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TESTO AGGIORNATO AL 21 GIUGNO 2001
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi, il 13 aprile del 1996, a Torino, ella, signor Presidente del Consiglio, si chiedeva se la vittoria dell'Ulivo avrebbe mai più consentito libere elezioni. In questi anni, esponenti della sua coalizione hanno continuato a gettare ombre su quel risultato, a contestare la legittimità dei Governi che si sono succeduti con la fiducia del Parlamento, a contrapporre le maggioranze elettorali a quelle delle Camere, in definitiva, a delegittimare il nostro sistema democratico, considerato quasi un regime per lo più, e per di più, controllato dai comunisti. Ancora alla vigilia delle elezioni è stato dato un allarme contro possibili imbrogli. Ora, a distanza di cinque anni, lei, regolarmente, ha vinto le elezioni senza l'assalto di nessuna Bastiglia: siete legittimamente al governo del paese e noi, diversamente da voi, correttamente lo riconosciamo. Ma una domanda è d'obbligo: qual è ora il vostro giudizio sulla nostra democrazia? Come intendete rapportarvi ai suoi valori - che sono valori della Resistenza e della Costituzione - ed alla sua storia?
Non si tratta di una questione accademica: da questo giudizio prende senso ed orientamento l'azione di governo. Riconoscere la continuità dei principi ispiratori, ed anche il metodo, significa, per esempio, spogliarsi dell'eccessiva enfasi che induce alcuni - con la vittoria del Polo - ad immaginare l'avvento di una nuova alba.
Non è cominciata nessuna nuova era; è soltanto giunta al termine, al culmine, sia pure in modo ancora incerto ed inadeguato, quella democrazia compiuta che ella ha evocato nel suo discorso e che è stata coerentemente perseguita in questi decenni dai leader democristiani - da Alcide De Gasperi ad Amintore Fanfani, ad Aldo Moro -, operando per un progressivo allargamento dell'area democratica per conciliare appunto tutte le forze politiche, anche quelle antisistema, con i valori occidentali. Ma dietro quella concezione, dietro quella linea politica vi era l'opposto di quello che ha ispirato finora la cultura politica del Polo: essa mirava,
infatti, ad includere, non a ricacciare indietro, a far superare mitologie, non ad etichettare, bollando di comunisti chi già più non lo era. Anche sotto questo profilo, il giudizio storico e politico della nostra democrazia e delle forze politiche sul modo in cui consolidare le basi del sistema democratico richiede da parte vostra una profonda revisione. Ne ricaverebbe vantaggio anche il suo Governo, perché credo che lei sarebbe lieto di rappresentare una grande Repubblica - qual è l'Italia -, socialmente ed economicamente affermata, aperta alle grandi potenzialità, saldamente ancorata all'Europa, quella che abbiamo costruito in questi anni, e non, invece, un paese dal profilo basso, quale avete configurato in azzardate analisi politiche.
Le cronache giornalistiche hanno raccontato della buona accoglienza che ella ha avuto nei primi incontri internazionali: ne siamo lieti per lei e per il paese; ma, forse, non è vano ricordare che questo successo è stato ottenuto soprattutto perché lei ha confermato che sulla politica estera vi era la continuità con i precedenti Governi, anche con quelli che erano stati messi in discussione. È questa una scelta giusta, coerente con la politica occidentale ed europeista che per decenni abbiamo perseguito.
Non vi è dunque nulla di nuovo, almeno per questo profilo, nell'impostazione del suo discorso programmatico, se non quella sottolineatura particolare di amicizia con l'America che certo è un pilastro della nostra alleanza occidentale. Ma forse una distinzione va fatta, perché l'alleanza con l'America non può significare l'alleanza con una specifica ed alternante amministrazione: essere amici ed alleati significa saper guardare agli interessi profondi e reali dell'uno e dell'altro continente. Negli anni ottanta noi fummo i primi, e fummo i protagonisti di una decisione fondamentale, quella degli euromissili, per contrastare il folle disegno egemonico sovietico, e cominciò allora la stagione dei negoziati e del disarmo: fu una scelta valida. Allinearsi oggi all'opzione dello scudo militare, con una unilaterale forzatura, può significare, al contrario, riaprire la corsa agli armamenti. Agire di concerto con gli altri partner europei è quindi assolutamente essenziale.
Ritengo giusta la scelta di riconfermare il G8 a Genova e di aprire un dialogo con il movimento antiglobalizzazione. Noi, per parte nostra, siamo pronti a dare la mano che ci verrà richiesta. Ma non c'è da dire molto altro sul programma, perché poco c'è stato detto: attendiamo di comprendere cifre e scelte.
Gli industriali sembrano aver capito che il suo Governo darà una sterzata alla Thatcher o alla Reagan. Ma lei ha detto invece di volersi ispirare all'economia sociale di mercato, che è la nostra cultura, quella appunto della democrazia cristiana europea. Ma questa cultura è cosa ben diversa dal liberismo thatcheriano o reaganiano: e allora, come stanno le cose? Hanno capito male gli industriali o ci si avvia davvero verso una coalizione di stampo borghese, alleata con le grandi famiglie, quelle che stanno sempre, coerentemente, con i Governi che si succedono?
Ma ci sono alcuni silenzi che pongono seri interrogativi: il fugace accenno al sud non dimostra la consapevolezza necessaria della sua centralità proprio per cambiare l'Italia. La stessa struttura del suo Governo prescinde dal Mezzogiorno, per settori decisivi: vi sono uomini e donne di valore nel suo Governo, ma non c'è nessuno che si sia misurato con le problematiche, la storia e la cultura del Mezzogiorno.
Nel suo discorso ella, signor Presidente, ha orgogliosamente respinto ogni sospetto di subordinazione degli interessi del paese a quelli personali. Io posso dargliene atto, ma il problema è diverso ed è decisivo di una concezione liberaldemocratica e riguarda l'antica questione della differenza che c'è tra il governo degli uomini e quello delle leggi. È così che si costruisce una democrazia liberaldemocratica, è una questione antica che tocca, appunto, direttamente la natura dei sistemi democratici: il problema è aperto.
Un imbarazzato silenzio - ma non voglio insistere - vi è anche su quel doppio giuramento, che non è solo folklore ma una ferita grave allo spirito della Costituzione.
Su un punto solo del suo intervento è stato preciso ed è sul presidenzialismo, ma se si vorrà cambiare l'Italia in questo modo non si realizzerà né slancio né governo autentico del paese, perché esso diventerà preda che demagoghi e di populisti, con un Parlamento che si trasformerà, via via, in una corte decorativa del leader carismatico. Non è la democrazia che possiamo auspicare: per esperienza storica sappiamo che, quando i parlamenti declinano, muoiono anche le libertà. Vorremmo, dunque, invitarla a riflettere su questioni istituzionali, e semmai tornare ai suoi antichi e migliori progetti, come quelli del cancellierato, che nel passato sostenne.
Signor Presidente del Consiglio, noi non abbiamo nei suoi confronti, nei confronti del suo Governo, né pregiudizi né preconcetti né ostilità e non faremo - come ha detto il professor Colletti - sempre opposizione a testa bassa. Ma, per favore, non ci assegnate i compiti, anche quelli dell'opposizione, modellando scolastici schemi, quasi lo statuto dell'opposizione, per poi essere semmai sorpresi se non stiamo a quelle regole che avete fissato e parlare di gioco allo sfascio, come è un po' nel vostro costume. Noi operiamo dall'opposizione ma come se dovessimo governare il paese: indicheremo le scelte che ci appariranno giuste, presenteremo alternative, approveremo le decisioni valide della maggioranza o le criticheremo e bocceremo. L'unica cosa che non faremo mai è abbandonare le aule parlamentari.
Ora le auguriamo buon lavoro. Ella è alla guida di una grande e vigorosa democrazia, di una vivace società che, nel rigoroso rispetto alla Costituzione, i partiti democratici usciti dalla Resistenza - diversi ma concordi nel rispetto alla Costituzione - hanno saputo far crescere e prosperare. Il nostro auspicio è che questo cammino, anche con la sua guida, possa continuare (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e misto-Verdi-l'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colletti. Ne ha facoltà.
LUCIO COLLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quello a cui ci accingiamo a esprimere fiducia è, a mio parere, un buon Governo, nella sostanza è quanto di meglio la Casa delle libertà potesse al momento sprigionare dal proprio seno. Un buon Governo che, a sottolineare la serietà del proprio impegno, ha opportunamente accolto nel proprio seno i segretari dei partiti che compongono la coalizione. Si aggiunga il discorso programmatico, intenzionalmente sobrio e contenuto nei tempi, svolto dal Presidente del Consiglio al Senato per richiamare tutti agli impegni dettagliatamente indicati nel corso della lunga campagna elettorale e che si riassumono in un solo grande obiettivo: modernizzare il paese, colmarne il distacco rispetto ai paesi europei più avanzati, accrescendone l'efficienza e la competitività.
A leggere i primi commenti dei leader dell'opposizione, invece, sembra che prevalga una grande delusione. Viene denunciato il vuoto degli impegni programmatici, quasi ci si aspettasse che, entrando al Senato, il Presidente del Consiglio potesse mettere sul banco del Governo un lungo elenco di traguardi già realizzati prima ancora che il Governo fosse nato.
Il Governo per ora è ancora al punto di muovere i suoi primi passi. Per giudicarlo occorrerà dargli il tempo di mettersi all'opera. Questa elementare premessa vige in tutti i paesi democratici e, in base ad essa, ai Governi di nuova formazione viene concessa quella tregua che, a volte, va sotto il nome di «luna di miele».
Da noi, invece, l'opposizione ha già puntato tutti i suoi cannoni, o magari i suoi «cannoncini», alzo zero. Questo comportamento risulta, a dir poco, ingiusto e precipitoso e, se si considerano le prime sortite del Presidente del Consiglio a Bruxelles e a Göteborg, si deve dire che
Berlusconi, pur essendo in un certo senso un esordiente, sulla scena, si è comportato assai bene, in modo accorto e saggio.
Lo scenario che gli si parava dinanzi era quello di una drammatizzazione, a mio avviso anche gonfiata artificiosamente, tra Stati Uniti e Europa, divisi sul trattato di Kyoto e sul progetto americano di difesa spaziale. Dinanzi a ciò, nel proposito di tenere aperta la strada alle trattative, il Presidente del Consiglio ha operato tentando di smussare le tensioni in vista di un'intesa possibile. Ha confermato l'adesione dell'Italia al trattato di Kyoto e, nel ribadire la continuità della nostra politica estera, da sempre imperniata, oltre che sull'impegno europeista, sulla profonda unità di intenti con gli Usa, ha compiuto un gesto di cui forse pochi hanno saputo valutare la reale portata. Intendo il lungo incontro di prima mattina con Blair che, dopo la trionfale rielezione a premier, intende accelerare i tempi dell'ingresso del Regno Unito nell'euro.
Se si considera il rapporto privilegiato che lega da sempre la Gran Bretagna agli Stati Uniti, si capisce anche come l'opera di mediazione svolta da Berlusconi tra Europa e Stati Uniti non si sia esplicata solo a livello delle buone parole e delle raccomandazioni, che lasciano spesso il tempo che trovano, ma si sia manifestata agendo su un fattore reale di raccordo di primaria importanza: il Regno Unito che, sul punto di perfezionare il suo europeismo con l'adesione alla moneta unica, è destinato a diventare sempre più un ponte ed un tramite tra Europa e Stati Uniti.
La verità è che le difficoltà di cui soffre l'Europa sono ben altre e fanno capo all'incapacità - per la divergenza di vedute tra Francia e Germania - di darsi in tempi brevi un Governo, cioè un'autorità politica unitaria, senza di che l'Unione è condannata a restare appesa al centralismo puramente tecnocratico del governatore della Banca centrale europea: un'autorità che ha il potere di vigilare sul tasso di inflazione e quindi sulla stabilità dei prezzi, ma non di mettere in azione le leve dello sviluppo e della crescita economica.
Per quanto riguarda l'Italia, poi, la difficoltà che si prospetta è presto detta. Il patto di stabilità prevede, per il nostro paese, che il rapporto tra deficit e PIL non superi lo 0,8 per cento, mentre - pur facendo scattare il cosiddetto «ammortizzatore automatico» - le tabelle prevedono per l'Italia uno slittamento fino all'1,2 per cento. In termini assoluti, ciò significherebbe di poter chiudere il bilancio con un deficit di 27 mila miliardi contro i 18 mila preventivati dal Governo Amato. Occorrerebbe, quindi, che da Bruxelles ci venisse concessa una deroga, uno sconto di 9 mila miliardi, che consentirebbe di sdrammatizzare le polemiche sul «buco» extra nelle spese e soprattutto di lanciare, come Berlusconi vorrebbe, la politica di sviluppo fin da quest'anno. Ma dalle notizie che trapelano da Bruxelles sembra che non siano previsti sconti per nessuno, tanto meno per l'Italia, dal momento che - si dice - non ci sono le condizioni per allentare i parametri fissati dal patto di stabilità e riconfermati giorni or sono nella riunione dei ministri finanziari europei che si è tenuta a Göteborg in parallelo al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo.
Stando così le cose, il compito per il nostro ministro dell'economia, Giulio Tremonti, si profila certo non facile. Ancora peggio sarebbe poi se lo «sforamento» dei conti pubblici risultasse superiore ai 27 mila miliardi, cosa che, purtroppo, non si può escludere a priori e che è tuttora in via di accertamento.
È probabile che talune misure di solidarietà sociale previste da Berlusconi debbano, in tali circostanze, subire un qualche slittamento.
L'innalzamento delle pensioni minime a un milione, stando così le cose, potrebbe, per esempio, essere scaglionato in varie rate. Ma, se così fosse, consiglierei all'onorevole Rutelli di non premere il tasto polemico a lui consueto delle false promesse elettoralistiche che, al dunque, si volatilizzano e vanno in fumo. Infatti, nel malaugurato caso che queste misure si
imponessero come inevitabili, tutti saprebbero a chi ne andrebbe imputata la responsabilità.
Concludo esprimendo piena fiducia nella composizione e nella struttura del Governo con cui si apre la XIV legislatura e, più ancora, fiducia nel vasto programma di modernizzazione dell'Italia di cui il Presidente del Consiglio si è fatto autore e garante. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente del Consiglio, lei ha promesso con il suo discorso di cambiare l'Italia. Noi la prendiamo sul serio e per questa ragione ci opporremo radicalmente ai suoi propositi ed alle sue iniziative nel Parlamento e nel paese. Infatti, lei propone al paese un programma liberista e prova a sorreggerlo, a consolidare consensi con un'azione populista venata, a tratti, da un integralismo di stampo clericale.
L'Italia ha un grande bisogno di cambiamento, di un'alternativa alle politiche sinora perseguite che hanno tentato senza esito di temperare gli effetti della nuova rivoluzione liberista e capitalistica, la globalizzazione. Ma il cambiamento di cui c'è bisogno è l'opposto di ciò che lei ha prospettato. La Casa delle libertà ha vinto le elezioni perché è riuscita, nella società italiana, a far valere la forza di un modello sociale e culturale: il modello americano; e il suo programma e la stessa compagine governativa parlano di un'operazione importante e complessa, nonché socialmente regressiva e pericolosa: la composizione unitaria di interessi della borghesia imprenditoriale.
Il cambiamento che ci propone è quello di D'Amato e di Agnelli, e a loro garantisce chance importanti di valorizzazione nella competizione globale.
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha individuato un soggetto di riferimento ed un contesto nel quale fargli giocare un ruolo, e attorno a ciò modella la società italiana: l'impresa e la globalizzazione capitalistica.
Ma lei sa bene che, se si rende politicamente interprete di questi interessi, ne penalizza altri ad essi naturalmente contrapposti. Provi a chiedere, signor Presidente del Consiglio, ai familiari di Simone, 23 anni, di Savino e Giuseppe, 46 anni, di Noris, 54 anni, di Marco, 30 anni, cinque morti sul lavoro lo stesso giorno in cui lei parlava al Senato, se condividano l'affermazione secondo cui bisognerebbe abbandonare antiche certezze e sicurezze e spezzare concezioni, come lei ha detto, «statiche, corporative e conservatrici».
Questa affermazione, che ha mandato in visibilio la Confindustria alla vigilia di importanti rinnovi contrattuali, primo fra tutti quello dei meccanici, non può essere condivisa da chi, nel suo percorso lavorativo, è condannato alla precarietà, all'insicurezza, all'incertezza di prospettiva e, persino, alla aleatorietà dei suoi livelli retributivi. Riduzione della tassazione al sistema d'imprese e detassazione degli utili reinvestiti rappresentano un quadro di agevolazioni, sconti e regalie di proporzioni significative e in tali quantità del tutto inedite. È per questa ragione che annunciate nei fatti una riduzione della spesa sociale in sanità, scuola, previdenza attraverso una massiccia ed esplicita privatizzazione di questi settori, ledendo, anche attraverso la sussidiarietà, diritti la cui universalità è sancita dalla nostra Costituzione? Come intendete sorreggere la competitività del nostro paese: attraverso la concorrenza di prezzo dei nostri prodotti, non investendo in qualità e assecondando richieste datoriali di deregolamentazione e contenimento del costo del lavoro?
In Italia ci sono le retribuzioni più basse d'Europa e la Federmeccanica non vuole aumenti di 135 mila lire lorde che rappresentavano una redistribuzione, se pur minima, degli aumenti di produttività!
Con chi vi schiererete, con i padroni delle ferriere o con il milione e mezzo di metalmeccanici? Temo di sapere già la risposta. E noi, invece, vi incalzeremo su interventi legislativi tesi a tutelare il salario: dal riallineamento annuale tra inflazione programmata e quella reale al salario
minimo intercategoriale, al salario sociale per i disoccupati, all'aumento immediato delle pensioni minime e sociali per i 5 milioni e 500 mila pensionati che sono sotto il milione, senza tuttavia penalizzare per questa ragione, signor Presidente, coloro che, con duro e faticoso lavoro, una pensione se la sono maturata o la stanno già maturando.
No, non vi daremo il vantaggio di un'opposizione elitaria o formale. Vi contrasteremo passaggio dopo passaggio, cercando di organizzare quel malessere sociale alimentato da politiche liberiste che, per la loro natura, sono programmaticamente ingiuste e diseguali. Non vi faremo nessuno sconto ogni qual volta l'impianto liberista andrà a contrasto con quello populista; nessuno sconto sul terreno democratico, a partire dall'appuntamento verso il quale stiamo concentrando tutte le energie di mobilitazione: l'appuntamento di Genova. Questa città ha antiche tradizioni democratiche ed antifasciste. Non può essere messa in discussione. È l'appuntamento del G8 che è illegittimo! Siete voi che non avete nessun mandato per decidere sulle sorti del mondo. Chi vi ha delegato? A nome di chi parlate? Perché non si tiene - questa sarebbe titolata - un'Assemblea generale delle Nazioni Unite e si cancella l'assemblea del G8? E comunque la cosa che non potete, non dovete fare è impedire la mobilitazione e la partecipazione democratica in quella città.
Mentre enfaticamente parlate di libera circolazione delle merci e sacralizzate il diritto delle imprese a fare quello che vogliono e mentre parlate di confronto, le città vengono blindate, le frontiere sigillate, i cittadini sequestrati e i manifestanti costretti ad aggirarsi in zone franche, lontani dalle delicate orecchie dei grandi. Non ci provate a dividere i buoni dai cattivi perché, se il grado di cattiveria è misurato dalla radicalità alla critica della globalizzazione, noi siamo cattivissimi.
Risparmiateci - mi rivolgo al suo ministro degli esteri - una ipocrita paternale, totalmente infondata nel merito, secondo cui gli obiettivi dei manifestanti sono gli stessi dei potenti della terra, il cui animo buono è quello di contenere gli effetti più nefasti della globalizzazione. Voi siete i sacerdoti e i custodi della fede capitalistica di quella globalizzazione. A Göteborg l'avete così difesa da sparare a freddo, da mettere a rischio la convivenza civile (Commenti del deputato Armani).
A Genova, signor Presidente, verranno a manifestare i disoccupati, le vittime della precarizzazione del lavoro, non gli ambientalisti di maniera, ma coloro che sono contrari alle grandi opere di cui lei ha menato vanto nel suo discorso, a cominciare dal ponte sullo Stretto di Messina, quelli che lottano contro l'effetto serra, contro la rapina delle biodiversità, di chi vuole mercificare e manipolare la vita, quelli che dal nord e dal sud del mondo si uniscono per una terra sana e di tutti, i rappresentanti degli sfruttati del mondo. Voi siete la causa del loro mali. A Genova voi siete gli abusivi e la ragione e il diritto stanno dalla parte di chi vi contesta.
Signor Presidente del Consiglio, del suo discorso è chiaro il modello sociale di riferimento, è chiara la composizione sociale del suo blocco di consenso. Lei scommette sull'America e sulla globalizzazione. Sembra un'impostazione forte e con il vento in poppa. Ma la globalizzazione presenta uno scenario per nulla stabilizzato, attraversato da instabilità e contraddizioni. E le tensioni sociali che il suo programma evoca sollecitano il conflitto. Noi non le permetteremo nessuna operazione di tregua e pacificazione sociale. Investiamo sul conflitto e proviamo a definire con nettezza un'alternativa di programma e di modello sociale e lavoreremo socialmente e politicamente alla costruzione del cambiamento reale, non dentro lo schema fittizio e asfittico dell'alternanza, ma provando ad investire sui movimenti, da quello antiglobalizzazione a quello dei meccanici, ad investire su una riscossa culturale e di autonomia della sinistra dal paradigma neoliberale; una riscossa che impedisca il ritorno dell'oscurantismo clericale contro le donne sull'aborto e contro il diritto allo studio per tutte e per tutti.
Noi vogliamo costruire una sinistra alternativa nel paese e provare ad articolare un confronto sul modello di società con la sinistra moderata. Per battere il vostro Governo nel Parlamento e soprattutto nel paese c'è bisogno infatti di coraggio e d'innovazione, di una reale opposizione! C'è bisogno, per dirla con una scrittrice sudamericana, Marcela Serrano, di riscoprire la passione, di riconiugare le parole con i sentimenti, di far vivere sin da ora un'alternativa (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ballaman, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
EDOUARD BALLAMAN. Signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, onorevoli colleghi, ci rendiamo conto che è di primaria importanza la definizione dei tempi e dei modi di realizzazione dei punti economicamente più impegnativi del programma, come le grandi opere, la riduzione fiscale, l'innalzamento delle pensioni minime. Per fare questo, però, è necessario prima quantificare l'eredità lasciata dai precedenti Governi.
A tal proposito dobbiamo ricordare che non sarà facile operare quel vero risanamento dei conti dello Stato, ribadendo che, nonostante le privatizzazioni e l'incremento costante delle entrate dell'erario, il debito complessivo si è innalzato da 2 milioni di miliardi nel 1996 a 2,5 milioni di miliardi nel 2001. D'altra parte era evidente che la politica del Governo di sinistra accentuasse ed ingigantisse il suo colore preferito: il «rosso». Dobbiamo quindi ribadire ancora una volta che l'unica soluzione per sanare i conti dello Stato, senza impoverire ulteriormente i cittadini, è quella di ampliare la base imponibile reale favorendo gli investimenti ed i consumi con idonei provvedimenti legislativi che vadano dall'abbassamento delle aliquote al recupero dell'economia sommersa e dei capitali esteri.
Ci sono però delle emergenze che possono e debbono essere considerate immediatamente nei prossimi Consigli dei ministri. Mi riferisco, in particolar modo, alla questione legata all'immigrazione, che vede confrontarsi due richieste apparentemente inconciliabili: da una parte, l'esigenza di legalità e di sicurezza richiesta dai cittadini, dall'altra, la sempre più forte richiesta di manodopera degli imprenditori.
Conciliare queste due richieste, ripeto, solo apparentemente contrastanti, darà lustro all'operato del suo Governo e della Lega nord Padania che per la prima volta e con forza ha sollevato tali problemi, rilevando che l'immigrazione è una risorsa, che diventa minaccia quando è incontrollata; minaccia non solo per i cittadini ma anche per gli immigrati regolari che chiedono la risoluzione di questo problema per non vedersi più criminalizzati. In questo senso dobbiamo prevedere due diverse fasi di attuazione per raggiungere il nostro obiettivo, annullando la minaccia e valorizzando la risorsa. Sì può annullare la minaccia prevedendo risorse umane e mezzi adeguati che controllino non solo i confini ma anche l'intero territorio.
Diventa quindi necessaria per il controllo del territorio una forza di polizia regionalizzata, fortemente regionalizzata, che conosca perfettamente le realtà locali.
Inoltre, per valorizzare la risorsa non lasciando inevase le possibilità di lavoro, dobbiamo reperire fuori dai confini la manodopera, adoperandoci prima di tutto per fare rientrare in Italia tutti quei nostri concittadini residenti all'estero che non sono riusciti a realizzare le loro aspettative lavorative, che non hanno neanche le risorse per rimpatriare e che noi non possiamo e non dobbiamo abbandonare.
Le mie esperienze all'estero possono confermare la presenza di una gran quantità di nostri emigranti che non hanno avuto fortuna e che, anzi, si trovano in gravi difficoltà ed abbandonati a se stessi. Diventa quindi necessaria una politica che sappia valorizzare queste esperienze, riportando sul territorio nazionale uomini e donne che, pur di cercare un lavoro, hanno varcato le Alpi e spesso gli oceani.
Successivamente, sempre per venire incontro alle necessità del settore industriale che continuamente richiede maggiore manodopera, deve essere avviata una politica a favore di un'immigrazione controllata - che lei conosce molto bene - basata su quelle regole ben definite e indicate dal progetto di legge Bossi-Berlusconi presentato nella precedente legislatura.
Alla nostra società non interessa avere mille turchi o duemila tunisini, semmai interessa poter disporre di mille tornitori e di duemila panettieri, indipendentemente dalla loro provenienza (Applausi dei deputati della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gambale, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GAMBALE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, è innegabile che il tema della scuola sia stato al centro di questo confronto politico anche nel dibattito sulla fiducia. Ella, signor Presidente, nella sua replica al Senato, ha chiesto oggi di affrontare questo tema senza faziosità perché non vuole guerre frontali su una realtà che a lei sta molto a cuore; si figuri a noi! Si figuri a noi che abbiamo fatto di questo settore un tema di grande riforma nella precedente legislatura! A tale riguardo, signor Presidente, vorrei affrontare alcune questioni per cercare di aprire un confronto serio e concreto, anche perché si tratta di questioni che interessano milioni di cittadini e di famiglie italiane e, soprattutto, il futuro delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.
Oggi lei ha nuovamente precisato di non voler smantellare la scuola pubblica. Nel ringraziarla per la precisazione, mi permetto di farle rilevare che questo la Costituzione non glielo consente ancora. Potrete certamente cambiare la Costituzione, ma, per il momento, la scuola pubblica è un diritto che essa sancisce.
Lei - e come lei altri esponenti della Casa delle libertà - ha fatto spesso riferimento al tema della libertà nel campo dell'istruzione e della formazione. Per noi la libertà è sempre stata, ed è, un valore di riferimento della nostra azione politica, tanto più quando affrontiamo settori come l'istruzione e la formazione. Consideriamo sicuramente importante garantire libertà di opzione nelle scelte formative, ma per noi affermare la libertà in questo campo vuol dire soprattutto garantire a tutti i ragazzi del nostro paese le stesse opportunità: a chi nasce al sud o al nord, nei centri storici o nelle periferie urbane, nei quartieri difficili o in quelli bene, nelle grandi città o nei piccoli centri di montagna, a chi nasce in una famiglia benestante o in una indigente ed anche a chi una famiglia ancora non ce l'ha. Vogliamo dare a tutti costoro le stesse opportunità, le stesse occasioni di formazione: questa è per noi la libertà.
Don Milani incitava sempre i suoi ragazzi di Barbiana a studiare molto: meno sarebbero stati ignoranti - diceva loro - e più sarebbero stati liberi. È rifacendoci a questo incitamento che, in questi anni, abbiamo posto mano ad un complesso sistema di riforma della scuola italiana, ad una vera e propria riforma di sistema che ha riordinato tutto il settore dell'istruzione nel nostro paese.
