XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA PER L'INDO-PACIFICO

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Martedì 6 febbraio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO

Audizione di Aurelio Insisa, Jean Monnet Fellow presso il Centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell'Istituto universitario europeo.
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Insisa Aurelio  ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 6 
Billi Simone (LEGA)  ... 6 
Giglio Vigna Alessandro (LEGA)  ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 7 
Orsini Andrea (FI-PPE) , (intervento in videoconferenza) ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Insisa Aurelio  ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 12.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Aurelio Insisa, Jean Monnet Fellow presso il Centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell'Istituto universitario europeo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione di Aurelio Insisa, Jean Monnet Fellow presso il Centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell'Istituto universitario europeo.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Insisa, esperto di politica estera della Repubblica popolare cinese e di relazioni tra Pechino e Taipei. Il suo attuale progetto di ricerca presso l'Istituto universitario europeo si concentra sul nesso tra tecno-democrazia e comunicazioni strategiche nel contesto delle crescenti tensioni tra Cina e Taiwan.
  Al riguardo segnalo che, in esito alla riunione ministeriale UE-ASEAN, svoltasi venerdì scorso a Bruxelles, è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta, nella quale si ribadisce il comune impegno a mantenere e promuovere la pace, la sicurezza e la libertà di navigazione e di sorvolo sopra il Mar Cinese meridionale, evitando azioni che potrebbero aumentare le tensioni e il rischio di incidenti, nonché di perseguire una risoluzione pacifica delle controversie, in conformità con i princìpi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
  Do subito la parola al dottor Insisa affinché svolga il proprio intervento.

  AURELIO INSISA, Jean Monnet Fellow presso il Centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell'Istituto universitario europeo. Buongiorno. Ringrazio l'onorevole Formentini, gli altri onorevoli e il personale della Camera coinvolto nei lavori di questo Comitato permanente per l'ospitalità e l'invito.
  In linea con il programma dell'indagine conoscitiva del Comitato, è mia intenzione fornire una lettura dei più recenti sviluppi occorsi a Taiwan, del loro impatto sull'Indo-Pacifico e del loro significato per gli interessi italiani nella regione, alla luce delle elezioni presidenziali e legislative che si sono svolte sull'isola lo scorso 13 gennaio. Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria del candidato del Partito democratico progressista – uso, in questo caso, l'acronimo PDP – e già vicepresidente della Repubblica di Cina, William Lai Ching-te, che succederà questo maggio al presidente uscente, Tsai Ing-wen, dello stesso partito.
  Nelle elezioni legislative il PDP ha tuttavia perso, dopo otto anni, la maggioranza nel Parlamento unicamerale di Taiwan – lo Yuan legislativo –, il quale presenta, adesso, una maggioranza relativa del Kuomintang, il Partito nazionalista cinese.Pag. 4
  Vediamo se funziona... Bene, come potete vedere, qui c'è una foto del presidente eletto, che diventerà presidente a maggio, William Lai Ching-te. Come dicevo prima, il suo partito è il Partito democratico progressista – in questo caso, uso l'acronimo italiano PDP, più diffuso è l'acronimo inglese DPP –, al momento è vicepresidente.
  Per spiegare bene, a Taiwan ci sono state nello stesso giorno sia elezioni presidenziali che legislative: le elezioni legislative per eleggere i membri del Parlamento hanno visto, invece, la vittoria del Partito nazionalista cinese.
  Comincio con una breve sintesi del contesto politico in cui queste elezioni si sono svolte. A seguito del ritorno al potere del PDP nel 2016, dopo otto anni, Pechino chiese alla presidente Tsai Ing-wen di riconoscere una formulazione delle relazioni tra le due parti definita «Consenso del 1992». Posso spiegare nel dettaglio in cosa consiste questo «Consenso», magari nella successiva fase di questa audizione. Brevemente, però, vorrei enfatizzare come accettare questa formulazione avrebbe comportato il riconoscimento di Taiwan come parte inalienabile di un'unica Cina. L'accettazione del «Consenso», inoltre, implica l'eventuale assorbimento dell'isola nel quadro «un Paese, due sistemi», sulla falsariga della retrocessione di Hong Kong, avvenuta nel 1997. Questa richiesta cinese è stata e rimane inaccettabile per la maggioranza del popolo taiwanese, in particolare per gli elettori del PDP, del partito del Presidente eletto Lai.
