
Una riedizione migliorata del concordato del 1994, rivolto a titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo e a imprenditori agricoli, consentirà di regolarizzare la posizione con il fisco. Si potranno, in pratica, definire i redditi delle annualità dal 1997 al 2000. L'Agenzia delle entrate dovrà accettare gli importi preposti per ciascuna annualità e gli importi saranno determinati dall'anagrafe tributaria, tenendo conto delle differenti categorie economiche, della distribuzione dei contribuenti per fasce di ricavi, compresi e non superiori nei 10 mila euro, e di redditività che risultano dalle dichiarazioni e dagli studi di settore.
La definizione automatica degli importi preposti delle entrate, che ha effetto ai fini delle imposte sui redditi, e relative addizionali dell'IVA e dell'IRPEG, sarà perfezionata con il pagamento degli importi dovuti entro il 30 giugno 2003. Con la definizione si chiude definitivamente con il passato, inibendo qualsiasi possibilità di subire accertamenti per quegli stessi anni.
Da ultimo, vorrei soffermarmi su un punto politicamente significativo: quello relativo al Mezzogiorno. Il disegno di legge finanziaria 2003 attua gli impegni assunti nel DPEF, nel patto per l'Italia; non solo non riduce, ma forza significativamente l'impegno finanziario per il Mezzogiorno con l'obiettivo di conseguire un tasso di crescita significativamente superiore a quello medio europeo e di raggiungere, entro il 2008, un tasso di attività pari al 60 per cento.
La legge finanziaria proposta prevede risorse aggiuntive in conto capitale superiori, in assoluto ed in percentuale sul PIL, a quelle medie degli ultimi anni: una vera politica nazionale per il Mezzogiorno, dunque.
Lo sviluppo del Mezzogiorno è la grande priorità della politica economica italiana, così come lo è stato il raggiungimento dei parametri di convergenza per la
moneta unica. Assicurare una crescita economica accelerata nel Mezzogiorno è la condizione necessaria per una duratura e forte crescita dell'intera economia nazionale.
Il 40 per cento della produzione del nord, nel nostro paese, è assorbita dal sud. Nel Mezzogiorno si concentrano, infatti, risorse naturali, culturali, umane, produttive ancora insufficientemente sfruttate.
Obiettivo generale, verificabile, dell'azione di politica economica è, dunque, avere, nel Mezzogiorno, tassi di crescita significativamente più elevati rispetto a quelli medi dell'Unione europea e, attraverso lo sviluppo e le politiche strutturali, ottenere una drastica riduzione del disagio sociale, un forte aumento dell'occupazione regolare, una diminuzione della disoccupazione. Si tratta di un obiettivo possibile.
Alcune opportunità sono già esistenti, sono nei sistemi locali di sviluppo delineatisi negli anni più recenti nelle città in cui si è avviato un processo di riqualificazione e rilancio, nell'uso multifunzionale delle aree rurali, nelle risorse naturali e culturali.
Ai risparmi, alle capacità imprenditoriali e al lavoro specializzato il Governo intende offrire uno scenario certo ed articolato per i prossimi anni, attraverso una politica nazionale articolata su politiche settoriali distinte ma non indipendenti.
La prima è una politica di miglioramento permanente del contesto economico e sociale ed è rivolta all'incremento della dotazione di capitale sociale in infrastrutture, in tutele e fruibilità del patrimonio naturale e culturale, in giustizia ed ordine pubblico, per creare economie esterne e di contesto che valorizzino le risorse immobiliari, naturali, culturali ed umane (quelle la cui produttività, privata e sociale, è maggiore nel contesto locale), che sviluppino nuove occasioni di investimento e che favoriscano un balzo della produttività. Si tratta di una politica di nuova programmazione, di accelerazione e di riqualificazione degli investimenti pubblici, concepiti come un fondamentale strumento di offerta.
La seconda comprende le azioni per la promozione dello sviluppo locale, mediante l'utilizzo mirato degli incentivi agli investimenti ed attraverso l'attuazione degli strumenti di programmazione negoziata, con l'obbiettivo di favorire direttamente gli investimenti delle imprese, singole od organizzate in sistemi, anche dall'esterno dell'area e di promuovere la cooperazione e l'investimento congiunto di soggetti locali, privati e pubblici.
La terza, attraverso diverse e più flessibili politiche per il mercato del lavoro, atte a rendere più semplici i meccanismi allocativi sul piano dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, è volta a consentire, attraverso le nuove forme contrattuali, di sfruttare tutte le occasioni di lavoro esistenti, a legare livelli e dinamica delle retribuzioni in modo articolato alle condizioni di produttività e ad instaurare circoli virtuosi di aumento dei salari e della produttività del lavoro.
Indubbiamente, il giudizio politico complessivo è positivo: non vi sono rottamazioni, interventi clientelari o lobbistici, privilegi a categorie, ma, semmai, un'attenzione particolare alle fasce di reddito più basse ed ai servizi alla persona; questo Governo non ha fatto ricorso a politiche strumentali o di facciata, spesso adottate nel passato, o ad azioni rivolte all'eliminazione di ticket nella sanità, né a proposte di riduzione dell'orario lavorativo a 35 ore.
Le aspettative della società italiana sono molte e sono sostenute dalla giusta aspirazione ad un paese migliore, forte, equo, giusto, ma non dimentichiamo il contesto generale, caratterizzato dal rallentamento generale dell'economia, dagli effetti degli eventi dell'11 settembre, dalla crisi dell'Argentina (che ha ulteriormente influito sulla riduzione della crescita del PIL, per mancato reddito sull'ordine dello 0,2-0,3 per cento), dalla crisi borsistica del mercato statunitense (che, nel paniere delle nostre esportazioni, pesa in maniera considerevole), cui si aggiunge, oggi, la crisi del settore produttivo automobilistico italiano.
Tutto ciò non credo sia stato determinato dalle scelte del Governo Berlusconi! Casomai, di fronte alla situazione a tutti ben nota, pur tra tante difficoltà, il Governo sta cercando di creare opportunità di sviluppo per il nostro paese. Al contrario, nei banchi dell'opposizione, pur riconoscendo a questa di ricoprire un ruolo altrettanto costruttivo e di nutrire amore verso il nostro paese, abbiamo individuato un atteggiamento oltraggioso, spesso offensivo, rivolto esclusivamente alla ricerca di una visibilità sterile e puerile e sicuramente non attento ai veri bisogni del paese. Non è una parte soltanto che si deve salvare: è tutto l'insieme delle forze produttive e sociali che deve produrre il massimo sforzo per crescere e per progredire! Non è attivando o aizzando gli scioperi o i girotondi che il paese si salva!
Nonostante venti mesi di difficoltà, questo Governo ha saputo aumentare le pensioni minime, ridurre le tasse (soprattutto intervenendo sui redditi bassi) e confermare gli interventi a favore delle persone (sanità) e per la crescita del paese. Questo Governo sta governando!
Voglio rivolgere un ringraziamento al Governo anche per la tempestività con la quale è intervenuto dopo le tragedie che, in questi ultimi giorni, ci hanno colpiti. È stato disposto, a tale riguardo, un intervento finanziario straordinario. Mi auguro che alla tempestività del finanziamento corrisponda la volontà di ricostruire in tempi brevi: ciò costituirà la migliore dimostrazione del fatto che questo paese è vivo, è forte e può guardare al futuro con ottimismo e serenità.
