TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 277 di Mercoledì 10 aprile 2024

 
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MOZIONI IN MATERIA DI REVISIONE DEI MECCANISMI DI TASSAZIONE DELLE EMISSIONI DI CARBONIO (CBAM) PER LE IMPORTAZIONI A TUTELA DELLA COMPETITIVITÀ DELLE AZIENDE EUROPEE

   La Camera,

   premesso che:

    1) il percorso europeo di de-carbonizzazione, cosiddetto «Green Deal», mira alla neutralità climatica entro il 2050 attraverso una serie di regolamenti tra cui, con riferimento alle produzioni ad alte emissioni (hard to habate), il sistema ETS (Emission Trading System) del 2005 ed il recente Regolamento (UE) 2023/956 Cbam (Carbon Border Adjust Mechanism);

    2) la ratio delle due regolamentazioni europee è guidare questi settori a ridurre progressivamente le emissioni di anidride carbonica e, parallelamente, difendere questo percorso applicando, dal 1° gennaio 2026, alle importazioni di alcuni prodotti strategici ad alta intensità emissiva (acciaio e altri prodotti siderurgici, alluminio, fertilizzanti, cemento idrogeno ed energia elettrica) provenienti da Paesi extraeuropei, gli stessi costi del carbonio sostenute dalle imprese ricadenti in Ets, attraverso il meccanismo Cbam. Questo è progettato per integrare l'Ets imponendo un prezzo del carbonio sulle citate materie prime, importate nell'Unione europea da Paesi terzi che non applicano costi sulle emissioni di anidride carbonica a livelli paragonabili a quelli applicati nell'Unione europea, con l'intento di costringere anche i produttori di quei Paesi a ridurre le loro emissioni per poter accedere al mercato europeo e di contrastare il rischio di «trasferimento» delle emissioni di anidride carbonica (carbon leakage);

    3) nei confronti del Cbam le associazioni cui fanno capo i soggetti obbligati hanno rilevato diverse criticità. In breve:

     a) i prodotti finiti extra Unione europea non compresi nell'allegato 1 del regolamento potranno essere importati secondo le regole del libero mercato senza sostenere i costi del meccanismo Cbam applicati a partire dal 2026, anche se assemblati con i medesimi prodotti ad alta intensità emissiva, acquisendo un vantaggio competitivo nei costi di produzione rispetto ai nostri trasformatori;

     b) nel Cbam proposto manca un meccanismo per favorire le esportazioni, idoneo a mantenere competitivi i beni prodotti in Europa che utilizzano i prodotti di cui all'allegato 1 del regolamento, da destinare ai mercati al di fuori dell'Unione europea. Di conseguenza, la misura impatta sulla competitività delle imprese continentali che esportano i prodotti trasformati in ambito extra-Unione europea (export rebate);

     c) la mole di informazioni da raccogliere per la quantificazione delle emissioni è significativa. Per ogni merce importata, gli operatori devono fornire dati sul sito in cui la merce è stata prodotta, il tipo di processo produttivo impiegato, le fonti emissive e le emissioni dirette e indirette di ciascun processo produttivo. Effetto diretto della complessità di gestione dell'intero meccanismo è stato il temporaneo blocco della piattaforma – il Registro transitorio centralizzato gestito dalla Commissione europea – cui inviare i dati, con il conseguente slittamento di 30 giorni della prima relazione trimestrale, cui gli importatori sono obbligati;

     d) le metodologie di calcolo delle emissioni incorporate per gestire la contabilità delle emissioni non appaiono sufficientemente agili e semplificate. La quasi totalità di questi dati deve essere fornita dai produttori delle merci importate dislocati nei Paesi terzi di importazione, che si rivelano spesso poco edotti sul meccanismo e poco inclini a collaborare. Le imprese europee importatrici sono così esposte a costi di transazione e a potenziali rischi di sanzioni;

     e) in un contesto di frammentazione economica e tensioni geopolitiche internazionali l'applicazione dello strumento rischia di sortire un effetto opposto a quello cercato. Dal 2020 al 2023 le importazioni dell'Unione europea di alluminio dalla Russia sono passate da 840 mila tonnellate a 567 mila tonnellate. Il gap è stato colmato dall'India. Ma l'alluminio russo è prodotto in prevalenza con energia da idroelettrico, quello indiano da fonti fossili. Al prezzo fissato dai mercati internazionali si aggiungerebbe quello del carbonio incorporato;

     f) la nostra produzione siderurgica è fondamentale per sostenere le filiere metalmeccaniche delle industrie del made in Italy; la produzione a ciclo integrato ad alto forno (vedasi l'ex Ilva) subirà un notevole aumento di costo proprio mentre si cerca di rilanciarne e sostenere la produzione e per la quale servono importanti investimenti tecnologici. Già nell'ultimo decennio il calo della produzione (da circa 8 milioni di tonnellate a 2,5 milioni) ha comportato un aumento dei costi e della dipendenza dalle importazioni;

    4) per quanto riguarda la direttiva Ets, relativa al funzionamento del mercato delle quote di emissione per i settori ad alta intensità emissiva, nell'aprile 2023 ne è stata approvata la riforma, che prevede un progressivo decremento delle assegnazioni alle imprese di quote a titolo gratuito che si annulleranno a partire dal 2035, accompagnato dalla progressiva inclusione di settori precedentemente esclusi (dal 2024 trasporto marittimo, dal 2025 edifici, trasporto stradale e ulteriori settori industriali), imponendo, per il 2030, l'abbattimento delle emissioni del 62 per cento rispetto al 2005 (precedentemente era previsto il 43 per cento);

    5) il prezzo dei permessi di emissione si è mosso attorno agli 80 euro nel 2023 (a fronte dei 15 dollari la tonnellata dei permessi di emissione americani) e si prevede un trend crescente: 93 euro nel 2024, 150 euro nel 2030 (Bloomberg Nef). La riforma degli Ets è giudicata dalla generalità delle imprese troppo pesante, per i rilevanti costi che essa comporta;

    6) così come concepiti il meccanismo Ets e il meccanismo Cbam incideranno sulla competitività dei produttori e delle aziende manifatturiere trasformatrici a valle, utilizzatrici delle materie prime assoggettate, cioè su un obiettivo che dovrebbe essere tra le priorità dell'Unione europea. Secondo un recente studio di Goldman Sachs il Cbam comporterà un aumento del costo dell'acciaio del 15-30 per cento e dell'alluminio del 7-20 per cento;

    7) è prevedibile che questi incrementi si verifichino tanto sui prodotti di acciaio e alluminio dell'Unione europea (rientranti nell'allegato I del regolamento), che in misura presumibilmente maggiore se proveniente da Paesi terzi (con maggior emissioni incorporate). Tuttavia, qualora i prodotti importati non siano compresi nell'allegato I (ad esempio, prodotti finiti come autoveicoli, macchine industriali, elettrodomestici, finestre e altri), questi potrebbero aggirare il meccanismo non sostenendo alcun costo per i prodotti di acciaio e l'alluminio utilizzati prodotti nei Paesi terzi;

    8) questa impostazione potrebbe influenzare il modo in cui i produttori europei pensano agli investimenti. Senza metodologie che bilancino vantaggi e svantaggi, le aziende (in particolare quelle di prodotti finiti a maggior valore aggiunto) potrebbero decidere che l'incertezza è eccessiva e spostare la produzione ad alta intensità di carbonio fuori dall'Unione europea, in Paesi senza carbon tax o in Paesi con sussidi più vantaggiosi. Ciò è ancora più rilevante per l'Italia, che è un Paese di trasformazione, in quanto importa materie prime grezze ed esporta prodotti finiti;

    9) il meccanismo Cbam, in particolare, nato con l'obiettivo di tutelare l'industria e l'occupazione europee, lo sviluppo, la produzione e la sovranità economica del nostro sistema, se non applicato in maniera estesa ed efficace, rischia di non raggiungere i suoi target ambientali e di aggiungere un onere regolatorio sulle catene di valore delle aziende dell'Unione europea che da anni si muovono tra incertezze macroeconomiche;

    10) l'efficacia del meccanismo – che ha il condivisibile obiettivo di rispecchiare i costi Ets anche per le produzioni derivanti dai Paesi terzi – risulta, quindi, quantomeno dubbia, in assenza di interventi relativi sia alla sua modalità di applicazione, sia a misure che consentano di promuovere la concorrenzialità dell'industria europea decarbonizzata anche nei mercati esteri;

    11) il 9 maggio 2023 è stata approvata dalla Camera dei deputati la mozione 1-00135 che ha impegnato il Governo «a sostenere nella transizione energetica ed ecologica un modello di sviluppo che sia in grado di garantire la salvaguardia dell'ambiente, dell'individuo e dell'economia, di perseguire la neutralità climatica assicurando il principio della neutralità tecnologica nei settori elettrico, termico e dei trasporti»,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurounitarie al fine di:

  a) mitigare gli effetti distorsivi del regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023, «Carbon border adjustment mechanism» (Cbam), anche attraverso opportune modifiche, secondo modalità che:

   1) estendano la sua applicazione anche al calcolo e alla rendicontazione delle emissioni incorporate dei prodotti finiti realizzati con i medesimi materiali ad alta intensità emissiva soggetti a Cbam, importati nell'Unione;

   2) semplifichino le future procedure di autorizzazione e diano certezza agli operatori sia in termini di regole tecniche per le comunicazioni, sia mediante introduzione di metodi di calcolo definiti chiaramente nell'apposito atto delegato in via di definizione a livello europeo;

   3) tengano conto delle distorsioni del mercato derivanti dall'instabilità del contesto geopolitico internazionale e dal mutamento del sistema delle alleanze e degli accordi internazionali;

   4) coordinino le misure del Cbam con la riforma del mercato europeo di scambio delle quote di emissione di anidride carbonica (Ets) secondo un modello che tenga conto della necessità di non impattare sulla competitività delle imprese europee, in particolare nei settori hard to abate e, più in generale, su tutto il manifatturiero, e di non attivare fenomeni di delocalizzazione;

  b) prevedere, nel recepimento della direttiva (UE) 2023/959 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, recante modifica della direttiva 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nell'Unione (Ets) e di altre disposizioni ad essa collegate, come, ad esempio, la destinazione dei proventi derivanti dal meccanismo stesso, misure funzionali a contenere gli impatti negativi sui settori inclusi, in particolare attraverso la disponibilità di soluzioni di decarbonizzazione a costi compatibili con la necessità di non alterare la capacità delle imprese dell'Unione europea di essere protagoniste a livello globale;

  c) prevedere appositi meccanismi di supporto, finanziati a livello di Unione europea, funzionali a dotare rapidamente i settori cosiddetti hard to abate di soluzioni di decarbonizzazione, preservandone la competitività.
(1-00253) (Nuova formulazione) «Casasco, Caramanna, Andreuzza, Cavo, Cortelazzo, Mantovani, Gusmeroli, Semenzato, Squeri, Ambrosi, Barabotti, Pisano, Rossello, Antoniozzi, Di Mattina, Mazzetti, Caiata, Toccalini, Polidori, Barelli, Molinari, Angelucci, Bagnai, Battilocchio, Bellomo, Benvenuto, Billi, Bisa, Bof, Bordonali, Bossi, Bruzzone, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattaneo, Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Coin, Colombo, Comaroli, Comba, Crippa, Dara, Davide Bergamini, Di Maggio, Donzelli, Formentini, Frassini, Furgiuele, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Giordano, Giovine, Iezzi, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Maerna, Marchetti, Matone, Miele, Minardo, Montemagni, Morrone, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Paolo Emilio Russo, Pierro, Pietrella, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Rotondi, Sasso, Schiano di Visconti, Stefani, Sudano, Ziello, Zinzi, Zoffili, Zucconi».