  In risposta al rifiuto dell'Amministrazione Tsai, tra il 2016 e il 2024, Pechino ha quindi iniziato una campagna di pressione – tuttora in corso –, dal carattere multidimensionale: una pressione economica, una pressione diplomatica, politica e militare, in particolare con operazioni nella cosiddetta «zona grigia» e con minacce di carattere ibrido, parallela al deterioramento delle relazioni con Pechino e sotto l'approfondirsi delle relazioni non ufficiali tra Taipei e Washington, iniziato con l'Amministrazione Trump e continuato durante l'Amministrazione Biden.
  Le tensioni dell'agosto 2022, periodo nel quale l'esercito della Repubblica popolare cinese – l'Esercito popolare di liberazione – ha effettuato prove di un blocco navale dell'isola e lanciato missili al di sopra del suo spazio aereo, a seguito della visita dell'allora Speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, dimostrano la rinnovata centralità di Taiwan nella relazione bilaterale più importante nella politica internazionale contemporanea.
  Le azioni e le parole di Pechino verso Taiwan e ancor di più la continua modernizzazione e riorganizzazione delle forze armate cinesi in questi ultimi anni hanno, quindi, spinto numerosi osservatori ad ipotizzare un'azione coercitiva da parte cinese, allo scopo di unificare l'isola nel breve e medio termine. Una data, in particolare, è emersa negli ultimi anni: questa data è il 2027, emersa a seguito delle dichiarazioni di ufficiali delle Forze armate americane e funzionari del Governo americano, a partire in particolare dal 2021. Il 2027 è l'anno del centesimo anniversario della fondazione dell'Esercito popolare di liberazione.
  Tuttavia, è importante sottolineare che, a seguito dell'attuale, timida détente tra Stati Uniti e Cina, emersa nella seconda metà dello scorso anno, le voci da Washington hanno smorzato l'allarmismo su un'azione cinese nel breve periodo.
  Cosa comporta, quindi, il risultato elettorale dello scorso gennaio per l'Indo-Pacifico e per il nostro Paese? Basandomi su un'analisi della campagna elettorale e della situazione politica a livello domestico e regionale, sono dell'opinione che la presidenza Lai, nonostante sostanziali differenze nel profilo politico e personale tra il corrente Presidente Tsai Ing-wen e il Presidente eletto Lai Ching-te, opererà in continuità con quella del suo predecessore. Taipei continuerà a enfatizzare il suo ruolo di bastione liberaldemocratico contro le autocrazie, cercherà di approfondire ulteriormente i propri rapporti non soltanto con partner consolidati, quali gli Stati Uniti e il Giappone, ma anche con l'Unione europeaPag. 5 e i suoi Paesi membri, Italia compresa.
  La presidenza Lai non mancherà, inoltre, di ricordare a questi partner la centralità di Taiwan nelle catene globali del valore, in particolare nel settore dei semiconduttori di alta fascia, i cosiddetti «logic chips» sotto i 10 nanometri. Tutto ciò nel contesto di una particolare attenzione, sia americana sia europea, per politiche industriali di reshoring e friendshoring.
  La presidenza Lai, inoltre, continuerà ad esplorare le possibilità – al momento minime, dovremmo dire – di accedere ad accordi di libero scambio, sia con l'Unione europea sia con i suoi vicini regionali, all'interno del cosiddetto «CPTPP», l'accordo che ha sostituito la Trans-Pacific Partnership.
  Non vi sono, inoltre, al momento elementi che facciano presagire delle mosse particolarmente provocatorie da parte di Taipei verso Pechino sulla questione dell'indipendenza. Questo è un punto importante: quando parliamo di indipendenza nel contesto taiwanese, il suo significato è qualcosa di molto preciso; intendiamo la cessazione della Repubblica di Cina – che si trasferì a Taiwan dalla Cina continentale, da Nanchino, alla fine della guerra civile, nel 1949 – e lo stabilimento di una Repubblica di Taiwan. Questo è stato stabilito da una legge cinese del 2005 come casus belli. La Cina ha dichiarato, in maniera assolutamente esplicita, che un'eventuale cessazione della Repubblica di Cina e stabilimento della Repubblica di Taiwan comporterà un'invasione militare da parte cinese.
  Al momento, come dicevo prima, non ci sono alcuni segnali da parte della futura Amministrazione Lai, dal PDP in generale, di spingere verso l'indipendenza, al contrario della precedente esperienza, durante la Presidenza Chen Shui-bian, tra il 2000 e il 2008.
