XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULL'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 E LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 4 di Mercoledì 22 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Onori Federica , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RISVOLTI GEOPOLITICI CONNESSI ALL'APPROVVIGIONAMENTO DELLE COSIDDETTE TERRE RARE
Onori Federica , Presidente ... 3 
Raimondi Pier Paolo , rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 3 
Onori Federica , Presidente ... 6 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 6 
Raimondi Pier Paolo , rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 7 
Onori Federica , Presidente ... 7 
Raimondi Pier Paolo , rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 8 
Onori Federica , Presidente ... 8 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata da Pier Paolo Raimondi, rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 9

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FEDERICA ONORI

  La seduta comincia alle 12.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui risvolti geopolitici connessi all'approvvigionamento delle cosiddette terre rare, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio, quindi, per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori, il dottor Pier Paolo Raimondi, ricercatore nel programma «Energia, clima e risorse» dell'Istituto Affari Internazionali. I suoi principali temi di ricerca sono legati ai mercati energetici e alla geopolitica e geoeconomica energetica nelle principali aree geografiche, quali Europa, Medio Oriente, Africa e area ex sovietica.
  Considerati i tempi stretti dell'audizione do subito la parola al dottor Raimondi affinché svolga il suo intervento. Prego.

  PIER PAOLO RAIMONDI, rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Grazie presidente. La rilevanza delle terre rare e dei minerali critici è conseguenza della trasformazione che stiamo vivendo e dei target che ci siamo posti dal punto di vista climatico.
  Qui vedete un grafico (slide n. 1), sulla sinistra, che mostra l'idea dell'evoluzione della fornitura di energia a livello mondiale e in uno scenario net zero; vediamo il crollo delle fonti fossili e la crescita delle rinnovabili, l'elettrificazione dunque. Questo, però, comporterà un aumento della domanda di minerali critici. Infatti, con la trasformazione del sistema energetico, si passerà da un sistema basato sulle fonti fossili ad un sistema basato sui minerali in generale. Vedete (slide n. 1) la necessità e la quantità di minerali che devono essere utilizzati per produrre tecnologie verdi.
  Ovviamente, questo tema è diventato centrale dal punto di vista geopolitico, perché lo sviluppo di una fornitura adeguata di minerali critici comporta dei rischi geopolitici, ossia che questi minerali hanno un'alta concentrazione geografica rispetto ai combustibili fossili. Principalmente, i tre più grandi produttori di minerali detengono circa il 70 per cento della produzione globale. Questa concentrazione è ancora più elevata se guardiamo l'intera catena del valore, ossia la raffinazione e la lavorazione di questi minerali e, nel grafico a destra (slide n. 3), vedete il ruolo della Cina.
  Per quanto riguarda il caso delle terre rare, queste terre rispondono alle condizioni per lo status di materia prima critica e rappresentano le maggiori criticità per l'importanza economica e il rischio di fornitura. Infatti, che cosa sono le terre rare? Sono diciassette elementi fondamentali, difficilmente sostituibili per alcune tecnologie e spesso vengono utilizzate insieme ad altri Pag. 4materiali. Vedete (slide n. 5) la differenza tra terre rare leggere e terre rare pesanti, ma questi elementi vengono utilizzati su una vasta gamma di tecnologie.
  Rispetto alla transizione energetica, questi elementi vengono utilizzati principalmente per le turbine eoliche e le batterie, mentre sono decisivi per alcune tecnologie, ad esempio militari e tecnologiche.
  La distribuzione delle terre rare è un concetto importante se vogliamo comprendere gli sviluppi geopolitici. In realtà, le terre rare non sono rare in sé, non sono scarse a livello del pianeta, ma la loro rarità è dettata dalla difficile identificazione, oltre che dalla complessità del processo di estrazione e lavorazione del minerale puro a costi accettabili. La produzione di questi elementi, si vede (slide n. 8) lo shift che c'è stato nel corso degli anni da parte dei maggiori produttori. Fino agli anni '80 gli Stati Uniti principalmente erano il più grande produttore di terre rare al mondo. Poi una legislazione sempre più stringente – dal punto di vista ambientale – dell'utilizzo delle risorse ha comportato un cambio di produzione verso la Cina, e la Cina negli anni 2000 è riuscita quasi a raggiungere il monopolio intero della produzione.