Stamattina, al Senato, lei ha ribadito di non condividere lo smantellamento della scuola elementare e media fatto dai Governi di centrosinistra. Non so se conosca nel dettaglio la riforma dei cicli della scuola: noi non abbiamo smantellato nulla, abbiamo semplicemente riformato tutto il ciclo di istruzione. La riforma dei cicli è solo il pezzo che riguarda la scuola elementare e la scuola media. Ma, oltre a ciò, abbiamo elevato l'obbligo scolastico; abbiamo portato l'obbligo formativo a 18 anni, in un rapporto nuovo con la formazione professionale regionale e con il mondo del lavoro.
Sull'impostazione del nuovo ciclo della scuola di base possiamo e dobbiamo aprire un confronto, dobbiamo discutere sui suoi tempi di attuazione, ma non certo della sua abolizione. E poi, cosa vuol dire abolire i nuovi cicli? Lei dovrebbe precisare se intende cancellare la riforma oppure
soltanto un pezzo di una riforma che è più complessa e che ha interessato tutto il sistema di istruzione. Noi non vogliamo distruggere nulla, e lo abbiamo dimostrato. Al contrario, abbiamo valorizzato il meglio dell'esperienza e della tradizione didattica e pedagogica della scuola italiana e, segnatamente, della scuola media, integrandole in un nuovo sistema di formazione, in un unico curricolo.
Certo, vi sono temi che vanno affrontati, come la formazione del personale docente e la nuova contrattazione sindacale sulle nuove figure professionali; inoltre, dobbiamo completare il lavoro sui curricoli. Siamo pronti a discutere anche su questi punti; ma questa riforma fonda le sue radici in un dibattito culturale che dura da più di vent'anni ed è espressione di un processo ormai irreversibile. L'autonomia, il dimensionamento degli istituti, gli istituti comprensivi, la verticalizzazione del sistema sono cose già in atto e difficilmente reversibili, caro Presidente. Non so se sia a conoscenza che sono già in preparazione i nuovi libri di testo, che si stanno già aggiornando e definendo i nuovi curricoli.
Ma anche su questo dobbiamo capirci: i curricoli sono frutto di un lavoro lungo e complesso della commissione dei saggi e della commissione dei duecento, sono stati organizzati con l'apporto anche di esponenti culturali e di intellettuali della Casa delle libertà e, soprattutto, sono stati definiti in pieno accordo con le associazioni competenti. Ad esempio, credo che il curricolo di matematica, formato dall'associazione dei matematici italiani, oppure quello di scienze, od altri ancora, siano il frutto del lavoro dei migliori esperti italiani, al di là del loro colore politico. Vogliamo capire se voi pensiate di crearne di nuovi e migliori, ritenendo di dover smantellare e di buttare a mare il lavoro che è stato fatto in questi anni oppure no. Credo abbiate il dovere di precisare queste cose.
Allora, vi sono problemi per l'attuazione dei cicli a partire dal primo settembre: certamente, alcuni di questi li ha posti anche la Corte dei conti. La invito, signor Presidente, ad affrontare quanto prima la discussione in Parlamento, anche la prossima settimana, nella Commissione cultura od anche in questa Assemblea, ma non metta mano a decreti-legge! Questo significherebbe dare un colpo di spugna ad un lungo lavoro svolto nelle aule della Camera e del Senato: ripeto, un lavoro lungo e complesso nel corso dell'iter parlamentare di una riforma che è di sistema. Non basta e non basterebbe un colpo di spugna a cancellarne un pezzo per fermarla o per mandarla indietro, perché ormai nella scuola italiana è già una realtà.
Mi creda, non glielo permetteremo noi, ma non glielo permetterà la scuola italiana, che in questi cinque anni ha compiuto passi avanti da gigante nella sua competitività, nella sua autonomia, nella sua capacità di iniziative, di impresa, di partecipazione democratica.
Sono fiducioso su una cosa: non ho sentito in questi giorni nessuna dichiarazione da parte del nuovo ministro dell'istruzione, che è persona che stimo; al contrario, ho sentito molte esternazioni dell'onorevole Buttiglione, che purtroppo non vedo seduto in questo momento ai banchi del Governo. Devo dire che l'onorevole Buttiglione esterna un po' su tutto; ogni tanto cerco anche di ricordare che delega abbia nel Governo, perché - ripeto - lo sento esternare un po' su tutto.
È arrivato il momento, però, signor Presidente del Consiglio, di chiarire quale sia il vostro progetto alternativo di scuola, perché finora non le ho sentito dire una parola sui temi dell'edilizia scolastica, dell'innovazione tecnologica, dell'educazione permanente, della formazione continua: sono temi importanti per affrontare anche le più complesse questioni del lavoro. Ho sentito soltanto balbettare qua e là cose diverse contro le riforme varate dal centrosinistra, ma non ho sentito alcun progetto davvero alternativo. Allora, voglio dire che noi siamo pronti, senza faziosità, a continuare un dialogo concreto sui temi concreti: vogliamo migliorare le cose che abbiamo fatto, ma certamente le difenderemo, perché la nostra è stata una riforma di sistema, la prima vera grande riforma
dopo quella Gentile che - voglio ricordarlo in questa sede - Benito Mussolini definì la più fascista delle riforme.
Siamo orgogliosi della riforma Berlinguer-De Mauro, siamo orgogliosi delle cose che il centrosinistra ha fatto in questo settore e che difenderemo in quest'Assemblea (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bornacin, al quale ricordo che ha sette minuti e mezzo di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
GIORGIO BORNACIN. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, devo dire che sono un po' emozionato nel prendere la parola, ma non perché è la prima volta che parlo alla Camera dei deputati; sono stato cinque anni al Senato della Repubblica, sedici anni in un Consiglio regionale, pertanto questo tipo di emozione credo di averla superata da un pezzo. Sono emozionato perché è la prima volta, in tanti anni di militanza politica, che parlo facendo parte di una maggioranza, che parlo da esponente di una maggioranza. Ho sempre fatto l'opposizione, l'ho fatta coscientemente sapendo che nelle regole del gioco della democrazia l'opposizione è importante tanto quanto il Governo, quando la si intende come volontà di costruire, di cambiare, di pungolare maggioranze diverse; e questa opposizione mi ha consentito in questi anni di capire che molto spesso avevamo ragione. Diceva Barry Goldwater, che era un candidato repubblicano alle elezioni presidenziali americane degli anni sessanta, che il dramma della destra è quello di prevedere con dieci anni di anticipo quello che accadrà dieci anni dopo. Noi, purtroppo, non per fare le facce di Cassandra, avevamo capito e previsto dove il centrosinistra, l'ubriacatura della sinistra e soprattutto l'ultimo Governo dell'Ulivo avrebbero portato il nostro paese. Lo abbiamo capito, lo abbiamo spiegato agli italiani, gli italiani lo hanno capito così bene che hanno fatto diventare il centro destra maggioranza.
Adesso, con un largo consenso degli italiani, siamo qui per governare e abbiamo costituito il Governo delle libertà. Coloro che invece non hanno capito che cosa è accaduto, e che vi è una maggioranza di centrodestra pienamente legittimata, sono i colleghi del centrosinistra, i partiti del cosiddetto Ulivo che, ancora oggi, non hanno capito non soltanto di aver perso le elezioni ma che le elezioni sono finite.
Ho letto con attenzione i giornali di ieri e ho avuto il piacere, signor Presidente del Consiglio, di ascoltare la replica da lei resa stamattina al Senato; ho preso atto anche delle reazioni degli esponenti del centrosinistra e degli aggettivi che sono stati adoperati. Questi vanno dal «deludente» dell'onorevole Rutelli - chissà cosa si aspettava - all'aggettivo ancora peggiore dell'onorevole Berlinguer, che rispetto alla riforma della scuola ed alla volontà di cambiare quella approvata dal centrosinistra, che non è una riforma della scuola ma ne è l'affossamento, ha addirittura definito eversivo il discorso al Senato del Presidente del Consiglio. Sembra di essere ancora in campagna elettorale, di riascoltarne ancora i toni, o peggio ancora di essere alla pre-campagna elettorale o alle scorse elezioni regionali; mancano soltanto gli interventi dell'Ottavo nano, di Santoro, di Biagi e di quant'altri, ma il clima che volete ricreare e che non vi siete accorti che è finito è sempre ed esattamente lo stesso. Questi toni, in qualche maniera, devono finire!
Avete definito deludente l'intervento del Presidente del Consiglio di ieri, non accorgendovi nemmeno che nella stessa giornata, all'università di Tor Vergata, il governatore della Banca d'Italia, Fazio, diceva esattamente, per quanto riguarda l'economia, le stesse identiche cose che il Presidente del Consiglio aveva pronunciato al Senato; eppure, avete cercato a lungo di tirare Fazio per la giacchetta e di arruolarlo nella compagnia dell'Ulivo. Ma non vi è riuscito. E allora, se è deludente ciò che
ha detto il Presidente del Consiglio, contemporaneamente è deludente anche ciò che ha detto il governatore della Banca d'Italia, Fazio.
Ecco allora, signor Presidente del Consiglio, che davvero dal suo intervento al Senato e dalle dichiarazioni programmatiche del Governo si rivela appieno la volontà di cambiare. Lei ha detto «siamo qui per cambiare l'Italia» e anche noi siamo qui, come maggioranza, per cambiare l'Italia, l'Italia dell'Ulivo, che non ci piace, l'Italia del centrosinistra, che non ci piace, l'Italia che avete affossato perché, una volta, c'era un'Italia diversa che l'ubriacatura della sinistra, purtroppo, ha portato nelle condizioni in cui si trova oggi.
Apprezzo moltissimo, signor Presidente del Consiglio, la sua volontà di cambiare l'Italia, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture e i trasporti. Lei ha dato coraggiosamente atto al Governo precedente, ai cinque anni di Governo dell'Ulivo, di aver fatto qualcosa (guarda caso, quando l'Ulivo ha fatto ed ottenuto qualche risultato, lo ha ottenuto sempre e comunque con l'apporto dell'opposizione), ma dal punto di vista delle infrastrutture e dei trasporti il vostro saldo è pesantemente negativo e solo negativo. Basti pensare alla cosiddetta variante di valico: ne parlò addirittura - pensate un po' quanta acqua è passata sotto i ponti - l'allora ministro dei lavori pubblici, senatore Di Pietro; sono passati cinque anni e la variante di valico non c'è, solo ed esclusivamente perché gli «ayatollah» dell'ambiente non hanno voluto un'opera così importante per lo sviluppo del nostro paese.
Concludo, signor Presidente, anche se il discorso sarebbe lungo. Va rivisto il Piano generale dei trasporti, che è stato presentato solo ed esclusivamente in campagna elettorale con toni e cifre trionfalistici; va quindi rivinta la battaglia dei trasporti e delle infrastrutture in Italia.
È con questi intenti e con queste motivazioni che apprezziamo, signor Presidente del Consiglio, il suo discorso, il suo intervento, il suo programma, per cui ci apprestiamo a votarle la fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha a disposizione cinque minuti.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio dei ministri, onorevoli colleghi, le linee programmatiche del secondo Governo Berlusconi traggono origine da una lunga meditazione ed analisi che ha trovato in una serie di missioni per cambiare il paese la sua più grande espressione: mi riferisco al progetto di modernizzazione dello Stato e delle sue architetture istituzionali, così come di alcune sue leggi ed infrastrutture; infatti, come lei ci ha ricordato, sono queste alcune delle azioni necessarie per il completo rilancio del paese.
Nella sua relazione programmatica ci ha riproposto la necessità di definire una serie di opere per far decollare il Mezzogiorno; tuttavia, lo sviluppo di questo paese può avvenire soltanto grazie ad una serie di investimenti programmati distribuiti su tutto il territorio nazionale. In primo luogo, la parte politica che rappresento ritiene che servano risposte per il nord e per le infrastrutture che la situazione richiede ormai da decenni.
Il programma di coalizione fonda i suoi presupposti su un equilibrio politico tra forze che rappresentano l'intero paese, quindi il programma di Governo deve creare i presupposti per una pianificazione che sia complessiva ed omogenea e che tenga conto di tutte le realtà territoriali e macroterritoriali. Si renderà pertanto necessario individuare una serie di opere infrastrutturali che abbiano carattere strategico e promuoverle tenendo conto di precise scelte per una politica di livello nazionale e che diano risposte ad altrettanto definite esigenze locali. Dai tavoli decisionali non possono essere escluse le regioni o coordinamenti tra regioni, al fine di garantire lo sviluppo del territorio ad incentivare processi finanziari che coinvolgano anche l'utilizzo di capitali privati;
sto parlando di un regime giuridico speciale denominato «legge-obiettivo», che superi automaticamente gli ostacoli burocratici e la miriade di adempimenti oggi prescritti dalla vigente normativa nazionale e locale per l'approvazione e la realizzazione di un processo complesso, nel rispetto della normativa comunitaria.
Tale progetto innovativo è, secondo i nostri programmi, l'unico mezzo in grado di avviare immediatamente la realizzazione di grandi opere pubbliche nel paese, superando la situazione di emergenza che si è venuta a creare a causa di inconvenienti, blocchi e ritardi che oggi penalizzano il processo di realizzazione delle infrastrutture e bloccano la modernizzazione e lo sviluppo del paese, nonché l'inserimento dell'Italia in quella posizione di avanguardia nell'ambito della Comunità europea che la capacità imprenditoriale, soprattutto delle imprese del nord, ha ampiamente dimostrato di meritare.
Alle regioni ed agli enti locali devono essere trasferite tutte le competenze attualmente esercitate a livello statale in materia di costruzione, di gestione e di ammodernamento delle reti viarie, di opere portuali e canalizzazioni idrauliche, ad esclusione, ovviamente, di quelle che rivestono interesse strategico a livello nazionale. I programmi infrastrutturali devono tenere conto di una pianificazione sistemica, a grande scala, secondo il dominio di influenza territoriale dell'opera con lo scopo di programmare le reti secondo una coerenza complessiva che superi gli attuali limiti territoriali.
Oggi è importante programmare una serie di opere pubbliche di grandi dimensioni, ma è fondamentale che il ruolo degli enti locali e delle regioni sia quello di soggetto attivo, che definisca la viabilità e le opere interconnesse con le grandi opere pubbliche in modo da garantire uno sviluppo organico e mirato a tutto il comparto.
Questo si rende necessario per garantire, come dicevo, uno sviluppo omogeneo. Tutta la viabilità montana e pedemontana, per sottolineare un più corretto rapporto con l'Europa in modo che le Alpi non siano più un ostacolo, e le vie di comunicazione che in Lombardia, in primo luogo, si trovano in situazioni drammatiche - siano sufficienti come esempi la «via Emilia, la «Paullese», la «Cassanese», la «Rivoltana», l'«Asse del Sempione» - sono assi statali che necessitano di opere di ammodernamento e di un loro ridisegno nel sistema infrastrutturale complessivo.
Per quanto riguarda il comparto dei trasporti, va ricordato che la mobilità è stata riconosciuta come una delle più importanti attività umane; considerando che nella società moderna il tasso di mobilità cresce di circa l'1 per cento rispetto alla crescita del PIL, si può facilmente comprendere come i due dati siano strettamente correlati e come la realizzazione di nuove infrastrutture serva per aumentare ed incidere anche sull'incremento di PIL oltre che sulla qualità della vita dei cittadini. Oggi con uno sviluppo non equilibrato e con un aumento sproporzionato di veicoli su gomma si è giunti alla soglia della paralisi della mobilità su strada.
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, le segnalo che il tempo a sua disposizione è terminato. La prego di concludere rapidamente.
ANDREA GIBELLI. Alcuni dati sono a testimonianza di questa situazione. Gli Stati Uniti hanno 35 veicoli per chilometro di strada statale, la Germania circa 80, l'Italia 120, la Lombardia in particolare 190. In sintesi, oggi esiste una vera e propria questione settentrionale per quanto riguarda i comparti delle infrastrutture e delle mobilità. Su questo noi ci impegneremo nei prossimi cinque anni (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).
Chiedo alla Presidenza l'autorizzazione a pubblicare in calce al resoconto stenografico della seduta odierna il testo di considerazioni integrative al mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, onorevole Gibelli.
È iscritto a parlare l'onorevole Rosy Bindi. Ne ha facoltà. Le ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione.
ROSY BINDI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, quasi a dispetto dell'ottimismo e dei toni moderati con cui il Governo chiede la fiducia, il discorso programmatico presentato in quest'aula suona come una noiosa ripetizione di generiche promesse elettorali; un approccio coerente - bisogna riconoscerlo - con un'impostazione politica e istituzionale che dà per acquisito il passaggio ad un sistema presidenzialista e che vorrebbe rendere in qualche misura già superfluo l'attuale confronto parlamentare.
E come ha preteso di vincolare l'incarico affidatole dal Presidente della Repubblica ad una diretta investitura elettorale, così oggi lei pretenderebbe di rendere operativo - con quel «lo faremo» così ripetuto e insistito da suonare come monito - un cambiamento della Carta costituzionale che certifichi non già la normale alternanza di legislatura, ma la presa del potere di forze politiche estranee alla nascita della Costituzione. Con la stessa presunzione sorvola sui contenuti dell'azione di Governo, rinviando tutti noi al contratto presentato in campagna elettorale.
Nel suo intervento, non c'è, in realtà, un'indicazione concreta di come il Governo intenda affrontare i problemi dello sviluppo, della crescita del paese, della sua coesione sociale. Francamente, non ci bastano le indicazioni generiche su progetti in gran parte avviati nella precedente legislatura, come quelli sul federalismo, sull'innovazione e l'informatizzazione della pubblica amministrazione. Ci inquietano, inoltre, gli annunci di controriforma come quelli della scuola, della sanità e del fisco.
Nella vaghezza e contraddittorietà delle parole d'ordine - grandi opere e compatibilità ambientali, riduzione della pressione fiscale e mantenimento dei benefici del sistema previdenziale, sanitario e assistenziale - non è spiegato, per esempio, quali siano le compatibilità finanziarie tra una graduale diminuzione della pressione fiscale e il mantenimento delle garanzie dello Stato sociale. Mi riferisco, in particolare, alla sanità.
Ci fa piacere sentire che lo Stato deve garantire ai cittadini il diritto alla salute a prescindere dalle condizioni sociali. Per questo vorremmo sapere - senza facili frasi d'effetto sull'accesso ai servizi, la qualità e l'umanità dei trattamenti - se il Governo intenda preservare o meno i principi di universalità e solidarietà del servizio sanitario nazionale. Questi principi, infatti, non sono compatibili con il modello sanitario anticipato dal nuovo ministro della sanità in un articolo pubblicato il giorno del suo giuramento e con il programma presentato in campagna elettorale, unici riferimenti di cui oggi disponiamo.
Nell'articolo firmato dal ministro Sirchia si elencano i seguenti interventi: «ridurre la copertura universale gratuita all'essenziale; attivare un'assicurazione contro i rischi della malattia cronica; sollecitare un'assicurazione facoltativa contro i rimanenti rischi». Un modello - aggiunge - che non può prescindere da altri fattori che vengono prontamente indicati: il concorso alla spesa del cittadino, a meno che si tratti di gravi indigenti (e quindi leggasi reintroduzione pesante del sistema dei ticket); l'esistenza di piani assicurativi tra loro in concorrenza, gestiti da enti privati; la progressiva fuoriuscita delle istituzioni dalla gestione dei servizi; la gestione dei servizi sanitari e sociali, perfino quelli dei distretti, appaltata ai privati e la gestione privata o di fondazioni non direttamente pubbliche degli stessi ospedali.
È un modello assicurativo - per inciso mi chiedo se nella soluzione complessiva del conflitto di interesse verrà coinvolta anche la Mediolanum, nel caso in cui questa non intenda rinunciare ai servizi alla salute - che fa perno sulla drastica privatizzazione delle prestazioni e dei servizi, presentata dalla Casa delle libertà con il suggestivo termine di «buono salute». È un modello che non garantisce equità, perché discrimina in base alle possibilità
economiche dei cittadini che potranno tutelare la propria salute solo in ragione del premio pagato e delle condizioni in cui versano. Nessuna assicurazione è in grado di coprire dal medico di famiglia al trapianto. È un modello che non garantisce la libertà di scelta perché le assicurazioni permettono l'accesso solo a quei servizi ed a quei professionisti con cui concludono i contratti.
Oggi il servizio sanitario nazionale permette il libero accesso di qualunque cittadino a ben 1.600 ospedali pubblici o privati accreditati. Nessuna assicurazione potrà avere una rete di fornitori così ampia, tanto meno se verranno privatizzati i servizi. Il modello prospettato ha costi di gestione molto più onerosi del servizio sanitario nazionale e non conviene neppure sotto il profilo finanziario. È stato calcolato che, nei sistemi assicurativi, il 28 per cento della spesa sanitaria viene trattenuto dalle compagnie di assicurazione, per rientrare dei costi e realizzare margini adeguati. Se anche in Italia le assicurazioni fossero più efficienti, saremmo comunque molto lontani dai costi amministrativi del servizio sanitario nazionale, stimati tra il 6 e il 10 per cento della spesa sanitaria totale. Chi in Europa si è avviato negli anni scorsi su questa strada, come l'Olanda, ha già deciso di fare marcia indietro.
Signor Presidente del Consiglio, come si concilia questo modello con il diritto di tutti, ricchi e poveri, alla salute, di cui lei si è così solennemente impegnato ad essere garante? In realtà la vostra è una finzione linguistica: allora smentisca il suo ministro ed il suo programma elettorale oppure ci dica che, con questa finzione linguistica, sta nascondendo in realtà agli italiani che si vuole privatizzare progressivamente e, quindi, smantellare il servizio sanitario nazionale. Altro che sussidiarietà e federalismo!
Del resto, nel settore della sanità, la devoluzione - per usare un termine caro ai lombardi - è già realizzata, salvo battere cassa quando i conti non tornano per responsabilità dei modelli organizzativi e della cattiva gestione regionale. Sussidiarietà e federalismo, in sanità, per noi equivalgono a responsabilizzare nel vincolo della solidarietà le energie sociali e ad indirizzare le autonomie regionali verso un rafforzamento dei principi unificanti il servizio alla salute.
Siamo ben lontani da una devolution che spezzi il vincolo della solidarietà nazionale, magari invocando l'autonomia organizzativa delle singole regioni e l'abbandono delle responsabilità pubbliche nella tutela dei diritti della persona.
Ma c'è un altro passaggio che lascia margini a dubbi, sul quale vorremmo chiarezza: è quello del rapporto tra medici e aziende sanitarie. Forse si pensa di eliminare il rapporto esclusivo? Forse si pensa di tornare ai tempi in cui i medici facevano la spola tra l'ospedale pubblico, il loro reparto e la clinica privata? Siete così sicuri che la maggioranza dei professionisti chieda proprio questo? E non domandi, piuttosto, la piena attuazione delle norme contrattuali con finanziamenti adeguati, che nel passato sono stati garantiti? Su tale questione, prima ancora dei medici, vanno sentiti i cittadini, gli ammalati, gli utenti del servizio sanitario nazionale che hanno già giudicato positivamente l'introduzione del rapporto esclusivo e che chiedono che vengano applicati lo spirito e la lettera della legge e del contratto, che affidano alla libera professione intra moenia la funzione di abbattere liste di attesa e non quella di servirsi delle liste d'attesa per procurarsi i clienti in attività libero professionale. Ma sono le regioni, del centrosinistra e del centrodestra, ed i direttori delle aziende che devono attuare le norme, perché anche qui c'è da tempo una grande autonomia, rafforzata e ampliata dalla riforma.
Nessuno ha mai negato che i medici fossero dei professionisti, non a caso hanno lo status di dirigenti. Proprio per questo è stato chiesto di fare una libera scelta: o dentro il sistema o fuori del sistema, in attività privata. L'85 per cento - non una minoranza - ha scelto il rapporto esclusivo.
Quella scelta non può essere cancellata se non a danno esclusivo dei malati e di
quei professionisti - che sono molti e sono i migliori - che hanno dedicato la loro vita esclusivamente all'ospedale, all'università, ai distretti sanitari e che per anni si sono sentiti umiliati da una valutazione delle professionalità in base alle ricchezze accumulate nel mercato della salute.
Vigileremo con attenzione sulle prossime mosse e decisioni del Governo, sia sul versante del finanziamento sia su quello dell'organizzazione del sistema.
La sanità italiana non ha bisogno di controriforme, ha bisogno invece di forti finanziamenti, di investimenti, di programmazione, di rilancio dell'immagine e della forza di un grande servizio pubblico. Forse non l'hanno informata, signor Presidente del Consiglio, ma il nostro sistema sanitario non è proprio quello che lei ha descritto! Mi permetto di suggerirle la lettura della relazione sullo stato sanitario del paese, presentata nell'anno 2000, ma relativa agli anni del Governo del centrosinistra. «L'Organizzazione mondiale della sanità» - si legge nella prefazione di Veronesi - «nel suo ultimo rapporto mondiale ci assegnava, relativamente alla capacità di soddisfare equamente i bisogni di cura dei cittadini, il secondo posto tra tutte le nazioni del mondo e il primo in Europa nel rapporto tra il livello raggiunto e quello raggiungibile dal sistema sanitario migliore. Questo ci consente di affermare che l'Italia possiede un'organizzazione sanitaria non solo ben funzionante, ma anche giudiziosa per quanto riguarda l'uso dei finanziamenti».
Vigileremo con attenzione perché non vorremmo che l'Italia, tra qualche anno, venisse declassata agli ultimi posti tra i paesi sviluppati, magari insieme agli Stati Uniti d'America (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, prendere la parola in questo dibattito sulla fiducia al Governo del Presidente Berlusconi è un momento di emozione autentica, che voglio dedicare a tutte quelle persone semplici, a quei cittadini che me l'hanno reso possibile, non solo con il loro voto, ma soprattutto con il loro impegno personale, politico e civile.
Lei, onorevole Berlusconi, ha stipulato un patto con questi cittadini e su di esso ha intessuto il programma di Governo, ma anche ciascuno di noi si deve prendere una parte di corresponsabilità, soprattutto perché siamo - e dobbiamo restare - gli eletti a più diretto contatto con l'opinione pubblica.
Proprio parlando con tanti italiani prima e durante la campagna elettorale - ma anche in questi giorni - non solo è emersa la speranza che questo patto sia rispettato, ma soprattutto è risultato palpabile come sia diffusa la speranza di un cambiamento vero nel funzionamento dello Stato.
Tanti sarebbero i temi che andrebbero qui approfonditi, ma mi limito ad uno solo, quello che ho verificato essere il più sentito da parte dell'opinione pubblica: la necessità di semplificare i rapporti tra Stato e cittadini.
Eredita una ben difficile situazione, Presidente Berlusconi, perché tante volte tutti abbiamo sentito forte il distacco tra esecutivo e Parlamento proprio nel rapporto con i cittadini. Ancora nei giorni scorsi, frequentando un ufficio finanziario, mentre lei affrontava al Senato le tematiche del G8 (ed a questo proposito ho apprezzato il modo con cui ha affrontato il problema, soprattutto per gli aspetti relativi alla parte più povera del nostro globo), ebbene, in quegli uffici finanziari si parlava del contenzioso sui palorci. Non so se lei sappia cosa siano i palorci: sono le teleferiche, quei fili che in montagna servono per portare a valle la legna dagli alpeggi. Ebbene, quanti qui sanno che per ogni filo che supera una valletta con un rigagnolo si deve pagare una tassa e lo Stato è tuttora a caccia di migliaia di alpigiani, potenziali evasori?
Il tutto è in antitesi, ovviamente, con le affermate volontà dei passati Governi di difendere il territorio, la montagna, le
peculiarità locali, ma questa è la realtà, come d'altronde il fatto che oggi acquistare od accorpare un terreno marginale del valore agricolo o commerciale di 50 mila lire significa spendere cento volte di più per oneri burocratici ed obblighi notarili e fiscali.
Sono esempi banali per dire come i cittadini si aspettino un esecutivo capace di semplificare davvero incombenze spesso assurde o fuori dal tempo.
Pensi, Presidente, a tutte quelle società che nei prossimi mesi dovranno fare un atto pubblico, spendendo milioni negli studi notarili - se non cambierà qualcosa - per trasformare il loro capitale sociale da lire in euro, il che rappresenta un puro atto dovuto. Perché? Perché negli Stati Uniti si costituisce una società in un'ora e con 5 dollari?
Pensi alle difficoltà di milioni di imprese artigiane che in questi giorni devono pagare i diritti alle camere di commercio: una circolare ministeriale del 23 aprile, così incomprensibile che ha avuto necessità di un'interpretazione autentica, a tutto danno delle imprese produttive e, forse, solo a vantaggio di una burocrazia asfissiante. Oppure, ricordiamo le pensioni che vengono concesse in acconto sempre, ma liquidate in modo definitivo solo dopo anni e dopo tanti ricorsi.
