Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 174 dell'11/7/2002
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Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale: S. 77-277-401-417-431-507-674-715 - D'iniziativa dei senatori: Bucciero ed altri; Pedrizzi ed altri; Greco; Eufemi ed altri; Rollandin ed altri; Pedrini ed altri; Costa: Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione (approvata dal Senato in seconda deliberazione) (2288-B) (ore 10,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge costituzionale, già approvata, in seconda deliberazione, dal Senato, d'iniziativa dei senatori Bucciero ed altri; Pedrizzi ed altri; Greco; Eufemi ed altri; Rollandin ed altri; Pedrini ed altri; Costa: Legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Ricordo che nella seduta dell'8 luglio 2002 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che, trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale.

(Dichiarazioni di voto finale A.C. 2288-B)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, abbiamo la sgradevole sensazione che stiamo consumando - e oggi si effettuerà la quarta votazione, quella che potrebbe essere, purtroppo, definitiva - un rituale un po' stanco ed un po' scontato, senza passione. Invece, le cose a noi pare stiano diversamente. Questa proposta di legge, allo stesso tempo, è inutile, sbagliata, e dannosa. Non è, badate, un'ossessione di ostinati bolscevichi o di comunisti vendicativi e cattivi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 11)

GIOVANNI RUSSO SPENA. Vorrei, infatti, ricordare tre argomenti che ci sono stati segnalati anche dall'associazione mazziniana italiana e da molti laici espressisi nei mesi scorsi.
È un progetto di legge inutile perché i discendenti maschi di casa Savoia - ricordano i membri dell'associazione mazziniana - potrebbero rientrare oggi stesso in Italia senza alcun intervento sul testo costituzionale solo che rinunciassero, cosa che non hanno mai fatto, al titolo dinastico e, quindi, alla loro posizione di


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pretendenti al trono d'Italia sul piano del diritto internazionale. Questo atto, peraltro, ricordo fu a suo tempo richiesto ed ottenuto dall'Austria per il rientro di Otto d'Asburgo. In tal modo, essi non sarebbero più appartenenti ad un casato, ma sarebbero semplicemente cittadini come tutti gli altri, i signori Savoia. La XIII disposizione finale della Costituzione non li riguarderebbe più perché essa è diretta agli appartenenti a casa Savoia, quindi non vi è alcuna idea o pretesa di vendetta nei confronti delle persone.
In secondo luogo, questa proposta di legge è sbagliata sul piano del diritto costituzionale e della procedura legislativa, in quanto si riferisce alla XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, mentre è del tutto evidente e confermato dai precedenti che tali disposizioni possono essere o solo finali o solo transitorie; del resto è la logica stessa a dirlo: sono infatti transitorie quelle disposizioni che prevedono un termine prestabilito.
In terzo luogo, tale revisione costituzionale contrasta profondamente con le ragioni storiche, etiche e politiche - su questo aspetto mi soffermerò maggiormente - della fondazione della Repubblica con referendum popolare e contrasta con lo spirito stesso della Costituzione che oggi può, e deve, rappresentare il punto di riferimento dei valori comuni a tutti i cittadini.
Non si tratta qui di chiedere ai Savoia di scontare le colpe dei padri, ma non si può accettare - signori e colleghi della Camera dei deputati - che il loro rientro avvenga senza una discontinuità con l'eredità dinastica e senza una storicizzazione consapevolmente condivisa dalla popolazione. Su questa strada del resto anche la XII disposizione finale, anch'essa non transitoria e relativa al divieto di ricostituzione del partito nazionale fascista, potrebbe presto essere dichiarata esaurita nel suo effetto; anche perché - non dimentichiamolo - essa agisce in modo sistemico con la disposizione di cui stiamo oggi parlando, essendo entrambe ispirate dall'avvento della dittatura mussoliniana e dalla successiva tragedia della seconda guerra mondiale.
A me, a noi, pare che vi sia un errore di sottovalutazione grave anche di gran parte del centrosinistra, che si appresta a votare definitivamente questa modifica costituzionale che porterà al rientro dei Savoia in Italia. Siamo infatti di fronte ad un paradosso; credo che Berlusconi, Bossi, Fini sappiano quello che fanno ed oggi stanno appunto realizzando un segmento importante di questo paradosso. Il paradosso del resto si sa che nasconde sempre una verità di fondo: l'estrema verità, la verità indicibile, la verità innominabile. Ebbene, voi avete approvato, soltanto qualche settimana fa - oggi è in discussione al Senato -, una legge che blinda l'Europa e le nostre frontiere; gli emigranti, i rifugiati politici, gli asilanti, devono superare con i loro corpi spesso alla deriva le nostre frontiere blindate e lo fanno soltanto nel solco di un mercato schiavistico delle braccia, perché questo è il senso da non sottovalutare della legge Bossi-Fini: un mercato schiavistico delle braccia. Mentre in questo caso, per i signori Savoia, contro la Costituzione, si sta per votare - per così dire - una sanatoria eccezionale; essi peraltro non sono neanche sottoposti all'istituto del contratto di soggiorno (come prevede invece la legge Bossi-Fini), che sostituisce il permesso di soggiorno.
Ci viene chiesto - è accaduto in occasione del dibattito in sede di prima deliberazione - di essere umani, di essere caritatevoli (al riguardo ricordo l'intervento di un parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Noi lo siamo. Per noi i Savoia possono rientrare in Italia, ma da cittadine e cittadini comuni con gli stessi modi e con le stesse regole che ora sono fissati dalle leggi in via di definitiva approvazione, quelle leggi che prevedano in maniera più stringente - e secondo noi ingiusta -, per tutte le donne e per tutti gli uomini, delle regole molto precise. Ma quelle donne e quegli uomini non sono Emanuele Filiberto o Marina di Savoia (la quale in un'intervista di ieri ha già de


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scritto la casa in cui verrà ad abitare ai Parioli). No! Quelle leggi sono per donne e uomini che sfidano ogni giorno, alla deriva, la morte sulle carrette del mare.
Noi quindi non siamo affatto perplessi o in difficoltà rispetto alle critiche della maggioranza, anzi direi della massima parte, del centrosinistra di voler insistere nell'ostracismo e nell'esilio. Peraltro, anche dal punto di vista giuridico, mi pare che l'ostracismo e l'esilio fossero istituti giuridici molto avanzati della democrazia ateniese, che certamente è stata fra le più avanzate nella storia dell'umanità.
Anzi, siamo preoccupati - vorrei dire alle colleghe e ai colleghi del centrosinistra - della soave e spensierata spregiudicatezza con cui il centrosinistra dice «sì», sembra per ragioni di vago buonismo, al rientro dei Savoia.
Vi è una sottovalutazione grave; stiamo parlando di un'operazione di revisione della Costituzione repubblicana tesa, ancora una volta, a riscrivere la storia, l'etica su cui si è ricostruita la civiltà, la comunità dopo l'abbattimento del fascismo. Non dimentichiamo che la statualità italiana è recente; non siamo in Francia o in altri paesi. Lo spirito repubblicano è, in questo stesso tornante storico, in questi mesi, estenuato dal federalismo liberista - anch'esso sbagliato -; è sfibrato dalle spinte secessioniste, dalle egoistiche chiusure localistiche ed il rientro dei Savoia inciderà sulla psicologia di massa, spezzerà la sedimentazione di uno spirito repubblicano ancora in formazione.
Rischiamo di diventare un popolo mutilato della sua memoria storica, nella sconnessione tra la sua narrazione sociale e l'impianto costituzionale. Si era detto, anche da parte di esponenti del centrosinistra, che vi era stato un periodo risorgimentale positivo dei Savoia, ma non voglio tornare - lo abbiamo fatto già nelle altre dichiarazioni di voto su questo tema - sull'argomento delle campagne militari dei Savoia contro le rivolte sociali del 1861 e del 1864 né sulle migliaia di contadini meridionali fucilati in quell'epoca né sugli atroci cannoni di Bava Beccaris, che falcidiarono i lavoratori di Milano.
La memoria va alle centinaia di migliaia di meridionali mandati a marcire, come carne da macello, nelle aspre e inospitali trincee alpine ma, soprattutto, al tricolore sabaudo, che si mescolò con i gagliardetti fascisti.
Rientra in Italia - colleghi e colleghe - chi non si è nemmeno mai pentito, al di là delle gaffe del giovane rampollo dei Savoia, delle leggi razziali e ciò avviene per opera di un Governo - questo è il corto circuito e il paradosso - nel quale vi sono ministri che verso quelle stesse leggi razziali, dopo averle esaltate fino a poco tempo fa e dopo aver lievemente risciacquato i panni a Fiuggi, mostrano ancora reticenze e sottovalutazioni.
Noi, diversamente dalla maggior parte di quest'Assemblea, crediamo che il rientro dei signori Savoia sia funzionale alla tendenza e al regime, alla tirannia della maggioranza; ne crea il clima e ne fertilizza il terreno.
Infatti, quando la tendenza è alla democrazia autoritaria, all'irrigidimento gerarchico verso i rami alti dell'amministrazione, allora le pulsioni plebiscitarie berlusconiane e il presidenzialismo finiano vengono aiutati istituzionalmente e nella simbologia di massa anche dal rientro, apparentemente innocuo, dei Savoia.
Del resto, il revisionismo storico è un veleno sofisticato e sottile, che mina il contratto repubblicano e l'antifascismo come religione civile ed elemento fondante del nostro Stato di diritto.
Quindi, siamo di fronte ad un errore grave che, speriamo, nel voto di oggi venga convertito, invece, in una virtù. Noi, comunque, ad un voto favorevole non ci stiamo e, per ragioni storiche, filosofiche e di spirito repubblicano, esprimeremo un voto contrario su questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi,