  Allo stesso tempo, inoltre, la fragile détente - se non tregua tattica - tra Pechino e Washington dovrebbe continuare almeno fino alle elezioni americane. Questo dovrebbe garantire un modicum di stabilità nella regione.
  Due casi, tuttavia, sono da tenere in considerazione. Il primo è la risposta cinese alla vittoria di Lai. È lecito, nel breve termine, aspettarsi una ulteriore intensificazione delle operazioni militari nella zona grigia da parte cinese, in quella che Taiwan definisce come la propria zona di identificazione di difesa aerea. Questo nei media è conosciuto in maniera più comune con l'acronimo ADIZ (Air Defense Identification Zone); inoltre, non soltanto in questa zona di identificazione, ma anche nelle acque vicine all'isola, in particolare sullo Stretto di Taiwan.
  Il secondo caso da tenere in considerazione, ovviamente, è il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Negli scorsi mesi Trump non ha garantito un impegno degli Stati Uniti nel difendere Taiwan in caso di azione coercitiva cinese e ha criticato l'isola per la delocalizzazione dell'industria americana dei semiconduttori. L'ha definita hardship business. Una seconda Presidenza Trump rischia, quindi, di sgretolare le capacità taiwanesi di deterrenza, che si basano, ovviamente, sul supporto americano, e di aprire la strada ad un colpo di mano cinese. In questo caso, un tentativo di blocco navale dell'isola da parte cinese per imporre l'unificazione entro la fine del mandato di William Lai, nel 2028, potrebbe diventare altamente probabile.
  Ciò mi riporta alla questione del 2027 come data campale. Credo che il 2027 sia da intendersi come una scadenza che la leadership cinese abbia posto al proprio esercito per trovarsi pronto a vincere una guerra contro gli Stati Uniti per la conquista di Taiwan, invece che un effettivo termine di un countdown verso il conflitto. Quindi, rimango fermamente convinto che la Cina tenterebbe di imporre l'unificazione, se e quando l'occasione opportuna dovesse emergere.
  Per muoverci verso la fine di questo breve intervento, passo ad illustrare cosa può e cosa deve fare l'Italia. In primo luogo, pianificare sia per il breve che per il medio termine. Per il breve termine, l'Italia dovrebbe continuare a contribuire con le sue capacità a mantenere la stabilità nella regione. In altre parole, dovrebbe continuarePag. 6 a contribuire alla stabilità nello Stretto di Taiwan in maniera indiretta, attraverso una maggiore presenza in Asia sudorientale ed orientale. Da questo punto di vista, è da apprezzare la prossima presenza della nave Cavour e della nave Vespucci e dei nostri caccia F-35 nella regione, come annunciato ieri dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ritengo, tuttavia, altamente problematico per il nostro Paese un transito nello Stretto di Taiwan o, più in generale, le cosiddette «FONOPs» (Freedom of navigation operations) insieme agli Stati Uniti. Credo che questa sia un'opinione condivisa sia dal nostro Governo sia dalla nostra diplomazia.
  L'Italia può anche dare un contributo importante, quest'anno, con la Presidenza del G7. L'aspirazione del Governo nel riorientare l'agenda del G7 dall'Indo-Pacifico al Mediterraneo allargato, anche alla luce del conflitto di Gaza e della crisi nel Mar Rosso, è assolutamente legittima e comprensibile. Credo, tuttavia, che sia fondamentale recepire le opinioni di Washington e Tokyo, ma anche di un importante partner del nostro Paese, quale la Repubblica di Corea, opinioni sulla necessità di contribuire alla stabilità della regione dell'Indo-Pacifico. Quindi, credo sia importante che i prossimi comunicati dei leader e dei Ministri degli affari esteri dei Paesi G7 siano in linea con quelli di Carbis Bay nel 2021, di Schloss Elmau nel 2022 e di Hiroshima nel 2023, comunicati che hanno riaffermato la necessità di non alterare manu militari lo status quo sullo Stretto.
  Sarebbe, inoltre, opportuno inviare a Taiwan una delegazione parlamentare con un profilo esplicitamente istituzionale, in linea con il modus operandi al momento di Francia e Germania, dopo la visita di carattere personale dei senatori Centinaio e Murelli nella scorsa estate.
