Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni
Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni
Comm. Giulio Regeni
Comm. Giulio Regeni
1.
martedì 17 dicembre 2019
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERASMO PALAZZOTTO
Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo, presidente ... 3
Audizione del procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Sergio Colaiocco:
Palazzotto Erasmo, presidente ... 3 5 17
Colaiocco Sergio, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma ... 5 11 14
Prestipino Giarritta Michele, procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma ... 3
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 14
Serracchiani Debora (PD) ... 11
Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo, Presidente ... 3
Audizione del procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Sergio Colaiocco:
Palazzotto Erasmo, Presidente ... 3
Prestipino Giarritta Michele, procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma ... 3
Palazzotto Erasmo, Presidente ... 5
Colaiocco Sergio, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma ... 5
Serracchiani Debora (PD) ... 11
Colaiocco Sergio, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma ... 11
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 14
Colaiocco Sergio, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma ... 14
Palazzotto Erasmo, Presidente ... 17 ... 17 ... 17
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO
La seduta comincia alle 10.05
Sulla pubblicità dei lavori
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Audizione del procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Sergio Colaiocco.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica facente funzioni presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Sergio Colaiocco.
Ringrazio il dottor Prestipino e il dottor Colaiocco per avere prontamente aderito all'invito loro rivolto dalla Commissione di tenere la prima audizione dell'inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio Regeni.
Ritengo che sia di fondamentale importanza per questa Commissione poter tempestivamente disporre, in uno spirito di collaborazione istituzionale, del quadro circostanziato dell'indagine in corso da parte del competente ufficio giudiziario.
Come convenuto in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, avverto che nella seduta odierna il dottor Prestipino e il dottor Colaiocco svolgeranno la loro relazione, mentre le domande dei colleghi commissari saranno formulate in una successiva seduta, affinché possano avere luogo anche sulla base di un primo esame della documentazione che comincerà a essere depositata presso la Commissione.
Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione pubblica e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
Do la parola al procuratore Prestipino per svolgere la prima parte dell'audizione.
MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma. Grazie per questo invito, presidente, e grazie a tutti i componenti della neocostituita Commissione. Per noi è un onore e un onere essere i primi a iniziare i lavori di questa Commissione.
Siamo consapevoli che la nostra presenza qui è il segno di una collaborazione, ognuno nelle rispettive sfere e per le proprie competenze, della Commissione d'inchiesta e del lavoro che la procura della Repubblica sta compiendo già da tempo e che ancora deve ultimare sui fatti oggetto delle rispettive attribuzioni.
Svolgerò soltanto alcune brevissime considerazioni, poi lascio al collega Sergio Colaiocco il compito di illustrare alla Commissione innanzitutto in punto di fatto le attività che la procura della Repubblica di Roma ha compiuto sull'omicidio di Giulio Regeni.
La prima considerazione che intendo svolgere è quella dell'eccezionalità di questo caso. Un cittadino italiano che è stato prima sequestrato, poi torturato, poi assassinato in un territorio estero. Sin dall'inizio, il nostro ufficio ha avuto piena consapevolezza della gravità dei fatti e di quello che gli stessi avrebbero comportato, una eccezionalità testimoniata da una serie di scelte che il nostro ufficio ha compiuto, la prima delle quali è stata quella di instaurare un rapporto, un filo di collaborazione con l'autorità giudiziaria egiziana, lo Stato, sul cui territorio sono avvenuti i fatti oggetto di accertamento e dell'iniziativa giudiziaria della procura di Roma. Proprio per facilitare e consentire di avviare questo rapporto indispensabile – poi dirò perché – di collaborazione, è accaduto anche qui un fatto eccezionale: il fatto che il procuratore della Repubblica in persona, il dottor Giuseppe Pignatone, ad alcuni giorni dai fatti, si sia recato al Cairo per incontrare l'autorità giudiziaria egiziana e per iniziare a costruire quel rapporto necessario per poter acquisire i primi elementi di prova indispensabili per ricostruire i fatti.
