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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, i tempi per il rientro dei Savoia in Italia sono maturi - in Europa vi è stata una pronuncia molto chiara in tal senso - ed è giusto che ciò avvenga attraverso un'ampia convergenza tra maggioranza ed opposizione. In questo caso, non si tratta di esaminare la storia ma stabilire se gli eredi di casa Savoia possano o no mettere piede sul suolo italiano come dei privati cittadini. È questo il senso delle abbinate proposte di legge, tra le quali anche la mia.
Credo che questa democrazia debba molto, moltissimo nei confronti di casa Savoia e dell'ultimo suo re, ciò proprio per onorare i valori su cui tale democrazia si fonda.
Vorrei ricordare al collega che ha parlato poc'anzi che il referendum attraverso cui si diede l'opportunità di scegliere tra Repubblica o monarchia fu possibile in Italia su convocazione del re Umberto II di Savoia. Egli, essendo in carica, firmò il decreto attraverso il quale per gli italiani fu possibile scegliere tra monarchia o Repubblica.
Vorrei ricordare che, in quel referendum, 3 milioni di italiani prigionieri di guerra non rimpatriati (italiani delle colonie, abitanti di Trieste, Gorizia, della provincia di Bolzano, trecentomila profughi della Venezia Giulia e della Dalmazia) non votarono. Tre milioni di persone, per le condizioni obiettive nelle quali si vennero a trovare, non riuscirono a votare. Il risultato vero del referendum - lasciamo stare tutti gli interrogativi - fu che la Repubblica vinse sulla monarchia con una differenza di 2 milioni di voti. Evidentemente, la metà del popolo italiano era fedele alla monarchia; parte dell'esercito aveva giurato fedeltà alla patria e alla monarchia.
Il re Umberto, non solo firmò il decreto, ma non attese neppure la convalida definitiva del medesimo, poiché volle impedire anche un solo giorno di lutto in più al nostro paese; Umberto, infatti, si recò a Ciampino e, con gli onori militari, abbandonò
il suolo italiano prima ancora della proclamazione dell'esito ufficiale del referendum.
Egli stesso, da Ciampino, pronunciò parole di grande amore per la patria, per l'Italia e, con il dolore - ovvio - che aveva per il fatto di dover lasciare il suolo italiano, non volle opporre alcuna forza, resistenza o contestazione al risultato del referendum, nella speranza - così disse mentre lasciava il suolo italiano - di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori.
In riferimento ai lavori che rendono forte la nostra democrazia, credo che il primo nel dopoguerra ad onorare quei valori di democrazia fu proprio il re Umberto che accettò - caso unico - l'esito di un referendum popolare e lasciò l'Italia a seguito del pronunciamento libero e democratico dei cittadini italiani.
Credo che ciò costituisca un valore che deve essere recuperato, poiché i riferimenti alla storia che sono stati fatti poco hanno a che fare con un certo obiettivo (ognuno è libero giustamente di avere una propria opinione), con gli eredi di un re che lascia il proprio paese, dopo aver consentito il voto; è un valore che bisogna assolutamente recuperare.
Per questo motivo ritengo che bisogna ripensare in futuro anche a quegli eredi di casa Savoia che sono sepolti in esilio. Vi sono decine di esempi di case regnanti, a cui è stato tolto il titolo, che hanno dovuto lasciare il loro paese; una volta deceduti, però, sono tornati nella propria patria e accolti dalla comunità nazionale, indipendentemente dalla scelta repubblicana o monarchica (penso anche a quei re che, quando abbandonarono i loro paesi, non erano certo amatissimi).
Bisognerà, pertanto, riflettere in futuro; credo che si abbia il dovere di consentire il rientro in Italia della salma di Vittorio Emanuele III, il re soldato (sepolto nella cattedrale di santa Caterina di Alessandria), di quella della regina Elena, seconda regina d'Italia, signora della carità benefica, (sepolta nel cimitero di san Lazzaro di Montpellier in Francia), di quella di Umberto II, colui che firmò il decreto del referendum, che ne accettò l'esito e che abbandonò l'Italia, perché non subisse altre lacerazioni, altre divisioni ed altri lutti (che, come noto, è sepolto nell'abbazia reale di Hautecombe in Francia).
Se la Camera esprimerà voto favorevole, non soltanto onorerà la democrazia, ma anche la storia, con le sue zone di luce e di ombra. Credo che, con i tempi che le forze politiche riterranno opportuni, sarà possibile anche il rientro in Italia delle salme dei Savoia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come tutti noi sappiamo, la XIII disposizione della Costituzione ha una lunga storia parlamentare. Essa è contenuta sotto il titolo disposizioni transitorie e finali, ma, come è stato sancito sul piano giurisprudenziale dall'adunanza generale del 1o marzo 2001 del Consiglio di Stato, è da intendersi non come norma transitoria, bensì quale norma finale della Costituzione.
La lunga storia inizia già nel corso della X legislatura, quella che va dal 1987 al 1992, ed ha visto più volte questo Parlamento affrontare molteplici proposte di legge finalizzate, a mio parere erroneamente, all'abrogazione dei commi primo e secondo della XIII disposizione, ovvero tendenti a eliminare dalla Carta costituzionale il testo della prima e seconda disposizione finale riguardante casa Savoia.
Credo sia stato giusto che, nel corso della X, XI e XII legislatura, queste proposte di legge non siano state approvate. Ritengo che, da questo punto di vista, una svolta, sul piano parlamentare, nonché in relazione al riferimento costituzionale che ha una valenza storico-politica - proprio in relazione alle vicende che il collega Fioroni ha ricordato in quest'aula, anche se personalmente ne trarrò una conseguenza in termini di voto diversa dalla sua - vi sia stata e sia stato giusto che, nel corso della XIII legislatura, con il Governo
Prodi ed, in particolare, con la responsabilità, che vorrei ricordare, del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio professor Ernesto Bettinelli, proposto al Governo dal gruppo dei Verdi della XIII legislatura, sia cambiato completamente l'approccio a tale materia. Non è un caso che si sia poi votato alla Camera un testo, per molti aspetti convergente anche se non identico, rispetto a quello oggi sottoposto al nostro esame.
Con il professore Ernesto Bettinelli, in qualità di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con il Governo Prodi, prima in sede di Commissione affari costituzionali e successivamente in quest'aula, si discusse a lungo (vi fu all'epoca una larga convergenza, salvo alcuni dissensi che anche oggi verranno probabilmente espressi) e si individuò la necessità non di abrogare il primo e secondo comma della XIII disposizione, - considerandola, per l'appunto, disposizione non di natura transitoria ma finale della Costituzione, e quindi ritenendosi opportuno, giusto e necessario che essa restasse nel testo costituzionale -, ma di far cessare gli effetti dei primi due commi, e soltanto di quelli, della XIII disposizione.
In qualunque sistema politico e, a maggior ragione, in qualunque sistema democratico, a mio parere, è giusto che una forma di ostracismo (per usare un'espressione greca), inteso nel suo significato tecnico-giuridico, ad un certo punto abbia, per deliberazione democratica - e noi stiamo discutendo in un Parlamento - una sua conclusione.
Siamo nell'anno 2002: sono passati 57 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, 56 anni dal referendum istituzionale del 1946 che ha sancito con il voto popolare - e, per la prima volta nel nostro paese, anche con il voto delle donne - la fine della monarchia; sono passati 54 anni e alcuni mesi dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Altri paesi hanno concluso vicende, simili o analoghe alle nostre, di ostracismo nei confronti degli appartenenti - maschi, in questo caso - alla precedente casa regnante.
