Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 40 dell'8/10/2001
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 1456)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Falsitta.

VITTORIO EMANUELE FALSITTA, Relatore. Signor Presidente, la relazione che mi accingo a svolgere è alquanto


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corposa ed abbastanza dettagliata; pertanto farò una rapida sintesi degli aspetti più salienti.
Il provvedimento che la Camera si accinge ad approvare assume un rilievo primario perché diretto a tradurre normativamente le indicazioni contenute nel documento di programmazione economico finanziaria, con particolare riferimento alle disposizioni che il Governo ha inteso dettare per assicurare nel breve e medio periodo una consistente ripresa produttiva.
Si tratta di un'esigenza generalmente condivisa, che ha assunto ancora maggiore urgenza in relazione ai gravissimi atti di terrorismo internazionale, che presentano anche dirette ripercussioni sull'economia internazionale.
L'ampio consenso che si registra sul provvedimento è confermato dalla circostanza che tutte le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso parere favorevole. In alcuni casi, i pareri contengono osservazioni e condizioni le quali, senza mettere in alcun modo in discussione l'impianto del provvedimento, appaiono volte a migliorare la formulazione del testo, assicurare una maggiore efficacia alle norme giuridiche o garantire un più chiaro ambito applicativo. In due casi in particolare - quelli dei pareri resi dalla Commissione attività produttive, commercio e turismo e dal Comitato per la legislazione - sono state poste condizioni: esse saranno valutate con profonda attenzione. Tuttavia, prima di avviare la discussione generale in aula, valga ricordare nuovamente che il varo del provvedimento così come oggi appare - dunque, non toccato da modifiche migliorative - è l'effetto di una precisa volontà: privilegiare la rapida approvazione della legge e dare immediate risposte, piuttosto che procrastinare i lavori di Commissione, per cercare di ottenere il migliore testo normativo possibile. Naturalmente, la Commissione, d'intesa con il Governo, ha ritenuto che i possibili miglioramenti del testo attuale potranno essere presi in considerazione in occasione di un prossimo provvedimento legislativo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 15,10)

VITTORIO EMANUELE FALSITTA, Relatore. Ed ecco, più in particolare, le ragioni di questa volontà: il bene per il nostro Stato, oggi, ovvero in un momento in cui gli eventi internazionali portano a situazioni di precarietà, soprattutto nell'economia, impone un'inversione di tendenza. Si è convinti che la rapida approvazione del testo che viene presentato sia capace di fronteggiare queste situazioni e ridurre i rischi di recesso o ristagno.
Vengo ora all'esame specifico dei diversi capi, in particolare quello relativo all'emersione dell'economia sommersa. Per quanto concerne la regolarizzazione del sommerso per gli anni pregressi, il congegno escogitato risulta modellato in modo razionale in ogni sua parte e, perciò, perfettamente funzionale allo scopo che, con esso, si vuole conseguire. I prelievi previsti sono assai «miti» e i benefici a cui essi danno ingresso, cospicui. Qualche dubbio suscita il sistema proposto per la dichiarazione delle irregolarità dei periodi di imposta a venire, posto che esso è legato ad un fattore (il maggior reddito) incerto nell'an e nel quantum, ossia indipendente dalla scelta di autoregolazione adottata dall'imprenditore. Occorrerà valutare l'opportunità di introdurre in un successivo provvedimento alcune correzioni, per non fare «inceppare» il meccanismo riferito agli esercizi futuri, correlando la spettanza del beneficio alla presenza, tout court, di un reddito imponibile e non già, come è nel testo attuale, ai maggiori imponibili.
Per quanto riguarda la cosiddetta legge Tremonti-bis, l'intervento agisce su uno sfondo su cui vi sono già discipline speciali di agevolazione sull'imposizione reddituale. Quanto a DIT e super DIT - le quali, appunto, portano alcune di quelle discipline che attraverso l'agevolazione incentivano l'investimento - si osserva che esse, pur «avvicinabili», sono in realtà profondamente diverse dalla legge Tremonti. Le ragioni che stanno alla base di quei provvedimenti partono dall'assioma che è da premiare chi fa investimenti con


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capitali propri; solo chi versa in siffatta situazione è virtuoso. Perciò l'investimento è agganciato ad un doppio parametro: la crescita del capitale e la crescita dell'investimento. La parte di nuovo investimento che non trova copertura in nuovo capitale proprio non merita l'agevolazione.
Questo meccanismo ha finito per essere un privilegio di pochi grandi o medi imprenditori, in grado di utilizzare strumenti sofisticati per manovrare a piacimento il capitale proprio, modificandolo quantitativamente a seconda delle necessità. Da qui l'ulteriore effetto perverso della sperequazione nell'applicazione delle imposte reddituali. Il nuovo strumento, per contro, ha una platea di potenziali fruitori enormemente più vasta ed è, nel suo congegno applicativo, semplicissimo. Esso può essere utilizzato da ogni produttore. Condizione necessaria e sufficiente per l'utilizzo è che sia stato effettuato un investimento strumentale all'attività produttiva, comparativamente di una consistenza maggiore di quella che si può considerare abituale per ogni specifica impresa.
La vastità applicativa è fortemente potenziata dalla regola che esclude dalla media del quinquennio il periodo d'imposta in cui l'investimento è stato maggiore. Per ciò è lecito prevedere che qualsiasi investimento in nuovi impianti finirà per dare diritto all'agevolazione. Un altro aspetto incentivante che merita attenzione consiste nell'elargizione di esso anche ai lavoratori autonomi.
Per quanto riguarda, invece, la soppressione dell'imposta sulle successioni, va ricordato che, anteriormente alla riforma recata dal collegato 2000, l'imposta successoria sull'asse globale era un caso di scuola di contraddizione eclatante tra mezzo e fine, fra obiettivo perseguito e risultato raggiunto, tra il volere e il fare. L'imposta successoria (sull'asse globale) era nata come imposta patrimoniale a cadenza non annuale ma saltuaria. Per ciò, a differenza della patrimoniale annuale, normalmente ad aliquota proporzionale, essa era connotata da una progressività aspra e quasi feroce. L'evento causativo dell'intervento della leva fiscale era la morte della persona fisica e l'oggetto del prelievo l'intero patrimonio relitto. L'aliquota era - come detto - progressiva ma la progressività restava correlata all'ammontare del patrimonio e non alle consistenze delle quote dei singoli eredi, misuratrici della capacità contributiva di costoro. L'imposta avrebbe dovuto falcidiare pesantemente con la sua forbice progressiva i patrimoni dei capitalisti ed imprenditori più noti e importanti d'Italia. Ciò non è accaduto mai per l'incidenza ostativa, separatamente o congiuntamente, dei seguenti due fattori: in primo luogo, tramite «esterovestizioni», intestazioni fittizie e fiduciarie, sofisticate combinazioni giuridiche e lo spregiudicato impiego dello strumento societario, i titolari dei patrimoni più cospicui sono riusciti sempre a sfuggire al tributo; in secondo luogo, la ricchezza ha via via perso il connotato «fisicistico» e progressivamente si è «globalizzata» e «virtualizzata» rendendo quanto mai agevole la sua collocazione fuori dagli spazi costituenti il naturale campo di applicazione degli strumenti tipici della fiscalità nazionale.
L'imposta successoria è divenuta, in tal modo, regressiva, ossia iniqua. L'imposta, nata per i grandi patrimoni, ha colpito solo i piccoli patrimoni. Essa, inoltre, è stata responsabile della grande esportazione di capitali e di una sorta di inquinamento della vita giuridica facendo proliferare operazioni fittizie di ogni tipo.
L'intervento effettuato con il collegato 2000 ha ridotto i difetti più vistosi di questo tributo, ma ha rinunciato ad imboccare coraggiosamente la strada della totale soppressione. La totale soppressione è ormai quasi un passo necessitato e ogni titubanza in proposito va abbandonata. La perdita di gettito che ne deriva è compensata egregiamente dal risparmio di risorse amministrative e professionali liberate.
In conclusione, per le ragioni esposte, ribadisco la valutazione favorevole sul disegno di legge in esame, auspicandone una sollecita approvazione da parte dell'Assemblea.


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PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

DANIELE MOLGORA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il provvedimento che sottoponiamo all'esame dell'Assemblea era stato, ovviamente, concepito in situazioni diverse di economia mondiale. Tuttavia, riteniamo che abbia una grande utilità; esso introduce un meccanismo di facile conteggio - così come ha dichiarato il relatore - al fine di favorire gli investimenti e migliorare la nostra economia.
Conosciamo questa norma come la «prima Tremonti», che è stata di larga applicazione e di largo uso. Riteniamo questo intervento sia importante per le nostre imprese e la nostra economia.
Per ciò che riguarda le questioni sollevate sul problema del sommerso, sappiamo che le esigenze di modifica e di miglioramento del quadro normativo purtroppo, non vengono prese in considerazione nel provvedimento al nostro esame per motivi di urgenza: l'urgenza dell'economia prevede la determinazione di tempi certi agli imprenditori che intendono investire, circa gli interventi sulla detassazione degli utili reinvestiti.
Il miglioramento della legge avrebbe fatto a pugni con la necessità di approvarlo con urgenza. Ciò non vuol dire che il Governo non abbia preso o non voglia prendere in considerazione la possibilità di apportare miglioramenti; anzi, esso chiede che miglioramenti vengano apportati attraverso l'utilizzazione di veicoli legislativi che, successivamente, la Camera stessa individuerà. Sulla questione del sommerso, dunque, si tratterà di individuare tali veicoli e di inserire in essi i miglioramenti concordati con le parti sociali o che la Camera stessa riterrà di introdurre. Il Governo è ben conscio del fatto che questo meccanismo crea qualche complicazione, ma conosce bene anche le esigenze dell'economia, soprattutto nell'attuale situazione internazionale. Questo per quanto riguarda i due argomenti principali: la cosiddetta Tremonti e l'emersione del sommerso (cosiddetto lavoro nero). Il Governo sa bene, altresì, che gli interventi che si propone di realizzare vanno nella direzione di agevolare e di migliorare la condizione soprattutto dei lavoratori, ai quali vuole dare la possibilità di avere un futuro anche previdenziale.
Per quanto riguarda gli altri articoli del disegno di legge, vi sono altri interventi che noi riteniamo comunque importanti, ad esempio, per quanto riguarda i brevetti, quello di coinvolgere l'inventore, sotto l'aspetto della titolarità dei conseguenti diritti oppure quelli che riguardano la semplificazione; a tale proposito, ricordiamo che le imprese non hanno tanto il problema di non voler pagare ma quello di assolvere difficoltosi adempimenti amministrativi e fiscali. Noi vogliamo semplificare tali adempimenti, sappiamo che il contribuente ha il dovere di versare le imposte; ma, allo stesso modo, noi abbiamo il dovere di non rendere difficile la vita, sul piano amministrativo e contabile, alle imprese medesime ed a tutti coloro che operano nel settore. In questa direzione vanno interventi importanti come la soppressione dell'obbligo di vidimare e bollare i registri contabili: questa è sicuramente una novità di grande importanza - pure fino ad oggi non ancora introdotta - ed è diretta conseguenza del fatto che ci sono ormai procedure meccanizzate, versamenti mensili, la procedura degli F24, eccetera.
Sebbene sia stata criticata, riteniamo che anche la soppressione dell'imposta di successione faccia parte di un quadro di semplificazione e di riduzione del numero delle imposte; inoltre, si tratta di una decisione che andava presa in tempi brevi, soprattutto perché si tratta di un'imposta che non presenta pericoli speculativi, nel senso che nessuno muore per evitare di pagare le imposte.
Riteniamo si tratti di un'imposta particolarmente iniqua, soprattutto quando i patrimoni rimangono all'interno della famiglia. Si era già fatto qualcosa in passato; noi andiamo avanti sulla stessa strada ritenendo che sia utile proseguire in direzione della semplificazione e dell'equità.


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Mi riservo di fare ulteriori considerazioni in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LEO. Signor Presidente, il provvedimento che stiamo esaminando si incentra, come hanno detto il relatore ed il rappresentante del Governo, sullo sviluppo, ossia ha come obiettivo sviluppare ed incentivare l'economia. Si tratta di un provvedimento che si inserisce in un mosaico più ampio rappresentato dal provvedimento che è attualmente all'esame della Commissione finanze: mi riferisco al provvedimento sul rimpatrio dei capitali dall'estero e ad altri provvedimenti che saranno sottoposti al nostro esame, come la finanziaria ed il cosiddetto provvedimento collegato, attraverso il quale, mediante deleghe da conferire al Governo, sarà rivisto l'intero scenario della tassazione delle imprese, dell'IVA e saranno adottate altre misure.
I punti principali di questo provvedimento, come è stato sottolineato sia dal relatore sia dal rappresentante del Governo, sono costituiti dall'emersione del sommerso, dalla Tremonti-bis, dalle semplificazioni e dalla eliminazione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni.
Per quanto riguarda l'emersione del sommerso, non può che salutarsi con favore una misura volta a far emergere il lavoro nero, che in tanti comparti e in tanti settori del nostro sistema imprenditoriale è ben visibile. Già il relatore e il rappresentante del Governo hanno evidenziato che una serie di misure potranno essere introdotte in un successivo provvedimento. Mi riferisco, oltre a quello che ricordava prima l'onorevole Falsitta, alla esatta individuazione dell'incremento sul quale occorre applicare il meccanismo di imposta sostitutiva; è necessario definire se l'incremento è solo incremento di reddito imponibile oppure un altro tipo di incremento. È bene chiarire che l'incremento è solo quello di reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi, perché è verosimile - questo meccanismo viene a configurarsi di frequente - che la base imponibile del reddito si diversifica dalla base imponibile dell'IRAP; quindi, contestualità tra l'uno e l'altro assetto ci può essere sino a corrispondenza dello stesso importo. Se ci sono un imponibile del reddito di 100 lire e un imponibile dell'IRAP di 150 lire, l'imposta sostitutiva che troverà applicazione su questo imponibile è quella sulle 100 lire, l'eccedenza (50 lire) di IRAP dovrà essere assoggettata a tassazione nei modi ordinari.
Un altro punto sul quale vorrei soffermarmi, sempre con riferimento all'emersione del sommerso, è rappresentato dalla annualità 2001. Si tratta di un punto di estrema importanza, perché nell'annualità 2001, che è l'anno di riferimento per avvalersi del meccanismo applicativo, si assume come base l'imponibile sia per i redditi sia per l'IRAP; dovendosi però presentare la dichiarazione di emersione entro novembre, è verosimile che si debba pensare a qualche assestamento per quanto riguarda l'imposta del valore aggiunto. Infatti, nel corso dell'anno è stata posta in essere una serie di operazioni, assoggettabili a tassazione ai fini dell'IVA, che devono in qualche modo essere regolate; mi riferisco anche alle ritenute alla fonte, visto che si presenta la dichiarazione di emersione entro il 30 novembre. Allora, è assolutamente necessario che sulla mancata effettuazione delle ritenute vi sia una sorta di sanatoria per quanto attiene agli effetti sanzionatori. Ma con questi lievi ritocchi, che potranno essere apportati anche in un momento successivo - come ricordava il rappresentante del Governo - il provvedimento sostanzialmente funziona, dà un rilancio all'economia e assicura l'emersione del sommerso.
Vorrei aggiungere un'altra considerazione che, a mio modo di vedere, è importante. Bisognerà immaginare qualcosa per le imprese agricole, perché anche queste, da un punto di vista soggettivo, possono essere destinatarie - e lo sono - di questa normativa. Purtroppo, per il meccanismo applicativo della normativa sul sommerso, queste imprese non possono beneficiare dell'agevolazione. Perché?