(27 febbraio 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il percorso europeo di decarbonizzazione, cosiddetto «Green Deal», mira alla neutralità climatica entro il 2050 attraverso una serie di regolamenti tra cui, con riferimento alle produzioni ad alte emissioni (hard to abate), il sistema Ets (Emission trading system) del 2005 ed il recente Regolamento (UE) 2023/956 Cbam (Carbon border adjust mechanism);

    2) l'Eu Ets e il Cbam si prefiggono l'obiettivo comune di stabilire un prezzo per le emissioni di gas a effetto serra incorporate negli stessi settori e nelle stesse merci mediante l'uso di quote o certificati specifici. Entrambi i sistemi hanno natura normativa e sono giustificati dalla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, in linea con l'obiettivo ambientale vincolante, stabilito dal diritto dell'Unione nel regolamento (UE) 2021/1119, di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra dell'Unione di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica in tutti i settori dell'economia entro il 2050;

    3) mentre l'Eu Ets fissa il numero totale di quote rilasciate (cap «massimale») per le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalle attività che rientrano nel suo campo di applicazione e consente la negoziazione delle quote (sistema cap-and-trade, «sistema di limitazione e scambio»), il Cbam non dovrebbe stabilire limiti quantitativi alle importazioni in modo che i flussi commerciali non siano limitati. Inoltre, mentre l'Eu Ets si applica agli impianti situati nell'Unione, il Cbam dovrebbe applicarsi a determinate merci importate nel territorio doganale dell'Unione;

    4) in quanto strumento per prevenire la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, il Cbam dovrebbe garantire che i prodotti importati siano soggetti a un sistema normativo che applica costi del carbonio equivalenti a quelli sostenuti nell'ambito dell'Eu Ets, con il risultato di pervenire a un prezzo del carbonio equivalente per i prodotti importati e quelli nazionali, garantendo nel contempo la compatibilità con la legislazione dell'organizzazione mondiale del commercio;

    5) tuttavia, la concreta applicazione del meccanismo presenta alcune criticità che potrebbero vanificare il raggiungimento dell'obiettivo generale. I problemi legati all'applicazione del Cbam si presentano in modo differente per i diversi settori obbligati. In particolare, nei settori dell'acciaio e dell'alluminio, l'applicazione del Cbam comporta un rischio di riduzione della produzione interna, a causa dell'incremento del prezzo delle importazioni di materie prime, e di uno spostamento nei Paesi extra europei della produzione di manufatti intermedi sui quali non si applica il Cbam. Questo problema, invece, non riguarda il settore dei fertilizzanti, dell'energia elettrica, dell'idrogeno e del cemento;

    6) relativamente ai settori dell'acciaio e dell'alluminio, sarebbe opportuno introdurre alcune modifiche al meccanismo Cbam per scongiurare il rischio di delocalizzazione della produzione di prodotti finali o intermedi. Delocalizzazione che non solo produrrebbe un danno economico e strategico al sistema industriale italiano e europeo ma comporterebbe, allo stesso tempo, un aumento dell'intensità di emissioni per unità di prodotto;

    7) secondo l'attuale versione del regolamento, infatti, i prodotti finiti extra Unione europea potranno liberamente essere importati senza tassazione Cbam anche se prodotti con materie prime ad alta intensità emissiva. Appare evidente che tale circostanza produrrebbe un effetto diametralmente opposto allo scopo immaginato dal meccanismo Cbam;

    8) a norma del regolamento, il Cbam dovrebbe essere attuato anche attraverso la creazione di incentivi per la riduzione delle emissioni da parte degli operatori nei Paesi terzi. Tuttavia, molti partner commerciali, in particolar modo quelli più fragili economicamente ed esposti alle esportazioni verso l'Unione europea, come taluni Paesi africani, rilevano che la politica commerciale verde dell'Unione europea non è sufficientemente attenta alla dimensione della cooperazione allo sviluppo;

    9) in sostanza, viene espressa una forte preoccupazione per le implicazioni economiche degli strumenti commerciali verdi dell'Unione europea, che alcuni Paesi considerano una forma di protezionismo verde. Questi strumenti condizionano l'accesso al mercato dell'Unione europea al rispetto di rigorosi requisiti ambientali, creando barriere all'accesso per i partner commerciali dell'Unione europea, in particolare i Paesi in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati che potrebbero non essere in grado di soddisfare tali requisiti. L'impatto delle regolamentazioni dell'Unione europea non sarà uniforme su tutti i Paesi, con alcune nazioni che subiranno conseguenze economiche più severe;

    10) in un contesto di progressiva crescita della domanda di beni con una impronta emissiva minore rispetto agli standard del passato, la difesa strategica della nostra produzione siderurgica dipende dagli investimenti per la decarbonizzazione della produzione,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurounitarie al fine di:

  a) privilegiare un approccio diplomatico con i Paesi con i quali l'Europa ha i più significativi rapporti commerciali sui prodotti oggetto del Cbam, al fine di promuovere nei Paesi extra europei una ambizione climatica paragonabile a quella europea, anche mobilitando le leve della finanza internazionale e degli accordi commerciali bilaterali basati su standard legati all'impronta carbonica dei prodotti intermedi e/o finali;

  b) adottare un approccio diplomatico diversificato (bilaterale, multilaterale e plurilaterale) rispetto alle caratteristiche specifiche del Paese partner terzo, in grado di distinguere tra Paesi vulnerabili e Paesi avanzati, competitor, rispondendo alle preoccupazioni economiche dei primi, anche attraverso:

   1) l'istituzione di «partnership commerciali verdi» per supportare i Paesi più vulnerabili nello sviluppo di capacità istituzionale e produttiva per soddisfare gli standard ambientali dell'Unione europea;

   2) l'utilizzo di parte dei ricavi del Cbam per sostenere la transizione verde nei Paesi più vulnerabili, anche all'interno della cornice del «Piano Mattei per l'Africa»;

  c) mitigare gli effetti distorsivi del regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 maggio 2023, «Carbon Border Adjustment Mechanism» (Cbam), anche attraverso opportune modifiche, secondo modalità che:

   1) estendano la sua applicazione anche all'impronta carbonica dei prodotti intermedi e finiti, almeno per una lista di prodotti significativi per l'industria, o strategici per la sicurezza, contenenti acciaio e allumino (come ad esempio automobili, elettrodomestici, macchine industriali), realizzati con le materie prime grezze oggetto di imposta ambientale importati nell'Unione;

   2) promuovano l'introduzione di meccanismi di incentivazione selettiva alla domanda – come incentivi per il settore automotive, per gli elettrodomestici, per i prodotti da costruzione – basati su una certificazione di impronta emissiva in grado di soddisfare determinati standard fissati a livello europeo;

   3) promuovano, conseguentemente, l'introduzione di standard per la determinazione di quote minime di prodotto «green» per manufatto finito nel mercato europeo, tali da sostenere la domanda interna di prodotti con bassa intensità emissiva, indipendentemente dal Paese di provenienza, in tal modo riducendo significativamente il rischio di delocalizzazione;

   4) semplifichino le future procedure di autorizzazione e diano certezza agli operatori sia in termini di regole tecniche per le comunicazioni, sia mediante introduzione di metodi di calcolo inequivocabili per gestire la contabilità delle emissioni;

   5) coordinino le misure del Cbam con la riforma dell'Eu Ets e con la direttiva CSDDD sugli obblighi di sostenibilità delle imprese (corporate sustainability due diligence directive);

  d) prevedere appositi meccanismi di supporto, come l'istituzione di un fondo sovrano europeo per la transizione climatica, in grado di superare le differenze di esposizione al debito pubblico dei diversi Paesi europei rispetto alla possibilità di finanziare la transizione, finanziati dall'emissione di debito comune sul modello del Next Generation EU, meccanismi che dovrebbero dotare rapidamente i settori hard to abate di soluzioni di decarbonizzazione, preservandone in tal modo la competitività e aumentando l'integrazione e la sicurezza strategica europea.
(1-00266) «Sergio Costa, Pavanelli, Ilaria Fontana, Cappelletti, L'Abbate, Morfino, Santillo, Carmina».

(3 aprile 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il regolamento (UE) 2023/956 introduce un meccanismo (Carbon border adjustment mechanism o Cbam) attraverso il quale si intende assicurare che il prezzo corrisposto dalle imprese europee, per le emissioni di anidride carbonica generate dalla produzione di beni importati da Paesi extra-Unione europea, equivalga al prezzo che sarebbe stato corrisposto per le emissioni di anidride carbonica generate dalla produzione domestica di quegli stessi beni;

    2) il regolamento (UE) 2023/956 intende, altresì, mitigare il cosiddetto rischio di carbon leakage, ossia il rischio che, a causa della minore onerosità delle politiche climatiche dei Paesi extra-Unione europea, le imprese europee possano decidere di trasferire parte o tutta della propria capacità produttiva in tali Paesi;

    3) il regolamento (UE) 2023/956 è entrato in vigore il 1° ottobre 2023 e sarà implementato secondo un regime «transitorio» sino al 31 dicembre 2025, per poi essere implementato nella sua modalità «definitiva» a decorrere dal 1° gennaio 2026;

    4) in entrambe le fasi di applicazione del regolamento (UE) 2023/956 per le imprese europee importatrici di beni e precursori riconducibili alla produzione di cemento, fertilizzanti, alluminio, ferro e acciaio, energia elettrica e idrogeno vige l'obbligo di dichiarare, ogni trimestre, l'ammontare di emissioni dirette (per esempio, direttamente riconducibili al processo produttivo) e indirette (per esempio, riconducibili al consumo di energia elettrica ai fini dell'esecuzione del processo produttivo) di anidride carbonica generate dalla produzione di tali beni e precursori in Paesi extra-Unione europea;

    5) nella fase transitoria, sino al 31 luglio 2024, l'Unione europea permetterà alle imprese importatrici di stimare le emissioni dirette e indirette attraverso l'applicazione di fattori standard di conversione (tonnellata di anidride carbonica/tonnellata di prodotto) delle emissioni di processo forniti dall'Unione europea medesima. Successivamente, per le dichiarazioni da rendere con riferimento al terzo e quarto trimestre 2024, le imprese europee saranno obbligate alla stima di tali emissioni attraverso valori «osservati»;

    6) l'obbligo di rendere dichiarazioni trimestrali a «valori osservati» implica per le imprese europee importatrici la necessità di raccogliere complesse e numerose informazioni (di natura qualitativa e quantitativa) presso i soggetti produttori dei Paesi extra-Unione europea, circa i processi produttivi – e le fonti emissive dirette e indirette a questi sottese – che hanno luogo nei rispettivi stabilimenti per la realizzazione delle materie prime e precursori importati;

    7) nella fase transitoria e in quella a regime saranno applicate sanzioni alle imprese europee che rendano dichiarazioni trimestrali incomplete e/o inesatte;

    8) nella fase a regime, alle imprese europee sarà imposto l'obbligo di acquisire certificati il cui prezzo sarà espresso in euro per tonnellata – e pari alla media settimanale dei prezzi dei permessi Ets – e di rilasciare un numero di certificati per un valore pari alle emissioni generate dai beni importati dai Paesi terzi (qualora le imprese importatrici corrispondano un prezzo per le emissioni di anidride carbonica nel Paese extra- Unione europea tale valore sarà dedotto dal valore dei certificati da rilasciare);

    9) l'esperienza maturata a oggi dalle imprese italiane nell'implementazione degli obblighi di rendicontazione imposti dal regolamento (UE) 2023/956 evidenzia numerose criticità. Tra queste:

     a) l'esclusione dall'applicazione del Cbam dei prodotti finiti determinerebbe un ingiustificato vantaggio competitivo per le imprese manifatturiere extra-Unione europea verso quelle comunitarie rispetto al mercato europeo;

     b) il Cbam esporrebbe le imprese europee al rischio di una contrazione significativa delle esportazioni verso i mercati extra- Unione europea a beneficio delle imprese esportatrici di Paesi con politiche climatiche meno stringenti;

     c) la complessità e la mole di informazioni che le imprese europee dovranno raccogliere dai produttori dei Paesi extra-Unione europea per la compilazione delle rendicontazioni a «valori osservati» (ossia delle rendicontazioni relative al terzo trimestre 2024 in avanti) determinerebbero un significativo incremento dei costi di natura organizzativa e gestionale per le imprese europee;

     d) la complessità e la mole di informazioni che le imprese europee dovranno raccogliere dai produttori dei Paesi extra-Unione europea per la compilazione delle rendicontazioni da rendere dal terzo trimestre 2024 in poi determinerebbero per i produttori dei Paesi extra-Unione europea oneri aggiuntivi che, uniti alla limitata preparazione di questi ultimi sul Cbam, espone le imprese europee al rischio di informazioni inesatte e incomplete, la cui veridicità è pressoché impossibile da verificare per gli importatori stessi, e al conseguente rischio di sanzioni;

     e) le sanzioni applicabili ai sensi del regolamento UE 2023/956 sarebbero ingiustificate in quanto derivanti dall'allocazione alle imprese europee di un rischio da queste non controllabile e non gestibile in quanto sono esclusivamente i produttori extra-Unione europea a potere controllare la completezza e la correttezza delle fonti delle informazioni fornite;

     f) l'applicazione a regime del Cbam determinerebbe un significativo incremento dei costi di produzione a detrimento della competitività delle imprese europee e dei clienti finali;

    10) alla luce delle criticità evidenziate e, in particolare dei costi imposti dal Cbam, vi è pertanto il rischio di:

     a) un danno significativo alla competitività delle imprese europee e, in particolare, italiane caratterizzate da un'industria prevalentemente trasformativa, che importa materie grezze per la produzione di prodotti finiti destinati all'esportazione. Ciò anche alla luce di costi dell'energia particolarmente elevati, tra i più elevati dell'Unione europea e destinati a crescere per effetto delle misure necessarie a garantire una progressiva decarbonizzazione dei consumi energetici;

     b) incoraggiare processi di delocalizzazione verso Paesi extra-Unione europea caratterizzati da politiche climatiche meno costose in termini di processo produttivo e organizzativo, con conseguenti impatti negativi sull'occupazione e sulla creazione di capitale umano del Paese,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurocomunitarie al fine di:

  a) mitigare gli impatti negativi dell'applicazione del Cbam sui costi di natura organizzativa delle imprese europee mediante:

   1) il riconoscimento, per almeno tutto il periodo transitorio (ossia sino al 31 dicembre 2025), della possibilità di ricorrere ai fattori standard di conversione messi a disposizione dalla Commissione europea per la stima delle emissioni dirette e indirette associate dalla produzione dei beni importati dai Paesi terzi e rientranti nell'applicazione del regolamento (UE) 2023/956;

   2) l'eliminazione, in conseguenza della facoltà di cui al capoverso 1, lettera a), punto 1), dell'obbligo di effettuare la stima delle emissioni dirette e indirette mediante i cosiddetti «valori osservati»;

   3) l'introduzione di un obbligo di rendicontazione semestrale anziché trimestrale;

  b) mitigare gli impatti negativi dell'applicazione del Cbam sui costi di natura produttiva delle imprese europee mediante:

   1) la possibilità di considerare – a deduzione dell'onere finanziario derivante dall'applicazione a regime del meccanismo – anche i sussidi diretti alla riduzione delle emissioni clima-alteranti adottati dai Paesi terzi;

   2) l'utilizzo dei ricavi provenienti dall'attuazione del meccanismo per la riduzione diretta dei costi energetici delle imprese europee, già significativamente messi alla prova dalla recente crisi energetica;

   3) l'eliminazione delle sanzioni in caso di dichiarazioni inesatte o incomplete, data l'impossibilità per le imprese importatrici di poter controllare il processo di identificazione e raccolta dati presso gli stabilimenti dei Paesi terzi;

  c) favorire un maggiore coordinamento nelle modalità attuative del meccanismo con i Paesi in via di sviluppo che rischiano di essere interessati in modo significativamente oneroso dagli effetti del Cbam a detrimento, anche, delle opportunità di cooperazione di natura industriale ed energetica con l'Italia;

  d) prevedere l'adozione di misure correttive al Cbam volte a mitigare gli effetti negativi del medesimo sulla capacità di esportazione di prodotti europei verso i mercati esteri.
(1-00268) «Ruffino, Richetti, Bonetti, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Carfagna, Castiglione, Enrico Costa, Onori, Pastorella, Rosato».

(9 aprile 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il Green deal europeo (European Green deal, Egd), lanciato nel 2019 dall'attuale Commissione europea, è stato concepito per arrivare al traguardo della trasformazione dell'Unione europea nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050, implementando tale visione con una roadmap legislativa. Nato come strategia di decarbonizzazione, il Green deal europeo è al contempo un nuovo paradigma industriale e un'iniziativa di rilancio del progetto di integrazione europea. Contrariamente ad esperienze precedenti, tale iniziativa si è rafforzata nel contesto delle due grandi crisi che hanno interessato l'Europa negli ultimi anni: la pandemia e l'aggressione russa in Ucraina, come attestano le risorse che hanno continuato a essere investite nel processo di decarbonizzazione e la revisione al rialzo dei target climatici a livello europeo;

    2) la misura chiave del Green deal europeo è la legge climatica europea adottata nel 2021, che ha introdotto per la prima volta un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di lungo periodo. La legge climatica ha, inoltre, allineato l'obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 con quello di lungo termine, portandolo dal 40 al 55 per cento. Per il raggiungimento di tale obiettivo, la Commissione europea ha presentato nel luglio del 2021 il pacchetto legislativo Fit for 55, inclusivo di misure di adeguamento della legislazione precedente e di nuove iniziative. Fra le prime figurano la riforma dell'Emission trading scheme (Ets), allo stato il principale strumento economico comunitario – insieme al mainstreaming del clima nel quadro finanziario pluriennale – per il raggiungimento degli obiettivi climatici; interventi regolatori come la riforma delle direttive rinnovabili (Red III), efficienza energetica (Eed), performance energetica degli edifici (Epbd) e dei regolamenti sugli standard emissivi per auto e furgoni, sui settori non soggetti all'Ets (Ese) e sull'uso e modifiche d'uso del territorio e delle foreste (Lulucf);

    3) per quanto attiene al sistema per lo scambio di quote di emissioni nell'Unione europea (EU Ets), istituito dalla direttiva 2003/87/CE e riferimento essenziale della politica dell'Unione in materia di clima, di cui costituisce finora lo strumento fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra in modo efficace anche sotto il profilo dei costi, c'è da rilevare che l'obbligo di aderire al sistema Ets per le aziende europee di alcuni settori, soprattutto quelli di settori energivori ovvero della manifattura, lascia esposte alla concorrenza di aziende straniere che non sono soggette a tariffe e norme ambientali altrettanto stringenti nei Paesi in cui producono;

    4) fra le nuove misure proposte, le più significative riguardano l'estensione del prezzamento delle emissioni ai settori dei trasporti e degli edifici – al momento al di fuori dell'Ets e responsabili di circa un terzo delle emissioni europee – e la regolamentazione delle emissioni di metano nel settore energetico. Particolarmente rilevante e impattante sul tessuto produttivo comunitario è poi l'introduzione del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon border adjustment mechanism, Cbam), un dazio sul contenuto carbonico nelle importazioni di acciaio, alluminio, fertilizzanti, cemento, elettricità e idrogeno;

    5) il Cbam è ispirato dalla doppia ambizione di: a) proteggere le industrie manifatturiere europee nei settori energivori dalla concorrenza estera nel processo di introduzione di tecnologie non emissive, che ne aumenteranno i costi di produzione, riducendone la competitività nel breve-medio periodo; b) incentivare esportatori extraeuropei a ridurre l'intensità carbonica delle loro produzioni. Per aiutare a proteggere l'industria europea dalla concorrenza sleale, è questo un meccanismo che stabilisce un prezzo del carbonio sulle importazioni di determinati prodotti nel tentativo di sostenere le industrie nazionali che saranno colpite da prezzi del carbonio più elevati rispetto alla concorrenza estera, quindi con la prospettiva di garantire uno sforzo corale per far sì che le riduzioni delle emissioni europee contribuiscano anche a un calo delle emissioni globali, invece di spostare semplicemente la produzione ad alta intensità di carbonio al di fuori dell'Europa – un fenomeno noto come «carbon leakage»;

    6) è previsto che il Cbam venga applicato inizialmente ad un ristretto numero di prodotti importati (cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità ed idrogeno), classificati secondo la nomenclatura combinata (cosiddetti codici NC, corrispondenti a quelli del regolamento CEE n. 2658/87), comprendendo sia le merci che sono utilizzate nella loro produzione sia, per evitare possibili pratiche elusive del meccanismo, determinate lavorazioni dei prodotti definite con differenti codici NC;

    7) è previsto, inoltre, che in una prima fase o fase di transizione (1° ottobre 2023 – 31 dicembre 2025) la misura non sia applicata interamente ai prodotti importati, ma che siano solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata, compresa la valutazione delle emissioni incorporate, e che contestualmente inizi l'attività di autorizzazione dei soggetti obbligati (i dichiaranti autorizzati Cbam);

    8) in una seconda fase (con avvio dal 1° gennaio 2026) è previsto che il meccanismo entri in funzione in maniera definitiva, sebbene attraverso un regime transitorio con la coesistenza con l'EU Ets, che durerà fino al 31 dicembre 2033;

    9) il Cbam è concepito, quindi, per creare condizioni di parità per i produttori dell'Unione europea che già da tempo pagano i permessi per l'inquinamento da carbonio nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione (l'Emission trading system o Ets);

    10) la prima fase del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere dell'Unione europea o Carbon border adjustment mechanism (Cbam) ha preso il via il 1° ottobre 2023, obbligando gli esportatori di sei settori industriali ad alta intensità energetica a comunicare le proprie emissioni di carbonio alle autorità dell'Unione: l'idea, almeno sulla carta, è che col Cbam i produttori stranieri dovranno pagare lo stesso prezzo delle emissioni di carbonio pagato dai produttori dell'Unione europea. L'obiettivo, oltre a ripristinare condizioni di maggiore parità nella concorrenza, è quello di incoraggiare una produzione più pulita anche all'estero e di impedire la delocalizzazione delle industrie europee;

    11) l'avvio del meccanismo del Cbam sta aprendo fronti di tensione con economie emergenti e Paesi in via di sviluppo: l'ipotesi di una futura estensione del Cbam alla totalità dell'import dell'Unione europea appare particolarmente penalizzante, sia per economie emergenti, come Russia, Sudafrica, India e Cina, sia per Paesi del vicinato, come Algeria, Turchia e Ucraina, sia per i Paesi in via di sviluppo nell'Africa sub-sahariana o nel Sud-Est asiatico. Soprattutto per le economie meno avanzate, l'adattamento appare particolarmente difficile a causa di popolazioni in espansione, mancanza di risorse finanziarie e amministrative per l'adattamento alla normativa e i lunghi tempi richiesti dalla decarbonizzazione industriale: le prime tensioni si starebbero già trasferendo – almeno per il momento – a livello di Organizzazione mondiale del commercio, visto che la Cina ha chiesto all'Unione europea di giustificare il Cbam presso l'Organizzazione mondiale del commercio, suggerendo che potrebbe iniziare un'azione presso la corte di Ginevra e che segnali di possibili ricorsi sono giunti anche dall'India, grande esportatore di acciaio, ferro e alluminio;

    12) anche per quanto attiene il contesto europeo e italiano, il nuovo sistema rischia di rivelarsi un onere amministrativo considerevole non solo per gli importatori e i produttori extra-Unione europea, ma anche per le autorità degli stessi Paesi dell'Unione europea, stante il fatto che l'attuazione del Cbam varierà probabilmente da Paese a Paese, come nel caso del sistema di scambio delle quote di emissione, visto che gli approcci delle autorità nazionali competenti tendono a essere diversi, con diversi tempi di sdoganamento, di capacità di verifica delle emissioni tra gli Stati membri che potrebbero portare a colli di bottiglia nel processo, di potenziali complicazioni derivanti dall'obbligo di importatori e produttori di condividere con le autorità nazionali informazioni dettagliate, alcune delle quali potrebbero essere riservate;

    13) è necessario, inoltre, stabilire una connessione fra gli obiettivi climatici e l'attuale dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita che può rappresentare un'importante opportunità per riflettere sull'adeguatezza degli strumenti finanziari a disposizione per gli ambiziosi traguardi di rimpatrio di capacità industriale stabiliti dal regolamento sull'industria a zero emissioni nette e da quello sulle materie prime critiche, anche alla luce del fatto che il Cbam potrebbe portare tra i 5 e i 14 miliardi di euro di entrate all'anno e che va deciso in che modo utilizzare tali risorse,

impegna il Governo:

1) ad avviare le opportune interlocuzioni con le istituzioni eurounitarie al fine di:

  a) monitorare ed eventualmente modificare il meccanismo stesso e la sua attuazione, al fine non solo di verificarne l'impatto sulle imprese e sui consumatori, ma di valutarne altresì l'effettiva efficacia, anche per la futura applicazione ad altri settori, valutando gli impatti effettivi su tutta la catena del valore dei prodotti, prevedendo la cessazione delle compensazioni dei costi indiretti di anidride carbonica per le imprese esposte al carbon leakage solo in seguito alla completa decarbonizzazione del sistema elettrico, nonché la riduzione al minimo della differenza tra emissioni dirette e costi indiretti e la piena valutazione degli impatti sulle imprese a valle nella catena di approvvigionamento;

  b) in ragione della progressiva applicazione del Cbam accompagnata a una graduale riduzione delle assegnazioni gratuite, assicurare tramite le idonee iniziative una corrispondenza tra i due sistemi con riguardo al calcolo delle emissioni incorporate nei prodotti, semplificando le modalità autorizzative, le relative comunicazioni, la contabilità delle emissioni;

  c) estendere l'applicazione anche all'impronta carbonica dei prodotti a valle del ciclo produttivo delle merci incluse nel Cbam;

  d) valutare, nel rispetto delle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, misure che possano salvaguardare la competitività delle imprese europee in relazione alle esportazioni e verificare attentamente l'impatto del meccanismo nei settori in cui le importazioni si rendono necessarie a causa di un'insufficiente offerta all'interno dell'Unione europea, al fine di valutare la possibilità di adottare specifiche misure per le imprese operanti in tali settori, anche prevedendo misure di supporto finanziate a livello di Unione europea;

  e) rafforzare le misure antielusione, tenendo conto anche del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di anidride carbonica da parte di Paesi terzi che potrebbero ridistribuire i flussi di esportazioni inviando i prodotti a basse emissioni di carbonio verso l'Europa e quelli ad alta impronta di carbonio verso Paesi extra Unione europea;

  f) sostenere l'utilizzo delle ingenti risorse derivanti dall'Ets e dal Cbam per il finanziamento di strumenti europei finalizzati alla creazione di catene del valore nei settori strategici legati alla green economy.
(1-00270) «Peluffo, Simiani, De Luca, Braga, Curti, De Micheli, Di Sanzo, Ferrari, Gnassi, Iacono, Madia, Orlando, Scarpa».