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quando venne introdotta dalla Costituente la XIII disposizione finale e transitoria della Costituzione, quest'ultima era giustamente finalizzata a segnare una rottura storica, istituzionale e costituzionale e, in qualche modo, aveva in sé anche un giudizio di carattere etico, culturale e politico sulle responsabilità della casa Savoia rispetto al regime fascista, all'introduzione delle leggi razziali e all'ingresso sciagurato dell'Italia nella seconda guerra mondiale a fianco di Hitler.
Sarebbe stato, dunque, sbagliato - e personalmente avrei votato contro questa scelta - abrogare la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione; fin da quando entrai in questo Parlamento, ogni qual volta una simile ipotesi fu prospettata in precedenti legislature - non mi riferisco all'ultima -, mi pronunciai contro l'abrogazione della XIII disposizione che è scolpita in calce alla nostra Carta costituzionale e lì deve rimanere per il significato non soltanto costituzionale ma anche etico, culturale, politico e storico.
Sarebbe stato altrettanto sbagliato, come si ipotizzò - debbo dire - con molta prudenza nella scorsa legislatura, aggirare la XIII disposizione attraverso un'interpretazione evolutiva, sulla quale il Governo di allora - mi pare si trattasse del Governo Amato - chiese un parere al Consiglio di Stato che, opportunamente, si pronunciò contro l'ipotesi di aggiramento degli effetti dei commi 1 e 2 della XIII disposizione attraverso un'interpretazione evolutiva.
Nella scorsa legislatura fu il Governo Prodi a proporre al Parlamento di affrontare la questione del superamento degli effetti dei commi 1 e 2 della XIII disposizione. Poiché oggi la vicenda ha una conclusiva soddisfazione, vorrei ricordare il ruolo svolto nel Governo Prodi dal sottosegretario, professor Ernesto Bettinelli, proposto dai Verdi, il quale, da fine costituzionalista quale era e da saggio politico quale dimostrò di essere, propose di superare la contrapposizione tra chi voleva abrogare la XIII disposizione e chi non avrebbe mai accettato questa proposta. Ripeto che io stesso avrei espresso un voto contrario, se si fosse posta in votazione l'ipotesi di abrogazione. Il professor Bettinelli, quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Prodi, propose, prima, alla Commissione affari costituzionali della Camera e, poi, all'Assemblea, che la approvò a grandissima maggioranza, una diversa soluzione, la stessa che oggi abbiamo definitivamente alla nostra attenzione: non l'abrogazione della XIII disposizione, che resterà - per quanto può esserci di eterno nella vita politica - eternamente scolpita nella nostra Costituzione, ma la decisione di dichiararne, con legge costituzionale, la cessazione dell'efficacia, l'esaurimento degli effetti giuridici in riferimento ai commi 1 e 2, ad oltre cinquant'anni dal 1o gennaio 1948, data di entrata in vigore della nostra Carta costituzionale.
Credo che la soluzione Bettinelli fosse la più giusta ed equilibrata; più volte, ho richiesto che anche il Parlamento della XIII legislatura seguisse questa strada e non quella dell'abrogazione che altri avevano ipotizzato, anche in questa legislatura. Questa strada è stata opportunamente scelta: io stesso, il 30 maggio 2001, primo giorno dell'attuale legislatura, ripresentai, insieme a numerose altre proposte di legge, anche costituzionali, anche la proposta che la Camera dei deputati aveva approvato a larghissima maggioranza nella precedente legislatura.
Ci ricordiamo tutti cosa è successo, nella scorsa legislatura, dopo l'approvazione a larghissima maggioranza da parte della Camera: mentre il disegno di legge costituzionale era all'esame del Senato della Repubblica, intervennero - stiamo parlando di quattro anni fa - le dichiarazioni televisive del principale fra gli eredi maschi di casa Savoia, in riferimento alle responsabilità di casa Savoia rispetto alle leggi razziali del 1938. Si trattò di dichiarazioni sciagurate e irresponsabili, a dimostrazione del basso livello culturale, storico, politico e - io dico - anche etico della persona in questione.
Questo ebbe un impatto molto forte sull'opinione pubblica e indusse il Senato a non procedere per questo disegno di legge nell'iter previsto dall'articolo 138.


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Successivamente, il Governo Amato sottopose al Consiglio di Stato la questione dell'interpretazione di cui ho parlato poco fa.
Ripeto che in questa legislatura abbiamo ripreso il percorso, che stiamo oggi definitivamente o quasi definitivamente concludendo, scegliendo la strada di quella che voglio chiamare - perché è giusto dargli questa testimonianza a ricordo della sua saggia proposta - la soluzione Bettinelli. Avrei preferito che ciò avvenisse addirittura indicando una data simbolica, come avevamo fatto nella scorsa legislatura, per cui la cessazione dell'efficacia del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale si verificasse dalla data del 2 giugno, ovviamente di un anno successivo rispetto a quello che abbiamo indicato nella scorsa legislatura. Infatti, il 2 giugno non è solo la festa della Repubblica, ma è la data del referendum istituzionale con cui la maggioranza dei cittadini italiani nel 1946 - in un momento non facile per farlo - si pronunciò a favore della Repubblica e segnò la fine definitiva - scusate il bisticcio di parole - delle istituzioni monarchiche nel nostro paese. Questa proposta di legge non indica la data del 2 giugno perché, ovviamente, nel frattempo i tempi si sono dilatati e si rischiava di dover aspettare ancora quasi un altro anno. Tuttavia, questo deve essere il significato della scelta che farà la grande maggioranza di noi.
So anche che nella componente dei Verdi del gruppo misto, ma anche in altre componenti, ci sono posizioni differenziate al riguardo ed è giusto che ci siano perché è giusto che su questa materia ognuno si pronunci in piena libertà di coscienza. Tuttavia, è altrettanto giusto e fondamentale che noi capiamo che non stiamo facendo una scelta a favore dei Savoia - e men che meno della monarchia -, ma stiamo facendo una scelta, a 54 anni dall'entrata in vigore della Carta costituzionale, che dimostra la forza, la solidarietà e la solidità delle istituzioni repubblicane. Noi facciamo una scelta a favore della Repubblica, una scelta che dimostra la forza, la maturità e la democraticità del sistema repubblicano che i cittadini italiani, i nostri padri, i nostri nonni, hanno introdotto il 2 giugno del 1946 col referendum istituzionale.
Può anche essere - ma comunque è ormai irrilevante dal punto vista costituzionale - che non si raggiunga la maggioranza dei due terzi: infatti, non essendo stata raggiunta al Senato, secondo l'articolo 138 della Costituzione, il fatto che si raggiunga o meno alla Camera è ormai irrilevante. Tuttavia, mancando i due terzi ed essendoci in astratto la possibilità da parte di un quinto dei deputati o dei senatori, cinque consigli regionali o 500 mila elettori di promuovere un referendum su questa materia, credo che questa sarebbe una scelta sbagliata e anacronistica. Si tratterebbe di un referendum oppositivo, di chi vuole opporsi a questa norma, che in realtà si tramuterebbe clamorosamente in un boomerang perché sarebbe un referendum confermativo.
Infatti, sono assolutamente convinto che, a 54 anni di distanza dall'entrata in vigore della Costituzione, la stragrande maggioranza dei cittadini riterrebbe che la forza delle istituzioni repubblicane sia tale da non avere alcun timore dalla decisione della cessazione degli effetti del primo e del secondo comma della XIII disposizione. Pertanto, chi intendesse promuovere un referendum oppositivo, ed eventualmente ne avrebbe diritto dal punto di vista giuridico, non solo darebbe la possibilità di svolgere un referendum confermativo in questa materia, ma provocherebbe un pronunciamento popolare che a mio parere, non solo non è necessario, ma enfatizzerebbe oltre misura quella che è semplicemente una scelta di equità e di garanzia che fa il Parlamento repubblicano, non perché ha attenuato il giudizio storico sui Savoia, ma perché ha un forte giudizio sulla credibilità e sulla maturità istituzionale della Repubblica italiana.
Signor Presidente, colleghi, nel frattempo il contesto europeo è completamente cambiato e anche questo rende opportuna e necessaria la scelta che molti noi si accingono a fare. Si tratta di una scelta che fa onore alla Repubblica italiana,


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che ha ratificato la Convenzione europea dei diritti dell'uomo già nel 1955, che fa parte a pieno titolo degli accordi di Schengen e che quindi potrebbe anche rischiare di trovarsi sottoposta a un giudizio delle istituzioni europee che è opportuno non si verifichi, perché è giusto e opportuno che sia il Parlamento italiano a fare questa scelta.
Come giustamente è stato ricordato, i discendenti maschi della casa Savoia rientreranno in Italia come cittadini e solo come tali potranno rientrarvi, perché le istituzioni monarchiche, ovviamente, non hanno più nessuna rilevanza nel nostro paese; addirittura, la XIV disposizione transitoria e finale, al suo primo comma recita: «I titoli nobiliari non sono riconosciuti». Mi auguro che i discendenti maschi della casa Savoia sappiano adottare uno stile di discrezione e di rispetto, evitando manifestazioni inopportune e dimostrando rispetto per quelle istituzioni repubblicane che riaprono loro le porte del territorio italiano nella veste di cittadini.
Preannuncio un voto a favore della Repubblica, della sua forza e della sua maturità democratica.

PRESIDENTE. Prego gli onorevoli colleghi di rispettare i tempi loro assegnati, in modo da evitare il mio richiamo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, colleghi, con il voto che quest'Assemblea si accinge ad esprimere si pone fine - almeno sul piano parlamentare - ad una vicenda, le cui profonde implicazioni storico-culturali, istituzionali e simboliche sono a noi tutti evidenti. La XIII disposizione transitoria e finale - sottolineo il termine «finale», così come è stato sancito dall'adunanza generale del Consiglio di Stato del 1o marzo 2001 - è, infatti, una norma il cui carico espressivo e simbolico è ancora così pregnante per cui, giustamente forse, evoca passioni politiche, riferimenti ideologici e chiama in causa le identità e le culture politiche. Tant'è vero, che sul piano più propriamente tecnico - ne siamo tutti consapevoli - si sta procedendo con una formula giuridica che non è quella dell'abrogazione dei commi primo e secondo, ma quella della cessazione degli effetti dei primi due commi che origina dal significato storico e simbolico che si vuole lasciare cristallizzato, a memoria storica, nel testo originario dei padri costituenti.
La genesi della Repubblica, la legittimazione ed il consolidamento delle istituzioni della nuova democrazia non potevano non delineare una chiara ed esplicita soluzione di continuità rispetto al vecchio regime: non solo il fascismo, ma la stessa casa Savoia. Le responsabilità politiche ed istituzionale della dinastia dei Savoia difficilmente sono disgiungibili da quelle del regime: dalla marcia su Roma, al delitto Matteotti, alle vergognose e repellenti leggi antisemite del 1938, all'alleanza con il nazismo, all'entrata in guerra e alla disfatta politica, militare e morale del paese. Non sta certo a noi, a questo Parlamento, sostituirsi al lavoro degli storici, non possiamo però esimerci, come classe politica, dal formulare un giudizio politico. Ciò proprio perché su tale giudizio fondiamo le motivazioni del nostro voto, con l'assunzione piena e consapevole della responsabilità che ne consegue. Resta valido, rispetto ai Savoia, il giudizio di De Gasperi che, da statista, governò la difficile e pericolosa fase di transizione che - non me ne voglia il collega Buontempo, da me stimato - non fu così lineare e rispettosa della volontà popolare. Un periodo, che non fu senza dignità, si conclude con una pagina indegna: questo è e resta il giudizio politico di De Gasperi sull'intera vicenda, che aveva contraddistinto l'operato di casa Savoia in quella difficile fase. Anche l'epilogo di casa Savoia, infatti, non fu indenne da ombre ed ambiguità. L'abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del luogotenente Umberto di Savoia, prima del referendum del 2 giugno, fu una chiara violazione della tregua istituzionale, concordata con i partiti del CLN. Mi rivolgo a quei colleghi di maggioranza, che con grande ambiguità politica e culturale, nelle