Onorevole Berlusconi, pensi a come è stato ridotto il catasto, che oltretutto il passato Governo ha voluto aggiornare in Albania, con un'infinità di errori ed imprecisioni, e a quanto gravemente questi sbagli si ripercuotono oggi e si ripercuoteranno in futuro sull'attività di milioni di italiani.
Certo che vanno semplificate le procedure per le grandi infrastrutture, necessarie per la vita e la sopravvivenza di questo paese, ma anche le questioni quotidiane aspettano soluzioni in termini drammaticamente brevi ed è anche su questo che si gioca la credibilità di un Governo che vuole e deve essere di svolta proprio nei suoi rapporti con i cittadini.
Resterà un sogno avere uffici pubblici dove finalmente il criterio seguito per attribuire un aumento di stipendio o di grado sia anche quello del ritmo verificabile con cui vengono evase le pratiche e del trattamento riservato ai cittadini? Eppure tutto ciò - lei me lo insegna - in una qualsiasi azienda sarebbe pura normalità.
Occorre allora sfrondare le leggi che partono da concetti condivisibili, magari anche utili, come la legge sulla privacy, oppure quella sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, ma che poi sono state redatte e, soprattutto, applicate in modo burocratico, complicato, defatigante e con perdite di tempo assurde oppure con vere e proprie limitazioni della libertà. Un esempio: Presidente, lei amava - e spero che trovi il tempo di farlo ancora oggi - prodursi in qualche momento di intrattenimento. Pensi ad un turista straniero che voglia oggi suonare o cantare una canzone in un locale pubblico e alle conseguenti, immediate violazioni delle norme imposte dalla SIAE!
Dunque, su questo tema della semplificazione legislativa non basta solo confermare la fiducia al nuovo Governo, perché anche noi parlamentari dobbiamo assumerci in prima persona degli impegni. Sì, perché se il Governo ha il dovere di proporre soluzioni, noi abbiamo il dovere di renderle velocemente operative e se ci fossero authority da inventare - ma non inventiamole perché ve ne sono già troppe - una sarebbe proprio quella chiamata a salvaguardare le semplificazioni, il dovere di cancellare prima ancora di legiferare, con un sistema di segnalazioni continue e immediate dei problemi pratici, che sembrano piccoli se considerati in termini assoluti - magari visti da quest'aula -, ma che diventano spaventosamente importanti, soprattutto per le categorie più deboli, che non hanno santi in paradiso, oppure per chi vuole operare e non ha tempo da perdere.
Un paese - Presidente - va avanti più spedito se viene lasciato libero di crescere e non viene frenato ad ogni passo, magari anche in quest'aula; e non mi rivolgo ai colleghi dell'opposizione, che svolgeranno in modo corretto - ne sono certo - il loro ruolo, ma al quotidiano impegno che noi dobbiamo assumerci come parlamentari di maggioranza che vogliono essere non meri
strumenti, ma collaboratori attivi, dinamici di questo Governo, in quanto anche noi veniamo coinvolti e messi in discussione nel nostro stesso ruolo.
Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, il nostro convinto voto di fiducia - lo dico con affetto - sia, allora, anche la conferma di un patto di azione tra Governo e Parlamento, entrambi indispensabili per costruire prima di tutto la fiducia di un intero paese riguardo alle sue istituzioni. Un impegno forte dal punto di vista politico, un messaggio politico, quello che ci chiedono gli italiani, e quel mandato che ci è stato dato, con lealtà, con simpatia, con impegno vogliamo onorarlo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata, al quale ricordo che ha a disposizione otto minuti. Ne ha facoltà.
GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, questa XIV legislatura si apre all'insegna di una grave crisi di credibilità delle istituzioni internazionali rispetto alla loro capacità di governare i processi di crescente integrazione economica su scala mondiale.
Le contestazioni e gli scontri di Göteborg testimoniano con drammatica evidenza che su tali temi si sta aprendo un solco tra istituzioni e cittadini e rendono urgente la ripresa di un progetto di costruzione europea maggiormente partecipato e condiviso. L'Unione europea può, infatti, rappresentare una risposta avanzata ai problemi aperti dalla globalizzazione e al tema della sostenibilità dello sviluppo. Dichiararsi europeisti, come ha fatto nel suo intervento il Presidente Berlusconi, significa, allora, condividere un modello di società e di economia basato sulle regole e sui diritti e significa adoperarsi per sostenere tale modello e per farne la base di nuove relazioni internazionali.
Ecco allora che assume piena evidenza il fatto che fare parte dell'Europa, esserne uno dei motori di integrazione e di allargamento, comporta l'assunzione di comportamenti e di linee di politica economica e sociale che vanno oltre il pur fondamentale rispetto di parametri macroeconomici e di bilancio.
Anzitutto, dobbiamo avere chiara consapevolezza che nel modello europeo la coesione sociale assume un valore, anche economico, di assoluta rilevanza; dobbiamo riconoscere che la vera sfida posta dalla globalizzazione è, per noi europei, quella di restare fortemente competitivi, senza rinunciare allo Stato sociale ed al nostro modello di democrazia economica; di più, la vera sfida è quella di dimostrare che queste conquiste possono essere pienamente compatibili con lo sviluppo economico dei paesi emergenti. Credo che il nostro paese non possa sottrarsi a questo impegno, pena rendere vuoto il proprio dichiararsi europeo. Nelle scarne indicazioni sulla politica economica contenute nel discorso del Presidente Berlusconi, mi è sembrato di cogliere segnali quanto meno contraddittori rispetto a questo obiettivo. Affidare alla sola leva fiscale ed alle infrastrutture per la mobilità una crescita economica accelerata ed una crescente competitività del nostro sistema mi sembra riduttivo, per non dire aleatorio.
Dobbiamo raggiungere standard europei nella ricerca scientifica, nei tassi di scolarità superiore, nella struttura del nostro sistema finanziario; dobbiamo completare il processo di liberalizzazione di importanti settori dei servizi e delle professioni; dobbiamo favorire i processi di crescita delle nostre piccole e medie imprese; ma, soprattutto, abbiamo bisogno di proseguire e di intensificare l'opera di allargamento della base produttiva nel Mezzogiorno. La proposta di una generalizzata defiscalizzazione degli utili investiti allarga lo svantaggio relativo di investire al sud e rischia di vanificare l'azione di sostegno legata ai fondi strutturali.
Vedo profilarsi il rischio che, alla fine, in mancanza di coerenti interventi per rimuovere questi vincoli alla crescita di produttività del nostro sistema, tutto si
traduca in un differenziale inflazionistico, utile al raggiungimento di obiettivi propagandistici, ma molto pericoloso per le nostre imprese ed i nostri cittadini.
Da ultimo, non nego sia auspicabile una riduzione dei carichi fiscali sulle famiglie e sulle imprese, ma mi chiedo se il Governo abbia pienamente presente il rischio, anche economico, di uno scambio tra pressione fiscale e livello delle tutele sociali. Siamo un paese che invecchia e che fatica ad accrescere il tasso di partecipazione al lavoro, siamo un paese con una bassa mobilità sociale e con tassi di scolarità insufficienti, siamo un paese che deve fare ricorso a manodopera straniera per reggere tassi di sviluppo non esaltanti: questi problemi sono altrettanti vincoli ad un progetto di sviluppo interamente affidato alla vitalità delle imprese ed alla ripresa drogata della domanda interna.
È su questi terreni che si giocherà gran parte della nostra capacità di crescere e di competere ed è su questi terreni che la nostra opposizione aspetta il Governo per un confronto serrato e costruttivo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dario Galli, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente del Consiglio, signori ministri, onorevoli colleghi, qualche tempo fa, in occasione dell'insediamento del Governo Amato, fummo facili profeti nel dire che quello sarebbe stato l'ultimo Governo di sinistra, non per ragioni particolari, ma per il semplice motivo che la maggioranza degli italiani non condivideva le scelte della maggioranza di sinistra sulle questioni fondamentali riguardanti il nostro paese, l'economia, la sicurezza, l'immigrazione, la famiglia, l'Europa, il federalismo.
Oggi lei, signor Presidente, eredita un paese allo sfascio: la storica capacità degli italiani di arrangiarsi in ogni occasione non deve trarre in inganno. Al di là delle apparenze, delle strade e delle spiagge affollate, l'Italia è un paese malato: il debito pubblico rimane stratosferico, ponendoci ai limiti dell'Europa economica; ogni minimo rialzo dei tassi comporterà immediatamente la necessità di manovre di aggiustamento. La sicurezza dei cittadini è a livelli allarmanti; ormai la maggioranza dei reati non viene nemmeno più denunciata, per l'assoluta sfiducia nella magistratura. Le imprese, al di là delle capacità individuali dei singoli imprenditori, sono sempre più ai margini del grande mercato mondiale, schiacciate tra il costo del lavoro e dell'energia e l'inefficienza delle infrastrutture e della burocrazia dello Stato. La scuola si dibatte tra improbabili riforme e questioni ideologiche sui programmi di storia, diventando al contempo sempre più povera di contenuti e, soprattutto, sempre più lontana dalle esigenze delle imprese e dall'impellente necessità di integrazione europea. La sanità si dibatte tra riforme incompiute e polemiche antiregionali, mentre le file di attesa dei malati si allungano. La riforma federale, così attesa dai cittadini, è finita in una farsa, basti dire che di federalismo fiscale non si è nemmeno parlato. L'immigrazione clandestina rimane assolutamente incontrollata: l'Italia rischia di venire stravolta, in pochi anni, nelle proprie tradizioni culturali e sociali, senza che questo migliori minimamente la condizione dei paesi poveri del terzo e del quarto mondo. La famiglia è oggi assolutamente non protetta, e non per caso l'Italia è agli ultimi posti europei per natalità e invecchiamento della popolazione: zero aiuti, contributi ridicoli per i figli, zero incentivi per la casa. Il carico fiscale: solo il ministro Visco può affermare che sia diminuito, ogni cittadino italiano si è reso conto del contrario. E si potrebbe continuare, avendone tempo.
Signor Presidente, un compito difficile aspetta lei e la sua squadra di Governo: nel suo programma le ricette per riuscire in questo impegno ci sono. Si tratta di un programma dove la Lega nord ha messo molto del proprio: più libertà economica, meno burocrazia, meno tasse; più libertà
per le persone; più rispetto per l'ordine naturale delle cose, la tradizione dei popoli; più rispetto per la famiglia. Su questi valori di base è nata l'alleanza politica ed elettorale, ed è su questi valori che la Lega nord darà il proprio contributo di idee e di energia.
La Lega nord non ha mai cambiato, negli anni, i propri obiettivi, che non sono però certo quelli che per anni la stampa di sinistra ha propagandato. La Lega è nata per difendere il popolo ed il territorio del Nord dai danni e dalle ingiustizie di decenni di centralismo, ma allo stesso modo si è sempre battuta per la libertà di ogni popolo e di ogni singolo uomo. Si evitino quindi facili e stucchevoli battute sui doppi giuramenti: la Lega nord rappresenta una parte importante del territorio italiano, ma è entrata in questa maggioranza per cambiare e migliorare tutto il paese, certamente portando il proprio patrimonio culturale, di visione sociale, di modello economico. Lo sviluppo del Mezzogiorno che, nonostante quello che pensino a sinistra, sta a cuore alla Lega, come quello di ogni popolo, deve passare, secondo noi, attraverso un modello che, nel rispetto della peculiarità territoriale e culturale, si avvicini a quello che ha permesso il grande sviluppo del nord.
Signor Presidente, lei eredita una situazione pesante e difficile. Il buco di bilancio, così abilmente mascherato dalla vecchia maggioranza, peserà subito come un macigno: esso è stato causato da operazioni elettoralistiche, come l'abolizione del ticket sanitario, e non certo dalla spesa sanitaria delle regioni del Nord che, ricordo, resta più bassa della spesa media nazionale. Abbia però il coraggio di applicare con determinazione il suo, il nostro programma, senza dimenticare l'impegno delle riforme istituzionali, soprattutto quelle che i cittadini del nord aspettano come un atto di giustizia. Partendo da nord si riformerà tutto il paese.
L'aspettativa dei cittadini è forte, nonostante la vergognosa campagna elettorale, al limite dell'inciviltà, dei mezzi di informazione pubblici, pilotati dalla sinistra, nonostante che chi governa abbia una maggiore ed ovvia visibilità, il popolo italiano le ha dato un ampio mandato. Noi saremo con lei, signor Presidente, per cambiare il paese e trasformarlo in una terra dove tutti i cittadini possano vivere liberi e felici (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti, al quale ricordo che ha 7 minuti e 30 secondi a disposizione. Ne ha facoltà.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Vicepresidente del Consiglio, signori ministri, onorevoli colleghi, c'è consapevolezza nei banchi della sua maggioranza di partecipare oggi ad un evento importante, tanto atteso in questi anni e che segnerà in futuro la storia politica, culturale ed economica del nostro paese. Mai prima d'oggi, infatti, si è avvertita così forte nell'opinione pubblica la sensazione che si sia definitivamente completata la fase di transizione dalla prima alla seconda Repubblica e che un'epoca di cambiamento e di rinnovamento per l'Italia stia finalmente per cominciare.
L'ansia di progresso, di un nuovo miracolo economico, la volontà di perseguire fino in fondo gli obiettivi del programma presentato nel corso della campagna elettorale si coglie nel suo discorso, signor Presidente, in tutta la sua consapevole fierezza e responsabilità, che solo la pusillanimità di alcuni esponenti della sinistra, sconfitta dalla volontà del popolo italiano, poteva giudicare negativamente.
Il Governo, signor Presidente del Consiglio, non deluderà le aspettative degli italiani. I contenuti dell'azione politica e di governo delineati oggi, che sono poi il portato di un'intensa campagna elettorale, sono concreti e realizzabili, e questo spaventa i nostri avversari, che al Senato hanno reagito in modo scomposto e andando fuori tema.
Proprio le critiche fuori bersaglio della minoranza sono la migliore garanzia per
gli italiani che questo Governo ha iniziato con il piede giusto. È stato uno spettacolo non esaltante, direi quasi ridicolo, osservare ed ascoltare critiche tutte proiettate sui temi del conflitto di interessi, del quale agli italiani importa poco o nulla, o banalità sul maggiore o minore sentimento europeista di questo Governo, che hanno rivelato - semmai ve ne fosse stato bisogno - l'ostilità preconcetta di una opposizione alla quale lei, con grande senso dello Stato, ha ritenuto opportuno lasciare aperta la porta del dialogo, nell'interesse della nazione.
Mi auguro che al livore per una cocente sconfitta elettorale, che non permette ai nostri avversari di ragionare con obiettività, subentri quanto prima, assieme alla rassegnazione di vedere governare la Casa delle libertà per i prossimi cinque anni, la consapevolezza di non dover ostacolare con atteggiamenti inutilmente ostruzionistici il percorso di modernizzazione del paese che questa maggioranza intende attuare e magari terminare nel corso di questa legislatura.
Cinque anni non sono tanti, ma non sono neanche pochi, ed ho trovato nel suo discorso, signor Presidente del Consiglio, numerosi spunti che lasciano prefigurare immediati e proficui effetti dell'azione di governo, soprattutto sul fronte dello sviluppo alle imprese, e quindi dell'occupazione, e su quello della modernizzazione del nostro sistema scolastico e formativo che è alla base di una nazione moderna.
Da meridionale e da siciliano ho apprezzato il riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno, anche se mi sarei aspettato un accenno alla questione siciliana; la Sicilia è una regione che tantissimo ha dato in termini di fiducia e di consenso alla Casa delle libertà, offrendo a tutto il paese l'esempio di una ferma volontà di cambiamento che si è tradotta in un consenso plebiscitario che oggi merita considerazione. È, infatti, necessario mantenere alta l'attenzione e la passione dei siciliani che domenica prossima ripeteranno quest'atto di fiducia verso le ragioni del centrodestra, portando per la prima volta con l'elezione diretta un proprio presidente alla guida di una regione che rivendica con fermezza e con dignità la garanzia di condizioni minime indispensabili in termini di infrastrutture e di risorse finanziarie, per uscire da una situazione di subalternità, che per decenni ha bloccato lo sviluppo, e per poter competere finalmente alla pari con le altre regioni alla crescita del nostro paese.
Sessantuno collegi su sessantuno conquistati in Sicilia nelle ultime elezioni politiche non sono un incidente di percorso, sono la testimonianza di una speranza in un futuro di benessere che il popolo siciliano attende da troppo tempo; è il preludio ad un'altra tappa del percorso di cambiamento della politica che con le prossime elezioni regionali vedrà un governo di centrodestra alla guida della Sicilia, che dovrà trovare giusta considerazione nel Governo fratello di Roma.
Il centrosinistra, quando era al governo del paese - e sembrano secoli fa tanto impetuoso è stato il vento che lo ha spazzato via -, pur avendo avuto in Sicilia un governo amico, non è stato capace di aumentare neanche di mezzo punto il prodotto interno lordo regionale o l'indice di occupazione, perché troppo impegnato a creare occupazione per funzionari di partito con laute prebende nel sottobosco del sottogoverno; oggi però i siciliani sanno che la musica sta per cambiare e che la loro speranza non rimarrà delusa.
Signor Presidente del Consiglio, esprimeremo convintamente un voto favorevole sulla mozione di fiducia; saranno cinque anni esaltanti e pieni di soddisfazioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, in questo dibattito, oltre ai nodi programmatici, dobbiamo fare i conti anche con alcune questioni politiche già emerse nel corso della campagna elettorale: la politica estera, la finanza pubblica, la crisi della sinistra postcomunista. Nel corso della campagna elettorale gli esponenti del centrosinistra hanno affermato che la Casa delle libertà era «impresentabile»
a livello internazionale. L'andamento e la conclusione di recenti incontri internazionali hanno clamorosamente smentito questa affermazione. Questa smentita è avvenuta non solo sul terreno formale, ma ancora di più sul piano della sostanza politica.
Il suo Governo, onorevole Presidente del Consiglio, ha ribadito la continuità della politica estera italiana per ciò che riguarda l'europeismo. Tenendo ben ferma questa scelta, ha avuto il merito di modulare e articolare la nostra politica estera in tre direzioni assai significative, facendo fare un salto di qualità ai rapporti politici dell'Italia con la Spagna, con la Gran Bretagna, con gli Stati Uniti d'America.
La nostra posizione su alcuni aspetti dello scenario internazionale è vicina a quella di Tony Blair perché noi, come gli inglesi, riteniamo che l'Europa non debba rinchiudersi in una dimensione autarchica né contrapporsi agli Stati Uniti. Ciò che è avvenuto in Albania e nel Kosovo ha dimostrato il carattere decisivo dell'alleanza degli Stati europei con gli Stati Uniti.
Il risultato delle elezioni, onorevole Presidente del Consiglio, ha segnato una tappa importante nella battaglia liberale da lei iniziata nel 1994.
Nel 1992-1994, nel nostro paese è stato distrutto non solo il centro, ma addirittura il centrosinistra quale storicamente si era configurato nell'alleanza fra la DC, il PSI e i partiti laici.
Quel centrosinistra fu distrutto per via giudiziaria attraverso un'operazione condotta con grande abilità tattico-militare, segnata da una sostanziale violenza e da una evidente unilateralità. Infatti, essa fu realizzata utilizzando una sorta di «circo mediatico giudiziario» che concentrò la sua iniziativa sul tema del finanziamento irregolare dei partiti. Siccome, però, il finanziamento irregolare, nella molteplicità anche internazionale delle sue fonti e delle sue forme, ha storicamente coinvolto tutti, PCI compreso, ecco che risultano evidenti i termini della forzatura storico-politica e dell'unilateralità giudiziaria che caratterizzano quegli anni. Da qui, la nostra proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta.
Sono certamente molte le ragioni politiche, culturali, programmatiche della crisi della sinistra postcomunista e della sconfitta elettorale dell'Ulivo.
La ragione fondamentale sta nel fallimento dei Governi di centrosinistra, che prima hanno depresso l'economia italiana usando in modo estremistico la leva fiscale per rientrare nei parametri di Maastricht e che poi, dopo i risultati delle elezioni regionali, hanno provocato un buco nei conti pubblici dalle proporzioni assai preoccupanti. Di fronte ad una politica economica schizofrenica, perché condotta a zigzag fra gli eccessi della pressione fiscale, il taglio di investimenti pubblici, la conservazione e la dilatazione dei tradizionali meccanismi della spesa pubblica, i casi sono due: o ci si trova di fronte alla volontà di avvelenare i pozzi prima dell'arrivo al Governo di una nuova maggioranza oppure si assiste ad una grave insipienza tecnica. Scelga l'onorevole Visco quale di queste ipotesi sia la più vera, visto che in questi mesi non ha fatto altro che respingere gli avvertimenti e i rilievi della Banca d'Italia.
Al di là del fallimento delle politiche di Governo, tuttavia, vi è anche una grande questione politica. Alle radici dell'attuale debolezza non solo numerica ma anche politico-culturale della sinistra postcomunista vi è il fatto che essa è una «sinistra dimezzata». Infatti, dagli anni 1992-1994 non esiste più in Italia la sinistra quale abbiamo conosciuto nella storia del nostro paese. Non c'è più la sinistra fondata sulla dialettica ora unitaria, ora conflittuale tra il PCI e il PSI perché una parte di essa, il PCI, ha distrutto l'altra, cavalcando quel giustizialismo che, dal 1992 alla fine degli anni novanta, ha costituito la scelta essenziale, il valore fondante del PDS che era l'erede del PCI. Tuttavia, il giustizialismo storicamente non è un valore della sinistra riformista. Esso appartiene alla destra più conservatrice e, per altro verso, alla storia del totalitarismo comunista.
Questa rottura profondissima operata dal PDS nella sinistra storica del nostro paese non è stata più ricomposta né il dibattito oggi in corso tra i Democratici di sinistra appare in grado di superarla. In primo luogo, tutta una larga parte di questo partito mantiene intatto il giustizialismo giacobino di quegli anni, né alcuna seria revisione storico-politica è stata operata, a parte il tatticismo di alcune commemorazioni. In secondo luogo, il tentativo di Giuliano Amato e di Massimo D'Alema di dar vita ad un partito socialdemocratico, per un verso, è contrastato da almeno metà dei DS e, per altro verso appare fondato su basi politico-culturali molto fragili.
Per la rottura perpetrata nella sinistra, distruggendo una parte tradizionale, per il giacobinismo giustizialista, per una profonda contraddittorietà sul piano programmatico, oggi la sinistra postcomunista è in una situazione di grande difficoltà.
Per queste ragioni di fondo, dal 1994 ad oggi più di tre milioni di elettori tradizionalmente socialisti hanno rifiutato di dare i loro voti ai carnefici della loro storia e della loro comunità politica e si sono riconosciuti nella battaglia di libertà, di libertà civile, politica ed economica che lei, signor Presidente del Consiglio, ha dato fondando Forza Italia e, quindi, ricostruendo il centro liberale e riformista.
Nel contempo, aderendo a questa ricostruzione di una grande formazione di centro, si sono ritrovati in Forza Italia sia milioni di cittadini che nel 1994 sono scesi in politica per la prima volta sia la maggioranza dei cattolici moderati e liberali, i quali non potevano certo accettare che «la vera storia d'Italia» fosse quella tracciata dalla procura di Palermo attraverso il libro pubblicato con quel titolo. La storia politica dei cattolici italiani ha una complessità e anche una nobiltà che non poteva certo essere liquidata associandola addirittura alla mafia: la risposta nel medio periodo di questo mondo è stata di grande spessore, per cui si è ritrovata in Forza Italia, o alleata con essa, una parte cospicua delle forze provenienti dal movimento cattolico. Un significato di grande rilievo, al di là dei dati numerici, è rappresentato anche dalla scelta fatta da molti laici-liberali, come, ad esempio, l'onorevole La Malfa.
Costruendo l'alleanza politica detta Casa delle libertà, lei, signor Presidente del Consiglio, ha anche aggregato su precise proposte programmatiche un vasto schieramento economico-sociale, composto innanzitutto dai «piccoli»: gli artigiani, i commercianti, i piccoli industriali, i professionisti, un settore significativo di lavoratori dipendenti, i giovani meridionali che chiedono una politica di sviluppo.
Da qui parte un disegno di modernizzazione della società italiana. Si tratta del progetto di cambiare l'Italia nei prossimi dieci anni, fondato sul federalismo, sul presidenzialismo, su una vera riforma della scuola, su un piano di grandi infrastrutture, sulla riforma della giustizia, sulla riduzione della pressione fiscale, sulla modifica di meccanismi strutturali che regolano la spesa pubblica, su una maggiore flessibilità dei fattori produttivi. In sostanza, un'autentica rivoluzione liberale fondata sul bipolarismo e, conseguentemente, sulla fine del consociativismo e del continuismo, evidentemente accompagnato dalla civiltà nel confronto tra maggioranza e opposizione.
Per queste ragioni, insieme politiche e programmatiche, le ribadisco, signor Presidente del Consiglio, le ragioni del nostro voto di fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega nord Padania e Misto-Nuovo PSI - Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceremigna, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
ENZO CEREMIGNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho letto ed ascoltato in questi giorni giudizi sulle dichiarazioni programmatiche dell'onorevole Berlusconi che francamente non mi sento di condividere. Alcuni hanno parlato di discorso «ambiguo», altri di dichiarazioni «deludenti».
Onestamente non mi sento di appartenere alla schiera dei delusi: si tratta - concetto più, concetto meno - esattamente di quello che mi aspettavo. Vale a dire di un'elencazione di temi, di «visioni», di premesse e di promesse condite da grossi dosi di luoghi comuni, spalmate da un fitto strato di melassa tranquillizzante, offerte sul piatto d'argento delle affermazioni tanto solenni, quanto banali, sulle magnifiche sorti che il futuro ci riserverà.
Ovviamente, nessun contenuto effettivo e di merito (salvo un paio di aspetti di cui più avanti dirò) poichè mancano, alla fine dell'elencazione delle cose da fare, alcune semplici risposte a semplici interrogativi: come le facciamo, quando, con chi, e soprattutto con quali risorse, e sulla base di quali calcoli? Dove si aggiunge, dove si taglia, cosa si taglia, ovvero come si passa dalla propaganda alla concretezza dell'agire?
Nel discorso del Presidente del Consiglio - allo stato - siamo fermi alla propaganda, cioè alla pratica prosecuzione della campagna elettorale.
Potremmo dire, con l'antico adagio, che «ogni botte dà il vino che ha»; senonché io mi sono anche sforzato di evincere dal testo scritto che ci è stato consegnato quale potesse essere l'asse, la filosofia, il cardine attorno al quale dovrebbe ruotare questa sorta di cambiamento epocale che ci dovrebbe investire nei prossimi cinque, dieci anni.
A ben vedere, vi sono dei protagonisti, individuati come assolutamente centrali e reiteratamente chiamati in causa, blanditi, fatti segno alle più scrupolose attenzioni: e sono le grandi imprese - cioè i grandi imprenditori - il mondo economico, gli investitori antichi e nuovi cui ogni atto di governo dovrà guardare perché - è ovvio - c'è il mercato, c'è la competitività, c'è la globalizzazione, ci sono le nuove tecnologie, insomma, qui ci sono «missioni» da compiere, e non si può mica scherzare... D'altra parte, non si incassa il voto favorevole del senatore Agnelli gratis (Commenti del deputato Floresta), non si incassa il parere favorevole della Confindustria senza pagare.
Mancano, purtroppo, tra i protagonisti di queste dichiarazioni le lavoratrici, mancano i lavoratori del nostro paese. In diciotto pagine di testo stenografico vengono citati come tali, e solo per inciso, una sola volta. Tutte le altre volte sono definiti come «risorse produttive, capitale umano, forza lavoro», vale a dire come puri e semplici strumenti da adoperare e non come attori - neanche comprimari - del presunto cambiamento. Non si tratta - come è del tutto evidente - di una concezione nuova: è esattamente la riproposizione in chiave moderna di un discrimine antico tra chi decide e chi deve eseguire, tra chi è ricco e chi no, tra chi può e chi non può, tra chi deve esercitare il comando e chi deve essere comunque subalterno, in una parola ciò che da sempre ha diviso - e sempre dividerà - una concezione di destra da una concezione di sinistra.
Siamo, onorevole Berlusconi, ancora ai preliminari. Le consiglio, in tutta umiltà, di fare attenzione a non innescare fin d'ora la minaccia di una conflittualità sociale che, allo stato, sembrerebbe già potenzialmente innestata.