(9 aprile 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) l'ultima relazione speciale del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), concernente gli effetti dell'aumento globale delle temperature di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali e alle relative traiettorie delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale, costituisce la base scientifica per affrontare i cambiamenti climatici e conferma l'assoluta necessità di intensificare l'azione per il clima. La relazione ci dice con chiarezza che, al fine di ridurre la probabilità di eventi meteorologici estremi, le emissioni di gas a effetto serra devono essere ridotte con urgenza e che i cambiamenti climatici devono essere limitati a un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi;

    2) è certamente responsabilità di tutti i Paesi, come riconosciuto durante la Cop28, agire immediatamente con misure severe per poter ottenere risultati efficaci. L'Unione europea si è mossa sviluppando iniziative riguardanti il clima e l'ambiente, in linea con l'accordo di Parigi: prima fra tutte, il pacchetto legislativo Fit for 55, che rispecchia l'ambizione europea di raggiungere una riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 55 per cento entro il 2030 e di poter arrivare a un'Unione europea climaticamente neutra entro il 2050;

    3) una sfida onerosa ma necessaria, che si concretizza attraverso una serie di interventi normativi, tra cui, il regolamento (UE) 2023/956 del 16 maggio 2023, che istituisce il «Carbon border adjustment mechanism», un meccanismo di politica ambientale di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) che si applicherà alle importazioni di determinate merci (cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno), la cui produzione è ad alta intensità di carbonio (hard to habate) e che presenta un alto rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio;

    4) il Cbam mira a creare condizioni di parità per i produttori dell'Unione europea che già da tempo pagano i permessi per l'inquinamento da carbonio nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissione dell'Unione (l'Emission trading system o Ets). L'obbligo di aderire al sistema Ets per le aziende europee di alcuni settori le lascia, infatti, esposte alla concorrenza di aziende straniere che non sono soggette a tariffe e norme ambientali altrettanto stringenti nei Paesi in cui producono;

    5) con il Cbam, i produttori stranieri dovranno pagare lo stesso prezzo delle emissioni di carbonio pagato dai produttori dell'Unione europea, con l'obiettivo, oltre a quello di ripristinare condizioni di maggiore parità nella concorrenza, di incoraggiare una produzione più pulita anche all'estero, evitando la delocalizzazione delle industrie europee in paesi con minor standard ambientali e riducendo il dumping ambientale e sociale;

    6) l'obiettivo principale dell'adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) è una misura largamente ispirata dal principio «chi inquina paga», che intende spingere i produttori dei Paesi terzi a rendere più green le loro catene di approvvigionamento;

    7) da gennaio 2024 è iniziata una fase transitoria per tutti i soggetti interessati (importatori, produttori e autorità), che consentirà alla Commissione europea di poter raccogliere informazioni utili sulle emissioni al fine di poter migliorare la metodologia in vista del 2026, quando il meccanismo (Cbam) entrerà a pieno regime e quando gli importatori di prodotti ad alta impronta di carbonio dovranno pagare una tassa qualora i gas serra emessi per produrre questi beni superano quelli che sarebbero stati emessi se la produzione fosse avvenuta in Europa;

    8) il regolamento Cbam individua quali destinatari coloro che sono importatori di specifiche categorie merceologiche, che, al momento dell'entrata in vigore dello stesso, sono: cemento e prodotti in cemento, energia elettrica, fertilizzanti, vari prodotti in ghisa, ferro e acciaio, alluminio e sostanze chimiche. In futuro l'elenco delle categorie è destinato a ricomprendere ulteriori tipologie di merci, comprese quelle assoggettate alla normativa Ets;

    9) il Parlamento europeo e il Consiglio hanno deciso di introdurre il Cbam gradualmente, sia per consentire agli operatori economici di entrare poco alla volta nel complesso meccanismo previsto dal regolamento di base, sia per calibrare i futuri interventi e aggiornamenti del meccanismo. L'applicazione è stata pertanto divisa in due fasi: la prima, denominata periodo transitorio, iniziata il 1° ottobre 2023, terminerà il 31 dicembre 2025. Nel periodo transitorio sono previsti obblighi esclusivamente informativi, senza che si debba pagare nulla al momento dell'immissione in libera pratica delle merci Cbam, attraverso la presentazione di relazioni periodiche trimestrali da parte degli importatori o dei loro rappresentanti (indiretti). A partire dal 1° gennaio 2026, i dichiaranti autorizzati dovranno presentare annualmente, e non più trimestralmente, la relazione sul portale Registro Cbam e il meccanismo entrerà definitivamente in vigore solo nel 2032;

    10) l'adeguamento del carbonio alle frontiere costituisce uno strumento necessario per esercitare una pressione politica e commerciale volta a persuadere i Paesi extra-Unione europea ad adottare meccanismi di tutela ambientale similari a quelli assunti in Europa, per uniformare maggiormente le condizioni di concorrenza sui mercati internazionali e contenere la concentrazione media globale di anidride carbonica, che nel 2023 ha raggiunto le 420 parti per milione, molto al di sopra del confine planetario proposto di 350 parti per milione, una riduzione senza la quale crisi climatica è destinata a diventare irreversibile;

    11) il nuovo dispositivo sta alimentando incertezze circa i costi economici che potrà comportare, a fronte degli evidenti vantaggi climatici e di mitigazione della concorrenza sleale che intende offrire, e il periodo transitorio per l'entrata in vigore del meccanismo serve proprio a correggere eventuali criticità, che opportunamente risolte saranno in grado di dare maggior equilibrio concorrenziale e tutelare i settori europei,

impegna il Governo:

1) ad avviare opportune interlocuzioni con le istituzioni europee affinché:

  a) il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) venga esteso anche ai prodotti finiti extraeuropei, al fine di ridurre il dumping ambientale e sociale nella politica commerciale e scongiurare il rischio di delocalizzazione delle produzioni di prodotti finali o intermedi da parte delle imprese dell'Unione europea, delocalizzazione che non solo produrrebbe un danno economico e strategico al sistema industriale, ma ulteriori effetti drammatici sull'occupazione nei Paesi dell'Unione;

  b) siano promossi accordi commerciali per supportare, anche attraverso strumenti di finanza internazionale e trasferimenti tecnologici, i Paesi meno sviluppati e quindi maggiormente vulnerabili che potrebbero non essere in grado di soddisfare i requisiti green, nello sviluppo di capacità produttiva che tenga conto degli standard ambientali dell'Unione europea;

  c) in assenza di sostegno internazionale ai Paesi in via di sviluppo, sia considerata la possibilità che i Paesi meno sviluppati siano esentati dal meccanismo, in base al principio della Convenzione Unfccc sulle responsabilità comuni ma differenziate, che prevede un trattamento distinto per i Paesi in via di sviluppo, impossibilitati a raggiungere i requisiti previsti;

  d) sia favorita, attraverso un approccio diplomatico con i Paesi con i quali l'Unione europea ha i più significativi rapporti commerciali sui prodotti oggetto del Cbam, un efficace e costante collaborazione con i fornitori di Paesi terzi che esportano le merci per garantire la fornitura di dati, informazioni e metodi di calcolo per la contabilità delle emissioni, ai fini delle dichiarazioni Cbam da parte delle aziende europee;

  e) sia garantito il coordinamento tra il meccanismo Cbam e la riforma del mercato europeo di scambio delle quote di emissione dell'anidride carbonica (EU Ets), in modo da evitare vuoti temporali fino all'applicazione definitiva del meccanismo;

2) ad adottare iniziative volte a indirizzare parte dei ricavi derivanti dall'applicazione del meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera per sostenere processi di innovazione più performanti, per la decarbonizzazione dell'industria manifatturiera e l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili, per progetti di autoproduzione che consentano alle imprese di emanciparsi dall'utilizzo delle fonti fossili, per l'elettrificazione del calore industriale;

3) ad adottare iniziative volte a rafforzare, nell'ambito degli obiettivi di riduzione delle emissioni a effetto serra che lo stesso meccanismo Cbam persegue, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, sostenendo maggiori investimenti e disponendo adeguate semplificazioni per l'installazione di nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile per almeno 13 gigawatt annuali per i prossimi sei anni.
(1-00272) «Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti».

(9 aprile 2024)

MOZIONI IN MATERIA DI POLITICHE DEL LAVORO, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLE INIZIATIVE VOLTE ALLA LOTTA AL PRECARIATO

   La Camera,

   premesso che:

    1) in questi anni le crisi hanno acuito le diseguaglianze a livelli inaccettabili, con una fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani, con la polarizzazione tra le diverse categorie di lavoratori, tra le retribuzioni, tra i generi e le diverse generazioni;

    2) per una ripresa equa e stabile nel nostro Paese è necessario un vero e proprio «nuovo contratto sociale», che sul fronte del lavoro veda al centro una serrata lotta alla precarietà, allo sfruttamento e alla povertà, limitando il ricorso a tutte quelle formule contrattuali che minano il concetto di buona e stabile occupazione e che colpiscono le fasce più fragili della popolazione, a cominciare dai giovani e dalle donne;

    3) la sfida dei mercati internazionali, così come quella della rivoluzione tecnologica e della transizione ecologica, non può più essere affrontata puntando sulle basse retribuzioni, sulla compressione dei diritti dei lavoratori e su bassi livelli di produttività, pena il rischio della marginalità e di squilibri sociali drammatici. Non ultimo, è di tutta evidenza il nesso tra la precarietà del lavoro e l'acuirsi dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, con il tragico corollario dei tanti morti e infortuni che ancora affliggono il nostro mercato del lavoro;

    4) tali sfide non possono essere affrontate con soluzioni anacronistiche e decontestualizzate dal livello globale. La stessa dimensione nazionale rischia di non essere più adeguata per assicurare una reale capacità competitiva per il nostro sistema produttivo e per il mantenimento di adeguati livelli occupazionali in grado di assicurare una vita dignitosa e di sostenere un sistema di welfare al passo con le sempre nuove esigenze della popolazione;

    5) secondo il benchmarking working Europe 2024, predisposto dal centro di ricerca della Confederazione europea dei sindacati, la retribuzione reale media, al netto dell'inflazione, è scesa nel 2023 dello 0,7 per cento. Per i lavoratori italiani questo valore si è attestato a un meno 2,6 per cento. Peggio di noi hanno fatto solo l'Ungheria e la Repubblica Ceca;

    6) dalla stessa analisi, e non solo, emerge che i profitti delle imprese negli ultimi due anni sono cresciuti in termini reali. Un dato che, secondo, la Banca centrale europea, è alla base dell'impennata inflazionistica registratasi negli ultimi anni. Secondo gli economisti della Banca centrale europea, non si è innescata alcuna pericolosa spirale salari-prezzi, tanto più nel caso italiano, ma ad alimentare la corsa dei prezzi innescata da ripresa post-Covid e dalla guerra in Ucraina il fattore più incisivo sono i profitti nell'Eurozona;

    7) in base ai dati di Eurostat, l'Italia è l'unico Paese tra i 27 Stati Ue con un indice del costo del lavoro in recessione dello 0,1 per cento nell'ultimo trimestre 2023, rispetto all'analogo periodo del 2022. Un valore che si scontra con il dato medio del 3,8 per cento per i Paesi Ue e del 3,1 per cento per i Paesi dell'Eurozona;

    8) come già tristemente noto, l'Italia è l'unico Paese dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9 per cento), mentre in Germania è cresciuto del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento. Si tratta di un andamento composto, infatti nella decade 1990-2000 e in quella 2000-2010 i salari in Italia sono cresciuti, seppure con una dinamica piatta, rispettivamente dello 0,7 per cento e del 5,2 per cento. L'ultima decade 2010-2020 è stata quella maggiormente negativa con una caduta del –8,3 per cento. In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia progressivamente dal –14,6 per cento (1990-2000), al –15,1 per cento (2000-2010) e, infine, al –19,6 per cento (2010-2020). Allo stesso tempo, questi valori si sono accompagnati ad un andamento della produttività del lavoro che, sebbene meno significativa rispetto a quella degli altri Paesi dell'area, è comunque cresciuta più dei salari, quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro;

    9) tra le principali cause dei bassi livelli salariali in Italia si segnalano la discontinuità lavorativa, il part-time e la precarietà contrattuale, a cui bisogna aggiungere la maggior presenza di basse qualifiche e i mancati rinnovi contrattuali;

