XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 54 di Mercoledì 10 luglio 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 

Audizione di Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e di Ilaria Calò, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 8 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Colosimo Chiara , Presidente ... 20 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 21 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 22 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 22 
Colosimo Chiara , Presidente ... 22 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 22 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
Verini Walter  ... 26 
Colosimo Chiara , Presidente ... 29 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 29 
Congedo Saverio (FDI)  ... 34 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 35 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 37 
Colosimo Chiara , Presidente ... 39 
D'Attis Mauro (FI-PPE)  ... 39 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 40 
Colosimo Chiara , Presidente ... 40 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 41 
Colosimo Chiara , Presidente ... 42 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 43 
Musolino Dafne  ... 43 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 45 
Colosimo Chiara , Presidente ... 47 
Antoniozzi Alfredo (FDI)  ... 47 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 49 
Colosimo Chiara , Presidente ... 53 
Rando Vincenza  ... 53 
Lo Voi Francesco , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 55 
Calò Ilaria , procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 55 
Colosimo Chiara , Presidente ... 57  ... 57

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 14.55.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buon pomeriggio a tutti. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Francesco Lo Voi, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e di Ilaria Calò, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Francesco Lo Voi, e del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Ilaria Calò.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione e che i lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta degli auditi o dei colleghi. Ovviamente, in tal caso non sarà consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Nel dare la parola al procuratore Lo Voi, che voglio ringraziare per la sua cortesia e disponibilità, vi ricordo che abbiamo deciso di chiedere nuovamente la presenza del procuratore di Roma per approfondire i temi legati alla criminalità organizzata romana che anche in queste settimane, come è noto, è stata oggetto di importanti indagini.Pag. 3
  Grazie ancora per la cortesia, procuratore. Le do la parola.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Come mi è capitato di dire qualche giorno addietro, a Roma e dintorni la mafia c'è.
  Sono io a ringraziare lei, presidente, e tutti i componenti della Commissione per aver voluto questa audizione a distanza non troppo lontana dall'ultima occasione in cui abbiamo avuto abbiamo avuto modo di vederci. È comunque un'occasione utile perché ci consente di fornirvi qualche aggiornamento su quello che è stato fatto in questo periodo e su quello, nei limiti del possibile, su cui stiamo lavorando. Dico nei limiti del possibile non per ragioni di riserbo particolare con riferimento a segreti investigativi di varia natura, ma più che altro per evitare di poter dire delle sciocchezze anticipando l'esito di indagini che non sono ancora concluse e che, pertanto, per poter essere concluse e consentirci di fare determinate affermazioni, hanno bisogno di raggiungere un certo grado di concretezza e soprattutto di risultati che in questo momento oggettivamente non abbiamo, anche se naturalmente stiamo lavorando.
  Spero mi perdonerete se faccio precedere una brevissima illustrazione che a sua volta precederà la richiesta, con il consenso della presidente, di lasciare la parola alla collega Calò, procuratore aggiunto, collaboratore nel coordinamento della direzione distrettuale antimafia. Il coordinamento è mio, mi avvalgo di un collaboratore che nel caso di specie su Roma è, appunto, da diversi anni la dottoressa Calò.
  Vorrei fare un riferimento, il più breve possibile, alla situazione in cui ci troviamo in questo momento a operare alla procura di Roma. Eravamo tutti molto contenti quando recentemente il Consiglio superiore della magistratura ci aveva fatto omaggio della pubblicazione di ben nove posti di sostituto procuratore della Repubblica, i quali non sono ancora tutti Pag. 4arrivati, ma nel frattempo se ne stanno andando degli altri, il che significa che alla fine, fatti i bilanciamenti, siamo esattamente nella stessa, o forse peggiore, situazione precedente. Giusto negli ultimi giorni ho avuto un'anticipazione da parte di alcuni colleghi di prospettive non di trasferimenti ordinari, quelli, per carità, possono pure starci, bensì di collocamenti fuori ruolo presso varie altre autorità, prevalentemente il Ministero della giustizia nelle sue diverse articolazioni, il che dà l'idea del patrimonio umano che la procura dovrebbe poter utilizzare.
  Non parlo dell'utopico tetto dell'organico di novantaquattro sostituti che utopico è sempre stato e temo tale resterà, ma parlo delle difficoltà in cui – per restare in tema – si trova la direzione distrettuale antimafia che dovrebbe avere, per disposizione legislativa, per calcolo percentuale, intorno ai ventiquattro sostituti e non riusciamo in questo momento ad averne più di tredici. Parliamo di tredici sostituti per un distretto che, come anche le cronache recenti hanno confermato, è piuttosto impegnato nel fronteggiare una situazione complessa.
  Interrompo qui il piagnisteo, ma non potevo non anticiparvi questa situazione, perché noi continuiamo e continueremo a trovarci in difficoltà, con il rischio che, quindi, si allunghino i tempi per quelle ulteriori risposte che noi spereremmo di potervi dare in tempi brevi, ma abbiamo bisogno di tempo per indagare, abbiamo bisogno di uomini per indagare e tutto questo non sempre ce l'abbiamo. Perché la situazione non è semplice? Perché, pur se in forme varie, la presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso purtroppo continua a essere registrata e continua a farsi sentire. Continua a farsi sentire a Roma città, continua a farsi sentire nei centri di tutta l'area metropolitana, continua a farsi sentire in altre province del Lazio e continua a farsi sentire con le caratteristiche – la Pag. 5collega poi vi darà qualche dettaglio in più – delle mafie tradizionali: camorra, 'ndrangheta, cosa nostra.
  Recentemente – perdonatemi se mi ripeto – ho fatto l'esempio dei «sistemi operativi», chiamiamoli così, che ho visto applicare in territori come Corleone, come Partinico, come piccoli comuni della Sicilia e che ho ritrovato qui in comuni molto più grandi e in situazioni molto più complesse. Ebbene, continuano a operare con quelle stesse modalità, continuano a essere interessati, oltre che naturalmente alla produzione di denaro illecito, alla infiltrazione in tutti i settori in cui questo denaro può essere illecitamente acquisito, quindi nella pubblica amministrazione molto spesso, dove aspetti di infiltrazione talora si sono trasformati in aspetti di vera e propria occupazione e soprattutto si espandono sempre più, in un territorio come quello laziale che offre moltissimo sotto questo punto di vista, in tutte le aree e in tutti i settori che consentono facile reinvestimento del denaro illecito. Questo significa attività di autoriciclaggio nelle forme più svariate, quindi con reinvestimenti nelle attività più disparate che non è più solo, come anticamente era, l'edilizia, ma anche – lo sapete meglio di me, perché avete informazioni e soprattutto le cronache degli ultimi anni hanno abbondantemente riferito su questo – la ristorazione, la ricezione alberghiera, le attività di servizi, le attività riguardanti la logistica, che sono sempre di maggiore sviluppo, e così via.
  Da qui derivano quelle preoccupazioni che di tanto in tanto vengono prospettate riguardanti i fondi del PNRR, da una parte, e i fondi del Giubileo, dall'altra, proprio perché c'è il rischio concreto, e talora abbiamo rinvenuto elementi concreti in questo senso, che si possa trattare di particolari stimoli per gli appetiti riguardanti il reinvestimento. Si tratta, infatti, di denaro che viene messo in circolazione e utilizzato da qualche Pag. 6faccia pulita. Ovviamente, come ben sapete, raramente, direi quasi mai, si presenta personalmente il mafioso o lo 'ndranghetista a discutere qualche questione, ma si presenta qualcuno con la faccia pulita.
  Allora, l'utilizzazione delle facce pulite è una delle cose a cui dobbiamo prestare particolare attenzione, proprio perché queste persone non hanno collegamenti o non hanno precedenti penali e possono muoversi liberamente, cosa che avviene sempre più spesso e cosa che richiede particolare attenzione nelle nostre indagini, non soltanto all'interno della direzione distrettuale antimafia, ma anche, per esempio, nel dipartimento sui reati societari.
  Vi faccio un esempio. Andare a guardare, a seguito del fallimento di una società, qual è la compagine societaria e soprattutto qual è stata la successione nella compagine societaria ci può dare elementi importanti per individuare chi sono i reali proprietari della società, i reali proprietari dell'impresa portata al fallimento, per scoprire se il fallimento è stato accidentale o casuale – io uso il termine «fallimento» in quanto sono anziano, ma ci regoliamo sulla base della denominazione della nuova normativa, comunque quello è il concetto – e per andare a vedere se non ci sia dietro qualcun altro che, in realtà, regge le fila. Ecco perché si tratta di tutta una serie di indagini particolari che riguardano la direzione distrettuale antimafia, ma anche altri dipartimenti dell'ufficio, il che mi porterebbe a riprendere l'argomento sul piagnisteo iniziale, ma ovviamente ve lo evito, e che ci indicano qual è la situazione generale che ci troviamo ad affrontare, ovvero permanente presenza delle organizzazioni di tipo mafioso «tradizionali», sviluppo delle organizzazioni di tipo mafioso o che utilizzano il metodo mafioso «autoctone».Pag. 7
  Il recente esempio di Aprilia, quantomeno sotto la prospettazione accusatoria e fatta salva l'ovvia presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva per tutti quanti, è un caso quasi paradigmatico della caratteristica autoctona del gruppo mafioso che lì si era creato che ovviamente non solo non disdegnava ma, anzi, andava a cercare i collegamenti con le case madri tradizionali, camorra e 'ndrangheta in primo luogo.
  Tutto questo è quello che ci troviamo di fronte, tutto questo è quello che dobbiamo contrastare con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Allora, se mi consentite, prima di fermarmi, salvo domande, vorrei rivolgervi un piccolo ma sentito appello, data la vostra funzione di componenti del Parlamento: voi per noi siete il legislatore e noi abbiamo bisogno che il legislatore ci fornisca e ci continui a fornire gli strumenti per poter contrastare questi fenomeni. Ma non perché noi si abbia voglia di fare chissacché, ma perché è un problema che incide sull'economia, sulla democrazia, sulla libertà di imprenditoria, sulla gestione del mercato, sui rapporti sociali. Noi abbiamo bisogno di strumenti legislativi che ci consentano di contrastare questi fenomeni. In mancanza di questi strumenti o con la riduzione di questi strumenti ci troviamo in difficoltà e non riusciamo a raggiungere quei risultati che sono i risultati di tutti. Tutto quello che si è fatto in questi decenni è stato fatto grazie a un certo tipo di impianto normativo.
  Vorrei sottolineare che, talvolta, si fa confusione nell'individuazione del tipo di fenomeno che ci troviamo ad affrontare, o di vicenda, o di episodio, o di fatto che ci troviamo ad affrontare. Mi spiego meglio. Si parla di reati spia e si dice che è opportuno mantenere determinati reati, anziché abrogarli, in quanto si tratta di reati spia e di altri reati o fenomeni più gravi. Non faccio riferimenti specifici perché avete capito perfettamentePag. 8 a che cosa mi riferisco. Io non mi preoccupo del problema se abrogare o meno un reato. Non è quello che voglio dire, dico però che determinati reati non sono spia, sono reati fine dell'associazione mafiosa. Del resto, quando all'articolo 416-bis, comma 3, del codice penale si precisa che l'associazione è mafiosa quando tende all'accaparramento di appalti, di servizi pubblici, di questo, di quello o di quell'altro, che nel comune si traduce nel favorire l'affidamento della mensa scolastica o della riparazione delle strade a Tizio, anziché a Caio, l'affidamento della mensa scolastica a Tizio, anziché a Caio, proveniente dall'influenza del personaggio che, magari con la faccia pulita o meno, impone quell'affidamento, non è un reato spia, è uno dei reati per cui l'associazione mafiosa si mette in movimento, si dà da fare, realizza le sue attività e ottiene i suoi risultati. È un reato fine, non è un reato spia.
  Se noi, allora, aboliamo alcuni reati o riduciamo la possibilità – lo ripeto, non si tratta dell'uno o dell'altro, nessuno cestinerà le denunce che ci arriveranno in procura di Tizio nei confronti di Caio, e viceversa, non è quello il punto – se veniamo privati delle possibilità di indagare e perseguire determinati reati, il rischio è non che non ci accorgiamo dei reati spia che alla fin fine dovrebbero essere, con quella denominazione, anche dei reati minori, ma che non ci accorgiamo dei reati fine delle associazioni di tipo mafioso, siano esse quelle originate dalle case madri, siano esse quelle autonomamente createsi sul territorio.
  Con il vostro permesso, mi fermerei qui per il momento e chiederei alla collega Calò, nei limiti del possibile, di andare più sul concreto, perché finora io mi sono limitato a un po' di chiacchiere. Qualche elemento di precisione in più ce lo può dare la collega.