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premesse ai loro disegni di legge, ricorrono al mito del referendum falsato, per cui parlano di vincitori veri o presunti.
Quali vincitori veri e presunti? È noto il ricorso presentato - ahimè - da un gruppo di giuristi dell'università di Padova che contestava, in modo del tutto pretestuoso, i criteri di computo per la definizione della maggioranza referendaria, i voti validi e non i votanti. Quale lealtà di casa Savoia, quale rispetto della volontà popolare?
L'ultimo programma di Umberto II è una sfida esplicita all'Assemblea costituente appena eletta. L'accusa al Governo e ai suo leader (De Gasperi, Nenni, Togliatti, Cattani) è chiara e non lascia adito a dubbi. Il Governo legittimo è accusato, in spregio alle leggi - cito - di aver compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano. Questo è l'epilogo, da cui il giudizio politico degasperiano, sulla pagina indegna con cui si chiudeva per sempre la vicenda di casa Savoia.
Ben altre e non meno gravi sono le responsabilità politiche che casa Savoia si è assunta nei confronti della nazione. Queste si condensano in una data: l'8 settembre, quando lo Stato si sgretolò con la fuga del re a Brindisi, con l'esercito allo sbando e senza direttive precise, con Badoglio che, nella fretta di fuggire da Roma, non portò con sé nemmeno il testo dell'armistizio; qui si situa, come ebbe a dire Salvatore Satta, nel suo De profundis, la morte della patria, la crisi storica dell'idea di nazione, della stessa identità collettiva.
L'Italia non è più che una colonia inglese, una seconda Irlanda, scriveva sconsolato Salvemini nel 1944, mentre Croce annotava nel suo diario: tutto quanto le generazioni italiane, da un secolo in qua, avevano costruito politicamente, economicamente e moralmente è distrutto in modo irrimediabile.
Il referendum del 2 giugno 1946 non è, allora, che la sanzione formale di un giudizio di condanna politica di cui l'8 settembre è riferimento emblematico. Il nostro sistema politico, che già scontava un ritardo storico nel processo di formazione dello Stato nazione, sarà segnato profondamente da queste linee di frattura da cui nasce, nel nostro paese, il deficit di integrazione politica e culturale, la difficoltà di costruire un forte senso di appartenenza e di identificazione con lo Stato comunità, quell'etnos condiviso che, pure in presenza di culture e politiche diverse, costituisce una comune religione civile, ovvero l'identificazione con valori e simboli condivisi.
Se questo Parlamento deve chiudere un ciclo politico, allora è preferibile che lo faccia alla luce del sole e che la XIII disposizione transitoria e finale sia neutralizzata in parte per esplicita volontà politica e non per implicita obsolescenza delle ragioni che l'avevano determinata, per decisione politica, non come risultato di una lettura evolutiva e di un'implicita neutralizzazione storica del contenuto della norma costituzionale.
Le nostre istituzioni politiche, nel corso di questi cinquant'anni, si sono consolidate ed il loro processo di legittimazione non può certo essere ostacolato dal rientro dei Savoia in Italia. Certo, ci lascia perplessi il fatto che, ad oltre un anno dal termine dei lavori della commissione governativa di indagine presieduta dall'onorevole Anselmi, su beni sottratti agli ebrei, per via della legge razziali del 1938, non venga resa ancora giustizia ai superstiti, costretti vergognosamente ad attestare all'ufficio anagrafe il loro status di ebrei e che lo Stato non voglia, come doverosamente dovrebbe, riconoscere e risarcire, ammesso che ciò sia possibile, il danno, la violenza e le offese subite.
La guerra civile, la morte della patria, le leggi razziali sono fatti che nessun revisionismo storico potrà mai ridefinire o attenuare, rispetto alle responsabilità storiche di casa Savoia. È la chiara consapevolezza di ciò che ci fa dire come, oggi, la XIII disposizione, come sottolineato da autorevoli giuristi, rappresenti un vulnus rispetto al sistema stesso dei diritti costituzionalmente riconosciuti, tanto più nel


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quadro di uno spazio giuridico europeo e di una Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Il voto favorevole non adombra, dunque, alcuna forma strisciante o surrettizia di revisionismo storico. Al contrario, nel sancire, sul piano giuridico e simbolico, il compiuto esaurirsi di un ciclo politico istituzionale, prende atto e riconosce che i valori di libertà, di democrazia e di pluralismo, espressi dalla lotta di liberazione e dalle grandi democrazie occidentali, sono oramai, in modo irreversibile, entrati a far parte del patrimonio condiviso dalla cultura democratica del paese, nelle sue diverse espressioni.
Onorevoli colleghi, una democrazia non ha certo paura di un atto di riconciliazione, non ha certo paura della sua storia (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la votazione di oggi, speriamo si concluda una vicenda che, se non derivasse da un'epoca e da fatti tragici, dovrebbe essere ascritta fra i tormentoni defatiganti che ripetutamente attraversano e coinvolgono l'opinione pubblica italiana.
Si conclude così una vicenda che non deve vedere il rientro dei cittadini maschi dell'ex famiglia reale, ma il rientro, nella comunità nazionale, del dottor Vittorio Emanuele Savoia e di suo figlio. Si chiude quindi una vicenda che non deve più registrare differenze di questa natura fra l'ex famiglia reale e i cittadini normali.
Il gruppo Misto-Socialisti democratici italiani esprimerà voto favorevole su questa proposta di legge costituzionale, pur non impegnando i singoli appartenenti al gruppo su un caso che presenta giustificate valutazioni individuali.
Sicuramente gli appartenenti a questa famiglia non brillano per senso dell'opportunità, né tantomeno per capacità di percezione di quello che non è soltanto un atto legislativo, ma la «rimozione» di un provvedimento che aveva ed ha ancora importanza per un ampio comune sentire. È quindi fuori luogo ringraziare il Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, come ancora oggi qualcuno ha fatto. Stiano in silenzio, accettando la volontà del Parlamento che rappresenta tutti gli italiani, perché sono le Camere che modificano la Costituzione e non il Governo.
È questo ciò che stiamo facendo, anche se qualcuno degli interessati sembra non accorgersene.
Per questi motivi, il gruppo Misto-Socialisti democratici italiani esprimerà voto favorevole su questa proposta di legge costituzionale per chiudere una vicenda che è tra le più tragiche di questo nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo esprimerà voto favorevole con convinzione sulla proposta di legge costituzionale, ma senza alcuna retorica né nostalgia, in quest'ultimo passaggio legislativo. Consegnerò la prima parte del mio intervento, per la quale richiedo l'autorizzazione alla Presidenza per la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza.

ANTONIO RUSCONI. Essa riprende molte delle ragioni prima esposte dal collega Colasio. In particolare essa riflette sulle responsabilità politiche e storiche che la famiglia Savoia ha avuto nell'ultimo secolo, cominciando con il rifiuto di firmare il 28 ottobre del 1922 il decreto Facta sullo stato d'assedio.
Sancito con chiarezza questo aspetto, occorre prendere atto che sono trascorsi oltre cinquant'anni dalla conclusione della


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seconda guerra mondiale, dal referendum istituzionale che ha determinato la fine della monarchia e dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Pertanto pare opportuna non l'abrogazione, come talora si è confusamente interpretata, del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, ma la cessazione dei suoi effetti giuridici che presupponeva già, nel concetto di transitorietà voluto dal costituente, l'idea di periodo storico di un ostracismo a termine per una Repubblica ancora fragile, in un quadro europeo di equilibri precari e di enorme tensione.
Proprio l'attuale contesto europeo ci invita all'approvazione del provvedimento con l'adeguamento della nostra legislazione all'attuale libera circolazione di tutti i cittadini, all'accordo di Schengen e al Trattato di Amsterdam.
Andare in un'altra direzione, pur comprendendo la severità dei giudizi storici e di silenzi responsabili, sarebbe un anacronismo ed una discriminazione. L'esaurimento degli effetti pertanto lascia integra la XIII disposizione transitoria e finale, annullandone soltanto le conseguenze, ma, come evidenziato dall'intervento del Presidente Mancino il 15 maggio scorso al Senato, proprio nel momento in cui si stabilisce l'esaurimento degli effetti, si conferma tutta la positività del divieto posto a danno degli eredi maschi di casa Savoia.
In conclusione, il voto favorevole odierno esprime un atto di conciliazione storica e politica, riconferma il vincolo sottoscritto con la Carta costituzionale sui valori emersi dalla Resistenza, custode di un patto, di un impegno, di una dichiarazione dei diritti e dei doveri la cui luce è tutt'altro che spenta, manifesta l'alta coscienza civile degli italiani e la serenità di una democrazia matura (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

RAFFAELE COSTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non c'è nulla di sabaudo o di dinastico, nulla che possa essere riconducibile alla corona nella decisione odierna di modificare una regola costituzionale che trova i suoi limiti e la sua negazione nella stessa Costituzione, nell'intero, complessivo ordinamento del nostro paese e nei trattati internazionali sottoscritti dall'Italia. Quindi, non per nostalgia, non per riconoscenza, ma neppure per presunte altrui colpe, va presa la decisione odierna.
Essa riguarda cittadini italiani che non possono essere considerati né colpevoli né meritevoli: sono semplicemente cittadini italiani, privilegiati magari dai mass media, ma condizionati da una impar condicio, costretti ad accettare una pena all'esilio non prevista dal nostro ordinamento.
Siamo di fronte ad una discriminazione preventiva genetica, non convincente fin dall'origine, anche se tuttora vigente. I discendenti maschi di casa Savoia debbono poter godere degli stessi diritti di qualsiasi cittadino italiano nato in Italia o anche all'estero, né più né meno. A loro non dovranno spettare particolari privilegi; buon per loro se sapranno rendersi meritevoli di stima e di considerazione da parte dei loro concittadini, degli italiani.
La democrazia liberale - e non il regime - si è data regole cui non può derogare. Ciascuno di noi può essere laico e cattolico, azzurro, tricolore o rosso, repubblicano o monarchico, ma non ha la facoltà, non ha il diritto di escludere nessuno dalla propria terra, dalla propria patria, dai propri diritti naturali. Il veto che sta per cadere non è anacronistico, è semplicemente una contraddizione per lo Stato dei diritti. Per questa ragione, voterò a favore (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, come ho già detto in occasione del primo voto che la Camera ha espresso su