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Perché il reddito da prendere a riferimento - il reddito agrario - è un reddito catastale che non varia nel corso del tempo; quindi, la soluzione che si potrebbe adottare è di assumere come base di riferimento dell'agevolazione l'incremento di imponibile ai fini dell'IRAP; su quell'incremento si potrebbe applicare l'aliquota IRAP ridotta del 50 per cento. Ciò consentirebbe anche alle imprese agricole, che soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia si avvalgono di lavoro nero, di beneficiare di questo provvedimento.
Relativamente alla Tremonti-bis - l'altro caposaldo del nostro provvedimento - va ricordato proprio il diverso approccio ideologico-economico di questo provvedimento rispetto ai precedenti (la legge Visco, la DIT e via dicendo). La Tremonti-bis è una misura già collaudata, già adottata nel 1994 con un ottimo successo, già bene interpretata dall'amministrazione finanziaria e quindi agevole, anche adesso, nell'applicazione, che capovolge un po' l'impostazione di agevolazione alle imprese introdotta nella passata legislatura, quando le agevolazioni alle imprese erano costruite con un finanziamento che doveva essere effettuato a cura della stessa impresa, in particolare dai soci: i soci dovevano prima capitalizzare la società e, attraverso la capitalizzazione, la società doveva acquisire beni di investimento. Questo è il meccanismo agevolativo della legge Visco, che contrasta, ovviamente, con quello che è il fisiologico funzionamento delle imprese e, soprattutto, con la realtà obiettiva delle imprese del nostro paese; sappiamo che molte imprese - anche se l'auspicio è quello che si capitalizzino - purtroppo, non per loro colpa, non sono ben capitalizzate. Uno dei problemi sicuramente più evidente è rappresentato dal fatto che imprese che conseguono ricavi hanno difficoltà, dal punto di vista economico e fisiologico, a monetizzarli, in quanto le imprese ricevono i corrispettivi finanziari per il conseguimento dei ricavi a tempo data. Basti pensare alle imprese che operano con gli enti pubblici: un'impresa che lavora per conto di una ASL fa una cessione, fa una prestazione, ma viene pagata a distanza di mesi, quindi questa impresa, ovviamente, deve fare ricorso al sistema creditizio, si indebita e se si indebita non può assolutamente fruire della normativa agevolativa apprestata dal precedente governo, non può, cioè, fruire né della legge Visco né della DIT, in quanto entrambe queste misure si incentrano sulla capitalizzazione. Qui capitalizzazione non c'è, quindi non c'è vantaggio.
Un ulteriore aspetto è che queste imprese sono penalizzate anche ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, in quanto, come è ben noto a tutti, questo tributo rende indeducibili gli oneri finanziari e gli interessi passivi. La logica di fondo della Tremonti-bis, invece, è che l'investimento si può fare con qualsiasi mezzo, vale a dire con capitale proprio (capitale di rischio) oppure capitale di debito. Tuttavia, la Tremonti-bis, al pari della legge Visco, fa in modo che una volta realizzata l'agevolazione questa non vada poi stornata a vantaggio dei soci prevedendo che nel momento in cui l'utile che ha formato oggetto di detassazione viene ad essere distribuito ai soci non dà loro diritto di fruire del cosiddetto credito di imposta. La differenza tra la legge Visco, che obbliga a capitalizzare l'impresa e quindi a fare investimenti con capitale di rischio, e la Tremonti-bis sta proprio in questo: la Tremonti-bis consente all'imprenditore di fare l'investimento con qualsiasi mezzo finanziario (capitale proprio, di rischio o capitale di debito) ma una volta fatto l'investimento in beni strumentali, l'agevolazione connessa alla mancata tassazione dell'utile non deve poi essere restituita al socio, in quanto, nel momento in cui questo utile non tassato viene attribuito al socio, non consentendo il diritto al cosiddetto credito di imposta sui dividendi, comporta una penalizzazione. Con la Tremonti-bis, dunque, l'investimento è premiato se, ed in quanto, resta nell'azienda e non viene distribuito ai soci. In questo senso il provvedimento rappresenta sicuramente un passo in avanti.
L'architettura del provvedimento è ben conosciuta e dunque l'applicazione non sarà faticosa per gli imprenditori, anche se


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dobbiamo evidenziare - il Governo è stato sensibile su questo aspetto - la necessità dell'introduzione di eventuali meccanismi correttivi. E già stato detto che, probabilmente con una circolare di prossima emanazione, verranno corretti gli aspetti un po' più farraginosi di questa disciplina: mi riferisco alla problematica delle auto aziendali e ad una problematica di estremo interesse che rappresenta l'aspetto normativo innovativo della Tremonti-bis rispetto alla Tremonti, vale a dire le spese per formazione ed aggiornamento del personale. Si dovrà dire, ma potrà ben farlo una circolare, che per queste spese di formazione e di aggiornamento si assume come base di riferimento la stessa spesa sostenuta negli anni 2001-2002, senza procedere al raffronto con la media delle spese di formazione e aggiornamento del quinquennio precedente. Meccanismo, questo, che, invece, è la base di riferimento della legge Tremonti.
Intervenire quindi in via amministrativa sulla disciplina dell'aggiornamento e della formazione per dire chiaramente che le spese in tale materia sono deducibili nell'anno senza effettuare raffronti con il quinquennio precedente; in un prossimo intervento - nell'ambito della legge finanziaria o dove sarà ritenuto più idoneo - si potrà poi pensare di apportare correzioni alla disciplina riguardante le auto aziendali, altro settore nevralgico e fondamentale. Oggi si deve dare chiarezza e certezza agli imprenditori sulle modalità di detassazione delle auto aziendali. La legge Tremonti è estremamente appetibile per molte imprese per quanto riguarda questo specifico segmento economico; se si acquistano auto aziendali, bisogna infatti dire in che misura queste formano oggetto di detassazione. Oggi ci troviamo a fare i conti con una normativa farraginosa, complessa, quale l'articolo 121-bis del testo unico sulle imposte sui redditi, che consente la deduzione nel rispetto di determinati parametri (mi riferisco ai famosi 35 milioni «ridotti» al 50 per cento). Si tratterà di rendere più duttile, più comprensibile, questo meccanismo e, attraverso un intervento normativo, dire che la deduzione spetta in misura pari al 50 per cento senza il tetto dei 35 milioni, misura sicuramente elevabile all'80 per cento per gli agenti e rappresentanti di commercio. Possiamo comunque dire che, anche in tal senso, la Tremonti rappresenta sicuramente un tassello fondamentale per il rilancio dell'economia e per sbloccare quegli investimenti che, da inizio anno, non si sono avuti.
Un ulteriore aspetto sul quale soffermarsi è la conciliabilità della disciplina della legge Tremonti con la disciplina della legge Visco e della DIT; anche in tal caso, un coordinamento, una razionalizzazione di questi aspetti potrà essere di giovamento al funzionamento del sistema.
Per quanto concerne la semplificazione tributaria, già il sottosegretario ha ricordato che in tale provvedimento molto si è fatto e che seguirà un regolamento attraverso il quale ulteriore semplificazioni verranno introdotte; a questi, che sono provvedimenti che contengono norme di semplificazione formale (ad esempio, nei contenuti della dichiarazione, nella contabilità e via dicendo), si devono accompagnare misure di semplificazione negli imponibili e di qualificazione dei redditi. Mi riferisco, per esempio, all'assetto delle collaborazioni coordinate e continuative: anche se l'argomento non è stato toccato nella legge finanziaria, spero che in sede di emendamenti alla finanziaria stessa si dia finalmente un assetto stabile, univoco e chiaro alla disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, riportandoli nell'alveo naturale dei redditi di lavoro autonomo. Alla stesso modo, ritengo sia necessario razionalizzare alcune spese che sono di difficile gestione, quali le spese relative alle auto aziendali e le spese di pubblicità e di rappresentanza. Un primo passo importante viene comunque compiuto nel settore degli adempimenti contabili, e dunque è da salutare con estremo favore l'intervento contenuto in questo provvedimento.
L'ultima questione riguarda l'imposta sulle successioni e donazioni: sono sacrosante le parole prima pronunciata dal collega Falsitta concernenti la possibilità,


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attraverso meccanismi di esterovestizioni e di creazione di trust all'estero, di bypassare il meccanismo dell'imposta sulle successioni e donazioni. Dobbiamo quindi prendere atto che i grandi patrimoni sfuggono da questa imposta attraverso meccanismi abbastanza articolati di costituzione di trust o altre strutture all'estero per evitare il problema impositivo. A ciò si aggiunga il dispendio di risorse che l'amministrazione finanziaria deve affrontare, perché la gestione di questo tributo comporta la presentazione della dichiarazione, la liquidazione dell'imposta principale ed un'attività di accertamento. Comparando quindi i costi ed i benefici, tutto sommato la soluzione più ragionevole e saggia risulta quella di sopprimere dal nostro ordinamento un tributo che, anche in termini di recupero e di aspetti elusivi, non dava sicuramente consistenti soddisfazioni all'amministrazione finanziaria.
Ciò prelude a quello che sarà l'assetto generale dell'ordinamento tributario. Lo attendiamo, perché le misure adottate presentano natura congiunturale, ma la vera svolta si realizzerà quando si darà un assetto strutturale e definitivo al sistema tributario che proceda nel senso delle semplificazioni, dell'eliminazione di molti tributi e di creare veramente un rapporto leale, certo e concreto tra amministrazione finanziaria e contribuenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, lascio ai colleghi che si occuperanno specificamente del tema dell'emersione un commento puntuale sulla scelta del Governo e della maggioranza di non apportare al provvedimento le modifiche concordate con le forze sociali.
Mi limito a sottolineare che in questo modo si anticipano decisioni molto gravi in merito alla concertazione, anche a scapito della certezza delle norme e, quindi, della loro stessa celerità ed efficacia.
Innanzitutto, mi occuperò, in particolare, del provvedimento Tremonti-bis.
Abbiamo sentito alcune analisi sul reale bisogno delle nostre imprese. Ricordo che sono stati recentemente divulgati i risultati di un'indagine molto approfondita sulla competitività delle imprese italiane, da cui emerge con chiarezza il problema centrale della struttura produttiva del nostro paese: la crescita dimensionale.
Circa il 40 per cento dell'occupazione manifatturiera è impiegato in piccole imprese con meno di 20 addetti, che producono, grosso modo, il 25 per cento del valore aggiunto di tale comparto.
Rispetto agli altri paesi europei, abbiamo il più ampio divario di produttività del lavoro fra imprese piccole e medio-grandi, con una produttività del lavoro delle piccole imprese pari a meno del 49 per cento di quella delle medio-grandi.
A mio avviso, il problema centrale per l'Italia non è una generica crescita di capacità produttiva ma, sostanzialmente, un recupero di produttività. Vi è, in realtà, un potenziale serbatoio di crescita, in termini di capacità, costituito dal Mezzogiorno, mentre ormai si sono raggiunti limiti evidenti nelle aree del nord. Si tratta di limiti legati alla disponibilità di manodopera, alla congestione del traffico e alla carenza di territorio che, oggettivamente, il provvedimento in esame troverà di fronte a sé.
Siamo sbilanciati nei settori tradizionali o maturi, mentre dovremmo crescere nei settori avanzati o ad alto contenuto di innovazione. Allora, ciò di cui il tessuto produttivo italiano ha realmente bisogno è uno stimolo che sappia essere selettivo in termini territoriali, settoriali e dimensionali.
L'intervento svolto dal rappresentante del Governo sembra non condividere tali considerazioni. L'intervento del relatore e quello del collega Leo hanno centrato l'analisi su altri elementi di cui non voglio negare l'importanza per l'impresa. Tuttavia, ciò che aveva guidato l'azione di Governo del centrosinistra era fondamentalmente la convinzione che avessimo bisogno di crescere, di far crescere le nostre imprese e di farlo in maniera selettiva.


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Invece, il provvedimento Tremonti-bis non favorisce né la crescita delle imprese né la loro capitalizzazione (anzi, con l'abolizione della DIT, crea qualche problema al riguardo), non spinge adeguatamente verso l'innovazione e la ricerca e diminuisce in termini comparativi l'incentivo ad investire al sud. Tale provvedimento non presenta, a mio giudizio, le caratteristiche di un intervento strutturale di politica industriale e, quindi, di rilancio dell'economia, ma piuttosto sembra una scorciatoia per ridurre il carico fiscale gravante su qualche categoria (cosa non disprezzabile: in proposito, voglio essere chiaro).
La sua maggiore virtù - si dice - è la semplicità. Tuttavia, molto più semplice e strutturale sarebbe stato avviarsi sulla strada della riduzione progressiva delle aliquote IRPEG anziché ripetere il meccanismo della «Tremonti 1». A mio avviso questa diversità è sostanziale: non si può contrabbandare per un intervento di reinvestimento degli utili un'operazione, pur comprensibile, di abbassamento del carico fiscale.
All'interno della logica stessa scelta dal provvedimento, vorrei segnalare alcuni punti. Il primo riguarda la reale capacità di innescare un ciclo di crescita su cui si basa tutto il provvedimento: è la ragione che ne fa anche il motore degli interventi della legge finanziaria. Ricordo che la «Tremonti 1» - chiamiamola così - si è collocata in un punto finale di caduta degli investimenti e ne ha accompagnato la fase di risalita. Oggi siamo alla fine di un ciclo molto forte di investimenti con punte superiori ai 430 mila miliardi annui. Inoltre, le imprese dovranno misurarsi con un clima di contrazione della domanda che non favorisce certo gli investimenti. Mi domando: non sarebbe stato meglio concentrare gli interventi per il 2002 sul sostegno della domanda?
Veniamo al tema della selettività. Per quanto riguarda la selettività dimensionale, si è detto più volte che la DIT è stata appannaggio delle grandi imprese (non condivido totalmente questa analisi, ma ha, comunque, un fondo di realtà). Allora, perché non diversificare gli strumenti lasciando la DIT e finalizzando la Tremonti agli investimenti innovativi delle piccole e medie imprese? Perché non mantenere un differenziale a favore del Mezzogiorno consentendo il cumulo con gli incentivi precedenti? Perché, sempre finalizzato alle piccole imprese, non inserire a fianco delle spese per la formazione quelle per la ricerca? Forse, se non fosse stato accecato dall'amore per la sua creatura e dall'odio preconcetto per l'azione dei governi di centrosinistra, il ministro Tremonti avrebbe potuto accettare alcuni suggerimenti (che non venivano solo dalla minoranza ma anche da molte forze sociali) e rendere questo provvedimento più efficace e più rispondente ai bisogni della nostra economia. Auguriamoci, comunque, che il cavallo beva ma che non si ritrovi, tra due anni, più lento e appesantito di prima, come è successo già alla fine del ciclo della cosiddetta «Tremonti 1».
Vorrei svolgere due rapide considerazioni sulla questione della titolarità dei diritti brevettuali e sulle successioni, sull'articolo 7. Uno dei pilastri della riforma dell'università, che non vedo messo in discussione nemmeno dal nuovo ministro, è l'autonomia (credo che il collega Nicola Rossi tornerà su questo punto più ampiamente di me). Affinché l'autonomia sia reale abbiamo bisogno che si traduca non solo nella concorrenza sul mercato degli studenti ma, soprattutto, nella capacità delle nostre università di allacciare più stretti rapporti con le imprese. Mi chiedo come si possa prevedere che il 50 per cento dei proventi di un'invenzione nata in ambito universitario vada al singolo inventore e pensare di non rendere difficile, per le imprese, la decisione di avvalersi della ricerca universitaria. Si tratta di un tema che, a mio avviso, avrebbe necessità di ulteriori approfondimenti. Capisco che la Silicon Valley e lo spin off universitario americano abbiano presa su molti di noi, ma siamo in una realtà decisamente diversa e abbiamo bisogno prima di tutto di creare un clima di fiducia diverso fra imprese e università.
Da ultimo vi è il tema riguardante le successioni e le donazioni. Per giustificare