Nell'antica Grecia, cui ho fatto riferimento, le forme di ostracismo avevano la durata di alcuni anni e ad un certo punto cessavano. Dopo 54 anni dall'entrata in vigore della nostra Costituzione, a me, a noi pare opportuno - già ne discutemmo nella passata legislatura - proporre al Parlamento di deliberare non l'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione finale della Costituzione, ma la cessazione dei suoi effetti giuridici, affinché in Costituzione quei commi, quella disposizione restino a memoria imperitura delle responsabilità gravissime della casa Savoia, e affinché la Repubblica italiana, ad un certo punto, abbia anche la capacità e la forza democratica non di dimenticare - il collega Fioroni giustamente ha espresso moniti solenni e gravi in quest'aula nei confronti di chi cerca di dimenticare - ma di far cessare l'efficacia giuridica di queste norme.
Se in quest'aula oggi fossero state al nostro esame proposte analoghe a tutte le altre che sono state presentate - eccetto la mia, la prima presentata in materia in questa legislatura che, non a caso, porta il numero 184 o anche quella dell'onorevole Antonio Pepe ed altri n. 1294, che è del tutto simile, non identica, alla mia -, se fosse stato presentato un testo come quello contenuto nelle altre proposte di legge - Germanà, Prestigiacomo, consiglio regionale del Piemonte, Selva, Buontempo (il cui intervento è stato francamente sconcertante, dal mio punto di vista, sconcertante perché paradossalmente e drammaticamente coerente con le sue posizioni), Trantino, Collè, Amoruso -, se oggi avessimo dovuto esaminare quelle proposte di legge, tutte finalizzate all'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione, noi deputati Verdi e molti altri in quest'aula, che probabilmente oggi esprimeranno voto favorevole sul testo al nostro esame, avrebbero espresso voto contrario.
Noi non siamo favorevoli all'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, da intendersi in realtà
- come ho ripetuto, citando il Consiglio di Stato - come disposizione finale, perché non ha un termine in Costituzione.
Oggi abbiamo al nostro esame una proposta di legge costituzionale, proveniente dal Senato (questa volta è il Senato ad aver iniziato l'esame del provvedimento, mentre nella scorsa legislatura fu la Camera ad affrontare, in prima lettura, questa materia), che prevede la cessazione dell'efficacia di quella disposizione. Quali sono le differenze rispetto alla proposta che io stesso ho presentato e che avevamo approvato nella scorsa legislatura? Il testo varato dal Senato - che, comunque, voteremo - ha il valore di legge costituzionale (quindi, dovrà essere esaminato dal Parlamento secondo le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione: la doppia lettura, la maggioranza assoluta dei componenti in seconda lettura, con l'auspicabile - credo - maggioranza di due terzi che eviti l'eventuale ricorso ad un referendum), che incide sull'efficacia del primo e del secondo comma della XIII disposizione, senza introdursi nella XIII disposizione. La cessazione di efficacia - l'esaurimento degli effetti, come recita il testo della proposta di legge costituzionale - decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Chiedo ai colleghi di parlare a voce più bassa.
Personalmente, avevo seguito una strada formalmente diversa (la sostanza è identica, ed è per questo che voteremo, in ogni caso, questo testo), ossia quella adottata, con il professor Bettinelli, nella scorsa legislatura, consistente nell'aggiungere alla XIII disposizione un quarto comma che avrebbe recitato: i primi due commi della presente disposizione esauriscono i loro effetti a decorrere dal 2 giugno 2002. Vi sono, dunque, due differenze, non sostanziali (ed è per questo che le rimarco, ma non sono motivo di cambiamento dell'atteggiamento positivo rispetto al voto sul testo in esame). In primo luogo, la nostra proposta di legge costituzionale avrebbe portato all'aggiunta di un comma alla XIII disposizione (aggiungere un comma vuol dire confermare la validità costituzionale e storico-politica e, al tempo stesso, decretarne l'esaurimento degli effetti). In secondo luogo, era prevista l'indicazione di una data di altissimo valore simbolico ed istituzionale, quella del 2 giugno 2002 (il 2 giugno, come sappiamo, è la data del referendum istituzionale con il quale venne abrogata la Monarchia (la maggioranza del popolo italiano - uomini e donne, queste ultime per la prima volta - determinarono tale risultato). Il riferimento al referendum istituzionale, con il quale il popolo italiano, sul quesito Monarchia o Repubblica, scelse la Repubblica, avrebbe dato un significato - lo ripeto - anche molto simbolico a questa nostra deliberazione.
Sappiamo che vi sono anche contesti di carattere internazionale, in relazione ad eventuali, possibili pronunce della Corte di giustizia europea, che hanno indotto e suggerito di accelerare i tempi d'approvazione di questa proposta di legge costituzionale in questa legislatura in modo da evitare eventuali pronunce esterne all'Assemblea parlamentare che condizionassero il nostro paese. Quindi, è giusto seguire la strada maestra: sia il Parlamento, che rappresenta il popolo italiano, a deliberare in questa materia.
Ripeto, nulla cambia...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, se possibile, vi prego di sciogliere i capannelli intorno al tavolo del Comitato dei nove.
MARCO BOATO. La ringrazio, signor Presidente.
Ripeto, nulla cambia per quanto riguarda il giudizio storico, costituzionale, politico e - se permettete che, per una volta, usi quest'espressione - anche etico sulle responsabilità dei Savoia e della monarchia rispetto alle vicende che, così puntualmente e così drammaticamente, il collega Fioroni ha ricordato poco fa.
Non è stato il destino a segnare la fine del regime monarchico in questo paese. Vi sono Stati di altissima democrazia - uno per tutti: il Regno Unito - che hanno, tuttora, un sistema monarchico e vi sono numerosi altri paesi europei, di altrettanto altissima democrazia, i quali hanno scelto
di avere un regime monarchico (di monarchia costituzionale, ovviamente). Non è stato un incidente della storia a provocare la fine della monarchia - fortunatamente - nel nostro paese.
Nessuno disconosce i meriti storici di casa Savoia (sia pure con la consapevolezza che la discussione sulle vicende della costruzione dello Stato unitario è ancora aperta nella storiografia), ma non è di questo che stiamo discutendo. Non torniamo ai tempi di Mazzini o di Garibaldi!
Sono in discussione, e rimarranno scolpite perennemente nella storia del nostro paese, le gravissime responsabilità dei Savoia rispetto all'avvento del fascismo, all'epoca del Governo Facta; alla costruzione dello Stato totalitario ed alla totale soppressione delle libertà democratiche; alle infami, scandalose, ignobili e repellenti leggi razziali contro gli ebrei, del 1938 (delle quali il collega Fioroni ha fatto bene a ricordare non solo l'infame portata storica, ma anche quanto già si sapeva e, successivamente, è emerso dettagliatamente per merito del lavoro di indagine svolto dalla Commissione Anselmi, sul quale il collega ha giustamente posto l'accento); all'entrata in guerra al fianco dei nazisti, nella seconda guerra mondiale, aggredendo la Francia, il 10 giugno 1940; alla - uso un termine persino tenue - ingloriosa fuga, dopo l'8 settembre 1943 e alla conseguente dissoluzione dello Stato, fase in cui, come ricorda spesso il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, la possibilità di identificazione con la patria è rimasta in carico a quei militanti, ed anche a quei militari, della Resistenza che seppero mantenere un'identificazione nazionale, ma non nazionalista, patriottica ma non fascista (anzi, antifascista ed antinazista), combattendo contro i nazisti ed i fascisti della Repubblica di Salò.