Nel concludere, signor Presidente, chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di alcune considerazioni integrative (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. La Presidenza ne autorizza la pubblicazione sulla base dei consueti criteri.
È iscritta a parlare l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario di Stato, come stanno le donne italiane sotto il Governo Berlusconi? E come staranno nei prossimi mesi, nei prossimi anni, per gli effetti di questa legge finanziaria? Non mi sembra una domanda impropria. Almeno due buoni motivi la giustificano. Il primo è che le donne, pur non essendo - come è ovvio - scisse da tutti gli altri cittadini e dai fenomeni sociali ed economici che riguardano la collettività, tuttavia, hanno ancora una condizione di vita differente, che va al di là della posizione sociale e che le investe in quanto donne. Lo dicono le statistiche, non l'ideologia veterofemminista. Dunque, è legittimo indagare sugli effetti della politica di governo, in particolare della manovra economica, sulla popolazione femminile, tenuto conto di questa differenza.
Per quanto riguarda il secondo motivo, le analisi sul comportamento elettorale riferite all'elezione del 2001 sono concordi nel dire che la maggioranza delle donne elettrici, in particolare casalinghe, ma anche pensionate e disoccupate, hanno espresso fiducia e speranza verso Berlusconi e la sua coalizione, consegnando loro una grande responsabilità: è un particolare dovere di attenzione a cui questi signori non dovrebbero sottrarsi. Al contrario, a noi sembra che per il secondo anno successivo questo Governo, nel predisporre la manovra di bilancio, non tenga in alcun conto il suo effetto particolarmente negativo sulla popolazione femminile.
La prima cosa che salta gli occhi è l'atteggiamento punitivo verso gli enti locali e le regioni. L'ANCI ha calcolato che il taglio complessivo per i soli comuni sia di 1 miliardo e 700 milioni di euro. Infatti, diventa più stringente il patto di stabilità interno, sono mantenuti con l'articolo 18 i tagli ai trasferimenti correnti, stabiliti con la legge finanziaria dello scorso anno, si pongono con l'articolo 21 forti limiti alle assunzioni e al mantenimento del personale in organico, e, infine, con il congelamento dell'addizionale, si impedisce l'incremento delle entrate locali. Alla faccia
del federalismo, insomma, appare chiaro che il Governo vuole scaricare sugli enti territoriali - lo hanno capito anche i sindaci e i governatori della Casa delle libertà - la manovra di finanza pubblica e, poiché non si potranno aumentare le entrate, saranno obbligatori i tagli alle spese. Ma prendersela con gli enti locali equivale a prendersela con i cittadini. Infatti, il 50 per cento in media delle spese di un comune riguarda i servizi pubblici: asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare per gli anziani, fondo per l'emergenza abitativa, sicurezza nelle città. A questo proposito vorrei chiedere al presidente Berlusconi dov'è andato a finire il progetto del vigile di quartiere, se i sindaci non hanno neanche la possibilità di sostituire i vigili che vanno in pensione. Inoltre, i comuni si occupano di assistenza ai portatori di handicap, di verde pubblico, di impianti sportivi, di biblioteche, di scuole di musica, insomma di tutto ciò che contribuisce alla qualità urbana, di tutto ciò che crea una rete di sicurezza per le famiglie e, soprattutto, per le donne, che sono le più interessate ai servizi, essendo ancora in gran parte titolari del lavoro di cura.
Abbiamo fatto una simulazione che riguarda il comune di Roma. Per far quadrare il suo bilancio dopo la legge finanziaria il sindaco dovrebbe, ad esempio, ridurre le iscrizioni alla scuola comunale di 2.080 bambini sui 32 mila attuali, non assicurare l'assistenza a 60 studenti disabili nelle scuole sui 1.470 circa di oggi, lasciare a piedi 580 ragazzi per quanto riguarda il trasporto scolastico, chiudere 11 asili nido, ridurre i posti disponibili da 8.320 a 7.700, chiudere due centri diurni per disabili sui nove esistenti e lasciare a casa 45 disabili dei 180 accolti, non assicurare l'assistenza domiciliare a 3.400 anziani, che dopo i 70 anni - lo sapete - per due terzi sono anziane. Anche il sindaco di Pisa, Fontanelli, ha dichiarato che non gli basterà tagliare risorse allo sport, alla cultura, questo è ovvio, ma dovrà chiudere due nidi.
Il sogno di Berlusconi diventa un incubo, soprattutto per le donne. Infatti, chi dovrà intervenire per assicurare tutti questi servizi in assenza del comune? Chi dovrà stare casa con i bambini che non hanno il posto al nido? Chi dovrà preparare i pasti per gli anziani? Chi dovrà sostituire lo scuolabus con la propria auto? Chi dovrà assistere un parente disabile? Naturalmente le famiglie, ma soprattutto le donne, che ancora sono quelle su cui grava principalmente il lavoro di cura nelle famiglie. Le statistiche dicono che, per ogni donna, oltre al lavoro esterno (magari se non è casalinga), ci sono cinque ore e mezzo al giorno di lavoro di cura, contro un'ora e mezzo di media degli uomini. E come faranno le donne a conciliare tutto questo con il lavoro?
Cari colleghi, voi vi chiamate Casa delle libertà; è un nome impegnativo che richiede coerenza. Per le donne italiane io credo di sapere (non ci vuole molto) cosa significhi libertà: vuol dire avere un lavoro soddisfacente e riuscire a conciliarlo con la famiglia e con figli; vuol dire non essere costrette a rinunciare ad una delle due sfere, a non vivere come un'alternativa, talora drammatica, due desideri che per gli uomini sono normali, non sono alternativi. Anche in questo caso le statistiche aiutano: noi siamo il paese delle culle vuote e, al tempo stesso, il paese in cui le donne lavorano di meno; siamo la maglia nera dell'Europa, perfino dietro la Grecia. La media europea è del 54 per cento e, in Italia, non si raggiunge il 40 per cento.
I motivi sono molti e complessi ma si possono sintetizzare, forse, così: le donne che non lavorano non hanno la possibilità economica di mettere al mondo dei figli e quelle che lavorano non hanno il tempo e la forza necessari. Questa sì che è un'emergenza! Perché non sento mai parlare di questo da tutti coloro che si riempiono la bocca con la competitività? Come si fa ad essere competitivi se non si fa nulla per evitare questo enorme spreco di capitale umano, questa stagnazione di risorse, spesso molto qualificate? Si tratta di persone che escono dalla scuola e dall'università piene di speranze e progetti e di cui il paese avrebbe un gran bisogno.
Io sono una riformista, non mi piace la demagogia, so bene che questo obiettivo richiede tempo ed energie ma, nel frattempo, si approfondisce il gap con l'Europa e si allontanano gli standard di Lisbona. Ci vorrebbero misure straordinarie che vanno ben al di là di qualche evento spot come la realizzazione del nido aziendale inaugurato dalla ministra Prestigiacomo. Ben vengano i nidi aziendali, magari anche per le piccole imprese e non solo per i ministeri, ma non tagliate i fondi ai nidi comunali, è un'enorme incoerenza! Ma se davvero avessimo una ministra per le pari opportunità, dovrebbe prendere le distanze, lei per prima, da una legge finanziaria che, da un lato, taglia i servizi pubblici nelle città e sul territorio e dall'altro, non fa nulla per incentivare il lavoro femminile, ricollegandosi, in questo, alla recente delega sul lavoro della quale abbiamo denunciato misure (ad esempio quella sul part-time) che adottano solo il punto di vista dell'impresa e non l'esigenza di favorire la conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro.