  Quali sono le caratteristiche del successo cinese rispetto a queste terre rare? La Cina detiene solo il 34 per cento delle riserve, che sono una quota significativa, ma non così rilevante. Tuttavia, detiene circa il 60 per cento dell'estrazione ma soprattutto, come abbiamo visto nel grafico precedente (slide n. 9), detiene il 93 per cento della lavorazione di terre rare e il 94 per cento dei magneti permanenti, che sono il prodotto finito che poi viene applicato nelle tecnologie dei diversi settori. Quali sono le caratteristiche di questo successo? La Cina ha potuto guadagnare questa posizione di vantaggio strategico grazie a un pensiero strategico. Pensiamo solo che negli anni novanta Deng Xiaoping disse: «Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare»; già allora la Cina aveva compreso l'importanza di questi minerali.
  Grazie a una politica industriale, attraverso sussidi e l'utilizzo di aziende statali, infatti, la Cina è riuscita a sviluppare una fortissima capacità di estrazione, ma anche raffinazione di questi elementi, e minori restrizioni ambientali. Infatti, uno dei contributi importanti della produzione cinese di terre rare proviene da attività minerarie illegali. Questo pian piano ha permesso alla Cina di consolidare dei campioni di questa produzione e raffinazione e nel 2022 la Cina ha raggruppato diverse compagnie, creando un'unica compagnia, che sarà la più grande compagnia al mondo di terre rare.
  Negli anni '90 e fino agli anni 2000 si è concentrata a sviluppare principalmente il mercato interno e poi, nella seconda parte degli anni 2000, si è mossa verso un contesto internazionale, assicurandosi licenze in giro per il mondo.
  Il campanello d'allarme relativo alle terre rare è avvenuto nel 2010; questo tema dei risvolti geopolitici legato alle terre rare, quindi, non è nuovo, perché proprio la Cina ha mostrato come è disposta ad utilizzare questi elementi come arma e nel 2010 ha interrotto le sue esportazioni verso il Giappone, in seguito ad una disputa politica legata alle isole Senkaku. Questo ha provocato un'impennata dei prezzi e ha sollevato una nuova dimensione della sicurezza energetico-economica. Tuttavia, vediamo che da allora questa azione ha incentivato una diversificazione di forniture, quindi vedete (slide n. 10) il crollo della percentuale di produzione di terre rare da parte della Cina e questo ha permesso vari investimenti in diversificazione.
  L'unica cosa è che ci sono ostacoli per una diversificazione vera e propria, oltre che sicura. Oggi, rispetto al 2010, viviamo in un contesto geopolitico completamente diverso. Innanzitutto, c'è stato un cambio di paradigma, di priorità: si è passati dall'efficienza economica alla sicurezza economica. Perché la Cina è riuscita anche a sviluppare questi elementi, la produzione e la raffinazione? Perché era la soluzione più economica che avevamo.
  Oggi questo non è più il paradigma in cui operiamo e quindi la sicurezza economica riceve una nuova rilevanza da parte dei legislatori e dei Governi in giro per il Pag. 5mondo. Inoltre, viviamo in una crescente rivalità Stati Uniti-Cina, quindi anche per l'Europa sarà importante capire come posizionarsi all'interno di questa rivalità. Abbiamo visto come già nel 2010 – ma anche negli ultimi anni – c'è un crescente utilizzo del controllo delle esportazioni e questa competizione, per le risorse necessarie alla trasformazione industriale, è sempre più accesa anche grazie ai target che ci siamo posti a livello ambientale.