  Infine, è altrettanto necessario continuare a pianificare sia per il worst-case scenario – un conflitto a larga scala tra Cina e Stati Uniti – che per un assorbimento coercitivo dell'isola a seguito del suo abbandono da parte di una seconda – ipotetica o forse possibile, probabile – seconda Amministrazione Trump. Vista la centralità di Taiwan nelle catene globali del valore, questi potenziali sviluppi avranno un enorme impatto su un Paese trasformatore quale l'Italia. In entrambi i casi, gli esercizi di pianificazione potranno solo parzialmente mitigare l'effetto, l'impatto di questi eventuali sconvolgimenti. Ma la sorpresa della guerra in Ucraina ci ricorda la necessità di farci trovare assolutamente il più pronti possibile.
  Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professore. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questi o formulare osservazioni, anche da remoto.
  Comunico che, nel frattempo, ci ha raggiunti il presidente Tremonti.

  SIMONE BILLI. Ringrazio il nostro audito, al quale voglio fare i complimenti per il quadro completo, ma anche molto sintetico, della situazione. Quindi, non ho particolari domande od osservazioni, se non condividere degli spunti di riflessione per eventuali suoi ulteriori commenti rispetto a quello che ci ha presentato.
  Considererei, innanzitutto, che il PIL cinese nei decenni passati andava a due cifre, mentre oggi siamo circa al 5 per cento di crescita all'anno, con le previsioni che vogliono il PIL cinese ancora in ribasso. C'è anche chi dice che nei prossimi anni potrebbe arrivare al 2,5 per cento. Questo, quindi, comporta che lo spazio di manovra del Governo cinese per un'eventuale presa di posizione nei confronti di Taiwan si restringa sempre di più, perché più il PIL dell'economia cinese si restringe e più le mire espansionistiche della Cina verso Taiwan si indeboliscono.
  Inoltre, una potenza economica come la Cina non può essere considerata una potenza globale se non lo è anche in ambito militare. Quindi, anche questa considerazione porta ad una visione a breve termine su Taiwan di un certo modo. Inoltre, ancora, il Presidente cinese Xi Jinping ha probabilmente – lo possiamo ipotizzare – delle ambizioni personali: non essendo più il presidente della crescita economica a due cifre e dovendo, quindi, virare verso altre Pag. 7ambizioni, potrebbe essere il Presidente che ha l'ambizione di unificare tutta la Cina. Inoltre, le elezioni americane comportano ulteriori spunti di riflessione tra Cina e Taiwan. Le elezioni europee io non le considero nemmeno, perché oggi l'Europa è quasi ininfluente su questi argomenti, purtroppo. Lo dico con grande rammarico.
  Tutto questo porta quasi inevitabilmente, come accennava Lei, ad ipotizzare quello che lei definiva un blocco navale; potrebbe essere, più che un'azione militare vera e propria, un blocco navale della Cina nei confronti di Taiwan. Ripeto, è un'ipotesi, è uno spunto di riflessione, però, la situazione sembra, da questo punto di vista, andare in questa direzione.
  Rispetto a quello che Lei accennava su quello che può fare l'Italia, nella sua breve e sintetica visione ho riscontrato degli ottimi suggerimenti. Non ho ulteriori considerazioni. Grazie.

  ALESSANDRO GIGLIO VIGNA. Intanto La ringrazio per la sua ottima relazione. Fa piacere quando all'interno di una relazione di un organismo così prestigioso come l'Istituto universitario europeo siano riportate anche le cosiddette «missioni internazionali», le missioni che citava della senatrice Elena Murelli e del vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, proprio a Taiwan. Questo è positivo rispetto a quel ruolo che il Parlamento cerca di darsi, quella cosiddetta «diplomazia parlamentare», che poi è un termine che fa sempre male alle orecchie ai diplomatici di professione, ma che in realtà è un qualcosa di assolutamente positivo, non foss'altro che la diplomazia è, ovviamente, prerogativa dei Governi e all'interno della diplomazia parlamentare, invece, come sappiamo, vi è anche la possibilità da parte delle opposizioni di poter partecipare e poter fare diplomazia. Da parlamentare ringrazio che in una relazione di un organismo così prestigioso e di una personalità come la sua siano state inserite anche le missioni parlamentari.