  PRESIDENTE. Do la parola al procuratore Calò.

Pag. 9

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Buongiorno a tutti. Innanzitutto vorrei dire che a noi fa piacere avere la possibilità di illustrare, anche se per sommi capi, la situazione della criminalità organizzata nel nostro territorio. Quando dico «nostro territorio», ovviamente faccio riferimento alla competenza distrettuale della direzione distrettuale antimafia di Roma, quindi, oltre a Roma, sostanzialmente la regione Lazio.
  Qual è la parola che sintetizza lo stato delle cose? La parola purtroppo è «complessità». Nel nostro territorio si registra la coesistenza di strutture diverse che per sommi capi si possono ricondurre a una tripartizione: mafie tradizionali, mafie autoctone, altre organizzazioni che adottano talora il metodo mafioso. Oltre a questo, abbiamo quello che noi siamo soliti definire un sistema multilivello nell'ambito degli stupefacenti, più un sistema molto articolato di canali di investimento e di riciclaggio. A questo si aggiunge come tema trasversale quello della zona grigia che, come tutti noi sappiamo, è centrale, è un po' l'«in sé» dell'organizzazione mafiosa.
  Ci siamo anche chiesti quali siano le ragioni della complessità del sistema criminale romano, le ragioni della convergenza degli interessi di diverse organizzazioni nel nostro territorio. Le risposte vengono da sé. Sostanzialmente ci sono diverse ragioni: è la sede del potere politico nazionale, ha una posizione strategica grazie all'aeroporto internazionale di Fiumicino e al porto di Civitavecchia che è un porto in cui arrivano anche le navi portacontainer. Poi, c'è un punto che potremmo definire «dimensioni e diversificazione», dal momento che Roma ha quindici municipi, ciascuno dei quali, dal punto di vista della consistenza demografica, è pari a una città media, perché ognuno dei nostri municipi conta, grosso modo, duemila abitanti.Pag. 10 E cosa ne deriva? Ne derivano potenzialità di investimento e reinvestimento potenzialmente illimitate.
  Tornando alla tripartizione menzionata inizialmente, parliamo di mafie tradizionali. In questo senso si è registrata un'evoluzione storica che è partita dal modello della testa di ponte per arrivare fino alla stabilizzazione della cellula. Dopodiché, noi su questo abbiamo creato una sorta di tassonomia sulla quale cerchiamo di essere precisi, perché a queste strutture corrispondono caratteristiche diverse. Quindi, a seconda della struttura della cellula, nel nostro territorio abbiamo innanzitutto forme che potremmo definire ibride, in cui la componente che fa capo a una mafia tradizionale, quindi una componente di camorra oppure di 'ndrangheta, si è fusa con componenti proprie della criminalità organizzata romana. In questo caso qual è l'effetto? Che la derivazione dalle mafie classiche serve a potenziare la forza di intimidazione, ma non serve a riprodurre la struttura. Questo accade nell'altro caso, ovvero il caso della vera colonizzazione, in cui vi è proprio una replica della struttura della casa madre in un territorio diverso da quello di origine.
  Questo nel nostro territorio non è successo solo con la 'ndrangheta ma anche con la camorra. Abbiamo, infatti, una sentenza definitiva che riguarda il Sud Pontino con riferimento al clan dei Casalesi che ricostruisce un'associazione di tipo mafioso come vera e propria proiezione in senso tecnico del clan dei Casalesi. Poi abbiamo – purtroppo non serve richiamarlo – Anzio e Nettuno, dove il 17 febbraio 2022, come i presenti sicuramente sanno, sono state eseguite sessantacinque misure cautelari, che avevano ad oggetto la configurazione di una vera e propria locale di 'ndrangheta, ossia una locale configurata come formale distaccamento della locale di Santa Cristina d'Aspromonte, unita a una componente di famiglia Pag. 11originaria di Guardavalle. Con riferimento ad Anzio e Nettuno abbiamo già sentenze sia di primo che di secondo grado che riconoscono il reato di associazione mafiosa. In particolare, abbiamo una sentenza di giudizio abbreviato del 22 novembre 2023, confermata in appello il 18 marzo 2024. Sappiamo tutti che poi ne è seguito anche lo scioglimento dei comuni di Anzio e Nettuno.
  Il 10 maggio 2022 sono state eseguite altre quarantatré misure cautelari che questa volta hanno riguardato la asserita, da parte nostra, costituzione di un'altra locale di 'ndrangheta, questa volta alla locale di Roma, anch'essa costruita come formale distaccamento della locale di Cosoleto, unita a una componente di famiglie originarie di Sinopoli. Questa locale, a differenza dell'altra, a nostro giudizio, era caratterizzata da una vocazione spiccatamente imprenditoriale. Anche in questo caso abbiamo già una sentenza di primo grado, datata 20 settembre 2023, che conferma la configurazione del reato di associazione mafiosa.
  È interessante sottolineare che queste due locali hanno una struttura per certi versi speculare, nel senso che in ciascuna delle due, pur nella diversità dei territori, da una parte vi è il capo locale, che rappresenta la figura del custode delle regole e dei valori tradizionali della 'ndrangheta, quindi appartiene a una storica famiglia di 'ndrangheta, dall'altra vi è un elemento di vertice che affianca il capo locale nella governance della struttura che, a differenza del primo, è invece storicamente stanziato proprio nel territorio di competenza, ossia il nostro. Quando dico che le mafie nel nostro territorio assumono caratteri talvolta peculiari intendo anche questo.
  Ebbene, nel caso di Anzio e Nettuno la seconda figura, che incarnava la vocazione prevalente della specifica locale, si occupava di traffico di stupefacenti e infiltrazione nella pubblicaPag. 12 amministrazione, la prima figura, invece, di investimenti. Era questo il focus principale su cui si concentrava l'attività della locale di Roma. Non a caso, in questo secondo procedimento vi è stata poi una seconda operazione che ha visto il sequestro preventivo di asset societari per il valore di 100 milioni di euro il 9 novembre 2022.
  Perché è importante il riconoscimento da parte della casa madre? Cos'è che fa la differenza tra una locale riconosciuta e una locale non riconosciuta? Su questo è molto efficace la metafora utilizzata da un collaboratore di giustizia che abbiamo sentito proprio in questi procedimenti, il quale ha detto che la locale non riconosciuta è come una zattera nell'oceano, che la prima onda se la porta via. Quindi, è ben diverso essere la locale e, quindi, il distaccamento territoriale di un'associazione mafiosa unitaria come la 'ndrangheta che vanta decine di locali non solo in diverse regioni italiane ma anche all'estero, in Canada, in Germania, in Australia, in Svizzera. È chiaro che questo dà anche alla struttura territoriale un potere completamente diverso. Questo per dire la vera e propria colonizzazione da parte delle mafie storiche.
  Questa è una peculiarità, allo stato, del nostro territorio, in cui si riproducono con diverse declinazioni le mafie autoctone, la cui caratteristica è quella di aver adottato sistematicamente il metodo mafioso, tanto da essere in grado di funzionare con meccanismi analoghi a quelli delle mafie tradizionali, con le quali, tra l'altro, queste organizzazioni trattano su un piano di parità, allo stesso tavolo. E di queste abbiamo diversi esempi. Ormai abbiamo sentenze definitive sulle mafie radicate nel territorio di Ostia. A tal proposito, ricordiamo che nel 2015 si giunse addirittura, cosa mai successa prima, allo scioglimento del X municipio di Roma, 230 mila abitanti – per riprendere il discorso di prima – fatto mai accaduto prima. Le sentenze Pag. 13che hanno ricostruito l'articolo 416-bis del codice penale per quelle mafie autoctone, per quelle ostiensi, hanno costituito il paradigma delle nuove mafie. Quindi, a quelle sentenze, a quelle strutture e a quei presupposti facciamo riferimento per costruire giuridicamente e valutare se le nuove strutture nelle quali ci imbattiamo nel fare le indagini siano o meno qualificabili come organizzazioni di tipo mafioso. Chiaramente non tutte lo sono. È quasi superfluo sottolinearlo, ma è così.
  Abbiamo poi le sentenze, anch'esse definitive, che riguardano il clan Casamonica, sul quale non apro una parentesi dal momento che ciascuno di questi punti richiederebbe una trattazione a sé, che ha la peculiarità di avere un modello a struttura orizzontale, ovvero senza un capo dei capi, però con un quartier generale. Abbiamo sentenze definitive sulla famiglia Di Silvio a Latina e abbiamo più di recente, come ricordava il procuratore Lo Voi, la misura appena eseguita nel territorio di Aprilia, sulla quale non mi dilungo.
  Abbiamo, infine, organizzazioni criminali non mafiose che adottano il metodo mafioso. Queste quali sono? Sono principalmente quelle radicate in uno specifico settore territoriale della città di Roma perlopiù dedite al traffico di stupefacenti. In questi casi il metodo mafioso viene talvolta adottato e genera le sparatorie. I fatti di sangue che sono accaduti negli ultimi anni, fatta eccezione, evidentemente, per i femminicidi, dunque gambizzazioni, sparatorie, omicidi, sono tutti maturati nell'ambito del traffico di stupefacenti. In questo contesto viene adottato talvolta il metodo mafioso e ci sono contrapposizioni anche sanguinose che però sono sempre l'extrema ratio. Questo è un altro dei punti che toccheremo, perché in questi territori si tende sempre a fare accordi. Quindi, arrivare allo scontro e allo scontro armato è sempre l'extrema ratio.Pag. 14
  In questo contesto abbiamo anche il fenomeno delle piazze di spaccio organizzate, sulle quali non ci dilungheremo, che ormai sono diventate dei veri e propri sistemi di welfare parallelo. Vi sono organizzazioni quasi para-aziendalistiche, con assunzioni, promozioni, raccomandazioni, addirittura servizi di catering in loco, il che potrebbe far pensare a un'azienda, ma non è un'azienda, perché vi sono le punizioni esemplari, i sequestri di persona, le torture. Ecco, il ricorso alla tortura che purtroppo abbiamo registrato negli ultimi anni è diventato, anch'esso, una modalità di risoluzione di un certo tipo di controversie. Abbiamo avuto diversi casi in cui, sempre nell'ambito di controversie legate al narcotraffico importante, al narcotraffico pesante, si è ricorsi anche a questo strumento.
  Da noi siamo soliti dire che nel sistema stupefacenti abbiamo un sistema multilivello, perché le organizzazioni che operano nel nostro territorio sono in grado di garantire un po' tutte le fasi della filiera, dall'importazione di grossi carichi dall'estero, il che può avvenire in vari modi, attraverso l'aeroporto di Fiumicino, attraverso il porto di Civitavecchia, ma anche attraverso il trasporto su gomma, fino ai broker di alto livello e alle cessioni nei vari territori.
  Il tema dei broker ci porta a toccare un procedimento che ancora ci occupa, perché è tuttora in corso il dibattimento, vale a dire quello relativo all'omicidio di Fabrizio Piscitelli. Perché lo cito in questo contesto? Perché ho appena citato i broker, ovvero il network di rifornimento della Capitale. Proprio in questo contesto anni or sono furono eseguite cinquantuno misure cautelari nell'ambito dell'indagine denominata convenzionalmente «Grande raccordo criminale», perché ricostruiva proprio una rete di broker in grado di rifornire, su base continuativa e strutturale, anche attraverso referenti di zona, un'estensione territoriale amplissima della città di Roma, a Pag. 15nord il quartiere Bufalotta, a est San Basilio, Colli Aniene, Tor Bella Monaca e Borghesiana, a sud Tuscolano e Romanina, a ovest Primavalle, ma anche nelle zone limitrofe, quindi Frascati, Ardea, Artena.
  Ebbene, questa misura cautelare era costruita per certi versi intorno alla figura di Fabrizio Piscitelli che veniva individuato, nella contestazione del reato associativo, ossia del reato di associazione finalizzata al narcotraffico, come capo di questa struttura, indicando come suo braccio destro Fabrizio Fabietti. Che cosa è successo? Questi processi sono proseguiti, anzi il nostro ufficio, proprio per consentire la comprensione del contesto di questo omicidio, rispetto al quale il dibattimento è ancora in corso, quindi a noi non sembra neanche opportuno parlarne molto, però a fini della contestualizzazione ha messo a disposizione della Commissione i provvedimenti giudiziari che riguardano l'operazione «Grande raccordo criminale», proprio per consentire di contestualizzare e capire in che ambito si muovesse, alla stregua di quell'indagine, Fabrizio Piscitelli.