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questa modifica costituzionale, credo che, ancora una volta, il Parlamento affronti la vicenda del rientro dei Savoia con una dose di ipocrisia inaccettabile dal punto di vista storico, dal punto di vista politico ed anche dal punto di vista culturale.
È fuori discussione che non siamo in presenza di una vicenda umanitaria in cui si debbano riconoscere alla famiglia Savoia diritti civili di parità con gli altri cittadini italiani: la famiglia Savoia vive in una condizione agiata, non ha la possibilità di rientrare nel nostro paese, ma certamente circola liberamente in tutto il resto del pianeta. Non credo che, a fronte della loro collocazione, ai sensi della XIII disposizione transitoria, si possa parlare di una vera e propria violazione di diritti fondamentali. Tant'è vero che più volte, attivati anche meccanismi di giustizia internazionale, i Savoia hanno fatto paventare la minaccia di poter vincere sul terreno giuridico internazionale la loro battaglia, ma, sostanzialmente, non hanno mai raggiunto questo risultato.
Se non è un caso umanitario, se non è un caso di violazione dei diritti civili della famiglia Savoia, è del tutto evidente che, oggi, il Parlamento si trova di fronte ad un atto politico e di rilevanza politica, costituzionale e storica. La famiglia Savoia interpreta bene - dal suo punto di vista - il carattere politico di questo voto, tant'è vero che non perde occasione per ringraziare il Presidente del Consiglio Berlusconi e la maggioranza di centrodestra. Essi, quando erano all'opposizione nella scorsa legislatura, durante i governi di centrosinistra, hanno portato avanti, con convinzione, quest'operazione. Oggi, la portano a compimento, avendo la maggioranza in Parlamento.
La domanda è la seguente: cosa ha a che fare il centrosinistra (e noi, eletti nel centrosinistra) con quest'operazione di carattere politico che, in maniera coerente, viene rivendicata e gestita come un rapporto bilaterale tra l'attuale Presidente del Consiglio Berlusconi e la famiglia Savoia?
La seconda riflessione nasce da un'operazione di carattere storico. È indubbio che il dibattito sul rientro della famiglia Savoia in Italia rappresenta un'accelerazione nel momento in cui, nel nostro paese (e non solo qui, purtroppo), prende piede un'operazione storica di revisionismo rispetto alle responsabilità e al ruolo del fascismo. Vi è, dapprima, il tentativo di differenziare il fascismo dal nazismo - il ruolo dell'Italia, con Mussolini, dal ruolo della Germania, con Hitler - e, coerentemente con questa impalcatura, di collocare la storia di quegli anni ed il ruolo della monarchia in particolare in un contesto diverso rispetto a quello che concretamente si è determinato, vale a dire che in Italia si è affermato il fascismo grazie al ruolo politico della famiglia Savoia e della monarchia e che, tra questi due sistemi, si è determinato, nel corso di quella stagione politica, un legame stretto, intrecciato che ha comportato la responsabilità della guerra, delle leggi razziali, portando l'Italia ad assumersi oneri gravi nei confronti, non solo dei nostri concittadini, ma anche dell'Europa e dell'intero mondo.
Oggi, con questo voto, si vuole cancellare tutto questo e compiere un ulteriore passo di revisione della storia e delle responsabilità che ognuno deve assumersi di fronte alla storia; si vuole cancellare il passato. Certamente - lo sappiamo - il problema, oggi, non è rappresentato dalla contrapposizione tra monarchia e Repubblica (per fortuna tale questione è stata risolta dai cittadini italiani attraverso il referendum costituzionale). È del tutto evidente che, nell'ambito della ricostruzione della storia del nostro paese, l'atto che oggi il Parlamento si appresta ad approvare suonerà a futura memoria come uno degli argomenti per affermare: «Vedete, dopo più di cinquant'anni, si determinano le condizioni per riscrivere le responsabilità di quel periodo in maniera più distaccata, più neutrale - io aggiungo - più falsa rispetto al ruolo che la monarchia ha avuto nei confronti del fascismo».
Queste sono le ragioni semplici - ma credo estremamente chiare - che spingono noi deputati del gruppo misto-Verdi ad esprimere voto contrario su questa


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modifica costituzionale e ad augurarci che, oggi, non venga raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti l'Assemblea che la Costituzione prevede per definire la partita sul rientro dei Savoia.
La famiglia Savoia e coloro che hanno sostenuto quest'operazione di revisione storica e politica, per tre mesi, sentiranno il fiato sul collo di un'ipotesi referendaria (perché questo prevede la Costituzione); sentiranno il fiato sul collo della possibilità che alcuni consigli regionali facciano ricorso al referendum costituzionale; e, in un clima di revisionismo storico che non trova fondamento nel sentire popolare, chissà che, anche a livello di cittadini, non si attivino meccanismi che possano porre la questione in termini costituzionali, storici e politici diversi da quelli che il Parlamento, con troppa ipocrisia, sta accettando.
Questo è un tema che verificheremo e valuteremo nei tre mesi che la Costituzione ci dà per la verifica di un'ipotesi di ricorso al referendum. Il dato certo è che contrasteremo quest'ondata di revisionismo storico, che vuole riabilitare i responsabili di quella stagione cui ho fatto riferimento poc'anzi, oggi, con il nostro voto contrario qui in Parlamento e, da domani, con la nostra azione nella società civile.
Qualche giorno fa, passando per Ciampino, mi sono accorto che una piazza dell'aeroporto, interna alla zona militare e, quindi, sotto le dipendenze dell'aeronautica militare, è stata intitolata ad Italo Balbo. Mi sono domandato come sia possibile che un luogo in cui arrivano e da cui partono le rappresentanze straniere, un luogo di rappresentanza, sia pure interdetto al pubblico, abbia la sua piazzetta principale intitolata a Italo Balbo! Ieri, nella sua pagina culturale, l'Avvenire ha dedicato un bel servizio a questo vero e proprio scandalo, ricordando alla memoria dei suoi lettori e di noi parlamentari, spesso disattenti, chi sia stato Italo Balbo, quali responsabilità abbia avuto e quale sia stata la sua collocazione nell'ambito del fascismo, dello squadrismo fascista, e nella storia del nostro paese.
Le due vicende sono collegate: da una parte, si affronta il ritorno dei Savoia; dall'altra, con facilità, si usa sempre più frequentemente la toponomastica per dare messaggi culturali obliqui. È in questo modo che accade di avere la piazza intitolata ad Italo Balbo all'interno dell'aeroporto di rappresentanza militare del nostro paese!
Questo è un disegno che va sconfitto! Perciò, con pacatezza, ma con coerenza e determinazione, oggi, voterò contro questa proposta di legge costituzionale e, da domani, mi batterò, nel paese, affinché vi sia una presa di coscienza critica da parte dell'opinione pubblica.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Cento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, pur nell'autonomia delle decisioni individuali, che si ispirano a considerazioni e motivazioni autonome e diverse tutte profondamente rispettabili nel loro fondamento culturale e politico, voterà a favore della proposta di legge costituzionale per la cessazione degli effetti dei commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Non si tratta, per noi, di una dichiarazione di incostituzionalità - questo dovrebbe essere ben chiaro -, ma del tentativo di evitare che una norma transitoria si trasformi in una norma ad effetti permanenti ed interminabili, quasi in una sorta di maledizione biblica!
La Repubblica italiana è forte, consolidata nel rispetto delle nazioni che si reggono su ordinamenti democratici; in questa occasione quel che più conta è anche la constatazione dell'innegabile crescita del sentimento repubblicano e democratico nella coscienza e nella cultura degli uomini e delle donne dell'Italia repubblicana. Si è definitivamente acquisita proprio nella coscienza popolare la condanna


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dell'istituto monarchico e degli uomini della dinastia che lo hanno rappresentato.
L'introduzione ed il mantenimento ad opera dei costituenti della XIII disposizione transitoria e finale ebbe proprio questo valore: impedire che forme di revanscismo potessero in qualche modo recare una inammissibile offesa all'altissimo prezzo pagato dagli italiani per le innegabili responsabilità dei Savoia, rischiando di compromettere il tributo altissimo di sacrifici e di sangue versato nella guerra di liberazione per il riscatto della patria e per la costruzione della democrazia repubblicana, come ammonisce e ricorda sempre il Capo dello Stato. Ma la norma di cui oggi dunque si propone la sostanziale abrogazione in rapporto ai suoi semplice effetti ha avuto una sua ispirazione giusta e fondata, condivisa proprio nella sua natura transitoria, e la constatazione di un decorso ultracinquantennale di efficacia ci fa pensare che se ne possano rimuovere non certo l'ispirazione ma un suo ulteriore mantenimento, un prodursi di effetti che finirebbero con il risultare addirittura incompatibili con le libertà fondamentali previste dal nostro ordinamento.
Certo che non si cancella nessuna delle responsabilità storiche della monarchia dei Savoia ed è altrettanto certo che i loro discendenti non hanno offerto dimostrazioni convincenti e condivisibili di capacità e quanto meno autocritica nei confronti del passato della dinastia. Questa certamente è una nota di tristezza e di rammarico che accompagna questo nostro voto, ma rimane la speranza che essi finalmente comprendano la grandezza dei valori della nostra Repubblica proprio quando evita il perpetuarsi di una discriminazione nei confronti dei discendenti e dell'oscurità del loro retaggio familiare ed istituzionale.
Noi non voltiamo nessuna pagina, noi formuliamo questo voto in virtù di un adempimento dovuto, forse apriamo con maggiore attenzione il libro della lotta contro ogni forma di monarchia economica, contro ogni forma di egemonie economiche e sociali, contro ogni forma di camuffamento del potere in funzione politica per bloccare l'evoluzione del paese e della società da noi invece voluta (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, l'onorevole Cento ha fatto una provocazione alla quale non rispondiamo sia perché è del tutto fuori luogo sia per la fonte da cui proviene. Lo invito soltanto ad andare negli Stati Uniti a studiare Italo Balbo e l'avvenimento straordinario della trasvolata atlantica, visto che negli Stati, ogni anno, viene ricordata quell'azione non solo di coraggio, ma di tecnologia avanzata. Però, negli Stati Uniti, lei può probabilmente farsi quella cultura che non è riuscito a farsi d'Italia.
L'onorevole Boato credo abbia pronunciato la parola più felice su ciò che stiamo per compiere; ha detto, cioè, che questo fa onore alla Repubblica italiana. Credo che l'onorevole Boato, con questa frase, abbia fatto la sintesi di ciò che stiamo facendo.
Non dobbiamo restaurare la monarchia, né dobbiamo esprimere giudizi sull'istituto monarchico e neppure dobbiamo esprimere gradimento o meno sugli eredi di casa Savoia. È infantile e fazioso considerare il rientro in Italia dei Savoia come un premio o come un castigo. Noi dobbiamo, semplicemente, approvare un provvedimento che dopo cinquant'anni, giustamente, cancella una disposizione transitoria che i nostri costituenti vollero, appunto, transitoria perché potesse essere, nel momento giusto ed opportuno, di forza della democrazia, essere cancellato. Altrimenti non si comprende perché i nostri costituzionalisti, tutti amanti della libertà e della democrazia, non avessero, invece, approvato una norma non transitoria. Si decise per la transitorietà perché occorreva attendere un momento forte della libertà e della democrazia.
Resto dell'opinione che casa Savoia, alla fine della terribile pagina della guerra