I Governi dell'Ulivo, grazie al credito di imposta, assicuravano una detrazione fiscale di 800.000 lire (1.200.000 al sud) per le imprese che assumevano manodopera. Grazie a queste misure numero delle donne occupate sul territorio nazionale è aumentato di 991 mila unità nel periodo dal 1993 al 2001, di cui 175 mila nel Mezzogiorno. Oggi, ancora non sappiamo che fine farà questa misura: se verrà ripristinata o no con il maxiemendamento, se varrà per tutto il paese o solo per il Mezzogiorno (ricordo che la disoccupazione femminile esiste anche nelle altre regioni: in Toscana due su tre iscritti al centro per l'impiego sono donne con qualifiche basse ma più spesso diplomate o laureate).
Pure nel lavoro autonomo è molto cresciuta la presenza femminile anche per merito di misure specifiche come la legge n. 215 del 1992 che finanzia, attraverso i bandi delle regioni, l'imprenditoria femminile. Ebbene, nella vostra manovra non ci sono stanziamenti per la legge n. 215 e forse i contributi diverranno prestiti al 50 per cento. Noi proponiamo, invece, di rilanciarli, con un nostro emendamento, perché sono già insufficienti rispetto ai progetti.
Un altro emendamento propone di finalizzare il 10 per cento della legge n. 488 del 1999, che sostiene l'incentivazione delle imprese, al finanziamento di un prestito d'onore alle iniziative professionali e imprenditoriali delle donne.
Vedete, è necessario pensare ad un ventaglio di strumenti innovativi, ad una sorta di piano d'azione per il lavoro delle donne senza il quale non c'è neppure lo sviluppo del paese, ma, sul tema dell'innovazione, ci sarebbe molto da dire, a cominciare dal telelavoro che potrebbe rappresentare un importante volano per il lavoro femminile. Nel DPEF, soltanto tre mesi fa, il ministro Stanca lo aveva indicato come una priorità ma, nella legge finanziaria, non ve n'è alcuna traccia, come non c'è traccia di nessun altro progetto di innovazione tecnologica; basti pensare che l'articolo 14 prevede solo un fondo di 100 milioni di euro da finanziare con i risparmi dell'8 per cento sui fondi ordinari per l'informatica.
Il Governo delle tre «i» finanzia l'innovazione con i tagli all'innovazione!
In questa materia stare fermi vuol dire andare indietro, vuol dire approfondire le differenze tra chi possiede l'accesso alla conoscenza e chi non ce l'ha; differenze anagrafiche e sociali, ma anche differenze di genere. C'è un digital divide delle donne che un Governo attento allo sviluppo dovrebbe curarsi di colmare.
Un'altra legge di grande importanza per la libertà femminile è la n. 53 del 2000 in materia di congedi parentali, voluta dal centrosinistra per far crescere la condivisione del lavoro di cura e per finanziare i piani dei tempi delle città: ci risulta che questo Governo non solo non faccia nulla per farla applicare in tutti gli ambiti di lavoro, ma non la rifinanzi; ebbene, proponiamo due specifici emendamenti per allargarne gli effetti a tutte le lavoratrici madri. Del resto, in questa legge finanziaria tutto il fondo delle politiche sociali viene ridimensionato diventando,
soprattutto, un unico pentolone di risorse indistinte e non finalizzate su cui, evidentemente, il Governo vuol tenersi la mano libera. Cosa accadrà alle leggi sull'infanzia, ad esempio la n. 285 del 1997, la n. 216 del 1991, la n. 269 del 1998, che recita «norme contro lo sfruttamento della prostituzione e la pornografia e il turismo sessuale in danno di minori»? Altro che porno-tax! Cosa accadrà alla legge n. 194, che molti governatori della Casa delle libertà già boicottano apertamente, facendo chiudere i consultori e creando difficoltà ai medici non obiettori? Cosa accadrà alla legge n. 388 del 2000, la legge quadro sull'assistenza, che si poneva il difficile obiettivo di costruire una rete integrata di servizi sul territorio?
In questo quadro anche gli sgravi fiscali per le fasce di reddito basse contenute nella manovra ci sembrano ampiamente annullati dai nuovi prelievi indiretti. Berlusconi ha vinto le elezioni promettendo meno tasse per tutti, ma non ha aggiunto la seconda parte del programma, cioè meno servizi per tutti o, almeno, servizi più cari per tutti. Anzi, gli sgravi non sono nemmeno per tutti, perché lasciano fuori proprio la fascia più debole, quella dei cosiddetti incapienti, i poveri, insomma, che corrispondono al 4 per cento della popolazione. Le ricerche dimostrano che in questo 4 per cento vi sono molte donne; anzi, ci dicono che l'essere donna, single o separata con figli, è di per sé stesso un fatto di povertà, perché aggrava tutte le altre circostanze. Allora, la mancanza di misure per gli incapienti che li compensino del fatto di non poter neppure usufruire della diminuzione fiscale, sommata al fatto che non si parla più del reddito minimo di inserimento, diventa un'altra grave disattenzione verso l'universo dei cittadini più deboli e, in particolare, verso l'universo femminile.
Infine, colleghi, un'ultima osservazione: questa legge finanziaria si accanisce, ancora una volta, sulla scuola, sull'università, sulla ricerca, su tutto ciò che rappresenta l'investimento più importante di un paese: il capitale umano. Nella scuola, che nell'ottica di questo Governo sembra quasi uno spreco da tagliare, si accorpano le diciotto ore ma si lasciano invariati gli stipendi degli insegnanti, che più spesso sono le insegnanti; si tagliano le cattedre di sostegno per i ragazzi disabili; si taglia il personale ausiliario ed i bidelli, con un'immediata conseguenza sul tempo pieno, che diventerà più difficile per le scuole statali come per quelle comunali (ciò aumenterà le difficoltà delle famiglie e, in particolare, delle madri lavoratrici). Si tagliano i mutui per l'edilizia scolastica (da 30 a 10 milioni di euro per i comuni) ed i fondi per l'edilizia universitaria: mi auguro che la tragedia del Molise vi abbia rinsavito e vi abbia aiutato a presentare modifiche a questa norma. Nelle università e negli istituti di ricerca ci sono migliaia di giovani ricercatrici e ricercatori, lo diceva poco fa il collega Tocci, che non potranno continuare il loro lavoro e saranno costretti ad andare all'estero. Insomma, questa legge finanziaria taglia anche la conoscenza, che è la più grande delle ricchezze nell'era dell'accesso.