Tutto ciò (ed altro ancora, poiché ho indicato soltanto gli aspetti salienti) resta scolpito nella storia del nostro paese e nella coscienza del popolo italiano. Poiché le generazioni cambiano, sarà opportuno che se ne torni a parlare, che tutte queste cose vengano rievocate, sul piano della ricostruzione storico-politica ed anche istituzionale. Nessuna delle responsabilità che ho innanzi elencato potrà essere attenuata dalla decisione che questa Camera dei deputati si accinge a prendere, dopo che l'ha già assunta il Senato della Repubblica.
Se c'è un motivo per cui questa decisione, che avremmo potuto prendere già nella scorsa legislatura e che avrebbe potuto trovare la sua conclusione con le procedure dell'articolo 138 (i tempi erano già maturi qualche anno fa), non è stata presa, esso può essere individuato nella grave irresponsabilità del principale discendente maschio di casa Savoia che, mentre noi discutevamo in Parlamento di questi aspetti, irrideva, di fronte a decine di milioni di italiani, in interviste televisive, alla gravità della portata delle leggi razziali. A chi, tra i discendenti di casa Savoia, si lamenti dei tanti anni trascorsi - forse qualcuno più del necessario - rispetto a questa deliberazione parlamentare, io, che ho già votato a favore nella scorsa legislatura, voglio dire: chi è causa del proprio male pianga se stesso; chi ha irriso non alle responsabilità personali ma a quelle storiche della monarchia dei Savoia, chi ha irriso pubblicamente, di fronte al popolo italiano, mentre i Parlamenti di tutta Europa celebravano la giornata di ricordo dell'Olocausto (come ha fatto giustamente anche il Parlamento italiano), quasi alla banalità delle leggi razziali del 1938 (che non sono l'unico capo di imputazione storico nei confronti dei Savoia), ha provocato inevitabilmente un contraccolpo nella coscienza dei cittadini e nelle responsabilità del Parlamento, che ha bloccato nella scorsa legislatura il proseguimento dell'iter di questa proposta di legge.
Noi ricordiamo che il Governo Amato, che ha retto le sorti del paese nella fase finale, nell'ultimo anno della scorsa legislatura, ha comunque cercato di superare quella doverosa impasse parlamentare, rivolgendosi al Consiglio di Stato per ipotizzare un'eventuale - da me non condivisa - interpretazione evolutiva e, quindi, una diversa applicazione del contenuto impeditivo della XIII disposizione. Ma,
opportunamente, l'adunanza generale, che ho già ricordato, del 1o marzo 2001, con il parere n. 153/2001 del Consiglio di Stato, ha sancito, visto che questo parere era stato richiesto dal Governo, che non di disposizione transitoria si tratta, ma di una disposizione finale e di puntuale portata precettiva, la cui abrogazione non può in alcun modo derivare da una attività di interpretazione evolutiva, bensì dall'ordinario procedimento di revisione dettato dall'articolo 138 della Costituzione. E comunque, oggi, non di abrogazione stiamo discutendo.
Nella discussione sulle linee generali ho sentito qualche collega di Alleanza nazionale affermare di essere favorevole a questo testo, che prevederebbe l'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione. Questo collega non ha letto il testo; quello che stiamo discutendo - l'ho già ricordato - è il testo di una legge costituzionale che afferma: «I commi primo e secondo della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione esauriscono i loro effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale». Stiamo discutendo e deliberando non sull'abrogazione del primo e del secondo comma della XIII disposizione, ma sull'esaurimento dei loro effetti a 54 anni e tre mesi e mezzo dalla loro entrata in vigore (quando poi la legge avrà completato il suo iter saranno passati 54 anni e mezzo complessivamente, grosso modo).
Signor Presidente, questa è una materia che, se fosse stata posta al Parlamento come la maggior parte delle proposte di legge erroneamente la proponevano, cioè nei termini dell'abrogazione più volte citata, avrebbe dilacerato le coscienze, avrebbe provocato uno scontro frontale in questa Assemblea e avrebbe registrato il mio voto contrario. Io mi sarei battuto fermamente e duramente perché non passasse un'ipotesi di questo genere.
Abbiamo invece trovato non l'unanimità - ovviamente difficile in una materia così delicata e complessa -, ma una larga convergenza parlamentare su questa proposta di legge costituzionale, che ora scolpisce e lascia scolpiti in Costituzione il primo e il secondo comma della XIII disposizione, a imperitura memoria delle responsabilità di casa Savoia. Ciò è stato possibile grazie ad un atto di maturità politica, di responsabilità democratica, di consapevolezza della forza della nostra democrazia repubblicana, nonché della portata e della forza dell'ultimo articolo della nostra Costituzione (l'articolo 139, che recita «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»; quindi, chi volesse cambiare questo articolo non lo potrebbe fare con le procedure previste dall'articolo 138 della Costituzione, ma piuttosto con un colpo di Stato istituzionale), della maturità democratica del popolo italiano e dell'ineludibilità e incancellabilità del giudizio storico sull'infame responsabilità di Vittorio Emanuele III - perché di questo stiamo parlando - in relazione alle vicende del fascismo, dal primo atto fino alla fuga ingloriosa dell'8 settembre.
Una volta sancita, ricordata, sottolineata - e lo si dovrà fare nei mezzi di informazione e nel dibattito pubblico - questa vicenda storica (con la consapevolezza che nel 2002 possiamo non dimenticare bensì far cessare gli effetti di quella disposizione), forse possiamo accingerci ad esaminare questo testo, augurandoci semplicemente, signor rappresentante del Governo, che nel corso dell'iter di questo disegno di legge, che lei ha seguito con intelligenza e cura, non ci sia qualche altro pronunciamento esterno che ne provochi l'interruzione traumatica, perché questo può sempre succedere, visto il basso livello intellettuale delle persone a cui facciamo riferimento.
Augurandomi, quindi, che ciò non accada un'altra volta, come è avvenuto nella scorsa legislatura, credo che possiamo accingerci proprio ricordando tutto ciò che il collega Fioroni ha rilevato questa mattina, ma al tempo stesso avendo la consapevolezza della nostra forza democratica e della nostra responsabilità istituzionale, ad esaminare questo testo, augurandomi che possa essere approvato a larga maggioranza,
dando così un segno ancora una volta di superiorità della Repubblica rispetto alla casa Savoia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Cogliendo l'occasione del dibattito sul complesso degli emendamenti, credo sia doveroso esprimere alcune brevi riflessioni su questa proposta di modifica della XIII norma transitoria e finale della nostra Costituzione.
Personalmente sono tra coloro che non ritengono che questo dibattito - qualora fosse isolato dai suoi riflessi politici, culturali e storici - abbia carattere prioritario nella vita del nostro Parlamento e nella vita democratica del nostro paese. Credo che, come principio generale, cinquant'anni e oltre di storia siano più che sufficienti anche per dare segni di clemenza alle persone e, quindi, per superare in una prospettiva comune l'effetto drammatico della vicenda della famiglia Savoia e della monarchia, nella vita non solo del nostro paese ma dell'intero continente europeo.