  Una cosa importante da comprendere sono i rischi legati alla sicurezza energetica, legati alle terre rare e ai minerali critici in generale. Questi rischi sono diversi rispetto a quelli delle fonti fossili. Se ci sono interruzioni di forniture di fonti fossili il sistema energetico odierno non funziona più, mentre se c'è un'interruzione di minerali o di tecnologie o di prodotti semilavorati questo ritarda solo la transizione industriale, energetica e digitale, aumentando i costi ovviamente per i Governi, le compagnie e i cittadini.
  Per sviluppare delle catene del valore sicure i Paesi devono affrontare numerose sfide relative principalmente ai prezzi, ossia la volatilità dei prezzi potrebbe rallentare la velocità della transizione energetica e industriale. Abbiamo visto come l'interruzione delle esportazioni da parte della Cina, nel 2010, ha causato un aumento dei prezzi, ma la Cina potrebbe anche utilizzare il suo vantaggio competitivo per inondare il mercato e deprezzare questi elementi. Questo ovviamente avrebbe un impatto sugli investimenti di diversificazione che, come le industrie dell'estrazione, seguono ondate cicliche.
  Ci sono problemi politici, perché nella diversificazione delle nostre forniture dobbiamo tener conto della vulnerabilità strategica, dell'instabilità politica di alcuni attori, anche di un nazionalismo legato alle risorse. Vediamo alcuni attori che sempre più considerano l'utilizzo di questi minerali in un'ottica nazionalistica; e poi ci sono anche problemi ambientali e sociali perché, come dicevamo, le attività estrattive e di lavorazione delle terre rare comportano rischi ambientali (hanno un impatto ambientale molto elevato) e anche sociali, pensiamo al lavoro minorile nelle miniere di alcuni Paesi in via di sviluppo.
  In sintesi, un'altra sfida è la questione dei tempi, perché l'attivazione di attività minerarie richiede tempi lunghi, circa dieci-quindici anni. Questo, quindi, comporta una presa di coscienza nell'oggi per poter arrivare ad una diversificazione tra dieci-quindici anni - idealmente - e questo un po' contrasta con la necessità di attuare le politiche climatiche entro un determinato periodo di tempo.
  Le conseguenze per l'Unione europea e l'Italia più nello specifico: l'Europa ha posto degli obiettivi molto ambiziosi, sempre più stringenti nel corso degli anni. Questo avrà un impatto – come abbiamo visto – su scala globale sulla domanda europea di questi elementi. Vedete (slide n. 14) solo quanto è previsto l'aumento della domanda di disprosio e neodimio, che sono materiali cruciali di magneti permanenti; quindi aumenterà circa 4-5 volte entro il 2030 e fino a 11-13 volte per il disprosio. Però, come constatiamo, noi dipendiamo interamente dalla Cina, quindi questa eccessiva dipendenza genera una possibile incapacità sia di raggiungere gli obiettivi climatici, ma soprattutto l'impossibilità di sviluppare capacità industriale in maniera sicura.
  Per questo motivo, proprio perché siamo entrati in un nuovo contesto geopolitico, la Commissione europea ha cercato di rispondere al nuovo contesto con il Critical Raw Material Act, che ha posto importanti e ambiziosi target, ossia: il 10 per cento di questi minerali devono essere estratti all'interno dell'Unione europea entro il 2030, il 40 per cento per la raffinazione e il 15 per cento dal riciclo e la diversificazione dovrebbe garantire che nessun singolo Paese terzo fornisca oltre il 65 per cento del consumo di ciascuna materia prima strategica.
  Quindi, se pensiamo ai dati che abbiamo visto prima rispetto al ruolo cinese e alla questione dei tempi, capiamo che questi obiettivi sono molto ambiziosi, anche in un'ottica securitaria. Ci sono stati positivi sviluppi, pensiamo ad esempio alla scoperta di depositi in Svezia, però questo è previsto che aumenti la percentuale di Pag. 6riserve dell'Unione europea dall'1 al 2 per cento globale, quindi comunque ci muoviamo in un contesto molto limitato.