Concludo con una domanda: se si tagliano i servizi e non si incoraggia il lavoro femminile, se si rende più pesante il lavoro di cura aggravando gli ostacoli che impediscono di conciliarlo con una qualunque attività professionale, che cosa significa? Non vi è sotto l'idea che il risparmio nella spesa sociale possa giustificare la mancata partecipazione delle donne al mercato del lavoro? Non vi è una visione di società diseguale, in cui la crisi economica giustifica ampiamente il rientro tra le mura domestiche? È un interrogativo preoccupante, non solo per le donne ma per chiunque abbia a cuore lo sviluppo e la civiltà stessa del nostro paese. Mi auguro che non sia così, e per questo auspico che i nostri emendamenti saranno accolti anche dalla maggioranza, a cominciare dalle colleghe, poche ma autorevoli, che siedono nei banchi del centrodestra. Se così non sarà, il nostro compito sarà quello di portare avanti le nostre idee con apposite proposte di legge, nonché quello di aprire gli occhi alle donne italiane, a cominciare
da quelle che vi hanno dato fiducia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, credo sia necessario svolgere una riflessione su ciò che è accaduto anche durante la discussione in Commissione bilancio. In quella sede, non solo nel corso del dibattito vi è stata grande difficoltà a fare in modo che la stessa Commissione, come istituzione democratica, mantenesse il suo ruolo, ma mi è parso che la stessa maggioranza fosse in difficoltà, essendosi resa conto che questo disegno di legge finanziaria, tutto sommato, non crea sviluppo bensì semplicemente problemi.
È un disegno di legge finanziaria che presenta un contenuto esclusivamente propagandistico, come la questione riguardante la riduzione delle tasse ai cittadini italiani. È una questione propagandistica per il semplice motivo che ormai questo Governo e il suo Presidente ci hanno abituati a non discutere all'interno del Parlamento. Egli parla e promette alla gente e fa in modo che vi sia un recupero di credibilità in una situazione difficile da un punto di vista economico, sociale e occupazionale.
Come ho detto in precedenza, questa manovra, che comunque sotto certi aspetti taglia le tasse ai cittadini italiani, alla fine si dimostrerà - come verificheremo nel corso dei prossimi mesi - semplicemente una manovra propagandistica, anche perché in essa sono sostanzialmente definite le questioni che gravano sugli enti locali e sulle regioni.
Non per niente qualche giorno fa lo stesso sistema delle autonomie locali e il sistema delle regioni hanno sottolineato con grande puntualità l'inefficienza di questa manovra finanziaria ed i problemi che si incontreranno all'interno del paese, perché comunque saranno ridotte le risorse per le regioni e per gli enti locali.
Basti pensare e svolgere semplici ragionamenti per comprendere cosa stia accadendo in questa nazione. Molte regioni nella nostra realtà nazionale hanno avviato, grazie al cosiddetto protocollo di accordo dell'agosto dello scorso anno, interventi riguardanti la sanità e il riordino della cosiddetta rete ospedaliera. Oggi queste regioni si trovano in grande difficoltà per il semplice motivo che hanno avviato un'ampia discussione con i cittadini, anche imitando (perché oggi in Italia sta accadendo ciò) il Presidente del Consiglio, senza tentare di influenzare le sedi istituzionali, come i consigli regionali o le commissioni ed oggi si trovano di fronte all'impossibilità di realizzare gli accordi di programma perché gli stanziamenti per l'edilizia sanitaria sono stati ridotti notevolmente.
Basti pensare alla regione Puglia, che nel 2003 avrebbe dovuto avere 1500 miliardi, mentre complessivamente nell'edilizia sanitaria sono stati stanziati 1200 miliardi per tutte le regioni d'Italia.
Quindi, si capiscono bene le difficoltà che tali regioni avranno al di là della riduzione della spesa sanitaria. La manovra finanziaria - che noi contestiamo profondamente sia nella filosofia, sia nell'impostazione politica, sia nell'impostazione economica - creerà nel prossimo futuro difficoltà alle regioni ed agli enti locali causando disservizi alle realtà più deboli della nostra nazione.
Credo che su questo bisognerà riflettere attentamente durante i lavori della sessione di bilancio. Dobbiamo riflettere insieme, maggioranza e minoranza, tentando di far capire a questo Governo che sicuramente bisognerà cambiare la manovra finanziaria per costruire meccanismi di sviluppo e condizioni di crescita e di occupabilità all'interno del nostro paese.
Anche i colleghi che mi hanno preceduto hanno sottolineato le difficoltà riguardanti la questione della scuola. È mai possibile prevedere tagli notevoli all'interno della scuola sia per gli insegnanti di sostegno, sia per il personale ATA? Tanto meno sono pensabili le considerazioni svolte dal sottosegretario Aprea con riguardo alla determinazione di chi è portatore di handicap e chi no.
In Commissione bilancio si è capito che il Governo ed i propri rappresentanti non hanno conoscenza delle questioni che investono il nostro paese e tentano di aggravare le possibilità dei più deboli. Mi riferisco ai più deboli nella scuola, ai più deboli nel sistema produttivo industriale, ai più deboli nell'assistenza sanitaria e sociale. Credo che in questi tre elementi siano dimostrate le debolezze della finanziaria in esame. Come abbiamo già detto in tempi passati, si tratta di un Governo che tenta di dare ai più ricchi per togliere ai più poveri (e lo abbiamo verificato in particolare con i tagli apportati alla scuola).
In queste ore si stanno definendo le procedure riguardanti il problema che ha investito un'area del Mezzogiorno d'Italia. Mi riferisco all'area del Molise e della Puglia in cui vi sono situazioni difficili per ciò che riguarda l'edilizia scolastica. La collega che mi ha preceduto ha giustamente sottolineato come siano state eliminate da questa finanziaria somme previste per l'edilizia scolastica. Come è possibile non pensare oggi alle questioni della scuola, dell'edilizia scolastica, della sua sicurezza? Molti istituti scolastici sono stati definiti nel 1980 quando non vi era ancora la legge antisismica e oggi non vi sono disponibilità finanziarie per mettere in sicurezza tali edifici. Dunque, avremo difficoltà nel prossimo futuro.
Allo stesso modo non vi sono disponibilità finanziarie per quanto riguarda il recupero idrogeologico del territorio. Significa che nei prossimi anni dovremo assistere ad un grande disastro già annunciato in questo paese per i cambiamenti climatici che avremo.
Non vi sono disponibilità finanziarie per un sistema sanitario che garantisca i più deboli, le aree del Mezzogiorno e coloro che hanno diritto alla salute. Non mi riferisco certamente alle questioni poste nel cambiare il direttore generale dell'ASL nel caso in cui non dovesse rispettare i bilanci e ripianare il debito delle ASL in questione.
D'altronde, ciò si evidenza chiaramente anche con quanto sta accadendo con riferimento agli enti locali, ai quali accennavo prima. Mi chiedo se sia possibile pensare di ridurre i trasferimenti agli enti locali facendo apparire i terminali del territorio come coloro che spendono e sperperano risorse dello Stato.
Vi siete mai resi conto di cosa significhi essere sindaco di un comune del Mezzogiorno d'Italia, con tanti problemi, tante difficoltà e tante situazioni difficili da affrontare? Si è reso conto il Presidente del Consiglio delle difficoltà oggettive esistenti nel determinare un'ulteriore tassazione ai fini dell'offerta di servizi ai cittadini di quelle aree? Allora il problema è che, nel momento in cui si riducono i trasferimenti a questi enti, ciò significa di fatto non garantire quei servizi essenziali ai cittadini. Ma significa anche realizzare le condizioni per una maggiore tassazione, determinando un'involuzione del sistema produttivo, economico e sociale delle aree che presentano un grande ritardo dal punto di vista economico e occupazionale.