  Un altro tema che tocca la figura di Piscitelli è quello che riguarda i rapporti tra le organizzazioni. Abbiamo detto all'inizio che ci sono tanti tipi di organizzazioni e tutte quante insistono nello stesso territorio. Allora come si pongono in questa convivenza non facile? Si pongono in una logica tendenzialmente pattizia. Quindi, queste organizzazioni che fanno? Si accordano. Ma si accordano in che modo? Possono fare joint venture per singoli affari o addirittura anche per settori di investimento. A tal riguardo, si pensi, per esempio, alla misura cautelare eseguita ieri. Oppure, possono fare spartizione per attività anche illecite. Per esempio, io mi occupo delle armi, tu ti occupi degli stupefacenti, tu delle estorsioni, se insistono nello stesso territorio. Oppure, la più classica, che però non è la regola in un territorio grande come il nostro, talvolta però c'è, Pag. 16possono fare spartizione per territorio. Quindi, io governo da qua a qua, tu governi da là a là in fondo.
  Ma soprattutto una caratteristica particolare, direi anche originale, è un sistema particolare di composizione delle controversie. Noi abbiamo assistito in diversi procedimenti, abbastanza da poterne dedurre che evidentemente esiste un modo di procedere, una regola, che per comporre le controversie, evitando di arrivare agli scontri armati e al sangue, ciascuna delle parti in causa – la controversia può riguardare sgarri di vario genere, mancanze di rispetto, partite di droga non pagate, insomma le ragioni possono essere le più varie – nomina un proprio soggetto avente ruolo di arbitro. Questo soggetto viene designato in virtù di un riconosciuto carisma criminale, che lo mette in condizione di trattare insieme al suo omologo che rappresenta l'altra parte. In questi anni questo l'abbiamo visto succedere in diversi procedimenti, anche in contesti territoriali diversi, sempre da noi ovviamente. Ebbene, in uno di questi casi l'arbitro era Piscitelli.
  Un altro dei procedimenti che abbiamo prodotto per consentire alla Commissione di contestualizzare meglio il ruolo del defunto Piscitelli riguarda proprio una sorta di pax raggiunta, in cui le parti in causa erano entrambe appartenenti al territorio di Ostia, da una parte il clan Spada, che aveva nominato come proprio arbitro il rappresentante Salvatore Casamonica, il che è del tutto naturale, d'altronde, dall'altra parte un'organizzazione sempre nell'ambito del narcotraffico facente capo a Esposito, soggetto nel frattempo deceduto per cause naturali, che veniva rappresentata da Fabrizio Piscitelli.
  Anche in questo procedimento la contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa – questa è la contestazione, dal momento che svolgere questo ruolo di arbitro ha consentito alle parti in causa di rafforzarsi e, quindi, di permanere – vede Pag. 17dipinto il ruolo di Piscitelli, ma non è stato possibile processarlo in quanto è stato ucciso prima. Quindi, sia nel caso del procedimento «Grande raccordo criminale», che ho citato prima e che abbiamo messo a disposizione, sia nel caso di questo procedimento si parla di Fabrizio Piscitelli nell'imputazione e nella contestazione, ma lui non ha avuto modo di partecipare al processo.
  Altro punto qualificante del nostro territorio, come diceva il procuratore capo, è quello dei canali di investimento, perché la caratteristica qualificante delle organizzazioni mafiose, e questo ne spiega anche la persistenza nel tempo, è proprio il fatto di non avere solo forza militare, ma di avere la capacità di essere presente contemporaneamente nell'economia legale e in quella illegale e la capacità di avvalersi di una rete di relazioni con quello che non è mafia.
  Purtroppo, anche nel nostro territorio questo si continua a rilevare anche nei vari tipi di organizzazioni mafiose, perché questo è fil rouge, purtroppo. Questa zona grigia in chi si incarna? A seconda delle situazioni si può incarnare in pubblici amministratori, e poi a volte questo porta allo scioglimento dei municipi oppure dei comuni, professionisti, e qui c'è un'ampia casistica che va dal supporto di contenuto giuridico a quello di contenuto economico-finanziario.
  È chiaro che per fare delle operazioni di investimento gigantesche non si può prescindere dal ruolo di professionisti che siano in grado di costruire queste sofisticatissime operazioni anche, per esempio, di frode, di frode tributaria, di frode alle accise, all'IVA, come è avvenuto anni or sono nel procedimento cosiddetto Petrol Mafie.
  Lì, per esempio, si è giunti ad un sequestro preventivo di 180 e rotti milioni di euro. Perché si era arrivati a questi profitti? Proprio grazie a operazioni sofisticatissime di frodi fiscali alle Pag. 18accise e all'IVA, che quindi consentivano una ulteriore massimizzazione dei profitti, conseguendo così un doppio vantaggio, non solo il reinvestimento e il mascheramento della provenienza delittuosa dei flussi di denaro investiti, come anche nell'operazione di ieri, il senso è sempre lo stesso, ma anche addirittura la moltiplicazione dei profitti grazie a queste operazioni di frode.
  Anche nell'operazione di ieri, infatti, è risultato il ruolo di professionisti come necessario supporto per realizzare cose del genere e quindi il ruolo degli imprenditori, con varie gradazioni che vanno dall'imprenditore colluso all'imprenditore vittima, ma tra l'uno e l'altro ci sono infinite sfumature, infinite situazioni di confine, di passaggio.
  Quindi, dal punto di vista giuridico gli imprenditori possono avere vari ruoli che vanno dall'attribuzione fittizia di valori al concorso esterno in associazione mafiosa oppure anche alla partecipazione in associazione mafiosa, come nelle ultime due operazioni eseguite, in cui degli imprenditori hanno proprio il ruolo di partecipi alle organizzazioni.
  In che cosa investono? Come diceva il procuratore, investono in tutto, nel senso che purché la forma di investimento consenta un efficace mascheramento della provenienza delle somme e dei buoni profitti, non ci sono pregiudizi.
  Questi investimenti vanno dal settore immobiliare, all'abbigliamento, alle sale giochi, alle criptovalute, al cinema – questo sta diventando anche ricorrente –, all'edilizia, alla logistica, al settore intrattenimento, al turismo, alla balneazione, eccetera. Quindi, come esempio di procedimenti che hanno visto questo tipo di investimenti, abbiamo già richiamato Petrol Mafie e l'operazione di ieri e direi che non serve dire altro.
  Può valere la pena di fare un cenno anche nell'ambito del discorso riciclaggio al sistema illegale di intermediazione finanziariaPag. 19 facente capo a soggetti di nazionalità cinese, che è stato verificato nel nostro territorio, ma che sembra, anzi che abbiamo motivo di ritenere che sia un sistema globale, che ha portato, nel caso del nostro ufficio, all'esecuzione di numerose misure cautelari il 3 ottobre del 2023. Che cosa succedeva? Che queste attività di ripulitura del denaro avvenivano, in realtà, presso sedi che apparentemente erano attività commerciali, anche piccoline, quindi negozietti potremmo dire, apparentemente dediti all'import-export di merce varia nel quartiere Esquilino.
  In realtà, questi erano centri di raccolta di fiumi di denaro in contanti, che veniva qui consegnato. Dopodiché, il sistema prevedeva diverse modalità di realizzazione del riciclaggio e quindi questo denaro raccolto in contanti riceveva l'attribuzione di un codice convenzionale.
  A questo codice convenzionale, concordato tra le parti, faceva riscontro un codice convenzionale in possesso di un altro operatore Fei ch'ien in un altro Stato. «Fei ch'ien» vuol dire «moneta volante» ed era la sostanza di questo sistema, cioè far volare il denaro con passaggi, diciamo così, informali, registrando anche delle differenze tra la fase pre-Covid e quella post. Per cui, in quella precedente vi erano proprio i classici spalloni che trasportavano il denaro con le valigie. Invece, nel periodo successivo, l'organizzazione si è strutturata in modo tale che il denaro non si spostasse, e questo grazie a coperture di vario genere, per lo più, anche qui, con false fatturazioni.
  Con questo sistema questa indagine ha ricostruito e tracciato movimentazioni finanziarie per oltre 50 milioni di euro. Questo era solo un pezzo del fenomeno. Poi, abbiamo anche le organizzazioni straniere nel nostro territorio. Abbiamo anche le organizzazioni nigeriane, che hanno una caratteristica particolare.Pag. 20 Si tratta di organizzazioni cultiste ramificate in tutto il mondo.
  Nel nostro territorio si è anche registrato un particolare interesse nel settore stupefacenti, con accordi con gli Albanesi. Abbiamo gli Albanesi. Con riferimento alla criminalità albanese, si è registrata anche qui un'evoluzione importante nel nostro territorio, soprattutto nell'ultimo decennio. Anche questo discorso tocca e serve a contestualizzare quello dell'omicidio di Fabrizio Piscitelli, perché nell'ultimo decennio i gruppi oggetto d'attenzione nel nostro specifico territorio, quindi non stiamo parlando della criminalità albanese in generale, ma di quella che si trova nel nostro territorio, si è registrato un vero e proprio climax, se vogliamo usare un termine diverso, nel senso che circa dieci anni fa quegli stessi soggetti noi li trovavamo nelle indagini come fornitori di stupefacenti nel territorio di Aprilia. Quegli stessi soggetti poi li abbiamo trovati nella zona di Ponte Milvio in un gruppo strettamente legato alla figura di Fabrizio Piscitelli. Parliamo, poi, di Albanesi di seconda generazione, che parlano romanesco. Nelle chat che sono state acquisite nei procedimenti parlano assolutamente romanesco.
  C'è stato, poi, questo spostamento nel territorio di Ponte Milvio e anche di Tor Bella Monaca, fino a raggiungere dei ruoli di gran lunga più importanti, prima come broker nel territorio, e quindi grande distribuzione, e poi come broker internazionali.
  Non mi dilungo più, anche perché il procuratore mi fa cenno da tempo. Questo era per fornire un quadro generale e anche per consentire una contestualizzazione dell'omicidio di Fabrizio Piscitelli, per spiegare anche che senso abbiano quei provvedimenti giudiziari che abbiamo trasmesso alla Commissione.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille.Pag. 21
  Faccio un paio di domande, avendo trovato particolarmente interessante quanto emerso.
  In riferimento a quanto la procura di Roma, che ringrazio ancora, ci ha inviato, anche a me era saltato all'occhio quel summit a cui lei, procuratrice, faceva riferimento. Su quello le volevo chiedere, per avere noi un quadro più chiaro, se dal vostro punto di vista la figura di Piscitelli era una figura che aveva fatto un po' il salto ed era diventato un paciere, una persona che riusciva a tenere insieme le varie mafie di cui lei ha parlato, oppure era un fatto di quel momento su un tema specifico? Immagino che si sia fatta un'idea su questo.
  Sempre su questo, abbiamo visto, e lei ne ha fatto riferimento, come da dopo l'omicidio Piscitelli, quindi dall'agosto del 2019, sono seguiti diversi fatti di sangue nella città di Roma, legati per lo più anche alla figura di Piscitelli. Parliamo di Shehaj, parliamo di Bennato, parliamo del tentativo di omicidio di Fabietti. Quindi, dal vostro punto di vista, in questo momento, nella città, per avere noi il quadro, è saltata quella sorta di pace con l'omicidio oppure si mantiene, come emerge anche dall'inchiesta relativa all'ordinanza e le misure di ieri, questo quadro di accordo tra varie realtà?
  Ricorderete che vi ho chiesto in diverse occasioni dell'utilizzo delle comunità per tossicodipendenti per alcuni di questi soggetti. Noi abbiamo rivolto la nostra attenzione su questo fatto, non solo perché è nota l'evasione di una di queste persone da una comunità della zona campana, ma perché emerge sempre più un tentativo di utilizzare questa misura alternativa e poi queste comunità non sono, però, in grado di mantenere il servizio e la necessità di controllo sulle persone che lì dovrebbero fare un percorso.