  Abbiamo anche la questione della nostra legislazione legata all'ambiente e quindi alcuni tipi di azioni forse sono minati da queste legislazione. È dunque necessario dare grande forza e grande enfasi innanzitutto a una conoscenza del nostro patrimonio minerario interno, quindi una mappatura è necessaria per capire dove si può fare. Dare grande enfasi soprattutto al riciclo, che può creare innovazione, ricerca e sviluppo, ma comporta anche leggi legate all'utilizzo dei rifiuti, la gestione dei rifiuti, l'esportazione dei rifiuti tecnologici, che comunque saranno in aumento, e soprattutto anche l'idea dello stoccaggio. Abbiamo visto con la crisi odierna relativa al gas l'importanza dello stoccaggio proprio per quello che dicevo prima, cioè che le interruzioni di minerali non fanno crollare il sistema energetico, ma rallentano. Come Italia, ma anche come Europa, dovremmo sempre di più lavorare per ampliare lo stoccaggio di questi minerali in modo da far fronte a possibili interruzioni.
  Per concludere, quindi, direi che le azioni di diversificazione sono necessarie, ma non si devono limitare al settore upstream, cioè all'estrazione, ma all'intera catena del valore perché la Cina detiene una vantaggio competitivo proprio perché è su tutta la catena del valore e questo è fondamentale. Inoltre, dobbiamo, come dicevo, utilizzare altre tecniche, quindi il riciclo, l'innovazione tecnologica e lo stoccaggio, e poi comprendere che nessun Paese può ambire all'autosufficienza, neanche la Cina è autosufficiente, ma ha incrementato i suoi import di terre rare, nonostante la sua posizione, proprio perché deve anch'essa sviluppare la propria industria e raggiungere i propri target climatici.
  Quindi la creazione di partnership e cooperazioni rimangono necessarie, la difficoltà è trovare un equilibrio e comprendere che nel breve periodo non c'è una soluzione immediata e, soprattutto, che un aumento della rilevanza della sicurezza energetica ed economica in generale comporta un aumento dei costi. Quindi sarà fondamentale anche per l'Europa e l'Italia capire chi e come si potranno coprire questi costi, perché questo è un effetto diretto della nostra intenzione di abbassare il rischio. Quindi moltiplicare le catene del valore e questo comporterà un aumento dei costi, che sarà decisivo.
  Mi fermo qui per eventuali domande e vi ringrazio per l'ospitalità.

  PRESIDENTE. Grazie mille, dottor Raimondi, per la sua esposizione. Chiedo a colleghe e colleghi, presenti o collegati da remoto, se intendano porre domande o svolgere osservazioni.
  Vicepresidente Formentini, prego.

  PAOLO FORMENTINI. Grazie mille, presidente, e grazie per l'esposizione. Se ho ben capito, ci è stato detto, tra le righe, che sarà impossibile ad oggi, nelle condizioni attuali, per i Paesi dell'Unione europea rispettare il calendario che ci siamo dati per la transizione energetica, visti anche i tempi per la diversificazione e i tempi lunghi per creare canali di approvvigionamento alternativi.
  Quindi, già oggi possiamo sapere che arriveremo in ritardo? In quanto tempo poi, sullo stoccaggio, per non essere sotto ricatto cinese, potremo avere...Si parla tanto di autonomia strategica europea, ma qui siamo proprio alle basi, se non riusciamo nemmeno ad avere dei canali di approvvigionamento sicuri, succederà domani o sta già succedendo oggi, quello che abbiamo visto succedere allo scoppio della guerra in Ucraina con il gas e il petrolio che provenivano dalla Russia.