    10) i dati Eurostat mostrano come, nel 2022, all'interno dell'occupazione dipendente l'Italia abbia registrato, da un lato, una percentuale di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche nettamente più bassa rispetto alle altre principali economie europee e, dall'altro, una quota delle professioni non qualificate marcatamente più alta di quella osservata in Germania e Francia e di poco inferiore a quella della Spagna. Parimenti si segnalano due fattori quali l'alta incidenza del lavoro a termine (16,9 per cento, inferiore solo alla Spagna dove, però, e in diminuzione) e del part-time involontario (57,9 per cento, la più alta di tutta l'Eurozona);

    11) valori che si accompagnano ad un'altra anomalia del nostro mercato del lavoro. Nel 2022, secondo i dati OCSE, le ore medie lavorate annualmente dai lavoratori dipendenti in Italia sono state 1.563, un numero pari a quello della Spagna ma decisamente più alto di quello osservato in Germania (1.295 ore) e in Francia (1.427 ore). Dalla lettura congiunta, da un lato, delle ore lavorate e, dall'altro, della quota salari sul PIL desunta dalla banca dati macroeconomica della Commissione europea (Ameco), emerge come in Italia, benché si lavori comparativamente di più, la quota di reddito destinata a remunerare il lavoro dipendente tramite i salari sia notevolmente più bassa, perfino della Spagna;

    12) inoltre, dagli stessi dati Ocse sulle ore lavorate, emerge che i Paesi con la più alta produttività del lavoro tendono a coincidere con quelli in cui gli orari di lavoro sono più brevi e ove quindi si investe maggiormente in dotazioni aziendali e organizzazione sostenibile del lavoro. Non a caso, si moltiplicano le esperienze di riduzione dell'orario lavorativo a parità di salario che, tra l'altro, implicano spesso un coinvolgimento della contrattazione di prossimità, nonché un buon effetto di contrasto alla disparità tra i generi nel mercato del lavoro, anche salariale;

    13) per l'Italia, al quadro appena tracciato, bisogna aggiungere come i lunghi, ed ingiustificati, ritardi nel rinnovare i contratti collettivi nazionali di lavoro (durata media pari a 30,8 mesi nel 2022) determinino un'elevata quota percentuale di lavoratori dipendenti con un contratto scaduto (53,2 per cento nell'intera economia nel 2022) (Istat, 2024). Questo si traduce in un ingente massa salariale non in linea con l'aumento dei prezzi che, in una fase di alta inflazione cumulata, determina una forte diminuzione del potere d'acquisto dei lavoratori. La caduta dei salari reali diventa ancora più drammatica dal momento che la crescita dei prezzi ha effetti differenziati sulla popolazione per via della differente composizione del paniere e dei redditi familiari: nel solo 2022, a fronte di un'inflazione generale del +8,7 per cento l'impatto è stato molto più ampio sulle famiglie con minor capacità di spesa (+12,1 per cento) rispetto a quelle con maggior capacità di spesa (+7,2 per cento). In tale contesto, va salutato positivamente il recente rinnovo del contratto nazionale del commercio;

    14) un'analisi confermata nel documento «Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia» approvato dal Cnel, il 12 ottobre 2023, per il quale uno dei fattori che maggiormente ha penalizzato il potere di acquisto delle retribuzioni è rappresentato dal ritardo nei rinnovi contrattuali, che si protrae anche per anni;

    15) i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati nell'archivio nazionale del Cnel, aggiornato al 30 giugno 2023, sono 1.037 (Ccnl lavoratori privati, Ccnl lavoratori pubblici, Ccnl lavoratori parasubordinati e accordi economici collettivi per alcune categorie di lavoratori autonomi). Dei 976 Ccnl relativi al settore privato, 553 risultano scaduti (57 per cento). I lavoratori privati con un contratto che risultava scaduto al 30 giugno 2023 erano 7.732.902, il 56 per cento su un totale di 13.839.335;

    16) corollario fondamentale per delineare un quadro certo di regole in materia di individuazione di adeguati livelli retributivi, in coerenza con i princìpi costituzionali e comunitari, è quello legato alla definizione e alla disciplina della misurazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali, scongiurando il dumping salariale generato dai cosiddetti «contratti pirata»;

    17) tra i fattori che maggiormente incidono sulla condizione reddituale ed esistenziale di milioni di lavoratori, come evidenziato dal citato documento Cnel dell'ottobre scorso, vi è il tema della precarietà tanto diffusa soprattutto per alcune categorie di lavoratori, come i giovani e le donne. In questo poco lusinghiera classifica dei rapporti a tempo determinato, anche con termini brevi e brevissimi, l'Italia è al sesto peggior posto, con una media nazionale al 16,8 per cento che balza al 23 per cento nel Mezzogiorno;

    18) i recenti dati, testimoniati dall'Istat e da Eurostat, mostrano un aumento dell'occupazione complessiva pari a 23,7 milioni di occupati, per una percentuale del tasso di occupazione pari al 66,3 per cento della fascia di età 20-64 anni, tuttavia ancora distante 10 punti rispetto alla media europea, così come della percentuale degli occupati a tempo indeterminato. Tuttavia, un'analisi più approfondita ci segnala come l'incremento dell'occupazione stabile non sia la conseguenza di misure volte a limitare la precarietà, ma il risultato del blocco dell'uscita pensionistica determinato dalla riforma Fornero e dalle ulteriori restrizioni introdotte con le due ultime due leggi di bilancio e dalle difficoltà che le imprese incontrano sempre più spesso a trovare figure con particolari specializzazioni;

    19) a rendere ancora più fragile ed ingiusto il nostro mercato del lavoro va evidenziato il tema dell'occupazione femminile, che in Italia risulta essere – secondo dati relativi al IV trimestre 2022 – quello più basso tra gli Stati dell'Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Un divario che si conferma anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. A ciò si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Una condizione che risulta ancora più aggravata dall'accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    20) in tale quadro, si noti che l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: l'Osservatorio Domina, nel relativo Rapporto annuale 2023, rileva infatti che oltre il 21 per cento del «Pil del lavoro domestico» italiano è prodotto nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso. Sebbene si registri una «distanza» tra dati ufficiali disponibili e dimensione reale del fenomeno, tale per cui secondo i dati ufficiali dell'Osservatorio sul lavoro domestico dell'Inps, nell'anno 2021 i lavoratori domestici regolari erano pari a circa la metà di quelli indicati dall'Istat; secondo le stime dell'Istituto statistico, il tasso di irregolarità nel settore supera addirittura il 50 per cento. Tali numeri confermano pertanto l'impatto del sommerso che, stando alla «Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva», pubblicata contestualmente alla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023, nell'anno d'imposta 2020, riportava che l'evasione Irpef del personale domestico si collocherebbe a circa 994 milioni di euro (pari al 30,4 per cento dell'evasione complessiva di tutti i lavoratori dipendenti irregolari, stimata in 3,2 miliardi di euro);

    21) altrettanto rilevante è il capitolo relativo all'occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni, che se nel 2023 è migliorato raggiungendo il 43,7 per cento, un valore che non si registrava dall'inizio del 2011, tuttavia, non ha però invertito la tendenza di lungo periodo: negli ultimi 18 anni – dal 2004 al 2022 – l'occupazione di giovani tra i 15 e i 34 anni è infatti diminuita di 8,6 punti percentuali (dal 52,3 al 43,7 per cento) mentre per la fascia 50-64 anni è aumentata di 19,2 punti (dal 42,3 al 61,5 per cento);

    22) l'occupazione dei giovani italiani è caratterizzata da un'alta vulnerabilità: difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro, forme contrattuali che non garantiscono rapporti di lavoro di lungo periodo e avanzamenti di carriera più lenti e meno appaganti di quelli delle generazioni precedenti. I dati evidenziano che la quota di dipendenti con contratto a termine è infatti molto più alta tra la popolazione giovane (30,2 per cento) rispetto alla restante (13,2 per cento) maggiore è anche la percentuale di giovani che lavorano a tempo parziale per mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, 13,8 per cento contro valori inferiori al 10 per cento nel caso delle altre fasce di età;

    23) allo stesso tempo, non si può non ricordare come, secondo il report redatto da Fondazione Nord-Est e dell'associazione Talented Italians in the UK che ha elaborato i dati Eurostat, l'Italia ha perso 1,3 milioni di persone andate a lavorare e vivere all'estero negli ultimi 10 anni. Un fenomeno paragonabile a quanto succedeva negli anni '50 del secolo scorso, quando però chi se ne andava dal nostro Paese aveva un basso livello di scolarizzazione, mentre oggi si stima che un emigrante su tre sia laureato;

    24) i tanti lavoratori in Italia che non hanno un contratto collettivo di lavoro di riferimento o che si vedono negare una retribuzione corrispondente a quella prevista dai contratti nazionali, i cosiddetti «working poors», attendono ancora che anche nel nostro Paese sia prevista una apposita disciplina volta ad assicurare condizioni retributive minime, in linea con le previsioni del primo comma dell'articolo 36 della Costituzione, che dispone «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;

    25) con la direttiva (UE) 2022/2041 sono stati fissati quattro obiettivi principali: il salario minimo deve sempre garantire un tenore di vita dignitoso; le norme dell'Unione europea rispetteranno le pratiche nazionali di fissazione dei salari; il rafforzamento della contrattazione collettiva nei paesi in cui è coinvolto meno dell'80 per cento dei lavoratori; il diritto di ricorso per i lavoratori, i loro rappresentanti e i sindacalisti in caso di violazione delle norme;

    26) nell'Unione europea il salario minimo legale è in vigore in grandi Paesi come Francia e Germania e sono soltanto cinque gli Stati, oltre all'Italia, dove ancora non è previsto;

    27) la recente sentenza della Corte di cassazione – sezione lavoro – n. 27713 ha statuito che: «Nell'attuazione dell'articolo 36 della Costituzione il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall'articolo 36 della Costituzione, anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata. Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe, può fare altresì riferimento, all'occorrenza, ad indicatori statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022»;

    28) alla luce di tali evidenze, appare necessaria una radicale revisione della impostazione della politica del lavoro nel nostro Paese, che veda al centro la valorizzazione del fattore lavoro, quale elemento di emancipazione e di partecipazione sociale e democratica di tutti i cittadini,

impegna il Governo:

1) ad avviare un concreto e tempestivo confronto con le parti sociali realmente rappresentative, volto a definire una nuova strategia in materia di lavoro nel nostro Paese, anche attraverso la realizzazione di un piano straordinario pluriennale per il lavoro, che metta al centro la buona e stabile occupazione, il contrasto a ogni forma di precarietà attraverso una vera e propria «bonifica» normativa, anche sulla base delle recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di licenziamenti illegittimi – da ultimo, la sentenza n. 183 del 2022, con la quale si sollecita il legislatore a non protrarre l'inerzia legislativa in materia, che indurrebbe la Corte, qualora nuovamente investita, a provvedere direttamente – e l'incremento della partecipazione al lavoro, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, così come al Mezzogiorno e alle aree interne e coerente con la transizione e conversione ecologica;

2) ad adottare le iniziative di competenza volte a monitorare e rafforzare le misure di contrasto delle forme di penalizzazione del lavoro delle donne e di divario retributivo di genere;

3) a favorire, con la massima sollecitudine, ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, volta a dare piena e tempestiva attuazione ai principi e alle finalità della direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, così come agli indirizzi espressi dalla Corte di cassazione, introducendo anche nel nostro ordinamento il riconoscimento ai lavoratori e alle lavoratrici di ciascun settore economico di un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, assicurando in ogni caso livelli retributivi in grado di garantire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa, anche attraverso l'introduzione del salario minimo legale, corrispondente a un trattamento economico minimo orario non inferiore a 9 euro, aggiornato annualmente per tenere conto, in particolare, dell'aumento della produttività e dell'inflazione;

4) ad adottare iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a rivedere la disciplina dei finanziamenti o delle agevolazioni pubbliche, condizionandoli alla garanzia della stabilità occupazionale, prevedendo la restituzione dei contributi e/o dei finanziamenti in caso di delocalizzazioni;

5) ad investire nella pubblica amministrazione attraverso la stabilizzazione del personale precario e un piano straordinario di assunzioni, anche tramite lo scorrimento delle graduatorie vigenti relative a tutti i concorsi pubblici già espletati;

6) a predisporre, per quanto di competenza, specifiche misure volte a prevedere un'indispensabile differenziazione tra contratti ancora in vigore e contratti già scaduti, prevedendo opportune disposizioni di premialità, qualora il rinnovo intervenga entro la scadenza o entro termini strettamente fisiologici e giustificati, e di penalizzazione nel caso il rinnovo si protragga oltre i suddetti termini;

7) a favorire, per quanto di competenza e con il pieno coinvolgimento delle parti sociali, una disciplina normativa di sostegno per la regolamentazione della rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che restituisca certezza nelle relazioni industriali e superi la proliferazione di sigle di comodo, così come la moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da organizzazioni che non hanno alcuna rappresentatività reale;