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Per quanto riguarda il ruolo di paciere di Pag. 22Piscitelli, l'opinione che ci siamo fatti noi è che, in realtà, questo ruolo, in occasione di controversie che abbiamo visto avere contesti completamente diversi, viene riconosciuto a soggetti di riconosciuto carisma criminale. Quindi, è sotto questo profilo che, secondo noi, assume rilievo, ma non per dire che addirittura Piscitelli potesse assumere il ruolo di arbitro in qualunque controversia tra tutte le mafie. Questo è un discorso diverso. Quello che abbiamo registrato noi è solo che gli venisse sicuramente riconosciuto un ruolo carismatico tale da consentirgli di svolgere questa funzione in quel contesto.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Non poteva essere il capo dei capi.

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. No.

  PRESIDENTE. Era quella la domanda.

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Per quanto riguarda, invece, il discorso di azioni e reazioni, quindi vari fatti che si sono prodotti successivamente, in una delle ultime udienze del processo è stata depositata un'informativa a doppia firma della Squadra mobile e dei Carabinieri, che aveva proprio lo scopo di consentire la ricostruzione, almeno in parte, anche nel processo che è attualmente in corso, a carico del solo esecutore materiale, del contesto.
  Questo era indispensabile perché noi procediamo per un reato aggravato dal metodo mafioso. Quindi, documentare un contesto di contrapposizione armata tra organizzazioni fa parte dell'oggetto del processo.
  Ebbene, proprio in questa informativa che quindi è stata depositata ed è agli atti, si ricostruisce un antefatto che ha visto Pag. 23una frattura interna in seno ad una compagine che originariamente poteva ritenersi unitaria, facente capo, in senso lato, alla figura di Michele Senese.
  In questo contesto si è registrato che subito dopo l'omicidio di Fabrizio Piscitelli due diverse entità hanno cominciato ad attivarsi per cercare di acquisire informazioni per la possibile individuazione dei mandanti. Chi erano queste due queste compagini? Il gruppo degli Albanesi da una parte, quelli a cui facevo cenno prima, quelli cosiddetti «di Ponte Milvio», e gli ultrà dall'altra.
  Si registrano anche degli incontri tra gli uni e gli altri per scambiarsi le informazioni acquisite, per cercare di raggiungere un quadro per l'identificazione dei possibili mandanti, quindi di chi c'era dietro il fatto di sangue.
  Dopodiché iniziano una serie di dinamiche che hanno il carattere di reazione. Parlo, ad esempio, di quelle depositate nel processo, quindi di quello che in sostanza è ostensibile perché è già nel processo. Tre mesi dopo, il 14 novembre del 2019, c'è l'attentato a Leandro Bennato. Dopo quindici giorni Bennato viene, fortunatamente direi, arrestato proprio in esecuzione delle ordinanze dell'operazione Grande raccordo criminale, cui ho fatto cenno prima, che è stata oggetto di produzione alla Commissione. Questo comporta non la fine dei propositi di vendetta, ma il fatto che questi propositi, almeno secondo la nostra ricostruzione, a quel punto si concentrino su un altro soggetto, cioè su quello che il gruppo degli Albanesi da una parte e gli ultrà dall'altra ritengono essere l'altro mandante, cioè Giuseppe Molisso.
  Nel frattempo succede che ad aprile del 2020 viene scarcerato e sottoposto agli arresti domiciliari Elvis Demce, un altro soggetto facente parte di questo gruppo di Albanesi, che noi Pag. 24riteniamo il braccio destro di Arben Zogu, soggetto con funzioni, a nostro avviso, di tipo apicale.
  Qui vengono registrate una serie di dinamiche che vedono anche Demce realizzare una sorta di doppio gioco rispetto a Molisso, finché si arriva ad ulteriori condotte che, a nostro avviso, rientrano in questa dinamica articolata di azioni e reazioni perché nel febbraio 2021, l'11 febbraio in particolare, viene realizzato un attentato a Molisso, attentato che fallisce perché proprio quel giorno, mentre gli Albanesi e gli ultrà sono armati davanti a casa di Molisso in attesa che lui uscisse di casa, interviene la Polizia per tutt'altre ragioni, motivo per cui ci sono delle chat inequivocabili in cui la vittima, che si è salvata per miracolo, viene appunto definita «il miracolato». Anzi, dicono anche: «Se questo sapesse Dio come l'ha salvato, io penso che si pente e ringrazia le guardie». Questi sono i commenti che fanno.
  Dopodiché, anche altri due arresti servono a bloccare questa escalation di vendetta, perché il 18 gennaio 2022, nei confronti di Elvis Demce viene eseguita un'ordinanza cautelare, che è quella che riguarda la contrapposizione, la guerra sostanzialmente, per il dominio sulle piazze di spaccio di Velletri tra il gruppo facente capo a lui e quello facente capo a Ermal Arapaj. Quindi, Demce il 18 gennaio 2022 viene arrestato in esecuzione di quest'altra misura. Il 20 gennaio 2022 Molisso viene fermato in esecuzione di un decreto di fermo emesso dal nostro ufficio per il tentato omicidio dei fratelli Costantini, insieme a Calderon, che è l'attuale imputato come esecutore materiale per l'omicidio di Fabrizio Piscitelli. Come si può vedere, questi fatti hanno un legame tra loro.
  Sulla questione delle comunità, do la parola al procuratore capo.

Pag. 25

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie. Intervengo molto brevemente per affermare ancora una volta che, in effetti, il problema sussiste.
  Io non so chi di voi ricorda una vecchia indagine che nacque addirittura da quello che credo si chiamasse il Commissario antimafia nazionale, unico all'epoca, il prefetto Domenico Sica, che riguardò, alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, i cosiddetti «ricoveri facili», ovvero persone detenute per reati di mafia, la maggior parte riguardava Palermo e soggetti imputati nelle varie tranche, principalmente nella prima, del cosiddetto «maxiprocesso», che ottenevano di essere ricoverati in ospedali, non centri clinici o ospedalieri dell'amministrazione penitenziaria, ma ospedali esterni, asserendo o presentando documentazione, ovviamente spesso non vera, tanto che ne derivarono tutta una serie di processi, e ricordo che ai tempi della mia gioventù qualcuno toccò farlo pure a me, da cui emergeva, come era ovvio, il fatto che i mafiosi in carcere non ci volevano stare.
  Cercavano e cercano, quindi, tutti i mezzi, legali o meno legali, per poterne venire fuori. All'epoca si inventarono questo sistema, poi ne sono venuti fuori degli altri.
  La collega ha ricordato più volte il nome del capostipite dei Senese, soprannominato «O' pazzo». È noto a tutti da dove deriva questo soprannome, ovvero dal fatto di essere riuscito a farsi ritenere non idoneo alla detenzione carceraria e quindi essere trasferito in varie comunità. Questo può valere per coloro che simulano disturbi psicologici o meglio psichiatrici, può valere per coloro che simulano tossicodipendenze in realtà inesistenti fino a prima della carcerazione.
  Quindi, obiettivamente, il problema si pone, motivo per il quale occorrerebbe, anche qui, una forma di particolare attenzione nella legislazione quadro, unitamente – lo dico senza Pag. 26alcuna remora, perché credo sia corretto, quando è il caso, fare un po' di autocritica – ad una maggiore attenzione, che forse alcuni settori della magistratura dovrebbero porre nell'esame di queste vicende, di queste singole vicende, evitando di adottare provvedimenti che talora possono apparire affrettati e che poi magari possono portare a qualche evasione, che comunque confermano che si tratta di scuse, se vogliamo chiamarle così, che vengono trovate sfruttando magari la possibilità, che oggi è consentita, di un certo tipo di cure alternative, fondamentali per chi ne ha realmente bisogno. Ecco perché ci vuole questo doppio fronte di osservazione, quello legislativo da un lato e quello più propriamente applicativo e giudiziario dall'altro.

  PRESIDENTE. Grazie, procuratore. Lo lascio agli atti, perché è giusto. Il riferimento è ovviamente a Petoku, su cui peraltro la procura di Roma aveva dato parere contrario all'invio in una comunità di recupero, ma non solo, nel senso che è di queste ore l'ennesimo incontro pubblico di Kevin Di Napoli, sempre legato a questo contesto, che combatte peraltro con sponsor di cantanti molto noti. Quindi, era dovuta la domanda, anche perché dovremmo fare anche un po' di cultura della legalità.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  WALTER VERINI. Ringrazio il procuratore capo Lo Voi e la dottoressa Calò, perché nonostante il deficit quantitativo degli organici della procura, il livello qualitativo del vostro lavoro è certamente di grande affidabilità.
  Detto questo, quasi tutti i giornali – ho qui alcuni titoli di giornale di diversa ispirazione – parlano, in relazione alle vostre iniziative, di intreccio molto stretto tra mafiosi, narcotrafficanti, terroristi ed estremismo nero.Pag. 27
  Si fanno i nomi di nuove generazioni di clan storici coinvolti nelle misure di restrizione cautelare come Nicoletti e Senese, di nuovi protagonisti delle mafie albanesi, come Demce, si parla dell'ex membro dei NAR Carminati e si parla di Piscitelli.
  Lei, procuratore, nella sua esposizione di oggi, cito tra virgolette, ha rilasciato una dichiarazione: «C'è una unificazione di intenti tra estremismo politico e organizzazioni criminali».
  Intanto, ho una prima domanda. Questi intenti sono soltanto di natura criminale, cioè sono legati alla coesione criminale legata a spaccio, narcotraffico, usura, autoriciclaggio, estorsioni e altre forme di criminalità o c'è anche qualcosa di più? Qui non voglio fare dei salti, perché c'è tutta una contiguità, ma se pensiamo alla penetrazione della criminalità in alcune Istituzioni, in certi mondi della politica, è evidente che ci potrebbe essere anche qualcosa di più e qualcosa di peggio, un disegno perfino più ambizioso. Non è citato, anche se spesso coincide con l'estremismo nero, il mondo degli ultrà, però avete citato le zone grigie, avete citato gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, tra l'altro categorie che sono spesso vittime di estorsioni, vittime di usura. Insomma, si sta costruendo, in altri termini si sarebbe detto un blocco, che poi potrebbe essere anche usato da una certa politica per scambi di preferenze, per scambi di favori, per traffici di influenze e così via.
  In relazione anche a quello che è capitato ad Aprilia, a quello che è capitato ad Anzio e Nettuno, c'è il rischio anche di una saldatura che vada oltre il solo aspetto criminale? Se c'è questo rischio, quali possono essere gli strumenti, oltre quelli di cui disponete, per contrastarlo?
  Vengo alla seconda domanda. Voi avete parlato, lei in particolare, dottor Lo Voi, della necessità che la politica, ed è un appello credo multipartisan al Parlamento più che al Governo, Pag. 28non privi le procure che si battono contro la criminalità organizzata di strumenti investigativi e strumenti di contrasto. Ha fatto riferimenti molto chiari all'abolizione di reati come l'abuso d'ufficio, ma del resto questo rischio ce l'aveva paventato anche qualche mese fa, quando era venuto qui in audizione, così come ce l'aveva paventato il Procuratore nazionale antimafia, il dottor Cantone, e altri suoi colleghi impegnati in trincea contro la criminalità organizzata.
  Tra gli strumenti che non debbono essere sottratti al vostro lavoro, al lavoro delle procure e delle direzioni antimafia, c'è anche quello delle intercettazioni, però. Francamente, sento parlare di progetti, di restrizioni, di proroghe a 45 giorni, per esempio, come termine ultimo, fatti salvi, si dice, i reati di mafia e terrorismo. Non si fanno salvi, però, i reati di corruzione che molto spesso sono già reati che vedono protagonista la criminalità organizzata, che comunque spesso sono anche anticamera di reati della criminalità organizzata.
  Oltre all'abuso d'ufficio, a cui lei ha fatto riferimento senza citare il reato, anche le intercettazioni sono un bene, uno strumento da preservare, al netto degli abusi mediatici, che è tutto un altro tema, che non ci sono già più con la riforma Orlando?
  Infine, l'ultima domanda è legata proprio al territorio di Aprilia, Anzio e Nettuno. Ad Aprilia è arrivata la commissione d'accesso, arriverà in queste ore, ed è stato nominato un commissario.
  Ad Anzio e Nettuno – ne abbiamo parlato anche con preoccupazione in questa sede con la stessa presidente Colosimo – sono finite, allo stato, le proroghe per i commissariamenti. Quindi, tecnicamente, si dovrebbe nella finestra temporale ottobre-dicembre, tornare a votare. Per noi, e non solo per Pag. 29noi, il lavoro dei commissari è ancora a metà. Quindi, sarebbe una iattura tornare a votare.
  Voi avete un altro compito, non dovete occuparvi di questo, però, secondo voi, in quelle realtà – è una domanda retorica, mi rendo conto, però il suo parere è importante – c'è ancora da essere molto preoccupati perché il lavoro di penetrazione e di infiltrazione della criminalità organizzata nelle Istituzioni non è ancora terminato e può essere ancora incombente?