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civile, abbia dato un grande contributo a questo paese. Quando l'erede al trono lasciò l'Italia, a Ciampino sciolse dal vincolo alla monarchia tutti i suoi fedeli proprio al fine di evitare che la fazione continuasse a prevalere e potesse continuare una assurda guerra civile. E, nonostante il risultato elettorale riportò una differenza di 2 milioni di voti - mentre a tre milioni di italiani, perché prigionieri o profughi, non fu possibile esprimere il voto -, l'erede al trono, che aveva parte dell'esercito fedele, e metà dell'Italia legata alla monarchia, andò via appena si conobbero i primi risultati elettorali e disse, a Ciampino, che partiva per rispettare la volontà popolare ricordando a tutti che il decreto di convocazione del referendum fu firmato da re Umberto, non da altri o dagli eserciti liberatori. Fu Umberto di Savoia a firmare il decreto e ad accettare il responso democratico del referendum.
Ora, a me pare incredibile che il Parlamento italiano si inchini di fronte a re regnanti, ripristinati sul trono, non da un referendum, ma magari da un dittatore. Davanti a questi ci si inchina e li si invita in Parlamento mentre nei confronti degli eredi di casa Savoia - la si può mettere come si vuole - si fa finta di non sapere che ogni città d'Italia ricorda (a partire dal Pantheon qui davanti, passando per tutti i monumenti e tutte le opere sociali) che l'Italia è nata ed è stato un paese unito grazie all'intervento, al coraggio ed alla generosità dei Savoia (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Chi nega questo nega le radici stesse della storia italiana. Quindi, qui non sono in discussione valutazioni sulla monarchia perché, se parlassimo di questo in un Parlamento assente, che non partecipa, non sarebbe davvero una bella pagina. Qui votiamo esclusivamente per cancellare una norma transitoria della Costituzione, per fare ciò che ha fatto il Parlamento europeo, per restituire agli eredi dei Savoia gli stessi diritti di cui gode ogni cittadino europeo. Non si capisce perché Toni Negri possa essere libero di circolare in ogni paese dell'Europa, compresa l'Italia, mentre gli eredi dei Savoia no (Commenti dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista). Credo che questo voto unisca il buon senso della maggioranza e dell'opposizione. Voglio concludere ricordando che la prima azione concreta fu del Presidente Sandro Pertini; all'iniziativa di Pertini seguì l'iniziativa di Oscar Luigi Scalfaro. Dunque è un'iniziativa che viene da lontano. Lo stesso Prodi fece un intervento politicamente significativo.
Quindi, in questo caso non vi è chi vince o chi perde! In questo caso si tratta di cancellare una norma che fu pensata come transitoria proprio perché potesse essere eliminata, affinché gli eredi dei Savoia possano tornare nella loro patria, nel paese che i loro antenati hanno contribuito in maniera determinante ad unificare. Non si tratta di scegliere tra monarchia e Repubblica! La Repubblica è consolidata nel cuore e nella volontà della stragrande maggioranza degli italiani! Questa democrazia diventa più forte un minuto dopo che avrà consentito il rientro in Italia degli eredi di casa Savoia (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Enzo Bianco. Ne ha facoltà.

ENZO BIANCO. Signor Presidente, chiedo un momento di attenzione ai colleghi, soprattutto a quelli che, come me, nel corso della prima votazione hanno espresso il loro consenso al progetto di legge di revisione costituzionale oggi al nostro esame. Annuncio subito che le parole che pronuncerò sono a titolo personale e che, pertanto, queste non comportano alcun impegno per i colleghi del gruppo della Margherita: questa volta esprimerò un voto contrario. Lo farò sulla base di una nuova considerazione. Quando, qualche mese fa, votammo questo progetto di legge, io, come tanti altri colleghi, mi trovai di fronte ad un dubbio: quale interesse giuridico e politico far prevalere tra i due che si presentavano alla mia valutazione. Da un lato, vi è il giudizio storico, profondamente diverso,


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anzi opposto, a quello che l'onorevole Buontempo ha testé ricordato, un giudizio storico che segna con una condanna, passato ormai in giudicato, le grandi responsabilità di casa Savoia rispetto ai terribili problemi dell'Italia (l'entrata in guerra, la gestione del momento delicato della sconfitta del nostro paese e così via); dall'altra parte, vi era però l'esigenza - da me avvertita - che l'Italia, in cui la Repubblica è ormai forte, ponesse fine ad una norma che è certamente odiosa: l'esilio. Sotto questo profilo ho opinioni molto diverse da quelle espresse dal collega Cento: non condivido una parte del suo intervento in cui egli dice di non capire di cosa possano lamentarsi i Savoia, i quali possono viaggiare e vivere in tutti i paesi del mondo tranne che in Italia. Questo argomento non è una tesi da poter sostenere, soprattutto da parte di un libertario come l'onorevole Cento, perché stiamo parlando, com'è evidente, di un esilio.
Poiché non vi è alcuna ragione perché l'esilio sia comminato oggi a persone che individualmente non sono responsabili (la responsabilità penale è individuale), la valutazione dei due interessi nel corso della precedente votazione mi portò ad esprimere un voto favorevole al presente progetto di legge. Oggi, onorevole Presidente, la condizione è diversa. Credo che ci sia una maggioranza parlamentare favorevole a questo provvedimento e penso che, dopo il voto espresso al Senato, la prospettiva che si apre sia comunque quella che consentirà il rientro dei discendenti di casa Savoia. Oggi, però, noi possiamo esprimere un voto in libertà, e vi è un argomento nuovo ed importante da considerare; il professor Viroli, presidente dell'associazione mazziniana italiana - è stato già ricordato nell'intervento svolto dal collega Russo Spena, che ha corposamente fatto riferimento alla lettera aperta rivolta a tutti i deputati dal presidente di tale associazione - ha fatto un'affermazione importante: egli sostiene che il disegno di legge ora al nostro esame sia, da un certo punto di vista, inutile, poiché vi è una strada maestra per consentire il rientro dei cittadini Savoia in Italia. Questa è legata alla loro rinuncia alla pretesa al trono del nostro paese. Essi, come privati cittadini, con questa rinuncia, e con la rinuncia a quelle forme odiose che ancora essi esplicano (mi riferisco al conferimento di titoli nobiliari o di diplomi cavallereschi che, in qualche misura, sono incompatibili con l'ordinamento repubblicano vigente nel nostro paese) potrebbero rientrare in Italia, venendo a cessare gli effetti dell'odiosa previsione dell'esilio.
Allora, mi rivolgo anche ai colleghi di provenienza, di cultura o di simpatia repubblicana, in senso istituzionale, del centrodestra e del centrosinistra: oggi possiamo esprimere un voto che, da questo punto di vista, non prevede l'esclusione del diritto dei Savoia a rientrare nel nostro paese; infatti, con il voto contrario, si prevede di ribadire un giudizio storico negativo e di indicare la strada maestra per il loro rientro in Italia: la rinuncia alla pretesa rispetto al trono del nostro paese.
Sotto questo profilo, non basta, come ricorda Viroli - e concludo, signor Presidente - aver scritto una lettera intestata al Presidente della Repubblica. Come ricorda opportunamente Viroli, la Costituzione repubblicana e la storia d'Italia non si possono giocare - cito testualmente - «sull'indicazione di un destinatario epistolare».
Per questa ragione, signor Presidente, pur avendo votato, in prima lettura, a favore di questo disegno di legge, questa volta non potrò esprimere un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per dichiarare il mio voto contrario a questa proposta di legge costituzionale per la cessazione degli effetti del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Le motivazioni sono quelle già ricordate dal collega Russo Spena e poc'anzi


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dal collega Enzo Bianco e sono contenute nella lettera della professor Viroli, presidente dell'associazione mazziniana. Si tratta di argomentazioni che condivido con l'eccezione della ineluttabilità che in quella lettera appare trasparire con riferimento alla effettuazione del referendum. Credo che fare un referendum sia un errore irrimediabile, addirittura peggiore e più grande di quello che stiamo commettendo oggi modificando la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
A parte ciò, mi riconosco pienamente in quelle motivazioni, alle quali vorrei aggiungerne una di carattere personale, sicuramente secondaria e non decisiva per molti di voi, ma decisiva per me. Si tratta di una motivazione che definirei di stile, perché non voglio avere in nessun caso e in nessun modo la responsabilità di far rientrare in Italia una persona come Vittorio Emanuele che non ha il senso della responsabilità, che non ha il senso della dignità e che, volendo usare un termine desueto, non ha il senso dell'onore. Non voglio avere nulla a che fare con il ritorno di questa persona in Italia. Pertanto, il mio sarà un voto convintamente e fortissimamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.

BOBO CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, una Repubblica forte e salda nei suoi principi non dovrebbe temere il rientro in patria degli eredi di casa Savoia. La storia dei Savoia è controversa, ambigua e, come abbiamo ricordato, non priva di contraddizioni, ma è una storia che sappiamo essere alle nostre spalle e le cui responsabilità certo non possono ricadere sugli eredi diretti.
Tuttavia, ciò che è mancato in questo mese di discussioni e di votazioni è un gesto, anche simbolico, che suscitasse apprezzamento non da parte del ceto politico ma del popolo italiano, dei molti cittadini che, certamente, monarchici non sono mai stati, non lo sono e non intendono esserlo, un gesto che in qualche modo riconciliasse la casa Savoia al popolo italiano.
Al contrario, invece, abbiamo assistito ad una serie di dichiarazioni come al solito scomposte e, addirittura, oggi apprendiamo che non i rappresentanti del popolo italiano ma il Capo del Governo dovrebbe essere il protagonista di questa vicenda. Credo sia sbagliato e francamente reputo sia intollerabile nei confronti dei deputati rappresentanti del popolo italiano che oggi, con un voto libero, dovrebbero consentire il rientro in patria dei Savoia.
Questa vicenda si trascina da molto tempo ed anche uomini politici dalla limpidissima e coerente matrice repubblicana tentarono di risolverla con senso di giustizia, con senso del reale. Ci provò persino - lo ha ricordato Teodoro Buontempo - Sandro Pertini incontrando la madre di Vittorio Emanuele, Maria José. Tutto questo, tuttavia, non cambia alcune convinzioni che ho io come hanno altri colleghi: una vicenda come questa non può essere vissuta o descritta come un gossip che riguarderà le cronache mondane, ma deve essere un gesto politico ampio e solenne e che dovrebbe essere compreso da tutta la nazione italiana.
È apparso che gli eredi Savoia non siano all'altezza di questa vicenda ed è la ragione che ci spinge e ci convince - lo dico a nome del nuovo partito socialista, del gruppo repubblicano, del gruppo liberaldemocratico - ad astenerci su questo provvedimento. Voglio dire solennemente quest'oggi che per noi deve vivere e deve continuare a sopravvivere la Repubblica. Come avrebbero detto i repubblicani di un tempo «viva la Repubblica e abbasso la monarchia» (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.