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la soppressione della tassa di successione nel dibattito in Commissione, ma è stato accennato anche in questa sede, si è fatto riferimento al concetto di utilità marginale del tributo in oggetto. Si è detto: vi è una forte elusione ed evasione e lo Stato spende molto per gestire un tributo che incassa poco.
Anche la quantità di furti puniti con sentenza definitiva è una minima quota di quelli denunciati e per la sicurezza dei cittadini spendiamo cifre rilevanti: non per questo qualcuno propone di abolire la proprietà privata. Uso questo paradosso per dire che trovo molto pericoloso applicare logiche economicistiche a questioni che hanno, anzitutto, un valore etico.
La tassa di successione segnala la volontà di uno Stato di perseguire l'obiettivo dell'eguaglianza delle opportunità: sostanzialmente, è nata per questo fine. Se non funziona modifichiamola, ma il principio va assolutamente salvaguardato, altrimenti diventiamo il paese delle molte opportunità per pochi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto, al quale ricordo che ha quindici minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, vorrei fare una serie di osservazioni. La principale riguarda la contraddizione che esiste tra l'urgenza che il Governo ritiene debba essere alla base dell'approvazione di questo provvedimento e l'itinerario, i tempi e i modi scelti dall'esecutivo per raggiungere tale risultato: ci troviamo di fronte alla prima constatazione che esiste una grande distinzione tra il dire e il fare.
Il provvedimento al nostro esame, approvato al Senato prima della pausa feriale, richiedeva alcune modifiche. In quella sede, il Governo aveva preannunciato in modo autorevole che nel dibattito alla Camera tali modifiche sarebbero state introdotte ed, in particolare, quelle che rendevano praticabile l'emersione dal sommerso e che servivano a sciogliere ambiguità e contraddizioni che erano alla base della legge Tremonti.
Questo impegno non è stato mantenuto, il provvedimento si presenta blindato e il Governo - di fronte alle insistenze e alle osservazioni pressoché generali che sono intervenute nel corso di audizioni informali da parte dei diversi soggetti sociali e degli operatori, di fronte ad osservazioni presenti nel dibattito da parte di autorevoli esponenti della maggioranza - ha adottato una scelta che, francamente, ci sembra bizzarra: si dice di approvare il provvedimento, poi lo stesso, dove è possibile, sarà modificato con delle circolari interpretative e, ove tutto ciò non fosse possibile, con delle modifiche legislative che saranno adottate in altri provvedimenti.
Siamo su un piano inclinato: prima si parlava di un decreto-legge, poi della legge finanziaria e adesso le modifiche che il piano inclinato rinvia alla presentazione e alla discussione dei cosiddetti collegati ed, in particolare, di quello fiscale. Qui sta la contraddizione. Infatti, se il provvedimento era urgente, sappiamo benissimo che, finché non sarà completato il quadro e fino a quando non saranno definiti tutti gli aspetti, l'obiettivo di rilanciare l'economia e di avere degli strumenti immediatamente praticabili verrà contraddetto, perché per poter prendere delle decisioni, qualunque imprenditore e operatore attenderà, per saggia prudenza, che ci sia un quadro normativo completato.
Quindi, questa è la prima contraddizione del Governo, con un provvedimento che è a singhiozzo e che non risponde ad una logica: per cui, se è vera l'affermazione che dobbiamo passare dal complesso al semplice, che è stata formulata con efficacia in più di un'occasione dal ministro dell'economia e delle finanze, certo passiamo dal complesso al semplice, ma precipitiamo nell'inestricabile e nell'impossibilità di sapere quale sia il quadro normativo nel quale operare.
Questa è una prima osservazione a cui se ne aggiunge una seconda. Lo stesso onorevole Molgora riconosceva che questo provvedimento è datato; tale provvedimento, immaginato nel mese di luglio, prima che si verificassero cambiamenti dal


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punto di vista economico e soprattutto dal punto di vista dello scenario internazionale, è datato e molti dei suoi contenuti corrono il rischio di non essere adattabili alla nuova situazione.
Noi, nell'esame in Commissione, abbiamo posto questo problema al Governo, invitandolo ad un ripensamento e ad un aggiornamento di tale provvedimento, al fine di sottoporre ad un riesame misure che venivano ritenute giuste nella fase preferiale, individuando soluzioni diverse e alternative.
Fatta questa affermazione, intendo soffermarmi, con molta rapidità, su alcune questioni che dimostrano l'incompletezza, l'iniquità e la mancanza di validità economica delle misure che sono proposte.
In particolare, per quanto riguarda l'emersione, in primo luogo rammento che in questo caso non esiste la possibilità di applicare questa norma al settore dell'agricoltura (questo è un altro scarto tra il dire e il fare, in quanto, nei confronti dell'agricoltura, non ci sono indicazioni né in questo provvedimento né nella stessa legge finanziaria); in secondo luogo, voglio ricordare al Governo ed a tutti i colleghi che, nell'accordo che era stato sottoscritto fra le parti sociali e che aveva portato alla preparazione di alcuni emendamenti che non sono stati ancora formalizzati, si affrontavano problemi delicati che sono decisivi per l'emersione. Mi riferisco, in special modo alla riduzione della contribuzione sostitutiva a carico dei datori di lavoro, all'applicazione ai lavoratori dei contratti collettivi nazionali, alla riduzione della quota a carico dei lavoratori per la ricostruzione della posizione pensionistica, alle facilitazioni per i mancati pagamenti dovuti a forza maggiore, alla riduzione dell'onere connesso al pagamento rateale e a misure particolarmente importanti che si basavano sullo sviluppo di nuove sinergie per la lotta al lavoro nero e alla stipula di convenzioni per la lotta al sommerso e all'edilizia.
A tale riguardo presenteremo degli emendamenti, in quanto riteniamo che la lotta al sommerso sia particolarmente importante ma che, per poterla realizzare, occorre che le misure contenute in quel testo legislativo vengano modificate. Resta, infatti, fondamentale che in questa lotta al sommerso vi sia un coinvolgimento e un comportamento impegnato di tutte le parti sociali.
La seconda osservazione, che esporrò in linea molto generale in quanto anche altri colleghi interverranno nel dibattito, riguarda l'incompletezza e il fatto che le misure risultano pasticciate.
Ci riferiamo, in particolare alla Tremonti-bis; alla non definizione, per quanto riguarda la Tremonti-bis, del collegamento con la cosiddetta legge Visco, la legge sulla DIT e i crediti d'imposta per l'occupazione nel Mezzogiorno; alla data del 30 giugno che - non solamente per noi, ma per parecchi, come emerso nel corso delle audizioni e anche adesso in sede di discussione sulle linee generali - rappresenta uno spartiacque. Dunque, da autorevoli fonti scientifiche, è stato notato che si potrebbe correre l'effetto paradossale che, nel corso del 2001, un imprenditore non possa avere né i vantaggi della legge Visco e della legge DIT né quelli della legge Tremonti. Da ciò, la necessità di chiarire aspetti che non appaiono tali per quanto riguarda la Tremonti-bis.
Mi riferisco, in particolare, a quell'aspetto inestricabile che è rappresentato dalla formazione: si tratta di un fatto importante, tuttavia, alcune definizioni oscure dal punto di vista legislativo, rendono, di fatto, estremamente problematico anche l'utilizzo di un elemento che, per noi, non deve avere soltanto un aspetto congiunturale, ma deve assumere carattere strutturale.
Aggiungo che il provvedimento è anche ingiusto, ma questo rientra in una linea più generale che viene portata avanti dal Governo: è ingiusto, perché non si riesce a capire per quale motivo il Governo, anche alla luce di ciò che sta avvenendo, intenda mantenere la proposta di abolizione della tassa sulle successioni. Anch'io ritengo risibile l'argomento secondo cui si potrebbe risparmiare nell'amministrazione finanziaria: non si può risparmiare nell'amministrazione finanziaria, anche


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perché si dovrebbe eseguire un'operazione molto complessa di riaggiornamento professionale di chi, oggi, opera nel settore delle successioni, senza tener conto dello strascico rappresentato da tutte le pratiche ancora in corso, che non si risolvono immediatamente con questo provvedimento.
Al di là della questione appena affrontata, il provvedimento è ingiusto. Noi, infatti, prevediamo di spendere per eliminare una tassa di successione: di ciò non si avverte la spinta e l'esigenza nel paese; non lo abbiamo sentito dire da alcuno e non è una soluzione praticata negli altri paesi. Sarebbe, invece, molto utile e molto più importante utilizzare in altre direzioni ciò che si pensa di dover spendere in questo settore.
Noi formuleremo, anche in questo caso, alcune proposte: ci sembra che l'insistenza sulla tassa di successione rappresenti più - come dire - una sorta di bandiera, una specie di idola tribus, una questione di principio da mantenere comunque, quasi una forma di ideologia, mentre sarebbe più importante pensare di utilizzare queste risorse in altra direzione. E noi proporremo soluzioni di carattere alternativo. Ne noto una, en passant: è singolare che, per esempio, nel provvedimento dei cento giorni vengano interrotte le misure che nella legge finanziaria erano state prorogate anche per il prossimo anno: si trattava di misure destinate a favorire, nel settore del turismo e del commercio, le agevolazioni per la messa in sicurezza dell'attività di lavoro. Tali misure vengono soppresse quando, invece, avremmo tutta la necessità di prendere provvedimenti finalizzati a rafforzare la sicurezza. Sarebbe molto più utile se le risorse che si vogliono destinare alla soppressione di una tassa - soppressione che nessuno auspica, non essendoci masse che la richiedano - venissero impiegate, ad esempio, in interventi nel settore del turismo. Anche in questo caso, si tratta di un esempio non del dire ma del fare. Ancora ieri, il ministro Marzano ha parlato di misure per il settore del turismo; ci troviamo, tuttavia, di fronte a questo scarto, a questa contraddizione: si fanno affermazioni nei convegni ma, poi, il comportamento con il quale ci dobbiamo misurare, nei fatti, si muove in un'altra direzione.
Dico che tale misura è ingiusta, perché noi destiniamo risorse a chi non ne ha bisogno; dico che è ingiusta, perché favorisce solo particolari settori del nostro paese, certamente importanti, in quanto - per carità - bisogna favorire lo sviluppo e l'espansione; tuttavia, noto che in questo disegno di legge, ed anche nei provvedimenti previsti nella legge finanziaria, si rimette in discussione il principio in base al quale noi destinavamo le risorse del paese per due terzi alle famiglie e per un terzo alle imprese.
Non c'è niente per le famiglie nelle misure che vengono adottate: anzi, nelle misure che si preannunciano per la legge finanziaria, ci troviamo di fronte ad una sorta di solidarietà e di distribuzione tutta all'interno delle famiglie. Infatti, gli stessi interventi sulle pensioni minime e quelli per la famiglia, al di là della verifica della capienza per i percettori delle misure che vengono preannunciate, si realizzano - e noi lo dobbiamo denunciare - rinviando sine die, a tempi migliori, quella riduzione generale dell'IRPEF che noi avevamo previsto per il prossimo anno. Quindi, la mancata riduzione dell'IRPEF serve, attraverso un'operazione di solidarietà interna, per adottare quelle misure di cui si parla nella legge finanziaria.
Da ultimo, vi sono altre misure che suscitano la nostra preoccupazione e il nostro allarme. C'è una sorta di filo che lega diversi provvedimenti adottati dal Governo. Ci meraviglia che nel provvedimento, per esempio riguardo la legge Tremonti-bis, non ci siano, come pure nei precedenti provvedimenti che avevano modificato la prima legge Tremonti, delle misure serie contro la elusione fiscale. Ci sembra che ci troviamo di fronte ad un abbassamento forte della guardia da parte del Governo sulle questioni dell'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale. Ci sono delle misure che non sono contro l'elusione e che, pur essendo di sanzione, non vanno nel senso di arginare e impedire


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questo fenomeno; ci sono grosse possibilità di forme di elusione anche nelle stesse spese di formazione.
Inoltre, vi è un provvedimento che noi riteniamo incomprensibile, quello dell'articolo 12, una sorta impropria di spoils system il quale, nell'amministrazione finanziaria, avrebbe una caratteristica del tutto singolare, del tutto particolare, differente rispetto agli altri ministeri: non lo spoils system che oggi c'è, quando vi è un cambio di governo, ma uno spoils system a cascata che diventa un elemento permanente nel funzionamento dell'amministrazione fiscale. La nostra preoccupazione è che, a un certo punto, non essendoci uno spoils system legato ad un cambiamento del governo, non essendo sufficiente al Governo, a quanto pare, avere la possibilità di rimuovere direttamente, attraverso il direttore delle entrate, chi non opera bene all'interno della amministrazione finanziaria, si introduca in essa ad nutum, ad arbitrio, la possibilità, in ogni momento, per i dirigenti dell'amministrazione finanziaria delle entrate, ma anche per i dirigenti dei vari livelli medi e intermedi, di essere revocati: si tratta di una questione delicata, perché sono modifiche che potrebbero intervenire sul terreno dell'accertamento.
Se queste le accompagniamo alle altre misure che portano alla legalizzazione dei capitali all'estero e a quelle che abbiamo discusso sul tema della riforma del diritto societario, e se a ciò aggiungiamo le forme di amnistia mascherata che troviamo presente anche in questo provvedimento a proposito della emersione del sommerso, soprattutto legata ai problemi ambientali, la nostra preoccupazione è tale da farci ritenere che questo provvedimento, così come è stato formulato, non corrisponda agli obiettivi che ci si era prefissi e rappresenti invece una pericolosa involuzione sul terreno di un fisco che sia in grado di essere a supporto dello sviluppo del nostro paese, basato sulla coesistenza tra misure di incentivazione e di equità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, devo dire preliminarmente che, come deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo, abbiamo chiesto che il Governo dicesse con chiarezza se riteneva ancora valido il quadro economico-finanziario rispetto al momento della presentazione del provvedimento.
I drammatici fatti verificatisi negli Stati Uniti ed il conseguente riverbero negativo sull'economia e sui mercati mondiali hanno naturalmente inciso sulla realtà economica del nostro paese, perciò il Governo avrebbe dovuto darci una risposta che, invece, non vi è stata.
C'è stata la volontà di procedere comunque all'approvazione del testo così come licenziato dal Senato, e le ragioni addotte poc'anzi dall'onorevole sottosegretario non sono affatto convincenti. Eppure, la nostra richiesta scaturiva da una preoccupazione più che fondata: gli sconquassi creati dai drammatici eventi americani sono sotto gli occhi di tutti, nel mondo ed in Italia. Basta aprire un giornale qualsiasi per rendersi conto della bufera che si è abbattuta sull'economia americana, anzitutto, ma anche su quella europea ed italiana.
Non soltanto il crollo della Borsa ha falcidiato i risparmi dei piccoli e medi investitori, ma anche il calo dei consumi è quotidianamente tangibile. Il trasporto aereo - purtroppo oggi funestato dal dramma che si è verificato a Linate (a proposito del quale esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie delle vittime) - è stato sconvolto; l'Alitalia vive una situazione assai pesante. Anche il settore dell'auto sta risentendo fortemente della nuova situazione, tanto che a settembre le immatricolazioni di nuove auto sono diminuite di oltre il dieci per cento rispetto all'anno scorso.
Una situazione analoga si sta verificando nel settore dell'abbigliamento, dove le vendite sono diminuite del dieci per cento. Ma indubbiamente il settore più


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colpito è quello del turismo: per i tour operator e le agenzie di viaggi la crisi è molto forte; anche gli alberghi e le strutture di ristorazione risentono degli effetti devastanti determinati dagli attentati dell'11 settembre.
È innegabile, quindi, che il quadro economico complessivo è mutato - ancora di più con l'intervento in Afghanistan - e che bisogna tenerne conto.
Non si può approvare un provvedimento che lo stesso Governo ha ritenuto centrale nel documento di programmazione economica e finanziaria; anzi, a mio avviso anche il DPEF va aggiornato alla luce della mutata situazione. Si ha invece la netta sensazione che il Governo voglia a tutti i costi giungere all'approvazione di questo importante provvedimento più per un fatto di immagine che per il merito e gli effetti che esso può realmente produrre.
Evidentemente, ancora una volta il Governo Berlusconi persegue obiettivi precisi; da un lato, propone e fa approvare provvedimenti volti a tutelare interessi personali ed aziendali corposi, dall'altro, vuole dare all'opinione pubblica italiana una sensazione di efficienza e capacità. Non è vero! Lo fa dall'inizio del suo insediamento e lo fa in modo molto spregiudicato. Il Governo ha agitato lo spauracchio del buco nei conti dello Stato, ma tale buco non corrispondeva a verità, come dimostrato dai dati veri forniti dalla Ragioneria dello Stato e dall'ufficio studi del Senato nonché dall'andamento delle entrate al 31 agosto, che mostra un aumento di ben 3.630 miliardi rispetto all'anno precedente.

DANIELE MOLGORA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Dello 0,00...