  PRESIDENTE. Per non sovraccaricarvi di domande, vi invito a rispondere volta per volta.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Ringrazio il senatore Verini, soprattutto per la fiducia che dimostra nei miei confronti, sicuramente eccessiva, attribuendomi una serie di competenze che sinceramente non credo di possedere. La ringrazio della bontà, ma non so se sarò in grado di dare risposte convincenti a tutto quello che lei mi chiede.
  Comincio con un chiarimento, perché, come talvolta accade, quell'affermazione che lei ha letto sulla unificazione di intenti, in realtà, è stata mal riportata dal giornalista che l'ha per la prima volta riportata, essendo stato presente al convegno nel corso del quale in un mio intervento avevo fatto un certo riferimento, che ora chiarisco. Quindi, da lì, a cascata, è venuta fuori la costruzione di un grattacielo nel momento in cui siamo ancora nella fase dello scavo per la realizzazione delle fondamenta. Intendo dire che in quell'occasione – c'è la registrazione, quindi ricordo bene che cosa ho detto – io ebbi a riferire del fatto che in alcune indagini, e lo abbiamo visto pure nell'elencazione che molto puntualmente ha fatto la collega Calò poco fa, sono già stati riscontrati dei casi – Piscitelli è proprio emblematico in questo senso – di rapporti di natura Pag. 30non lecita, spinti anche a cooperazione in fenomeni criminali veri e propri, tra criminali puri e criminali anche caratterizzati politicamente in qualche senso.
  Ho detto e intendevo dire che in presenza di una situazione criminale – parlavo proprio della realtà romana e laziale – già particolarmente complessa, riprendo l'aggettivo iniziale dell'intervento della collega, che in modo difficile riusciamo a fronteggiare, se si dovesse creare – ecco qual era il filo del mio tentativo di ragionamento –, sulla base di questi singoli esempi che siamo andati a pescare e che abbiamo trovato nel corso di alcune indagini, una unificazione di intenti, da lì l'espressione, tra aspetti puramente criminali e magari sfruttamento e anche degli ambienti criminali da parte di alcuni settori politici, e se posso dirlo anche alla rovescia, se si dovesse creare – questo era ciò che io ho detto, poi è stato un po' male riportato, ma non ha importanza e lo chiarisco adesso – questa unificazione d'intenti anche su singoli temi, la cosa chiaramente diventerebbe molto più pericolosa, perché a quel punto è chiaro che non hai più a che fare con l'uno o l'altro fenomeno, non hai più a che fare con gli aspetti meramente criminali che è più facile evidentemente affrontare. Hai a che fare con una realtà molto più difficile.
  Ripeto, non possiamo dare per già costruito il grattacielo, perché siamo ancora nella fase in cui questi... Certo, ci arrivo subito dopo, perché era proprio la risposta che volevo dare con riferimento alla domanda con l'ipotetico del terzo tipo su Anzio e Nettuno. Era un'ipotesi che io facevo, nel senso di dire che se si dovesse realizzare una situazione del genere, è evidente che per noi il lavoro sarebbe molto più complesso, molto più difficile.
  Qual è l'altra problematica che ci troviamo ad affrontare e che rende complicato parlare di un accertamento compiuto sul Pag. 31blocco eventualmente da creare o da utilizzare o sul rischio della saldatura di interessi vari? Il problema è che noi magistratura, noi procura non abbiamo funzioni, compiti e ruoli di prevenzione, al di là di quello che sta scritto nelle norme su alcune attività preventive che ovviamente svolgiamo, ma noi interveniamo generalmente dopo, quando il danno è già fatto.
  Noi riusciamo per caso, come ricordava con uno specifico episodio la collega, a prevenire un omicidio, ma generalmente noi interveniamo quando l'omicidio già è stato commesso, di qualunque natura esso sia.
  Ecco perché trasformare l'ipotesi investigativa in dato acquisito dal nostro punto di vista non ha senso, perché noi ci muoviamo sulla base del dato acquisito quando il dato è stato acquisito e dimostrato. A noi, infatti, interessa raccogliere le prove sui reati che sono stati commessi, non sui reati che ipoteticamente potrebbero essere in futuro commessi. Non so se sono riuscito a rendere il mio pensiero. Il nostro compito è quello di arrivare dopo.
  Faccio un brevissimo riferimento al tema delle intercettazioni. Con la creazione degli strumenti legislativi degli ultimi anni, dei messaggi sentimentali delle attrici o dei riferimenti al personale di servizio proveniente da altri continenti, per fare poi dei paragoni nei rapporti interpersonali, noi sui giornali non ne abbiamo più trovati. Gossip puro e notizie comunque non rilevanti ai fini delle indagini, sui giornali, in realtà, non ne abbiamo più trovati, perché la legislazione ci ha messo in condizione – mi riferisco all'archivio riservato e a tutto quello che è stato fatto – di isolare tutti questi aspetti, di dare alla polizia giudiziaria le indicazioni e le direttive sulla trascrivibilità e quindi ostensibilità successiva esclusivamente delle intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini e non di tutte le altre.Pag. 32
  Se quello era l'obiettivo, che era anche l'obiettivo di una riforma in materia di intercettazioni, noi adesso – perdonate il «noi» – dovremmo intervenire sulle intercettazioni al fine di ottenere qualche risultato migliorativo, evidentemente. Se riusciamo a scoprire una gran parte di tutto quello che abbiamo scoperto, ci riusciamo grazie alle intercettazioni. Ora non mi metterò a fare esempi, perché ovviamente si dice che mafia e terrorismo restano fuori e così via.
  Abbiamo visto – lei lo ha ricordato – che quantomeno con riferimento alle nostre attività in tema di mafia, e non solo laziali, gli intrecci si creano e si scoprono anche grazie alle intercettazioni. Sono numerosi i casi in cui da indagini che partono dalla DDA si scoprono reati di altra natura, di altra materia. Così come spesso capita anche il contrario.
  Tanto per essere concreti, intervenire sui divieti di utilizzabilità delle intercettazioni tra l'uno e l'altro procedimento, in senso ancora più restrittivo rispetto all'attuale, che è già parecchio restrittivo, comporterà sicuramente una serie di difficoltà. Se non ci limitiamo alla inutilizzabilità e vogliamo andare anche a qualche altro esempio più specifico, tutto ciò comporterà, per assurdo, un aumento delle spese. Sa perché? Se io ho due reati, per entrambi mi è consentito richiedere ed ottenere dal giudice competente un decreto di intercettazione, però non posso utilizzare le intercettazioni dell'un procedimento nell'altro, perché vi è un divieto di legge, io sarò costretto ad eseguire quella che in gergo si chiama una «doppia intercettazione», la quale doppia intercettazione, magari, riguardando reati diversi, sarà affidata a diverse forze di polizia, l'una che si occupa di un reato e l'altra che si occupa dell'altro.
  Al di là dell'aumento delle spese, che è un aspetto non secondario, si aumenterà anche la difficoltà del lavoro, perché poi ci sarà da andare a operare un coordinamento anche in una Pag. 33fase e in degli ambiti nei quali generalmente il coordinamento non ha ragione di esistere se solo io fossi in condizione di poter utilizzare le intercettazioni del reato A per perseguire il reato B, posto che sono consentite per entrambi i reati. Su questo mi fermo.
  Se vogliamo intervenire sulle norme riguardanti le intercettazioni, io vorrei capire prima con quali intenti migliorativi. Dopodiché, se ci fossero degli intenti migliorativi, io sarei il primo a sottoscrivere la bontà dell'intervento.
  Terzo e ultimo aspetto. Ecco perché dicevo prima che mi fermo, perché la risposta la do con riferimento ad Anzio e Nettuno. Certo, non spetta a me dire cosa si deve fare ad Anzio e Nettuno. I termini sono quelli che lei ha ricordato. C'è un periodo esaurito il quale si dovrebbe tornare al voto. Io non sono preoccupato per la situazione di Anzio e Nettuno, punto. Spero di essere riuscito – sarei più che soddisfatto se ci fossi riuscito, sicuramente meglio di me ci è riuscita la collega, che è andata giù specifica con i singoli riferimenti – a render conto di una situazione che non genera preoccupazione solo con riferimento ad Anzio e Nettuno, ma genera preoccupazione con riferimento a tutta la realtà territoriale nella quale ci troviamo a vivere e a operare.
  Mi limito al Lazio per non estendermi ad altre aree e, soprattutto, perché il Lazio ha ormai, purtroppo, dimostrato... A dimostrarlo non sono solo qui le basi di fondamenta che la procura ipotizza. Abbiamo le sentenze passate in giudicato con il 416-bis, con l'aggravante del metodo mafioso, con l'aggravante delle agevolazioni mafiose. Quindi, non si tratta più di ipotesi, ma di realtà.
  Siccome la situazione è quella e siccome, purtroppo, come dicevo prima, non sempre viene condivisa l'interpretazione di questa situazione, la preoccupazione, per quanto mi riguarda, Pag. 34va oltre Anzio e Nettuno, va oltre Aprilia, va oltre il famoso Sud Pontino, ripetutamente evocato. Riguarda l'intera società nella quale ci troviamo a operare, con quei rischi che, anche per semplice utilità venale, possono portare ad avvicinamenti che, anche a non costituire grandissime saldature, come quelle che, magari, si sono viste nel passato, tra organizzazioni di vario tipo, possono complicarci sicuramente la vita, a noi per i compiti che la Costituzione ci attribuisce e, se me lo consentite, anche al mondo politico e al Parlamento, che è quello chiamato a dare una risposta su richiesta dei cittadini, anzi su mandato dei cittadini.

  SAVERIO CONGEDO. Signor presidente, la ringrazio.
  Ringrazio il procuratore Lo Voi e la dottoressa Calò sia per il lavoro che svolgono sia per aver tratteggiato una situazione complessa, come è stata definita, in maniera sintetica, ma estremamente comprensibile per noi.
  Mi è sembrato di intuire che Roma abbia una peculiarità che non abbiamo ascoltato, non abbiamo sentito da vostri colleghi di altre regioni, dove vi erano, in genere, gruppi di criminali organizzati ben identificati, quasi sempre autoctoni – penso a qualche regione del Mezzogiorno – anche con metodi abbastanza standardizzati gerarchicamente. Mi sembra di aver intuito che qui a Roma la convivenza di varie organizzazioni criminali mafiose tradizionali – ho notato che non avete citato la mafia, ma solamente quelle calabresi e campane, quindi 'ndrangheta e camorra; non so se sia sfuggita o sia una organizzazione estranea alle logiche criminali della Capitale –, alcune autoctone, altre che organizzano, ma scimmiottano, forse, metodi mafiosi, alcune straniere – insomma, c'è una situazione abbastanza complessa – che, nell'imporre il loro controllo sul territorio, usano metodologie diverse.Pag. 35
  In altre regioni c'era una gerarchia ben precisa delle famiglie. Qui, invece, mi sembra di aver capito che sia un insieme, abbiamo sentito parole tipo «brokeraggio», «multilevel», forse «franchising», «arbitraggi» nella composizione delle controversie, nella capacità di relazionarsi con vari ambiti della società «pulita», sia in termini professionali, economici, ma anche politici, come dimostrano alcune indagini, senza distinzione di colorazione politica.
  Un dato che mi è sembrato caratteristico è proprio una presenza, forse superiore a quella che si può avere in altre realtà criminali, di professionisti. Abbiamo citato commercialisti, avvocati, quindi professionalità sia sul lato legale che economico, per il riciclaggio, per i finanziamenti, eccetera.
  La domanda è questa: è una tipicità romana questa contiguità con mondi professionali e, eventualmente, ci sono da assumere contromisure, in termini deontologici?
  L'altra, inevitabilmente, in riferimento a Fabrizio Piscitelli, in qualche passaggio della dottoressa è stato detto, quindi in riferimento al mondo degli ultrà, qual è il ruolo delle curve qui a Roma – ma mi sembra sia un fenomeno abbastanza generalizzato – nella logica criminale di controllo del territorio e anche di promozione di quel welfare così anomalo di cui, in qualche modo, voi avete riferito?