8) per quanto attiene al contrasto ad ogni forma di precarietà, ad adottare le iniziative di competenza, in particolare di carattere normativo, volte a:

  a) rivedere la disciplina in materia di contratti a tempo determinato, riconducendone il ricorso a quelle situazioni puntuali e straordinarie per le quali è giustificata tale modalità di prestazione lavorativa e distinguendone la disciplina contributiva in ragione della maggiore o minore durata di detti contratti, riaffermando l'ordinarietà del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;

  b) adottare le opportune misure volte a monitorare e scoraggiare la diffusione del part-time involontario e di quello fittizio;

  c) ricondurre la disciplina della somministrazione entro limiti ben circoscritti e verificabili, sia dal punto di vista delle condizioni, così come del numero massimo dei lavoratori fisiologicamente utilizzabili;

  d) eliminare la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente;

  e) rivedere la disciplina dell'appalto tra privati, al fine di assicurare che detto istituto non si riduca ad un mero esercizio di potere organizzativo e direttivo dei lavoratori utilizzati nell'appalto e che al personale impiegato in appalti di opere o servizi sia sempre assicurato il trattamento economico e normativo complessivo applicato dal committente e, comunque, non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e territoriale sottoscritta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

  f) ricondurre la disciplina del lavoro occasionale entro limiti ben circoscritti di specifiche prestazioni lavorative caratterizzate dalla discontinuità e occasionalità e per determinate categorie di lavoratori, quali gli studenti, gli inoccupati, i pensionati e i disoccupati;

  g) riconoscere un valore economico al lavoro di cura e domestico nei termini di un social provisioning suscettibile di influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, contribuire alla riduzione del differenziale di genere e all'emersione del sommerso;

  h) rafforzare il sistema delle tutele in caso di trasferimento di ramo d'azienda, così come in caso di trasferimento e delocalizzazione della produzione, nonché di cooperative spurie;

9) ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per contrastare il fenomeno delle false partite Iva che coinvolgono, in particolare, molti giovani laureati e professionisti, iscritti agli ordini professionali e non in monocommittenza, il cui rapporto di lavoro è in realtà assimilabile dal punto di vista organizzativo e gerarchico a quello subordinato – senza le corrispondenti tutele – e con retribuzioni che, se parametrate su base oraria, risultano di gran lunga inferiori a quelle auspicabili per il salario minimo;

10) ad adottare iniziative volte ad assicurare che i giovani possano sempre poter contare su un complesso di tutele normative ed economiche durante la partecipazione ai tirocini formativi e agli stage;

11) ad adottare, in linea con le esperienze più avanzate in Europa, le opportune misure per assicurare l'estensione in termini di durata, nonché di copertura del congedo di paternità obbligatorio, prevedendo altresì che il congedo di maternità e il congedo di paternità godano di una copertura retributiva pari al 100 per cento, in modo da ridurre il disincentivo economico all'utilizzo dei congedi parentali per i padri;

12) a favorire, per quanto di competenza, l'adozione di misure volte a promuovere la sperimentazione della riduzione dell'orario lavorativo a parità di salario;

13) ad avviare un serio confronto con le parti sociali realmente rappresentative volto a definire una nuova strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, da implementare annualmente favorendo il pieno coinvolgimento del Parlamento, assicurando, nelle more, l'adozione di immediate misure volte ad affrontare le principali criticità, quali l'equiparazione delle tutele disposte nella disciplina degli appalti pubblici anche agli appalti tra privati, nonché l'eliminazione degli appalti a cascata e delle gare al massimo ribasso;

14) a riconsiderare ogni ipotesi di privatizzazione in atto di aziende controllate e/o partecipate dallo Stato, che, oltre a rappresentare la perdita di asset strategici per il Paese, spesso determinano, come accaduto in passato, fenomeni di precarizzazione del lavoro e riduzione dei livelli occupazionali.
(1-00265) (Nuova formulazione) «Scotto, Barzotti, Mari, Braga, Francesco Silvestri, Zanella, Aiello, Carotenuto, Fossi, Gribaudo, Laus, Sarracino, Tucci, Guerra, Auriemma, Barbagallo, Casu, Alfonso Colucci, Grimaldi, Piccolotti, Orlando, Zaratti».

(26 marzo 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) la crisi da Covid-19 e l'aggressione russa contro l'Ucraina hanno aggravato ulteriormente le disuguaglianze di reddito preesistenti in Italia, dove nel 2022 il quintile più ricco della popolazione guadagnava oltre cinque volte e mezzo rispetto al quintile più povero;

    2) negli ultimi 30 anni, i salari sono aumentati dell'1 per cento, contro un aumento medio nei Paesi Ocse pari al 32,5 per cento;

    3) secondo Inps, nel 2021 il 43,2 per cento dei lavoratori under-35 ha guadagnato meno di 10.000 euro lordi e il 39,8 per cento dei lavoratori under-35 aveva un contratto part time, con una percentuale del 50,9 per cento tra le giovani donne;

    4) secondo Istat, nel 2022, nonostante un aumento nominale dei salari del 3,1 per cento, l'inflazione media del 5,9 per cento ha determinato una diminuzione del 2,8 per cento dei salari reali. Nello stesso anno, oltre 944.000 famiglie con reddito da lavoro dipendente vivevano in condizioni di povertà assoluta;

    5) secondo Ocse, nel 2022 la retribuzione media annua lorda in Italia, corretta per il potere d'acquisto, è stata inferiore del 17 per cento rispetto a quella francese e del 31 per cento rispetto a quella tedesca, nonostante il numero medio di ore lavorate risultasse superiore;

    6) secondo Eurostat, nel 2023 il 12,9 per cento della popolazione lavorava a termine, superando di 1,4 punti percentuali la media europea. Di questi, il 57,9 per cento svolgeva le proprie mansioni in questa modalità su base involontaria. Tra i giovani l'incidenza era significativamente maggiore, pari al 71,5 per cento;

    7) l'Italia è l'unico Paese del G7 senza un salario minimo legale;

    8) la direttiva UE 2022/2041 ha previsto per gli Stati membri l'istituzione di procedure per l'implementazione di un salario minimo, al fine di garantire ai lavoratori un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa e promuovere la coesione sociale e la convergenza verso l'alto, nonché ridurre il divario salariale di genere;

    9) nel settembre 2015 tutti i 193 Paesi membri dell'Onu hanno sottoscritto l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, la quale unisce 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile in un grande programma d'azione per un totale di 169 traguardi. L'obiettivo 5 si propone di eliminare ogni forma di discriminazione e violenza per tutte le donne, mirando alla parità tra tutte le donne e le ragazze nei diritti e nell'accesso alle risorse economiche, naturali e tecnologiche, nonché alla piena ed efficace partecipazione delle donne e alla pari opportunità di leadership a tutti i livelli decisionali politici ed economici;

    10) la direttiva UE 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ha stabilito che, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, occorre eliminare la discriminazione diretta e indiretta basata sul sesso e concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni;

    11) la direttiva UE 2023/970, riprendendo la direttiva 2006/54, ha stabilito prescrizioni minime intese a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne: tali obiettivi dovranno essere conseguiti, in particolare, tramite la trasparenza retributiva e il rafforzamento dei relativi meccanismi di applicazione,

impegna il Governo:

1) ad assicurare, per quanto di competenza, una piena condivisione con il Parlamento nell'ambito del procedimento di attuazione della direttiva UE 2022/2041 sul salario minimo, introducendo, altresì, opportuni sistemi sanzionatori per le aziende che non si dovessero conformare alla normativa;

2) ad aprire un dialogo con le parti sociali per sviluppare una strategia comune contro la povertà e la precarietà e per sostenere il lavoro giovanile e femminile;

3) ad adottare iniziative normative volte ad attuare quanto prima la direttiva UE 2023/970, tenendo conto anche di quanto riportato nei considerando della direttiva medesima, in coerenza con la strategia per la parità di genere 2020-2025;

4) ad adottare iniziative di competenza volte a monitorare e a disincentivare la diffusione del part time involontario tramite provvedimenti normativi specifici.
(1-00269) «D'Alessio, Richetti, Bonetti, Benzoni, Grippo, Sottanelli, Carfagna, Castiglione, Enrico Costa, Onori, Pastorella, Rosato, Ruffino».

(9 aprile 2024)

   La Camera,

   premesso che:

    1) il lavoro rappresenta un diritto costituzionale incardinato nell'articolo 1: «l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro»;

    2) l'articolo 4 della Costituzione stabilisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»;

    3) le gravi crisi internazionali e la preoccupante ondata inflattiva che hanno colpito le economie europee, accompagnate dalle sfide rappresentate dalla rivoluzione tecnologica e dalla transizione green, costituiscono un importante banco di prova per il sistema economico e sociale italiano. Un sistema, nel passato, troppo spesso alimentato da misure assistenzialiste e dalla mancanza di lungimiranti politiche economiche, che hanno determinato fragilità anche strutturali, accentuatesi negli ultimi 20 anni a causa di una lunga recessione seguita dalla crisi pandemica;

    4) in questo scenario restano prioritarie le iniziative rivolte alle tematiche del lavoro, poiché il lavoro è essenziale alla crescita economica, a garantire un reddito alle persone, ad offrire sicurezza e dignità;

    5) difatti, dal suo insediamento, questo Governo è impegnato a creare condizioni favorevoli per l'occupazione, avviare politiche per stimolare la creazione di posti di lavoro, ridurre la disoccupazione e garantire una distribuzione equa dei redditi;

    6) i risultati di successo ottenuti riferiscono che, innanzitutto, è stata data tempestiva risposta all'emergenza occupazionale, all'eccessiva precarietà e al disallineamento tra domanda e offerta di lavoro;

    7) dall'esame dei dati Istat dei primi mesi del 2024 si evince come il numero di occupati in Italia continui a crescere. Si tratta di un trend che va a confermare una crescita in termini di occupazione, già registrata nel 2023;

    8) tale andamento positivo dell'occupazione è stato poi ulteriormente confermato dai dati pubblicati dall'Inps, il 18 gennaio 2024, dell'Osservatorio sul precariato, che vanno da gennaio a ottobre 2023. Il report attesta che le trasformazioni da tempo determinato sono risultate 653.000, fino a ottobre 2023, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2022 (+3 per cento). Le attivazioni di rapporti di lavoro incentivati nel corso dei primi dieci mesi del 2023 presentano nel complesso una variazione pari al +2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Nel dettaglio, l'esonero contributivo totale giovani registra una variazione percentuale positiva (+7 per cento), trainata dalle trasformazioni, mentre l'agevolazione «decontribuzione Sud» segna ancora una crescita (+6 per cento), attestandosi come l'agevolazione di maggior impatto, soprattutto per il numero di dipendenti coinvolti;

    9) ad ottobre 2023 il report segnala la conferma di un andamento «continuo e significativo di incremento delle posizioni di lavoro dipendente nel settore privato», trend attestato – dopo il rimbalzo post Covid – attorno alle 500.000 unità. Per il tempo indeterminato la variazione tendenziale annua risulta pari a +371.000 unità (oltre i tre quarti dell'incremento complessivo), mentre per quanto concerne tutte le altre tipologie contrattuali la variazione è pari a +136.000 unità;

    10) si tratta, dunque, di risultati importanti sull'occupazione, confermati nel tempo, che ci mettono di fronte ad uno scenario confortante dovuto alle politiche attive sul lavoro adottate dall'Esecutivo, alle misure che stanno favorendo un incremento in busta paga, come il taglio del cuneo contributivo confermato anche per il 2024, e alle agevolazioni nei confronti del sistema produttivo italiano per l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro;

    11) il Governo sta portando avanti innovativi strumenti di politiche attive del lavoro, come l'avviamento del Sistema informativo per l'inclusione sociale e lavorativa (Siisl), realizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con Inps, che favorisce l'incontro tra domanda e offerta di lavoro facendo ricorso a percorsi personalizzati che prevedono il rafforzamento delle competenze attraverso la formazione;

    12) con la legge di bilancio per il 2024 è stato introdotto uno sgravio contributivo totale in favore dei datori di lavoro privati che nel triennio 2024-2026 assumono donne disoccupate vittime di violenza, beneficiarie del contributo denominato reddito di libertà;

    13) sono previsti, inoltre, incentivi, a regime o ancora validi per il 2024, che riguardano, in particolare, le imprese che adottano una politica occupazionale attenta al rispetto della parità di genere, l'assunzione di giovani fino a 30 anni di età, di soggetti di età non inferiore a 50 anni disoccupati da oltre dodici mesi;

    14) sempre a contrasto della precarietà e per sostenere il potere d'acquisto delle famiglie e dei lavoratori di fronte all'incremento dei prezzi, per ciò che concerne il pubblico impiego, assumono particolare rilevanza le misure adottate in riferimento al personale, con riferimento alle facoltà assunzionali delle pubbliche amministrazioni, nonché alle procedure concorsuali e di stabilizzazione del personale precario;