L'eccezionalità del caso è poi testimoniata da altri due fattori estranei all'azione della procura della Repubblica, ma che hanno un peso straordinario: la grande attenzione che questo caso ha suscitato nell'opinione pubblica, dimostrata dall'attenzione con cui tutta la stampa segue questo caso dal giorno in cui Giulio Regeni è stato sequestrato e in cui è stato rinvenuto il cadavere; e la grande azione della famiglia Regeni, con la quale la procura ha un ottimo rapporto e che ha costantemente esercitato un'attività finalizzata alla ricerca della verità su quanto accaduto a Giulio Regeni. A questa eccezionalità dei fatti ha corrisposto una grande difficoltà dell'azione giudiziaria della procura della Repubblica, grande difficoltà connessa alla circostanza che i fatti oggetto di accertamento sono avvenuti in un Paese straniero, fuori dall'Italia; in questi fatti sono coinvolti cittadini stranieri e sin dall'inizio si è evidenziata la possibilità che vi fossero coinvolti non cittadini comuni ma cittadini appartenenti ad apparati dello Stato straniero. Una difficoltà resa ancora maggiore dal fatto che questo Paese ha regole ordinamentali, processuali, sostanziali nel diritto penale molto diverse dalle nostre, con le quali noi ci dobbiamo misurare. Questo Paese ha diritto legittimo di esercitare un'azione giudiziaria propria, perché il fatto è accaduto sul proprio territorio, ha riguardato propri cittadini ma c'è una difficoltà nel coordinare la nostra iniziativa giudiziaria, mossa dal fatto che vittima del sequestro, delle torture e dell'assassinio è un cittadino italiano, con l'iniziativa giudiziaria di questo altro Paese. Le difficoltà sono aumentate anche perché tra i nostri Paesi (Italia ed Egitto) non ci sono convenzioni internazionali, non ci sono accordi e quindi tutto il rapporto di collaborazione indispensabile per acquisire gli elementi di prova necessari a sostenere la nostra iniziativa giudiziaria è un unicum, perché è stato piano piano, con enormi difficoltà, costruito in relazione a questo specifico caso. Quindi è un rapporto non di tipo generale ma specifico, mirato.
Nonostante tutte queste difficoltà posso con serenità affermare che abbiamo fin qui raggiunto dei risultati estremamente positivi. Il primo risultato positivo è che, grazie allo straordinario sforzo e alla straordinaria professionalità dei nostri apparati investigativi – e mi riferisco al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e al Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri che sono la nostra polizia giudiziaria, che lavorano insieme su questo caso sin dall'inizio – siamo riusciti a ricostruire il perimetro di quello che è accaduto in quel lasso temporale in cui Giulio Regeni è stato sequestrato e poi ucciso. Non solo – altro elemento importante, positivo – abbiamo costruito piano piano, con fasi alterne, altalenanti, un rapporto di cooperazione con l'autorità giudiziaria egiziana, e solo grazie a questo rapporto di cooperazione siamo riusciti ad ottenere quegli elementi di fatto probatori che ci hanno consentito la ricostruzione dell'accaduto. Mi riferisco a elementi di prova fattuali di carattere tecnico, di cui parlerà il collega Colaiocco. L'acquisizione di questi elementi, la costruzione di questo rapporto di cooperazione ha portato a un altro risultato importante: siamo riusciti a ricostruire anche il contesto – non voglio usare la parola movente – nel quale il sequestro e l'omicidio di Giulio Regeni sono stati commessi, che è un contesto particolare. Abbiamo ricostruito quanto accaduto anche nei giorni precedenti al sequestro, cioè quell'attività stringente degli apparati egiziani nei confronti del nostro cittadino, di Giulio Regeni, un'attenzione particolare via via sempre maggiore, culminata appunto nell'attività del sequestro. Ancora, siamo riusciti a creare, nel rapporto di cooperazione con l'autorità giudiziaria egiziana, una condivisione su questo contesto, una condivisione sulle motivazioni di carattere generale che hanno determinato prima il sequestro e poi l'omicidio di Giulio Regeni, e da questo punto di vista – altro risultato estremamente importante – siamo riusciti a sgomberare il campo da una serie di ipotesi, tanto fantasiose quanto irreali, sul motivo. C'è stata prima l'ipotesi di un'attività spionistica e poi l'ipotesi, ancora più fantasiosa, di un'attività di rapina finita male, con un omicidio. Oggi queste ipotesi sono state messe da parte, lavoriamo ovviamente su un altro contesto, e lo facciamo in condivisione con l'autorità giudiziaria egiziana.
È un rapporto – dicevo – complicato dal fatto che abbiamo ordinamenti giudiziari, regole sostanziali e processuali diverse, ma che per noi è indispensabile per l'acquisizione di elementi di prova, per l'acquisizione di tutti quei tasselli necessari per ultimare la ricostruzione di quanto accaduto e delle relative responsabilità. In questo abbiamo – nel corso delle indagini sul sequestro, tortura e omicidio di Giulio Regeni – individuato dei soggetti che, secondo il nostro ordinamento processuale, sono gravati da indizi di reato, cioè possono essere considerati indiziati e per questo sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura della Repubblica.