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Volevo trarre profitto dalla mia esperienza precedente per raccontare cosa avveniva – sono portato a ritenere dalle conversazioni con i colleghi che ci sono tuttora – con riferimento alla presenza di quella che chiamavamo all'epoca e continuiamo a chiamare anche qui «mafia nigeriana».
  A Palermo c'è un certo quartiere, abbastanza diffuso, abbastanza ampio, notoriamente da anni occupato da gruppi nigeriani, anche gruppi criminali di cui è stata riconosciuta la Pag. 36natura mafiosa, sia dal punto di vista ontologico sia dal punto di vista – come dicevo prima – dell'utilizzazione del metodo, dell'utilizzazione dell'agevolazione, eccetera. Quindi, la definizione di «mafia nigeriana» in sé non era esagerata.
  Tuttavia, allo stesso tempo, abbiamo potuto registrare – «registrare» nel doppio significato, anche registrare nel vero senso della parola – che costoro operavano sotto il consenso e, comunque, il controllo o la supervisione di soggetti appartenenti a cosa nostra che a Palermo, chiaramente, c'è e comanda. C'erano soggetti più vicini, per i quali si diceva: «questi, quando vanno in carcere, mi raccomando, trattatelli bene», e c'erano soggetti che operavano unitariamente per lo svolgimento di attività criminali specifiche: traffico di stupefacenti, prostituzione, traffico di esseri umani, tratta di esseri umani, tratta delle donne e così via. C'era la mafia nigeriana, ma lavorava sotto il controllo di cosa nostra.
  Qui, come avete sentito, la situazione è diversa. Lei, infatti, ha perfettamente colto la poliedricità degli spunti. Non escludiamo niente. Non ci dimentichiamo – tantomeno me lo dimentico io – che a Roma aveva fissato, non la sua residenza, il suo campo di operatività, nell'interesse di cosa nostra, un certo Pippo Calò, che da Roma gestiva tutta una serie di affari, per i quali è stato anche condannato, per qualcosa è stato pure condannato all'ergastolo, motivo per cui è ancora detenuto. Ecco perché non possiamo escludere cosa nostra da quel tipo di interessi riciclatori, di reinvestimento di attività, su cui espandere i propri interessi, anche solo finanziari. Ecco perché, ovviamente, non escludiamo nessuno e non escludiamo nulla, anche su questo specifico versante.
  La contiguità con i professionisti è frutto non solo romano-laziale, ma è frutto della capacità di cosa nostra, della 'ndrangheta, della camorra, di tutte le organizzazioni di tipo mafioso, Pag. 37anche autoctone, di sfruttare il progresso. Il riciclaggio e il reinvestimento delle attività illecite negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta si faceva o su altre attività illecite o – che so – sull'edilizia, sull'acquisto dei terreni, delle campagne, dei vigneti, dell'agricoltura. Oggi si fanno circolare miliardi di euro con dei click su un computer. Serve, allora, chi ti sappia consigliare se è meglio trasferire la sede legale della tua società in un determinato Paese ovvero in un altro, oppure andarlo direttamente a costituire in un terzo Paese paradiso fiscale, dove nessun tipo di informazione – altro che registrazioni – finanziaria, commerciale, bancaria può essere ottenuta. Chi può fare tutto questo? Qualcuno che sia preparato a farlo. Chi può agevolarti nello sviluppo di un'impresa? Uno che sappia fare impresa, uno che, magari, l'impresa ce l'ha già e la vuole allargare o si vuole liberare di un po' di concorrenza. Allora si crea – stavolta sì – quella saldatura di intenti.
  Le mafie, alla fine, oltre che fare i propri interessi, come è stato dimostrato, soprattutto in quei territori dove si sono espanse, hanno finito con il fornire dei servizi e, a loro volta, per ottenere determinati servizi, hanno necessità di ricorrere a coloro che questi servizi ulteriori, più raffinati, più particolari, più orientati verso determinate attività, li possano fornire, come, per l'appunto, i professionisti di varia natura o gli imprenditori di varia natura. Anche l'artigiano, perché no?
  A parte l'esempio ulteriore che voleva riportare la collega, le lascio le curve.

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Con riferimento a cosa nostra, nel riepilogo generale questo riferimento perché non è stato fatto? Perché noi abbiamo parlato dei procedimenti con misure eseguite negli ultimissimi anni, ma in realtà c'è un procedimento di grande rilievo, che, se non erro, risale, l'esecuzione, al 2016, Pag. 38indagini del ROS, operazione svolta dalla DDA di Roma, che non a caso si chiamava «Equilibri». Perché si chiamava «Equilibri»? Perché il focus era su una articolazione facente capo, derivata da cosa nostra – però, rispetto alla tassonomia cui ho fatto riferimento all'inizio, noi l'avremmo definita «ibrida», perché ibridata con una componente locale – stanziata nel litorale laziale, in particolare nel territorio di Pomezia e Torvaianica.
  In quel procedimento che cosa avevano rivelato le indagini? Che vi era un'organizzazione facente capo a una famiglia di origini catanesi, distaccatasi dalla originaria appartenenza al clan Santapaola, poi resasi autonoma nei decenni successivi, stabilizzandosi sul territorio.
  Accanto a questo contesto, da cui il nome dell'operazione, emergeva la figura, invece, di un soggetto palermitano di grande prestigio. Si trattava di Francesco D'Agati, fratello di Giovanni D'Agati, il cui nome già emergeva nelle dichiarazioni di Contorno come soggetto vicino a Pippo Calò, quindi soggetto stanziato a Roma da tempo. Che ruolo svolgeva? Per usare una sua stessa espressione: «io sono quello che dà i torti e le ragioni». Quindi, a lui si rivolgevano per dirimere quel tipo di controversie di cui parlavamo all'inizio. Tra l'altro, uno degli aspetti interessanti di questa operazione era che in questo caso si individuavano, per dire così, dei requisiti, cioè il pedigree che bisognava avere per sedersi ai tavoli delle trattative. Rappresentanti di diverse organizzazioni mafiose potevano sedersi allo stesso tavolo purché fossero tutte persone definibili come «onorate». La qualifica di persona «onorata» poteva, in realtà, derivare dall'appartenenza delle diverse forme mafiose, tradizionali o autoctone.
  Ad ogni modo, se interessa alla Commissione, anche questo procedimento può essere oggetto di produzione.Pag. 39
  In ogni caso, noi oggi, ovviamente, parliamo di una fetta del nostro lavoro. Noi oggi parliamo dei procedimenti in cui ci sono le ordinanze eseguite e le sentenze emesse. C'è tutta una serie di altre cose che noi, ovviamente, teniamo doverosamente riservate.
  Questo discorso vale anche per le curve. Quello che abbiamo detto noi è quello che emerge dai procedimenti che abbiamo citato.
  Questo è tutto.

  PRESIDENTE. Grazie mille.
  Io ho ancora quattro iscritti a parlare. Per l'organizzazione dei lavori, cerchiamo di essere sintetici e specifici nelle domande, così liberiamo in fretta i nostri ospiti.

  MAURO D'ATTIS. Signor presidente, ringrazio il signor procuratore. Faccio riferimento a fonti aperte, quindi a un articolo di giornale che riguarda la vicenda Striano, l'inchiesta Striano. Il titolo è: «Guerra tra i PM. A rischio l'inchiesta su Striano. Un fascicolo sul Procuratore antimafia Melillo genera conflitti di competenza tra Roma e Perugia. Se la causa finisse nella Capitale, il caso dossieraggio potrebbe avere la stessa sorte», quindi ripartire da zero da Roma. Senza girargliela troppo, le chiedo se su questo lei ci sa dire qualcosa. Questo è un tema – come sa – del quale la Commissione parlamentare è stata investita direttamente e di cui si sta occupando, con il massimo rispetto degli organi inquirenti.
  Ne approfitterei per farle altre domande, anche se, rispetto ai fenomeni mafiosi, tra le varie risposte, ne avete già date anche ad alcune domande che avevamo preparato. Nello specifico, visto che si è parlato della famiglia Senese, la domanda è: ritenete che tra la famiglia Senese e gli eredi della Magliana si sia creata una sorta di struttura federale, che questa cosa sia Pag. 40diventata ancora più grossa di quanto era già tenendoli separati? Alcuni passaggi sono stati fatti dalla dottoressa, che ringrazio.
  Su una questione ha già accennato qualcosa, procuratore, ma le chiedo un approfondimento ulteriore. Tra l'altro, io stesso coordino il Comitato mafie e nuove tecnologie, che abbiamo istituito in questa legislatura appositamente per i temi di cui stavamo dicendo. Nelle inchieste, anche quelle della procura di Roma, purtroppo non solo quelle dell'antimafia di Roma, emergono questi traffici che sono, poi, supportati da cripto-telefonini e da pagamenti con cripto-valute. Mi interessa sapere proprio materialmente come state affrontando questi fenomeni e, ovviamente, dal punto di vista anche normativo, cosa ulteriormente potreste indicare al legislatore.
  Grazie.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie a lei.
  Io non voglio sottrarmi, con delle argomentazioni che potrebbero apparire di comodo, alle risposte alle sue domande ed è per questo motivo che, per rispondere alla prima di queste, che deriva da alcuni articoli di giornale che anch'io ho letto, chiederei la cortesia alla presidente di disporre la momentanea secretazione della seduta. Dico anche perché: si tratta di vicende che non riguardano esclusivamente il mio ufficio, sulle quali io rispondo e mi assumo la responsabilità, ma riguardano anche altri uffici, a nome dei quali, ovviamente, non posso prendermi la responsabilità di parlare.

  PRESIDENTE. Senza dubbio, procuratore. Se per lei va bene, segretiamo alla fine della seduta per evitare di entrare e uscire per chi è collegato da remoto.

Pag. 41

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Va benissimo.
  Passo alle altre due risposte, che sono decisamente brevi, benché sia l'una che l'altra richiederebbero un seminario. Cominciamo dal seminario «Senese ed eredi Magliana». Ancora una volta, noi interveniamo quando i reati sono stati commessi e, soprattutto, interveniamo per cercare le prove di questi reati. È evidente che ci troviamo in una situazione complessa che anche lei ha perfettamente colto, tanto da creare, appunto, questo collegamento. Ci troviamo in una situazione in cui, per poter affermare di possedere un dato, dobbiamo prima fare le indagini. Una volta che le indagini ci daranno risposta su questo collegamento, così come su altri, intendiamoci, lo avremo. Ecco perché dicevamo all'inizio, rispondendo al senatore Congedo, che non escludiamo nulla. Non escludiamo nulla a 360 gradi, se mi passate l'apparente banalizzazione. Anche qui, quindi, si sta lavorando.
  Materia cybercrime. Entra in vigore adesso una nuova normativa, che peraltro comporterà – per tornare al piagnisteo iniziale – l'aumento di impegni, responsabilità, compiti, attività da parte dei sostituti procuratori e delle loro segreterie. Purtroppo, dovendosi la modifica e la riforma fare con la consueta invarianza finanziaria, non sono stati previsti aumenti né da una parte né dall'altra. Vedremo di fronteggiare, come al solito, la situazione con le forze che abbiamo in campo.
  Credo che questo sarà già un passaggio fondamentale nell'evoluzione della legislazione, che obiettivamente, a detta di tutti gli esperti – io non lo sono – vuoi giuridici, vuoi tecnici, risentiva di un ritardo rispetto al grado di avanzamento che, invece, si riscontrava nelle realtà criminali.
  Pertanto, ovviamente mettendo sul terreno tutte le forze che ci sono in campo, a cominciare non solo dalle procure, ma dagli Pag. 42organismi deputati, lì dove gli esperti, anche in senso tecnico, realmente ci sono, a cominciare dall'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, le forze di polizia, la polizia postale, tutti gli organismi delle altre forze di polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, orientati in questo settore già da diversi anni, credo che dei risultati positivi si otterranno.
  Naturalmente, anche in questo caso, ci sarà l'esigenza di un'attività di miglioramento della formazione. Parlo del mio ufficio, tanto per rimanere sulla materia e sulla concretezza. Abbiamo in corso l'elaborazione di una modifica organizzativa. Uno dei dipartimenti che dovrà essere riconsiderato, anche ai fini del rafforzamento, è proprio quello che riguarderà tutta la criminalità informatica, senza considerare, peraltro, che dovrà essere oggetto di specifica attenzione, così come lo è stata finora, ma lavoreremo inevitabilmente di più anche su questo, tutta quella criminalità informatica che aggredisce la personalità dello Stato o le personalità dello Stato o si coniuga, comunque, con fenomeni terroristici, che è un settore particolarmente delicato, anzi delicatissimo.
  Se noi pensiamo a degli attacchi provenienti da chissà dove, che paralizzano o anche solo sottopongono a ricatto estorsivo determinate entità di rilievo nazionale, ci rendiamo conto della gravità e della pericolosità del fenomeno, quindi della necessità di aumentare contemporaneamente non solo le forze in campo, ma anche la specializzazione delle forze in campo. Ci vorrà più formazione anche al nostro interno, perché sarà fondamentale andare a studiare l'evoluzione e, contemporaneamente, coniugare l'evoluzione nostra con la capacità di contrasto dei fenomeni criminali che si avvalgono di questi schemi.
  Non so se passiamo ad altre domande o è il momento di rispondere a quella per la quale avevo chiesto la secretazione.

  PRESIDENTE. La facciamo alla fine, procuratore.

Pag. 43

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Va bene. Anche perché la risposta è semplice.