    15) ciò premesso, le repentine trasformazioni del mercato del lavoro e le sfide in atto, come quelle provenienti dall'intelligenza artificiale, richiedono ulteriori iniziative volte ad incentivare il lavoro stabile e di qualità, garantire il benessere dei lavoratori e il sostegno al tessuto produttivo del Paese, per portare avanti un piano di politiche del lavoro che sia efficace e lungimirante,

impegna il Governo:

1) ad implementare ogni utile iniziativa a protezione dei lavoratori e delle lavoratrici, affinché siano instaurati rapporti di lavoro conformi alla normativa in materia, a condizioni giuste e dignitose e in presenza delle misure volte ad assicurare salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

2) a continuare ad investire in programmi di formazione e riqualificazione professionale per aiutare i lavoratori a sviluppare competenze – con particolare riferimento a quelle legate alle nuove tecnologie e al digitale – che li rendano più competitivi sul mercato del lavoro per rispondere alle esigenze delle imprese e favorire opportunità di lavoro stabile;

3) ad adottare iniziative volte a preparare i giovani al mondo del lavoro, anche introducendo iniziative finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali nelle attività educative e didattiche delle istituzioni scolastiche, nonché implementando le attività di apprendimento delle lingue straniere;

4) ad adottare iniziative che valorizzino quei benefici che provengono dall'utilizzo dell'intelligenza artificiale in termini di produttività e che non determinino una diminuzione dei posti di lavoro;

5) a proseguire nell'attuazione di iniziative volte a favorire la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese delle aree del Mezzogiorno d'Italia, incrementando ogni intervento volto a garantire un'occupazione di qualità, lo sviluppo delle imprese e la valorizzazione del territorio;

6) a garantire ogni utile iniziativa a sostegno delle categorie di lavoratori con maggiori difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, ponendo particolare attenzione ai lavoratori e alle lavoratrici disabili;

7) a favorire ogni iniziativa a sostegno dei lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona;

8) a valorizzare strumenti di flessibilità del lavoro per agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, prevedendo altresì forme innovative di organizzazione del lavoro anche finalizzate all'aumento della produttività delle aziende;

9) ad implementare la misura del congedo parentale e ogni strumento utile a conciliare famiglia e lavoro, con l'obiettivo di contrastare i fenomeni di precarietà legati alla maternità e alla paternità;

10) a valorizzare l'importanza della formazione tecnica e professionale e la loro rilevanza con riguardo all'occupazione, anche attraverso azioni di comunicazione mirate;

11) a porre in essere iniziative finalizzate al rafforzamento della contrattazione collettiva, per assicurare retribuzioni dignitose, favorire la parità di genere e implementare misure di welfare;

12) a promuovere ogni iniziativa volta alla prosecuzione degli interventi normativi previsti e finalizzati alla riduzione del costo del lavoro, alla semplificazione degli adempimenti burocratici previsti per imprese e lavoratori, al rafforzamento della contrattazione collettiva e al potenziamento delle iniziative per facilitare il reinserimento di chi è fuori dal mercato del lavoro;

13) a favorire la contrattazione di secondo livello, la cui offerta flessibile consente alle aziende di adattare più rapidamente le condizioni di lavoro alle mutevoli esigenze del mercato, contribuendo alla creazione di lavoro stabile mediante strumenti e incentivi che determinano condizioni lavorative competitive e il rafforzamento del sistema del welfare nel suo complesso.
(1-00271) «Rizzetto, Giaccone, Tenerini, Alessandro Colucci, Schifone, Nisini, Battilocchio, Brambilla, Coppo, Caparvi, Tassinari, Giovine, Giagoni, Malagola, Mascaretti, Volpi, Zurzolo».

(9 aprile 2024)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GADDA, FARAONE, DE MONTE, DEL BARBA, MARATTIN, BONIFAZI, BOSCHI, GIACHETTI e GRUPPIONI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:

   i prezzi dei carburanti, secondo le rilevazioni dell'8 aprile 2024, avrebbero raggiunto il prezzo più alto degli ultimi sei mesi;

   sul servito la benzina arriva a 2,048 euro al litro e il diesel a 1,951 euro, mentre il gpl ha un costo variabile tra 0,723 e 0,741 euro al litro e il metano auto da 1,308 a 1,414 euro al chilogrammo;

   tali rialzi rischiano di riaccendere ulteriormente l'inflazione, che già a marzo 2024 è schizzata all'1,3 per cento dallo +0,8 per cento di febbraio 2024 e si inseriscono in un sistema logistico italiano nel quale il trasporto avviene per l'88 per cento su gomma;

   riguardo alle famiglie, in un anno e mezzo, il potere d'acquisto dei salari è sceso del 7,3 per cento e un ulteriore aggravio del processo inflattivo avrebbe un impatto sociale molto forte;

   al contempo, la sostenibilità di alcune filiere, come, ad esempio, quella dell'autotrasporto e quella agricola – per la quale i costi di trasporto arrivano ad incidere fino ad un terzo sul totale – rischia di essere compromessa;

   i dati richiamati dimostrano che le disposizioni fin qui introdotte dal Governo riguardo all'esposizione dei cartelli relativi al prezzo medio/praticato non hanno comportato alcun beneficio al sistema e ai cittadini;

   in questo quadro si inserisce la forte preoccupazione delle associazioni di categoria dei gestori degli impianti della rete di carburanti che segnalano come le compagnie petrolifere, proprietarie dell'intera filiera distributiva, stiano ripetutamente e gravemente violando il quadro normativo speciale di settore e della contrattazione collettiva;

   tali violazioni, poste in essere con iniziative unilaterali aziendali, riguarderebbero principalmente i contratti di lavoro e l'atteggiamento di alcune aziende che stanno progressivamente sostituendo i gestori – le cui tipologie contrattuali sono stabilite dalla disciplina legislativa vigente – con soggetti controllati al 100 per cento dalle suddette imprese;

   questo atteggiamento, sempre secondo le associazioni di categoria, renderebbe evidente la volontà di fare ricorso a forme di precariato che non garantiscono in alcun modo il lavoratore e rischierebbero di introdurre sproporzionate condizioni di vantaggio non previste dalle vigenti normative di settore –:

   quali iniziative urgenti il Governo intenda porre in essere per addivenire ad una complessiva riforma del settore e limitare l'impatto dell'aumento di prezzi al consumatore, anche attraverso il taglio delle accise.
(3-01128)

(9 aprile 2024)

   TASSINARI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   nel febbraio 2022 le sette diocesi della Romagna (Ravenna-Cervia, Imola, Faenza-Modigliana, Forlì-Bertinoro, Cesena-Sarsina, Rimini e San Marino-Montefeltro, quest'ultima di competenza civile delle Marche) hanno inviato al Ministero della cultura le schede richieste in merito a 60 progetti in materia di messa in sicurezza antisismica dei luoghi di culto per essere ammessi al contributo, come previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

   solo l'arcidiocesi di Ravenna-Cervia ha ricevuto, in data 25 febbraio 2022, la comunicazione della soprintendenza competente che aveva provveduto a trasmettere al Ministero competente le proprie valutazioni sui progetti presentati dalla stessa arcidiocesi, senza tuttavia comunicarne il tenore;

   le altre diocesi della Romagna non hanno ricevuto alcuna comunicazione, né sono state date ulteriori indicazioni;

   nell'allegato al decreto del Segretario generale n. 455 del 7 giugno 2022, che assegna le risorse per la sicurezza sismica nei luoghi di culto e il restauro del patrimonio culturale Fondo edifici di culto, non risulta inserito alcun progetto delle diocesi della Romagna, di competenza della soprintendenza di Ravenna, mentre sono approvati i progetti presentati alle soprintendenze dell'Emilia, creando di fatto una disparità di trattamento all'interno del territorio regionale (fra Emilia, con 3 milioni di abitanti, e Romagna, con 1,5 milioni di abitanti);

   in data 27 giugno 2022 i vescovi romagnoli hanno scritto all'allora Ministro della cultura, Dario Franceschini, al Presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, e per conoscenza alle soprintendenze e autorità interessate, per lamentare il mancato finanziamento dei progetti per il recupero e il miglioramento antisismico di luoghi con un elevato valore religioso, storico, artistico e culturale, e maggiormente rappresentativi per le rispettive comunità e territori. Edifici che, inoltre, vengono utilizzati anche per l'accoglienza turistica e la fruibilità del patrimonio artistico;

   neppure questa richiesta ha ottenuto risposta, né dal Ministero né dalle soprintendenze;

   il 25 novembre 2022 l'interrogante ha svolto un'interpellanza urgente per sottoporre al Governo la situazione delle diocesi romagnole: da allora la situazione è immutata, nonostante l'urgenza di mettere in sicurezza i luoghi di culto messi a progetto, perché ubicati in zona sismica –:

   quali siano gli intendimenti del Governo per porre rimedio alla situazione descritta in premessa e se intenda valutare la possibilità di accogliere alcuni progetti presentati a suo tempo, anche attraverso ulteriori modalità di finanziamento, ponendo così rimedio alla disparità territoriale venutasi a creare.
(3-01129)

(9 aprile 2024)

   GRIPPO, BONETTI, BENZONI, D'ALESSIO e SOTTANELLI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   il cinema è un comparto industriale che, contribuendo alla crescita del prodotto interno lordo, creando posti di lavoro e spingendo il settore del turismo, incide in modo sostanziale sull'economia del Paese attraverso il lavoro delle oltre 9 mila imprese, dei 65 mila occupati diretti e di almeno 115 mila indiretti;

   secondo un recente studio di Cassa depositi e prestiti, l'investimento nel settore audiovisivo ha un ritorno sul prodotto interno lordo pari a 3,54 euro per ogni euro investito e una media di 2.281 nuovi occupati per ogni 100 milioni di euro di maggiore domanda di produzione audiovisiva;

   il tax credit è una forma di agevolazione alle produzioni cinematografiche che assegna un credito d'imposta alle imprese di produzione, distribuzione ed altre attività connesse con il settore cinematografico ed audiovisivo;

   tale meccanismo è stato riformulato nel 2016 e oggi si tratta di agevolazioni connotate da automaticità e diretta proporzionalità con le spese effettuate, che devono essere eleggibili, effettivamente sostenute e pagate;

   nell'ultimo anno si sono susseguite dichiarazioni del Governo che hanno generato confusione e incertezza in merito alla volontà di mantenere e rafforzare il meccanismo del tax credit così come illustrato;

   in particolare, hanno colpito le dichiarazioni a margine della legge di bilancio per il 2024 sulla volontà di tagliare le risorse o le valutazioni del Governo di trasformare i meccanismi automatici in valutazioni discrezionali legate a criteri disparati, fino a quelle del Sottosegretario per la cultura Gianmarco Mazzi secondo il quale, in sostanza, in Italia si farebbero troppi film e molti di essi non meriterebbero gli attuali livelli di finanziamenti;

   in un quadro di competizione internazionale agguerrito, tali dichiarazioni generano un clima di incertezza nel settore e dirottano gli investimenti su altri Paesi che, in un mercato globale, danno maggiori incentivi e consentono di pianificare i prossimi anni in modo certo e semplice;

   soprattutto, tali dichiarazioni denunciano ad avviso degli interroganti un profondo equivoco sul meccanismo del tax credit, che è un'agevolazione fiscale volta, al pari di meccanismi analoghi in altri settori, a generare un ritorno sul prodotto interno lordo in un comparto importante per il Paese e non uno strumento filantropico utilizzato dallo Stato per sostenere la propria programmazione culturale –:

   come intenda dare seguito alle istanze presentate dall'industria e dalle categorie del comparto cinematografico e audiovisivo, al fine di garantire al settore un'adeguata stabilità nella programmazione del lavoro – anche attraverso la definizione certa di meccanismi di incentivazione fiscale su base pluriennale e strutturale – e la fine del pesante clima di incertezza venutosi a creare nell'ultimo anno.
(3-01130)

(9 aprile 2024)

   FOTI, AMORESE, MESSINA, ANTONIOZZI, GARDINI, MONTARULI, RUSPANDINI, CANGIANO, DI MAGGIO, MATTEONI, MOLLICONE, PERISSA e ROSCANI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:

   il 15 aprile 1944 moriva a Firenze il filosofo Giovanni Gentile, ucciso davanti all'entrata della propria residenza da un commando dei Gruppi di azione patriottica (Gap);

   nato a Castelvetrano (Trapani), il 30 maggio 1875, Gentile fu protagonista di una riforma epocale della pubblica istruzione e attivissimo organizzatore della cultura italiana. Tra le varie e importanti iniziative si ricordano la rivista «La Critica», fondata nel 1903 con Benedetto Croce, e l'ideazione nel febbraio 1925 insieme a Giovanni Treccani dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, di cui diviene direttore scientifico;