MARIO LETTIERI. Ora, certamente la situazione e le prospettive sono mutate, come vedremo quando andremo a discutere la legge finanziaria, nella quale non pochi sono i tagli previsti, quali quelli alla ricerca ed agli enti locali.
Il provvedimento al nostro esame suscitava dubbi sulla copertura finanziaria prima ancora del settembre nero. È un provvedimento complesso che dispone di una serie di interventi, in verità, in modo non organico, non chiaro e di qualità legislativa scadente, come afferma il Comitato per la legislazione.
Circa l'incertezza della copertura finanziaria e quindi del costo effettivo dell'intera manovra, eloquenti sono le considerazioni espresse dalla Commissione bilancio, anche se essa, formalmente e per dovere di maggioranza, dà un parere favorevole.
Non è in discussione la necessità di adottare idonei interventi finalizzati al rilancio dell'economia: chi non li vuole? La necessità c'è, ma occorre anzitutto verificare - come abbiamo esplicitamente chiesto in Commissione - se gli strumenti in vigore, la legge Visco, la DIT, l'articolo 8 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, hanno prodotto effetti nel corso della loro applicazione. Ciò è indispensabile per valutare l'opportunità della loro abrogazione o della loro sospensione, così come sarebbe stato utile individuare i risvolti di natura fiscale, non soltanto per conoscere l'incidenza dell'imposizione sulle imprese ma anche quella sulle entrate complessive. Tutto ciò non ci è dato sapere.
La tipologia di copertura cui ci si affida è quella della presunzione, di stime suscettibili di elevata variabilità. Non lo diciamo soltanto noi del gruppo della Margherita ma (nella sua relazione) la stessa Commissione bilancio, presieduta - voglio dirlo - da un autorevole rappresentante della maggioranza. Spesso non valutiamo con attenzione i pareri delle Commissioni, sui quali dovremmo riflettere di più. La Commissione bilancio, anche se al riguardo ha espresso un parere favorevole finale, afferma che «...la tipologia di copertura in questione fa tuttavia affidamento su stime suscettibili di elevata variabilità, posto che le risorse necessarie per far fronte ad oneri certi vengono individuate al di fuori di quelle già presenti in bilancio e sulla base di stime, volte a dimostrare la ragionevole probabilità di poter acquisire maggiori entrate nella misura necessaria al riequilibrio del bilancio


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medesimo; ciò induce ad ascrivere a tale modalità di copertura carattere di eccezionalità in assenza degli elementi che consentono di valutare la reciproca influenza delle decisioni di fiscal policy e degli andamenti complessivi del sistema economico, che trovano la sede loro propria nella decisione di bilancio...». Cosa sarebbe accaduto se avessimo rinviato tale provvedimento di 20 giorni, di un mese per conseguire elementi più certi? Assolutamente nulla! Forse avremmo dato maggiore certezza agli stessi beneficiari, alle stesse imprese che si vogliono incentivare.
Evidentemente, non si tiene conto del dovere di garantire l'equilibrio del bilancio, mettendo in discussione nei fatti i vincoli che ci derivano dal patto di stabilità concordato in sede europea.
Onorevoli colleghi, si tratta di questioni da non sottovalutare. Le nostre osservazioni non sono strumentali; non sono in discussione gli obiettivi che il provvedimento si propone. Noi del gruppo della Margherita li abbiamo analizzati con attenzione e senza pregiudizio alcuno, così come è nostro dovere e nostro costume. Purtroppo, non ci è stato consentito un vero confronto di merito nonostante la dichiarata disponibilità del relatore, onorevole Falsitta, che, evidentemente, forzando la propria intelligenza e la riconosciuta competenza, ha dovuto sottostare alla ragione di Stato o meglio alle ragioni di una maggioranza che non ha mostrato un elevato senso dello Stato, non solo in questa occasione; nessuno me ne voglia ma il falso in bilancio e le rogatorie internazionali insegnano! Siamo di fronte ad un primo atto rilevante della manovra economica del Governo Berlusconi; primo atto che anticipa la proposta complessiva che il Governo presenterà alla legge finanziaria.
Svolgerò ancora alcune considerazioni generali, mentre successivamente farò un riferimento più specifico all'emersione del lavoro sommerso.
Dalle considerazioni svolte autorevolmente dal collega Santagata in precedenza e da altri colleghi risulta evidente lo scarto tra gli obiettivi che si prefigge il provvedimento e gli strumenti previsti. Le previsioni sui risultati abbondano di ottimismo ma l'effetto finanziario netto della Tremonti-bis - poi non dirò più niente in merito ad essa - è del tutto incerto.
Noi nutriamo forti perplessità sull'efficacia di una elargizione indiscriminata di agevolazioni a tutte le imprese in tutto il territorio nazionale. La realtà italiana è assai complessa, molto diversificata per territorio e per settori e di ciò occorre tener conto se davvero si vuole stimolare - cosa che vogliamo tutti - la competitività del sistema Italia.
Il nostro, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, è un paese che negli ultimi anni, anche se con duri sacrifici, è stato sostanzialmente risanato. Sono stati posti sotto controllo i fondamentali dell'economia, a partire dall'incidenza del debito pubblico e dall'inflazione. Occorre proseguire su questa strada. Lo si è fatto con le riforme approvate dal centrosinistra, come quelle sul credito di imposta, che è stato richiamato negli interventi che mi hanno preceduto, e sulla DIT, che mira a ricapitalizzare le imprese e a renderle più forti.
Perciò ritengo che il proporne la sospensione rappresenti un grave errore che danneggia le imprese italiane. Comunque, l'aspetto più grave della legge Tremonti-bis è la non selettività - come sottolineava con molta puntualità e forza il collega Santagata - e l'estensione in misura omogenea a tutti i settori e su tutto il territorio nazionale che sicuramente non incentiveranno gli investimenti nel Mezzogiorno. Per questa ragione, collega Santagata, mi permetto di parlare di tale aspetto, prima di affrontare quello relativo all'emersione sul mercato del lavoro. Sono infatti un uomo del Mezzogiorno ed espressione di quest'ultimo, oltre che dell'intero paese. Sono pertanto fortemente preoccupato dal momento che, come giustamente sottolineava il collega Santagata, tale provvedimento non incentiverà gli investimenti nel Mezzogiorno e, ne sono convinto, creerà invece ulteriori problemi di concentrazione e di vivibilità al nord.


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Nel nord-est è infatti nota la carenza di manodopera, tanto che il ricorso agli extracomunitari è ormai norma; al sud, viceversa, vi è abbondanza di manodopera, ma purtroppo ancora grande carenza di aziende innovative e moderne.
Si tratta di una contraddizione enorme che va rimossa, se vogliamo che il nostro paese registri davvero uno sviluppo omogeneo, nel suo insieme, non soltanto competitivo ma tale da renderlo anche protagonista sulla scena europea e mondiale. Il Mezzogiorno ha risorse ed intelligenze, professionalità e voglia di crescere; tuttavia, ha ancora bisogno di forti investimenti per recuperare l'intollerabile e storico deficit infrastrutturale, da un lato, e, dall'altro, per incrementare le attività manifatturiere e quelle delle tecnologie, dell'agroalimentare, della ricerca e delle utilities.
Tale provvedimento, con l'estensione delle agevolazioni a tutto il nord, non aiuta il sud. Bisognava, in particolare, agevolare gli operatori del sud e quelli del nord intenzionati ad avviare seriamente le proprie attività nel Mezzogiorno o a spostare là alcune attività produttive.
La non selezione delle imprese beneficiarie, se si pensa alle banche o, peggio, alle industrie delle armi, non può che suscitare ulteriori perplessità. Infatti, anziché aiutare le famiglie e i lavoratori, anziché ridurre le tasse in favore delle famiglie e dei lavoratori delle imprese, come è stato promesso, si vuole sì favorire lo sviluppo, ma uno sviluppo ulteriormente squilibrato, distorto, nel quale i forti diventano ancora più forti.
Per quanto riguarda l'abolizione della tassa di successione e di donazione, dirò semplicemente che siamo contrari. Si tratta di un provvedimento che non interessa le «normali» famiglie italiane, già esentate dal provvedimento portato ad approvazione a suo tempo dal centrosinistra.
Il provvedimento del Governo Berlusconi riguarda invece esclusivamente le grandi famiglie detentrici di ricchi patrimoni. Si tratta pertanto di un provvedimento che, al di là del risparmio o meno nell'attività della pubblica amministrazione, cozza senz'altro con il principio di solidarietà che permea la nostra Costituzione repubblicana.
Da ultimo, ma non per importanza, vorrei riferirmi alle norme relative all'emersione del lavoro sommerso. Già in sede di Commissione e dalla lettura dei documenti inviatici dai sindacati, dalle organizzazioni dei commercianti e degli artigiani, dalla conferenza unificata dei rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali, nonché dalla stessa Confindustria, sono emerse osservazioni che avrebbero meritato di essere considerate in tale normativa. Ciò, tuttavia, non è stato possibile. Non è stato possibile accogliere alcun emendamento, né alcuna proposta, anche quella maggiormente ispirata da buon senso. Naturalmente, noi non accettiamo tale comportamento e riproporremo in Assemblea i nostri emendamenti.
Le norme in discussione, assolutamente non chiare, onorevole Falsitta - mi dispiace che in questo momento non sia presente - riguardano sicuramente parte importante della nostra economia ed interessano diversi milioni di persone, lavoratori e lavoratrici di piccole imprese.
Occorre innanzitutto chiedersi se il provvedimento contenente le disposizioni in materia di emersione - quello proposto -, possa essere efficace ed equo, se si tratta di un condono per alcuni aspetti, quello ambientale ed urbanistico, invece di una amnistia. Trattasi di norme ambigue, incerte.
Sembra che tutto debba emergere. Per il lavoro emerso, ad esempio, non vi è alcuna certezza dal punto di vista contributivo, perché riguarda i lavoratori. Tutto è lasciato ad un futuro regolamento, magari senza coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori, così come la nuova strategia del ministro Maroni sembra suggerire. Non sarebbe stato più opportuno e giusto coinvolgere preliminarmente i rappresentanti delle imprese e dei lavoratori nell'elaborazione di una normativa così delicata?
Per quanto riguarda le imprese, rispetto alla normativa in vigore, quella


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approvata dal centrosinistra, oltre alla riduzione del costo del lavoro, si prevedono anche notevoli agevolazioni fiscali, nella misura di un ammontare triplo rispetto al costo del lavoro emerso. Ciò sembra un favore sproporzionato, che - badate bene - crea elementi distorsivi della concorrenza a danno delle altre imprese, di quelle che hanno adempiuto correttamente gli obblighi contributivi e fiscali. Sia chiaro che noi deputati del gruppo della Margherita siamo a favore dell'emersione e siamo convinti della necessità di aiutare le imprese che intendano emergere, ma senza creare ulteriori distorsioni e squilibri: non faremmo una cosa saggia.
Anche per quanto riguarda il lavoro sommerso, sarebbe stata opportuna una differenziazione territoriale - come ha detto il collega Santagata - e per settori. Infatti, se è vero com'è vero che il fenomeno è assai diverso tra il nord e il mezzogiorno, allora occorreva un provvedimento che tenesse conto di questo dato. Al nord, la manodopera in nero - come dicevo - riguarda i lavoratori extracomunitari che, non rientrando nelle quote di immigrazione consentite, non possono essere assunti regolarmente; ma le imprese, da parte loro, non avrebbero difficoltà a farlo! Al cosiddetto «popolo delle partite IVA» del nord e del nord-est non sarebbe stato difficile assumere regolarmente: lo avrebbero fatto. A loro serve altro: meno tasse, più semplificazione negli adempimenti, più servizi e più infrastrutture; ma non chiedono perché non devono emergere dal lavoro nero: essi vogliono assumere le persone in maniera regolare. Quando lo fanno, lo fanno perché si tratta di persone extracomunitarie che non rientrano nelle cosiddette quote a cui ho fatto riferimento. Al sud, invece, le imprese che lavorano in nero quasi sempre non possono assumere regolarmente, perché non hanno solidità aziendale né un'organizzazione commerciale né una capacità di autonomia produttiva e commerciale né, ovviamente, servizi ed infrastrutture adeguate per avere una vita aziendale stabile e bilanci regolari: per questo vanno aiutate ad emergere. L'emersione è, pertanto, un obiettivo - lo ripeto per l'ennesima volta - che noi condividiamo.
Siamo convinti, d'altra parte, che alcuni risultati relativi all'emersione siano stati già raggiunti con l'attuale normativa sul riallineamento. Nel complessivo aumento di un milione di posti di lavoro, al sud, parte della nuova occupazione deriva proprio dall'applicazione di queste norme. Quindi, l'obiettivo è giusto ed apprezzabile. Ma cosa succederà, onorevole rappresentante del Governo, dopo i tre anni previsti per l'emersione? Certo, si creerà una situazione migliore rispetto ai normali costi fiscali e contributivi, ma vi è il fondato timore che le imprese, dopo il triennio, non saranno ancora in grado di rimanere nella piena regolarità, anche se il Governo Berlusconi riuscisse a ridurre le tasse e contributi: vi sarà il rischio di una «reimmersione». Noi riteniamo si tratti di una sorta di condono, più che di una scelta forte, in grado di creare nel medio periodo una stabile situazione di legalità e competitività delle imprese e di garanzie certe per i lavoratori.
Infine, grave è la portata dell'articolo 2 di questo provvedimento, relativo alla sanatoria in materia ambientale. A nostro avviso, si configura una vera e propria amnistia, in contrasto con quanto stabilisce l'articolo 79 della Costituzione. Le norme non configurano la fattispecie dell'oblazione che è richiamata nel testo, la quale opera, come è noto a tutti, a regime, senza delimitazione temporale.
Dunque, siamo in presenza di un'amnistia camuffata e sicuramente domani in aula sarà votata anche l'eccezione di incostituzionalità.
Siamo decisamente contrari a queste norme non soltanto per fondati motivi di incostituzionalità, ma anche per motivi di merito. Di scempi e di danni all'ambiente, in questo nostro bellissimo paese, ne sono stati fatti troppi! Non occorrono amnistie ma rispetto delle leggi e vera tutela dell'ambiente.
Per tutte queste considerazioni, signor Presidente, i deputati del gruppo della Margherita preannunciano il voto contrario


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e denunciano con forza la chiusura del Governo e della maggioranza su un provvedimento certamente rilevante che avrebbe meritato un vero ed efficace confronto di merito ed anche - mi sia consentito - il nostro modesto contributo alla soluzione dei problemi che esso affronta, a nostro avviso, in modo non adeguato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.