Al riguardo, non basta certamente il maxiemendamento presentato dal Governo, sul quale peraltro credo vi sia la necessità di discutere sotto il profilo sia del merito sia del metodo: un maxiemendamento presentato direttamente in Assemblea, mentre avrebbe dovuto essere discusso all'interno della Commissione bilancio. Comunque questo maxiemendamento certamente non creerà condizioni positive per il Mezzogiorno d'Italia. In esso si affronta la questione del credito di imposta e del bonus per l'occupazione, ma non vi è una politica economica tesa a favorire l'incremento dell'occupazione all'interno del nostro paese. Questo maxiemendamento certamente non coprirà il cosiddetto patto per l'Italia, in relazione al quale già vi sono grandi dissensi.
Avete fatto un piccolo favore per recuperare un rapporto con la Confindustria, ma tante altre categorie vi hanno detto «no»; vi hanno detto «no» perché capiscono che questi interventi non risolvono i nodi strutturali dell'economia meridionale e quelli dell'occupabilità nel Mezzogiorno d'Italia. Ma anche perché capiscono benissimo che nel prossimo futuro,
poiché la crescita sarà inferiore e il trend di crescita del Mezzogiorno sarà comunque diverso da quello del nord e del centro Europa, il Mezzogiorno d'Italia vivrà momenti di grande difficoltà.
Avete di fronte uno scenario sociale e uno scenario politico fortemente negativi, perché le popolazioni di quelle zone, che in tempi passati vi hanno dato il voto per vincere le elezioni politiche, si stanno rendendo conto delle false promesse che questo Governo ha fatto in materia di politica economica, di politica fiscale, di politica per l'occupazione e di politica per lo sviluppo. Di ciò se ne stanno rendendo conto tutti! Gli unici a non rendersene conto siete semplicemente voi, che continuate a porre in essere interventi non sui nodi strutturali della nostra economia, ma esclusivamente sugli interessi particolari di pochi. Anche su questo si verificano chiaramente le difficoltà di questa maggioranza nel proporre interventi di sviluppo e di crescita della nostra nazione.
Allo stesso modo ciò è verificabile anche riguardo al tema delle infrastrutture. Avete infatti proposto, nella cosiddetta legge Lunardi (o anche «legge obiettivo»), interventi mirati per il Mezzogiorno d'Italia e per l'intero paese, affinché vi fossero delle infrastrutture che consentissero la possibilità di recuperare quel gap infrastrutturale esistente e ciò al fine di avviare un processo di sviluppo della società e dell'economia italiana. Ma, ad oggi, non si avviano ancora interventi di sviluppo infrastrutturale all'interno del nostro paese, se non quelli già definiti dal Governo di centrosinistra.
Quali sono le somme previste all'interno di questa finanziaria per realizzare le grandi opere infrastrutturali nel Mezzogiorno? Quali sono gli interventi che potrebbero determinare uno sviluppo positivo o un trend positivo di crescita di questa nostra realtà marginalizzata all'interno dell'Italia e dell'Europa? Quali sono? A me pare che, ad oggi, non siano stati avviati i cantieri, a me pare non vi siano prospettive di intervento chiaro e definito all'interno delle aree del Mezzogiorno, a me pare non vi sia un intervento definito da un punto di vista di programmazione e di investimenti per quanto concerne le attività portuali, aeroportuali e delle ferrovie.
Ecco, questo è il quadro di riferimento che abbiamo di fronte. È un quadro di riferimento certamente difficile e voi - come è accaduto qualche giorno fa - cosa ci proponete? Ci proponete, ancora, di liberalizzare il mercato del lavoro in ingresso, il che significa creare ancora disagio e difficoltà per le persone che non trovano lavoro e, nel Mezzogiorno d'Italia, c'è gente che non trova lavoro!
Chiedo ai rappresentanti di Governo se, qualche volta, abbiano verificato il disagio reale esistente in quelle aree nonché la grande povertà e la grande difficoltà per vivere in quelle zone. Credo che le immagini, di questi ultimi giorni, del dramma accaduto in quella zona del Mezzogiorno dovrebbero far riflettere tutti. Non basta dare sostegno morale, occorre comprendere che, in quelle zone, vi è la necessità di investire, di creare condizioni positive, di costruire un processo diverso, facendo in modo che quelle aree interne possano sperare di recuperare una condizione sociale di vivibilità e di crescita: condizioni sociali e rapporti sociali!
Questa legge finanziaria l'avete scritta voi, togliendo fondi per il cosiddetto piano nazionale sociale previsto dalla legge n. 328; avete definito un aspetto diverso e, quindi, anche su ciò le regioni e gli enti locali incontreranno problemi per l'attuazione di interventi sugli anziani, sui portatori di handicap, sul disagio giovanile esistente.
Allora, cos'è questa finanziaria? Come dicevo in apertura, questa finanziaria è semplicemente un momento di «discussione propagandistica con i cittadini». Infatti, da un lato, si stabilisce la riduzione delle tasse e, dall'altro, si tenta di aumentarle perché, comunque, non trasferendo risorse alle regioni e gli enti locali, si tolgono servizi importanti ai cittadini.
Credo che su ciò tutti noi abbiamo il dovere di riflettere seriamente. Il centrosinistra, non solo durante la discussione sulle linee generali, ma anche nel corso
dell'esame degli emendamenti - che non sono ostruzionistici, ma di merito -, cerca di fare emergere le contraddizioni di questo Governo, evidenziando che vi sono situazioni che questo esecutivo tenta di eludere e altre che cerca di amplificare per fini propagandistici e non di effettivo sviluppo. Nel corso dell'esame degli articoli e degli emendamenti vi faremo notare con grande puntualità le vostre contraddizioni e la mancata creazione delle condizioni di crescita.
Signor Presidente, concludo ringraziandola anche per la sua partecipazione all'evento di ieri. La ringrazio a nome dei cittadini molisani e pugliesi, perché lei, uomo del sud, vi ha partecipato non soltanto come Vicepresidente di questa Camera ma anche come cittadino del sud e come uomo che vive i problemi di questa nostra comunità, a differenza di tanti altri che, purtroppo, predicano bene ma razzolano male. Questa è la grande differenza tra coloro i quali conoscono quei problemi e quelle ansie e gli altri che, invece, conoscono ben altre ansie e non certamente quelle di quei cittadini.
PRESIDENTE. Grazie.
È iscritto a parlare l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, nel mio intervento faccio riferimento a quanto è stato detto dai colleghi del mio gruppo. Parlo per ultimo tra i colleghi del mio gruppo e do per scontati le osservazioni, i suggerimenti e le riflessioni che sono stati esposti da loro, soprattutto sul merito dei singoli argomenti. Allo stesso modo, sul piano generale, mi riconosco negli argomenti esposti dal collega Michele Ventura, relatore di minoranza, che ha parlato a nome dell'Ulivo. Dunque, esporrò soltanto tre brevi considerazioni. Spero di farlo con grande pacatezza, nel tentativo di dare un contributo alla riflessione complessiva e agli aspetti più generali del nostro dibattito.
La prima osservazione è di metodo. Abbiamo individuato - credo un po' tutti insieme - tre questioni portanti di questa finanziaria. La prima riguarda la riduzione delle tasse per i redditi più bassi; la seconda la strategia del patto di stabilità interno e, quindi, la strategia nei confronti degli enti locali; la terza le politiche di sviluppo e, quindi, le politiche del Mezzogiorno e delle imprese.