  Io vorrei proprio andare su questo tema, nel senso che, oltre a quello che è già stato fatto, a suo parere che cosa potrebbe fare il Parlamento, più nello specifico, oltre ad intensificare questa serie di rapporti? Vi è una serie di strumenti, che partono dalle risoluzioni e vanno ai gruppi bilaterali, alle visite istituzionali. Cosa potrebbe fare ancora di più il Parlamento per poter aumentare ed intensificare i rapporti fra Taiwan e l'Italia? Perché poi anche di questo stiamo parlando. È chiaro che una intensificazione dei rapporti è anche un deterrente, nel senso che conta poco o conta tanto ma, evidentemente, una Taiwan ancora più interconnessa con il mondo occidentale può essere un deterrente per mire espansionistiche da parte di Pechino.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'onorevole Orsini, che è vicepresidente del Comitato permanente sulla politica estera per l'Indo-Pacifico. Interviene in videoconferenza.

  ANDREA ORSINI, (intervento in videoconferenza). Grazie, presidente. Grazie, professore. La sua relazione è di grandissimo interesse. Vorrei farle due domande, fra loro collegate. La prima è questa: negli anni scorsi e, per la verità, soprattutto quando a Taiwan governava il Partito Kuomintang, si era creata una forte interconnessione economica con la Cina. Al di là delle ragioni formali di conflitto, si era creato, nei fatti, uno scambio importante e una forte presenza di investimenti taiwanesi nella Cina comunista. Vorrei capire, prima di tutto, se tutto questo si è dissolto o esiste ancora, e in che misura esiste ancora, al di là delle tensioni politiche.
  La seconda domanda, connessa a questa, non vorrei che suonasse ottimistica, perché ottimista non sono affatto, però mi chiedo: per la Cina, acquisire Taiwan con un atto di forza non significherebbe in qualche modo uccidere la famosa gallina con le uova d'oro? Lo dico in altri termini: in qualche modo oggi Taiwan per la Cina rappresenta contemporaneamente – credo – un partner economico e una battaglia simbolo intorno a cui tenere compattata la nazione, l'esercito, l'opinione pubblica, eccetera. Acquisirla – che non sarebbe comunque una passeggiata militare, perché Pag. 8Taiwan ovviamente non è in grado di sopravvivere ad una aggressione, ma non è neanche una realtà indifesa – non sarebbe una passeggiata militare, sarebbe una vicenda lunga, complessa, sanguinosa. Tutto questo per la Cina significa un prezzo altissimo in termini di consenso, di immagine nel mondo, di preoccupazione nei vicini, di possibili sanzioni economiche e altro ancora. Questo non dovrebbe in qualche modo indurre la Cina a considerare Taiwan più un obiettivo propagandistico che un obiettivo realistico di occupazione, di invasione? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Aggiungo anch'io una domanda di ampio respiro, chiedendo un quesito che mi pongo da tempo, ossia perché permanga questa aggressività della Cina nei confronti di tutti gli Stati, vicini e meno vicini. Faccio riferimento, ad esempio – vista la visita del nostro Premier Meloni in Giappone – al caso delle Isole Senkaku, ma faccio anche riferimento a un contrasto, che forse ai più sfugge, tra due partiti comunisti, tra due regimi, con il Vietnam, è un contrasto dettato dal tentativo cinese di impadronirsi delle risorse, sia per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico sia per le scorte di pesci – per la pesca – fino ad un contrasto con l'Indonesia. Abbiamo letto tutti in queste settimane di un violento scontro con le Filippine.
  Perché questo atteggiamento, che in realtà sembra, in chiave strategica, spingere questi Paesi a fare sistema contro questa prepotenza? Grazie, do la parola all'audito per la replica.

  AURELIO INSISA, Jean Monnet Fellow presso il Centro Robert Schuman per gli studi avanzati dell'Istituto universitario europeo. Grazie agli onorevoli Billi, Giglio Vigna, Orsini e Formentini per le domande.
  Parto con la prima osservazione dell'onorevole Billi, riguardante il restringimento dello spazio di manovra cinese corrispettivo al rallentamento dell'economia cinese.
  Prima di tutto, parliamo di numeri, brevissimamente: si parla del 5.3 per cento come crescita GDP annuale della Cina. Analisti americani di un certo spessore, come quelli del Rhodium Group hanno addirittura parlato di una reale crescita verso l'1.5 per cento, anche se ciò è dibattuto da altri economisti. Ovviamente, è chiaro che non parliamo più della Cina degli anni Novanta. Fondamentalmente, direi che il problema in questo caso è che esiste un ritardo tra il picco della crescita economica cinese e la corrispettiva capacità militare della Cina. Quindi, possiamo ipotizzare un particolare scenario, una finestra temporale in cui, anche nel caso di un effettivo e continuo rallentamento dell'economia cinese, la capacità militare della Cina rimarrà particolarmente efficace.