NICOLA ROSSI. Signor Presidente, il provvedimento che oggi l'Assemblea comincia a discutere - com'è già stato dichiarato - è il primo rilevante provvedimento di politica economica del Governo. Ciò non significa, naturalmente, che le camere sono rimaste inoperose nelle settimane scorse, al contrario! Abbiamo discusso molti aspetti ma di carattere settoriale o categoriale. Tutti ricadevano sotto l'etichetta «Interventi urgenti a sostegno della professione forense».
Quello di oggi è il primo rilevante provvedimento all'esame dell'Assemblea che inizia a disegnare la strategia di politica economica del Governo.
È strano che in un provvedimento di questa rilevanza - che segnala la strada che il Governo vuole intraprendere - le carenze e le mancanze siano non solo così diffuse e profonde ma talmente evidenti da essere segnalate sia dall'opposizione sia da esponenti della maggioranza: l'onorevole Falsitta, con l'onestà intellettuale che lo caratterizza, l'onorevole Leo ed altri esponenti della maggioranza in Commissione non hanno fatto altro che sottolineare che questo provvedimento poteva essere fatto meglio. In effetti, ciò risponde al vero. Si tratta di un disegno di legge carente sotto il profilo delle motivazioni, del contenuto e del metodo. L'unica cosa che emerge con assoluta chiarezza è che, francamente, è stato scritto - mi si perdoni l'espressione - con i piedi.
Analizziamo le motivazioni. È chiaro che lo scenario di politica economica internazionale dopo l'11 settembre è cambiato radicalmente, ma non tanto quanto poteva in un primo momento apparire, solo perché il ruolo della collaborazione internazionale è stato cruciale nell'attutire gli effetti nell'attacco medesimo. La collaborazione internazionale nel campo della sicurezza e soprattutto nel campo delle politiche economiche internazionali si è attuata, in particolare, attraverso gli accordi tra le banche centrali. Da tale collaborazione - è bene dirselo con chiarezza - l'Italia è stata esclusa; il nostro paese, certamente, ha giocato un ruolo marginale e ciò lo abbiamo appurato anche attraverso gli eventi di ieri sera.
Tuttavia, sono stati largamente acquisiti alcuni risultati. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo dovrà essere ritoccato, probabilmente di 4, 5 decimi, nel 2001 (e dell'1 per cento circa nel 2002, se non di più). Le previsioni di consenso collocano la crescita dell'area dell'euro, nel 2001 e nel 2002, intorno all'1,7 per cento (qualche volta si supera di poco questo dato ma, purtroppo, spesso si va al di sotto di tali cifre e, comunque, ben al di sotto del tasso di crescita del potenziale dell'area, leggermente sopra il 2 per cento, circa il 2,2 per cento).
È ormai chiaro a tutti che la ripresa non arriverà prima della seconda metà del 2002 e, per essere chiari, il capo dell'ufficio studi dell'OCSE ha recentemente dichiarato che il 2002, sostanzialmente, ce lo siamo giocato e se tutto va bene se ne parla nel 2003.
In questo quadro è assolutamente giustificato un intervento congiunturale, un intervento di rilancio dell'economia; su questo proprio non ci sono dubbi. La cosa che vorrei sottolineare, però, è come sia giustificato oggi ciò che non era assolutamente giustificato a giugno: a giugno il fenomeno di rallentamento che si poteva osservare, in particolare nella componente degli investimenti, era indotto, pressoché esclusivamente, dall'annuncio - incauto - che l'attuale maggioranza aveva fatto circa una riproposizione della legge Tremonti. Quindi, la sostanza dei fatti è che questa maggioranza ha dapprima evitato che gli imprenditori investissero ed oggi chiede agli stessi imprenditori di fare gli investimenti, che avevano in ogni caso deciso di


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fare, ponendo l'onere a carico della finanza pubblica. Francamente, l'idea di chiedere ai contribuenti di pagare investimenti che, se la maggioranza fosse stata semplicemente zitta, gli investitori avrebbero in ogni caso fatto - senza che essi gravassero sulla finanza pubblica e sui contribuenti - è assolutamente paradossale!
La spesa per investimenti, nel secondo trimestre dell'anno, è caduta di 3 decimi di punto, quella per macchinari di cinque decimi - e la tendenza è proseguita anche dopo il secondo trimestre dell'anno -, la produzione industriale per beni di investimento è caduta, a luglio del 2001, dell'1,2 per cento; tutto questo, ripeto, è stato conseguenza del primo vero, grande atto di politica congiunturale di questo Governo: annunciare qualcosa che non c'era, in tal modo impedendo all'economia italiana di funzionare come avrebbe funzionato.
Credo vi siano pochi esempi di così grande insipienza nella storia della politica economica, al punto che molti si domandano chi faccia la politica economica in questo paese. Chiunque la faccia sembra non conoscerla troppo: ieri si è indotta una frenata degli investimenti ed oggi si chiede ai contribuenti di pagare il conto! Quando poi si interviene - perché oggi si deve intervenire - lo si fa con gli strumenti sbagliati, perché il principale problema, oggi, non sono gli investimenti, ma - e questo lo sappiamo perché ce lo dicono le statistiche e tutte le altre informazioni di cui disponiamo - il grado di confidenza sia degli imprenditori sia, soprattutto, dei consumatori.
Questa realtà si desume da molte informazioni e dagli andamenti degli appositi indicatori raccolti anche dopo l'11 settembre. Vi era bisogno di un intervento completamente diverso; invece, il nostro Governo fa un'operazione veramente straordinaria: fa oggi qualcosa che non serve più, perché oggi servirebbe esattamente quello che il Governo pensa di fare con la prossima finanziaria (e che quindi andrà in vigore solo dalla metà dell'anno prossimo). Oggi bisognerebbe fare ciò che con la finanziaria si immagina di fare dall'anno prossimo! La sequenza degli interventi di politica economica andrebbe completamente invertita.
Tuttavia, nonostante le informazioni che abbiamo, si prende una strada che, proprio alla luce di tali informazioni, sotto il profilo della politica economica è quella meno opportuna; e la si prende, com'è stato detto prima, in maniera blindata. Non solo si tratta, quindi, di provvedimenti di rilancio che, con ogni probabilità, sono poca cosa - e del metodo parleremo dopo - ma si tratta, come ho detto in precedenza, di provvedimenti di rilancio che non toccano il problema: stiamo facendo una politica congiunturale con gli strumenti sbagliati, la stiamo facendo nel momento sbagliato, l'abbiamo cominciata nel momento sbagliato.
La conclusione è non solo e non tanto che il provvedimento è inefficace, ma è che in questo momento servirebbe altro. Due sono le questioni: o si pensa che il Governo non abbia la più pallida idea di com'è fatto il mondo e di cosa sia la politica economica - e in questo caso tanto vale metterci una pietra sopra e passare ad altro - oppure si pensa che il Governo abbia in mente, in realtà, che bene o male gli sarà consentito, prima o poi, di sfondare sul bilancio; in questo caso, esso potrà realizzare, allora, quella politica congiunturale che oggi gli sembra di non potersi permettere.
Guardate che questa è un'illusione; con il debito che l'Italia ha sulle spalle, non illudetevi che la Commissione europea possa concederci facilitazioni che può concedere ad altri perché la situazione di base è diversa, molto diversa da quella italiana. Sono possibilità che la Commissione europea non concederà, anche perché in questo campo è fondamentale la credibilità di chi fa la politica economica.
Mi permetto di aprire una brevissima parentesi. Io credo che la credibilità della politica economica italiana non abbia mai toccato un punto così basso come quello toccato qualche giorno fa dal ministro dell'economia e delle finanze che, non contento di avere sostanzialmente dato


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dell'incapace al ragioniere generale dello Stato circa tre o quattro mesi fa (perché non si era accorto del buco), in televisione (perché quella sembra essere ormai la sede) ha attribuito il buco che non c'era al governatore della Banca d'Italia. Non credo che un ministro della Repubblica sia mai arrivato così in basso nei rapporti con la pubblica amministrazione e con le altre istituzioni dello Stato come il ministro Tremonti quella sera.
Queste sono le motivazioni. Parliamo un attimo del contenuto del provvedimento. Questo è un provvedimento - dico cose, ripeto, che molti colleghi della maggioranza hanno detto - in alcuni punti semplicemente inefficace, così com'è formulato; questo vale, in particolare, per quanto riguarda le norme sull'emersione, che corrono il rischio di essere semplicemente un bel pezzo di carta se non vengono modificate in alcuni punti chiave che tutte le categorie interessate - lavoratori e datori di lavoro - hanno chiesto a gran voce. È un provvedimento che corre il rischio di essere punitivo o iniquo; parlo, in particolare, della modalità con cui la legge Tremonti guarda - per così dire (perché non guarda per niente) - al Mezzogiorno, guarda alla capacità di scelta degli imprenditori, guarda alle nuove imprese. È un provvedimento che corre il rischio di essere semplicemente errato (è il caso delle invenzioni, sul quale torneremo successivamente), come anche in questa sede molti hanno detto, un provvedimento che corre il rischio di essere banalmente inutile (non dico di peggio) per quanto riguarda le successioni o insufficiente per quanto riguarda, in particolare, le coperture. E, in questo caso, bisogna semplicemente ammirare gli sforzi erculei del presidente della Commissione bilancio che è riuscito a dire che il provvedimento non è coperto sia pure dando un parere favorevole. Quindi, sotto il profilo del contenuto è il tipico provvedimento - e questo, secondo me, è il punto di fondo - che affronta questioni molto rilevanti sulle quali è necessario intervenire (su questo non potrebbe esservi assolutamente obiezione da parte di nessuna persona di buon senso).
Che si debba intervenire sull'emersione lo sappiamo tutti in questo paese da molto tempo; che fosse utile completare lo strumentario delle politiche di incentivazione agli investimenti lo sapevamo. Personalmente, non ho alcuna particolare obiezione sotto questo profilo; è noto che il tema della innovazione sia uno di quelli su cui si gioca la capacità dell'Italia di essere competitiva negli anni a venire.
La domanda cruciale allora è la seguente: visto che si stava intervenendo su questioni così rilevanti, visto che si sarebbe potuto intervenire per fare delle scelte corrette ed opportune, perché lo si è fatto così male? Che senso ha, ad esempio, intervenire, nel caso della emersione, in maniera tale da escludere - è stato detto e lo ripeto solo per onore di firma - tutto il mondo agricolo, che è uno di quei settori dell'economia meridionale in cui il lavoro sommerso è più diffuso? Che senso ha scrivere una norma che lo escluda completamente? Che senso ha scrivere una norma che non chiarisca, fin da ora, che non vi sarà contenzioso futuro fra lavoratori ed impresa? Nessuna impresa emerge se pensa che possa esserci un contenzioso domani. Che senso ha - e passo a discutere della Tremonti - non ammettere la cumulabilità tra Tremonti-bis e credito di imposta agli investimenti, giustificando tale operazione mentendo e sapendo di mentire (posso qualificare il loro atteggiamento solo così)? Infatti, ripetutamente, il Ministero dell'economia e delle finanze ci dice che è un problema di risorse. Se così fosse, nella relazione tecnica di accompagnamento al provvedimento, avrei dovuto trovare risparmi derivanti dalla non cumulabilità: lì dentro risparmi non ce ne sono, quindi - mi dispiace dirlo - quella giustificazione non sta né in cielo né in terra; è una scelta ed è una scelta del tutto coerente con l'impostazione del ministero. Non è un mistero per nessuno che poco prima che il provvedimento venisse licenziato il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno


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neppure c'era, non era stato nemmeno salvato e solo interventi dell'ultimo momento vi hanno costretti a ripensare una scelta di per sé scellerata.
Che senso ha andare dagli imprenditori e non ammettere che gli stessi possano scegliere, meglio di voi, se usare la DIT o se usare la Tremonti? È una cosa che abbiamo imparato, credo tutti, in questo paese: spesso e volentieri gli imprenditori sanno, meglio dei politici, come comportarsi, ma il vostro innato dirigismo è tale da non contemplare una cosa di questo genere. Voi sapete meglio degli imprenditori se a loro conviene la DIT o la Tremonti. È una cosa semplicemente ridicola.
E che senso ha escludere le nuove imprese? Come se gli investimenti li facessero solo quelle esistenti! Anche in questo caso è difficile pensare che si tratti di errori voluti, in molti casi, quindi, ciò che porta a risultati di questo genere è solo una concezione dell'attività amministrativa come un'attività minore o inferiore.
Sulle invenzioni - altro capitolo straordinario - la norma contenuta nel provvedimento non ha eguali nel mondo civile; no, forse dovrei dire nel mondo (facciamo prima, diciamo, così evitiamo...). Nessun paese al mondo assegna i diritti delle invenzioni agli inventori. La Germania, che è il paese che si avvicina di più ad una norma come quella contenuta in questo provvedimento, negli istituti ad alta qualificazione scientifica, assegna i diritti delle invenzioni all'istituto. Non ci vuole molto, anche in questo caso, si tratta di una cosa del tutto banale. Rispondere come ha fatto lei, sottosegretario Molgora, in Commissione, che non importa, che la disciplina privatistica può servire a risolvere i problemi che si pongano, è veramente risibile! La disciplina privatistica c'è anche oggi e gli inventori possono fare con le università o con gli istituti e con i finanziatori privati...

PRESIDENTE. Onorevole Rossi...

NICOLA ROSSI. Ho concluso, Presidente.
Dicevo che possono fare tutte le convenzioni che ritengano più opportune. Allora, veramente, o ci spiegate perché cambiare qualcosa se l'obiettivo è lo stesso o, altrimenti, onestamente, non si riesce a comprendere.
Arrivo - se ho ancora 30 secondi - alla questione del metodo. Questo è stato già detto.

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, la prego di concludere, poiché ha superato di due minuti il tempo a sua disposizione.
Comunque, concluda pure.

NICOLA ROSSI. Concludo subito, signor Presidente.
Sulla questione del metodo è stato fatto un errore, perché il provvedimento poteva essere adottato anche per decreto-legge all'inizio di agosto, quando aveva superato l'esame del Senato; probabilmente, avremmo fatto tutti prima, se questo era l'obiettivo. Ma questo non è stato fatto e oggi, tanto per cambiare, un errore del Governo, un errore di chi fa la politica economica in questo paese, viene fatto pagare alla gente, al paese, perché, a questo punto, è evidente che, qualunque cosa ci inventiamo, questo provvedimento non sarà efficace prima della fine dell'anno, in quanto stiamo già dicendo, ora, che lo emenderemo per la Tremonti, per il sommerso. Nessuno muoverà un dito prima della fine dell'anno! Allora dovreste spiegare perché trattare in questa maniera il Parlamento - ma questa è una questione di altro tipo - e perché impuntarsi a blindare un provvedimento che voi tutti sapete essere, largamente, non imperfetto ma scarso sotto molti punti di vista, pur di ottenere questo risultato.
Concludo dicendo una cosa molto banale. Si sono invertiti i termini rispetto alla scorsa legislatura, signor Presidente. Nella scorsa legislatura una classe dirigente unanimemente considerata di livello europeo si trovava ad affrontare i problemi di un'economia non competitiva con il resto d'Europa; oggi siamo esattamente nella situazione contraria: l'economia può farcela ad essere competitiva con il resto


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dell'Europa, ma la classe dirigente, purtroppo, è del tutto impari (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario, so che siamo nella fase di discussione sulle linee generali del provvedimento e che in questi momenti il nostro paese è impegnato in una discussione e in decisioni che sono di ben altra rilevanza, di cui peraltro si parlerà domani in quest'aula, per cui credo che a volte certi momenti rendano risibili, da un certo punto di vista, alcuni provvedimenti che vengono esaminati. Mi rendo conto che il mondo va avanti e che la vita continua, ma ritengo non condivisibile la fretta molto declamata ed invocata dal Governo rispetto ad un provvedimento che considero - lo ha ricordato chi mi ha preceduto, e lo ha fatto molto bene, forse meglio di come lo farò io - carente ed assolutamente non cogente e non urgente, proprio per le ragioni espresse da ultimo dal collega Nicola Rossi.
Il Governo ha deciso di blindare il testo licenziato dal Senato, e questo fin da quando è arrivato alla Camera (oggi siamo alla metà di ottobre); ciò perché è stato detto che era fondamentale - lo ha ripetuto ancora oggi il sottosegretario Molgora - approvare a «tamburo battente» un provvedimento che riguarda il rilancio dell'economia, causa la presenza di ragioni d'urgenza e pena la stagnazione.
Vi sono però due motivi che mi fanno credere non sussiste questa urgenza: innanzitutto, la considerazione che se la nostra economia e quella delle nostre imprese è stagnante, lo è proprio perché - come ricordato dal collega Rossi - c'è stato l'effetto annuncio legato alla cosiddetta Tremonti-bis che, di fatto, dall'inizio di quest'anno ha impedito alle imprese di investire; ciò non perché qualcuno si è messo di guardia alle aziende ed ha detto loro di non investire, ma perché certamente un effetto annuncio che prometteva detassazioni e, quindi, vantaggi per i bilanci, ha disincentivato le imprese a farlo. Ecco, quindi, il motivo per cui non si capisce l'urgenza di oggi, sapendo, tra le altre cose, che tale provvedimento produrrà i suoi effetti a partire dal 2002.
Questo va detto e ricordato per l'ennesima volta - l'abbiamo già fatto in sede di Commissione - perché si sostiene che non si può cambiare nulla nel provvedimento, quand'anche alcuni esponenti della stessa maggioranza (già menzionati in quest'aula) affermano che alcune sue parti andrebbero invece cambiate e modificate. Addirittura ci sarebbero dei provvedimenti (non si capisce bene, forse si tratta di decreti) in fase di imminente emanazione.
Perché non farlo direttamente con il provvedimento in esame? Abbiamo tutto il tempo; del resto, l'avevamo proposto non oggi, 8 ottobre, ma già in Commissione, lo scorso settembre. Vi è quindi tutto il tempo, anche per accelerare un certo iter, magari proponendo lo stralcio degli articoli più controversi del provvedimento, procedendo all'esame di alcuni e non di altri e apportando già delle modifiche, senza attendere altri provvedimenti.
Da parte della maggioranza vi è un atteggiamento sostanzialmente inaccettabile e, allo stesso tempo, contraddittorio, poiché il testo poteva essere migliorato. Allora, se il Governo intende apportare delle modifiche, non si capisce perché non lo faccia adesso.
Peraltro, vorrei sottolineare ancora un aspetto. Si dice che il provvedimento è urgente perché contiene disposizioni urgenti e perché l'economia non può aspettare. Vorrei elencare una dopo l'altra tali disposizioni.
Innanzitutto, mi chiedo cosa c'entri con l'urgenza e con l'economia l'abolizione dell'imposta di successione e donazione che altera principi non bolscevichi ma - badate bene - liberali, di eguaglianza. Mi rivolgo al Presidente Biondi, che è stato un noto esponente, nonché segretario, del partito liberale. Il principio della tassa di successione e donazione è un principio


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liberale e non comunista. Appartengo al gruppo misto-Comunisti italiani e mi rendo conto...