Credo che dobbiamo constatare che su una di queste questioni siamo in presenza di un cambiamento. Francamente, non avendo ancora avuto la possibilità di leggere in modo approfondito il maxiemendamento, non sono in grado di dire in che misura il testo sia stato modificato; tuttavia, dal numero di pagine, si direbbe un cambiamento molto importante e molto significativo dei contenuti della finanziaria che il Governo ha presentato e che abbiamo discusso in Commissione. Sulla seconda questione siamo in attesa di una probabile nuova iniziativa emendativa del Governo che abbassi il tono della polemica del sistema delle autonomie locali. Su due delle tre questioni rilevanti, in realtà, non abbiamo avuto la possibilità di svolgere un serio lavoro in Commissione: lo abbiamo detto in Commissione, forse anche con toni eccessivamente polemici. Ora, non metto assolutamente in discussione il diritto del Governo di presentare emendamenti e neanche il diritto del Governo di presentare maxiemendamenti. Lo ha già fatto l'anno scorso; lo abbiamo fatto noi prima.
Si tratta di una procedura, in qualche misura, anche normale in un'attività legislativa convulsa come quella della finanziaria. Quello su cui, però, mi interrogo è quale sia stato il senso della discussione che abbiamo svolto finora. O il primo testo era un'improvvisazione oppure era un diversivo per passare un po' di tempo e per consentire al Governo di approfondire la comprensione delle reazioni delle forze sociali e delle forze economiche, di modificare l'impianto della manovra, di cambiare, strada facendo, le sue impostazioni. Per certi aspetti, ritengo ciò sia peggio di quanto si è verificato l'anno scorso. L'anno scorso abbiamo protestato molto nei confronti della decisione del Governo di presentare un maxiemendamento sulle fondazioni
ex bancarie: in quel caso si trattava di una materia che, a nostro avviso, il Governo introduceva illegittimamente nella discussione della finanziaria. Ma si trattava di una materia nuova.
Quest'anno, secondo me, è peggio perché abbiamo discusso poco in Commissione ed ora dobbiamo riprendere daccapo la discussione in aula. Francamente, sul piano del metodo a me tutto questo non soddisfa per niente e lo voglio far rilevare.
La seconda osservazione si riferisce, invece, alla situazione della finanza pubblica per come emerge dall'impostazione del documento di programmazione economico-finanziaria - anzi, della sua nota di aggiornamento che abbiamo discusso non molto tempo fa, che era molto importante - e dalla legge finanziaria che stiamo discutendo. Francamente, siamo molto preoccupati perché, a nostro avviso, la situazione della finanza pubblica è più grave di quanto il Governo voglia far credere e pone oggi dei problemi, come li porrà in futuro.
Ho letto sul Corriere della Sera che il ministro dell'economia e delle finanze ha dichiarato che quelli che parlano di manovra a primavera non conoscono il patto di stabilità. Vedremo cosa succederà a primavera, se ci sarà bisogno o meno di manovre correttive oppure se basteranno gli stabilizzatori automatici: tutte queste cose le discuteremo dopo la presentazione della relazione trimestrale di cassa di marzo. Certo che, prescindendo da questo esercizio sul futuro, la situazione attuale è dal nostro punto di vista particolarmente preoccupante.
È da un po' di tempo che battiamo su questo tasto punto. Se ne ricorderà il sottosegretario: abbiamo cominciato nella discussione sul documento di programmazione economico finanziaria del 2001, il primo atto significativo di politica economica del nuovo Governo e della nuova maggioranza, contestando quello che consideravamo un ottimismo infondato, una sbagliata centralità delle aspettative come impostazione di politica economica. Sono convinto che è molto importante il ruolo delle aspettative nella politica moderna, ma è importante però che queste aspettative siano basate sulla trasparenza delle informazioni e sulla certezza dei dati su cui si basano. Insomma, noi tutte queste polemiche le abbiamo fatte a più riprese sul DPEF del 2001 e sul DPEF del 2002. Dal canto suo, il Governo ci ha sempre risposto riconfermando le sue impostazioni; successivamente, ha cambiato impostazione nella nota di aggiornamento che ricordavo prima. Di questo prendiamo atto e in quel dibattito io stesso ho detto che, a mio modo di vedere, rischiamo di trovarci ancora di fronte a un eccesso di ottimismo: in ogni caso, in questo momento non mi interessa.
Il Governo ha preso atto nella nota di aggiornamento che la situazione dell'economia era in forte peggioramento e che questo si ripercuoteva inevitabilmente sui conti pubblici: quindi, questo è un fatto positivo. Tuttavia, anche accettando le indicazioni contenute nella nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria, che sono la base a cui fa riferimento la legge finanziaria, sulla base dei nostri calcoli quei dati di finanza pubblica sono irrealistici. Secondo i nostri calcoli, l'indebitamento nel 2002 non è al 2,1 per cento, ma è vicino al 3 per cento. Questo avviene per effetto di un'analisi minimamente approfondita della sovrastima di entrata e della sottostima di riduzione di entrate e della difficoltà di realizzazione di riduzione della spesa che facilmente possiamo constatare, se ripercorriamo gli strumentari di politica economica che ci hanno dato le leggi finanziarie degli anni precedenti.
Sempre secondo i nostri calcoli, nel 2003 molto probabilmente non saremmo all'1,5 per cento nel rapporto tra indebitamento e prodotto interno lordo, ma saremmo sopra il 2 per cento. Questo è un problema su cui vorremmo ci fosse una discussione ed è questa era la ragione per cui - anche facendomi quasi rider dietro - ho più volte insistito all'inizio della discussione in Commissione bilancio, perché si facesse chiarezza sui conti, preliminarmente rispetto alla prosecuzione della discussione sul merito.
I problemi non ci sono solo sul fronte dell'indebitamento. Molto probabilmente, problemi più gravi vi sono sul fronte dell'altra variabile (che è quella strategica) - su cui, tra l'altro, a livello internazionale noi siamo giudicati forse ancor più di quanto lo siamo sull'indebitamento -, che è la questione del debito. C'è il rischio concreto - ma lo abbiamo rilevato nella discussione sulla nota di aggiornamento e in qualche misura gli stessi dati del Governo di quella nota ci facevano immaginare una situazione di questo genere - che si inverta la tendenza alla riduzione del rapporto debito-PIL.
La nota di aggiornamento nel 2002 prevedeva il 109,4 per cento di rapporto tra debito e PIL; voi ricorderete che l'ISAE prevedeva il 109,6, che Prometeia prevedeva il 110,1 e che Confindustria prevedeva il 110,6. Per il 2003 la nota di aggiornamento prevede il 105 per cento, si tratta di quattro punti e mezzo di PIL rispetto al 109,4, ma se siamo al 110,6 sono ben più di quattro punti e mezzo di PIL, quindi dove sono le risorse per operare questa correzione? In Commissione il viceministro Baldassarri ci ha confermato - discutendo sulla nota di aggiornamento - che ci troviamo in presenza di una tendenza all'aumento del fabbisogno, quindi di un peggioramento del dato sul fabbisogno che, inevitabilmente, si ripercuote sul debito.
Concludo il mio intervento rilevando questo elemento di grave preoccupazione e di carattere generale che noi poniamo nella discussione di questa legge finanziaria.