Ma vorrei ancora affrontare un altro cardine delle dichiarazioni del Governo, rappresentato dalla grande enfasi posta sul ruolo della famiglia. Un tema sul quale, teoricamente, non si potrebbe non essere d'accordo. Tuttavia avremo modo di capire meglio e con più chiarezza cosa la Casa delle libertà e le diverse anime che la compongono intendano per «famiglia», si tratti della concezione tradizionale, benedetta da santa madre Chiesa, o se farà realisticamente i conti con le scelte più articolate e laiche attraverso le quali molti cittadini e cittadine italiane costituiscono oggi i loro legittimi nuclei familiari. Vedremo, ci confronteremo, voteremo, in modo che il paese liberamente giudichi.
Così sarà anche per gli annunciati capisaldi del proposto grande cambiamento. L'elenco - sempre generico - dei grandi progetti innovatori, delle grandi riforme, della rivoluzione annunciata, in realtà fino a questo momento sembra ancorato ad una sola certezza: stoppare, snaturare,
sfigurare le riforme già in atto. Così il primo atto ufficiale del nuovo Governo è stato un decreto-legge per aumentare i ministri, e dunque snaturare la legge Bassanini.
Si intende affossare il federalismo, bloccare la riforma dei cicli scolastici, fare nel settore della sanità forti iniezioni di privato, contro gli orientamenti della grande maggioranza della nostra popolazione. Naturalmente tutto si compirebbe con l'intendimento di fare di più e meglio, ma intanto si blocca quanto di buono è stato fatto finora, seminando elementi di allarme e di angustia sociale.
Tale programma elettorale ci è stato proposto da una formazione di Governo che ha aggiunto, per la sua composizione e per alcuni personaggi che la rappresentano, nuovi interrogativi, nuove pesanti ipoteche che minano alla base la sua credibilità. Non avrà, dunque, signor Presidente del Consiglio, la nostra fiducia; non avrà la fiducia dei Socialisti democratici italiani (Applausi dei deputati dei gruppi misto-Socialisti democratici italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, onorevole Presidente del Consiglio, sono passati venticinque anni dalla sentenza della Corte costituzionale del 15 luglio 1976 che liberalizzava l'etere: si dava così alle televisioni italiane la possibilità di trasmettere con l'auspicio che il Parlamento individuasse un soggetto amministrativo per le relative autorizzazioni.
Sono trascorsi venticinque anni ed ancora esistono le licenze; quindi, siamo in un regime concessorio e non autorizzativo. La rivoluzione digitale - che è pari a quella della quale lei stesso è stato artefice con l'ingresso della televisione commerciale nel sistema della comunicazione radiotelevisiva italiana - ci consentirà di eliminare quel vincolo, quella physical scarcity, che ha consentito al legislatore di utilizzare lo strumento normativo come una ghigliottina, come uno strumento vessatorio, facendo in modo che l'imprenditore del mondo della comunicazione - al contrario di molti altri imprenditori - fosse ancor più soggetto alla volontà ed alle intenzioni del legislatore e fosse, ancora più di altri, soggetto a decisioni distanti dalla necessità del mercato e dipendenti esclusivamente dalla politica. Quindi, quella dei prossimi anni è un'occasione storica: utilizzare una risorsa - il digitale - per consentire il libero accesso ad essa ed aumentare la platea dei soggetti e la libertà nella comunicazione nel nostro paese.
Rivoluzione digitale significa anche convergenza multimediale. In questo senso, servono investimenti nelle reti, quegli stessi investimenti che altri paesi, molti anni fa, hanno fatto, mentre noi oggi stiamo ancora parlando di un piano delle grandi opere stradali e ferroviarie. Altri paesi, molti anni fa, parlavano delle grandi autostrade telematiche.
Il paese che più di altri condiziona l'economia ed il sistema della comunicazione mondiale - gli Stati Uniti d'America - su questo argomento ha fondato una campagna elettorale, quella di dieci anni fa. Da qui constatiamo il gap tecnologico al quale dobbiamo far fronte, anche con una competition law, quindi, abolendo questa ghigliottina normativa per far sì che si creino le reali condizioni di competizione, che si crei la possibilità di inserire elementi di tutela del consumatore perché ci sia più offerta e più dinamismo nel mercato e vi sia, contemporaneamente, una diminuzione del prezzo e quindi una possibilità di accesso a più utenti, nonché uno sguardo privilegiato all'innovazione tecnologica per avere nuovi prodotti e nuovi servizi, sempre migliori.
Un cenno a parte merita il servizio pubblico radiotelevisivo. La divaricazione competitiva alla quale abbiamo assistito in questi anni ha completamente snaturato il servizio pubblico. La RAI è diventata «generalista» e sempre alla ricerca di quote di mercato pubblicitario. Ciò significa che non è più il cittadino, che non siamo più
noi, che non è più il Parlamento a decidere come debba essere il servizio pubblico, ma i pianificatori delle campagne pubblicitarie. In tal modo, abbiamo espropriato due volte o, meglio, chi ha governato prima di noi ha espropriato due volte i cittadini - i quali risultano essere due volte azionisti del servizio pubblico: perché pagano il canone RAI e perché acquistano i prodotti da questa pubblicizzati -, ai quali viene sottratto tempo che potrebbe essere utilizzato per offrire loro un servizio pubblico.
Sentiamo di dover lanciare un appello, oltre che di formulare un'ipotesi di lavoro: deve essere riaffermata la centralità del Parlamento e, soprattutto, dobbiamo evitare il circolo vizioso di chi fa il servizio...
PRESIDENTE. Onorevole Caparini, il suo tempo è scaduto; la invito a concludere.
DAVIDE CAPARINI. ...ma dobbiamo porci il problema di come debba essere questo servizio pubblico, oltre a quello di chi debbano essere i soggetti che lo gestiscono.
Infine, nutro la speranza che tra dieci anni non sia più necessario coprire gli occhi dei nostri figli davanti alle trasmissioni della RAI: quelle di prima serata come, addirittura, quelle del primo pomeriggio. L'autorità delle telecomunicazioni segnala un dato agghiacciante: prima di entrare nella scuola elementare, ogni bambino ha visto qualcosa come 18 mila scene di violenza! Questo è un dato raccapricciante ed indegno di un paese civile: c'è molto lavoro da fare. Forza, abbiamo il tempo per farcela! (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la coalizione al Governo in Italia ha tre caratteristiche uniche, che costituiscono la palla al piede sua e dell'Italia.
In nessun paese al mondo governa un partito ex fascista, neppure quando vinca la destra. La destra francese, ad esempio, è stata fondata dal capo della resistenza antifascista.
In nessun paese governa un partito ex separatista come la Lega. Si tratterebbe infatti di una contraddizione in termini per qualunque Governo e, ancor di più, per un Governo della destra, perché la destra, in genere, rappresenta con più enfasi i valori nazionali. Altro che bandiera verde padana contrapposta al tricolore!
In nessun paese il capo del Governo è, nel contempo, il rappresentante più influente del potere economico. Ed è questo l'aspetto più grave, perché oggi la libertà non si basa soltanto sul principio tradizionale di separazione dei poteri formali, come nell'ottocento: legislativo, esecutivo, giudiziario. Oggi si guarda ai poteri sostanziali: quello politico, quello economico (ovunque in espansione) e quello mediatico. Che qui, per una congiuntura unica, sono concentrati, in larga parte, nella stessa persona fisica.
Non si tratta di osservazioni polemiche, ma di constatazioni dalle quali partire per una riflessione, perché tutti dobbiamo terminare di fare propaganda e cominciare a fare politica. Fingere, in Italia, che la nostra situazione sia normale è inutile, perché nel mondo si dice e si dirà comunque che «il re è nudo», non sempre con totale rispetto della verità e, soprattutto, non sempre senza secondi fini. Ad esempio, se dall'estero si attacca violentemente il Capo del Governo italiano, come ha fatto l'Economist, si deve ricordare che nel mondo anglosassone esiste una forte ostilità all'unità politica dell'Europa, alla sua autonomia e all'affermazione dell'euro come moneta concorrente rispetto al dollaro. Lo si deve ricordare e si deve temere che gli attacchi si moltiplicheranno perché ormai purtroppo si è individuato nell'Italia, per le sue anomalie appena descritte, l'anello debole dell'Unione europea, il punto dove attaccare per disgregare l'intera Unione.
Queste tre anomalie sostanziali si accompagnano ad un'anomalia giuridica e
costituzionale che aggrava i problemi di libertà. I sedicenti rivoluzionari che volevano abbattere la prima Repubblica hanno infatti demolito, ma non hanno costruito la seconda Repubblica; hanno sostituito dei pezzi ad un'auto in movimento, ma senza adeguare ai pezzi nuovi quelli rimasti invariati. Abbiamo così un sistema elettorale maggioritario che, per la prima volta, ha funzionato pienamente e ha dato al Governo una larga maggioranza parlamentare; ma i sistemi maggioritari (ed è questo il nostro caso) possono dare una larga maggioranza ed un grande potere a chi ha un'esigua maggioranza di consensi nel paese o a chi, considerata l'astensione nel voto, non ha affatto la maggioranza dei consensi. Anche per questo, esiste nei sistemi maggioritari un meccanismo di contrappesi e di garanzie che bilancia il regalo di parlamentari fatto al vincitore. Un meccanismo che la nostra Costituzione, cucita su misura per il sistema elettorale proporzionale, non ha.
Possiamo e dobbiamo correggere rapidamente la Costituzione, adattandola ad un sistema elettorale maggioritario, ma l'anomalia giuridica e costituzionale è l'unica totalmente cancellabile; non credo, infatti, che gli artifici legali possano cambiare radicalmente la realtà. Le tre anomalie sostanziali ricordate all'inizio sono frutto della nostra storia e la storia non può essere cancellata dalle leggi. L'identificazione nella persona del Capo del Governo del potere politico e del primo tra i poteri economici, in particolare, è una anomalia talmente grande che, realisticamente, il suo peso non potrà essere eliminato. Potrà essere ridotto, e su questo si deve lavorare, innanzitutto attraverso una riforma del sistema radiotelevisivo che privatizzi la RAI sottraendola ad un rischio al tempo stesso di sudditanza politica e di deperimento aziendale. Se è vero, come è vero, che qualunque maggioranza politica tende ad influire con successo sui mass media pubblici e che qualunque azienda privata tende ad indebolire il suo concorrente.
In questo contesto, che è amaro, non saranno dunque decisivi i correttivi legislativi, sempre aggirabili, specialmente da chi ha il potere; saranno decisivi i comportamenti. L'Italia si dimostrerà un paese normale se gli ex fascisti e gli ex separatisti romperanno davvero con il passato e non conserveranno tracce di comportamenti fascisti e separatisti; se il Capo del Governo abbandonerà la retorica della «azienda Italia», dimostrandosi consapevole che le nazioni non sono aziende, che non si può gestirle come manager o proprietari, che la politica è, sì, efficienza, ma soprattutto mediazione tra interessi diversi; se tutti noi, a destra come a sinistra, non cancelleremo la storia, e chiuderemo finalmente il circo del nuovismo e del trasformismo, ma la lasceremo alle spalle, per non restare in eterno prigionieri del passato.
Poiché decisivi saranno i comportamenti, decisivo sarà anche, giorno dopo giorno, il ruolo dell'opposizione, che avrà il compito di incalzare questa destra italiana, azzoppata dalle sue anomalie, per spingerla a diventare una normale destra europea. Forse qui stanno le basi di un inedito compromesso storico per il 2000, perché qui si trova un interesse comune a tutti.
Avere una normale destra di governo è infatti interesse dell'Italia, è interesse della destra stessa, ed è anche interesse nostro. Perché anche noi dobbiamo ancora percorrere un tratto di strada per diventare una sinistra pienamente socialista, riformista ed europea. La normalizzazione del sistema politico italiano è per alcuni aspetti speculare, a destra come a sinistra: a una destra normale corrisponde una sinistra normale, e viceversa.
Avremo tempo per ragionare sul futuro della sinistra ovvero di una opposizione che, oggi più che mai, deve essere vitale ed efficace non soltanto per sé, ma per la buona salute democratica della Repubblica. Certamente dobbiamo guardare al passato e agli errori compiuti: finita la campagna elettorale, ad esempio, dobbiamo evitare di insistere su schemi che già ci hanno portato alla sconfitta e che ci porterebbero ad una sconfitta ancora peggiore. La sinistra è ovunque libertaria e sa
riconoscere il moderno autoritarismo. Il moderno autoritarismo prima spiega all'opinione pubblica che la politica è una cosa sporca, usando la retorica, diffusa in tutto il mondo, del qualunquismo e della demagogia populista impersonata in Italia, ad esempio, dal «dipietrismo»; poi spiega che la politica è non soltanto sporca, ma anche inutile, perché ci sono le leggi del mercato e per l'applicazione di tali leggi occorrono i tecnici dell'economia e i tecnici del diritto; non i politici incompetenti: i tecnici dell'economia, ovvero i banchieri, gli economisti e gli imprenditori; i tecnici del diritto, ovvero i magistrati e i funzionari in grado di far rispettare l'ordine pubblico e i contratti. Basta, la politica meno fa e meglio è. I politici si devono occupare di beghe localiste e di risse degradanti.
Il moderno liberismo, diventato così autoritario, dogmatico e intollerante, alla teoria dello Stato minimo accompagna ormai quella della politica minima. Lester Thurow, il politologo americano liberal, aveva capito trent'anni fa dove porta la retorica cosiddetta antipartitocratica. Distrutti i partiti, scriveva, il posto della politica viene occupato da «localismo, corporativismo e lobbismo». Bisogna essere ciechi per non vedere che l'Italia è stata in questo senso una dimostrazione da manuale. Addirittura, quella che è nata come una lobby per difendere i legittimi interessi di una azienda televisiva, si è trasformata, nel vuoto della politica, in un partito di governo. La sinistra italiana, cavalcando giustizialismo, dipietrismo e antipartitismo ha contribuito alla delegittimazione della politica, ma ha tagliato il ramo su cui stava seduta, perché, delegittimata e ridicolizzata la politica, vincono il denaro e la destra; in Italia, come dovunque.
Dobbiamo guardare al passato, ma soprattutto al futuro. Noi non siamo liberisti, siamo liberali (che è altra cosa) e liberalsocialisti. La globalizzazione è una rivoluzione epocale, come lo fu l'industrializzazione. I nostri antenati socialisti coglievano le opportunità dell'industrializzazione, ma lottavano contro i prezzi umani e sociali che essa imponeva per la mancanza di una guida politica: noi dobbiamo fare lo stesso. Quando a Parigi nacque il '68, quei giovani avevano molti torti, furono l'incubatrice di violenze e degenerazioni, ma intuivano il futuro, e aprivano strade di progresso. Ci hanno consegnato un mondo occidentale più libero e giusto; hanno costituito, maturando, una classe dirigente di altissimo livello. Oggi sono probabilmente seduti qui, a sinistra e persino a destra.
Forse, a Seattle, è nato un nuovo '68; è nata la dimostrazione che la politica, dopo la fine della guerra tra est e ovest e il crollo del comunismo, non era affatto morta, si era solo addormentata. A questi giovani non si può rispondere preoccupandosi soltanto dell'ordine pubblico, non lo fece neppure De Gaulle di fronte al '68 parigino. Si risponde cercando le nuove frontiere della libertà e della giustizia sociale: quelle non del novecento, ma del 2000, quelle di un mondo dove il computer ha cancellato i confini nazionali e le distanze. La risposta non può essere provinciale ma, come minimo, europea. Per questo, maggioranza e opposizione devono fare ciascuno la sua parte.
Ci opporremo senza sconti, a partire da questo voto di «sfiducia», per costringere una destra anomala a diventare una destra europea. E in tal modo aiuteremo anche la nostra piena integrazione in una sinistra socialista europea alla quale affidiamo le nostre speranze (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Anedda, al quale ricordo che il tempo a sua disposizione è di 7 minuti e mezzo. Ne ha facoltà.
GIAN FRANCO ANEDDA. Non occorrono molte parole, signor Presidente del Consiglio, per affermare e confermare l'assenso del gruppo di Alleanza Nazionale a questo Governo: assenso che ha radici lontane nel programma insieme predisposto
e quindi condiviso e accettato, nella personale fiducia nel Presidente del Consiglio, nella personale fiducia nei membri del Governo, nella fiducia nella coalizione nel suo complesso, eguale ma sommamente diversa da quella del 1994.
Credo che il discorso potrebbe anche finire qui; potrebbe finire qui se non si agitasse, come sempre, lo spiritello delle indicazioni e delle esortazioni che, tutto sommato, sono quelle che mettono un po' di sale in questo dibattito scipito forse perché scontato. Essendo da molto tempo guarito dalla tentazione di dire tutto, e tutto in una volta, mi limiterò ad alcune osservazioni, senza alterigia, umilmente, perché l'alterigia fu da Seneca definita «il folle male della fortuna eccessiva».
Credo che sull'argomento dell'amministrazione della giustizia debbano essere svolte alcune considerazioni, perché occorre non confondere il peccato con il peccatore. Intendo dire che non debbono essere né toccati né lesi i principi fondamentali di antica civiltà. Ho letto ieri che qualcuno ha detto che siamo dei pigmei sulle spalle di un gigante: per la giustizia è così. Tra questi principi, come lei ha ricordato - ed ha fatto bene a farlo - pur rivendicando la funzione del Parlamento, vi sono l'indipendenza della magistratura e l'obbligatorietà dell'azione penale, pur consci dei limiti e dei difetti che questo sistema crea. Questi principi non possono essere nemmeno toccati per inseguire il mito dell'efficienza e della funzionalità, che non riposa nelle leggi, bensì soltanto nella volontà e negli intenti degli uomini; obbligatorietà dell'azione penale che è - e qui bisogna stare attenti - non ricerca del reato presunto, bensì perseguimento del reato accertato.
La ringrazio, signor Presidente, per aver immediatamente troncato la proposta di amnistia nata al Senato, da un caro amico ed anche collega al ministero, il senatore Contestabile; si trattava di una proposta ardua, difficile da «scalare», una proposta non accettabile, che, credo, Alleanza Nazionale non potrebbe mai accettare.
Se alla volontà del cambiamento volessi attribuire una gerarchia di forza e significato simbolico a quanto lei ha detto, estrapolerei dal suo discorso il seguente concetto: quello in cui afferma che vogliamo un paese nel quale nessuno debba sentirsi cittadino minore, sul piano delle libertà come anche sul piano del benessere e dei bisogni; un paese nel quale, ed è il tema che forse mi è più caro, lo Stato non sia arcigno controllore dei diritti - lei ha detto - bensì arcigno controllore dei doveri e difensore dei diritti. Nella mia terra diciamo che lo Stato non deve avere solo il volto del carabiniere.
Un pensiero, infine, per la mia Sardegna, una terra che credo lei abbia imparato ad amare ed apprezzare, pur con i nostri difetti ed i nostri limiti. La Sardegna ha bisogno di particolari cure ed attenzioni. Come Firenze e Venezia conservano e tutelano tesori d'arte, frutto della fantasia dell'uomo, la Sardegna ha l'obbligo di conservare tesori della natura, frutto dell'ineguagliabile mano di Dio. Ha bisogno però di mezzi per insegnare e per raggiungere sviluppo e benessere; il Governo predisponga strumenti ed infrastrutture per i sardi, e lasci loro, in autonomia, il dovere di utilizzare le risorse.
Confido di essere riuscito ad esprimere in poche frasi i miei sentimenti ed il mio pensiero. In conclusione, vorrei dire che riscattare i sardi, i giovani, dall'umiliante condizione di mendicare un lavoro, è un traguardo esaltante, che da solo vale a riempire una vita (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roberto Barbieri, al quale ricordo che ha 15 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
ROBERTO BARBIERI. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, abbiamo letto con attenzione il testo delle sue comunicazioni; abbiamo cercato con cura analisi, proposte ed anche accenni su quello che riteniamo essere uno dei temi centrali del
paese, un tema politico, economico, civile e culturale: il Mezzogiorno. Non abbiamo trovato pressoché niente! È il complesso equilibrio politico della sua variegata coalizione che non le ha consentito di dare peso adeguato ad un tema come il Mezzogiorno? Speriamo di no, speriamo che sia stata soltanto una dimenticanza comunicativa. Confidiamo che nelle sedi opportune vi saranno analisi e proposte di cui potremo discutere, anche perché siamo convinti che l'Italia sarà quello che sarà il suo Mezzogiorno.
Comunque ci siamo noi, c'è l'Ulivo, c'è il centrosinistra che, anche sul Mezzogiorno, è in grado di produrre una cultura di governo fatta di proposte concrete e di un progetto generale. Del resto, signor Presidente, lei sa bene che nel Mezzogiorno siamo una grande forza di governo. Abbiamo amministrato ed amministriamo province, comuni grandi e piccoli, importanti regioni. Abbiamo, inoltre, la consapevolezza di un importante lavoro svolto in questi anni e che continueremo a svolgere con cultura di governo sui banchi di lavoro che occuperemo.
Vorrei, innanzitutto, ricordare il nostro lavoro sul Mezzogiorno ed i risultati raggiunti. Su questo argomento sarò più puntuale in seguito.
Il nostro lavoro si è svolto in un quadro di azione politica generale impostato su due cardini: il primo è l'opera di risanamento del paese con il suo ingresso in Europa. Nel 2000 il rapporto deficit-PIL è stato dell'1,5 rispetto al 7,6 del 1996. Attendiamo con tranquillità il risultato della due diligence per il 2001. Nel frattempo - cosa non da poco - risanando il paese, la disoccupazione è calata dall'11,6 al 9,6 per cento.
Il secondo cardine è l'affermazione nell'organizzazione dello Stato di un modello federalista ispirato alle migliori esperienze europee, un federalismo basato sui principi di sussidiarietà, integrazione e solidarietà. In questo quadro si è svolta la nostra politica per il Mezzogiorno. Il nostro lavoro ha avuto prima di tutto un'impostazione culturale. In un Mezzogiorno che stava morendo di «troppo Stato» abbiamo immesso il mercato, abbiamo formato un ruolo dello Stato autorevole, indicatore e controllore, non più gestore diretto di affari economici; e sul mercato del Mezzogiorno si sono liberate forze economiche private nuove.
Lei sa bene, signor Presidente, da quale storia usciva il Mezzogiorno: l'erogazione di ingenti risorse finanziarie non connesse a logiche di mercato che aveva introdotto effetti pervasivi e duraturi nei comportamenti economici e sociali, scoraggiando la propensione all'impresa ed alimentando, invece, il ruolo di una perversa intermediazione politica nella distribuzione dell'erogazione e le aspettative di una assuefazione all'assistenzialismo. Noi, invece, abbiamo gestito la fine dell'intervento straordinario e della spesa pubblica indiscriminata, la fine del sistema delle partecipazioni statali, le privatizzazioni delle società e dei grandi enti pubblici economici, la crisi di grandi istituzioni economico-sociali come le banche meridionali, la tendenziale cessazione dei monopoli e la conseguente privatizzazione dei servizi di pubblica utilità, la generale sottoposizione dell'attività pubblica e privata alle regole della concorrenza con decadenza delle politiche interventiste.
Dove eravate nel frattempo, voi della Casa delle libertà, allora del Polo? Dalla parte della tutela del «vecchio». Potrei citare tante operazioni di mercato promosse dagli enti locali territoriali da noi governati che vi hanno visto tutelare il «tutto pubblico», vecchi privilegi e corporazioni. Potrei citarne tante, ne cito alcune: aeroporto di Napoli; cessione di centrali del latte da parte di tanti enti locali (ci sono le delibere dei consigli comunali che parlano chiaro); operazioni sui mercati finanziari internazionali promosse da enti locali.
Spesso lei dice giustamente che capitali internazionali devono arrivare al Mezzogiorno. Noi siamo d'accordo, e crediamo che ciò sia decisivo e vitale per il futuro del Mezzogiorno, ma mi chiedo: si favorisce l'attrazione di capitali internazionali cercando con tutti mezzi, anche con discutibili denunce giudiziarie, poi puntualmente
archiviate, di impedire l'ingresso degli inglesi nel capitale dell'aeroporto di Napoli?
Noi abbiamo lavorato per creare le condizioni favorevoli per attrarre capitali internazionali. Cito alcuni risultati: gli investimenti nel Mezzogiorno, secondo l'indagine della Banca d'Italia relativa alle imprese con oltre 50 addetti, registrano nel 2000 una crescita media superiore a quella del resto del paese. La dinamica delle esportazioni nel primo semestre del 2000 è stata superiore a quella nazionale. La crescita a prezzi correnti è stata, infatti, del 29,6 rispetto al 16,8 per cento del resto del paese. Trainano l'export soprattutto i distretti. Sono interessanti i dati relativi alla crescita del tessuto imprenditoriale; di rilievo gli ultimi dati sull'occupazione: risultano 114 mila occupati in più rispetto al gennaio 1999. Secondo le stime del vecchio documento di programmazione economico-finanziaria, le previsioni per l'economia meridionale segnalano un sostanziale allineamento tra il tasso di crescita dell'intero paese e il Mezzogiorno. Un deciso impulso alla crescita è atteso anche dalla domanda interna dell'area, per la ripresa dei consumi in relazione al migliorato clima di fiducia delle famiglie ed il completamento dei programmi pluriennali di investimenti privati e pubblici con consistente impiego di risorse pubbliche.
L'impegno del Governo per lo sviluppo del Mezzogiorno ha conseguito alcuni significativi risultati con l'impiego di un volume di risorse in conto capitale elevato, con una attenta riqualificazione della spesa pubblica e con una sostanziale revisione degli strumenti di incentivazione delle attività produttive e delle politiche per la infrastrutturazione del territorio. Secondo i dati della relazione previsionale e programmatica per il 2001 le risorse assegnate alle aree depresse in sede CIPE per gli anni 1998-2002 e seguenti superano i 64 mila miliardi. Tali risorse sono state destinate al cofinanziamento comunitario secondo tre principali linee di intervento: incentivazione al capitale e al lavoro (19 mila miliardi), promozione dello sviluppo imprenditoriale locale (15 mila miliardi), realizzazione di infrastrutture e altri investimenti (25 mila miliardi).
Cosa abbiamo messo noi in campo? A tale proposito si può fare un utile confronto tra la qualità dei nostri strumenti e quel poco che oggi emerge dalle vostre proposte. Grazie alla credibilità conquistata dal Governo di centrosinistra nelle sedi internazionali, è stato possibile ottenere dalla Comunità il consenso su due misure che dotano il Mezzogiorno e le aree depresse di due potenti strumenti per lo sviluppo. Il primo è il credito di imposta sugli investimenti: è concesso - come lei sa - in misura variabile a seconda dell'area geografica e nella misura massima ammessa dalla Comunità per quell'area; nelle regioni dell'obiettivo 2 la percentuale è l'8 per cento, in Calabria il 50 per cento. A questo si aggiunge, nel caso di piccole imprese, un ulteriore 15 per cento che porta la sovvenzione fino al 65 per cento. La Comunità, mentre aveva finora ammesso all'agevolazione degli investimenti che incorporassero innovazioni di processo e di prodotto, nel caso in questione ha accettato la nozione di investimento già adottata dalla legge Visco: spese in beni materiali al netto di cessioni, dismissioni e ammortamenti; il che rende la sovvenzione di facile calcolo e automatica. Ammortamenti, cessioni e dismissioni vanno calcolati per struttura produttiva e ramo d'azienda autonoma su cui incide l'investimento e non per gruppo produttivo. Nel caso di nuovo insediamento, l'impresa parte senza ammortamento, quindi, l'intero investimento lordo è agevolato. Il credito d'imposta è fruibile nel 2000-2006 e può esser portato in compensazione di qualsiasi imposta da pagare, incluse quelle che l'impresa paga per conto dei lavoratori (contributi previdenziali). Nel caso di incapienza è riportabile in avanti, ma non è rimborsabile in forma monetaria.
Il secondo strumento è il credito di imposta sulle assunzioni: vi è una misura generale di 800 mila lire mensili per 3 anni per ogni occupato addizionale. Un ulteriore credito è concesso al Mezzogiorno nella misura di 400 mila lire al
mese nell'ambito del de minimis, del quale però si conteggia solo la parte addizionale, derivando le prime 800 mila lire da una misura generale. La legge n. 488 nel frattempo non va «in pensione» nè ci vanno gli aiuti regionali: questi sono comunque fruibili in alternativa, purché entro il massimo consentito dalla Comunità.