PRESIDENTE. Si tratta di altri tipi di procedura, diciamo così...

GABRIELLA PISTONE. Comunque, vorrei chiedere la ragione dell'abolizione totale della tassa di successione e donazione. La tassa era già stata ridotta abbondantemente dal precedente governo con una giusta ed equa distribuzione dei carichi fiscali: si era provveduto all'abolizione pressoché totale per le persone di basso reddito e, contemporaneamente, alla diminuzione delle aliquote per gli alti redditi. Si trattava, quindi, di una imposta molto equilibrata. Invece, con il provvedimento in esame si arriva alla abolizione totale dell'imposta; e ciò avrebbe a che fare con l'urgenza!
In secondo luogo, mi chiedo cosa c'entri con l'urgenza il comma 4 dell'articolo 12, che riguarda circa mille dirigenti delle agenzie fiscali; è un vero e proprio spoils system, non solo del vertice ma di tutto il gruppo dirigente delle agenzie delle entrate. Anche tale provvedimento è così urgente? Se esso non venisse approvato, ne discenderebbero problemi per l'economia? Non credo proprio. Inoltre, non siamo d'accordo sul merito e proporremo la soppressione tout court della relativa parte del provvedimento.
Cosa c'entra con i temi dell'urgenza e del rilancio dell'economia l'articolo 7, che è davvero aberrante e riguarda la titolarità dei diritti brevettuali? Ho lavorato in una grande società del gruppo ENI e mi sono occupata di ricerca. Il collega Rossi prima ha detto che tale norma non ha eguali nel mondo civile e poi si è corretto dicendo che una simile norma non esiste nel mondo. È vero: è una norma che nel mondo non esiste. Come dipendente di una società del gruppo ENI e quindi di un ente pubblico (8 anni fa, infatti, l'ENI era ancora un ente pubblico, mentre oggi è stato in parte privatizzato; ma in ogni caso non è questo il punto), se avessi avuto un'idea brillante, sarei diventata proprietaria al 50 per cento dei proventi prodotti dalla stessa, in luogo della società.
Come dipendenti di quella società - ma questo avviene per tutti i dipendenti degli enti di ricerca - firmavamo addirittura, prima dell'assunzione, una clausola per la quale niente della società poteva essere adoperato rispetto all'esterno: è normale che questa potestà non vi sia.
Dunque, si tratta di cose veramente aberranti e non capisco con che coraggio si possano portare avanti nonostante le sollecitazioni dell'opposizione (e non solo). Inoltre, si lede il principio di autonomia tra l'università e gli enti di ricerca: ciò è ancora più grave e non è davvero presente in alcuna parte del mondo.
Inoltre, cosa c'entra con l'urgenza l'articolo 2? Questo viola il principio di eguaglianza stabilito dall'articolo 3 della Costituzione e, di fatto, è una sanatoria, o meglio un'amnistia, dei reati ambientali a favore degli imprenditori. La norma è molto generica e, nei fatti, premierà le aziende non sane. Favorirà comportamenti illeciti che, come purtroppo sappiamo tutti, nel settore ambientale sono spesso gestiti dalla criminalità organizzata.
In questo Parlamento abbiamo avuto Commissioni speciali proprio per studiare i comportamenti illeciti in campo ambientale (ad esempio per quanto riguarda i rifiuti). Ogni anno sono circa quindicimila le violazioni accertate in questi settori. Sono troppe e forse bisognerebbe ridurle: certamente il fenomeno non ha bisogno di amnistie. Presenteremo, comunque, su questo, una pregiudiziale di costituzionalità.
Non credo, dunque, che su tali materie il Governo possa dimostrare la presenza di ragioni di urgenza (ve ne sono altre minori ma evito di elencarle in questa sede).
Per quanto riguarda il sommerso, mi pare vi sia stato l'unanime consenso di maggioranza ed opposizione nel ritenerlo un punto fondamentale. Tuttavia, chiedere al lavoratore di pagare i contributi evasi dal datore di lavoro è quantomeno anomalo. Al massimo si potrà chiedergli la sua parte di contribuzione, ma nessun lavoratore è interessato a ricostituirsi la


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parte previdenziale pagando quello che avrebbe dovuto versare il datore di lavoro.
In questo campo lavoristico si era raggiunto un accordo tra sindacati e ministro del tesoro: di questo non c'è traccia. Se si fosse voluto dare seguito a quanto convenuto tra le parti sociali ed il Ministero dell'economia, non lo si poteva fare inserendolo direttamente nel provvedimento, invece di aspettare un eventuale provvedimento successivo? Si tratta, infatti, di un provvedimento eventuale, perché la certezza del provvedimento è tutta da dimostrare. Questo può creare problemi ancora maggiori: probabilmente potrebbe eliminare il sommerso per un brevissimo periodo e poi far piombare di nuovo tutti i lavoratori e tutte le aziende nel medesimo problema.
Bisogna cercare di capire che i provvedimenti che si intendono adottare, se sono mossi ed animati davvero da buone intenzioni, devono anche favorire - o, quanto meno, accettare - i punti di vista che, a volte, non sono tali ma costituiscono condizioni assolutamente necessitate affinché un provvedimento consegua i suoi risultati.
Sulla Tremonti-bis è stato già detto molto e anch'io, a nome del mio gruppo, ritengo che sostanzialmente sia un provvedimento che non aiuti l'economia. Innanzitutto, per l'effetto annuncio che è stato devastante, ma anche perché essa - essendo non selettiva - non punta per nulla sulla ricerca e sullo sviluppo ma, anzi, li deprime: si tratta di una legge che va contro l'innovazione e l'industria italiana è vittima proprio di carenza innovativa.
La nostra industria soffre di questo aspetto e non è competitiva - se non con la Thailandia o la Malesia - perché, sostanzialmente, non ha innovazione, non punta su nessun tipo di sviluppo tecnologico avanzato e, da questo punto di vista, è assolutamente ferma; oltretutto, i nostri salari sono i più bassi in Europa, quindi, rispetto ai lavoratori abbiamo un problema salariale cui rispondere. Sono anni che si parla e si dice alla Confindustria - nelle varie audizioni che sono state avviate, anche prima di quest'ultima che ci ha visto presenti in Commissione finanze - che, sostanzialmente, questo rappresenta un punto veramente negativo dell'industria italiana.
Allora parliamo di reinvestimento degli utili che, di fatto, è una semplice detassazione; non c'è una parola a favore dell'innovazione, che è il vero nodo per favorire la loro competitività; non vi è un differenziale a favore del Mezzogiorno, perché non si consente un cumulo con i provvedimenti precedenti, come il credito di imposta per gli investimenti; non vi è differenziazione tra piccola e grande impresa. Gli incentivi della legge Tremonti-bis sono al 50 per cento eguali per tutti, piccole e grandi imprese, incluse le banche e allora perché, per esempio, non differenziarli ? Ricordo che durante la campagna elettorale nei manifesti è stato molto proclamato l'aiuto alle grandi e alle piccole imprese, ma di questo non c'è una parola.
Un segnale poteva essere davvero la differenziazione dell'incentivo, più alle piccole e meno alle grandi imprese, comprese le banche; si è detto il 70 e il 30: non è un problema di percentuale, ma di fornire un segnale. Ebbene, tutto questo non c'è e sappiamo che, peraltro, manca anche - è già stato ricordato - il riferimento al mondo agricolo. Per quanto riguarda il sommerso, esso rappresenta una grande fetta dell'economia italiana, e lo stesso collega Leo ne ha sottolineata l'importanza.
Voglio concludere questo mio intervento, che ha toccato alcuni punti, dicendo che, francamente, nel provvedimento non si sente l'impronta di una filosofia che tenda davvero a rendere migliore questa nostra economia.
Ritengo che con questo provvedimento e con alcuni articoli - che ho citato e che ritengo non abbiano nulla a che vedere con l'urgenza - si tendano a risolvere questioni di carattere molto settoriale. Ciò mi dispiace, perché fino ad ora il Governo non ha fatto tantissimo, ha fatto solo qualcosa a nostro avviso, di molto sconveniente: approvare il provvedimento relativo al falso in bilancio, ratificare l'accordo


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relativo alla disciplina delle rogatorie internazionali. Tutti provvedimenti che, di fatto, non migliorano per nulla il nostro ordinamento, anzi lo peggiorano, facendo additare a livello internazionale il nostro paese come poco affidabile sotto certi aspetti.
Mi auguro che di questo provvedimento per alcune norme che esso contiene - che ho già menzionato - non debba pentirsi non solo il Governo - che non si è pentito affatto delle norme che ha fatto approvare -, ma l'intero paese, a causa di una brutta figura che potremmo continuare a fare in campo internazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Cordoni... la collega, le chiedo scusa.

ELENA EMMA CORDONI. Sono talmente poche le donne che è più facile usare il maschile.

PRESIDENTE. Avrei una preferenza particolare.

ELENA EMMA CORDONI. Quando si fanno le liste, questa preferenza non viene esercitata.

PRESIDENTE. Io non ho questi poteri. Ha facoltà di parlare.

ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, già chi mi ha preceduto (deputato facente parte dell'Ulivo) ha espresso valutazioni e riflessioni a tutto campo su questo provvedimento.
Nel mio intervento, vorrei riflettere prevalentemente sulla parte che si riferisce al sommerso e ai provvedimenti che sono stati assunti in questa sede.
Quando ho letto il provvedimento, specialmente con riferimento a questi articoli, sono rimasta sorpresa perché, negli scorsi anni, sono state adottate molte iniziative per aggredire il problema del lavoro sommerso. Nel corso di questi anni la Commissione lavoro ha svolto indagini, ha ascoltato tutto il paese e tutti coloro che avevano riflettuto, cercando di trovare soluzioni per aggredire tale problema.
Dunque, abbiamo svolto indagini, alcune delle quali si sono concluse con l'adozione di indirizzi; la maggioranza di centrosinistra ha cercato, a partire dal 1996, di approvare provvedimenti e di adottare politiche, anche attraverso modificazioni, al fine di renderle più aderenti ai problemi che via via si presentavano, sapendo di non aver risolto totalmente il problema e sapendo che vi sono alcune parti del paese dove esso è stato positivamente affrontato mentre in altre ciò non è avvenuto.
Tuttavia, quegli studi, quelle ricerche e l'esperienza che abbiamo alle spalle ci hanno insegnato che vi è la necessità di un'idea di lotta al sommerso un po' più generale e non soltanto costituita da singoli provvedimenti. Infatti, le ragioni del sommerso non sono soltanto un problema di costo del lavoro o di entità delle tasse, ma anche di rapporto con il territorio e di servizi di informazione e di accesso ai benefici.
Ci sono interi paesi, interi quartieri nel Mezzogiorno che vivono esclusivamente di economia sommersa: non stiamo parlando della attività sommerse riferite a comportamenti familiari, stiamo parlando di un sistema economico che, in alcune zone del nostro paese, è così costruito. Quando, quindi, ho sentito il Governo di centrodestra e la maggioranza sostenere di voler aggredire il problema, auspicavo e speravo che fossero state individuate soluzioni tali da farci fare un passo in avanti, in questa direzione, proseguendo su una strada di ricerca e di innovazione.
Invece, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che realizza una specie di amnistia, dicendo alle imprese che non si sono comportate in modo legale: adesso è possibile sanare tutti i comportamenti, quelli fiscali, quelli previdenziali, quelli ambientali. E, poi, fra tre anni, chissà che cosa succederà. Mi domando se le imprese che aderiranno a questo progetto di emersione, fra tre anni, avranno risolto i loro


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problemi, se il territorio, la situazione, la pubblica amministrazione avranno saputo offrire loro ciò di cui mancano.
Non è soltanto questo. Io credo vi sia un elemento di superficialità e di mancato approfondimento delle ragioni del sommerso: si pensa che così facendo si possa risolvere il problema. Ma, forse, non si vuole risolvere il problema. Si propongono, infatti, provvedimenti di questo tipo e si mettono in campo scelte che, di fatto, non aiutano le parti del paese in cui il fenomeno è più diffuso, ma, al contrario, rendono tutto uguale, dal nord al sud: quale contributo, dunque, stiamo dando per aiutare le zone che sono rimaste indietro? Per fortuna, uno dei principi della campagna elettorale prevedeva di aiutare chi è rimasto indietro. Io lo ricordo ancora. In questo provvedimento non si sta facendo ciò; in questo provvedimento, anzi, si crea un'ulteriore disparità fra le imprese del Mezzogiorno e le imprese del centro-nord, a favore di quelle del centro-nord.
Ma si fa ancora un'altra operazione: con quest'amnistia, anche se così non viene chiamata, con questo condono tombale, anche se così non viene chiamato, noi diciamo a tutti quei cittadini e a tutte quelle imprese che, in questi anni, hanno cercato di mettersi al passo con le norme e con la legge: comportatevi in modo illegale, perché, tanto, poi avrete la sanatoria. E non importa quel che succede, perché si pensa a provvedimenti di carattere tampone. E non ci si preoccupa neanche di quello che definireste un principio liberale: fare in modo che le imprese competano fra di loro in modo leale. Favoriamo, invece, le imprese che hanno tenuto comportamenti scorretti.
Si costruisce un provvedimento che non interviene soltanto sulle imprese: senza prevedere consultazione e coinvolgimento dei sindacati, si dice che anche i lavoratori, costretti precedentemente a lavorare in nero, quando le imprese li assumevano in maniera irregolare, sono obbligati, sulla base delle decisioni dell'azienda, a pagare di tasca propria una cospicua parte dei costi dell'emersione. Per quanto riguarda modalità e forme, poi, non si capisce il quanto e il come, non si capisce quali atti il Governo debba eseguire in fase successiva.
Si verifica, inoltre, un fatto curioso: anche in questo caso, si ha la sensazione, in base alle forme individuate, che chi ha pensato il provvedimento, forse, non conoscesse tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro. Si agisce, infatti, in questo modo sul terreno dei contributi previdenziali e si consente ai lavoratori di riemergere, pagando i contributi, anche quelli dell'azienda, caso strano e veramente incredibile - io non so definirlo in altro modo -: non ci si rende conto che il lavoratore, se vuole, può mettere in campo un esercizio verso l'azienda anche per gli anni precedenti. Non c'è decadenza, si rischia di aprire un contenzioso, azienda per azienda, situazione per situazione, che è infinito. Questo, dunque, non aiuta le imprese che vogliono uscire dall'emersione. Perché, allora, si bypassa e si scavalca il sindacato, che può aiutare nella gestione dei contenziosi e nella costruzione del consenso? Noi, con i contratti di riallineamento, avevamo fortemente responsabilizzato le parti sociali, da questo versante, proprio per evitare una situazione che rischia di essere un altro degli impedimenti che renderanno inutilizzabile questo strumento. Lo diceva prima il collega Nicola Rossi e io lo sottolineo fortemente: questo provvedimento è stato pensato, forse, più dal Ministero dell'economia e delle finanze che dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali; nel mese di agosto, si sono svolti diversi incontri fra il ministro Tremonti ed il ministro Maroni.
Hanno fatto un accordo, hanno firmato una lettera, e hanno detto che si impegnano ad introdurre questi cambiamenti perché si vuole che la lotta all'emersione sia veramente tale, visto che vi è ancora bisogno di altre cose: intreccio di analisi dei dati fra i vari istituti previdenziali e assistenziali, INAIL, INPS e via di seguito; normative uniformi per tutti gli enti previdenziali, per evitare che, a seconda del tipo di rapporto di lavoro, si creino comportamenti diseguali; con quegli emendamenti