  Ovviamente, la Cina spende molto di più, per esempio, dei Paesi europei dal punto di vista della spesa militare, e c'è anche una certa oscurità. È difficile capire esattamente quanto spende la Cina in questo caso. Da questo punto di vista, quindi, il cambio di passo nella performance economica cinese non dovrebbe rassicurarci. Credo ci sia questo ritardo, che crea una finestra temporale tra il rallentamento dell'economia cinese e le capacità cinesi, a livello militare.
  Questo per la prima parte dell'intervento dell'onorevole Billi; sulla seconda parte penso che sia effettivamente corretto, dal punto di vista delle ambizioni personali del Presidente Xi Jinping, ma queste erano chiare fin dalla successione con Hu Jintao, tra il 2012 e il 2013. Nel 2012 diventa Segretario di Partito e nel 2013 diventa Presidente della Repubblica di Cina. All'inizio si parlava di sogno cinese: fondamentalmente, se una persona legge nel dettaglio la propaganda cinese e il discorso cinese dell'epoca, intravede come già allora, all'inizio dello scorso decennio, il sogno cinese implicava la riunificazione della Cina; dovrei dire l'unificazione. Specificatamente, se vedete i termini in cinese, le traduzioni ufficiali in cinese, trovate il termine «riunificazione» ma il termine effettivo – tŏngyī – è unificazione. La Cina impone la traduzione in «riunificazione» perché, ovviamente, ha un significato storico particolare.Pag. 9
  Questo per connettersi al primo intervento dell'onorevole Billi: c'è, ovviamente, un'ambizione personale da parte di Xi Jinping che dobbiamo tenere in considerazione. Qui c'è anche un problema di informazione, perché questo è un sistema che è sempre stato una scatola nera, ma soprattutto negli ultimi anni e durante l'Amministrazione di Xi Jinping è diventato sempre più difficile capire esattamente cosa succede all'interno della leadership cinese e la leadership cinese è diventata sempre meno collegiale e sempre più personalistica, o almeno questa è l'impressione che abbiamo dall'esterno.
  In questo caso, non voglio enfatizzare troppo parallelismi con la Russia, ma anche in quel caso notiamo come le scelte finali furono fatte effettivamente dalla leadership cinese, fondamentalmente da Putin e probabilmente da Patrušev, all'interno di un circolo estremamente ristretto. Si può ipotizzare un simile scenario in Cina, dove alla fine l'ultima parola spetta ovviamente a Xi Jinping e saranno la sua ambizione personale e le sue valutazioni personali che decideranno la scelta cinese.
  Passo all'intervento dell'onorevole Giglio Vigna: la diplomazia parlamentare è assolutamente importante ed è assolutamente necessaria nel caso di Taiwan, perché ricordiamo che il nostro Paese non ha relazioni diplomatiche con Taiwan, come la maggior parte dei Paesi del mondo. In Europa soltanto la Santa Sede ha rapporti diplomatici con Taiwan. Quindi, nel quadro di relazioni non ufficiali, di relazioni che non sono diplomatiche, la diplomazia parlamentare svolge un ruolo assolutamente fondamentale. Ero a Taipei l'anno scorso, durante la visita del senatore Centinaio, e vidi che ebbe una grande risonanza in tutti i media taiwanesi, nelle prime pagine dei giornali. Questo per dire che le visite parlamentari a Taiwan hanno un profondo impatto, perché è l'unico modo in cui le autorità taiwanesi possono dimostrare che Taiwan non è tagliata fuori dal mondo. Quindi, da questo punto di vista hanno un loro impatto, ovviamente enorme a Taiwan e minore in Europa e in Italia.
  Nel nostro caso io penso che, quando dobbiamo pianificare e pensare al modo in cui svolgere la diplomazia parlamentare con Taiwan, sia utile dare uno sguardo agli altri Paesi membri dell'Unione europea. Diciamo che ci sono varie velocità: per esempio, i Paesi del centro e dell'est Europa – in particolare Lituania, Repubblica ceca e Slovacchia – hanno intensificato enormemente i rapporti con Taiwan. Ma ciò ha portato profonde ripercussioni, specificatamente nel caso lituano ripercussioni economiche, una rappresaglia economica cinese. Ma c'è anche da dire che in questo caso questi Paesi hanno avuto un lato positivo: un crescente investimento taiwanese in questi Paesi, soprattutto nella creazione di una nuova industria dei semiconduttori. Specificatamente non mi riferisco allo stabilimento di nuove Fabs – termine informale per le fabbriche dove si costruiscono semiconduttori – ma piuttosto al livello di educazione (STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics – education), per creare un nuovo know-how al livello delle industrie di semiconduttori. Questo è il caso del centro e dell'est Europa.