  Ancora, su questo non si riflette mai: come è stato possibile – certo era diverso lo scenario nei confronti della Cina – questo fallimento totale di tutto l'Occidente nell'approvvigionamento, come si è arrivati ad avere il 60 per cento dell'estrazione delle terre rare in mano cinese e addirittura il 93 per cento della lavorazione delle stesse? Perché non è servita da lezione la crisi con il Giappone del 2010? Crisi che, peraltro, sulle Senkaku perdura ancora oggi. Dovremo riconoscere il dominio della Cina su Taiwan e su tutto il Mar Cinese meridionale per non essere sottoposti a ricatto?Pag. 7
  Ecco questi sono degli interrogativi enormi, ma che pongo. Quindi come è meglio procedere – poi ascolterò la risposta sulla transizione energetica – a livello strategico? Diversificare, creare dei canali di approvvigionamento sicuri, meglio se all'interno dell'Occidente? Ulteriore problema che pongo.
  Mi rendo conto che sto chiedendo tanto, però le nostre stesse leggi proprio a favore dell'ambiente e della transizione verde pongono enormi problemi sulle estrazioni delle terre rare, che sappiamo non essere poco inquinante, per usare un eufemismo. Quindi saremo incastrati dalla nostra stessa legislazione per avere un ambiente migliore?

  PIER PAOLO RAIMONDI, rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Come giustamente faceva notare, sono domande molto complesse. Come siamo finiti in questa situazione? Siamo finiti in questa situazione perché era la soluzione più economica ed era la soluzione più efficiente. Questa soluzione ha portato grandi benefici, per i consumatori, per i Governi; l'unica cosa è che non si è tenuto conto che l'interdipendenza ovviamente è importante e non ci si può immaginare soli e chiusi rispetto al mondo, ma si deve fare una valutazione strategica delle dipendenze e delle interdipendenze che creiamo.
  Quindi, quello che ho cercato di esporre è stato che non ci può essere autosufficienza, ci dovrà essere comunque una cooperazione anche con la Cina e ci sono gli interessi da parte della Cina. Tuttavia, dobbiamo costruire delle politiche che permettano un bilanciamento, cioè non creare una sovradipendenza. Quindi, come siamo finiti qui? Principalmente perché ci conveniva. Oggi abbiamo capito – anche con la crisi del COVID, la crisi energetica, queste molteplici crisi – che dipendere eccessivamente senza un piano B è molto rischioso, soprattutto con alcuni Paesi.
  In un certo senso, la crisi del 2010 è già servita perché, come facevo vedere, alcuni progetti si sono sviluppati. Il tema è che a livello di economia, efficienza economica, alcuni progetti non sono fattibili. La necessità è che anche i Governi comprendano quali sono i progetti decisivi e che investano in questi progetti nonostante i costi elevati. Quello che dicevo prima, la sicurezza economica comporta un aumento di costi indipendentemente. I Governi devono sapere e avere un una strategia olistica anche, per capire quali progetti fare e non fare.
  Rispetto ai target, e comunque le legislazioni ambientali: di queste legislazioni ne abbiamo giovato a livello ambientale, sicuramente. Però, anche qui, la sfida per i Paesi sarà trovare un equilibrio tra sicurezza ambientale e sicurezza energetica, industriale e così via. Dovremo ovviamente rivedere alcuni concetti anche legati agli investimenti, pensiamo a ESG (Environmental, Social, Governance) e così via, ma possiamo anche creare partnership cercando di promuovere alcuni princìpi sulla tutela dell'ambiente o tutela sociale dei lavoratori, pensiamo alle partnership che vogliamo creare con i Paesi africani. Non dobbiamo allora dire: «questi principi li dobbiamo abbandonare totalmente», mentre noi possiamo creare valore con altri Paesi - Paesi africani e così via - cercando di creare sviluppo economico, cercando di porre anche degli standard che permettano a questi Paesi di sviluppare, in un certo senso, una catena del valore il più possibile sostenibile.
  Ovviamente non ci può essere impatto zero, qualsiasi attività non può avere un impatto zero a mio avviso, quindi ci saranno conseguenze, ma non per questo dobbiamo ritornare indietro marcatamente e abbandonare tutto ciò che è stato fatto di buono.
  A mio avviso, ci deve essere una riconsiderazione di alcuni princìpi.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Raimondi. Anch'io ho una riflessione e un quesito da rivolgerle.