Chi fa innovazione di processo e di prodotto e genera più capacità produttiva - requisiti della legge n. 488 - può preferire questo strumento perché agevola gli investimenti in relazione al loro ammontare lordo. La nuova legge Tremonti, presumibilmente, non sostituirà questo dispositivo, ma soltanto la legge Visco per gli investimenti; non richiederà più alle imprese di essere virtuose, di generare tasse sul reddito da portare in compensazione, di effettuare investimenti netti e non semplicemente lordi, finanziandoli con capitale proprio, ma sarà rivolta alla generalità degli investimenti, comunque finanziati.
La potenza mediatica è tale che, già da oggi, senza che se ne conosca il dispositivo, la previsione è riportata come agevolazione sugli utili reinvestiti, quando è l'esatto contrario. Se ne può usufruire senza utili o distribuendo gli stessi ai soci, facendo indebitare l'impresa. Se non venisse più concessa in forma di credito d'imposta non rimborsabile, essa eliminerebbe, inoltre, il disincentivo che oggi le imprese hanno ad occultare gli utili.
La potenza mediatica si esercita anche nella creazione di una favorevole attesa tra artigiani e commercianti, visto che si annuncia trionfalmente che l'agevolazione sarà estesa anche a queste categorie: ma la vecchia legge Tremonti era già estesa a queste categorie e le stesse usufruivano della legge Visco.
Noi per il futuro vi sfidiamo, metteremo in campo politiche di contesto che siano per il Mezzogiorno prioritarie, ma anche di carattere nazionale, che investano il modo di essere di tutte le politiche nella loro necessaria armonizzazione intorno a forti finalità unificanti, che siano caratterizzate dalla propensione alla gestione attiva ed alla verifica dei risultati complessivi, considerando l'insieme degli strumenti e privilegiando quelli che, in pratica, funzionano; metteremo in campo politiche per obiettivi: pubbliche amministrazioni, istituzioni locali, lotta alla criminalità, istruzione, ricerca, decentramento amministrativo come fattore di responsabilizzazione della classe dirigente locale; politiche per i mercati che accrescano la flessibilità del lavoro, dei capitali, dei beni, stimolando tutto ciò che serve a fare impresa; politiche sociali.
La creazione del welfare, delle opportunità, può partire dal Mezzogiorno e, in attesa che lo sviluppo entri a pieno regime, è necessario superare l'attuale frammentazione degli strumenti dello Stato sociale per creare, a parità di spesa, un unico strumento premiale che includa le giovani generazioni.
Comunque, signor Presidente, le voglio ricordare che per il Mezzogiorno non vagheggiamo un selvaggio far west, in cui i capitali si muovono senza regole, ma un originale incrocio tra Stato moderno e mercati, che lungo sentieri innovativi faccia avanzare l'etica dello sviluppo e continui a formare sul campo una nuova classe dirigente.
Ricordiamoci, ed io lo faccio con orgoglio, che nessuno dei grandi pensatori del meridionalismo ha mai configurato un Mezzogiorno con il cappello in mano a chiedere risorse, ma anzi il completo superamento di questa condizione storica. Cerchiamo di essere alla loro altezza (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro sarà un voto di fiducia convinto.
Siamo consapevoli che il programma frutto dell'accordo politico che sostiene la Casa delle libertà sia l'esatta espressione delle esigenze dei cittadini. Noi troviamo un paese debole, un paese che dipende dall'estero per materie prime ed energia
elettrica e che deve risolvere i problemi di un meridione che necessita ancora di assistenza. Per superare queste mancanze avrebbe dovuto essere di esempio per efficienza e flessibilità nell'adeguarsi, sempre per primo, ai ritmi e alle esigenze del mondo del lavoro. Purtroppo sappiamo a nostre spese che così non è stato, anzi l'imperante concetto dello statalismo, tanto caro alla sinistra ed all'Ulivo, ha contribuito in forma determinante a peggiorare le nostre caratteristiche.
Sono chiari i sintomi delle responsabilità dell'Ulivo, si leggono ad esempio nella crescita della spesa corrente dello Stato, aumentata di ben 200 mila miliardi dal 1997 al 2000.
Questo vuol dire più tasse e meno occupazione vera. Con tali logiche ci troviamo di fronte ad una spesa pubblica che è ormai giunta al 60 per cento del prodotto interno lordo; si può, dunque, tranquillamente parlare di Stato-padrone.
Occorre, inoltre, denunciare l'invadenza politica, animata da quel triste fenomeno, conosciuto come catto-comunismo, che ha poi dato origine all'Ulivo e che ha messo in pericolo le nostre libertà ed il nostro benessere per l'invadenza della loro politica fallimentare nelle nostre vite.
La crescita inarrestabile dello statalismo, ai danni della collettività, ha sottratto alle nostre scelte, affidandola a politicanti e burocrati, una percentuale sempre maggiore del nostro reddito, trasformandoci in sudditi del potere.
Che senso avrebbe la democrazia in un paese in cui il cento per cento del reddito nazionale venisse gestito dallo Stato e sottratto alle scelte dei singoli, delle famiglie e delle imprese? Questa domanda è rivolta a chi, alleandosi con la sinistra, ha governato l'Italia in tutti questi anni, ispirandosi a sistemi che sono falliti a livello mondiale, creando povertà e annientando qualsiasi forma di libera professione.
I risultati a casa nostra sono evidenti: crescita esponenziale dello statalismo, della fiscalità, dello spreco, dell'invasione della politica di sinistra nella nostra vita di tutti i giorni.
Se questo non bastasse, a ciò si sono sommati altri fattori devastanti, quali l'apertura indiscriminata al crimine di importazione e l'assoluto blocco di qualsiasi nuova opera infrastrutturale nel paese.
LUCIANO DUSSIN. Da soli questi ultimi due aspetti hanno creato un tale senso di insoddisfazione nei cittadini da determinare, in buona parte, l'esclusione dell'Ulivo dal Governo del paese.
La legge Turco-Napolitano sull'immigrazione ha di fatto legato le mani alle forze dell'ordine, ai sindaci, ai presidenti di province e regioni. Le forze dell'ordine, per precise volontà politiche della sinistra, non sono potute intervenire a tutela dei cittadini, che sono quotidianamente bersagliati da un livello di crimine a noi sconosciuto fino a poco tempo fa. Un dato per tutti: in Padania, nella mia provincia - Treviso - la prefettura ammette che il 60 per cento dei reati è commesso da immigrati; qui vi sono responsabilità politiche molto precise. Inoltre, quella legge è stata imposta, quale legge fondamentale dello Stato, alle regioni, alle province e ai comuni, ignorando che le politiche di accoglienza si attuano sentiti i cittadini e non nella prospettiva di concedere in futuro il voto ad altri soggetti, al fine di recuperare qualche milione di consensi per garantirsi la continuità del proprio potere.
L'altro aspetto deleterio riguarda il blocco totale della realizzazione di nuove infrastrutture nel paese. L'Ulivo ha bruciato cinque ministri dei lavori pubblici in cinque anni, soprattutto per i veti posti dai Verdi che, con le loro posizioni integraliste, sono responsabili del ritardo quinquennale del rilancio dei grandi investimenti nel paese, con l'ulteriore conseguenza di non aver creato nessun posto di lavoro vero (di quelli, per intenderci, che creano la ricchezza e non la bruciano).
Attraverso la fiducia che ci apprestiamo a dare al nuovo Governo è nostra intenzione agire...
PRESIDENTE. Onorevole Dussin, la prego di concludere, il tempo a sua disposizione è terminato.
LUCIANO DUSSIN. ...in maniera diametralmente opposta a quella che hanno subito i cittadini in questi ultimi anni (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti e trenta secondi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto mi corre l'obbligo di porgere un ringraziamento al Presidente del Consiglio e al Governo che, attraverso le formulazioni che troviamo contenute nelle dichiarazioni programmatiche, evidenziano che ci porteranno fuori dal cosiddetto giogo fiscale, un giogo al quale gli italiani, i contribuenti, sono stati sottoposti nell'ultimo quinquennio. Mi riferisco in particolare a due tributi, a due meccanismi agevolativi che sono stati poc'anzi evocati. Si è detto che la DIT e la legge Visco hanno rappresentato strumenti di rilancio per l'economia, strumenti che hanno costituito un volano per il nostro settore produttivo. Io non ne sarei tanto convinto: sia la legge DIT, sia la legge Visco sono strumenti normativi di difficile applicazione; quindi, accogliamo ben volentieri l'ipotesi di seguire la disciplina Tremonti, che ha dato positivi risultati negli anni 1994-1995 e si appresta a darne nel 2001. Il punto che mi premeva sottolineare, con riferimento sia alla DIT sia alla legge Visco, è che questi strumenti favoriscono le imprese che intendono capitalizzarsi, che integrano la capitalizzazione. Ma riteniamo che, nel tessuto economico italiano, siano già presenti imprese che intendono capitalizzarsi? Teniamo presente che molte delle imprese soffrono del cosiddetto male dell'indebitamento, che non è connesso a strumenti elusivi; si tratta di un indebitamento che è connesso al fisiologico agire delle imprese. Basti pensare alle imprese che operano con lo Stato, che operano con enti pubblici: queste imprese, ricevendo i pagamenti dei corrispettivi dei propri ricavi a tempo data, devono necessariamente far ricorso ai mercati bancari e, quindi, si indebitano, hanno interessi passivi e, a fronte di questo, hanno delle notevoli penalizzazioni sul fronte fiscale.
Ebbene, la DIT fa tutto meno che favorire le imprese indebitate, come pure nessun vantaggio ricavano dalla DIT le imprese che sono già ben capitalizzate. Un altro caso che merita di essere segnalato è quello delle imprese individuali, delle imprese minori - le società di persone - che, per fruire della DIT, devono avere un livello di capitalizzazione pari almeno a 310 milioni; questo, francamente, fa comprendere a tutti quanti che non è assolutamente pensabile che un'impresa di queste entità, di modeste dimensioni, abbia un patrimonio tale da poter fruire dell'agevolazione.
Si è parlato in precedenza della legge Visco e si è ricordato che questa legge è di estrema facilità nella applicazione; io sono di tutt'altro avviso e lo possiamo dimostrare, tanto è vero che le imprese non si sono avvalse di questo meccanismo agevolativo. La legge Visco è costruita prendendo a base il minore dei due ammontari: la capitalizzazione e gli investimenti. Ma se fosse tutto qui, anche l'imprenditore di ridotte dimensioni sarebbe in grado di applicare questo meccanismo agevolativo; invece, la legge Visco è ancora più complessa, perché dagli investimenti bisogna detrarre le cessioni, le dismissioni e gli ammortamenti e dalla capitalizzazione occorre portare in riduzione tutte le distribuzioni di utili. Questo dà l'idea di come tali meccanismi non abbiano funzionato; a fronte di questo, il Governo propone, invece, uno strumento che ha dato prova di affidamento e di interesse per le imprese: la legge Tremonti. A questo va aggiunto un particolare di notevole importanza: teniamo presente che la legge Tremonti nella sua
architettura generale è già stata interpretata dall'amministrazione finanziaria; quindi, si può configurare come una legge self-executing, che non richiede ulteriori strumenti interpretativi da parte del Ministero dell'economia. La circolare emanata nel 1994, dunque, è ancora attuale e consentirà alle imprese, all'indomani del varo di questo provvedimento, di applicare direttamente la disciplina agevolativa.
Vorrei affidare alla sensibilità del Governo un altro tema, che sta molto a cuore alle imprese: quello dell'IRAP. Proprio in questi giorni è stata emessa una sentenza da parte della Corte costituzionale, nella quale sono stati tracciati margini di incertezza in ordine all'applicabilità di questo sistema. A tutti è noto che, per finanziare la spesa sanitaria, è necessario che l'IRAP resti in piedi; però è necessario, nel contempo, che si semplifichino i meccanismi applicativi. Oggi, così come è costruita la base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive, nessuno può, con certezza, dire di pagare il tributo; e gli aggravi, i pesi per le casse delle regioni sono notevoli, perché vi sono alcuni passaggi della normativa talmente fumosi, talmente incerti, per cui il gettito è erratico, è aleatorio. Quindi, anche in questo contesto, il Governo Berlusconi ha dato messaggi significativi al riguardo; bisognerebbe pensare ad una semplificazione e razionalizzazione della base imponibile, ad invarianza di gettito. Queste sono le parole magiche che bisognerà seguire nell'azione di Governo, tenuto conto delle difficoltà dei nostri conti pubblici: invarianza di gettito significa ritoccare la base imponibile del tributo, ma non creare aggravi nei conti pubblici. Si potrebbe prendere, ad esempio, come base di riferimento, quella delle imposte sui redditi ed effettuare due variazioni, per le spese per il lavoro, in attesa, un domani, di renderle deducibili, poiché le spese per il lavoro costituiscono un principale fattore della produzione insopprimibile, che non può assolutamente non essere tenuto in conto nella determinazione della base imponibile. Quindi, aumentare le spese per il lavoro e gli oneri finanziari e semplificare radicalmente la base imponibile.
Concludo con un altro tema, fondamentale per l'economia e per i contribuenti: si tratta della semplificazione degli adempimenti tributari. Questa semplificazione vale quasi come la riduzione delle aliquote: la si può fare ad invarianza di gettito, ma come? Basta creare dei meccanismi tali per cui in un componente del reddito di impresa si assumono parametri forfettari, percentuali, da raccordare ai ricavi, che rappresentano il principale componente della determinazione del reddito d'impresa. È sufficiente pensare a quanto di recente accaduto per le collaborazioni coordinate e continuative: oggi nessuno...
PRESIDENTE. Onorevole Leo, le segnalo che il tempo a sua disposizione è terminato.
MAURIZIO LEO. Concludo, signor Presidente.
Oggi nessuno può dire, con certezza, come pagare le imposte: questo è ciò che il sistema tributario non deve fare. Il sistema tributario deve essere chiaro e semplice, e sono convinto che il Governo della Casa delle libertà riuscirà a realizzare tale obiettivo (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acquarone, al quale ricordo che ha 5 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signore Presidente, l'onorevole Presidente del Consiglio, nelle sue dichiarazioni programmatiche, ha testualmente detto: «Abbiamo criticato la riforma costituzionale solitaria della vecchia maggioranza di centrosinistra perché pensavamo, e pensiamo, che si debba fare di più e di meglio. Ma faremo di tutto affinché gli adempimenti che a quella legge costituzionale conseguono - tra questi la consultazione popolare - non
fermino il processo di riforma e il suo allargamento, e non gettino il paese in un'altra stagione di esaltazioni propagandistiche ed elettoralistiche. Dobbiamo fare di più e meglio di quanto finora è stato fatto: questa è la nostra stella polare, le tecnicalità seguiranno».
Onorevole Vicepresidente del Consiglio, la prego di riferire al Presidente del Consiglio che queste espressioni sono state generalmente interpretate come un intendimento del Governo a indire e a far espletare il referendum nei termini di legge. Per usare un'espressione che è cara al Presidente del Consiglio, mi sia consentito di dubitare che questa sia l'affermazione corretta, l'interpretazione giusta, perché veramente non riesco a capire come si possa fare un referendum senza che questo sia preceduto da una competizione elettorale, civile, ma sempre una competizione di carattere referendario. Perché vien fatto di dubitare che si voglia cercare qualche sistema per evitare il referendum, per prolungare i termini previsti dalla legge attuativa del referendum. Se è così, mi corre l'obbligo di ricordare all'onorevole Presidente del Consiglio che tutti coloro che si sono occupati di referendum costituzionale, sia quelli che lo ritengono integrativo o preclusivo sia quelli che lo considerano preventivo e integrativo, affermano che sottoposto al referendum non è un progetto di legge, ma è una legge, rispetto alla quale manca soltanto il requisito dell'efficacia, che è rimesso all'espressione della volontà popolare. Talché ne consegue che c'è un diritto, costituzionalmente garantito - e, in proposito, richiamo più recenti sentenze della Corte costituzionale in proposito -, a che venga espletato un referendum nei termini previsti, in quanto, dice la Corte costituzionale, nessuna legge può intervenire su un procedimento in corso. Vi è, quindi, un diritto dei promotori del referendum a vedere portata a compimento l'iniziativa referendaria.
Mi auguro che la mia sia solo una preoccupazione e che il Governo intenda rispettare la legge, perchè signor Presidente del Consiglio, quelle che lei ha chiamato «tecnicalità» per me - in ragione del mio mestiere di modesto studioso di diritto - non sono solo tecnica, ma sono sostanza perché rappresentano la garanzia per i cittadini del rispetto della legge e, quindi, della Costituzione.
Signor Presidente del Consiglio, su questo punto le chiederei che nella sua replica dicesse qualcosa di preciso; vorrei sapere se il Governo intenda effettivamente dare attuazione all'articolo 15 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e voglia indire il referendum entro il termine dell'11 agosto, che è il termine ultimo, in base all'interpretazione per la verità, da me non condivisa, del Governo precedente, secondo la quale il termine di scadenza va spostato di tre mesi, per dare modo anche ai cittadini che l'avessero voluto di richiedere il referendum. Comunque, entro il termine dell'11 agosto, il Governo dovrà indire il referendum che dovrà essere espletato nel termine massimo del 14 ottobre. Onorevole Presidente del Consiglio, su questo punto le chiederei una risposta precisa. La ringrazio dell'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Fiori. Ne ha facoltà.
PUBLIO FIORI. Signor Presidente del Consiglio, ho apprezzato la sua relazione, pertanto voterò a favore del suo Governo. Mi consenta di fare alcune proposte, anche in relazione a quanto lei ha avuto modo di illustrare al Senato.
Porrò tre questioni: la famiglia, le pensioni, l'handicap.
Lei ha parlato della famiglia e ne ha riconosciuto il ruolo centrale: se la società viene prima dello Stato, la famiglia viene prima della società. Credo però che si debba uscire dal vago ed attribuire finalmente, nell'ambito dell'ordinamento positivo, una soggettività giuridica alla famiglia, riconoscendole un ruolo - soprattutto in materia di diritto tributario -, affinché il richiamo all'articolo 29 della Costituzione non rimanga una dichiarazione di intenti.
Le faccio subito una proposta articolata in due parti. Bisogna attuare una riforma per cui la famiglia venga tassata in base al reddito familiare, come si fa in altri paesi, ad esempio in Francia, escludendo dal reddito imponibile quella parte che serve per allevare i figli. Se la commissione povertà istituita presso la Presidenza del Consiglio ha stabilito che 12 milioni l'anno rappresentano il minimo vitale, non si comprende perché possano valere per il reddito familiare utilizzato per allevare i figli. Non si capisce perché il capofamiglia percettore di reddito debba pagare le tasse anche sulla parte che spende per allevare i figli. Si deve finalmente riconoscere la soggettività giuridica della famiglia, e procedere alla detassazione delle somme spese per il suo mantenimento. È certamente importante l'innalzamento delle pensioni minime ad un milione di lire, ma c'è un altro aspetto del problema che deve essere affrontato una volta per tutte: mi riferisco alla perequazione delle pensioni e al loro aggancio alle retribuzioni.
Signor Presidente del Consiglio, so che lei ha molto da fare, e posso attendere, non ne faccio una questione; si tratta però di un passaggio delicato. Le pensioni, anche quelle di coloro che hanno pagato i contributi per 35-40 anni, quindi le pensioni vere, quelle previdenziali che sono a carico dei datori e dei lavoratori, si svalutano ogni anno e perdono potere d'acquisto perché in questo paese non c'è una norma che le agganci all'andamento delle retribuzioni. In sede di contrattazione nazionale e di contrattazione aziendale, i sindacati si preoccupano esclusivamente di coloro che lavorano e non si sono mai preoccupati di coloro che hanno smesso di lavorare, i quali, non avendo più forza contrattuale, vengono di fatto abbandonati. Ciò comporta che ogni anno, fra contrattazione aziendale e contrattazione nazionale, vi sia un aumento del potere d'acquisto dei salari e degli stipendi del 3,4 per cento che non si estende però ai pensionati, con la conseguenza che, dopo dieci anni, i pensionati hanno perso il 30, il 40 o addirittura il 45 per cento del loro potere d'acquisto. Dopo 15 anni la loro pensione diventa un assegno simbolico. Per questo motivo, le chiedo di inserire nel programma di Governo una norma che consenta automaticamente l'aggancio delle pensioni alle retribuzioni. La Corte costituzionale ha affermato - e lo ripete ogni volta - che la pensione è una retribuzione differita nel tempo e che, quindi, ad essa sono connessi tutti i diritti propri della retribuzione. Le chiedo che questo Governo finalmente determini un cambiamento radicale, per consentire alle pensioni di rimanere agganciate all'andamento dei salari e degli stipendi e per impedire che l'assegno diventi del tutto insignificante.
La terza e ultima questione riguarda il problema degli handicappati. Non c'è bisogno di una nuova legge, signor Presidente del Consiglio, poiché ne esiste già una del 1992 che è tra le più avanzate in Europa. Il problema è che essa non viene applicata perché non prevede sanzioni. Le chiedo un intervento perché si proceda ad una modifica di tale legge non nei suoi contenuti, ma nell'individuazione di sanzioni per chi non rispetta e non garantisce agli handicappati e ai disabili i diritti in essa previsti.
Signor Presidente del Consiglio, ho posto alla sua attenzione tre questioni: la famiglia, le pensioni e l'handicap; le affido alla sua sensibilità (Applausi di deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor vicepresidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, esprimo oggi in Assemblea la mia emozione e la mia gioia, forse dovute al noviziato parlamentare, ma anche al fatto che avverto in questa Assemblea i sentimenti, le speranze, le richieste di milioni di cittadini, sani o in difficoltà, di uomini e di donne emiliani, lombardi, veneti, calabresi, siciliani, sardi. Essi ci chiedono molto, signor Presidente del
Consiglio. Lei, forse, non ha parlato di sogni nel suo discorso, ma sono convinto che lei abbia dei sogni e così anche quel gruppo di persone che con lei hanno stretto il patto della Casa delle libertà. Ebbene, gli italiani ci chiedono di avere dei sogni perché gli uomini, per essere grandi e lasciare segni del loro passaggio, devono avere sogni nel loro cuore. Dovremo scegliere - e parlo alla maggioranza - se ragionare ed agire in modo grande, seminando per il futuro, pagando magari un prezzo di popolarità al consenso di oggi, o se praticare la vecchia politica del favore personale e del contributo al paesello.
Non esiste più un ricco Stato da mungere. Abbiamo già costruito cattedrali nel deserto o autostrade interrotte a metà. Dovremo, allora, lavorare con questa maggioranza e lasciare da parte l'interesse del particolare, magari del partito, per pensare a tutta la coalizione, al nord e al sud.
Noi uomini del nord forse dovremmo sfuggire alla tentazione di avere subito sul territorio il frutto del nostro lavoro; da parte loro, gli uomini del sud dovranno sfuggire alla tentazione di mantenere le catene dell'assistenzialismo ed incentivare invece la capacità di intraprendere, di lavorare e di camminare con le proprie gambe.
L'Agenzia per il Mezzogiorno è il passato, non il futuro, dal momento che non serve al domani, ma forse, neanche all'oggi.
Cosa chiedono a lei, signor Presidente del Consiglio, e alla sua maggioranza gli italiani? Le chiedono di essere un rivoluzionario ed un padre. Un rivoluzionario per attuare che cosa? Una nuova rivoluzione copernicana! Come fu rivoluzionario scoprire ed affermare che il sole non gira intorno alla terra, oggi dobbiamo affermare che lo Stato non è il centro dell'universo, bensì il cittadino. Il cittadino è al centro, lo Stato è il suo satellite. Il cittadino che lavora, che chiede poche ma chiare leggi, che intraprende, che chiede sicurezza e certezza dei suoi diritti.
Questo Stato invadente, forte con i deboli e debole con i fannulloni ed i delinquenti, è un inquilino che è già stato sfrattato dall'intelligenza, quanto meno, dei cittadini del nord.
Le si chiede poi, signor presidente del Consiglio, di essere un padre. Un padre che dia delle regole, pertanto forte - lei ha accennato alla necessità di un esecutivo forte - e che solleciti il senso del dovere e della responsabilità. Dopo la battaglia dei diritti portata avanti dalla sinistra, credo che noi dovremmo affermare una forte battaglia del dovere e della responsabilità. Un padre che faccia anche ciò che un buon padre di famiglia fa con i propri figli: stimolarne la crescita e l'autonomia, affinché si affermino liberamente nella vita e perché possano camminare finalmente sulle proprie gambe.
I suoi figli, signor Presidente del Consiglio, sono sì i cittadini, ma anche le istituzioni a loro più vicine, i loro comuni, le loro province, le regioni; pertanto, più autonomia se vogliamo maggiore responsabilità. In sintesi, le chiediamo la devoluzione.
Quando pensiamo all'autonomia, noi non pensiamo alla solitudine, all'uomo solo; non pensiamo - come fa la sinistra - all'uomo «solo» in una bellissima società multietnica. Noi pensiamo invece all'uomo con i suoi forti legami. Pensiamo al primo legame, inteso secondo il diritto naturale, che è quello della famiglia; e nel suo programma, signor Presidente del Consiglio, c'è grande attenzione verso la famiglia. Pensiamo poi ad un uomo con legami verso le sue radici. Il legame alla sua terra non è pensare ad Haider o ad altri spauracchi. Quando noi pensiamo alla Padania, pensiamo al profumo della nostra terra, pensiamo ai colori della nostra terra, pensiamo alla moralità.
PRESIDENTE. Onorevole Polledri, ha esaurito il suo tempo. La prego di concludere.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, ci lasciamo alle spalle un sentiero oscuro, pieno di buche, davanti a noi abbiamo un sentiero sul quale vogliamo lasciare le nostre impronte, che si chiamano
sicurezza, famiglia, autonomia e lavoro. A lei fare il primo passo, noi la seguiremo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capitelli al quale ricordo che ha dieci minuti. Ne ha facoltà.
PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, abbiamo analizzato con molta attenzione le linee programmatiche del Governo Berlusconi. Non c'è dubbio che il Presidente incaricato stia praticando pienamente una politica di innovazione: con lui ha fatto il suo esordio una nuova idea di scelta programmatica. Noi non la condividiamo.
Il richiamo al cosiddetto contratto con gli italiani stipulato in campagna elettorale e la scelta di non presentare al Parlamento un vero e proprio programma di governo, fatto di precise scelte legislative e dell'indicazione dei modi, dei tempi e degli strumenti per realizzarle, rappresenta un chiaro indizio di una grave sottovalutazione, in chiave plebiscitaria, dello stesso ruolo di questa istituzione.
In questo panorama uno dei pochi argomenti trattati con una certa chiarezza di intenti, ma non con altrettanta correttezza nei metodi di intervento, è stato quello riguardante il cosiddetto blocco della riforma dei cicli della istruzione. Siamo preoccupati delle dichiarazioni del Presidente Berlusconi, anche dopo avere ascoltato la sua replica al Senato, nella quale egli, anziché chiarire a quale progetto di riforma della scuola farà riferimento il suo Governo, ha confermato una linea di intervento frammentaria e oscura, mai esplicitata con il coraggio necessario di chi intende «cambiare l'Italia» nemmeno in campagna elettorale.
Rispetto al blocco del riordino dei cicli, il Presidente del Consiglio incaricato non può ignorare che le leggi approvate dal Parlamento si possono modificare solo con un'analoga decisione assunta da queste aule. Ogni altro metodo che voglia aggirare, bloccare o solo svuotare una legge dello Stato - specie quando questa concerne il funzionamento di un pubblico servizio - è destinato ad essere contrastato con tutti i mezzi: dalle iniziative di massa alla denuncia alla magistratura ordinaria. Riteniamo si stiano creando le premesse per gettare la scuola nel caos istituzionale e per aprire un aspro conflitto a livello delle singole istituzioni scolastiche, in quanto in molte di queste non mancherà la spinta per fare applicare le leggi dello Stato e proseguire nella positiva azione di rinnovamento della scuola, iniziata dal ministro Berlinguer e continuata dal ministro De Mauro.
Il Presidente incaricato ha dichiarato, (cito testualmente): «Il Governo, a tale proposito, ritiene necessaria una compiuta e complessiva valutazione del problema degli ordinamenti scolastici in tutti i suoi aspetti familiari, pedagogici, sociali. A questo fine l'attuazione della riforma va rinviata. Del resto la Corte dei conti, formulando un rilievo sul regolamento che prevedeva l'avvio della riforma delle prime due classi dell'attuale scuola elementare a partire dal prossimo 1o settembre, ha comunque già di fatto reso impossibile l'avvio della riforma per tale data».