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si risolvono i dubbi interpretativi, che, quando si avrà la legge, nessuno sarà in grado di applicare; si cerca di individuare un modo per aggredire un settore, quello edile, dove il lavoro nero è diffuso e dove non si riesce ancora a vedere un minimo di futuro e si cerca di dare anzi un incrocio di informazioni tra l'INAIL, l'INPS e la cassa edile, in modo da avere un quadro della situazione.
Eppure, questi emendamenti concordati, discussi e ritenuti utili dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell'economia e delle finanze, si considerano strumenti che si possono lasciare lì, a futura memoria per un decreto successivo. Come farà quell'impresa ad emergere se non sa cosa deve fare? Come farà quel lavoratore ad aderire al pagamento dei suoi contributi se ha questa incertezza normativa? Devo dire la verità, non capisco l'ostinazione del centrodestra: ci provo. Anche laddove si condivide la necessità del cambiamento, anche laddove si è d'accordo che questo provvedimento ha bisogno di interpretazioni e di norme successive, perché non si accede alle modifiche? In questo, vedo un atteggiamento che rasenta - non so se si può dire in quest'aula - un'ostinazione quasi stupida e inutile. Infatti, si potrà dire alla televisione che in cento giorni si è fatto un provvedimento, ma domani quelle imprese che cominceranno a voler applicare questo provvedimento vi ringrazieranno quando non potranno utilizzarlo, quando avranno paura dei loro comportamenti perché non c'è certezza della pubblica amministrazione? Forse in questo momento i cento giorni vi potranno essere utili, ma nel tempo - avete l'obiettivo di governare cinque o dieci anni - pensate che una cattiva legge, una cattiva amministrazione, vi daranno consenso?
Mi chiedo allora perché questa ostinazione? Non è la prima volta: anche in occasione della discussione sul provvedimento riguardante la scuola non si sono voluti accogliere emendamenti ritenuti necessari e poi si sono date direttive nelle scuole perché si andasse nella direzione espressa in questo Parlamento. Come mai questo Governo non ascolta il Parlamento? Non parlo delle opzioni politiche di scelta - quelle ve le fate, le gestite e le presentate al paese - ma delle ovvietà su cui tutti concordano, su cui anche voi firmate accordi con le parti sociali. Cosa impedisce di costruire tra Governo e Parlamento un giusto rapporto? La scorsa settimana ho letto di un Consiglio dei ministri che ha discusso di questo e ha fatto proprio il disagio del Parlamento, l'esigenza del Governo di avere col Parlamento un rapporto più stretto e continuo, ma alla prima occasione si ripete lo stesso comportamento. Cosa c'è in tutto questo di cultura democratica, di rapporto istituzionale fra Governo e Parlamento, fra maggioranza e opposizione? Devo dire la verità, questo interrogativo - siccome sono così sciocchi la risposta e i comportamenti - non lo riesco a capire, a meno che, probabilmente, non si viva il Parlamento come un ostacolo. Allora, se sbagliano le scelte, anche procedurali, non è colpa dell'opposizione.
Vedete, avete detto che voi non farete questi cambiamenti, ma dite che ce n'è bisogno e che lo farete con un decreto. Tuttavia, voi dovreste sapere che quel decreto non entrerà in vigore prima della legge finanziaria. Se invece accettate le modifiche, a novembre il provvedimento potrà essere approvato prima che la legge finanziaria arrivi da noi: lo approveremo qui, poi tornerà dal Senato e, durante l'esame al Senato, da metà novembre alla fine di novembre, si potranno approvare le modifiche; in tal modo, le modifiche potranno essere introdotte in anticipo rispetto a quanto avverrebbe con un decreto. Altrimenti il decreto verrà esaminato nel periodo della finanziaria, perché durante la finanziaria non c'è tempo e modo per approvare altri provvedimenti.
Noi, in Commissione lavoro abbiamo presentato un parere contenente un orientamento alternativo, in cui sottolineiamo l'importanza di provvedimenti in questa direzione, in cui si dice che noi condividiamo l'esigenza di fare emergere l'economia sommersa. Tuttavia, pensiamo che gli strumenti da mettere in campo debbano essere più articolati.


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Gli studi effettuati dalla Commissione lavoro nella precedente legislatura, quelli della commissione insediata presso la Presidenza del Consiglio ed in particolare gli studi dell'università di Napoli, ci hanno rivelato sempre più che un singolo provvedimento per volta non può favorire l'emersione del lavoro nero; bisogna costruire dei piani locali per sostenere le imprese, non c'è solo bisogno di misure previdenziali e fiscali. Spesso diciamo che le difficoltà delle imprese sono ben altre, ed allora io credo che piani per l'emersione attuati attraverso la verifica del contesto locale rappresentino l'unico modo attraverso cui possiamo sperare di riuscire a ridurre il fenomeno del sommerso. Bisogna aiutare le imprese a crescere riportandole alla competizione normale affinché possano stare nel mercato.
Nel provvedimento prevedete per tre anni una serie di agevolazioni fiscali e previdenziali, ma poi che succederà? In seguito sarà tutto in regola? Si pagheranno i contratti nazionali, i contributi nazionali ed il fisco, ma voi pensate veramente che le imprese saranno in grado, nel giro di tre anni, di superare tutte le ragioni per cui oggi si trovano in nero? Ve l'ho già detto prima, mi riferisco ai sistemi di imprese. Non sto parlando delle situazioni familiari di lavoro, non è quello il terreno dell'aggressione.
Come mai il provvedimento che si pone questo obiettivo è rivolto solo agli imprenditori? Perché tutti gli altri datori di lavoro non devono avere la stessa formula di intervento? Perché si pensa soltanto ad un settore del mercato? Perché non tutti i datori di lavoro possono essere coinvolti in questo terreno?
L'obiettivo che volete raggiungere per fare in modo che il nostro paese ottenga questa modifica rispetto al mercato non è il vostro vero obiettivo: A voi non interessa aiutare queste imprese, non interessa aiutare una parte del paese a progredire perché in tal caso avreste avuto forse bisogno di un po' più di tempo per capire che non si comincia da zero, per capire che bisogna fare delle cose e non delle altre. Durante questi mesi vi siete confrontati e discussi, nonostante ciò continuate a non voler ascoltare; da una parte affermate che abbiamo ragione e dall'altra dite: «Non si fa».
L'ho detto prima, questo è un comportamento, un'ostinazione incomprensibile. Mi sembra un atto di provocazione verso il Parlamento, a meno che non date un'altra spiegazione, questa è l'unica che io riesco ad interpretare.
Voi non usate la parola amnistia, perché sapete che questa parola richiederebbe una maggioranza qualificata, come prevede l'articolo 79 della Costituzione, ma credo che i primi tre commi dell'articolo 2 prevedano una vera e propria amnistia, anche se poi viene chiamata in altro modo.

PRESIDENTE. Onorevole Cordoni, bisognerebbe che si accingesse a concludere.

ELENA EMMA CORDONI. Concludo, signor Presidente.
I primi tre comma dell'articolo 2 non sono riconducibili alla fattispecie dell'oblazione in quanto struttura operante a regime senza delimitazione di tempo. L'amnistia, al contrario, opera relativamente ad una quantità di fatti avvenuti prima di una certa data.
Credo che in questo caso - come anche in materia ambientale e fiscale - abbiate messo in moto un meccanismo che ha le caratteristiche dell'amnistia. Di ciò discuteremo nei prossimi giorni avanzando pregiudiziali di costituzionalità.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, se il tempo sarà galantuomo, ci dirà - come per le rogatorie internazionali - che avevamo ragione sia sull'utilità dello strumento rispetto alla fase economica che attraversiamo sia riguardo i singoli strumenti individuati per combattere il fenomeno dell'emersione.
Ci accingiamo a votare un provvedimento fuori tempo, un provvedimento che non riuscirà ad entrare in vigore se non prima dell'anno prossimo, poiché avete comunicato al paese che non si tratta di un provvedimento definitivo, in quanto abbisogna di ulteriori modifiche.


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Pertanto, stiamo discutendo in merito ad un provvedimento urgente dei 100 giorni che, in verità, sarà ritardato proprio dall'azione che state conducendo in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vianello, al quale ricordo che ha a disposizione 15 minuti di tempo. Ne ha facoltà.

MICHELE VIANELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi mi ha preceduto ha già parlato a lungo in merito al provvedimento in esame. Io vorrei dedicarmi prevalentemente al famoso e famigerato articolo 2, che, in qualche maniera, estingue i reati di tipo ambientale.
Mi ha colpito particolarmente il fatto che né il relatore né, tanto meno, il rappresentante del Governo abbiano nelle loro relazioni fatto riferimento all'articolo 2. Hanno sorvolato su tale articolo, sul suo profondo significato, su come devono essere intesi i reati ambientali.
La modalità con cui il provvedimento del Governo affronta le questioni ambientali è abbastanza singolare; le questioni e i reati ambientali sono accomunati ad interventi di carattere economico, in qualche modo a reati di tipo fiscale, senza cogliere non solo l'estrema importanza e il modo con cui si dovrebbero affrontare le politiche ambientali nel nostro paese ma anche il profondo intreccio che in tutti i casi deve sussistere fra politiche ambientali ed eventuale riconversione dell'economia. Non esistono provvedimenti di materia ambientale e provvedimenti di tipo economico. Si avverte la necessità di un profondo intreccio, soprattutto in un paese profondamente antropizzato come il nostro, nel quale una parte rilevante dello sviluppo del tessuto produttivo è avvenuto per tanti motivi, anche al di fuori del lecito; il modo con cui si pensa di sanare ciò è aberrante e sbagliato e non aiuterà assolutamente le imprese a risolvere i loro problemi.
Questo modo di affrontare le questioni ambientali da parte del Governo lo conosciamo già. Nelle prossime settimane ci troveremo a discutere in questa stessa aula in merito al provvedimento presentato dal Governo in materia di grandi infrastrutture; quando lo faremo, assisteremo ad un altro modo assolutamente sbagliato di fronteggiare le questioni strutturali del nostro paese, senza tener conto dei reati e di come risolvere le questioni ambientali. Ci troveremo ad affrontare questioni di controriforma in materia di valutazione di impatto ambientale.
Anche in questo caso, ci troviamo di fronte alla stessa filosofia; in quel provvedimento, infatti, c'è una sorta di doppio binario, da un lato, le grandi opere che interessano il Governo e, dall'altro, una grande maggioranza di provvedimenti con i quali si confrontano i cittadini ogni giorno. Nello stesso modo, in materia ambientale siamo di fronte, ancora una volta, ad una sorta di doppio binario.
Vorrei ricordare che in questo paese migliaia di imprenditori hanno ristrutturato le loro imprese per far fronte alle normative ambientali; hanno investito, risanato i loro cicli ambientali; hanno messo in regola le loro imprese non solo con la legislazione italiana ma anche europea.
Questi imprenditori oggi sono profondamente penalizzati, dal punto di vista della concorrenza, dal disegno di legge in esame; gli imprenditori che hanno investito, infatti, si troveranno sullo stesso piano di coloro che, invece, hanno inquinato, devastato il territorio italiano, hanno fatto il bello e cattivo tempo, in assoluto spregio della legislazione ambientale italiana.
Ci troviamo, pertanto, di fronte ad una sorta di mostro che lede gli stessi diritti della concorrenza. Questo provvedimento viene presentato in un paese in cui il reato ambientale è caratterizzato non solo da aspetti assolutamente particolari molto diffusi ma da connotazioni completamente diverse.
Uno dei punti maggiormente controversi dell'articolo 2 è che esso non distingue una serie di reati. Non è infatti un caso che la stessa relazione di maggioranza in Commissione ambiente prescriva


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una serie di «attenzioni» molto particolari, dal momento che il provvedimento, sotto tale profilo, non è assolutamente chiaro.
Vorrei citare alcuni aspetti: ad esempio, l'articolo 2 non definisce quale sia il reato ambientale. La fattispecie di reato ambientale è molto ampia: infatti, un discorso a parte va fatto per l'edificazione abusiva, ovvero quella che lede un piano regolatore generale. In molte parti del nostro paese sono state costruite aziende e impianti produttivi al di fuori dei piani regolatori generali. Come si sanano queste violazioni? Da quale data? Quale fattispecie? Questo non è detto, non si sa, non si comprende.
Secondo aspetto: sono da considerarsi reati ambientali tutti quelli - altre fattispecie - che attengono all'inquinamento dell'acqua, a quello dell'area, al fatto, cioè, che imprenditori disonesti non si siano messi in regola rispetto alle normative previste, adottate, vorrei ricordarlo, non soltanto in attuazione di direttive di carattere nazionale ma anche di carattere comunitario. Sotto tale profilo, vorrei ricordare soprattutto le direttive esistenti, a livello comunitario, in materia di acqua e di aria.
Terzo aspetto: quale tipologia di azienda? Possono equipararsi un impianto di notevoli dimensioni operante nel settore chimico e una piccola azienda? Vedete, onorevoli colleghi, provengo da una realtà nella quale è in atto un grande processo. Un grande provvedimento di carattere penale sarà emblematico per l'intero territorio nazionale, ovvero il grande processo intorno ai fatti riguardanti il petrolchimico di Porto Marghera. Vi è stato, in quell'occasione, un inquinamento dell'aria, dell'acqua, con la morte di centinaia di operai nel corso di questi decenni.
Ebbene, alla luce di tale provvedimento, la cui efficacia nel tempo appare incerta, dal momento che non sappiamo da quando decorra e fino a che tempo arrivi, processi come questi, simbolici per il futuro di un paese civile, quale futuro avranno? Infatti, in questo disegno di legge non è chiaro a quale tipologia di azienda si faccia riferimento: a piccole imprese? Al nord, al sud, o al centro? O al grande impianto chimico? Si pensi che, spesso, l'inquinamento non è frutto della singola azienda, bensì, quando si parla di reato ambientale, di sistemi di aziende. E, come è noto, quando parliamo ad esempio di impianti chimici, non ragioniamo di un singolo «blocco» industriale. Probabilmente, chi ha scritto la normativa non ha presente - forse non ne è a conoscenza -, ottenebrato dal punto di vista fiscale, l'approccio ambientale a questi provvedimenti.
E ancora: la decontaminazione di una parte dei suoli del nostro paese. Vi è, all'interno dell'articolo 2, un riferimento che rimanda ad un ulteriore provvedimento da parte del CIPE. Ebbene, chiedo, in particolare al ministro Matteoli, che cosa aspetti ad illustrarci il piano per il disinquinamento e quello per le bonifiche. Stiamo attendendo in gran parte d'Italia che il ministro dell'ambiente ci illustri tale provvedimento e che, in particolare, ci dica quali investimenti vengono previsti, all'interno della legge finanziaria, per far fronte al disinquinamento di una parte dei suoli contaminati in altre epoche e quale impatto, infine, tale provvedimento abbia rispetto ad una parte di vittime in parte residenti nel territorio, in parte lavoratori.
Ora, con riferimento al provvedimento che il CIPE adotterà, di concerto con regioni e comuni, e che è richiesto all'interno di questo disegno di legge, mi chiedo: saranno necessarie delocalizzazioni e bonifiche, a meno che non si pensi che con un'oblazione si risolva il reato ambientale e che poi tutto vada avanti come prima. Ma ad una azienda che poi paga, quali prescrizioni si daranno? Dovrà mettersi in regola? Dovrà fare degli investimenti? Cosa succederà? Dove è scritto? Cosa fa il CIPE? Il CIPE interviene sulla piccola azienda, sulla grande azienda, su quelle di medie dimensioni o su un grande impianto petrolchimico? In base a quali piani? In base a quale dimensione territoriale?
Simili interventi, in zone fortemente antropizzate come quelle del nordest e del