La terza considerazione che faccio riguarda l'adeguatezza di questa legge finanziaria rispetto alla situazione dell'economia. Che vi sia una situazione di grave difficoltà dell'economia a livello mondiale e, di conseguenza, anche a livello europeo e a livello italiano, è sotto gli occhi di tutti, e non abbiamo mai pensato di dare la colpa a questo Governo. A nostro avviso - come ad avviso, ad esempio, del collega Stradiotto - il Governo ha sempre sbagliato nel non dire le cose come stavano, nell'immaginare che fosse possibile approfittare di uno sviluppo che si costruiva su alcune aspettative e su un ottimismo infondati. La situazione di difficoltà dell'economia è un dato di fatto; il ministro dell'economia, facendosene vanto, ci dice - non mi ricordo più dove l'ho letto - di aver elaborato, in questa situazione di grave difficoltà dell'economia mondiale, una legge finanziaria ed una politica economica normali per tempi ed in tempi anormali.
Mi chiedo se noi oggi abbiamo bisogno di fare una politica economica normale, o se la normalità e la difficoltà dei tempi non ci imponga invece una strategia generale di politica economica che sia adeguata a questa difficoltà. Credo che abbiamo bisogno di ciò e credo che questa legge finanziaria non risponda a questa esigenza, anzi, per questo aspetto la catalogherei sotto il segno dell'incertezza. Per un attimo vorrei ricordare una polemica sviluppatasi in passato riguardo alla legge finanziaria per il 2002. Si è trattato di una forte polemica dell'allora opposizione nei confronti di un Governo, di una maggioranza che non sapevano scegliere tra l'attuare una politica della domanda o una politica dell'offerta. Se non ricordo male ci trovavamo, grosso modo, al 50 per cento sulla strategia della domanda e al 50 per cento sulla strategia dell'offerta, e ciò ci veniva contestato. Guardate che oggi la situazione è molto peggiore perché ci troviamo in una situazione di grave incertezza. Questo disegno di legge finanziaria è timido dal lato del rafforzamento della domanda - sono d'accordo sulle riduzioni fiscali per i redditi più bassi, ma non basta e su questo invito a prendere visione di un'interessante intervista rilasciata dal professor Campiglio sull'Avvenire di qualche tempo fa -, ma è disastrosa dal lato dell'offerta e sulla questione delle imprese, del fisco, degli incentivi, della ricerca, dell'innovazione, le stesse reazioni al maxiemendamento lo dimostrano.
Signor Presidente, in conclusione debbo dire che non siamo soddisfatti dal punto di vista dello strumento utilizzato per affrontare i problemi e le difficoltà della nostra economia. Abbiamo paura di trovarci
di nuovo di fronte alla logica dell'immagine. Il ministro dell'economia ha affermato che se le cose andranno male, bisognerà lavorare ad un nuovo new deal; l'ha detto all'IRI ed in un'intervista sul Corriere della Sera. Vorremmo che, al riguardo, il Governo - magari nella replica - ci chiarisse meglio cosa significhi tutto ciò (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Pepe. Ne ha facoltà.
LUIGI PEPE. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, la campagna elettorale del 2001 fu impostata e condotta dall'attuale Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi, in modo molto convincente perché basata su argomenti e promesse che catturarono l'attenzione e la fiducia degli elettori: adeguamento delle pensioni minime ad un milione, riduzione drastica della pressione fiscale, tantissimi nuovi posti di lavoro, sanità e scuole migliori, particolare attenzione al Mezzogiorno d'Italia, robusto sostegno agli imprenditori ed, infine, la promessa slogan che più colpì il cuore degli italiani, vale a dire: dobbiamo aiutare chi è rimasto indietro!
Su queste e su altre promesse, trasformate successivamente in programma elettorale e poi nel patto con gli italiani, chiese ed ottenne il consenso e la fiducia degli elettori, in particolar modo nel sud, con percentuali addirittura strabilianti in Sicilia. Sembrava potesse prendere corpo la favola raccontata dal Presidente Berlusconi qualche mese prima, ma - ahimè - ben presto gli italiani cominciarono a capire che, al posto della favola, cominciava a far capolino l'inevitabile cruda realtà.
Infatti, fin dal primo momento, chi storicamente era rimasto indietro, il Mezzogiorno d'Italia, che tanto aveva dato con una quota di voti imponente, non venne certamente messo al centro dell'attenzione del programma di Governo, ma altre furono le priorità. Bisognava sistemare per legge il falso in bilancio, le rogatorie internazionali ed abolire la tassa di successione, che già non doveva essere corrisposta dalla stragrande maggioranza di cittadini. Occorreva favorire il rientro quasi indolore di ingenti capitali esportati, in precedenza, illegalmente all'estero ed, infine, riaggiustare la posizione processuale pesantissima di qualche parlamentare amico e di un paio di giudici presumibilmente corrotti. E l'aiuto a coloro che erano rimasti, come diceva il Presidente del Consiglio, indietro? E l'attenzione al Mezzogiorno d'Italia? Nulla o quasi nulla, visto che il Governo, anche se con qualche ricorrente mal di pancia, ora di AN, ora dei centristi dell'UDC, ha, fino ad oggi, operato nell'interesse del 7-8 per cento degli italiani molto ricchi.
Infatti, i pensionati che, secondo le promesse elettorali del Presidente Berlusconi, aspettavano l'adeguamento ad un milione di vecchie lire hanno avuto una cocente delusione poiché i criteri stabiliti successivamente al voto del 2001 consentono solo ad un numero molto limitato degli stessi di usufruirne. Ad esempio, nel paese di duemila abitanti in cui vivo e sono sindaco un solo cittadino ha avuto diritto all'adeguamento.
Per quanto riguarda la sanità, i cittadini meno abbienti, che hanno già subito i ben noti effetti del cambio lira-euro e che oggi vivono con 370-380 euro al mese, hanno ricevuto un colpo durissimo con la reintroduzione dei ticket sanitari che incidono pesantemente sul magro bilancio familiare, specialmente in quelle regioni del Mezzogiorno che, come diceva l'onorevole Berlusconi, sono rimaste indietro. Tra queste, segnalo che la ricchissima Puglia ha complessivamente ticket più alti della ricca Lombardia e che il cittadino pugliese paga mediamente il 38-40 per cento dei farmaci. In pratica, due anziani coniugi, con patologie croniche (diabete, ipertensione, cardiopatie, vasculopatie), per curarsi devono versare, ogni settimana, in farmacia circa 20 euro.
Vi è di più: nella ricchissima Puglia che ha un tasso di disoccupazione altissimo e la disgrazia di avere un assessore alla sanità che nulla conosce di sanità in
generale, sono costretti a pagare i ticket sull'ossigeno coloro che lo usano per 18 ore al giorno e pagano il ticket anche sui farmaci per il dolore severo coloro che ne hanno bisogno (neoplastici e via seguitando).
Vergogna ed ancora vergogna! Ecco come la Puglia, secondo i due condottieri, Fitto e Palese, è diventata una regione virtuosa: non solo le tasse non sono diminuite, ma sono aumentate dell'1,5 per cento circa. I cittadini pugliesi pagano quantitativamente la tassa più alta in Italia per curarsi, avendo anche sul groppone un alto tasso di disoccupazione.
Con riferimento a quest'ultima piaga, la disoccupazione, vero flagello del Mezzogiorno d'Italia, come aiutare quelli che sono rimasti indietro? Con il sostegno robusto agli imprenditori, si disse, per creare nuovi posti di lavoro, incentivando gli stessi perché potessero trovare conveniente investire al sud.