Non possiamo che esprimere il nostro più deciso dissenso rispetto a questa impostazione, che ci appare gravemente scorretta sotto il profilo istituzionale. Ciò perché il compito istituzionale fondamentale del Governo è quello di applicare le leggi e, qualora non le condivida, proporre al Parlamento la loro modifica. Il Governo non può approfittare dei pareri tecnici di un organo di controllo per non attuare una legge di cui non condivide le finalità. Il Governo in tali casi deve proporre le modifiche che ritiene opportune, fino all'abrogazione della legge, ma, fino a che tali modifiche non siano state approvate, deve attuare le norme in vigore.
Nella nostra specifica situazione, poiché ci troviamo di fronte ad un servizio che interessa milioni di cittadini, il Governo, per evitare che si configuri una situazione di interruzione di un pubblico servizio, deve dare rapidamente attuazione agli adempimenti tecnici richiesti dagli
organi di controllo, che possono solo riguardare la più efficace applicazione della legge.
Chiediamo pertanto al Presidente incaricato di precisare in sede di replica quale sia la natura dei rilievi della Corte dei conti e quali decisioni la stessa abbia assunto dopo la risposta ricevuta dal Governo Amato. Attendiamo anche di conoscere quali misure intenda assumere per dare piena e corretta attuazione alla legge n. 30 del 2000 sui cicli oppure a quali immediati strumenti legislativi intenda far ricorso per non dare attuazione alla legge pur continuando ad erogare un pubblico servizio.
Con le comunicazioni presentate in quest'aula dal Presidente del Consiglio incaricato appare evidente che gli oppositori della politica di riforme praticata dal Governo di centrosinistra, oggi al Governo, sono reticenti nel presentare le loro reali proposte e nell'esplicitare scelte che alcuni di loro hanno in mente per il nostro sistema formativo.
Fino ad oggi essi hanno scelto di cavalcare demagogicamente ogni protesta, tentando di orientarla contro le innovazioni di sistema realizzate in questi anni. In cinque anni di opposizione hanno dimostrato di non saper elaborare alcuna proposta organica - e soprattutto unitaria - che facesse da contraltare alle riforme del centrosinistra; l'unica loro azione apparsa manifesta e unitaria è stata la tendenza a svuotare di significato il sistema formativo pubblico.
Oggi il Presidente Berlusconi nella sua replica al Senato ha cercato di correggere in extremis questa impostazione, ma l'ha fatto in modo poco credibile, facendo riferimento ad un programma elettorale vago e ambiguo, che non garantisce chi crede nel nostro sistema formativo pubblico, che gli italiani, come dimostrano recenti dati statistici, vorrebbero migliorato, reso più efficiente, ma non di certo smantellato.
Oggi il gioco da campagna elettorale di dire e non dire non regge più e, anche in vista del prossimo referendum sulla riforma costituzionale, chi sta al Governo dovrà chiarire cosa intende fare per la scuola. Cosa intende, per esempio, per devolution nel settore della scuola? Come intende realizzarla?
La riforma federalista della Costituzione non è una riforma solitaria: è una riforma costituzionale e, come tale, votata ben quattro volte dalla maggioranza nelle aule parlamentari. Su di essa ad ottobre saranno chiamati a pronunciarsi gli italiani con un referendum. Andremo a quel confronto con una certa curiosità per conoscere finalmente quali siano le reali posizioni della destra sull'attribuzione di poteri legislativi riguardanti l'istruzione.
Per quanto ci riguarda, le nostre posizioni sono chiaramente espresse nella legge sul federalismo e nelle realizzazioni dei Governi di centrosinistra, che agendo su una molteplicità di terreni, dall'organizzazione degli uffici, alla loro informatizzazione, hanno avviato una radicale modernizzazione della macchina statale.
Tornando la scuola, siamo convinti che molti nella maggioranza pensino - ma il Presidente incaricato assai singolarmente non lo riferisce in Parlamento - alla soluzione del buono scuola, cioè ad un sistema che prevede l'erogazione alle famiglie della quasi totalità della spesa che lo Stato ha finora destinato all'istruzione.
Se le famiglie portano il bonus alla scuola, è con esso che si pagano gli insegnanti. Sono evidenti le conseguenze, ma è opportuno enumerarle. Innanzitutto, se scomparisse la spesa del bilancio statale destinata agli stipendi, di fatto tutto il personale della scuola (dirigenti, insegnanti, personale tecnico e ausiliario a tempo determinato o indeterminato) risulterebbe privo di rapporto di lavoro. Ognuno dei dipendenti scolastici dello Stato, già in servizio nell'anno precedente alla riforma, dovrebbe rivolgersi a scuole private o statali e verificare la loro disponibilità ad assumerlo, probabilmente sulla base dei diversi progetti educativi.
Ovviamente, in quest'ottica ogni scuola determina l'ammontare delle retribuzioni. Ed è proprio qui che risiede il cuore pulsante del nuovo meccanismo: se le scuole non funzionano, non hanno i clienti
e non hanno i bonus delle famiglie, quindi «chiudono», mandando a casa i dipendenti che evidentemente non hanno diritti. Se funzionano bene, hanno più clienti e più bonus e possono pagare meglio il proprio personale.
La concorrenza nel nuovo sistema, dove effettivamente sarebbero sullo stesso piano le scuole private e le ex scuole statali, garantisce la qualità del servizio. Le complesse e fastidiose riforme del centrosinistra non servono e, a ben vedere, non serve neppure la dirigenza scolastica intesa come dirigenza dello Stato.
Oggi, di fronte al Governo della controriforma, vogliamo ricordare che il suo lavoro di demolizione sarà tenacemente contrastato con una mobilitazione che sapremo esprimere nel Parlamento e nel paese. Non solo respingiamo il tentativo di sospendere e di annullare la riforma dei cicli, ma ci sentiamo impegnati a garantire il corretto funzionamento di tutti i numerosi cambiamenti realizzati nell'ordinamento scolastico; non li cito per brevità. Molte sono ancora le leggi di riforma del sistema scolastico ancora in corso di attuazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Capitelli.
PIERA CAPITELLI. Ho finito.
Vigileremo per impedirne lo svuotamento e il sabotaggio, se il Governo, ovviamente, vorrà perseguire questa strada. Se invece il Governo vorrà dialogare per verificare in itinere l'efficacia della riforma e ricevere contributi parlamentari per migliorarla, allora saremo pronti e disponibili. (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buontempo, al quale ricordo che ha sette minuti e mezzo a disposizione. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, credo che un primo pericolo per il centrodestra sia quello di farsi contagiare dallo stato di depressione che ha colpito la sinistra. Anche il dibattito di oggi dimostra quale calo di tensione vi sia stato, quale vuoto di idee e quale incapacità di innovare abbiano preceduto questo Governo, che è nato non dai partiti - o, per lo meno, non solo da essi - ma da una profonda spinta popolare.
Credo che il Governo debba anzitutto ribadire che le menzogne dette dalla sinistra in campagna elettorale tali restano e che gli italiani non hanno nulla da temere da un Governo di centrodestra.
Per quanto riguarda le prime cose da fare, riteniamo che questo Governo debba anzitutto separare la previdenza dall'assistenza. Qualche collega ha parlato di poteri forti, ma la sinistra ha bivaccato con i poteri forti e non è stata capace di separare la previdenza dall'assistenza.
A questo Governo compete di realizzare quella rivoluzione fiscale che faccia pagare le tasse non più sulla base del reddito della persona, ma sul reddito della famiglia, perché, a parità di reddito, è la composizione del nucleo familiare che può fare di quest'ultima una famiglia benestante oppure povera. Credo che questo Governo si farà immediatamente carico anche di defiscalizzare l'impegno della famiglia nel sociale. Alludo a quelle situazioni in cui la famiglia si fa carico direttamente del disagio sociale degli anziani e dei portatori di handicap: in questi casi la famiglia deve sentire la benevolenza del Governo, manifestata con una defiscalizzazione.
Credo, inoltre, che tra i primi passi di questo Governo debba esserci la defiscalizzazione per le piccole imprese artigiane, le quali rappresentano una grande risorsa per l'occupazione ed anche per la difesa degli antichi mestieri.
Giudico un fatto estremamente positivo che al Senato il Presidente del Consiglio designato non abbia usato un linguaggio e non abbia espresso contenuti diversi da quelli che ha utilizzato in campagna elettorale, rivolgendosi direttamente agli elettori. È un titolo di merito, un fatto positivo, soprattutto perché in passato abbiamo udito due linguaggi ed abbiamo
sentito esprimere due contenuti diversi: quello utile per tentare di prendere voti e, successivamente, quello dei palazzi, rispolverato a fini di conservazione.
Questo Governo ha i numeri sufficienti - salvo qualche «devianza» ministeriale, perché quando si governa si deve fare più che parlare - per una grande rivoluzione dei valori. Anche io credo, signor Presidente, che per governare bene il paese nei prossimi due anni si debba liberare questo Parlamento dalla tensione sulle riforme istituzionali. Quindi, occorre riproporre l'Assemblea costituente per approvare quelle riforme di cui questo paese ha bisogno se si vuole arrivare ad una Repubblica presidenziale, se si vuole arrivare ad una Camera dei deputati e ad una Camera delle regioni, se si vogliono dare al Capo dello Stato i poteri necessari affinché egli diventi anche capo del Governo. Questi obiettivi non verranno mai raggiunti da un Parlamento che deve governare la quotidianità, che deve governare l'economia del paese, che deve governare i rapporti di lavoro. In caso contrario, rischiamo di paralizzare il Parlamento e l'azione del Governo in uno sterile dibattito sulle riforme costituzionali.
Ecco perché ritengo indispensabile la separazione tra il momento del Governo e del Parlamento che deve legiferare per far governare ed il momento, invece, delle grandi riforme. Si tratta di un film già visto, a partire dalla Commissione Bozzi: alla fine, riforme non se ne fanno. Ora, abbiamo le dichiarazioni di Velardi - terribili - sulle lacerazioni di quella classe dirigente, i bingo-boys che non sono soddisfatti del potere che hanno conquistato e che ancora oggi cercano di ripartirsi i residui di quel potere. La sinistra, con i bingo-boys all'azione, oggi non è più capace di ritrovare una identità, un progetto, una ragione di esistenza. Dobbiamo approfittare di questa forte debolezza della sinistra per il governo delle cose concrete, per un nuovo tipo di rapporto, anche nel mondo del lavoro; però, onorevole Presidente, dobbiamo stare molto attenti perché, in un paese dove non c'è grande mobilità di lavoro, il lavoro a tempo, il lavoro interinale, il lavoro che suscita insicurezza ed incertezza rischia di creare una generazione troppo debole ed incerta.
Quindi - e mi avvio a concludere - questo Governo merita la fiducia perché, prima che da noi, l'ha avuta dal popolo italiano; questo Governo merita la fiducia perché finalmente ha alzato il livello della politica e parla di modernizzazione e, finalmente, di scuola: una scuola competitiva a livello europeo! Parla di un nuovo sistema fiscale, che non è l'abbattimento di un'aliquota o l'eliminazione di una tassa, ma è una rivoluzione fiscale che premia quando si reinveste l'utile di un'azienda, perché così si crea ricchezza per quella azienda ma anche per la collettività. Abbiamo un Governo che vuole premiare la famiglia quando investe nel bene figlio, perché, investendo su di esso, investe anche per la futura classe dirigente. Dovremo essere all'altezza di questo compito, di questo ruolo di cambiamento, di questa rivoluzione dei valori. Solo così onoreremo l'entusiastico voto popolare che ci è stato dato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonito, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, care colleghe e cari colleghi, intervengo in questa nostra discussione generale per il gruppo dei Democratici di sinistra e mi propongo di svolgere seppur modeste considerazioni su una delle parti più deludenti delle dichiarazioni rese al Senato dal Presidente del Consiglio.
Ella, Presidente Berlusconi, ha con grande enfasi affermato che si propone l'obiettivo ambizioso di cambiare il nostro paese, ma quanto alla realtà giustiziale italiana, quanto alle politiche sulla giustizia, invano si ricercherebbero nelle sue parole, nei suoi proponimenti, nelle sue proposte, apprezzabili elementi di cambiamento. Non so francamente intendere le ragioni di tali lacune, non so francamente
se riportarle alla consapevolezza a lei riferibile, ovvero riferibile ai suoi collaboratori, circa le dimensioni eccezionali del processo riformatore concepito, proposto e realizzato dai Governi dell'Ulivo, a fronte del quale nulla ella ha da osservare, ovvero ad una marginale considerazione della questione giustizia ovvero ancora - e sarebbe questa l'opzione più nefasta - ad una inespressa volontà del suo Governo di innescare anche in queste materie uno sconvolgente processo di controriforma.
Nelle sue dichiarazioni, signor Presidente, ella si limita, infatti, a porre considerazioni sull'obbligatorietà dell'azione penale, peraltro contraddicendo - e lo annotiamo con soddisfazione - a precedenti assunti suoi e della sua parte politica, e sulla questione ordinamentale relativa alle carriere dei magistrati inquirenti e di quelli giudicanti, senza peraltro chiarire a tale ultimo proposito se si adopererà per disciplinarne la distinzione, come parrebbe intendersi dalle sue parole, ovvero la separazione, come proposto nel suo programma elettorale apparso su Internet pochi giorni prima del 13 maggio. Per il resto, ella ci rimanda ai testi scritti - cito le sue parole - ed ampiamente conosciuti. I testi scritti, per la verità, non sono meno deludenti delle sue dichiarazioni. Qualche ovvietà, pochi concetti ripresi dai nostri dibattiti e mal riproposti, una diffusa aridità di idee, una disarmante povertà della proposta politica assunta nella sua scarna globalità.
Eppure, come forza di opposizione, nei cinque anni della legislatura appena conclusa vi abbiamo fatto partecipi, come coalizione di Governo, di un complesso organico di riforme quale mai il paese aveva conosciuto nella sua storia unitaria; abbiamo ideato, e con voi approvato, modelli giustiziali del tutto innovativi rispetto alla nostra tradizione, sia nella materia civile sia in quella penale ed amministrativa. Abbiamo con voi aggredito cause congiunturali e strutturali di una crisi che appariva irreversibile, proponendo soluzioni nuove e per certi versi rivoluzionarie, grazie alle quali per la prima volta nella storia giudiziaria del nostro paese abbiamo registrato un calo delle pendenze. Abbiamo ancora arricchito il sistema di strumenti, mezzi ed opportunità, che oggi sono affidati all'azione del suo Governo per il loro utilizzo e per la loro realizzazione (mi riferisco, tra l'altro, agli incrementati organici dei magistrati ordinari amministrativi e contabili, alle nuove procedure di concorso, ai tre concorsi straordinari per l'arruolamento di 1.200 magistrati).
Su questi punti come si muoverà il suo ministro, come organizzerà il suo lavoro, quali tempi impiegherà l'azione di Governo e quale continuità intende dare all'azione svolta dai Governi dell'Ulivo? Se dovessimo giudicare dai primi atti del Consiglio dei ministri, è lecita più di una preoccupazione. Il centrosinistra, com'è noto, ha aumentato il numero dei magistrati ed ha limitato le possibilità di distrarre i giudici dalle loro funzioni istituzionali. Ebbene, il primo provvedimento normativo assunto dal suo Governo, per altro in violazione di principi costituzionali in materia di autogoverno e contro ogni esigenza di funzionalità del sistema giustizia, è stato quello di consentire all'esecutivo di allontanare dai tribunali un numero enorme, spropositato di magistrati.
Con il suo primo decreto-legge, ella, signor Presidente del Consiglio, ha realizzato le nefaste condizioni per annullare, dall'oggi al domani, tutti gli incrementi dell'organico dei giudici amministrativi appena approvati dal Parlamento della XIII legislatura; eppure, nel suo programma elettorale, apparso su Internet - giova ricordarlo ancora volta - pochi giorni prima del 13 maggio, ella proponeva l'aumento del numero dei giudici amministrativi. Ciononostante, con la prima proposta normativa, il suo Governo ha contraddetto uno dei punti qualificanti del suo programma: ammetterà, signor Presidente del Consiglio, che siamo in presenza di un vero record politico ed istituzionale!
Ciò che ella, signor Presidente del Consiglio, con metafora tratta dal linguaggio sportivo, ma con inelegante linguaggio istituzionale, definisce squadra di Governo, è
in realtà compagine ministeriale intrisa di mediocrità, pervasa di opacità politiche. Ho ben vivo il ricordo del dibattito parlamentare che qui svolgemmo in occasione del voto di fiducia al Governo Amato. Fu allora, infatti, che un autorevole esponente del gruppo di Alleanza nazionale, discettando della qualità di quel Governo, ebbe ad ironizzare sul ministro della giustizia, onorevole Fassino, del quale giustificò l'assenza con l'impegno per lui necessario ad una rapida consultazione dei testi Bignami in materia di diritto. Quell'autorevole deputato, riesumato all'esito di una sonora sconfitta elettorale, è oggi investito di responsabilità di Governo insieme al nuovo ministro guardasigilli. Chissà qual è, oggi, il suo pensiero sull'onorevole Castelli, sul suo sapere giuridico, sulle prospettive che si aprono per la giustizia italiana?
I Governi dell'Ulivo hanno affidato le politiche giustiziali ad uomini come Flick, Diliberto e Fassino, tre ministri i quali hanno dimostrato grandi capacità di governo. Il Governo Berlusconi ha affidato quelle stesse responsabilità all'onorevole Castelli, che attendiamo alla prova dei fatti, ovviamente, ma che, quanto a referenze ed autorevolezza politica, desta più di una perplessità.
Siamo pronti, come forza di opposizione, ad una leale collaborazione, ma il nostro atteggiamento in Commissione, in aula e nel paese dipenderà dai modi con i quali il Presidente del Consiglio e il suo ministro daranno concretezza alle responsabilità di Governo. Difenderemo con intransigenza il quadro costituzionale a presidio dell'autonomia della magistratura italiana e le chiediamo sin d'ora se i magistrati di Palermo impegnati in delicati processi di mafia - questa parola non è neppure apparsa nel suo primo discorso parlamentare - ovvero quelli di Milano impegnati in altrettanto delicati processi per reati di corruzione saranno tutelati nell'esercizio delle loro funzioni. Le chiediamo sin d'ora se intenda fornire le opportune direttive all'Avvocatura dello Stato di Milano circa il mantenimento della costituzione di parte civile nell'ambito del processo penale in corso davanti all'autorità giudiziaria milanese per il reato di corruzione aggravata in atti giudiziari a margine della sentenza resa nella causa civile IRI-SME.
Le chiediamo ancora se i processi penali a carico di alcuni parlamentari appartenenti alla sua parte politica ed a lei molto vicini potranno svolgersi in Sicilia, od in altre zone del paese, con regolarità, giacché tutti i cittadini, chiunque essi siano e quale che sia la loro identità sociale - come ella ha solennemente affermato ieri l'altro davanti al Senato della Repubblica -, sono sottomessi alle stesse leggi, o se dovremo assistere, viceversa, da parte della maggioranza dei suoi esponenti, alla consueta gazzarra e ai consueti ripetuti attacchi delegittimanti di giudici e pubblici ministeri.
Anche da questo dipenderà l'atteggiamento dell'opposizione.
Non vi è spazio per amnistie tese a cancellare gravissimi episodi di corruzione nei quali sono coinvolti pubblici amministratori ed esponenti della politica nazionale e locale. L'onorevole Frigerio dovrà rispondere delle sue malefatte e con lui quanti hanno copiosamente praticato ed utilizzato il malaffare dilapidando risorse pubbliche. Anche da questo dipenderà l'atteggiamento dell'opposizione.
Vi è in noi una ferma volontà di dialogare; l'azione riformatrice da noi promossa ed iniziata esige il suo completamento. Intendiamo fornire la nostra collaborazione per raggiungere siffatti obiettivi nel superiore interesse della collettività nazionale, che abbiamo l'onore altissimo di rappresentare. Ella ha fatto cenno, nelle sue dichiarazioni programmatiche, alla necessità di munire il nostro sistema delle leggi di nuove e moderne codificazioni. È questa la nostra posizione programmatica, la nostra proposta politica, da tempo discussa e tempestivamente inserita nel programma elettorale dei Democratici di sinistra, prima, e dell'Ulivo poi; anzi, era questo uno dei punti qualificanti del nostro piano sulla giustizia rispetto a quanto proposto dalla sua coalizione prima del 13 maggio, che su tale necessità nulla diceva.
A tal proposito, non può poi ella ignorare che nella passata legislatura i Governi di centrosinistra ebbero ad avviare un significativo lavoro, trasfuso nelle conclusioni delle commissioni ministeriali Grosso e Tarsia, relative, rispettivamente, alla formulazione di un nuovo codice penale e di un nuovo codice di procedura civile. Il suo Governo, ed il nuovo ministro della giustizia, possono in tempi brevi proporre al Parlamento i conseguenti testi. Intendiamo lavorare con voi per una nuova disciplina ordinamentale della magistratura italiana e per una nuova disciplina dell'ordinamento forense e degli organi professionali forensi, che assumano come priorità la necessità di qualificare l'intero sistema giustiziale del nostro paese attraverso la formazione permanente degli operatori, le valutazioni di professionalità e laboriosità, l'eliminazione di ogni automatismo di carriera.
Vi proponiamo ancora di lavorare insieme per realizzare nel nostro paese una scuola della magistratura e per creare le figure dell'assistenza del giudice con compiti di ricerca e di collaborazione. Certo, a fronte di proposte che si assumono estremamente qualificanti dell'azione del suo Governo, quale quella che intende introdurre nel nostro processo civile la previsione che l'istruttoria processuale possa svolgersi senza il coinvolgimento del giudice, non potrà esservi collaborazione di sorta, bensì ferma opposizione.
PRESIDENTE. Onorevole Bonito, la prego di concludere.
FRANCESCO BONITO. Vengono in campo quei principi irrinunciabili, culture giuridiche diverse. La democrazia compiuta richiede, sul piano della tutela civilistica, la realizzazione di un processo orale. La proposta di Forza Italia va in direzione diametralmente opposta e rafforza uno strumento tipico del processo scritto, contro il quale da circa un secolo si batte, pensa, ricerca, scrive la migliore dottrina del nostro processo.
PRESIDENTE. Onorevole Bonito, la invito a concludere.
FRANCESCO BONITO. Mi consenta, in conclusione, di sottolineare molto sinteticamente ulteriori contenuti della nostra proposta politica; lo faremo nelle sedi istituzionali, nelle forme e con gli strumenti previsti dai nostri regolamenti e secondo le regole della democrazia svolgeremo a pieno il nostro ruolo di opposizione, ruolo che oggi mi induce a preannunciare un voto contrario alla fiducia che ella ha chiesto a questa Camera.
La ringrazio, signor Presidente, e mi scuso (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cola, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti e mezzo. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, signori ministri, una delle più ricorrenti critiche che le opposizioni hanno mosso al discorso dell'onorevole Berlusconi sulla fiducia è stata che l'intervento del Presidente del Consiglio avrebbe avuto toni e contenuti comiziali, tipici di una campagna elettorale.
Le sterili osservazioni, particolarmente quelle dell'Ulivo, evidenziano un chiaro senso di disorientamento e di mancanza di argomenti. Effettivamente è una sinistra senza più anima! Quello che gli italiani si aspettavano dall'onorevole Berlusconi e dal Governo di centrodestra era proprio una riaffermazione, questa volta non in sede comiziale, ma in sede istituzionale, degli impegni assunti nei confronti del popolo italiano. È proprio in forza di questi impegni, opportunamente consacrati in una sorta di contratto, che gli italiani hanno dato fiducia al centrodestra. Averli ribaditi, senza nessuna esclusione, è dimostrazione - se me lo consentite signore della sinistra e signori dell'Ulivo - di coerenza e di serietà.
Immagino cosa avrebbero detto le opposizioni nel caso in cui anche uno degli impegni assunti in campagna elettorale non fosse stato poi confermato nelle comunicazioni
del Presidente del Consiglio. Altro che comizio elettorale!
È indiscutibile che il programma del Governo sia autenticamente innovativo e rivoluzionario e che tenda ad un effettivo cambiamento, che non sarebbe stato mai possibile - onorevole Bonito, glielo dimostrerò da qui ad un momento - come i fatti hanno dimostrato, con le pratiche di governo stantie, sterili, logore, prive di fantasia, in poche parole di tipica ordinaria amministrazione, che ha posto in essere in questi ultimi anni il centrosinistra.
Il ridottissimo spazio riservatomi mi induce a soffermarmi telegraficamente soltanto su alcuni aspetti. Innanzitutto il Mezzogiorno. Ritengo che la preannunciata realizzazione delle grandi infrastrutture sia la chiave di volta per un'effettiva ripresa del sud.
Signor Presidente del Consiglio, l'assistenzialismo diffuso di questi ultimi decenni, praticato per finalità prevalentemente clientelari, non solo non ha risolto i problemi del Mezzogiorno, addirittura acuendoli, ma ha mortificato la dignità di noi meridionali.
Sì, è vero, sono necessari investimenti costituiti, naturalmente, non da «cattedrali nel deserto». È anche vero che l'attrazione per investimenti, auspicabilmente anche esteri, sarà maggiore se le condizioni territoriali e di sicurezza saranno migliorate. Ma, signor Presidente del Consiglio, è anche vero che il sud ha il fior fiore di imprenditori, prevalentemente medi e piccoli, che fino ad ora non hanno avuto la possibilità di sviluppare le loro grandi capacità, proprio per la carenza di idonee condizioni ambientali. Pensate: esistono al sud «isole felici» in cui operano - in condizioni ambientali da terzo mondo - imprenditori che, solo in forza della propria tenacia, volontà, abnegazione e capacità, si sono imposti, adeguandosi, senza rivolgersi a chicchessia, alle esigenze del mercato globale, all'attenzione internazionale. Faccio solo un esempio. La grande distribuzione mondiale nel campo dell'abbigliamento, onorevole Berlusconi, ha ormai come punto di riferimento una serie di piccole aziende che operano nella provincia di Napoli: un vero e proprio miracolo, che sarebbe ancora più stupefacente se si creassero condizioni migliori di vivibilità, sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto quello infrastrutturale. La mancanza di iniziative dell'Ulivo (questa è una realtà incontestabile) in questi anni è stata davvero prova di grande irresponsabilità nei confronti del Sud, nei confronti del meridione d'Italia.
Signor Presidente, siamo sicuri che il suo Governo opererà sollecitamente per raggiungere il grande obiettivo di ridare fiducia e tranquillità alla gente del sud facendola uscire da una troppo lunga fase di disperazione, sfociata quasi in rassegnazione.
Ritengo opportuno soffermarmi brevemente anche su un altro aspetto, solo enunciato, per la verità, nelle comunicazioni del Governo: quello del pianeta giustizia (lo farò anche dando una risposta all'onorevole Bonito). Per sottolineare l'immane portata e la inquietante gravità del problema basterebbe ricordare, onorevole Bonito (ciò è avvenuto non dieci anni fa ma negli ultimi quattro-cinque anni), che l'Italia ha il triste record di condanne da parte dell'Alta Corte di giustizia europea, soprattutto per denegata giustizia, ma anche per violazione della Convenzione dei diritti dell'uomo. Per quanto riguarda tale ultimo aspetto abbiamo dato un contributo determinante insieme; abbiamo dato la stura alla costituzionalizzazione di questi principi attraverso la modifica dell'articolo 111 della Costituzione non ancora perfezionata con una adeguata legislazione ordinaria. Occorre veramente adeguare la legge ordinaria. Ciò che abbiamo fatto recentemente non è assolutamente sufficiente.
Quali sono i rimedi? Bisogna innanzitutto - ecco le risposte - rivedere le circoscrizioni giudiziarie. Pensate che vi sono tribunali in Italia in cui magistrati sono in permanenti ferie per l'irrilevante carico giudiziario ed altre strutture giudiziarie in cui il carico di lavoro è così alto da impegnare a tempo pieno pubblici ministeri, GIP, giudici del dibattimento, giudici della sorveglianza. A titolo esemplificativo,
vorrei sottolineare che vi sono alcuni tribunali in cui il rapporto pubblici ministeri-processi è di uno a dieci ed altri tribunali in cui il rapporto pubblici ministeri-processi è di uno a mille. Pensate che sperequazione, senza che nelle more vi sia stato alcun intervento del Governo di centrosinistra.