Credo, però, che non possiamo affrontare questo tema come se fosse asettico rispetto al dibattito politico, culturale e storico che da qualche anno si è avviato in Parlamento e fuori di esso.
Vi è stato chi, impropriamente, ha voluto caricare di contenuti politici e storici la modifica della XIII norma transitoria della Costituzione, facendolo, dal proprio punto di vista, in modo legittimo. Altrettanto legittimamente bisogna però dire che qui non è in discussione un principio umanitario e di buona civiltà, principio che peraltro viene invocato per la vicenda della famiglia Savoia mentre non lo è in riferimento a tanti altri casi molto meno gravi per la storia del nostro paese e per quella dell'Europa; signor Presidente, ci troviamo infatti di fronte ad un'operazione storica, politica e culturale: attraverso questa norma si inserisce uno di quei tasselli che già da tempo si sono iniziati a costruire - penso alle lezioni di storia del professor De Felice rispetto alla revisione del ruolo del fascismo nel nostro paese - per i quali, a distanza di cinquant'anni, è bene ridiscutere le responsabilità di tutti, comprese quelle della monarchia e del fascismo, nella vita democratica e nella storia del nostro paese, ed è possibile, nell'ambito di un'idea sbagliata di riconciliazione storica, culturale e politica piegata alle contingenze della quotidianità della nostra vita parlamentare ed attraverso un atto apparentemente umanitario e di clemenza, inserire nuovamente anche il ruolo della monarchia e dei Savoia in un contesto di accettabilità degli avvenimenti di quegli anni.
Credo che, il discendente di casa Savoia nel deridere le leggi razziali, cosa avvenuta alcuni mesi fa, abbia determinato il contenuto politico, dal proprio punto di vista, di quest'operazione parlamentare di riforma costituzionale. Ebbene, quest'episodio non è stato un incidente di percorso (ho ascoltato con attenzione anche le argomentazioni del collega Boato, e proprio il suo ragionamento dovrebbe portarlo a votare contro il presente provvedimento). Non si è trattato, dicevo, di un incidente di percorso, di una parola detta male o riportata in modo inesatto da un giornalista, bensì si è trattato della rivendicazione storica, politica e culturale del ruolo dei Savoia anche in relazione all'approvazione delle leggi razziali, di quelle leggi infami di cui oggi, giustamente, tanto si parla quando si evoca, in riferimento ad altri scenari, la questione dell'antisemitismo.
Ebbene, il discendente di casa Savoia le ha rivendicate e le ha indicate come elemento di continuità politica e culturale che sta dentro il dibattito che porta alla modifica della XIII norma transitoria della nostra Costituzione, dando così una cornice politica a questo gesto.
Sono convinto, e credo che il Parlamento dovrebbe soffermarsi su questo aspetto, come già fece nella scorsa legislatura, prestando maggiore attenzione, che l'umanitarismo e la clemenza poco abbiano a che fare con il significato politico di questa modifica costituzionale. Noi rischiamo,
con un atto parlamentare, di dare forza a chi, nel nostro paese ed in Europa, attraverso una lettura revisionista della storia, cerca di cancellare le responsabilità individuali e collettive, tra cui anche quelle della famiglia Savoia e della monarchia, e cerca di mettere sullo stesso piano storico le responsabilità di chi ha fatto scelte aberranti e quelle di chi, invece, nel nostro paese ed in Europa, si è battuto contro il nazifascismo e per la riconquista di uno spazio di libertà e di democrazia.
Ebbene, abbiamo il dovere di sottrarci a questo disegno anche attraverso il voto contrario a questa modifica costituzionale; abbiamo il dovere di sottrarci a questo disegno perché, al di là di tutti i distinguo di cui possiamo renderci protagonisti nel dibattito parlamentare, quello che rimarrà agli atti come uno dei momenti più rilevanti della vita politico-costituzionale della presente legislatura rischia di essere, appunto, la modifica della XIII norma transitoria della nostra Costituzione.
Francamente, non sono né impaurito né preoccupato (sono ben altre le cose che mi preoccupano e che ci dovrebbero preoccupare) e poco mi importa se i Savoia rientrino fisicamente in Italia o siano in grado o meno di essere leali con la Repubblica o di proporre nuovamente una forma monarchica per il nostro paese. Se il problema fosse quello, ci confronteremmo democraticamente e credo che, in questo senso, le ragioni della forma repubblicana della nostra Costituzione e della nostra democrazia siano ben solide.
Ciò che, invece, mi preoccupa e che in questa discussione mi fa sobbalzare è, da una parte, il significato politico che lo stesso Savoia qualche mese fa con alcune interviste ha voluto dare al suo rientro, addirittura in continuità con l'atto più atroce dal punto di vista etico e culturale, ossia la rivendicazione delle leggi razziali presentate come cosa secondaria quando, invece, hanno segnato un'epoca e i cui effetti si rinvengono ancora oggi nelle crisi del mondo; dall'altra parte, il tentativo di ricostruire una storia che si maschera con la riconciliazione, ma in realtà vuole addirittura ribaltare le responsabilità che ognuno ha avuto in quella fase drammatica della vita del nostro paese.
Queste sono le ragioni per cui non entrerò nel merito dei singoli emendamenti, perché quello che abbiamo davanti non è un problema tecnico. Siamo di fronte ad un problema politico e credo che ad esso sia doveroso rispondere con un «no» alla modifica costituzionale.
I Savoia continuano a stare in buona salute e ne siamo contenti; essi continuano a vivere in buone condizioni economiche e non sono tra coloro che sono esiliati fuori dai confini nazionali e che vivono con particolare dramma la propria condizione. Credo, quindi, che possiamo ben superare il problema umanitario e di coscienza civile, all'interno di una collocazione storica e politica di questa riforma. La collocazione storica e politica non può che essere quella di un diniego nei confronti di questa proposta di riforma costituzionale e, quindi, di un voto contrario su questa operazione che, prima ancora che essere costituzionale, è di carattere politico, culturale e storico (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Santino Adamo Loddo. Ne ha facoltà.
SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, colgo questa occasione per preannunciare il mio voto a favore del rientro dei discendenti di casa Savoia. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per dichiarare che voterò a favore del rientro dei discendenti maschi di casa Savoia, perché ormai non vi sono più le condizioni per il loro esilio; credo che gli oltre cinquant'anni di esilio bastino e avanzino.
Vorrei ricordare che la nostra Repubblica è solida e, inoltre, vorrei ricordare tante illustri personalità come, ad esempio, il sindaco di Santa Teresa di Gallura che, addirittura, andò a ricevere l'esponente di casa Savoia a «metà mare» o anche Giorgio La Malfa che fu, forse, il più accanito sostenitore del non rientro.
Adesso i tempi sono maturi e in tutta Europa vigono trattati come quello di Schengen; pertanto, mi sembra assurdo questo loro esilio.
Inoltre, come sardo, non posso dimenticare che lo scorso anno, quando morì, la regina Maria José di Savoia, per il suo ultimo viaggio, volle l'inno sardo (ma questa è una cosa che mi tocca personalmente). Cerchiamo, quindi, di essere umani; al limite, fanno più danno fuori che non in Italia (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola e preannuncio che, in sede di dichiarazione di voto, interverrà e spiegherà meglio la nostra posizione l'onorevole Russo Spena. Intervengo anche perché, francamente, le affermazioni rese sulla vicenda dei Savoia (a parte quelle di coloro che, meritoriamente, hanno manifestato la loro contrarietà) mi sembrano sconcertanti, a cominciare dall'ultima considerazione sul cosiddetto tasso di umanità.