  DAFNE MUSOLINO. Signor procuratore, ho ascoltato con molto interesse l'introduzione a quella che è stata, poi, l'esposizione più nel dettaglio dello stato dell'arte relativo al Lazio. Proprio per questo, proprio richiamando il suo riferimento al nostro ruolo, alla nostra responsabilità di legislatori nel fornire strumenti che siano utili a evitare che si possano compiere determinati reati, che siano reati-spia o reati-fine, mi viene una riflessione da sottoporle. Non è una domanda specifica sullo stato di alcune indagini, ma è una riflessione di senso più generale.
  Faccio riferimento alle concessioni balneari. C'è uno stallo dal punto di vista della legislazione nazionale, con un invito, sollecitato – siamo, in sostanza, all'anticamera dell'apertura della procedura di infrazione –, perché non viene varata questa legislazione necessaria a far fare le gare per l'assegnazione delle concessioni. Le concessioni balneari – lo dico anche per l'esperienza che ho avuto come amministratore locale, sono stata per quattro anni assessore anche con delega ai beni demaniali marittimi – costituiscono una particolarità italiana. Sono concessioni che molto spesso sono state rilasciate 30-35 anni, se non di più. In queste concessioni c'è un fenomeno ricorrente che è quello del subingresso: il concessionario originario è molto spesso un soggetto che non ha più a che fare con il demanio, ma è stato subentrato da altri soggetti che però non passano dal vaglio pubblico, proprio perché fanno un subingresso che è un atto negoziale. Sostanzialmente, al demanio è sufficiente non esprimersi. Deve soltanto fare un silenzio non ostativo che non è, però, l'equivalente di un vaglio delle condizioni del concessionario.Pag. 44
  Quello che mi domando è: il fatto di non attuare le direttive, in questo caso per la libera concorrenza, quindi consentire questo stallo non costituisce, anche questo, un modo attraverso il quale si espone sempre di più la società anche all'incancrenirsi di situazioni di potenziale illegalità o, comunque, al compimento di dinamiche e, in questo caso, anche al passaggio, quindi anche all'infiltrazione all'interno di queste attività, di organizzazioni criminali? Organizzazioni che passano sotto traccia, sono quasi invisibili, o comunque, per trovarle, per intercettarle, ci vogliono eventi specifici che, poi, consentano di risalire al perché si trova a operare un determinato soggetto in questi servizi.
  Questo con riferimento anche a quando lei ha detto che la criminalità si è specializzata e, oltre alle attività originarie, adesso ne fa anche altre, tra le quali i servizi. Penso che i servizi relativi alla balneazione siano molto appetibili, anche per l'esiguità del canone concessorio attuale.
  La seconda domanda che le volevo fare, sempre come una riflessione, è relativa alle modifiche che sono state fatte al Codice per gli appalti con l'innalzamento della soglia per l'affidamento diretto. Quello che mi domando è: nel momento in cui si consente a una pubblica amministrazione di fare affidamenti diretti fino alla soglia di 140 mila euro – basta arrivare a 139.999 senza che nulla possa essere obiettato –, in tante materie, perché gli appalti pubblici sono opere, ma sono anche servizi, anche questo non è, in maniera ancora più pervasiva, una porta che si è aperta su un fenomeno molto rischioso? Si parla di verifica ex post. È vero, sì, che la stazione appaltante fa le verifiche, la certificazione antimafia, eccetera, ma è anche vero che – come ha detto lei nella premessa – nell'affidare un determinato servizio a una ditta piuttosto che a un'altra indubbiamente io amministrazione pubblica creo un Pag. 45legame con quella ditta, e dietro la faccia pulita di chi la rappresenta, invece, sto favorendo – magari anche inconsapevolmente, ci voglio mettere la buona fede dell'amministratore locale, che non sempre è in grado di comprenderlo – un'organizzazione criminale.
  Da questo punto di vista, non soltanto l'affidamento diretto, ma anche il fatto che, secondo me, andrebbero evidenziate e ripristinate le centrali uniche di committenza.
  La ringrazio.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie a lei. Se me lo consente, grazie anche per il fatto di ricordarmi il 10 luglio, quasi alle ore 17, che ci sono anche le concessioni balneari, che in questo periodo è una delle attività a cui io personalmente mi dedicherei con un certo interesse, se non avessi altri problemi da risolvere da altre parti. Perdoni la battuta.
  Lei mi chiama, in realtà, a quello che io di solito cerco di non fare – ogni tanto mi scappa, capita a tutti di far scivolare la frizione, per questo ora fanno tutte le macchine con il cambio automatico, proprio per evitare questi rischi – cioè la valutazione di provvedimenti legislativi in corso, emanati o adottati recentemente o che indicano un certo trend. Spero mi perdonerà se non credo sia necessario che io personalmente dica cosa penso delle concessioni balneari. Questo è un tema, peraltro, a cui sono particolarmente legato perché nella mia fortunata esperienza professionale vi è stata anche quella di operare all'estero e quindi sono particolarmente legato alle normative europee, internazionali e così via.
  Questa delle concessioni balneari deriva da una legislazione sovranazionale. Quindi, non voglio far scivolare la frizione, ma non ci vorrebbe molto a tenere conto di questo. Si diceva prima di entrare in aula con la presidente che si deve pure avere la Pag. 46forza di dire che se qualcuno ti viene a proporre qualche cosa che non si può fare, gli si risponde che questo non si può fare.
  Ripeto, io non voglio entrare in un tema che non è mio. D'altra parte, anche qui, la memoria storica, che dovremmo coltivare tutti, ci porta a confermare il dato che proprio l'investimento sui lidi balneari ha costituito storicamente uno dei centri di interesse, uno degli obiettivi di interesse dei gruppi criminali interessati al reinvestimento e al riciclaggio, che sono, a loro volta, non solo una forma di riciclaggio, ma anche una forma di reinvestimento che produce altro reddito, che poi sono le cose più interessanti. A me non interessa soltanto far sparire il denaro, a me interessa far sparire il denaro sporco e reinvestirlo in modo che ne produca dell'altro pulito. Lo stesso vale per le soglie, nel senso che – voglio evitare che un altro virgolettato crei un equivoco per la prossima audizione – le pubbliche amministrazioni devono esercitare naturalmente il loro potere di controllo, preventivo o successivo poco importa, ma devono esercitarlo, e in questo ci sono sia gli strumenti sia le forme di controllo sull'effettività dell'esercizio dei controlli stessi, con le eventuali conseguenze a carico di chi non esercita i controlli.
  Allo stesso tempo, dobbiamo tenere conto che se da un lato – così riesco a farmi criticare sia dall'una parte politica che dalle altre – è indubbio che se innalzo la soglia concedo più potere contrattuale, quindi amministrativo e quindi anche posso creare una maggiore facilità nell'approfittamento del denaro a disposizione, del denaro che la pubblica amministrazione mette a disposizione per la realizzazione di attività ed opere pubbliche, allo stesso tempo dobbiamo tenere presente l'eccesso di burocratizzazione al quale siamo arrivati nel corso degli ultimi decenni. Non è, infatti, una questione che nasce cinque anni fa o dieci anni fa con il Governo x o con il Governo y. C'è stata, Pag. 47si è sovrapposta, si è stratificata e si è in qualche misura a volte pure incancrenita una forma di burocratizzazione che ha reso complicata qualunque attività della pubblica amministrazione in danno dei cittadini che aspettavano che il famoso appalto per la mensa scolastica venisse conferito oppure no, al di là della soglia.
  Dobbiamo tenere in considerazione quali sono i due piatti della bilancia che magari cessa di essere bilancia perché di piatto ne spunta un terzo e quindi altera la morfologia che conosciamo, ne spunta un quarto. Non è semplice, tantomeno per chi fa un altro mestiere, introdursi se non da semplice osservatore, a meno che, naturalmente, non ci sia, ma – perdoni la ripetizione – noi arriviamo sempre dopo, l'aspetto specifico su cui aprire l'indagine.
  Spero di essere stato chiaro.

  PRESIDENTE. Grazie. Per contenere i tempi, ricordo che l'audizione di oggi è focalizzata su Roma.