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nord, se non siamo di fronte a vuota propaganda, necessitano di ingenti investimenti per delocalizzare, per mettere a norma e per incentivare gli imprenditori. Penso che questo testo - lo ripeto ancora una volta - sia stato scritto da chi non conosce adeguatamente le questioni ambientali.
Vorrei sottolineare un punto di estrema gravità che viene introdotto nei principi di legislazione ambientale del nostro paese. La nostra legislazione ambientale ha molti difetti, ma se c'è un punto in cui essa è in stretta sintonia con le disposizioni comunitarie, è quello della prevenzione e della tutela dell'ambiente. Il capo II, nonché il capo I, nel momento in cui dicono «paga e sei a posto», disincentivano l'imprenditore italiano ad attuare una politica di tipo preventivo, cioè a considerare la variabile ambientale, nel momento in cui produce o investe, non come una delle tante variabili ma come un fattore determinante. Vorrei sottolineare come una parte rilevante degli investimenti di qualità che devono fare le imprese sia proprio legate all'impatto ambientale e come una parte della stessa ricerca scientifica debba essere legata ad esso. La filosofia di materia ambientale, rispetto a questo, non può essere considerata di secondaria importanza né risolvibile con una sorta di oblazione. Un collega che mi ha preceduto ha sottolineato più volte che non era necessaria l'urgenza: che fretta c'era? Non si poteva studiare una serie di norme inerenti la riconversione ambientale di una parte del nostro apparato produttivo? Ormai, nelle questioni ambientali, non si tratta di essere in regola solo con la legislazione italiana: dobbiamo fare i conti con la legislazione europea, di cui, in questo provvedimento, non c'è traccia. Che relazione c'è tra questo provvedimento e i provvedimenti dell'Unione europea rispetto alla messa a norma delle nostre produzioni (di tutti i tipi) relativamente all'impatto con l'acqua, con il suolo e con l'aria? Quali provvedimenti esistono in materia? Come si affrontano questi problemi? C'è una successiva delega al Governo. D'altra parte, vorrei capire bene a cosa si riferisce questa successiva delega al Governo. In particolare, non mi è chiara la variabile «tempo». Si fa riferimento ad eventuali reati commessi prima della data dell'entrata in vigore di questa legge? Da quale anno? Da quando una fabbrica si è insediata? Questo non è assolutamente chiaro, non si sa. Non è un caso che, anche nel parere espresso a maggioranza dalla Commissione ambiente, sia stato sottolineato questo punto e vi sia una raccomandazione molto forte: non è chiara la decorrenza temporale di questo provvedimento.
Vorrei concludere affrontando molto rapidamente tre questioni. Il Governo ci dica, prima di tutto, quali sono i reati che, in base a questo articolo 2, vengono, in qualche maniera, «estinti» e quali conseguenze l'imprenditore deve trarre per mettersi in regola. Questo è un principio fondamentale: basta il semplice investimento? E poi cosa succede? Quali altri investimenti deve fare? Con quali risorse? E da dove si devono trarre queste risorse? E ancora: in quali parti del paese? Infatti, l'articolo 2 si limita ad affermare semplicemente che non si applica, diciamo così, l'oblazione alle parti soggette a vincoli di tipo ambientale e naturalistico. Da questo cosa dobbiamo dedurre? Che in tutte le altre parti del paese questa normativa viene applicata? Questa, in altre parole, è una normativa «in negativo»? Tutto ciò che non è previsto si può fare? Si dica, perché, chiaramente, anche in questo caso, varia da norma a norma e la situazione e l'impatto variano tra le diverse zone geografiche del nostro paese.
La seconda questione riguarda, come ho detto prima, i termini temporali.
La terza questione è la seguente: vorrei capire come funzioni la normativa a regime. È stato dichiarato che, se non è ben chiaro come funzioni la normativa a regime, ci troveremo ad avere una legge che - come qualcun altro ha sostenuto - «rade al suolo» qualsiasi forma di deterrenza nei confronti dei reati di tipo ambientale.


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Vorremmo, dunque, capire bene se questa legislazione sia una sorta di promessa di impunità: insediate una fabbrica, inquinate e devastate il territorio, non guardate in faccia alle comunità locali, inquinate l'aria, il suolo e la terra, tanto poi è sufficiente pagare una sorta di oblazione per tornare ad una posizione regolare. È una sorta di promessa di impunità per gli inquinatori del nostro paese? Se così fosse, abbiate il coraggio di dirlo di fronte ad un paese che, faticosamente, ha cercato di uscire dai disastri ambientali ai quali è stato sottoposto nel corso di questi decenni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, un grande economista del passato ha scritto che, quando una proposta di legge proviene da operatori del commercio e dell'industria, deve essere sempre ascoltata con grande precauzione e non deve essere approvata se non dopo essere stata lungamente e diligentemente esaminata con scrupolosissima e sospettosissima attenzione, in quanto proviene da un ordine di uomini che, in generale, hanno un interesse ad ingannare ed anche ad opprimere il pubblico e che, in molte occasioni, l'hanno ingannato ed oppresso.
Queste parole mi sono affiorate alla mente riflettendo sulla natura del disegno di legge al nostro esame e di altri provvedimenti, oggetto di dibattito e di scontro in Parlamento e nel paese, che si distinguono per la difesa di interessi particolari piuttosto che per la cura di interessi generali, fino al punto da trattare in modo disinvolto anche i problemi di copertura finanziaria.
In effetti, uno dei punti deboli fondamentali di questo disegno di legge è rappresentato proprio dalla copertura finanziaria. Gli oneri stimati del provvedimento ammontano complessivamente a 2.783 miliardi, di cui 2.245 relativi agli incentivi fiscali per gli investimenti e lo sviluppo - la cosiddetta Tremonti-bis - e 538 relativi alla soppressione dell'imposta su successioni e donazioni. Quest'ultima previsione non è coerente con i documenti di bilancio e con il disegno di legge di assestamento, in cui le entrate previste dalle imposte su successioni e donazioni a legislazione vigente vengono valutate in 1.892 miliardi. Dunque, vi è già una rilevante sottostima degli oneri del provvedimento.
A fronte di tali oneri, la copertura è affidata, solo per l'11,25 per cento (313 miliardi), ad una fonte certa, il fondo speciale dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Ma il problema vero - il punto debole del disegno di legge - è che per la parte restante, pari all'88,75 per cento degli oneri, si ricorre alle maggiori entrate attese come effetti del provvedimento, ossia ad entrate presunte, aleatorie nel loro ammontare, nel loro verificarsi e nei tempi nei quali, eventualmente, si verificheranno.
È vero che il ricorso a questa forma di copertura non è vietato dalla normativa, ma è altrettanto vero che la sua ammissibilità è subordinata ad alcune condizioni che hanno l'evidente finalità di procedere a valutazioni prudenti e con un buon grado di fondatezza.
In primo luogo, il ricorso a questa fonte di copertura deve avvenire per importi limitati; inoltre, le previsioni di maggiori entrate devono fondarsi su stime nazionali, devono essere il risultato di ragionamenti dotati di coerenza logica e di sistematicità; infine, le previsioni devono essere coerenti con i documenti di bilancio.
Nel caso di specie, nessuna di queste condizioni viene, in realtà, rispettata. Il ricorso agli effetti indiretti del provvedimento riguarda, come si è detto, la ragguardevole cifra di 2.470 miliardi, ossia quasi il 90 per cento degli oneri.
Le previsioni di maggiori entrate si fondano, in gran parte, sull'assunto che l'incremento degli investimenti tendenziale, cioè a legislazione invariata, sia pressoché nullo: è questa una palese forzatura, che serve a considerare ogni futuro incremento degli investimenti come derivante esclusivamente dal presente provvedimento;


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un'evidente artificio utilizzato per gonfiare gli incrementi di gettito da imputare agli effetti di questo disegno di legge; un misto di presunzione e leggerezza, se si pensa che la stessa Banca d'Italia ha previsto che gli investimenti per l'industria in senso stretto cresceranno, a legislazione vigente, ad un tasso del 3 per cento e se si pensa che nel 2000 gli investimenti sono cresciuti del 6,1 per cento.
Anche le norme per incentivare l'emersione presentano un problema analogo. Benché le entrate previste in questo caso non vengano utilizzate come copertura degli oneri del disegno di legge, la loro valutazione è assai rilevante, in quanto esse vengono destinate al riequilibrio dei conti pubblici. Ebbene, il disegno di legge assume l'ipotesi di corrispondenza tra redditi da lavoro emerso e redditi delle imprese, ma non stabilisce alcun limite inferiore al reddito dichiarato, per cui sono prevedibili comportamenti tendenti a ridurre l'imponibile ben al di sotto di ciò che il disegno di legge si aspetta; né quei comportamenti si possono prevedere attraverso indagini statistiche: essi non sono statisticamente rilevabili perché è la legge stessa che, non prevedendo un limite minimo per i redditi dichiarati, può indurre i suddetti comportamenti; e poiché ne conseguirebbe una riduzione del gettito previsto, siamo qui in presenza di una seria sopravvalutazione delle entrate.
Inoltre, così come è costruito, il capo I sull'emersione non garantisce che non si presentino, in futuro, fenomeni di rientro nell'irregolarità una volta superato il periodo di vigenza degli incentivi. A questa osservazione, il Governo ha replicato, in Commissione bilancio, che sarà avviata una campagna straordinaria di contrasto. L'affermazione è curiosa e sorprendente se si pensa che le norme in esame dovrebbero rendere non conveniente l'irregolarità e che la garanzia contro l'indicata eventualità dovrebbe essere contenuta proprio nei meccanismi della legge stessa; se così non è - tanto che ci si impegna ad una straordinaria campagna di contrasto - c'è qualcosa che non va nella legge: questo qualcosa si riflette anche sulle previsioni di entrata, che si rivelano, quindi, fragili ed aleatorie.
È appena il caso di aggiungere - altri colleghi l'hanno già fatto - che la nuova situazione internazionale costringe gli analisti a peggiorare le previsioni sull'andamento dell'economia mondiale. Tutta l'enfasi davvero eccessiva che il DPEF poneva sul futuro miracolo economico pronto a sbocciare alla luce dei provvedimenti di questo Governo deve essere necessariamente ridimensionata. Certo, i tragici fatti dell'11 settembre e le loro conseguenze sui comportamenti economici non erano prevedibili; ma il problema è appunto questo: che situazioni e circostanze imprevedibili potrebbero produrre effetti depressivi sulla crescita dell'economia, che, a loro volta, si tradurrebbero in un peggioramento delle previsioni di gettito di questo disegno di legge. Ciò dimostra che è pericoloso ed imprudente far dipendere la copertura finanziaria del provvedimento da effetti incerti che il provvedimento medesimo dovrebbe produrre sulle variabili economiche.
In sintesi, i ragionamenti e le valutazioni che dovrebbero sostenere le previsioni di entrata sono privi di fondamento e appaiono costruiti ad hoc, in modo disinvolto, con l'obiettivo di ottenere esattamente quelle previsioni. La stessa Commissione bilancio (la maggioranza della Commissione bilancio), in realtà, afferma ed argomenta, nel suo parere, che la copertura finanziaria nel disegno di legge non c'è, anche se poi, arrampicandosi sugli specchi e stiracchiando i ragionamenti, riesce a tirare fuori un parere positivo. Ma c'è poco da girare, c'è poco da mettere in piedi ragionamenti involuti: se la Commissione bilancio sostiene, nel parere, che c'è bisogno di adeguate forme di verifica e di riscontro dell'impatto finanziario del provvedimento, ciò significa che la copertura finanziaria non c'è.
Chiedere forme di verifica e di riscontro a posteriori è un altro modo per dire che la copertura non c'è da parte di chi non vuole dirlo in termini espliciti. Se la copertura ci fosse, che bisogno ci sarebbe


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di invocare un riscontro a posteriori (che, semmai, è necessario ed inevitabile sempre)? La Costituzione chiede proprio che la copertura finanziaria sia reperita a priori.
Per queste ragioni, noi solleviamo una pregiudiziale di costituzionalità del provvedimento perché in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione. Ma, aldilà delle analisi di dettaglio, mi chiedo da che cosa nasca una così evidente debolezza nell'individuare le fonti di copertura di questo provvedimento. Mi chiedo perché il Governo non ricorra a fonti di copertura molto più certe, o, almeno, un po' più certe dei presunti effetti del provvedimento. La risposta, naturalmente, non è sul piano tecnico ma rimanda alle finalità politiche del disegno di legge. Io credo che anche per il Governo sia politicamente difficile ricorrere a mezzi interni di copertura, cioè alla riduzione di altre spese o a fondi speciali, per finanziare provvedimenti di questa natura, che hanno questo segno politico. Mi riferisco, in particolare, alla soppressione dell'imposta di successione, ma in realtà anche agli incentivi per gli investimenti (la cosiddetta Tremonti-bis). La legge sulle successioni - è stato già affermato da alcuni colleghi - è un regalo ai ricchi; dopo che il Governo di centrosinistra ha soppresso l'imposta per i patrimoni di minore dimensione, è difficile convincere chiunque che questo sia un provvedimento necessario per agevolare le trasmissioni di patrimoni a titolo gratuito o che sia l'unico modo per ottenere questo scopo. Ancora più difficile è convincere che questo provvedimento rientri nei canoni del liberalismo, in quanto il più limpido pensiero liberale ha sempre considerato l'imposta di successione come uno strumento di redistribuzione della ricchezza, per mitigare la disuguaglianza dei punti di partenza tra chi nasce povero e chi nasce ricco. Questo provvedimento va in direzione esattamente opposta: rappresenta, sì, una forma di redistribuzione della ricchezza, ma a favore dei ricchi. Per questo è difficile, anzi, è francamente indecente intaccare fondi destinati ad altre finalità per coprire gli oneri di un tale provvedimento. Intendiamoci, il disegno di legge del Governo lo fa, ma lo fa parzialmente quando destina parte del fondo speciale del tesoro alla copertura degli oneri per la soppressione dell'imposta di successione per 313 miliardi. Ad un certo punto si ferma; dopo avere prosciugato totalmente i fondi di alcuni ministeri per il 2003 - giustizia, istruzione, interno, trasporti, lavoro, eccetera - si rivolge per la parte restante alle presunte entrate derivanti dagli effetti del provvedimento.
La Tremonti-bis naturalmente ha un carattere diverso, nel senso che non possiede quel contenuto marcato di ingiustizia sociale che ha la soppressione delle imposte per le successioni e le donazioni. Tuttavia, anche questo provvedimento ha un carattere di parzialità. Infatti, la Tremonti-bis è incompatibile, sopprime il credito di imposta previsto per gli investimenti nelle aree svantaggiate del paese; si elimina così un provvedimento rivolto specificamente al Mezzogiorno per sostituirlo con uno strumento di validità generale che cancella una misura di discriminazione positiva verso le aree svantaggiate. Nel DPEF il Governo ha sparso fiumi di retorica per il Mezzogiorno; ebbene, uno dei primi provvedimenti del Governo, anzi, lo sbandierato provvedimento dei 100 giorni, intanto azzera le politiche selettive rivolte al mezzogiorno e alle regioni deboli.
Per questa ragione, anche in questo caso, sarebbe politicamente poco sostenibile finanziare gli oneri con mezzi interni, per cui gli oneri della Tremonti-bis vengono posti integralmente a carico degli effetti indiretti del provvedimento per ben 2.245 miliardi. Quindi, in totale, su 2.783 miliardi di oneri quasi il 90 per cento viene coperto con maggiori entrate presunte, con l'aleatorietà ed i rischi che ne conseguono. Di fronte a questo massiccio ricorso ad entrate incerte, di fronte ad una base di calcolo incoerente ed infondata, ci troviamo in una situazione di rischio notevole, perciò il provvedimento è da respingere non solo per ragioni di merito ma anche per le carenze di copertura che,


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d'altra parte, trovano la loro origine ultima nelle scelte politiche che stanno alla base del provvedimento stesso.
Infine, vorrei richiamare, nuovamente, le parole di quel grande economista che ho citato all'inizio, che non è Marx e non è neanche quel fior di rivoluzionario di John Stuart Mill, al quale piacevano tanto le imposte di successione; si tratta, niente meno, che di Adam Smith, il padre del liberismo, le cui parole dovrebbero suonare monito a quei liberisti nostrani i quali credono che il liberismo non sia altro che una strada sgombra per i loro affari (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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