Onestamente, non mi pare che ci troviamo in condizioni così drammatiche dal punto di vista della qualità della vita di queste persone da poter indulgere sul tasso di umanità. Forse, quel tasso di umanità dovremmo usarlo con più attenzione per quella povera gente che non riesce neanche a sopravvivere. Invece - segno dei tempi, signor Presidente - il tasso di umanità lo si rivolge solo ed esclusivamente verso le teste coronate, magari producendo una vera e propria agiografia dei potenti.
Noi siamo contrari a questa modifica costituzionale con nettezza e con radicalità per una ragione evidentissima: in questo processo di revisione costituzionale, in realtà, si avvia un altro pezzo di revisionismo storico. È evidente che tale revisionismo tende esattamente a giudicare il rapporto tra questa monarchia ed il fascismo. Si tratta del fascismo su cui noi, con la guerra di resistenza, abbiamo prodotto una cesura totale, una rottura democratica; del fascismo che abbiamo voluto cancellare dalla nostra Costituzione. Anzi, la nostra Costituzione nasce esattamente con lo spirito antifascista e nasce nel segno di quella rivoluzione democratica che è stata la guerra di liberazione.
È del tutto evidente che questa monarchia ha avuto rapporti ed è stata totalmente coinvolta con il fascismo e ha avuto un ruolo assolutamente protagonistico nella vicenda della promulgazione delle leggi razziali. È del tutto evidente che anche questa monarchia non aveva e non ha nel suo codice genetico alcun rapporto con la democrazia costituzionale di questo paese: ha dato ripetutamente prova di tale idiosincrasia verso la democrazia di questo paese. Persino nel rapporto con il Mezzogiorno ha avuto un atteggiamento colonizzatore che, forse, non è paragonabile neanche all'atteggiamento tenuto dalla monarchia borbonica. Altro che umanità!
Noi siamo nettamente contrari al rientro dei Savoia in Italia per quello che significa dal punto di vista storico e dal punto di vista della riconciliazione. Vogliamo poter dire che ci sembra ridicolo che la Camera dei deputati discuta di ciò con tanto fervore. Qualcuno, addirittura, fa riferimento al fatto che bisogna circolare liberamente in Europa ed in Italia: certo, potranno circolare liberamente i Savoia, ma non potranno farlo, nel nostro paese, gli immigrati contro i quali, con la vostra legge Bossi-Fini, volete in tutte le maniere costruire fortilizi.
Siamo contrari a quest'idea della circolazione fatta per censo e per classe. Noi siamo contrari al rientro dei Savoia e vogliamo, al contrario, provare a far circolare liberamente, nel nostro paese, chi è sospinto dal bisogno (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il voto che ci accingiamo ad esprimere riguarda un momento di valutazione storico, politico e costituzionale di altissimo rilievo. Non è in
discussione un atteggiamento antistoricamente e pregiudizialmente ostracistico nei confronti di chicchessia. È in discussione, al contrario, una scelta di altissimo valore per la storia repubblicana che, non a caso, viene subordinata, almeno per chi è favorevole agli emendamenti presentati, ad alcune condizioni.
Non è questo il momento per ricordare compiutamente il ruolo storico della casa Savoia nel nostro paese. Si può, forse, appena far cenno all'ambiguità durante il Risorgimento, da Carlo Alberto - il cosiddetto «re tentenna», che diede uno scarso contributo ai moti risorgimentali - all'ambiguo voto di Vittorio Emanuele II, che divenne re d'Italia il 17 marzo 1861, con una continuità tra il Regno di Sardegna e il nuovo Stato, segnalata anche dal nominale re Vittorio Emanuele II, del tutto ambigua ed arbitraria.
Tuttavia, per non dimenticare in quest'aula, sebbene non sia una sede di accademia storica, il ruolo gravissimo della casa Savoia durante il fascismo, si pensi all'incarico conferito il 30 ottobre del 1923 dallo stesso Vittorio Emanuele III a Mussolini, che attendeva a Milano, pronto a fuggire in Svizzera, le conseguenze della marcia su Roma.
La scelta della dinastia per il fascismo fu consapevole e ribadita in ogni atto pubblico fino al 1943. Il sovrano lasciò che il regime eliminasse le istituzioni e le pratiche democraticamente sancite dallo Statuto, dalle elezioni al Parlamento stesso (sostituito, come è noto, nel 1939 da una sedicente Camera dei Fasci), permise a Mussolini di detenere un potere assoluto, senza mai - per interesse prima e anche per viltà durante gli anni della guerra - avvalersi delle proprie prerogative di sovrano.
Non solo, nel 1936 il re si fregiò dell'augusto titolo di imperatore, regalatogli da un'iniziativa, tanto irresponsabile quanto spietata, di Mussolini. Il titolo di imperatore, come è noto, non impedì a Vittorio Emanuele di operare scelte politiche coerenti con quanto fatto fino a quel momento e di firmare, quindi, senza porre obiezioni, nella seconda metà del 1938 i regi decreti che introducevano le leggi razziali.
Lo status di impero, lo sappiamo, fu pagato sul piano internazionale dall'Italia con un avvicinamento alla Germania nazista e il 10 giugno 1940, quando l'Italia entrò in guerra a fianco dei nazisti, dalla corte neanche un sospiro.
Nel 1943 - dopo tre anni di guerra sanguinosa, con gli americani e le forze alleate che si preparavano all'invasione e le bombe che cadevano ogni giorno sul suolo italiano, facendo innumerevoli vittime - il re si accordò con il Gran consiglio del fascismo per trovarsi spalleggiato e giustificato nella decisione di rimettere il mandato a Mussolini: conosciamo tali fatti e le gravissime responsabilità che la casa Savoia reca nella nostra storia patria.
Per tali motivi, abbiamo proposto - non potendo dimenticare il giudizio storico e politico in questa scelta che ci accingiamo a fare senza alcun atteggiamento pregiudiziale - precise condizioni per il superamento del divieto costituzionale al rientro dei Savoia, condizioni che, almeno per chi parla, riteniamo imprescindibili ai fini di un voto favorevole.
Con gli emendamenti al nostro esame, abbiamo proposto che l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale dei membri e dei discendenti di casa Savoia siano subordinati all'attestazione da parte dell'archivio centrale dello Stato di aver ricevuto tutti gli atti ufficiali e di pubblico interesse emessi da Vittorio Emanuele III e da Umberto II o, comunque, dalla real casa e dagli organi dipendenti dal Capo dello Stato.
La memoria storica della Repubblica costituisce un bene prezioso che, in questa occasione, va rispettato dai membri di casa Savoia.
Il rientro deve essere, inoltre, subordinato all'attestazione, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali, di aver ricevuto dagli eredi tutti i reperti archeologici e i beni mobili aventi interesse artistico e appartenenti al territorio
dello Stato italiano, così come i beni appartenenti allo Stato italiano e trasferiti all'estero.
Abbiamo proposto un'altra condizione - che, probabilmente, ha un valore simbolico e che può essere oggetto di una misurata ed equilibrata attuazione attraverso la legge attuativa della disposizione costituzionale che proponiamo -, vale dire quella di subordinare questa nostra decisione al risarcimento, secondo modalità disciplinate con legge della Repubblica, dei danni subiti dalle vittime e dai loro eredi a causa delle promulgazioni dei regi decreti, delle leggi del 1938, delle leggi razziali. Proprio queste ultime hanno prodotto decine di migliaia di vittime in Italia e danni gravissimi al nostro paese.