  ALFREDO ANTONIOZZI. Grazie, signori procuratori. Mi spiace dover aggiungere tempo al tempo che già ci avete dedicato, ma questo è un incontro importante e quindi ne approfittiamo per poter fare delle domande.
  Il procuratore Lo Voi ha esordito dicendo che la mafia a Roma e dintorni c'è. Ma c'è anche una mafia romana? Prolifera anche qui, cresce questa malapianta di una cultura mafiosa romana che tradizionalmente alloggiava nei luoghi tipici delle mafie, che conosciamo bene, o quella che definiamo mafia a Roma è una sorta di joint venture, per dirla all'americana, tra una criminalità tradizionale di qualsiasi luogo e l'utilizzo di poteri forti, quelli mafiosi, dei luoghi tradizionali?
  A Roma sentiamo parlare di albanesi, cinesi, nomadi, nigeriani, mi parlano dei georgiani che si sono introdotti come utili Pag. 48e capaci ad entrare negli appartamenti. Tutto questo insieme di vicende contribuiscono a far crescere in questa città un humus mafioso reale, vero, romano o è soltanto un aggancio, un modo per cucire protezioni, know-how per ottimizzare le loro attività criminali?
  Vengo a una seconda questione. Ha fatto un cenno a una questione che mi sta molto a cuore, perché io ho presentato una proposta di legge di modifica degli articoli 88 e 89 del codice penale, la famosa seminfermità mentale, introducendo una forte restrizione su questo tema e introducendo la componente psicotica. Solo in presenza di una sindrome psicotica accertata si può procedere su questa strada. Ritiene che sia utile andare avanti su questa strada?
  Passo all'ultima questione. Oggi ho letto sull'Unità un articolo a firma di Piero Sansonetti che sinceramente mi ha molto turbato perché in questo articolo, sulla base di alcune novità che affluiscono da indagini siciliane, si evidenzia una profonda novità nell'approccio con la storia dell'antimafia degli ultimi trent'anni.
  Si adombra in questo articolo una forte novità, cioè che molte delle vicende e delle cose che si sono credute in questi anni erano sostanzialmente false. Leggo testualmente: «Il processo contro Mori e Dell'Utri oggettivamente è servito solo a portare le indagini lontane dalla verità, mettendo sotto accusa proprio coloro che avevano tentato di assestare un colpo terribile alla mafia, guidati da Falcone e Borsellino. Pezzi consistenti della magistratura di Palermo misero i bastoni tra le ruote del piccolo gruppo che combatteva davvero la mafia e hanno facilitato l'uccisione di Falcone e Borsellino e poi l'incriminazione di Mori».Pag. 49
  Volevo sapere se avevate avuto l'opportunità di leggere questo articolo che fa un'analisi profonda, dettagliata e inquietante e se c'era un vostro parere.
  Grazie.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Quest'ultima parte non riguarda esattamente Roma, se non in termini generali. Nella misura del possibile, non mi sottrarrò, anche in questo caso.
  Cominciamo dalla prima domanda. La mafia a Roma c'è e c'è anche la mafia romana. Credo che sia stato chiarito questo dai riferimenti puntuali che ha fatto la collega Calò, citando addirittura gli estremi di alcune sentenze che sono sentenze definitive, sentenze della Cassazione, che hanno riconosciuto, nei confronti di alcune organizzazioni criminali, la natura mafiosa, quindi 416-bis secco, o hanno riconosciuto comunque l'utilizzazione del metodo mafioso, quello che una volta si chiamava articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 e che oggi si chiama articolo 416-bis punto 1.
  Agevolazione nei confronti della mafia o utilizzazione del metodo mafioso? Ci sono sentenze definitive su questo punto che determinano anche una certa incredulità che talora può apparire giustificata. Roma è la sede della Presidenza della Repubblica, del Parlamento, c'è pure il Vaticano, come è possibile? Purtroppo è possibile, proprio perché, come veniva ricordato prima dalla collega, c'è contemporaneamente un'offerta di disponibilità che è quasi infinita, che comunque è enorme.
  Dopodiché, c'è anche l'aspetto joint venture che lei indicava. Anche questo è stato ricordato. Mica campano ognuno per i fatti loro senza salutarsi se si incontrano. Anzi, cercano di mettere a sistema le loro capacità e il sistema è naturalmente Pag. 50finalizzato a produrre ulteriori effetti dannosi per la collettività e favorevoli a chi ne fa parte. Quindi, c'è sia l'uno sia l'altro.
  L'aspetto della infermità mentale è un tema serissimo, importantissimo. Al di là della soluzione che può essere data dal punto di vista legislativo, qui, se mi consente, mi gioco un paio di cognizioni tecniche che derivano dall'aver avuto a che fare con le difficoltà che mi hanno portato, da procuratore di Palermo, a investire gli organi governativi ai massimi livelli diversi anni addietro, proprio perché si pose il problema dell'assoluta insufficienza in Sicilia che già era messa molto meglio di altre regioni, una volta tanto, delle cosiddette «REMS», cioè quelle residenze dove devono essere alloggiati i soggetti che hanno problemi di natura psichiatrica, diciamo così. Lì devi decidere, tanto per essere chiari, da pubblico ministero, perché l'esecuzione delle sentenze definitive la cura il pubblico ministero, se mettere o lasciare in carcere il soggetto dichiaratamente affetto da disturbi di quel tipo, o se lasciarlo libero, perché i posti delle REMS generalmente non sono sufficienti.
  Questo è un problema nazionale. Il tema c'è, perché ti assumi la responsabilità di lasciarlo in carcere o ti assumi la responsabilità di lasciarlo libero perché non lo puoi tenere in carcere non sapendo che cosa potrà fare, se magari potrà cadere in una recidiva non sappiamo di che natura. Parliamo spesso di soggetti che hanno riportato condanne o sono sotto procedimento penale per reati contro la persona, per reati violenti.
  È un problema serissimo, importantissimo che a mio personale avviso passa per l'assoluta necessità che questo tipo di malattie vengano tenute in considerazione, prese in considerazione dall'autorità giudiziaria in qualunque delle fasi processuali si trovi la vicenda che riguarda un determinato soggetto, ma soprattutto che si risolva.Pag. 51
  È stata affidata la competenza alle regioni, vero, ma perché è stata legata al sistema sanitario nazionale. Però, ci troviamo nella situazione in cui ci sono alcune regioni – la maggior parte, purtroppo – in cui i posti nelle REMS sono assolutamente insufficienti. Lì ci troviamo in gravissima difficoltà tutti i magistrati d'Italia. Non se ne parla. L'argomento è estraneo alla discussione, anche al nostro interno. Forse ne parlano fra di loro pochi addetti ai lavori in qualche mailing list.
  Ricordo che a me capitò di porre il problema, perché in Sicilia i posti dovevano essere ottanta ed erano solo quaranta e quei quaranta erano pieni e si riusciva ad ottenere un posto in una REMS a volte pregando a titolo personale il direttore di avvisarci appena si liberava un posto, in modo tale che si potesse intervenire, e come lo faceva un ufficio lo facevano anche gli altri.
  Il problema è serissimo. Bisogna che venga messo sul tavolo, affrontato sia sul versante penalistico, sia sul versante processuale, sia sul versante organizzativo e sanitario, che è fondamentale, tenendo conto che le REMS non sono degli istituti di reclusione.
  Quindi, si assegna un soggetto ad una REMS il quale poi la sera può uscire a fare una passeggiata, e va benissimo, se lo può fare. Se non lo può fare, bisogna creare un qualche sistema di controllo, anche sanitario, che ci possa dire come organizzare la situazione, come risolverla.
  Perché ci dobbiamo preoccupare, e ci preoccupiamo, giustamente, della rieducazione e riabilitazione costituzionalmente prevista del condannato semplice e non anche della riabilitazione, anche sanitaria, del condannato affetto da quelle patologie?
  Lei credo abbia posto un tema davvero importante, davvero di grande rilevanza. Magari, per il tipo di raffronto e paragone Pag. 52che facevamo prima con qualche vicenda che ha riguardato dei soggetti che con altre forme naturalmente ne hanno approfittato, in fondo non è neanche troppo distante dagli argomenti di cui abbiamo parlato oggi. Un po' più distante, se me lo consente, lo è quello, non direi neanche «riepilogato», ma «riportato» nell'articolo di Piero Sansonetti di stamattina, che ovviamente anch'io ho letto. Dico «riportato» e non «riepilogato» perché siamo ben lontani dal riepilogo. Io ho già difficoltà a parlare dei miei procedimenti. Figuriamoci se posso parlare dei procedimenti di altri uffici, di cui nulla conosco, se non quanto è stato riportato dai giornali, e su cui, ovviamente, escludo di poter esprimere valutazioni di qualunque genere.
  Teniamo conto che, in questo momento, stando a ciò che viene riportato dai giornali, siamo di fronte all'iscrizione nel registro delle notizie di reato, oltre che di un generale della Guardia di finanza, di un ex magistrato, adesso in pensione, per il quale open source Maria Falcone si è espressa in termini assolutamente favorevoli che tuttavia, ovviamente, è sottoposto a indagine da parte della procura competente, che è la procura di Caltanissetta.
  Ecco perché dicevo che Sansonetti «riporta» quello che per ora sta succedendo. Per il riepilogo temo ci vorrà un po' più di tempo. Non compete, naturalmente, a me fare valutazioni di questo genere. Peraltro, voi avete pure audito il presidente Natoli, quindi avete anche ricevuto la sua versione, oltre a quella dell'avvocato Trizzino, naturalmente.
  Mi limito a dire che questa ricerca delle cause della morte di Paolo Borsellino assomiglia tanto a ciò che una volta mi disse un pilota di aereo a proposito di un evento nefasto che si era verificato, una strage aerea. Io chiesi: «Lei che ne pensa?», ci trovammo a chiacchierare, e lui mi rispose: «Guardi, se un aereo cade, non cade mai per una sola ragione o per una sola Pag. 53causa». Fatte le debite proporzioni e senza voler, ovviamente, fare paragoni blasfemi, la mia personale impressione è che anche un magistrato difficilmente viene ucciso solo per una ragione. Consideriamo che stiamo parlando di magistrati assolutamente particolari, per le ragioni – che sono quelle riportate dall'articolo odierno – che legano in particolar modo l'uno all'altro, Borsellino a Falcone. Borsellino e Falcone erano due causali viventi, tant'è che entrambi sapevano di andare incontro a quel tipo di fine della loro vita, tant'è che tutti i collaboratori di giustizia, che all'epoca erano in attività come mafiosi, ci dicono: «Lo sapevamo tutti. Era chiaro che, prima o poi, li avremmo dovuti uccidere, prima l'uno e poi l'altro». Ecco perché parlo di «causali viventi». L'una, l'altra o l'altra ancora, spetterà all'autorità giudiziaria competente pronunziarsi.

  PRESIDENTE. I lavori di questa Commissione, procuratore, riguardano anche questo tema. Dopo tanti anni le concause dovrebbero essere note.
  Passiamo all'ultimo intervento prima del passaggio in seduta segreta.

  VINCENZA RANDO. Signor presidente, ringrazio il procuratore Lo Voi e la procuratrice Calò che all'inizio della sua relazione ha parlato di complessità. Grazie per aver raccontato e fornito elementi per spiegare bene la complessità che abbiamo ben compreso.
  Io mi voglio solo riferire ad alcune cose, perché a molte avete già risposto.
  Le mafie tradizionali, sia quelle autoctone sia quelle che adottano un metodo mafioso, hanno una necessità, l'avete detto in tutti i modi, ossia quella di riciclare e reinvestire il denaro. Questa è la loro finalità. Avete spiegato bene che la relazione con la zona grigia è per loro importante, perché riciclare Pag. 54significa anche sapere, competenze, professioni. Io volevo ragionare su un altro elemento. Come diceva prima il procuratore, il tema del riciclaggio, dell'infiltrazione nel tessuto economico-finanziario determina una concorrenza sleale, determina sicuramente un danneggiamento dell'economia legale. A tal proposito, mi sorge una domanda. Il livello di infiltrazione delle mafie nel tessuto economico-finanziario nella Capitale è – l'avete detto, ma lo abbiamo letto – consistente, lo vediamo anche attraverso gli ingenti sequestri e confische di beni che sono state fatte. L'imprenditoria legale riesce a percepire il danno che riceve? In quelli che chiamiamo «reati economici» è semplicemente vittima o è complice? Il denaro riciclato, per essere immesso nell'economia legale, deve trovare spazio per potersi inserire. Avete rilevanze che il mondo dell'impresa legale denuncia anche altri reati come estorsioni, usura? Comprende il danno enorme che si fa all'economia sana? Ci sono strumenti – oggi abbiamo quello dei testimoni di giustizia, se denunciano; chiaramente sono diversi dai collaboratori – ancora più importanti per poter dare a chi denuncia dei vantaggi? Questo è un aspetto importante.
  Noi parliamo spesso dei professionisti, della zona grigia, ma non parliamo molto, rispetto al riciclaggio, della reazione dell'impresa legale rispetto al fatto di vedersi invadere. Chiaramente, un'impresa legale viene danneggiata nel momento in cui c'è un'impresa concorrente che ha altre finalità.
  Molte domande sono state già fatte. C'è questa meritoria e importante indagine che è stata fatta, dalla quale emerge che i figli di alcuni personaggi – Enrico Nicoletti, Michele Senese – hanno assunto, nel piano della bella vita, un ruolo importante. Secondo voi, è in corso un passaggio generazionale nell'organigramma delle mafie romane in questo senso? Sono due potenti, figli di famiglie di potenti mafiosi.Pag. 55
  Rispetto, invece, alla misura cautelare a carico del sindaco di Aprilia e della vasta pluralità di indagati che sono emersi, chiaramente sempre nei limiti del segreto investigativo, si tratta di fatti che risalgono al 2018, al 2021, avete evidenze di modalità ancora diverse della penetrazione delle organizzazioni mafiose nell'amministrazione locale del Lazio? Penso al rapporto della criminalità organizzata rispetto agli amministratori. Qual è la forza? Si tratta di essere vittime o di essere partecipi, di essere deboli? Grazie.

  FRANCESCO LO VOI, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. La ringrazio.
  Mi consente di affidare questi temi alla collega Calò? Peraltro, come avete visto, per alcuni in particolare, se n'è specificamente occupata e riuscirà, senza violare il segreto istruttorio, come farei io, a dare le risposte corrette a quello che lei ha chiesto.
  Grazie.

  ILARIA CALÒ, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Per quanto riguarda il tema degli imprenditori, prima ho fatto un cenno al fatto che tra le due categorie nette ed estreme dell'imprenditore vittima e dell'imprenditore colluso ci sono mille sfumature in mezzo. In realtà, la risposta è questa. L'imprenditore vittima ha spesso in sé anche una quota di ricerca di interesse, di vantaggio. Viceversa, anche l'imprenditore colluso difficilmente si sente del tutto sullo stesso piano con il mafioso, c'è un pochino di intimidazione.
  Detto questo, ci sono queste infinite sfumature, che sono più sociologiche che giuridiche. Invece, dal punto di vista giuridico, queste diverse situazioni, a seconda di quello che emerge, le inquadriamo diversamente.
  Per esempio, nel caso in cui l'imprenditore – caso da noi frequentissimo, forse è la norma più utilizzata – si presti alla Pag. 56commissione del reato di attribuzione fittizia di valori, cioè si presti a fare, sostanzialmente, da prestanome, questo è un reato che noi contestiamo moltissimo e che ha avuto riscontri positivi in tribunale negli ultimi anni. Lo strumento dell'articolo 512-bis e dell'articolo 416-bis, punto 1, quindi l'attribuzione fittizia di valori finalizzata a favorire l'una o l'altra organizzazione, per noi è uno strumento molto efficace. In questo caso, noi contestiamo questo reato quando l'imprenditore consapevolmente si presta, sostanzialmente, a prestare il proprio nome per consentire all'organizzazione mafiosa di proseguire le proprie attività. Questo quando lo fa una volta.
  Se, però, l'imprenditore questo lo fa con una frequenza tale da rafforzare l'organizzazione, allora, in questo caso, noi contestiamo il ruolo di concorso esterno nell'organizzazione mafiosa. Se, invece, l'imprenditore fa proprio parte in pianta stabile, come componente effettivo, dell'organizzazione, allora contestiamo la partecipazione in associazione mafiosa. Cosa che è capitata con una certa frequenza.
  Per esempio, nel caso della misura eseguita l'altro giorno, relativa all'associazione mafiosa, a nostro avviso autoctona, che si dovrebbe essere costituita ad Aprilia, lì due imprenditori rispondono di partecipazione in associazione mafiosa, quindi avrebbero messo a disposizione stabilmente, proprio come soci, diciamo così, la propria attività. Questo per quanto riguarda gli imprenditori.
  L'altra domanda riguardava i figli d'arte. In questo senso, secondo me, non si può dire in linea di massima che ci sia un passaggio generazionale. Anzi, abbiamo notato che le età, per certi versi, corrispondono a quelle che vediamo noi nei nostri incarichi manageriali o di alta direzione amministrativa. Le fasce d'età sono le stesse. C'è la persona anziana magari già appartenente alla banda della Magliana – questo per riprenderePag. 57 un altro tema che è stato toccato –, che ha un prestigio personale molto elevato, c'è una fascia d'età che potremmo definire «dirigenziale» e poi c'è una fascia d'età di soggetti in progress, ma ancora non si può dire che ci sia stato un passaggio generazionale. A seconda delle diverse situazioni e delle diverse organizzazioni criminali nei cui confronti noi indaghiamo, vediamo che ci sono genitori e figli con ruoli diversi. Secondo me, questo non si può dire in generale.

  PRESIDENTE. Grazie mille.
  Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora il procuratore Lo Voi e il procuratore Calò e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 17.40.