La necessità di un riequilibrio è in re ipsa, con la certezza di un sensibile miglioramento delle pendenze. Il problema ha logici riflessi anche sull'obbligatorietà dell'azione penale, che non si risolverebbe con un rimedio presumibilmente peggiore del male, cioè con la facoltatività, dando spazi ad una pericolosa discrezionalità. La questione si risolve ampliando la depenalizzazione in modo diverso rispetto a quanto recentemente legiferato, aumentando gli organici sia dei magistrati sia del personale amministrativo, migliorando le strutture e l'informatizzazione, cancellando alcuni passaggi burocratici superflui e dannosi, modificando i due codici di rito, quello di procedura penale e quello di procedura civile. Non possono, però, esaurirsi qui le auspicabili iniziative del Governo, che noi tenteremo di sollecitare con proposte di legge ad hoc.
Ella, signor Presidente del Consiglio, ha enunciato l'esistenza di un problema molto delicato: separare o no le carriere giudiziarie? Ebbene, l'esigenza si è avvertita sempre di più, specie negli ultimi anni. Chi ha svolto la funzione di pubblico ministero in delicate indagini - mi ascolti, signor Presidente del Consiglio - d'emblée lo si ritrova in un collegio giudicante a decidere da giudice terzo, se non sulla stessa vicenda, su vicende processuali analoghe o collegate a quella che lo ha visto protagonista con la funzione inquirente: è una cosa vergognosa! Non è più possibile sopportare tutto ciò in uno Stato di diritto, nella culla della civiltà giuridica, così come alcuni affermano. Occorre, quindi, separare le carriere o, se si vogliono scongiurare i rischi connessi ad un pubblico ministero sottoposto all'esecutivo, perlomeno separare le funzioni in modo rigoroso ed imporre a chi entra in magistratura di fare prima cinque anni di attività giudicante e provare, pertanto, prima di svolgere funzioni inquirenti in un altro distretto giudiziario, il tormento della camera di consiglio prima di assumere una decisione che sia di assoluzione o di condanna. Occorre rivedere...
PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo onorevole Cola, la prego...
SERGIO COLA. Signor Presidente, mi consenta di finire, così come ha fatto con l'onorevole Bonito.
È possibile ottenere i risultati voluti anche attraverso l'incremento della prevenzione. Signor Presidente del Consiglio, proprio con riferimento alla prevenzione dei reati, le devo ricordare che il Governo Dini nel 1995 con alcuni decreti legislativi destinò ad attività burocratiche ben cinquantamila poliziotti...
PRESIDENTE. Onorevole Cola, ha già utilizzato un minuto in più.
SERGIO COLA. ... che dovevano stare sul territorio. Cancelli questo decreto legislativo che è di ostacolo all'obiettivo di garantire la sicurezza degli italiani e il controllo del territorio!
Ho terminato, signor Presidente, e la ringrazio anche per il minuto che mi ha dato in più.
Sono sicuro che il Governo terrà fede agli impegni presi ed è per questo che con entusiasmo, slancio e rinnovato ottimismo gli assicuro la mia fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Rizzi, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, voto la fiducia a questo Governo non solo in qualità di parlamentare della maggioranza, ma anche come semplice cittadino che nel Capo dell'esecutivo e nei
suoi ministri ripone la speranza per un radicale e decisivo cambiamento del nostro paese.
CESARE RIZZI. Il compito non sarà facile, vista la grave condizione nella quale attualmente il paese versa. L'incapacità del vecchio Governo di sinistra di investire nel paese ha ampliato ed aggravato maggiormente le lacune già presenti, rafforzando il processo di invecchiamento e di impoverimento già in corso.
La sinistra, che ha rinnegato la simpatia nei confronti della Lega nord, e che oggi ci accusa di razzismo e di estremismo perché abbiamo contribuito alla vittoria della Casa della libertà, deve solo riflettere sui gravi errori che ha commesso. Il più grave esempio di malgoverno lo abbiamo avuto un mese fa con l'organizzazione e la riduzione dei seggi elettorali, dovuta, secondo l'ex ministro dell'interno Bianco, alla mancanza di finanziamento da parte del Governo. È stato negato ad alcuni cittadini il diritto fondamentale di votare proprio da coloro che erano preposti a difendere la Costituzione e gli interessi della democrazia. Chi è riuscito a votare dopo poche ore di attesa lo ha fatto grazie a quel senso di civiltà e di responsabilità che è mancato alla sinistra, che ancora oggi - se non ve ne siete ancora accorti - non si è degnata di chiedere scusa ai cittadini per questa grave violazione costituzionale. Oggi più che mai l'Italia necessita dell'attuazione di riforme radicali, che ridiano vitalità al paese puntando sugli elementi più semplici che fanno di un paese una grande nazione: la famiglia, il territorio e il lavoro.
Se gli italiani hanno scelto la sua leadership, signor Presidente del Consiglio, non lo hanno fatto in base ad un giudizio estetico, ma perché il Governo di centrodestra ha saputo cogliere le vere esigenze del paese e creare ministri ad hoc - quali quello della devolution, tematica cara a noi della Lega nord Padania - in grado di riportare l'Italia agli italiani.
La sinistra ha perso queste elezioni semplicemente perché la sua classe dirigente ha dimenticato il primo grande principio presente nella nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo! Anche il suo Governo deve sempre tenere presente che il destino di tutti gli esecutivi dipenderà dall'attuazione di questo principio: ridare fiducia e sicurezza ai cittadini ed un futuro certo ai giovani è il primo passo.
Semplificando, non posso che finire augurando a lei e al suo Governo un buon lavoro. In bocca al lupo, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Olivieri, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio dei ministri, colleghi, il Governo che oggi chiede la fiducia del Parlamento ha istituito un apposito dicastero per la devoluzione, segno - ci auguriamo - della volontà di proseguire con coraggio sulla strada del federalismo e di un forte decentramento di poteri alle regioni. Dico «proseguire» perché nella scorsa legislatura i Governi di centrosinistra hanno fatto moltissimo in questa direzione. Porto l'esempio del Trentino-Alto Adige/Südtirol, regione a statuto speciale nella quale sono stato eletto. Negli scorsi cinque anni sono state approvate dal Governo, su indicazione della commissione paritetica Stato-regione, ben 29 norme di attuazione dello statuto, più di quante ne siano mai state approvate nelle precedenti legislature.
Si tratta di un decentramento di poteri imponente, che ha consentito alle amministrazioni locali di rispondere con maggiore rapidità ed efficacia alle esigenze del territorio, con effetti immediatamente tangibili anche per i singoli cittadini. L'attenzione del centrosinistra nei confronti del Trentino-Alto Adige/Südtirol e di tutte le altre regioni a statuto speciale è stata dimostrata anche in occasione dell'approvazione della legge costituzionale che ha
introdotto l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, legge con la quale si è assegnata alle regioni speciali, al pari di come si era fatto per le regioni ordinarie con la modifica degli articoli 123 e seguenti della Costituzione, l'autonomia di decidere sulla forma di Governo e sulle leggi elettorali.
Sappiamo, infatti, che l'autogoverno non passa soltanto attraverso la possibilità di disporre di maggiori competenze, ma anche attraverso la reale capacità di esercitarle, poiché altrimenti i maggiori poteri rimangono lettera morta. Ogni istituzione tende istintivamente ed intimamente ad accentrare su di sé il potere ed è dunque inevitabile che si assista ad una competizione tra centro e periferia.
Ciò che interessa ai cittadini, però, non è il fatto che una competenza sia gestita a livello regionale anziché statale, bensì il fatto che tale competenza sia esercitata al meglio. Noi sappiamo che, compatibilmente con il principio di sussidiarietà, le competenze sono governate in maniera più efficace quando sono incardinate sul livello più vicino ai cittadini, ma ciò è vero soltanto se chi ne ha la potestà è realmente in grado di produrre decisioni in maniera efficiente e nell'interesse della popolazione.
Se a quanto fatto nello specifico per la regione dalla quale provengo aggiungiamo quanto è stato fatto per tutte le regioni in materia di decentramento dall'ex ministro Bassanini, nonché l'approvazione del disegno di legge costituzionale sul federalismo, credo si debba riconoscere che la maggioranza uscente è stata la più «amica» delle regioni della storia repubblicana.
Sappiamo che le regioni a statuto speciale sono spesso viste dalle altre regioni e, talvolta, anche a livello centrale, come soggetti privilegiati. Taluni se la prendono, in particolare, con la maggiore dotazione di risorse di cui le regioni a statuto speciale dispongono. Così non è. Infatti, di fronte alla necessità di fare la propria parte per il risanamento del debito pubblico, ad esempio, il Trentino-Alto Adige/Südtirol - ma lo stesso discorso vale anche per le altre regioni - ha scelto la via maestra di battersi per ottenere maggiori competenze, sobbarcandosene in gran parte i costi, anziché farsi ridurre i bilanci. Nei Governi di centrosinistra, in particolare nelle persone degli allora ministri Bassanini e Ciampi, si sono trovati interlocutori attenti e lungimiranti disponibili a decentrare nuove competenze ad una regione che, grazie alla lunga e positiva tradizione di autogoverno, si è dimostrata in grado di governare.
Ciò che non è tollerabile e che non può che suscitare grande preoccupazione è il fatto che, ad esempio, sempre con riferimento al Trentino-Alto Adige/Südtirol, siano contestate le maggiori competenze che tale regione e le altre a statuto speciale hanno conquistato.
Durante la recente campagna elettorale per le elezioni politiche, numerosi autorevoli esponenti della Casa delle libertà hanno dichiarato, durante i loro comizi, di voler cancellare lo status di autonomia speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol e di tutte le altre realtà speciali, non già attraverso una riforma federale dello Stato che elevi tutte le regioni italiane allo stesso livello di autonomia di queste regioni, bensì riducendolo a quello delle regioni ordinarie. Come se non bastasse, queste dichiarazioni sono state talvolta pronunciate con venature pericolosamente nazionaliste, come se il federalismo andasse bene solo per gli italiani DOC e dovesse, invece, lasciare il posto al buon vecchio nazionalismo quando si tratta di minoranze linguistiche.
Non vorremmo assistere, signor Presidente, ad un Governo che, sul piano dei rapporti con le regioni, adotta due pesi e due misure a seconda del fatto che tali regioni siano governate dal centrodestra o dal centrosinistra.
Mi permetta, signor Presidente, di ricordare che i sette mesi del suo Governo precedente furono un periodo buio, durante il quale non fu approvata nemmeno una norma di attuazione da parte delle commissioni paritetiche. Ebbene, anche oggi, le prime dichiarazioni dell'amico ministro Frattini sulle norme in materia di
energia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, da poco entrate in vigore, nonché le dichiarazioni del senatore Gubert (unico esponente del centrodestra ad aver conquistato un collegio uninominale in Trentino-Alto Adige/Südtirol) sulla volontà di cancellare la recente modifica statutaria, costituiscono segnali estremamente preoccupanti.
Tuttavia, intendo prendere per buone, signor Presidente, le sue dichiarazioni di voler essere il Presidente di tutti gli italiani e non solo di quella parte che lo ha eletto. Avremo modo di appurare la bontà di tale intento ben presto, ossia quando saranno nominati i componenti delle commissioni paritetiche delle regioni a statuto speciale e delle province.
Auspico, dunque, che il nuovo Governo non interrompa il processo di decentramento avviato dal centrosinistra e che mantenga nei confronti delle regioni il medesimo rispetto, anche se debbo rilevare - e non lo faccio con piacere, mi creda - che nel suo intervento non vi è neppure un accenno alle autonomie speciali. Compito dell'opposizione - e me ne assumo parte dell'onere - sarà quello di vigilare sull'atteggiamento del Governo nei confronti delle regioni, a cominciare da quelle a statuto speciale, e di incalzarlo sulla strada del federalismo.
Non mi resta, dunque, che rivolgere a lei e al suo esecutivo, signor Presidente, i migliori auguri di buon lavoro (Applausi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rotondi, al quale ricordo che ha a disposizione venti minuti. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, non saranno necessari tutti i venti minuti per affermare che il CCD-CDU Biancofiore voterà la fiducia al nuovo Governo e per aggiungere che è molto contento di farlo, in quanto la stessa fotografia della realtà che è dinanzi ai nostri occhi evidenzia la ragione della nostra soddisfazione: il ritorno di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
In riferimento alla notazione un po' macabra - e credo, come il mio accento napoletano rivela, anche vagamente iettatoria - del collega che ha parlato prima, ritengo che definire bui sette mesi, seguiti da cinque anni più due, significhi giocare molto di fantasia, ma di fantasia macabra. Quei sette mesi furono importanti perché diedero il segno di una possibilità di cambiamento, che si è collaudata con un'alternanza di Governo, sulla base di una condizione consolidata, che ha dato un'occasione alla sinistra, quella sinistra che voi definite plurale.
Plurale significa che ognuno dice una cosa per conto suo; ma sinistra plurale nella tradizione culturale della sinistra, di quella seria, di quella che rimpiangiamo, di quella che si contrapponeva alla Democrazia cristiana, evidentemente significava un'altra cosa. La sinistra plurale che abbiamo visto è una sinistra che ha impiegato la sua occasione di alternanza per bruciare quattro Governi, decidendo alla fine che nessuna delle quattro soluzioni era proponibile all'elettorato; quindi, ne occorreva una quinta, selezionata attraverso un concorso di bellezza che ha emulato tutti gli effetti caricaturali che nella vostra ideologia da Satyricon sono stati attribuiti al cosiddetto berlusconismo, fenomeno che avete in parte inventato, in parte emulato e che vi ha condotto alla sconfitta.
La campagna elettorale è conclusa, ma non è conclusa una valutazione serena e non propagandistica di una sconfitta molto duratura di una sinistra che sta rinunziando a comprendere le ragioni stesse di una vittoria, che non è solo di una parte politica. È stato detto in qualcuno degli interventi migliori che ho ascoltato da parte della sinistra: è la vittoria di un blocco sociale, forse composito, ma che c'è e che ha alle spalle una indicazione politica nuova, riassunta nella guida politica di Silvio Berlusconi.
In breve, noi voteremo la fiducia e la voteremo con grande soddisfazione, perché questo è, sì, il ritorno di un uomo che gli italiani hanno votato due volte in tempi diversi, ma è un ritorno che avviene
su basi completamente nuove. È consegnato alla storia il Silvio Berlusconi che inventa un miracolo politico che lo porta in pochi mesi a palazzo Chigi; il nuovo Silvio Berlusconi è, con Aznar e Kohl, uno dei capi di uno dei due poli dell'Europa politica, è uno dei capi del partito popolare europeo, che realizza un'alleanza larga, un arco democratico che va dalla destra democratica di Alleanza nazionale alla Lega, al Biancofiore ed alla Sinistra democratica e, su questa base politica, domanda di governare su una condizione di novità e di innovazione. E tra cinque anni domanderà di essere giudicato sulle cose che, in coerenza con questi principi, avrà realizzato e su cui evidentemente sfida la sinistra stessa, perché nell'intervento del Presidente Berlusconi (lo dico da democristiano non pentito) vi è una traccia evidente e coerente della politica del confronto con l'opposizione, che è stata ispiratrice delle pagine migliori della storia scudo-crociata.
Berlusconi sfida la sinistra ad un confronto sulle cose importanti che sono utili da realizzare per questo paese e che non sono né di destra né di sinistra: si tratta di dati oggettivi, su cui vedremo concretamente le nostre capacità di realizzazione, ma anche la capacità di risposta e di adeguamento della sinistra stessa.
Nel dibattito al Senato sono rimbalzati alcuni temi; mi riferisco, ad esempio, alla riforma elettorale. Una sola raccomandazione vorrei rivolgere al Presidente Berlusconi: le riforme sono importanti; averle rinviate all'ultimo anno di legislatura è un atto di straordinaria serietà del Governo, perché le riforme richiedono riflessione e non possono divenire una sorta di lesione che pretestuosamente viene introdotta in una legislatura che individua alcune urgenze ed alcune priorità. È certo che la legge elettorale andrà rifatta, è certo che vi sono elementi culturali nuovi che andranno recuperati nella proposta riassuntiva, ma a tempo debito e dopo aver realizzato le priorità su cui questo Governo sarà giudicato.
Esprimiamo soddisfazione per la nostra scelta di sostenere Berlusconi perché abbiamo condotto - con costi pesanti, talvolta anche personali - battaglie che hanno creato tante incomprensioni, anche nel mondo democristiano. Fa piacere che oggi capi storici della Democrazia cristiana riconoscano la giustezza della linea di quei cattolici che, in tempi non sospetti e con grandi rischi personali, hanno compiuto questa scelta. Questa è la differenza tra i peones, che siamo noi, e i capi storici: questi ultimi capiscono sempre cinque anni dopo quello che noi diciamo cinque anni prima (Si ride).
E con la semplicità di peones noi, contenti di aver compiuto allora quella scelta, ne raccogliamo oggi il frutto vedendo Berlusconi alla guida del Governo del paese, e alle spalle, un gradino più in alto, ma solo sul piano istituzionale, un grande e giovane democratico cristiano che torna alla guida della Camera, a suggello e a testimonianza di una fase nuova della vita politica del paese, che rinnova principi antichi ma su basi programmatiche e su scelte di uomini profondamente nuove. (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU Biancofiore, di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania - Congratulazioni)
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rotondi, anche personalmente, per le parole che ha voluto rivolgermi. Le sono grato.
È iscritto a parlare l'onorevole Ruzzante, al quale ricordo che ha 10 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, come lei avrà potuto notare, i parlamentari dell'opposizione non si sono limitati ad esprimere la loro contrarietà al suo programma e al suo intervento, ma hanno tentato di contribuire, portando le loro idee, le loro proposte e i loro valori. Sì, perché anche noi amiamo il paese nel quale viviamo e anche noi vogliamo cambiare l'Italia. Ma vede, la vogliamo cambiare in modo nettamente diverso da come la vuole cambiare lei e la sua foltissima squadra di Governo, per la verità un po' assente oggi in quest'aula.
La nostra opposizione nei prossimi anni avrà sempre la caratteristica di disegnare l'Italia che noi vogliamo, e di essere forza che esprime un modello di Governo alternativo, perché non vogliamo restare troppo all'opposizione, vogliamo tornare ad essere sinistra di Governo, come avviene nella maggioranza dei paesi dell'Unione europea.
Presidente Berlusconi, nella comunicazione del suo Governo, al di là della mancanza di proposte concrete e chiare, al di là della fumosità di alcuni ragionamenti in esso proposti, c'è, secondo il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, una grave assenza sia in termini progettuali che valoriali. Si tratta della questione delle politiche per le giovani generazioni: manca un vero progetto di innovazione rivolto ai ragazzi ed alle ragazze italiane che si proponga concretamente di investire sul loro futuro. Troppo spesso attraverso i mass-media, o anche in quest'aula, ci accorgiamo dei giovani solo quando sono protagonisti in negativo. Ma della stragrande maggioranza dei nostri giovani, di quella generazione detta invisibile, nessuno si occupa, neanche la sua relazione se ne è occupata. Credo che uno degli obiettivi primari che la sinistra, l'Ulivo, hanno nei prossimi anni sia quello di tornare ad interpretare i loro valori, le loro idealità e i loro bisogni: insomma, ridargli quella visibilità, e lo faremo anche in quest'aula. Avere la capacità di investire in progetti di innovazione, in una parola, essere dalla parte delle nuove generazioni.
Ritengo che nei cinque anni che ci siamo lasciati alle spalle, l'Ulivo abbia avuto la capacità di introdurre alcune innovazioni importanti: ad esempio, sul fronte del lavoro, il lavoro interinale, le borse di lavoro, il prestito d'onore, i patti territoriali, la riduzione degli oneri a carico delle imprese e gli sgravi fiscali per ogni nuovo lavoratore assunto. Ma questa flessibilità introdotta non può e non deve significare oggi, e per il futuro, precarietà o rischio di essere sottomessi a nuove forme di ricatto, oggi inaccettabili.
Sul fronte della scuola, altri sono intervenuti a nome del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, ma vorrei ricordare non solo l'innalzamento del tetto della scuola dell'obbligo, che ci ha consentito di avvicinare l'Italia all'Europa, ma anche l'introduzione della riforma degli esami di maturità. Mi ha fatto piacere sentire ieri, nel messaggio che il neo-ministro Moratti ha letto agli studenti italiani, impegnati da oggi negli esame di maturità, come oggi possano stare più tranquilli, grazie ai crediti scolastici acquisiti nel loro percorso e grazie alle commissioni composte da insegnanti interni che li giudicheranno. Ringrazio il ministro Moratti per il riconoscimento dato al lavoro del Governo dell'Ulivo e alle riforme approvate nella XIII legislatura.
Abbiamo poi abolito la leva obbligatoria, come già avveniva - eccetto per la Germania - in tutti gli altri paesi dell'Unione europea. Il nostro obiettivo è stato di tentare di restituire tempi di vita, tempi di studio e di libertà ai giovani, rendendoli competitivi nel mercato del lavoro che sempre di più sarà europeo e non nazionale. Proprio per questo vogliamo facilitare, come avviene nel resto d'Europa, l'accesso alle libere professioni attraverso una riforma dell'esame di Stato e l'introduzione del tirocinio retribuito per i praticanti. È inaccettabile questo gap di cinque anni, un ritardo spesso incolmabile per i giovani italiani rispetto ai loro colleghi francesi o inglesi. Due anni per l'apprendistato, due anni per l'attesa e lo svolgimento del servizio militare o civile, un anno in più per il ciclo delle superiori.
Signor Presidente del Consiglio, è sorprendente che il suo primo atto preannunciato sia l'idea di una controriforma scolastica che, bloccando la riforma dei cicli, toglierà un anno di libere scelte ai giovani italiani, costringendoli ad essere meno competitivi e ad arrivare con un anno di ritardo rispetto ai loro colleghi europei.
Anche nel campo dell'innovazione tecnologica pensiamo di aver dato il nostro contributo. Oggi un giovane italiano che termina la terza media può, con un forte sconto ed una rateizzazione nei pagamenti, acquistare un personal computer o,
dopo 18 anni, usufruire di un prestito per partecipare a corsi informatici o rinnovare i propri materiali informatici.
Signor Presidente del Consiglio, si rilegga il rapporto annuale dell'ISTAT sulla situazione del paese nel 2000 presentato nei giorni scorsi. A pagina 291 si legge: «i laboratori informatici risultano ormai ampiamente diffusi nel territorio nazionale»; infatti essi sono presenti in media nel 92,7 per cento degli istituti scolastici monitorati, con valori che raggiungono il 96,1 per cento nel nord-est ed il 95,8 per cento nel nord ovest. A differenza di quanto lei ha scritto nella sua relazione alle Camere, è necessario investire sui laboratori linguistici presenti solo nel 31 per cento degli istituti scolastici o sugli impianti sportivi che mancano o sono insufficienti in un quarto dei nostri plessi scolastici.
Ma il punto centrale che intendiamo riproporre in questa legislatura è l'approvazione di una legge quadro sulle politiche giovanili che consenta di dare piena attuazione anche in Italia alle direttive contenute nel «programma Gioventù» del Consiglio europeo, che sicuramente lei conosce. Noi riteniamo, come abbiamo scritto nel programma dell'Ulivo, che l'universo giovanile debba trovare voce e rappresentanza e che i giovani debbano essere chiamati ad esprimersi sulle politiche che li riguardano. Solo così ridurremo la distanza tra i giovani e la politica, tra i giovani e le istituzioni. L'Italia è l'unico paese europeo a non avere ancora realizzato un consiglio nazionale della gioventù che, oltre a permettere ai giovani italiani di esprimere direttamente pareri e proposte e di assumere decisioni, consenta loro di sedere nelle sedi europee degli out forum dove si decidono le priorità europee in materia di politiche giovanili e dove si indirizzano parte dei contributi dell'Unione europea.
Faremo vivere in questa legislatura, seppure dall'opposizione, il programma dell'Ulivo; proporremo la realizzazione di una carta che consenta ai giovani fra i quindici e i ventinove anni l'accesso scontato a teatri, cinema, biblioteche, musei (in parte già introdotto dal ministro Melandri sino ai venticinque anni) o che li agevoli per l'acquisto di compact disc, libri, computer od altri servizi culturali; una carta che ci consenta di migliorare l'offerta culturale, la presenza nel territorio degli «informagiovani», oggi presenti a macchia di leopardo, con punte di uno ogni tre o quattro comuni in Emilia Romagna e di uno ogni venti in regioni come la Sicilia.
Soprattutto vogliamo riproporre l'idea di una dotazione di capitale per ogni ragazzo che compie 18 anni, da spendere in formazione anche all'estero o per l'avviamento di un'attività, per cercare casa, per dotarsi di strumenti tecnologici, per muoversi da città a città. Bisogna rendere il giovane maggiormente autonomo senza obbligarlo a convivenze familiari forzate e determinate dalle condizioni economiche e materiali piuttosto che dalle scelte di vita.
Voglio concludere con un ultimo elemento di riflessione che riguarda il movimento detto di Seattle che si mobilita contro la globalizzazione o, meglio ancora, contro quel modello di globalizzazione. Onorevole Berlusconi, nella sua relazione ha detto che gli obiettivi di quel movimento sono i vostri obiettivi, gli obiettivi del suo Governo; non ce ne eravamo mai accorti, non l'abbiamo mai letto nelle proposte programmatiche della Casa delle libertà. Signor Presidente del Consiglio, quei movimenti, che vanno ben al di là della componente dei centri sociali, sono espressione di movimenti pacifisti, ambientalisti, di volontariato, dell'associazionismo laico e cattolico. Quei movimenti mettono in discussione qualcosa di più profondo: l'idea di un mondo che si basa sugli zero nei conti correnti e che antepone gli interessi particolari a quelli globali. Condannano l'egoismo del nord del mondo che già oggi consuma l'80 per cento delle risorse planetarie e che vorrebbe consumare ancora di più. Un mondo che, attraverso i condoni edilizi, privilegia gli interessi di chi ha compiuto gli abusi piuttosto che salvaguardare un patrimonio che abbiamo avuto in eredità da millenni di storia dell'umanità.
C'è ancora, per fortuna, chi pensa che «anche questo terribile e intricato mondo
moderno può essere messo al servizio di uomini e donne» e che « la lotta per questo obiettivo può riempire degnamente una vita». Sono parole di Enrico Berlinguer. In questa frase risiede tutta la differenza tra destra e sinistra, tra chi pensa alla propria vita, alla vita del pianeta terra, rinchiudendola nella sua storia personale e chi, invece, ritiene che alle generazioni future spetti esprimere il giudizio sul nostro modo di governare.
La mia speranza è che, in questi cinque anni di opposizione, l'Ulivo, i Democratici di sinistra e la sinistra ritrovino il gusto di pensare, di immaginare e di realizzare un'Italia diversa da lasciare in eredità ai nostri figli.
Con questo spirito, cercheremo di esprimere il nostro voto contrario e convinto in Assemblea e nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bricolo, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio, ho avuto modo di ascoltare attentamente il discorso programmatico che ha pronunciato lunedì scorso al Senato.
Ho notato con piacere che il primo punto programmatico da lei illustrato è stato il federalismo. Spero, per far capire subito e a tutti, che l'azione primaria di questo Governo sarà volta ad una trasformazione radicale dell'apparato statale, partendo dalla devoluzione per arrivare, in un prossimo futuro, ad ottenere un federalismo compiuto, in grado di dare quell'autonomia ormai necessaria che, a grande voce, i cittadini richiedono e rivendicano nelle regioni del nord, ma anche nel resto del paese.
La devoluzione, che deve partire subito - e ciò è molto importante - sarà la ricetta vincente per risolvere i gravi problemi di operatività amministrativa che bloccano, ormai da decenni, lo sviluppo del paese.
La devoluzione, voluta con forza dalla Lega nord Padania, sarà la chiave di volta per concretizzare tutti i programmi che il Governo della Casa delle libertà ha messo in cantiere; sarà lo strumento con il quale potremo rendere la macchina amministrativa statale più snella, più operativa e più vicina ai cittadini.
Detto ciò, mi permetto, onorevole Presidente del Consiglio, di raccomandarle alcuni azioni da compiere che non sono state sottolineate nel suo discorso programmatico. Mi riferisco, innanzitutto, alla drammatica situazione che abbiamo ereditato dal Governo uscente riguardo alla criminalità. Uno Stato civile non può lasciare i propri cittadini in balia dei delinquenti, non può farli vivere nella paura, ma deve garantire loro sicurezza e protezione.