   è per undici anni direttore della Scuola Normale di Pisa, presiede l'Istituto di studi germanici e il Centro studi nazionale degli studi manzoniani, nonché vicepresidente dell'Università Bocconi;

   Gentile fu padre dell'attualismo e docente universitario –:

   quali iniziative intenda adottare al fine di promuovere la figura di Giovanni Gentile nella storia nazionale in occasione dell'80° anniversario della tragica morte.
(3-01131)

(9 aprile 2024)

   SCOTTO, GRIBAUDO, GUERRA, FOSSI, LAUS, SARRACINO, FERRARI, GHIO, FORNARO e CASU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel corso della seduta del 28 giugno 2023, la Camera dei deputati ha approvato, con parere favorevole del rappresentante del Governo, l'ordine del giorno n. 9/01238/010, con il quale si è impegnato il Governo «ad adottare ogni iniziativa utile al fine di potenziare i controlli sull'utilizzo appropriato della cassa straordinaria Covid, così come delle altre provvidenze previste durante la fase della pandemia, e per sanzionare gli operatori che ne avessero usufruito in maniera fraudolenta, recuperando con la massima sollecitudine gli importi illecitamente percepiti»;

   l'illecita fruizione della cassa Covid, secondo uno studio dell'Ufficio parlamentare di bilancio nell'anno 2020, avrebbe riguardato una percentuale di ore stimate al 27 per cento del totale di quelle autorizzate, corrispondenti a circa 2,7 miliardi di euro di spesa che si sarebbe potuta risparmiare in presenza di comportamenti corretti;

   come noto, tali illecite richieste avrebbero coinvolto anche la Visibilia Editore, società quotata in Borsa, rispetto alla quale la procura di Milano ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari (articolo 415-bis) nei confronti della Ministra Daniela Santanchè e di altre quattro persone: due fisiche e due giuridiche;

   lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze ha recentemente evidenziato le difficoltà di bilancio in vista della definizione del documento di economia e finanza, tanto che nella recente audizione parlamentare ha previsto come certa la raccomandazione della Commissione europea al Consiglio volta all'apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti del nostro come di diversi altri Paesi;

   anche alla luce di tali evidenze, appare necessario provvedere con la massima sollecitudine al recupero delle risorse impropriamente percepite per la cassa Covid –:

   quali iniziative di competenza siano state intraprese nei confronti di società che hanno impropriamente usufruito della cassa Covid, in ottemperanza del richiamato ordine del giorno n. 9/01238/010, e quante risorse siano state recuperate.
(3-01132)

(9 aprile 2024)

   LUPI, ALESSANDRO COLUCCI, BICCHIELLI, BRAMBILLA, CAVO, CESA, PISANO, ROMANO, SEMENZATO e TIRELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il Fondo nuove competenze sostiene le imprese che hanno necessità di adeguarsi a nuovi modelli organizzativi e produttivi, in risposta alle transizioni ecologiche e digitali e in caso di progetti di investimento strategico o di transizione industriale, e che necessitano a questo fine di formare nuove competenze per i propri lavoratori e lavoratrici;

   il fondo citato è stato istituito dall'articolo 88 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ed è stato modificato dall'articolo 4 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126;

   il decreto interministeriale del 9 ottobre 2020 e il decreto interministeriale integrativo del 22 gennaio 2021 hanno attuato la misura, con riferimento alla prima edizione del Fondo nuove competenze;

   il decreto interministeriale del 22 settembre 2022 ha rifinanziato il Fondo citato con una dotazione di 1 miliardo di euro, a valere sulle risorse dell'iniziativa React-Eu affluite al Programma operativo nazionale sistemi di politiche attive per l'occupazione (Pon Spao), promuovendo la seconda edizione del fondo;

   con riferimento alla seconda edizione, si evidenzia che tuttora risulta la presenza di candidature sul portale «MyAnpal» che riportano come stato le diciture «Richiesta invio al fondo», «Risposta fondo ko» e «Ripresentata», per le quali i candidati non hanno ricevuto riscontro in merito all'accoglimento o al rigetto dell'istanza;

   il Programma nazionale «Giovani, donne e lavoro», cofinanziato dal Fondo sociale europeo plus, prevede nell'ambito della priorità 3 il finanziamento del Fondo nuove competenze con una dotazione di circa 800 milioni di euro;

   il 14 marzo 2024, il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, senatore Claudio Durigon, ha dichiarato: «considerata l'importanza di offrire ai lavoratori l'opportunità di acquisire nuove o maggiori competenze e di dotarsi degli strumenti per adattarsi alle mutate condizioni del mercato del lavoro, si sottolinea la volontà del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel definire tempistiche rapide per l'avvio della terza edizione del Fondo nuove competenze» –:

   quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare la comunicazione dell'esito di tutte le candidature della seconda edizione del Fondo nuove competenze e una repentina apertura della terza edizione del fondo citato.
(3-01133)

(9 aprile 2024)

   NISINI, MOLINARI, ANDREUZZA, ANGELUCCI, BAGNAI, BARABOTTI, BELLOMO, BENVENUTO, DAVIDE BERGAMINI, BILLI, BISA, BOF, BORDONALI, BOSSI, BRUZZONE, CANDIANI, CAPARVI, CARLONI, CARRÀ, CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, COIN, COMAROLI, CRIPPA, DARA, DI MATTINA, FORMENTINI, FRASSINI, FURGIUELE, GIACCONE, GIAGONI, GIGLIO VIGNA, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LOIZZO, MACCANTI, MARCHETTI, MATONE, MIELE, MINARDO, MONTEMAGNI, MORRONE, OTTAVIANI, PANIZZUT, PIERRO, PIZZIMENTI, PRETTO, RAVETTO, SASSO, STEFANI, SUDANO, TOCCALINI, ZIELLO, ZINZI e ZOFFILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il Fondo nuove competenze, introdotto dall'articolo 88 del cosiddetto «decreto rilancio» (decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) e successivamente modificato dal cosiddetto «decreto agosto» (decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126), è un fondo pubblico istituito presso Anpal e cofinanziato dal Fondo sociale europeo, introdotto nell'ordinamento con lo scopo di contrastare i negativi effetti economici conseguenti all'emergenza epidemiologica da Covid-19 e, dunque, di sostenere imprese e lavoratori nella difficile fase post-Covid;

   trattasi, nello specifico, di uno strumento di politica attiva che persegue la finalità di consentire alle imprese di adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell'orario alla formazione, prevedendo la possibilità per tutti i datori di lavoro del settore privato di stipulare degli accordi collettivi, a livello aziendale o territoriale, tra le associazioni datoriali e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale, per rimodulare l'orario di lavoro dei dipendenti e svolgere dei percorsi di formazione e di ricollocazione;

   già con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-02138 gli interroganti chiedevano al Governo informazioni in merito all'avvio della cosiddetta «terza edizione» del Fondo nuove competenze, che, secondo indiscrezioni, sarebbe dovuta partire entro primavera 2024 con un budget di risorse di oltre 1 miliardo di euro;

   in sede di risposta presso la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel precisare che «il finanziamento del Fondo nuove competenze (avesse) una dotazione di circa 800 milioni» circostanziava che «l'autorità di gestione, con il supporto di Sviluppo Italia lavoro (ex Anpal servizi) è attualmente impegnata nella gestione degli avvisi pregressi relativi agli anni 2020 e 2022» e che comunque stesse lavorando speditamente «a tutti gli approfondimenti necessari all'emanazione di un nuovo avviso» –:

   se il Ministro interrogato possa ad oggi fornire indicazioni certe in merito all'emanazione del bando relativo alla terza edizione del Fondo nuove competenze.
(3-01134)

(9 aprile 2024)

   PAVANELLI, CAPPELLETTI, APPENDINO, BARZOTTI, AIELLO, CAROTENUTO e TUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Enel s.p.a., la più grande azienda elettrica del Paese e tra i principali operatori integrati globali nei settori di energia elettrica e gas, vede lo Stato azionista con una quota del 23,6 per cento;

   secondo gli ultimi dati, Enel nel 2023 ha ottenuto un utile netto ordinario pari a 6,5 miliardi di euro (+20,7 per cento rispetto al 2022) e un ebitda ordinario a 22 miliardi di euro (+11,6 per cento rispetto al 2022). Per converso, dalla relazione e bilancio di esercizio di Enel al 31 dicembre 2022 (l'ultima attualmente disponibile) emerge, con riferimento al costo del personale, un ammontare complessivo di 105 milioni di euro, con una riduzione pari a 74 milioni di euro rispetto al 2021;

   in data 29 gennaio 2024, i sindacati di categoria hanno aperto lo stato di agitazione in Enel denunciando le politiche di «esternalizzazione di attività core», quali gli interventi sulla rete, vecchia e da convertire con energie rinnovabili;

   in particolare, i sindacati hanno denunciato l'ingiustificata riduzione del costo del lavoro, il blocco rispetto alle assunzioni pianificate, agli straordinari, alle trasferte, ivi comprese quelle concordate, il taglio dello smart working, gli orari di lavoro spezzati e la tendenza dell'azienda a terziarizzare il lavoro verso l'esterno;

   per tali motivi, oltreché lamentando il mancato adeguato supporto alla transizione energetica, in data 19 marzo 2024, gli stessi sindacati hanno proclamato lo sciopero dello straordinario programmabile per un mese a partire dal 4 aprile 2024, nonché lo sciopero generale di due giornate di tutti i dipendenti delle società del gruppo Enel;

   tale decisione è stata assunta constatato l'esito negativo dell'incontro di raffreddamento e conciliazione dell'8 febbraio 2024 innanzi alla direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni di industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché alla perdurante invarianza delle posizioni aziendali rispetto ai temi della pendente vertenza;

   come è noto, nell'ambito del Green deal europeo, l'Italia ha assunto precisi impegni con riferimento al taglio delle emissioni da anidride carbonica, che impongono – come primo step – una riduzione del 55 per cento già entro il 2030 –:

   se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere posizioni suscettibili di garantire i lavoratori ivi impiegati da ogni peggioramento del livello occupazionale ovvero delle condizioni di welfare aziendale, nel quadro di auspicate politiche industriali maggiormente orientate al processo di transizione energetica.
(3-01135)

(9 aprile 2024)

   MARI, ZANELLA, BONELLI, BORRELLI, DORI, EVI, FRATOIANNI, GHIRRA, GRIMALDI, PICCOLOTTI e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da uno studio della Cgil si rileva che 5,7 milioni di lavoratori dipendenti percepiscono una retribuzione media inferiore a 11 mila euro lordi annui e a questi vanno aggiunti oltre 2 milioni di dipendenti con salari medi inferiori ai 17 mila euro annui, frutto della discontinuità lavorativa, del part time e della precarietà contrattuale;

   dai dati Ocse emerge come nel 2022 il salario medio in Italia si sia attestato a 31,5 mila euro lordi annui, un livello nettamente più basso rispetto a quelli tedesco, 45,5 mila euro, e francese, 41,7 mila euro;

   sul minore salario medio in Italia incidono una maggior quota delle professioni non qualificate, l'alta incidenza del part time involontario, con una percentuale del 57,9 per cento, la più alta di tutta l'Eurozona, e del lavoro a termine che incide per il 16,9 per cento;

   nel 2022 oltre la metà dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata fino a 90 giorni e, benché in Italia si lavori comparativamente di più in termini orari, i salari medi e la loro quota sul prodotto interno lordo sono notevolmente più bassi;

   nel 2022 il salario medio dei circa 17 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato con almeno una giornata retribuita nell'anno si è attestato a 22.839 mila euro lordi annui; il 59,7 per cento di questa platea ha salari medi inferiori alla media generale ed è composto da oltre 7,9 milioni di dipendenti discontinui e da oltre 2,2 milioni di lavoratori part time;

   i lunghi ritardi nel rinnovare i contratti collettivi nazionali di lavoro determinano un'elevata percentuale di lavoratori con retribuzioni non rivalutate;

   prendendo a riferimento le retribuzioni nette nel 2022, 5,7 milioni di lavoratrici e lavoratori hanno guadagnato l'equivalente mensile di 850 euro e 2 milioni di dipendenti arrivano a 1.200 euro al mese: questi già bassi livelli salariali sono stati ulteriormente erosi dall'inflazione che nel 2022 e 2023 ha fatto registrare un totale del 13,8 per cento;

   è improrogabile assumere urgenti iniziative per recuperare il divario retributivo accumulato rispetto ai grandi Paesi europei, intervenendo su tutti i fattori che determinano le basse retribuzioni, quali: precarietà, discontinuità, part time involontario, basse qualifiche, gravi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro –:

   quali iniziative intenda assumere nell'immediato rispetto alle criticità che determinano le basse retribuzioni.
(3-01136)

(9 aprile 2024)