Si tratta di responsabilità storiche che gravano sulla vita della Repubblica italiana e sui valori di civiltà che, oggi, come e più di allora, alla luce dei conflitti razziali e delle minacce per la democrazia che affliggono il mondo contemporaneo, non possono non essere valori fondanti dei Parlamenti democratici.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. I deputati del gruppo dei Democratici di sinistra voteranno, in larga maggioranza, a favore di questa proposta di legge e faranno ciò non soltanto per mettere un punto ad una vicenda che si trascina da qualche anno, ma convinti che non sussistano più i pericoli antirepubblicani che mossero i costituenti a prevedere che ai membri e ai discendenti di casa Savoia fossero vietati l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale.
La conclusione di questa transizione è, poi, del tutto logica in un'epoca in cui vige il principio e la pratica della libera circolazione delle persone, in Europa e nel mondo. Si tratta di principi affermati solennemente nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ai quali spesso, anche in quest'aula, ci richiamiamo.
Per tale motivo, pur condividendo diversi argomenti evidenziati dal collega Giordano, esprimeremo voto contrario sull'emendamento soppressivo presentato dal gruppo di Rifondazione comunista.
Ma, sia chiaro, noi non consentiremo che questo atto, ispirato ad un elementare buonsenso, venga usato strumentalmente da chicchessia per imbastire operazioni di revisionismo storico, volte a riabilitare proprio chi dalla storia ha ricevuto una condanna non solo politica, ma anche morale.
Ad esempio, nel corso del dibattito al Senato, è stato detto che il giudizio sui Savoia dovrebbe articolarsi in due fasi distinte: quella risorgimentale, positiva, e quella del periodo fascista, negativa. Una distinzione così schematica può essere fuorviante in una corretta analisi storiografica, ma è certo che non si può ignorare il contributo dell'allora casa regnante al moto risorgimentale all'unità d'Italia. Tuttavia, va evidenziato che sono state scritte pagine illuminanti, ad esempio da Antonio Gramsci, sui limiti e sulle contraddizioni che segnarono quel tipo di unificazione nazionale, contraddizioni - ricordate poco fa dal collega Mantini -, che l'Italia si portò dietro per lungo tempo.
Ma, una cosa è certa ed inconfutabile: i Savoia si macchiarono, nel periodo fascista, di colpe gravissime contro la patria e la libertà, fino alla condivisione e alla promulgazione delle leggi razziali. Si trattò della scelta più odiosa e più infame che colpì, nella vita e negli affetti, migliaia di cittadini italiani.
Ma, prima ancora, all'inizio degli anni venti le coscienze democratiche e liberali, coloro che credevano nella dignità dello Stato e delle sue istituzioni, attesero invano che il re fermasse la violenza delle camicie nere. Invece, il re diede l'incarico a Mussolini. E poi, altra speranza delusa: in molti invocarono l'intervento della corona durante la crisi successiva al barbaro omicidio di Giacomo Matteotti. Invece: niente.
Questi fatti non possono essere dimenticati e non si può dimenticare la viltà di chi, dopo aver portato l'Italia in guerra, con l'8 settembre fuggì da Roma, lasciando allo sbando e alla disperazione i suoi stessi
soldati. Ma quale re soldato, collega Buontempo? Si è trattato di un re imboscato, che ha abbandonato a se stessi i suoi soldati e la patria. L'eccidio di Cefalonia è un monito ed una condanna che non si cancella. Questo dramma, queste tragedie sono a fondamento della nostra Repubblica, sono la carne e il sangue delle nostre istituzioni democratiche. Guai a dimenticarlo o, anche soltanto, a sottovalutarlo. E di fronte a tutto questo, è davvero poca cosa il tentativo fatto dal collega Buontempo di riabilitare Umberto II.
Possono rientrare in Italia, dunque, i Savoia, ma proprio e soltanto perché sentiamo oggi la forza della nostra Repubblica. Ma l'Italia deve compiere questo atto con assoluta dignità. Anche per questo abbiamo presentato una serie di emendamenti che pongono il problema della restituzione dei beni appartenenti allo Stato italiano e trasferiti all'estero o quello della consegna all'Archivio centrale dello Stato degli atti ufficiali e di pubblico interesse emessi dalla casa regnante e dagli organi dipendenti dall'allora Capo dello Stato o il tema dei beni di valore artistico ed archeologico.
Sono temi delicati, che riguardano la sovranità nazionale, la sua dignità e la sua memoria. Chiedo, quindi, a tutti colleghi di condividerli. Sono questioni da prendere sul serio, ma che noi non poniamo come condizione per il rientro, perché non vogliamo che vengano snaturate a mero escamotage per ritardare o deludere la scelta che ci viene proposta. Per questo, non voteremo a favore degli emendamenti che pure riguardano temi analoghi, posti come condizione. Noi vogliamo che al momento del rientro avvengano questi atti semplici, concreti e significativi, che contano più di mille parole di fedeltà. Non cerchiamo né rinvii né illusioni. Voteremo a favore della proposta di modifica costituzionale perché essa non va ad abrogare la norma transitoria e non cancella la storia ma esaurisce gli effetti dei suoi primi due commi.
Nessun perdono, quindi, nessuna riconciliazione con la dinastia dei Savoia. Un atto così uno Stato serio lo fa a testa alta, fiero della sua storia migliore, indifferente al revisionismo manicheo, certamente con lo sguardo rivolto al futuro ma con i piedi ben piantati nella sua memoria (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Falanga. Ne ha facoltà.
CIRO FALANGA. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola. Intervengo brevemente per dire che è indubbiamente condivisibile il complesso di ragioni che vedono superate le motivazioni che indussero i nostri padri costituenti ad introdurre nella Costituzione italiana la XIII disposizione. Sono stati, infatti, e si debbono ritenere superati quei principi, quei valori ed anche quelle preoccupazioni antirepubblicane che potevano sconsigliare la presenza degli eredi al trono d'Italia nel nostro paese.
Tuttavia, intervengo per dire anche della assoluta ininfluenza del trattato di Schengen e della irrilevanza del richiamo che ad esso viene fatto nella motivazione che accompagna la relazione del provvedimento di legge all'esame dell'assemblea oggi. Infatti, mi pare indubbio che sia mancata una approfondita indagine sugli effetti relativi ai diritti in capo ai soggetti che noi facciamo rientrare nel nostro paese. Questi signori hanno a stento, con difficoltà e con titubanza finalmente affermato di riconoscere e di ubbidire alla Costituzione italiana; però, giammai hanno pensato di rinunciare ai diritti successori, che hanno delle implicazioni sul piano patrimoniale, direi anche abbastanza significative. Un approfondimento sugli effetti di quei diritti nel nostro paese mi pare sia mancato in questa fase. Pertanto, cosa succederà quando, eventualmente, questi diritti, che sono in contrasto con i principi costituzionali, potranno essere fatti valere da questi signori e, devo dire, anche legittimamente, in mancanza di disposizioni di legge ben precise in ordine ad essi?