In questo campo, l'azione di governo dovrà essere, a mio avviso, estremamente decisa e determinata. Onorevole Presidente del Consiglio, le assicuro che da tutti i cittadini che ho incontrato in campagna elettorale, nelle piazze e nei mercati, giungeva sempre e comunque la richiesta insistente - mi creda - di avere più sicurezza. Dobbiamo incentivare le nostre forze di polizia e potenziare la loro presenza sul territorio; dobbiamo favorire le polizie locali e, soprattutto, contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. La famigerata legge Turco-Napolitano deve essere cambiata! Si tratta, infatti, di una legge tanto permissiva che concede ai clandestini presenti nel nostro paese di organizzarsi liberamente sul nostro territorio e di specializzarsi poi nei reati più vari. Sarà nostro compito eliminare dalle nostre strade tutti gli immigrati clandestini che vivono di sfruttamento della prostituzione, di spaccio di droga, di furti, di rapine. Dobbiamo, pertanto, agire immediatamente!
Gli immigrati clandestini presenti nel nostro territorio devono essere individuati e, successivamente, immediatamente espulsi. Potrà essere accolto nel nostro
paese soltanto chi entra dalla porta principale, con la garanzia di un posto di lavoro e di una casa in cui vivere. Solo così - è chiaro - si potrà integrare nel nostro tessuto sociale, nel rispetto della nostra cultura, della nostra tradizione, della nostra religione e della nostra legge.
Inoltre, a mio parere, occorre preferire sempre e comunque l'entrata nel nostro paese degli extracomunitari di origine italiana o comunque con radici culturali simili alla nostra e limitare al massimo i flussi di immigrati di provenienza musulmana. Gli islamici dove si radicano, non si integrano. Hanno tradizioni culturali che spesso contrastano con le nostre e, in più, portano con loro, in modo endemico, cellule fondamentaliste estremamente pericolose per la sicurezza interna del nostro paese.
L'ultima raccomandazione riguarda il preoccupante fenomeno dei centri sociali. Fra pochi giorni chiunque potrà rendersi conto di chi siano realmente. Stanno reclutando, nel modo più disparato, signor Presidente del Consiglio, migliaia di persone da portare a Genova, con la scusa della disubbidienza alla globalizzazione, per poi usarli come copertura, come scudo alle loro azioni di violenza. Sono anni ormai che gran parte dei centri sociali, non a torto definiti il braccio armato della sinistra, vivono occupando spazi pubblici senza averne diritto con i finanziamenti elargiti dagli enti locali, quasi sempre amministrati dalla sinistra, magari sotto forma di consulenze esterne date ai loro aderenti.
È giunto il momento di fare chiarezza! Le forze di polizia devono indagare e chiudere immediatamente tutti i centri sociali, covi di delinquenti, al cui interno ci si organizza...
PRESIDENTE. Onorevole Bricolo, la prego di concludere perché è esaurito il tempo a sua disposizione.
FEDERICO BRICOLO. ...per creare la violenza con lo scopo di destabilizzare il nostro equilibrio sociale.
Concludo augurando a lei ed al suo Governo di riuscire a realizzare tutti i programmi annunciati e soprattutto di non perdere mai, nei prossimi cinque anni, la voglia di lavorare per il cambiamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
RAFFAELE COSTA. Signor Presidente, signori ministri, onorevoli colleghi, il proposito del Governo di cambiare l'Italia è certamente lodevole soprattutto perché si è previsto espressamente di farlo sempre in modo democratico. Però cambiare il paese sarà molto arduo se non si modificheranno preventivamente le regole, le discipline, gli strumenti, in una parola le norme di cui dispongono i ministri e che ne disciplinano l'attività. Gli strumenti di lavoro dell'esecutivo, il martello, le tenaglie, gli scalpelli sono costituiti dalle regole, dalle leggi che ne condizionano tutti i membri, vincolano il loro lavoro, determinano, legano. Quando poi queste norme sono tante, esse si sommano, sovente si azzuffano, si contraddicono, si sedimentano; ecco, allora, che tutte insieme fanno burocrazia ed impediscono a chi governa di realizzare.
Ho condiviso la sua scelta di inserire nelle cinque priorità la delegificazione: ovvero la semplificazione legislativa. Ella ha compiuto una scelta di fondo non tanto qualificante quanto utile. Mi auguro che - indipendentemente da scelte di altra natura che non ho condiviso e che discuterò in sede politica non parlamentare - il suo Governo sappia liberare se stesso dall'attuale giungla paralizzante. Diversamente il cambiamento sarà un sogno.
Quando un ministro, un assessore regionale, un sindaco si dolgono di non poter realizzare, in tempi rapidi, un'opera, pur avendo la disponibilità finanziaria per realizzarla, è costume comune allontanare le responsabilità additando, un po' semplicisticamente, le colpe alla burocrazia perfida e paralizzante. Ma che cos'è questa
burocrazia? Non certo un folletto a mezze maniche che si diletta a paralizzare tutto, bollare tutto, vistare tutto. Quella che comunemente viene chiamata burocrazia oggi è la somma soprattutto di due fattori: l'eccesso di leggi e l'eccesso di strutture pubbliche; la burocrazia è un mostro bicefalo che ha dentro una testa decine di migliaia di leggi e nell'altra le migliaia di enti pubblici che caratterizzano il nostro paese.
Le leggi disciplinano le strutture, le strutture sono chiamate ad applicare le leggi: le prime sono tantissime, le seconde moltissime. La sola attività del Governo è disciplinata direttamente da 3650 leggi.
Lei si è proposto di cambiare l'Italia e per contribuire a farlo ha chiamato perfino qualche buon ministro: come potranno fare a cambiare l'Italia i suoi colleghi di Governo? Applicando le norme che li riguardano direttamente. E così l'onorevole Scajola ci difenderà dalle intemperanze dei «turisti» genovesi applicando contemporaneamente le 444 leggi che disciplinano, in modo abbastanza confuso, il suo ministero. E così la ministro che presiede all'attività scolastica, oltre a cancellare i cicli, dovrà avviare decorosamente l'anno scolastico, applicando contemporaneamente le 366 leggi tutte volte a far sì che il ministro della pubblica istruzione compia interamente il suo dovere.
Quasi mezzo migliaio, esattamente 427, sono le leggi che deliziano, da oggi, il ministro delle infrastrutture, mentre il collega liberale onorevole Martino non potrà ordinare l'attenti neppure ad un sergente se non avrà prima corrisposto alle attese di 275 leggi che lo riguardano direttamente. Il ministro Tremonti intende essere pieno titolare dell'universo dell'economia? Allora si goda le 316 leggi tutte relative al suo ministero, che, grazie a tali provvedimenti, è chiamato, a sua volta, a vigilare sulle migliaia di norme fiscali e affini che deliziano i cittadini. Facile facile il compito per il ministro Ruggiero che deve badare, in proprio, a 189 leggi per la Farnesina, a 93 per il commercio estero, più una ventina per l'ICE: in tutto solo 300 testi; più fortunato il ministro dell'università (oggi collegato a quello della pubblica istruzione) che se la caverà con l'osservanza di 144 leggi (oltre alle già citate 366). Chissà se il ministro Sirchia, da buon immunologo, ce la farà ad ubbidire quotidianamente 296 volte, quante sono le leggi che disciplinano il suo ministero e relativi istituti superiori della sanità: il lavoro - che, mi auguro, il ministro Sirchia non vorrà portare verso forme attenuate di interesse nei confronti della sanità pubblica - potrebbe essergli facilitato dal ministro del lavoro e dal collega dell'ambiente che, dovendosi solo adeguare rispettivamente a 134 e 107 leggi, hanno tempo libero per dare una mano al collega (Si ride).
Fin qui i ministri che pesano: vi sono poi quelli che, stando al numero delle leggi cui devono adeguarsi, contano poco.
I colleghi scuseranno la mia carrellata solo apparentemente scherzosa; la realtà è molto complessa e rischia di confliggere inevitabilmente con le migliori intenzioni, con le aspirazioni più attendibili.
PRESIDENTE. Onorevole Costa, le chiedo scusa, ma devo invitarla a concludere perché il tempo a sua disposizione è terminato.
RAFFAELE COSTA. Mi scuso, signor Presidente. Negli ultimi cinque anni un valido ministro della funzione pubblica è riuscito ad avviare il processo di semplificazione legislativa utilizzando le forbici ed alcune strutture poco conosciute. Oggi c'è da usare non più le forbici ma la scure coinvolgendo tutto il Governo in un'opera di vera catarsi normativa.
Non essendo stato chiamato - sicuramente per colpa mia o per dimenticanza - a contribuire a semplificare le leggi, mi sono limitato, per ora, a contarle, almeno quelle che il Governo deve rivedere subito, sforzandosi di ridurle, per far vivere meglio il paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, della Lega nord Padania e CCD-CDU Biancofiore).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ercole, al quale ricordo che ha
cinque minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, la vittoria della Casa delle libertà ci ha dato finalmente l'opportunità di dimostrare quanto sia fondamentale, per bene amministrare, partire da un presupposto essenziale che si chiama principio di autonomia a salvaguardia della democrazia e della volontà popolare, principio cardine della Lega nord. E gli elettori hanno votato per la Casa delle libertà perché hanno avvertito in modo profondo questo principio base del nostro programma elettorale, sottoscritto da tutte le forze in campo; un programma che tiene in considerazione i bisogni primari di una società che dialoga con l'Europa e con il mondo.
Quante volte in campagna elettorale i nostri avversari hanno puntato il dito contro questo programma e questo principio, accusandoci - e ancora oggi in quest'aula ogni occasione è buona per rintuzzare - di volere la distruzione del paese, sia politica che economica, sia ancora culturale che ambientale, quando invece l'eredità lasciata a noi tutti - Governo e cittadini - dall'ultima compagine governativa è dimostrata ampiamente dalla voragine nei conti pubblici (una situazione ben più grave di quanto sbandierato a scopi elettorali nei lunghi giorni precedenti al voto). Accuse e menzogne che non erano, però, indirizzate al programma quanto invece ad una persona, con chiaro intento denigratorio. Non tenevano conto, infatti, di quegli indirizzi di programma proposti dalla Casa delle libertà che sono lì a dimostrare come lo spirito che anima la maggioranza sia assolutamente liberale, democratico e quanto mai deciso ad affrontare e risolvere i numerosi problemi lasciati aperti. Sono tanti, a partire dalla devoluzione e dalla sicurezza come assolute priorità per permettere di approdare alla riforma fiscale, della giustizia, della famiglia, della scuola, della sanità, altrettanti punti fondamentali intorno ai quali è stato costruito quel programma di Governo che si presenta oggi.
Certamente la priorità in assoluto più avvertita dalla maggioranza dei cittadini è il federalismo, la devoluzione. Solo attraverso una reale capacità di delega da parte dello Stato verso quegli enti già previsti dalla Costituzione stessa (in primis le regioni, poi le province e i comuni), attraverso un effettivo e radicale potenziamento di quell'autonomia finora solo sbandierata ma mai effettivamente realizzata, si potrà arrivare ad uno Stato concretamente federale. Uno Stato dove i cittadini non dovranno più rimandare ad un potere centrale e lontano, sempre più irraggiungibile e attento a logiche lontane dal sentimento della gente, la risposta alle loro istanze, una risposta chissà quale e chissà quando.
Troppo spesso come sindaco di una piccola città ho toccato con mano la scarsità delle risorse economiche, come briciole di un lauto banchetto che si consuma però altrove, messe a disposizione di un comune per consentirgli di realizzare non certo opere faraoniche ma di prima necessità al fine di dare risposte a quei bisogni essenziali quali strade, fognature e acquedotti. Certo, i sindaci sono una grande e preziosa risorsa del territorio, ma in una simile condizione operativa sono anche le prime sentinelle di quel malcontento e disagio che dal territorio è salito in modo crescente in questi ultimi anni e al quale l'unica vera concreta risposta è proprio quella della devoluzione di poteri e di risorse che si realizza attraverso un processo di federalismo e di delega reale da applicare, per iniziare, nella sanità, nella scuola, nella sicurezza, nello sviluppo lavorativo e imprenditoriale.
Garantire autonomia in una cornice di unità significa imboccare la strada che conduce alla crescita del paese e non contraddice ad un maggior europeismo. Non, infatti, nell'annullamento delle differenze dei localismi, ma nella possibilità offerta loro di convivere nel rispetto reciproco, hanno sede le fondamenta del cammino verso una crescita seria e diffusa
della nostra società. Le differenze sono un patrimonio importante che trovano quindi nel federalismo la loro più consona veste giuridico-amministrativa.
E strettamente correlata al federalismo è la necessità di una concreta riforma fiscale che non solo trattenga sul territorio la maggior parte delle tasse versate dai cittadini ma riduca il peso dei balzelli che gravano sugli italiani.
La sicurezza è poi l'altro grave problema da risolvere. Esso non consiste solo nell'evitare gli sbarchi clandestini e nel rimandare a casa gli extracomunitari irregolari presenti sul nostro territorio, ma anche nell'organizzare la presenza degli extracomunitari regolari e nell'allontanare quelli che non hanno né lavoro né permessi e che, proprio per la loro situazione irregolare, diventano facile e ambita preda dell'organizzazione malavitosa. La sicurezza, però, passa attraverso progetti che contrastino efficacemente quelle pallottole sparate contro inermi commercianti; passa attraverso provvedimenti disciplinari effettivamente messi in atto dall'autorità giudiziaria, ma passa anche attraverso la necessità di intervenire sulle leggi.
Ma se la sicurezza, la devoluzione e il federalismo sono i pilastri del futuro che questo Governo intende realizzare, la famiglia è certo l'ambito naturale in cui si trasmettono i valori morali e civili fondamentali. Lo abbiamo affermato nel programma della Casa delle libertà, eppure è la parte della società più trascurata dalla normativa, la meno ascoltata nelle sue richieste, a partire dalla necessità di una diversa organizzazione degli orari di lavoro e nel rapporto lavoro-famiglia. Negli ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti nell'istituzione della famiglia in Europa. Eppure i Governi di centrosinistra non hanno fatto nulla; anzi, hanno fatto di tutto per avviarne una cancellazione programmata, predisponendo paletti che trasformano in un percorso di guerra il quotidiano lavoro delle famiglie italiane.
Tutelare la famiglia va, però, di pari passo con la garanzia di effettivi posti di lavoro; significa dare ai giovani un futuro tranquillo, garantire ai lavoratori la certezza di essere davvero una risorsa per il paese; significa offrire una vecchiaia serena, con una pensione sicura ed adeguata alla vita reale, non l'elemosina attuale.
Quanto alla scuola, i Governi precedenti l'hanno ridotta ad un gioco di forza fra loro e i rappresentanti della scuola, i quali si sono trovati di fronte ad una riforma improponibile che, invece di costruire, rischia di cancellare la scuola italiana, da sempre uno dei punti di forza della nostra società. Ancora una volta, si è assistito ad un «teatrino», costruito ad hoc e da utilizzare come sirena per incantare l'elettorato. Quest'ultimo, però, ha dimostrato di avere gli occhi ben aperti e di non essere facile bersaglio di turlupinature.
Per concludere, la sanità. La riforma attuata in questo settore ha avuto come risultato quello di paralizzare e condannare alla crisi il mondo medico-scientifico, dalla ricerca alla corsia. Il settore non ha mai vissuto, in Italia, una crisi di identità tanto profonda come quella degli ultimi anni; occorre, quindi, una ripresa seria e concreta, che ancora una volta risponda alle necessità reali e che tenga conto sia delle esigenze dei medici sia di quelle dei pazienti.
Dare la fiducia a questo Governo, signor Presidente, significa, pertanto, sostenere la voglia di cambiamento che il paese ha; significa uscire dalle acque stagnanti in cui ci hanno bloccati e fatti soffocare i precedenti Governi di centrosinistra; significa respirare finalmente un'aria nuova e passare ad una fase propositiva e propulsiva di crescita e di sviluppo per un paese ormai allo stremo.
Dare fiducia a questo Governo significa, in definitiva, restituire fiducia e vigore a tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Pepe. Ne ha facoltà.
LUIGI PEPE. Signor Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghe e colleghi, ho letto con molta cura la relazione programmatica
del Governo che ella, signor Presidente, ha affidato all'attenzione ed alla valutazione di quest'Assemblea.
Il tempo a mia disposizione non mi consente un'analisi dettagliata ed un puntuale intervento sui principali temi sui quali i cittadini italiani aspettano risposte concrete a seguito dei precisi impegni assunti - oserei dire solennemente - in campagna elettorale.
Mi sia consentito di evidenziare con stupore e con grande amarezza, al di là delle generiche affermazioni, la mancata attenzione verso i gravi problemi del meridione, non in termini assistenzialistici, perché si tornerebbe ad un triste passato, ma come chiaro, visibile ed articolato progetto di intervento che possa, con un'equa distribuzione delle risorse, dare nuovo e decisivo impulso a settori trainanti come l'agricoltura, il turismo, la piccola e media industria, le piccole attività commerciali ed artigianali e del commercio ittico e che affronti, inoltre, in modo perentorio e conclusivo, il problema dei trasporti, comunque inteso. A tale riguardo, spero che ella, signor Presidente, voglia prendere atto della grande disparità, qualitativa e quantitativa, di mezzi come di infrastrutture, che esiste tra il nord ed il meridione d'Italia. Da parlamentare eletto a Tricase, nel sud del Salento, tengo a ricordarle, ricollegandomi alle promesse di grandi opere, che è sempre più indispensabile e non rinviabile realizzare, con intervento straordinario, l'allargamento della pericolosissima strada statale n. 275, da Maglie a Santa Maria di Leuca, che avrebbe grandi e positive ricadute sul turismo e sui trasporti.
Auspico poi che ella, signor Presidente, voglia stimolare il Governo ad una forte attenzione verso l'agricoltura e gli agricoltori, che non dovranno mai più vedere il prezzo dell'olio d'oliva quasi uguale a quello dell'acqua minerale, né temere per i loro prodotti per mancanza di vigilanza e di rigorosi controlli sull'importazione. Elevare la qualità dei prodotti agricoli e sostenere in tutti i modi possibili, anche per mezzo di polizze assicurative - qui sì con un robusto contributo dello Stato -, tutti coloro che vivono di agricoltura sarebbe certamente un pungolo importante per una produzione quali-quantitativa sempre migliore.
È indispensabile motivare gli imprenditori operanti in qualsiasi settore, con incentivi economici e fiscali, ad investire nel sud d'Italia opportunamente ripulito dalla criminalità organizzata locale e da quella, ormai pericolosissima, di importazione. Una forte spinta imprenditoriale allenterebbe la sempre preoccupante morsa della disoccupazione, purtroppo non più soltanto giovanile. Noi meridionali, signor Presidente, siamo pronti a rimboccarci le maniche, a seguire la strada della crescita, ricercando e richiedendo pari opportunità in ogni attività produttiva, sorretti da strumenti operativi sani, auspicando una incisiva e vigile azione di governo e sperando di poter contare su uno Stato sociale che salvaguardi i giusti principi della solidarietà. Una sana solidarietà tra i cittadini e tra questi e lo Stato è la base indispensabile per una efficiente, giusta e forte azione di governo.
Parlando di solidarietà, l'attenzione cade subito e inevitabilmente sulla sanità, settore che va senza dubbio rivisitato, razionalizzato e potenziato con opportuni accorgimenti ed aggiustamenti, ma senza stravolgimenti. Negli anni novanta abbiamo assistito ad una progressiva lievitazione dei costi, specialmente in alcuni settori, anche sotto la spinta di un malcostume imperante sia nel pubblico sia nel privato, che all'epoca ho personalmente contribuito, e non poco, a denunciare e a smascherare. È fisiologico, dunque, che vi sia una revisione periodica del sistema sanitario nazionale per quanto riguarda la gestione economica, che rispetti i tetti di spesa programmati in relazione ai servizi resi e alle disponibilità, tenendo presenti due criteri fondamentali: la funzionalità e l'economia. Il nostro sistema sanitario, nato nel 1978, intendeva tutelare la salute di tutti in modo solidaristico, con un contributo differenziato del cittadino in base al suo reddito, garantendo uguali prestazioni di base al più bisognoso e a chi era economicamente più fortunato. Ha
avuto bisogno di aggiustamenti ed adeguamenti nel tempo, con l'evoluzione della tecnologia e con la sempre crescente richiesta di maggiori prestazioni.
Anche l'ultima riforma, probabilmente, avrebbe bisogno di qualche ritocco, non certamente dell'annunciato in campagna elettorale sradicamento con rapido avvio verso il bonus sulla salute: sarebbe, per la quasi totalità dei cittadini, un gravissimo pericolo ed un avvio rapido verso il sistema sanitario americano, basato quindi sulle assicurazioni. Va, invece, potenziato il servizio pubblico in ogni settore garantendo ai cittadini l'erogazione diretta delle cure primarie con il servizio di emergenza, il medico di famiglia, la specialistica territoriale, la farmaceutica, la prevenzione primaria. Vanno adeguati e potenziati gli organici, le strutture e le attrezzature degli ospedali, la riconversione di alcuni di questi, per far sì che il servizio pubblico funzioni e sia in grado di competere con il privato accreditato e convenzionato, che potrà integrare ma non sostituire il servizio pubblico.
Giova ricordare che il costo attuale dell'assistenza sanitaria in Italia si aggira sul 6-7 per cento del PIL, garantendo comunque, con tutti i suoi limiti, una copertura ad ogni cittadino italiano.
Altri paesi, e tra questi l'America, hanno avviato una profonda riflessione considerando l'impossibilità materiale per milioni di cittadini di accedere a qualsivoglia tutela della salute. A tal proposito, è opportuno esaminare un parallelo di costi pro capite per l'assistenza sanitaria tra Italia e Stati Uniti. In Italia, signor Presidente, i 57 milioni di abitanti sono finanziati con una somma pro capite di circa un milione 950 mila lire, con un rapporto tra spesa sanitaria e PIL di circa il 7 per cento. A questo deve aggiungersi quanto ogni cittadino mediamente versa come spesa aggiuntiva per ticket ed altro (circa 500 mila lire). Negli Stati Uniti, vi sono 223 milioni di abitanti con un rapporto tra spesa per la sanità e prodotto interno lordo pari al 12 per cento, con una spesa pro capite di circa 8 milioni (circa quattro volte quella italiana), non considerando, signor Presidente, che 37 milioni di americani non hanno assicurazione e che altri 25 milioni hanno una copertura inadeguata.
Signor Presidente del Consiglio, spero che questa mia ultima considerazione voglia farla riflettere, insieme all'onorevole ministro della sanità, sulla necessità che il cittadino italiano non abbia in futuro paura di ammalarsi.
PRESIDENTE. Onorevole Pepe, deve concludere.
LUIGI PEPE. Sto concludendo.
Signor Presidente del Consiglio, ho rappresentato, per 14 anni consecutivi - fino a qualche giorno fa e per cinque legislature di seguito -, l'ordine dei medici di Lecce e mi sono soffermato, quindi, un po' più a lungo sulla sanità. Confido ora nella sua sensibilità verso chi soffre e non deve avere altre preoccupazioni. Se così non fosse e dovessi in futuro vedere pericolose fughe verso un inaccettabile e sicuramente micidiale sistema assicurativo, per un preciso impegno da me assunto in campagna elettorale, informerei con tutti i mezzi i cittadini e penso che su questo tema potrebbero svilupparsi effetti più devastanti di quelli verificatisi durante il suo primo Governo quando fu affrontato il problema pensionistico. Considerata la sua sensibilità e la sua competenza, sono sicuro che ciò non avverrà.
Auguri, signor Presidente del Consiglio, se lavorerà nell'interesse del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Riccio, al quale ricordo che ha otto minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
Ricordo che quello dell'onorevole Riccio è l'ultimo degli interventi previsti per la seduta odierna.
EUGENIO RICCIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, dopo sette lunghi anni il centrodestra riconquista la direzione dello Stato:
ne siamo felici ed orgogliosi, ma avvertiamo anche sulle nostre spalle una forte responsabilità perché i cittadini, dopo averci accordato un'ampia maggioranza parlamentare, ci punirebbero inesorabilmente per una nuova eventuale défaillance; perciò non ci è consentito sbagliare e non ci è consentito tradire le speranze e le attese che hanno suscitato il nostro programma e le promesse fatte nel corso della campagna elettorale. Sono queste preoccupazioni che mi hanno spinto ad intervenire per richiamare l'attenzione del Governo su un tema dibattuto in campagna elettorale.
I parlamentari molisani della Casa delle libertà le hanno già sottoposto un documento comune ed è questo che più mi interessa. Credo di interpretare la volontà dei cittadini molisani tutti, pertanto le chiedo la cortesia di ascoltare e dare anche, possibilmente, delle risposte chiare.
Vorremmo conoscere l'atteggiamento che il Governo intende assumere nei confronti della regione Molise, che ho l'onore di rappresentare in Parlamento insieme con una piccola pattuglia di uomini (sei in tutto, quattro alla Camera e due al Senato) che, seppure su diverse posizioni, sentono fortemente la specificità, le tradizioni e la cultura della propria terra.
Il Molise è stato certamente ignorato dal passato Governo di centrosinistra, che dal 1996, e per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, non ha nemmeno avvertito la sensibilità di inserire al proprio interno alcun rappresentante molisano. Per non parlare poi delle ingiustizie che hanno colpito, nel frattempo, la nostra regione, come ad esempio, al momento della fuoriuscita dall'obiettivo 1, con la zonizzazione. In siffatte condizioni, tuttavia, il Molise avrebbe potuto seguire la sorte di tutte le altre piccole regioni inesorabilmente a guida di centrosinistra e prendere la strada dell'assistenzialismo di cui certa sinistra è maestra. Ed invece no: pur essendo stato teatro del più aspro scontro in Italia tra la tendenza al bipolarismo e le tentazioni terzopoliste di Di Pietro, ma anche di democrazia europea - che, non a caso, proprio qui ha avuto il suo massimo risultato elettorale -, questa terra ha risposto alla grande, mostrando di voler uscire dalle secche del centrosinistra in cui rischiava di rimanere impigliata.
Ero il solo rappresentante del Polo nella passata legislatura; oggi quattro parlamentari su sei appartengono alla Casa delle libertà. Ricorderà, signor Presidente del Consiglio, la manifestazione che lei tenne a Campobasso ed il suo incisivo intervento a confutazione della posizione del senatore Di Pietro. Quell'intervento venne attaccato duramente dalla stampa nazionale, e noi rappresentanti sul territorio della Casa delle libertà fummo duramente attaccati. La forza delle sue ragioni, la forza delle nostre ragioni, ha prevalso: abbiamo sconfitto Di Pietro, abbiamo sconfitto D'Antoni, abbiamo sconfitto il centrosinistra.
La campagna elettorale - mi avvio subito al tema centrale del mio intervento - è stata incentrata su due temi, fatti propri dai nostri leader nazionali intervenuti nelle manifestazioni: una politica dell'attenzione ed una politica infrastrutturale e di sviluppo della piccola e piccolissima impresa. Con la serenità che ci deriva da un forte convincimento, oggi noi registriamo con preoccupazione uno squilibrio territoriale, mentre si annunciano battaglie che dovrebbero essere affrontate con il massimo dell'onestà, come quella che riguarda il Corpo forestale dello Stato.
Ricompaiono, per il Molise, quegli inquietanti ed univoci segni premonitori, come la soppressione dei tanti uffici che sembra preludere alla liquidazione di questa regione.
Signor Presidente, l'altro ieri il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza con la quale il TAR del Molise aveva annullato, per la prima volta in Italia, le elezioni regionali dello scorso anno vinte di misura dal centrosinistra, riconoscendo l'esistenza di numerosi brogli. Nel Molise, dunque, si va nuovamente al voto. Sarebbe difficile, per la Casa delle libertà, spiegare ai cittadini una disattenzione qualsiasi da parte del Governo: dopo aver gridato alla disattenzione altrui, gli altri ribalterebbero
l'accusa. L'importanza della prossima elezione regionale non va sottaciuta, perché sarebbe per lei il primo test dopo i primi 100 giorni di Governo.
Signor Presidente, non deve continuare l'infelice stagione, inaugurata dall'Ulivo, di ostracismo e di penalizzazione della nostra regione. Nel ribadire il mio pieno sostegno al Governo, sono certo, voglio essere certo, che questo Governo, il nostro Governo, darà ai cittadini molisani una chiara, positiva risposta a queste istanze (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.
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