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GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo arrivati al termine dell'iter previsto dall'articolo 138 della Costituzione per modificare i commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale. Come ben sappiamo, il Senato ha approvato il provvedimento in seconda lettura senza raggiungere la maggioranza dei due terzi. Ne prendiamo atto rispettosamente; vedremo, nei prossimi tre mesi, se si arriverà ad un referendum sull'argomento.
La Lega nord Padania non può che ribadire, coerentemente con le posizioni già espresse alla Camera ed al Senato, la sua astensione. Tale voto - vogliamo sottolinearlo - non riguarda, ovviamente, le vicende personali dei discendenti maschi della casa Savoia che, da liberi cittadini, potranno venire e soggiornare nel nostro paese. Il nostro voto voleva e vuole essere un momento di analisi, di approfondimento, anche di revisione storica di quello che è stato il processo di unificazione dello Stato italiano. Si tratta di un processo che ha visto la casa Savoia protagonista, non sempre in modo condivisibile, di momenti di vita sociale, economica e, soprattutto, istituzionale. Mi riferisco alla scelta centralista effettuata a differenza di quello che avrebbero voluto la storia e la molteplicità culturale e territoriale del neonato Stato italiano. Sarebbe stata sicuramente preferibile una scelta di tipo autonomista, regionalista, forse ancor più modernamente di tipo federalista.
Come gruppo Lega nord Padania teniamo a sottolineare questo passaggio perché riteniamo che le storture e gli sbagli del processo di unificazione italiano abbiano inciso profondamente anche sul prosieguo della storia di questo paese.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 12,15)

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. In conclusione, per questi motivi, il nostro gruppo ribadisce il suo voto di astensione sul provvedimento. Invitiamo tutte le forze politiche e tutte le parti in gioco, compresa famiglia Savoia, a tenere un comportamento serio ed equilibrato evitando dichiarazioni provocatorie o, peggio ancora, proclami demagogici e privi di ogni collegamento reale con la materia di cui stiamo trattando come quelli che abbiamo sentito dai colleghi di Rifondazione comunista (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Mi scusi, signor Presidente se ho tardato a prendere la parola, ma stavo parlando con gli uffici in ordine alla possibilità di procedere alla votazione segreta del provvedimento in esame; personalmente credo ciò sia possibile e rivolgo tale richiesta anche ai colleghi.
Colleghi, credo che il voto che il Parlamento sta per esprimere oggi sia un voto grave e pericoloso e pertanto le istituzioni si stanno assumendo una responsabilità grave. Questo è un momento molto triste per la storia del nostro paese e per la storia democratica delle istituzioni. È in atto un'operazione politico-culturale, di revisionismo storico, che passa anche attraverso la modifica di questa parte della Costituzione. Si rimuove oggettivamente la responsabilità storica della Casa Savoia: una responsabilità storica gravissima, che abbiamo denunciato tutti, rispetto all'entrata in guerra, alle leggi razziali e all'abbandono della patria - parlate tanto del concetto di patria! - in quel momento drammatico della dittatura nazifascista. Si opera un vulnus alla memoria del nostro paese e al connotato stesso del dettato costituzionale. Infatti la Repubblica non è solo la definizione della natura istituzionale dello Stato, bensì essa è - com'è scritto nella Costituzione - democratica e antifascista. Vi è, quindi, un nesso inscindibile tra la natura repubblicana dello Stato e la qualità democratica e antifascista della Repubblica. Dico ciò perché soprattutto nella precedente votazione - ma


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anche oggi sono stati notati accenti pericolosi in tal senso - sono stati fatti discorsi, in questo Parlamento (repubblicano e antifascista), non solo di riabilitazione della Casa Savoia - alla faccia della Repubblica che è forte! -, ma in questo Parlamento, eletto dal popolo, il Parlamento della Repubblica italiana, vi sono stati discorsi di riabilitazione della Casa Savoia e contemporaneamente di riabilitazione del regime fascista.
Allora credo abbiano ragione - lo hanno già detto altri colleghi, ad esempio l'onorevole Russo Spena - gli intellettuali autorevolissimi, gli storici, l'associazione mazziniana che ci chiedono una pausa, una pausa di responsabilità storica. Credo che tutti gli argomenti che ho sentito questa mattina, anche rispetto alla discussione svoltasi nella precedente votazione, non abbiano senso. Giova appunto ricordare che non c'entra niente Schengen, così come non c'entra niente l'argomento umanitario e non c'entra niente il cavillo giuridico - ahimè, onorevole Boato - che non si tratterebbe di una disposizione finale ma transitoria (e quindi sarebbero esauriti gli effetti): non c'entra nulla di tutto questo!
Credo che - lo abbiamo detto con grande forza - i discendenti maschi di Casa Savoia potrebbero rientrare oggi stesso in Italia, senza alcun intervento sul testo costituzionale, solo che rinunziassero - cosa che non hanno mai fatto - al titolo dinastico e quindi alla loro posizione di pretendenti al trono d'Italia, sul piano del diritto internazionale. Quindi non c'entra niente Schengen. Si richiama il diritto umanitario, ma qui non c'entra il fatto che vi sia la libera circolazione delle persone, quindi non vi sia ragione di rifiutare, impedire, ai discendenti maschi di Casa Savoia di rientrare in Italia.
Essi possono rientrare benissimo come cittadini italiani (come persone in carne ed ossa) non rivendicando però la loro appartenenza alla Casa Savoia.
Questo è il primo degli argomenti. Si dice: in fondo sono passati più di cinquant'anni; occorre tenere conto dell'argomento umanitario; non possiamo far ricadere le colpe dei padri sui figli.
Credo non si tratti di chiedere ai Savoia di scontare le colpe dei padri, ma non si può accettare che il loro rientro avvenga senza una discontinuità con l'eredità dinastica.
Il trattato di Schengen, la stessa Corte costituzionale ha sempre rivendicato i limiti al diritto comunitario derivanti dalla stessa Carta costituzionale, della quale la XIII disposizione finale è parte integrante. Si tratta, appunto, di una disposizione finale; qui vi è un'ipocrisia e un argomento sbagliato che si continua a ripetere, quasi un pretesto giuridico in base al quale, siccome il capitolo è quello relativo alle disposizioni transitorie e finali, anche questa disposizione sarebbe transitoria. Quindi, dopo cinquant'anni, ne dovrebbero cessare gli effetti. Non è così perché questa non è una disposizione transitoria, ma una disposizione finale, cioè non soggetta ad alcuna limitazione nel tempo.
Per tale motivo il voto che ci apprestiamo ad esprimere è un voto molto importante e rispetto al quale ci dobbiamo assumere una responsabilità storica per le generazioni passate e, soprattutto, per quelle future. Questa spinta a cambiare la disposizione finale della Costituzione, ad operare una modifica costituzionale non riguarda l'umanità ma, purtroppo, è inserita all'interno di una tendenza, di un'operazione già in atto di modifica generale degli assetti istituzionali e di potere nonché della cultura di riferimento, che non solo ha costruito la Repubblica, ma è dentro i connotati del dettato costituzionale.
Non è un caso - mi rivolgo ai colleghi delle forze democratiche dell'Ulivo, della sinistra e non solo - che il 25 aprile di quest'anno si siano registrati, senza indignazione, episodi gravissimi di rigurgiti fascisti, come l'operazione di tipo squadrista, guidata da una consigliera provinciale di Alleanza nazionale, avvenuta al cinema Vascello di Roma. Noi abbiamo al Governo come vicepremier Fini, dunque non vi sono state dichiarazioni di indignazione


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o di smentita né richieste di dimissioni per questa consigliera provinciale. C'è stato un 25 aprile in cui, mentre i partigiani - come è tradizione -, l'ANPI, le forze democratiche antifasciste sfilavano in piazza per celebrare la festa della liberazione e della Resistenza, Berlusconi ha celebrato Sogno.

ALFREDO BIONDI. Perché Sogno non era un resistente? Ma che dici!

MAURA COSSUTTA. Oggi, ci dobbiamo porre questa questione: stiamo modificando una disposizione finale. Dunque, cari colleghi, è legittimo porsi la seguente domanda: quando avverrà la modifica di quell'altra disposizione prevista dalla nostra Costituzione che proibisce la ricostituzione del partito fascista?
Ritengo sia necessario un rigore storico e occorre distinguere i problemi umani, della pietas, da quelli del rigore della ricostruzione storica. Non è vero che i morti sono stati uguali; non siamo mai stati d'accordo con un opera di revisionismo culturale che ha posto sempre sullo stesso piano i morti della Repubblica di Salò con quelli dei partigiani. Ciò non significa avere umanità per i morti, ma ribadire che serve il rigore storico.
Si dice che, comunque, la Repubblica è forte. Credo che, di fronte a quanto sta avvenendo in Europa e nel mondo, questa sia una finta rassicurazione, un'illusoria rassicurazione. La Repubblica è forte se non se ne minano le fondamenta; la Repubblica continuerà ad essere forte se non si mettono in discussione le sue basi fondative, cioè la cultura democratica e antifascista.
Dunque, ritengo che questa disposizione non sia transitoria e finale, in quanto la memoria non è transitoria. E la memoria è dentro l'identità collettiva della nostra comunità, del nostro popolo, che è un'identità repubblicana, democratica e antifascista.
Noi Comunisti italiani, che siamo orgogliosi di chiamarci comunisti italiani e che abbiamo dato un contributo per tutte le battaglie di libertà e di democrazia, costruendo insieme a tante altre forze democratiche ed antifasciste questa Repubblica democratica ed antifascista, voteremo contro. Il nostro è un voto di rispetto verso i nostri morti ed è un voto di responsabilità verso le future generazioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.

LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, svolgerò un intervento breve ma doveroso, anche se ho riflettuto parecchio prima di chiedere la parola: vorrei spiegare in modo molto rapido il motivo per il quale in questa occasione non esprimerò il medesimo voto che diedi, in prima lettura, sulla proposta di cessazione degli effetti dei commi 1 e 2 della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Debbo dire che gli elementi di riflessione mi sono stati suggeriti dalla lettera del presidente dell'associazione mazziniana italiana, Maurizio Viroli, al quale, per questo motivo, vorrei rivolgere un ringraziamento.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 12,27)

LUIGI OLIVIERI. Già nel corso della prima lettura, quando fummo chiamati a questa responsabilità, mi ero chiesto se fosse o meno corretto permettere ai discendenti di casa Savoia di rientrare in Italia, dichiarando la cessazione degli effetti della XIII disposizione transitoria e lasciando a loro il titolo dinastico e tutto quanto ne consegue: si tratta di molte prerogative che essi mantengono nel momento in cui il titolo dinastico non viene - tra virgolette - intaccato.
Mi ero chiesto se vi fossero precedenti in tal senso in Europa e nel mondo. Effettivamente, la lettera, cui poc'anzi ho fatto cenno, mi ha dato la possibilità di approfondire questo aspetto e di constatare che un caso analogo si è già avuto in


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Europa e riguarda l'Austria, in relazione al rientro dei regnanti e, in particolare, di Otto d'Asburgo.
Se, dunque, vi è un precedente in questo senso che concede agli eredi di una casa dinistica di rientrare come liberi cittadini, nel momento in cui rinunciano alle loro prerogative, mi chiedo perché questa scelta non venga fatta anche per quanto riguarda casa Savoia. Ritengo che la strada da imboccare sia questa: consentire a queste persone di rientrare previa rinuncia al titolo dinastico; in tal modo, non vi sarebbe la necessità di un intervento a livello costituzionale.
Ebbene, penso che questa sia la strada maestra ed è per questi motivi che ritengo di non ripetere il voto favorevole che diedi in prima lettura e di pronunciarmi in modo contrario in seconda lettura (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bandoli. Ne ha facoltà.

FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, intervengo anch'io per pochi minuti. Non ho bisogno di mutare né la mia opinione né il mio voto, perché mi sono espressa contro il rientro dei discendenti di casa Savoia. Non mi pare chiaro il giudizio storico che sta dietro questo provvedimento e anche il dibattito di oggi ha dimostrato molte ambiguità. Vorrei ripeterlo ancora una volta: oltretutto, siamo di fronte ad una dinastia che, alle responsabilità storiche tremende - di cui pare non rendersi conto - che vanno dalla contiguità al regime fascista alla condivisione delle leggi speciali razziali, somma la pochezza, l'ignavia e la totale ambiguità degli attuali eredi. Ed è su queste persone che siamo chiamati ad esprimere un voto: oggi non votiamo sulla storia, ma sulle persone.
Inoltre, non è un argomento di secondo conto quello che è stato richiamato da altri colleghi in quest'aula; anzi, è un argomento molto forte : si può rientrare da un esilio, che - come tale - è giusto abbia anche una conclusione, come liberi cittadini, come potrebbe fare qualsiasi altro cittadino colpito da un provvedimento del genere.
Bisogna rinunciare ai propri titoli, tra virgolette: la monarchia non c'è più, non ci sono più i re, non c'è più nessuno che possa rivendicare di essere l'erede di quella monarchia. Se avessero fatto questo, non avremmo dovuto dar vita a queste interminabili e anche un po' noiose discussioni. Invece, questo non si è voluto fare e a questo punto il Parlamento deve votare.
Di fronte a questa situazione, sia come giudizio storico, ma anche per il rispetto che devo a tutti coloro che nel passato hanno avuto queste opinioni, così come i molti cittadini italiani che ce le hanno ancora oggi, io credo di doverle interpretare anche all'interno di quest'aula votando contro il provvedimento che ci sottoponete (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zani. Ne ha facoltà.

MAURO ZANI. Signor Presidente, colleghi, molto in breve, credo che sia mio dovere motivare a mia volta un cambiamento nell'atteggiamento di voto. Ho votato a favore qualche mese fa poiché ritenevo - come, per la verità, ancora oggi ritengo - che questo sia un atto storicamente maturo: come molti hanno detto, la Repubblica è forte.
Tuttavia, in questi mesi, a mio parere, qualcosa è avvenuto e, devo dire, a malincuore, oggi cambio il mio voto, mutandolo in un voto di astensione. Quello che è avvenuto è che, a mio parere, questa discussione si è accompagnata in Italia con la ripresa di un revisionismo storico e culturale che considero improvvisato, pericoloso, rozzo, politicamente strumentale e temo che non sia possibile separare questo contesto dalla questione che oggi stiamo discutendo: perlomeno, non è separabile nel mio giudizio politico, prima ancora che nella mia coscienza.


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Per fare solo un esempio, si stanno preparando grandi rievocazioni in costume della battaglia di El Alamein, dopo che dopo un esponente di primo piano del Governo, per il quale per la verità nutro stima sincera, in una recente occasione ha, tuttavia, nostalgicamente rimpianto una sconfitta militare che ha contribuito non poco a far vincere la guerra contro il nazifascismo in Europa e nel mondo. Questo è solo un dato di questo revisionismo e ce ne sono altri che sono stati richiamati in questa sede. Anche quest'ultimo 25 aprile non è passato indenne rispetto a questo contesto. Si fa sempre più strada l'idea che si debba fare un'assurda equiparazione tra chi ha combattuto da una parte e dall'altra e questo non riguarda il rispetto umano per i combattenti, ma è un'altra cosa più profonda e sottile. Questo è il contesto ed è difficile separare la discussione sulla monarchia e sulla casa Savoia da questo contesto.
In secondo luogo, il mio atteggiamento cambia dopo aver attentamente valutato l'atteggiamento della «famigliuola» reale, improntato, a mio parere, a uno scarso rispetto sostanziale per la scelta impegnativa e storicamente rilevante che la Repubblica sta per compiere oggi, quasi che ci si trovasse di fronte ad un atto dovuto, scontato, anzi, addirittura, tardivo. Ho visto e vedo un nucleo di arroganza in questo atteggiamento, come se si fosse ancora in cerca di un trono perduto. Per queste due ragioni, ripeto, a malincuore, dovrò cambiare il mio voto e quindi dichiaro la mia astensione (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, intervengo per confermare - a differenza di altri colleghi che mi hanno preceduto - il voto favorevole al rientro dei Savoia, lo stesso che avevo espresso nella precedente votazione. Onorevole Duca, il mio voto è motivato da ragioni storiche, politiche e, se me lo consente, anche personali, che poi, in privato, le riferirò.
Voglio essere molto rapido, anche perché mi rendo conto che alle 13.30 vi è la seduta comune; il paese ha bisogno di consegnare definitivamente alla storia alcune pagine molto importanti come questa. Quindi, ritengo che siano necessari importanti gesti di conciliazione, perché si parte da un momento storico molto importante - relativo al biennio 1945-1946 - in cui si sono vissuti momenti molto, molto difficili. Ognuno di noi ha ricordi, anche personali e familiari, per certi versi drammatici dal punto di vista umano, oltre che storico. Non voglio ricordare i problemi della mia famiglia, però ho scelto di militare per il centrosinistra in maniera convinta, nonostante in distinti momenti abbia avuto diverse sollecitazioni; ho fatto questa scelta perché la mia famiglia mi ha insegnato il valore del perdono. È per questo motivo che ritengo la transitorietà una chiara presa di posizione del costituente, soprattutto rivolta a rimettere alla votazione dei successivi parlamenti il divieto, non definitivo, nei confronti della casa Savoia e dei suoi discendenti maschi. Per tali motivi preannuncio che esprimerò nuovamente parere favorevole al rientro dei Savoia. Credo che ciò rappresenti un gesto di conciliazione molto importante, di cui tutti, storicamente, debbono tenere conto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.

RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, come il mio gruppo di appartenenza voterò a favore di questa proposta di legge costituzionale. Sono convinto che ormai la Repubblica italiana non debba aver paura di alcunché. Troppi anni sono passati, il perdono e la conoscenza dei fatti debbono avere il sopravvento nei confronti di alcuni steccati ideologici, tuttavia


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vorrei fare una precisazione: provengo da una terra mantovana che, storicamente, ha rappresentato il luogo di nascita dei primi moti mazziniani e che, successivamente, ha pagato in vite umane gli effetti delle deportazioni dovute alle leggi razziali. Ciò è avvenuto, specialmente, nei confronti di un'antica comunità ebraica insediata a Mantova, che è stata quasi sterminata. Per queste ragioni chiedo al Governo di farsi carico affinché la famiglia Savoia chieda pubblicamente scusa ai mantovani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.

VITTORIO SGARBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'intervento dell'onorevole Zani e le parole molto accorate dell'onorevole Maura Cossutta inducono a riflettere sul piano della valutazione storica e della necessità di assumere una posizione rispetto ai simboli, a quello che la casa Savoia ha rappresentato. L'onorevole Zani ha indicato, con mestizia, alcuni riferimenti storici: El Alamein, le responsabilità di Vittorio Emanuele III.
È certo che, dal punto di vista della storia, non c'è più alto sostenitore della monarchia di una sinistra che la riconosce e che non vede negli individui che oggi la rappresentano quegli stessi individui che, soltanto come tali, come persone e laicamente devono essere giudicati, nella loro modestia e nella loro responsabilità storica, personale ed anche penale, che è individuale.
Non posso immaginare che si possa attribuire né il merito di Vittorio Emanuele II o di Carlo Alberto, pur Savoia, né il demerito di Vittorio Emanuele III a Emanuele Filiberto, tra una discoteca e una dichiarazione ai giornali, o quello di Vittorio Emanuele IV, di cui si possono riconoscere, come è stato fatto, alcune responsabilità penali, attraverso processi che riguardano i suoi atti che nulla hanno a che fare con il sangue. Chiudere l'Italia ai Savoia vuol dire riconoscere il loro sangue come stirpe ed essere monarchici.
Mi stupisce che la sinistra esprima questa valutazione essenzialista.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Lascia stare.

VITTORIO SGARBI. Vorrei ricordare loro un grande maestro della filosofia del novecento, Sartre, che diceva: l'esistenza precede l'essenza. L'unica cosa che a noi interessa è l'esistenza degli individui che, senza alcuna possibilità di essere né simboli né combattenti per una battaglia, giungono in Italia come individui.

MAURA COSSUTTA. Possono farlo, possono farlo.

VITTORIO SGARBI. Meno se ne parla e danni non ne fanno altro che a se stessi: danni alla storia, danni al presente; danni politici, anche ove costituissero un partito, non ne farebbero.
Se dobbiamo pensare che su di loro debbano ricadere le colpe di Vittorio Emanuele III, (stiamo parlando di lui, non di Umberto II, non di Emanuele Filiberto oggi), se dobbiamo dire che costoro hanno nel sangue ciò che i Savoia hanno fatto, non andrà dimenticato ciò che hanno fatto per il Risorgimento Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II i quali rappresentano l'aspetto nobile di quella dinastia.
Le persone non si valutano attraverso le dinastie, ma attraverso gli atti che compiono come individui. Per tale motivo, essi rientrano in Italia come cittadini e non come monarchi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, non vi è dubbio che il Parlamento possa decidere di abrogare o modificare una norma costituzionale; sta per farlo, dopo l'esame della proposta di legge costituzionale ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, e ne prenderemo atto, come si deve prendere atto di una decisione del Parlamento.