Quindi, ecco che questa mancanza di approfondimento e di chiarezza sugli effetti
connessi al provvedimento che si va ad approvare mi induce, in tutta coscienza, ad esprimere un voto che, a mio avviso, non può essere di ordine politico o di indirizzo di partito, ma è un voto che deve venire fuori dalla coscienza di ogni singolo deputato. In questo momento di assoluta confusione e di mancanza, appunto, di chiarezza in ordine alle conseguenze ed agli effetti anche sul piano patrimoniale, relativamente a quei beni che sono pervenuti in proprietà ai Savoia, prima ancora del Regno d'Italia, non posso che preannunciare il mio voto contrario, chiedendo scusa a tutti i miei colleghi della maggioranza.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, intervengo molto brevemente, perché è inutile ripetere in eterno lo stesso dibattito, solo per dire che mi dispiace la divisione della sinistra su questo tema, perché la sinistra dovrebbe avere sempre una posizione libertaria. Siamo in Europa e in Europa, in qualunque paese europeo, chiunque può entrare dovunque. L'Italia ha già un record negativo per i suoi standard di libertà in Europa e lo ha anche presso i tribunali europei: non aggiungiamo altro. Certamente, vi è un giudizio molto negativo sulla casa dei Savoia, ma non è il Parlamento che dà i giudizi storici, bensì gli storici e l'opinione pubblica.
Mi limito a notare una certa ipocrisia: giustamente, per senso dello Stato, per buon senso, non ricordiamo e non polemizziamo sulla tradizione fascista di una parte di nostri deputati, perché vogliamo una normale destra europea. È curioso che passiamo il tempo ad aggredire i Savoia i quali hanno meno responsabilità del fascismo. Vorrei ricordare che Pertini - non so se sia scritto sui libri di storia, ma lo disse a me - raccontò un episodio poco conosciuto: gli inglesi proposero di paracadutare il principe Umberto al nord e di porlo a capo della resistenza; se il principe Umberto avesse avuto il coraggio di farlo, probabilmente la storia d'Italia sarebbe cambiata e oggi non faremmo questa discussione. Oggi compiamo dunque un atto ovvio e dovuto, senza troppa retorica (Applausi).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione sulle proposte emendative presentate.
ERMINIA MAZZONI, Relatore. Signor Presidente, il parere della Commissione è contrario su tutti gli emendamenti. Mi permetto soltanto una precisazione su alcuni di questi, a parte l'emendamento Mascia 1.1, sul quale, essendo soppressivo non aggiungo commenti; infatti, ce ne sono alcuni relativi ad alcune condizioni alle quali si subordina l'ingresso dei Savoia in Italia che pongono condizioni incerte, non verificabili e, tra l'altro, per quanto riguarda i beni dei Savoia, attengono a questioni già ampiamente risolte e, sottolineo, non toccate assolutamente dalla modifica che ci accingiamo a votare perché il terzo comma della XIII disposizione, relativo ai beni di casa Savoia, non viene toccato.
Per quanto riguarda gli emendamenti relativi al risarcimento dei danni, questi ultimi evidenziano chiaramente una posizione giuridica di diritto che forse andava fatta valere qualche anno fa, per non dire di più. Inoltre, se tale posizione giuridica di diritto fosse realmente fondata e non rappresentasse invece il contenuto di un tentativo dilatorio, sicuramente sarebbe stata esercitata negli anni passati attraverso una proposta normativa.
Gli emendamenti sono tutti privi di fondamento e, quindi, si chiede di esprimere sugli stessi un voto contrario.
PRESIDENTE. Il Governo?
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, non si può non prendere atto che, rispetto alle proposte originarie di abrogazione della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione, al Senato - dovendo anche tener conto del parere espresso dal Consiglio di Stato - si è trovata una formula, diciamo così, originale che tuttavia, secondo me, non risolve ancora il vero nodo politico di un forte gesto di rottura - ancorché simbolico - con la dinastia monarchica e le gravi, gravissime responsabilità che quest'ultima ha avuto, dal 1920 in poi, nei confronti dell'Italia e del popolo italiano.
Vi sono emendamenti che, se accolti, potrebbero rappresentare uno di quei segni, ancorché simbolici, di riconoscimento e rottura nei confronti di quelle responsabilità. Secondo me invece, come emerge anche dal dibattito svolto, sia al Senato sia alla Camera, ancora non ci siamo.
Citando a sproposito l'Austria si è sentito dire che altri paesi hanno risolto già da tempo il problema. Ricordo ai colleghi che, tale paese, è intervenuto due volte e successivamente all'esilio dell'ex famiglia imperiale. La prima volta è stato introdotto per i discendenti un obbligo di giuramento di fedeltà alla nuova Costituzione davanti al Consiglio di Stato, secondo una formula predisposta dallo stesso. In una seconda occasione, tali norme sono state appesantite togliendo ai discendenti, ai responsabili e ai collaboratori di quella famiglia imperiale persino pensioni e titoli. Inoltre, con legge dello Stato, si è stabilito che chiunque usi appellare i discendenti da famiglia imperiale con titoli nobiliari è punito con la reclusione e con multe.
Vi sono stati quindi gesti di rottura che ancora, anche in questa formulazione, secondo me, non vi sono.
Si è usato anche il termine «esilio». Voglio ricordare che nel nostro paese, durante il fascismo, vi sono stati, purtroppo, migliaia di esiliati. Nella precedente discussione alla Camera è stato citato il nome di un personaggio conosciuto da tutti per essere stato esiliato: Sandro Pertini. Egli, trascorsi circa 35 anni da quei giorni, venne nominato Presidente della Repubblica italiana. Proprio a testimonianza di un'assenza di acredine o voglia di vendetta, fu proprio l'allora Presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini a proporre una soluzione con riferimento alla norma di cui oggi stiamo parlando.
La risposta che fu fornita dagli eredi maschi di casa Savoia fu, ancora una volta, di irrisione, di scherno, di offesa alla Repubblica italiana e ciò avvenne anche alcuni anni fa mentre discutevamo in questa sede dello stesso argomento, arrivando non solo a gesti di rottura, ma anche a rivendicare continuità nella giustizia di quelle leggi razziali che hanno infangato l'onore dell'Italia.
Sono stati ricordati in questa sede altri precedenti, l'offesa dell'Italia e di quella stessa patria che proprio la dinastia monarchica ha umiliato ed infangato con l'avvento del fascismo, con l'emanazione delle leggi razziali e delle norme sui tribunali speciali che hanno portato all'esilio, alla condanna alla reclusione o alla morte centinaia e centinaia di cittadini italiani, siano essi stati ebrei, cristiani, valdesi, o non credenti.
Non credo che questa formula costituisca un atto che porti ad un gesto di rottura forte con le responsabilità di quella dinastia.
Per tali motivi esprimerò un voto favorevole sull'emendamento soppressivo Mascia 1.1.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 439
Votanti 416
Astenuti 23
Maggioranza 209
Hanno votato sì 35
Hanno votato no 381).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fioroni 1.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 447
Votanti 424
Astenuti 23
Maggioranza 213
Hanno votato sì 41
Hanno votato no 383).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Fioroni 1.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, sarei voluto intervenire precedentemente, ma la mia segnalazione non è stata vista. Ne approfitto adesso per esprimere due brevissime considerazioni sul provvedimento in esame.
Il gruppo della Margherita è favorevole all'abolizione della XIII disposizione transitoria e finale...
MARCO BOATO. Non l'aboliamo!
LINO DUILIO. Comunque, è una decisione ...