  Germania e Francia, negli ultimi anni, a livello parlamentare hanno intensificato enormemente il valore e il profilo delle loro missioni. La Germania, ovviamente, ha fatto ciò nell'ambito della recente decisione da parte di TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), leader nel settore, di aprire una nuova fabbrica a Dresda. Quindi, qua notiamo un chiaro nesso tra politiche di reshoring e di friendshoring, in questo caso politiche taiwanesi di investimento in Europa, e l'intensificarsi di relazioni interparlamentari. Magari per l'Italia sarebbe utile cominciare a seguire il modello tedesco e francese nel rapportarsi con Taiwan. Ovviamente, bisogna essere particolarmente attenti nel modo in cui queste relazioni vengono gestite a livello nazionale, perché ovviamente ci sono ripercussioni nelle relazioni con la Cina.
  Da questo punto di vista, è importante considerare come il Parlamento europeo e i parlamentari italiani al Parlamento europeo possano giocare un ruolo particolarmente importante. Vorrei dire che il ParlamentoPag. 10 europeo, negli ultimi anni, è stato l'attore politico più vicino a Taiwan nel contesto europeo. Spero di aver risposto alle osservazioni del dottor Giglio Vigna.
  Con riferimento alle osservazioni dell'onorevole Orsini, sono assolutamente corrette e molto interessanti. È vero, soprattutto durante la presidenza di Ma Ying-jeou, tra il 2008 e il 2016, vi è stata una forte intensificazione delle relazioni economiche tra Cina e Taiwan, ma in realtà esse, addirittura, si devono retrodatare, perché fondamentalmente questa relazione inizia quando a Taiwan la democratizzazione ancora non era completata, quindi negli anni Ottanta, si è intensificata negli anni Novanta e addirittura anche durante la presidenza di Chen Shui-bian, anch'egli del PDP, tra il 2000 e il 2008. Nonostante Chen Shui-bian abbia provato più volte a muoversi verso l'indipendenza, Taiwan e Cina hanno continuato ad essere più vicine e a perseguire un'integrazione economica, che poi è diventata anche un'integrazione sociale. Però, questo processo si è fondamentalmente fermato nel 2014, quando un elemento chiave nel più ampio Economic Cooperation Framework Agreement, che fu firmato tra Pechino e Taipei nel 2010, e questo nuovo elemento all'interno di esso – il Cross-strait service trade agreement del 2014 – fu fermato nel Parlamento taiwanese; ciò anche a causa del cosiddetto «Movimento dei girasoli» nel 2014.
  Da allora, il percorso di integrazione economica e sociale tra Cina e Taiwan si è fondamentalmente arrestato. Qui non vorrei dilungarmi troppo, ma è importante considerare che Pechino spingeva per questa integrazione economica allo scopo di attuare una unificazione soft, senza bisogno di un intervento armato. Le Amministrazioni del Kuomintang a Taipei, invece, perseguivano questo tipo di integrazione economica e sociale esclusivamente per ottenere il best of both worlds – scusate se uso un po' l'inglese, ma sono da dodici anni all'estero e ho perso dimestichezza con la mia lingua – per ottenere, da un lato, maggiori ricavi economici dalla Cina, i benefici di una più vicina integrazione con la Cina e, dall'altro, cercare di ritardare il più possibile un'unificazione. Quindi, una visione direi abbastanza a breve termine.
  Questo processo di integrazione economica si è arenato tra il 2014 e il 2016. L'Amministrazione Tsai, a partire dal 2016, e in particolare dal 2017, ha iniziato una lunga fase di politiche industriali, che hanno cercato di riportare business taiwanesi dalla Cina a Taiwan e di limitare l'esposizione taiwanese alle ripercussioni dell'economia cinese. Dall'altro lato, le numerose sanzioni cinesi a Taiwan hanno avuto anche un altro impatto: hanno, in qualche modo, diminuito l'efficacia stessa della Cina, del ricatto economico cinese a Taiwan. Questo è un punto fondamentale.