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Le ragioni della nostra perplessità e del nostro voto contrario non hanno a che fare, dunque, con la decisione di modificare questa norma, ma con altri aspetti che ho sottolineato dal primo giorno, fin da quando il Governo Prodi presentò questa normativa.
Secondo noi, quella norma, traendo origine dai drammi della guerra, del fascismo e della dittatura, è grave perché colpiva le persone, a seguito di una vicenda storica che i costituenti conoscevano bene e dalla quale l'Italia repubblicana e democratica è nata. A nostro avviso, per chiudere la questione, sarebbe stata necessaria una solenne presa d'atto anche da parte degli eredi della casa regnante circa il fatto che la scelta repubblicana, assunta dall'Italia nel 1946 era, è e rimarrà indiscutibile, al di là delle previsioni dell'articolo 139 della Costituzione.
Avremmo voluto che il Parlamento affermasse che quella XIII disposizione transitoria e finale sarebbe stata abrogata nel momento in cui gli eredi di casa Savoia avessero dichiarato, in maniera solenne e formale, che la scelta repubblicana non sarà mai da essi messa in discussione.
Così non è stato, anche se, ad attenuare questa nostra preoccupazione, vi è stata una loro dichiarazione, rilasciata ai giornali, nella quale si comprendeva questa preoccupazione - che io apprezzo - presente in una parte del nostro paese. Gli eredi hanno infatti dichiarato che si riconoscono nella Repubblica, che si rivolgono al Presidente della Repubblica nei termini del Presidente di tutti e quant'altro.
Per questo motivo, sarebbe stato preferibile che questa dichiarazione solenne l'avesse chiesta ed ottenuta il Parlamento del nostro paese. Stando così le cose, esprimerò personalmente voto contrario su questo provvedimento, naturalmente prendendo atto che questa è la volontà del Parlamento e che è orientata nel senso di chiudere una questione aperta, rimarginando una ferita presente nella nostra storia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimerò voto contrario su questo provvedimento, come ho fatto anche in tutte le altre circostanze. Non avrei dunque dovuto motivare questa mia scelta, ma vorrei tuttavia rispondere ad alcune osservazioni svolte dall'onorevole Sgarbi.
Onorevole Sgarbi, io, che mi ritengo di sinistra, esprimo voto contrario proprio in nome del riconoscimento che l'esistente non coincide con l'ente e quindi non per ragioni di simboli o di sangue, ma perché l'unica forma per rispondere al principio dell'esistenza è riconoscere che gli individui hanno un principio che li costituisce, ovvero quello di responsabilità individuale.
Essendo questo il principio che li caratterizza, la decisione su tale aspetto era interamente nelle mani dei discendenti di casa Savoia, che, assumendosi sino in fondo il loro principio di responsabilità individuale, avevano la possibilità di dire: io rinuncio (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, Misto-Verdi-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e di deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo)! Essi hanno invece chiesto al Parlamento di coprire questa loro incapacità di esistere come individui e di rinunciare al sangue e alla stirpe.
Per questo, io che sono di sinistra, in nome della libertà e dell'individualità, esprimo voto contrario su questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, Misto-Verdi-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e di deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Pepe. Ne ha facoltà.

ANTONIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame è finalizzata all'introduzione della


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modifica della XIII disposizione transitoria finale della Carta costituzionale, sancendo il cessare degli effetti dei commi 1 e 2 dall'entrata in vigore della legge stessa.
La questione è al centro del dibattito da circa trent'anni e ha visto la destra italiana protagonista nell'ambito di questo dibattito politico, in nome della pacificazione nazionale.
Penso che la soluzione del problema non sia più rinviabile. Sono passati oltre cinquant'anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale e penso che si possa affermare con tranquillità e serenità che sono più che maturi i tempi per procedere alla modifica della disposizione costituzionale transitoria in esame. Transitoria, come ricordava in precedenza l'onorevole Buontempo, e perciò destinata a cadere.
Essa poteva avere un senso quando forti erano la tensione ed il confronto fra due concezioni di forma di Stato. Nello spiegare la ratio di questa disposizione transitoria, l'onorevole Dossetti affermò che nella situazione storico-politica dell'epoca era necessario un provvedimento di difesa dell'ordine repubblicano e l'onorevole Moro aggiunse che esigenze di sicurezza rendevano quella norma, ovvero la XIII disposizione transitoria e finale, necessaria ed indispensabile.
Ad oggi occorre riconoscere che non vi è stato, né vi è, alcun tentativo di sovvertire le istituzioni da parte di tanti italiani che si sentivano e si sentono ancora legati all'idea monarchica. Nessun rischio quindi, ma un atto di intelligenza politica.
Con il voto in questione non diamo peraltro un giudizio sul rapporto fra casa Savoia e l'Italia, né intendo aprire su questo problema un fronte polemico con quanti hanno parlato prima in dissenso.
È certo, onorevoli colleghi, che anche da un giudizio negativo su casa Savoia non può discendere il principio per cui le colpe dei padri ricadono sui figli (Commenti dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)! Il giudizio è rimesso alla storia e alla convinzione di ognuno di noi; bisogna tuttavia ricordare che la Corte per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha minacciato sanzioni anche soltanto per il ritardo con il quale cominciava il dibattito sulla modifica costituzionale e che tutti i trattati internazionali ed europei sono in totale contrasto e dissenso con la ratio della norma contenuta nella nostra Costituzione.
Mentre si parla di Europa politica, mentre si comincia a redigere la carta costituzionale europea, è sicuramente anacronistico, antistorico ed assurdo mantenere tale divieto.
Bisogna voltare pagina, guardare avanti convinti: la forza e la maturità di una democrazia si basano anche sulla capacità di guardare non al passato, ma al futuro, di sapere unire e non dividere. Penso che con il voto favorevole - se questa Assemblea esprimerà un voto favorevole - si contribuirà a rendere la nostra democrazia più matura, più forte, più europea (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Onorevoli colleghi, per la votazione finale su questo provvedimento è stato richiesto lo scrutinio segreto, anche se non da un numero congruo di parlamentari; ma il problema non è questo. Infatti, la cortesia e la serietà con cui l'onorevole Maura Cossutta ha avanzato la richiesta di scrutinio segreto al Presidente della Camera impongono una risposta, alla luce delle norme regolamentari e dei criteri interpretativi ai quali la Presidenza, nella riunione della Giunta per il regolamento del 7 marzo scorso, ha annunciato che si sarebbe attenuta.
Il parere della Presidenza è che, sulla materia trattata dal provvedimento in esame, non possa essere concesso lo scrutinio segreto. Del resto, la votazione sullo stesso provvedimento è già stata effettuata a scrutinio palese in prima lettura.
In primo luogo, non ci si trova in presenza di deliberazioni riguardanti persone, per le quali l'articolo 49, comma 1, del regolamento impone lo scrutinio segreto, a prescindere da specifiche richieste. Nel caso di specie, la deliberazione cui


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è chiamata l'Assemblea ha natura legislativa ed ha ad oggetto la rimozione di un divieto posto da una norma costituzionale di carattere transitorio...

MAURA COSSUTTA. Finale!

PRESIDENTE. ... e non implica di per sé la formulazione di alcun giudizio su singole persone.
La proposta di legge potrebbe, comunque, essere ritenuta suscettibile di scrutinio segreto ove fosse considerata incidente sui principi e diritti costituzionali espressamente richiamati dall'articolo 49, comma 1, secondo periodo, del regolamento; in particolare, come ha detto l'onorevole Maura Cossutta, sulla libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio nazionale, riconosciuta dall'articolo 16 della Costituzione a tutti i cittadini italiani.
Come ho precisato nella già citata riunione della Giunta per il regolamento, la regola generale di votazione alla Camera è lo scrutinio palese. Può infatti ammettersi lo scrutinio segreto solo in via residuale, per casi rigorosamente determinati. Ciò si evince dallo stesso articolo 49 del regolamento, il quale stabilisce che le deroghe fissate al principio dell'ordinarietà del voto palese devono essere di stretta interpretazione. Alla luce di queste considerazioni, l'elencazione degli articoli della Costituzione, contenuta nel primo comma dell'articolo 49 del regolamento, deve ritenersi ovviamente tassativa.
Il provvedimento in esame si riferisce ad una norma - la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione - non richiamata dall'articolo 49 del regolamento e le modifiche al testo costituzionale da esso recate riguardano esclusivamente tale norma. Il progetto di legge, infatti, mira ad eliminare un ostacolo posto all'ingresso nel territorio della Repubblica per i discendenti degli ex sovrani, sopprimendo una disposizione le cui ratio e finalità appaiono del tutto peculiari e ciò senza riflessi sulla disciplina attuativa delle libertà previste dall'articolo 16 della Costituzione, di cui non vengono in via generale modificate le condizioni di esercizio.
Alla luce di tali considerazioni, è da ritenersi che la materia trattata dal provvedimento non ricompresa nella formulazione letterale dell'articolo 49, primo comma, del regolamento, non possa ricondursi, neppure in via sostanziale, ad alcun principio e diritto di libertà ivi richiamato.
L'onorevole Maura Cossutta mi ha cortesemente chiesto in via breve - se posso dirlo - di convocare la Giunta per il regolamento, al fine di avere un parere sulla questione. Io ritengo, come è accaduto in altri casi - ricordo, in proposito, le richieste dell'onorevole Elio Vito e dell'onorevole Violante -, poiché la Presidenza non ha dubbi interpretativi - anche se la possibilità di sbagliare le è sempre accordata - di non convocare la Giunta in questa circostanza.

MAURA COSSUTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Mi scusi, signor Presidente, certamente la scelta è sua, ma io mi permetto di insistere. In merito alla sua risposta, vorrei dire, prima di tutto, che il fatto che non si sia votato a scrutinio segreto nella precedente votazione è del tutto ininfluente.
Insisto: nel regolamento (è un problema che dobbiamo porci come parlamentari ed è per questo che chiedevo la convocazione della Giunta per il regolamento) non si fa riferimento alla disposizione finale (e non transitoria come è stato detto), esattamente perché si tratta di disposizioni finali.
Il problema che ho sollevato con riferimento all'interpretazione dell'articolo 49 del regolamento è il seguente: la modifica della disposizione che stiamo per porre in votazione, riguarda, non tanto gli articoli, ma i principi ispiratori degli stessi.
Rispetto a ciò, credevo fosse possibile ricorrere al voto segreto. Si tratta - lo ripeto - di un problema talmente delicato che pensavo potesse essere risolto dalla


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Giunta per il regolamento e non solo, se mi permette, attraverso l'interpretazione del Presidente della Camera.

MARCO BOATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, mi rimetto alle sue decisioni. Lei ha letto le motivazioni della decisione presa e non ho alcun titolo per contestarle. Tuttavia, la prego di precisare all'Assemblea che stiamo per votare una proposta di legge costituzionale. Ha letto un testo che parla di soppressione di una disposizione. Stiamo per votare una proposta di legge costituzionale che non incide sulla XIII disposizione...

PRESIDENTE. Sono d'accordo con lei.

MARCO BOATO. ... ma decide solo la cessazione degli effetti.

PRESIDENTE. Facendo cessare gli effetti: questa è la dizione giusta. Lei ha fatto bene a correggermi.

MARCO BOATO. Bisogna che ciò sia precisato negli atti parlamentari, perché è una cosa di rilevanza costituzionale.

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