  La riflessione è la seguente: molto interessante questa considerazione riguardo agli obiettivi che i Governi si pongono, che non sono necessariamente uno in alternativa all'altro, ma sono – nell'arco dei periodi storici – obiettivi che devono integrarsi, come diceva. Non c'è da scegliere un obiettivo alla volta e, in base alle crisi che stiamo vivendo, scegliere l'obiettivo che sembra il Pag. 8migliore. La sfida è proprio, probabilmente, quella di integrare gli obiettivi prioritari in modo da non perdere quello che si è conquistato fino a quel momento. Ricordandoci che sono le crisi le migliori insegnanti, nel senso che è in occasione delle crisi che si percepisce una certa urgenza nell'imparare e magari raddrizzare la rotta.
  La mia domanda riguarda appunto una possibile strategia di recupero anche di questo ritardo, o comunque svantaggio competitivo, che al momento sicuramente abbiamo, sia come Paese che come Unione. Mi chiedevo quanto la strategia italiana debba necessariamente rifarsi ad una strategia europea – in questo senso, quindi, anche demandare la responsabilità di trovare una strategia di compensazione – e qual è lo spazio di manovra, il margine che il nostro Paese può avere anche per iniziative da condurre a livello bilaterale o multilaterale, non aggirando l'Europa o sostituendosi all'Europa, ma in aggiunta, sempre nell'ottica di una integrazione degli obiettivi, delle mosse e delle strategie.
  L'ultima, a livello di rischio geopolitico, anche se qui forse non è una domanda troppo tecnica. Qual è l'urgenza, secondo Lei, di trovare delle strategie di compensazione? Per dirla in parole povere, quanto possiamo permetterci di rimanere nello status quo, nello stato attuale delle cose e quanto invece urge riflettere, pensare e trovare soluzioni? Grazie.

  PIER PAOLO RAIMONDI, rappresentante dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Rispetto alla strategia italiana ed europea: a mio avviso, l'Italia si muove all'interno del contesto europeo, essendo Stato membro. Penso che l'Italia possa giocare un ruolo anche per condurre l'Europa su alcuni settori, o comunque creare una strategia. Anzi, l'Italia dovrebbe ingaggiarsi maggiormente con l'Europa. In questo vediamo alcune iniziative, ad esempio a livello Italia-Francia-Germania su questo tema. L'Italia, secondo me, ha degli assets che può utilizzare, soprattutto in alcuni contesti, ossia il contesto africano, dove l'Italia è ben vista; quindi, anche in quest'ottica l'Italia potrebbe aiutare l'Europa a creare una strategia, grazie ai suoi buoni rapporti con alcuni Paesi africani. In questo senso, l'Italia può anche accompagnare l'Europa e mettere a servizio i suoi vantaggi per l'Europa. Ovviamente, avendo in mente che si deve sviluppare un'industria nazionale e così via, questo non può essere tralasciato.
  Sul rischio geopolitico di rimanere o meno in questa situazione, il rischio dipende molto dall'evoluzione geopolitica. Cioè, se la Cina e la rivalità tra Cina e Stati Uniti si intensificherà questo sarà maggiormente un rischio. Quindi noi dobbiamo anche capire come comportarci rispetto a questa rivalità tra Stati Uniti e Cina.
  A mio avviso, comunque, dobbiamo avere una strategia sì di diversificazione e di sicurezza, ma dobbiamo anche creare una strategia di cooperazione, o comunque creare argini per la cooperazione con la Cina, perché non possiamo pensare di escludere interamente questo Paese, proprio per la centralità che ha per tutte le catene del valore, centralità economica, politica e così via.
  Quindi non possiamo rimanere nello status quo – ma non lo vogliamo neanche – mi sembra di notare, dai diversi Governi, che questo status quo non va più bene. L'idea è trovare compensazione con la Cina, ma anche con altri Paesi.

  PRESIDENTE. Ancora un ringraziamento al dottor Raimondi per il suo contributo e per la documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). In assenza di ulteriori interventi, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.05.

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