La legge finanziaria del 2000 infatti, al contrario di quella che stiamo discutendo oggi e che è assolutamente penalizzante per il sud d'Italia, aveva previsto strumenti operativi importanti, che avevano creato un buon fermento imprenditoriale. Si trattava di varie disposizioni agevolative, dalla legge n. 488 al credito di imposta. All'improvviso però il ministro Tremonti, sempre più legato a Bossi, in piena estate, mentre la gran parte degli italiani era in ferie, decise la soppressione del credito di imposta, grazie al quale molti imprenditori avevano effettuato tantissime assunzioni e a tempo indeterminato.
Su questo argomento ho l'onore di essere stato il primo parlamentare a presentare, anche a nome del mio partito, l'Udeur-Popolari per l'Europa, in data 7 settembre 2002, alle ore 12,15 un'interrogazione al ministro dell'economia e delle finanze, successivamente trasformata in una interrogazione a risposta immediata. Infatti, mentre il Presidente del Consiglio Berlusconi, svolgeva la sua evanescente relazione nel corso dell'inaugurazione della Fiera del levante, il sottoscritto poneva perentoriamente all'attenzione dell'opinione pubblica e del Governo questo gravissimo problema, sul quale, dopo alcuni giorni, si scatenò una vera bagarre.
Senza pretendere su questo argomento alcuna primogenitura, peraltro stabilita cronologicamente in modo indiscutibile, e prevedendo i gravissimi effetti derivanti dalla soppressione del credito di imposta, dopo la risposta data in diretta televisiva alla mia interrogazione, chiesi le dimissioni del ministro Tremonti, non soltanto per il danno già procurato agli imprenditori, ma principalmente per quello futuro, determinato dalla sicura mancanza di fiducia sulla certezza del rispetto delle leggi.
Di tale richiesta di dimissioni non mi sono mai pentito, anche perché nei giorni successivi altri parlamentari ed esponenti politici di alta levatura ritennero in vari modi di rivolgergli analoga richiesta. Il Mezzogiorno d'Italia oggi, signor Presidente del Consiglio, non desidera elargizioni a pioggia, ma strumenti operativi certi e durevoli sui quali poter fare affidamento per programmare piani di investimento importanti e stabili per far crescere lo sviluppo e favorire l'occupazione, potendo contare anche su adeguate infrastrutture.
Questo disegno di legge finanziaria non risponde a queste esigenze e, nonostante il marginale ed ultimo aggiustamento, ridimensionando comunque il credito di imposta, trasformando una parte dei finanziamenti a fondo perduto in prestiti e non creando grande fiducia negli imprenditori, non favorisce futura e certa occupazione. Non prevede inoltre un massiccio intervento per potenziare i collegamenti e favorire gli scambi e i trasporti per incrementare il turismo. Non sostiene in modo adeguato l'agricoltura che, anzi, vede un futuro sempre più nero, anche in prospettiva dell'allargamento ad altri paesi dell'Unione europea.
In tale contesto, sembra quantomeno azzardato prevedere una crescita del Mezzogiorno d'Italia ed una buona prospettiva occupazionale. Gli italiani seguono ogni giorno la grave crisi della FIAT e la preoccupazione degli ottomila lavoratori per il posto di lavoro. Nella mia veste di parlamentare eletto nel sud del Salento,
non posso non evidenziare la grave crisi del settore manifatturiero in genere, e in particolare dei calzaturifici, dei cravattifici e del settore tessile, che, subdola e strisciante, attanaglia da qualche anno la penisola salentina e che, oltre alla prospettiva di licenziamenti per circa millecinquecento lavoratori, tra dipendenti del calzaturificio Adelchi e quelli della rete Gum-Conad, mette in pericolo anche la sopravvivenza lavorativa di circa cinquantamila addetti del settore.
Pertanto sento il dovere di chiedere con forza che venga dichiarato lo stato di crisi del comparto tessile e calzaturiero della provincia di Lecce e la successiva attivazione di tutti gli strumenti operativi che portino, anche attraverso accordi di programma, alla soluzione di questo grave problema.
L'altro grave problema che accomuna le regioni meridionali è quello delle infrastrutture, con particolare riferimento alle reti stradali e ferroviarie, senza trascurare quelle aeroportuali. Soltanto pochi mesi fa si verificò il grave deragliamento di un treno sulla antiquata linea ferroviaria calabrese, della quale è stata inoltre evidenziata una carente manutenzione. È di solare evidenza l'importanza che rivestono le vie di collegamento per il turismo, i trasporti e lo sviluppo del territorio. Anche interpretando questa inderogabile necessità e vista la scarsa attenzione del Governo, ho presentato un emendamento che prevede l'allargamento della statale 275 Maglie-Santa Maria di Leuca.
Presidente Berlusconi, se il suo cavallo di razza, il governatore Fitto, dopo l'inaugurazione di una importante azienda nella zona di Maglie, avesse portato il ministro Tremonti cinquecento metri più avanti, lo stesso ministro si sarebbe reso conto di persona della necessità ineludibile di questa grande opera. Ma è storicamente dimostrato che l'attenzione verso il nord è diversa da quella riservata al Mezzogiorno: il sud è al centro dell'attenzione soltanto da parte dei grossi istituti bancari, i quali rastrellano i risparmi per investirli nel settentrione, allargando sempre più la forbice del costo del denaro, molto più alto nel Mezzogiorno d'Italia.
In che modo verranno tutelati coloro che sono rimasti indietro? E come potranno sperare in un lavoro stabile gli operatori della scuola, se anche quelli precari non conoscono il loro destino, visto il grave taglio in prospettiva che dovrebbe ridurre gli attuali 130 mila addetti a circa 80 mila? Con questi presupposti, con la stima di crescita all'1 per cento fatta dal ministro Tremonti e con il crollo delle entrate e l'aumento del debito pubblico, quale legge finanziaria attendibile possiamo aspettarci e quali provvedimenti successivi saranno necessari? Quale futuro attenderci, in vista dell'avvio vero del federalismo, che non potrà che essere di tipo solidale? Come si pensa di fare arrivare in futuro ai nastri di partenza, in condizioni di auspicabile parità, realtà così diverse economicamente e socialmente, come il nord e il Mezzogiorno? Perché sottrarre alle già ridotte risorse le entrate derivanti dall'imposta di successione, che potrebbero e dovrebbero essere corrisposte da cittadini sufficientemente ricchi?
Anche su questo punto ho ritenuto di presentare un emendamento che prevede l'esenzione dall'imposta soltanto per i trasferimenti patrimoniali di importo inferiore ad un milione di euro. Si tratta di risorse importanti che potrebbero essere impiegate in settori nevralgici carenti, quali i servizi sociali.
Stupore, inoltre, ha determinato la volontà di apportare tagli agli enti locali, che operano già in condizioni di grande difficoltà. Il blocco delle assunzioni per i vincoli di pareggio di bilancio delle aziende sanitarie non potrà in alcun modo contribuire a migliorare in senso qualitativo e quantitativo le prestazioni e la tempestività nell'erogazione delle stesse.
È una finanziaria assolutamente inadeguata, fortemente penalizzante per il Mezzogiorno d'Italia, globalmente carente in molti settori vitali, che cercheremo di modificare con emendamenti ispirati a criteri di giustizia e di ragionevolezza, che ci auguriamo vengano sostenuti dai parlamentari
del sud che dicono di condividerli (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.
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