  Al momento, non ho disponibili i dati esatti sulla diminuzione dell'integrazione economica tra le due parti, però essa è assolutamente evidente. Questo, da questo punto di vista, nel lungo termine, se non ci sarà un'invasione, avvantaggerà sicuramente Taiwan.
  La seconda parte dell'intervento dell'onorevole Orsini riguarda la considerazione che attaccare Taiwan abbia delle enormi ripercussioni per la Cina. Questo è assolutamente vero. Penso sia effettivamente il primo elemento di deterrenza. È importante considerare che la Cina è consapevole di questo e che negli ultimi anni ha cercato di creare un'economia che sia capace di sopportare le eventuali sanzioni che verranno imposte in caso di invasione e annessione cinese dell'isola. Qua, ovviamente, di nuovo, l'esperienza della guerra in Ucraina è utile, nel senso che è difficile pianificare in futuro l'efficacia delle sanzioni. In questo caso, direi che potremmo essere anche abbastanza pessimisti. Dobbiamo considerare anche il livello di impatto: l'onorevole Orsini parlava del prezzo altissimo, a livello di consenso, che Pechino pagherebbe; non sono sicuro al riguardo, non penso che la Russia abbia pagato un prezzo altissimo. L'invasione russa è quella, a mio parere, di una guerra imperialista, l'invasione di uno Stato membro delle Nazioni Unite.
  Nel caso di Taiwan la situazione è molto più complicata, perché Taiwan non è presente nelle Nazioni Unite. La Cina ha creato una rete di relazioni diplomatiche, in Pag. 11particolare con i Paesi del sud del mondo, in cui la sovranità cinese su Taiwan riveste un ruolo importante. Paesi africani, dell'Asia, dell'America Latina non hanno problemi a dire di sì alla posizione cinese su Taiwan. Penso che, in realtà, in questo caso rischiamo di essere, come Unione europea – probabilmente gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, il Giappone – gli unici Paesi che potrebbero realmente condannare in maniera ferma e dura un'eventuale mossa militare cinese verso Taiwan. Quindi, sono abbastanza dubbioso sull'altissimo prezzo a livello di immagine e consenso che la Cina potrebbe pagare.
  Per finire, l'osservazione dell'onorevole Formentini: è vero, ha pienamente ragione, da un certo punto di vista notiamo che questa è una mossa controproducente. L'ossessione cinese per le dispute territoriali: la disputa territoriale con l'India – Lei ha citato Vietnam, Indonesia e Filippine, assolutamente – ha avuto risvolti militari anche di un certo peso, ha avuto un impatto geopolitico enorme, se consideriamo come abbia aiutato un più efficace riallineamento tra Nuova Delhi e Washington, a scapito della Cina stessa. Effettivamente, è una mossa controproducente. Non una mossa, direi un atteggiamento, un approccio alle relazioni internazionali assolutamente controproducente. Però penso che in questo caso l'Amministrazione cinese sia stata abbastanza efficace nel valutare cosa può permettersi. Se noi vediamo i più recenti sviluppi nelle relazioni tra Cina e Vietnam, vediamo come, in ultima analisi, il Vietnam abbia deciso di avanzare la propria partnership con la Cina, anche a scapito delle continue incursioni territoriali cinesi nella propria zona economica esclusiva.
  Notiamo anche come la relazione con l'Indonesia, nonostante i continui problemi a livello di dispute territoriali, sia in qualche modo, comunque, gestibile. In realtà, gli investimenti cinesi in Indonesia continuano a crescere. In questo caso, direi che sono le Filippine – in particolare con la nuova Amministrazione del presidente Marcos – che si pongono in contrasto con il resto dell'Asia sudorientale. È difficile fare di tutta l'erba un fascio: dovremmo considerare i diversi scenari, come la Cina, come le pretese territoriali della Cina nell'Asia sudorientale vengono accettate giocoforza da Paesi con un minore peso geopolitico nella regione, in contrasto con la situazione con il Giappone e l'India. In quel caso, dovremmo differenziare. La Cina, in qualche modo, sta avendo successo nell'imporre la propria visione territoriale, la propria visione della sovranità territoriale e marittima in Asia sudorientale, ma sta, invece, pagando un prezzo nel caso dell'India e del Giappone, rafforzando le alleanze e le partnership di Washington in Asia.
  Spero di aver risposto alle domande.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Se non ci sono altre domande, ringrazio ancora il dottor Insisa per il contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.15.