PRESIDENTE. Onorevole Boato!
MARCO BOATO. Non la stiamo abolendo!
PRESIDENTE. L'onorevole Boato le ricorda che non si tratta di abrogazione di un articolo della Costituzione, ma di una sospensione dei suoi effetti.
LINO DUILIO. Prendo atto di questa più sofisticata definizione ed, al riguardo, ringrazio l'onorevole Boato. Comunque ciò non cambia il tenore delle affermazioni, molto brevi peraltro, che vorrei svolgere.
GIOVANNI RUSSO SPENA. L'ipocrisia sta a zero, Presidente!
LINO DUILIO. La nostra decisione è relativa alla convinzione che il tempo trascorso è ormai sufficiente a far calare il sipario su una vicenda su cui è stato espresso un giudizio storico; pertanto, non è il caso di soffermarci su responsabilità da rinverdire, perché credo che il giudizio storico sia ormai assolutamente chiaro su quanto è accaduto nel nostro paese.
Al di là della considerazione che attiene al giudizio della storia, oramai consolidato, credo che la questione più importante che ci tranquillizza si riferisca alla maturazione della democrazia, di un processo democratico che ha visto nella forma repubblicana la sua espressione migliore e più alta che porta ad archiviare, oramai, forme di Governo che sono - ripeto - storicamente superate.
Anche questa seconda considerazione riconduce la migliore tutela della democrazia del nostro paese all'arbitro più grande: quello della coscienza civile degli italiani.
Una coscienza civile, se posso dire, che fa passare in secondo piano le affermazioni e taluni comportamenti tenuti, anche di recente, dagli eredi in di questa casa reale; ebbene, se ci dovessimo soffermare su tali aspetti, probabilmente dovremmo arrivare - riprendo quanto detto dall'onorevole Boato - non tanto a parlare di abrogazione, quanto a discutere della necessità di evitare la sospensione. Tuttavia, credo che i cittadini che accolgono gli eredi in Italia, come cittadini tra cittadini - credo si tratti della formula più opportuna riguardo -, siano arrivati ad acclarare
la forza e la superiorità della forma repubblicana che ci consente con grande serenità d'animo di approvare questo provvedimento con il voto favorevole anche del nostro gruppo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, vorrei brevemente spiegare le ragioni per le quali il nostro gruppo non esprime voto favorevole su tale emendamento, come sugli altri presentati dal collega Fioroni o dalla collega Mascia, si badi, non perché essi non investano temi ritenuti giusti. Se i colleghi leggono il fascicolo degli emendamenti, potranno vedere che gli stessi temi, ovvero quelli riguardanti i beni, i documenti o i beni di valore artistico e archeologico, sono riproposti anche in emendamenti presentati dal nostro gruppo, in particolare, con gli emendamenti Leoni 1.14, 1.11, 1.12 e 1.13.
Si tratta di temi, mi permetto di ricordarlo all'onorevole relatrice, niente affatto già risolti. Sono pertanto temi giusti. La differenza risiede nel fatto che gli emendamenti presentati dagli onorevoli Fioroni e Mascia subordinano il rientro dei Savoia all'accoglimento dei contenuti di quelle proposte emendative. Per quale ragione siamo contrari a tale subordinazione? Perché pensiamo che, dopo molte discussioni spesso improprie e che non hanno fatto altro che enfatizzare un tema che meritava minor retorica e meno cronaca rosa, siamo oggi chiamati a pronunciarci per porre un punto a questa nostra vicenda con un sì o con un no.
Personalmente, io che ho espresso, a nome del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, un'opinione favorevole, rispetto profondamente i colleghi che fanno derivare una diversa indicazione di voto da argomentazioni che sento assai vicine e che condivido.
Tuttavia, porre come condizione per il consenso, attraverso questa proposta, i temi contenuti in questi emendamenti, può apparire un escamotage per ritardare o eludere una scelta che va invece compiuta con piena serenità ed a testa alta.
Per questa ragione, ciascuno esprime, e noi l'abbiamo fatto, l'opinione sulla scelta fondamentale e, come ribadiamo nei nostri emendamenti sui quali non potrò intervenire perché ho svolto un intervento sul complesso, con l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale i membri e i discendenti di casa Savoia sono tenuti a compiere una serie di atti. Questa è la ragione per la quale, pur riconoscendo una identità di argomentazioni e condividendo diversi tra gli aspetti proposti attraverso gli emendamenti dei colleghi Fioroni e Mascia, noi esprimeremo voto contrario, riproponendo, in altra forma, gli stessi temi negli emendamenti da noi presentati.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Fioroni 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 456
Votanti 439
Astenuti 17
Maggioranza 220
Hanno votato sì 48
Hanno votato no 391).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Mascia 1.3 e Fioroni 1.4, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 457
Votanti 436
Astenuti 21
Maggioranza 219
Hanno votato sì 45
Hanno votato no 391).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Mascia 1.6 e Fioroni 1.7, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 459
Votanti 438
Astenuti 21
Maggioranza 220
Hanno votato sì 41
Hanno votato no 397).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Mascia 1.8 e Fioroni 1.9, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 466
Votanti 443
Astenuti 23
Maggioranza 222
Hanno votato sì 44
Hanno votato no 399).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Leoni 1.14.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, vorrei dire soltanto che voterò a favore dell'emendamento Leoni 1.14 e di tutti gli altri emendamenti presentati dai colleghi Leoni e Montecchi. Il motivo è che, secondo me, non è assolutamente giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli, ci mancherebbe altro; però non è neanche giusto che i beni di cui sono entrati in possesso i padri ricadano nelle tasche, nei conti correnti o nelle case dei figli! Quindi, questa precisazione, una volta rientrati i Savoia - il che rientra assolutamente nella logica delle cose -, mi sembra indubbiamente logica e di buonsenso. Pertanto, a titolo personale, voterò a favore degli emendamenti Leoni 1.14, 1.11, 1.12 e 1.13.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 1.14, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 464
Votanti 452
Astenuti 12
Maggioranza 227
Hanno votato sì 191
Hanno votato no 261).
Prendo atto che non ha funzionato il dispositivo di voto dell'onorevole Vendola.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 1.11, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 461
Votanti 448
Astenuti 13
Maggioranza 225
Hanno votato sì 176
Hanno votato no 272).
Prendo atto che non ha funzionato il dispositivo di voto dell'onorevole Vendola.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 1.12, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 462
Votanti 454
Astenuti 8
Maggioranza 228
Hanno votato sì 172
Hanno votato no 282).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 1.13, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 460
Votanti 451
Astenuti 9
Maggioranza 226
Hanno votato sì 164
Hanno votato no 287).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 1.10.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, mi scusi, mi riferisco agli emendamenti precedenti, semplicemente per una battuta di carattere storico: se è vero che gli eredi di casa Savoia hanno trattenuto dei beni propri, è altrettanto vero però che, nell'immediatezza del giugno del 1946, hanno restituito allo Stato italiano la gran parte dei propri beni, compresa anche una quantità di beni personali che sono stati donati allo Stato. Cito per tutti, da piemontese, il Museo egizio di Torino.
FRANCESCO GIORDANO. Che sforzo, ragazzi (Commenti dei deputati di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 1.10, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 466
Votanti 447
Astenuti 19
Maggioranza 224
Hanno votato sì 54
Hanno votato no 393).
Avverto che, consistendo la proposta di legge costituzionale in un articolo unico, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del regolamento.
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