Prima di passare la parola al collega Colaiocco, mi preme sottolineare che in questi anni la procura della Repubblica ha compiuto uno sforzo straordinario, insieme alla nostra polizia giudiziaria, per non trascurare alcun elemento utile all'accertamento della verità. Il mio collega si è recato credo ben sette volte al Cairo, come più volte vi si è recato il procuratore della Repubblica in carica; il procuratore generale del Cairo è venuto a Roma, sono stati fatti numerosi incontri che hanno dato luogo allo scambio di documentazione e all'acquisizione per noi di elementi di prova importanti e significativi. Per la parte che mi compete posso rassicurare questa Commissione che la procura della Repubblica di Roma continuerà, con determinazione e nel rispetto di tutte le nostre regole, a compiere tutte le attività necessarie all'acquisizione di ogni elemento di prova utile, necessario per accertare ogni responsabilità su quello che è accaduto.
PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore Prestipino. Invito il dottor Colaiocco a svolgere la seconda parte della nostra audizione.
SERGIO COLAIOCCO, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma. Grazie, Presidente. Il compito a me assegnato è quello di fornire una serie di elementi di fatto, che vadano a dare contenuto al quadro che il procuratore Prestipino ha testé terminato di fare.
Entro subito nel merito, perché le cose da dire saranno tante. La scomparsa di Giulio Regeni avviene la sera del 25 gennaio 2016, verso le ore 20, e già tre ore dopo (verso le 23) viene avvisata l'ambasciata italiana al Cairo, in particolare viene avvisato l'ambasciatore Massari personalmente dal professor Gennaro Gervasio, la persona con cui Giulio Regeni aveva appuntamento attorno alle 20 nei pressi di piazza Tahrir. Giulio Regeni avrebbe dovuto accompagnare il professor Gennaro Gervasio, che doveva andare a trovare un suo collega professore egiziano (il professor Hassanein), di cui il 25 gennaio era il compleanno. Gli accertamenti successivamente effettuati ci permettono di affermare che l'ultimo aggancio dello smartphone di Giulio Regeni avviene alla rete telefonica egiziana alle 19.51 del 25 gennaio all'interno della metropolitana del Cairo, ad un ripetitore situato vicino alla stazione della metropolitana di Dokki, dalle parti di piazza Tahrir. In quel momento il cellulare viene spento. L'ultimo messaggio dallo stesso inviato è delle 19.41 attraverso la chat di Facebook, in cui lui invia alla sua fidanzata un messaggio da cui si capisce come l'uscita di Giulio Regeni da casa verso le 19.30 fosse stata un'attività improvvisa, non programmata e quindi non conosciuta, non conoscibile da terzi. Scrive Giulio nel suo ultimo messaggio: «Vado a trovare il professore con Gennaro. Spero che lo yoga vada bene. Fammi sapere quando tu torni a casa». Sappiamo invece che lui non tornerà mai a casa, e infatti, avvisati dall'ambasciata, il 30 gennaio 2016 i genitori, Paola Deffendi e Claudio Regeni, si recheranno al Cairo alla ricerca del figlio. Il cadavere di Giulio verrà ritrovato, come noto, la mattina del 3 febbraio.
Non spetta ovviamente alla magistratura accertare quali iniziative siano state attivate dall'ambasciata italiana al Cairo tra il 25 gennaio e il 3 febbraio, per cui passo direttamente a indicare le attività svolte dopo il 3 febbraio. Quando arriva la notizia del ritrovamento, la procura di Roma apre un procedimento contro ignoti e chiede, in accordo con i carabinieri del ROS e il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, di fare uno sforzo particolare: quello di creare una squadra investigativa composta da otto, tra ufficiali e funzionari, che già la sera del 6 arrivano al Cairo e affiancheranno nelle settimane successive le attività investigative della National security e della procura egiziana. Abbiamo quindi nei primi due mesi sia un'attività che viene svolta in Italia da parte dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria sia un'attività che viene svolta al Cairo dal team investigativo di polizia e carabinieri che affiancano il team investigativo della National security.
Prima di passare ad esaminare le attività svolte nelle settimane successive è necessario soffermarsi un attimo sugli esiti medico-legali dell'autopsia effettuata in Italia, quando, sabato 6 febbraio, intorno all'ora di pranzo, i genitori riportano in Italia il corpo di Giulio Regeni. La procura di Roma affida al dipartimento di medicina legale dell'Università della Sapienza gli esami autoptici e tossicologici, che già nei giorni immediatamente successivi danno un quadro estremamente rilevante. Questi risultati non sono mai stati resi noti dalla procura della Repubblica per la delicatezza di questi dati: ritengo che però – al di là del fatto che depositeremo poi l'esame autoptico tra i documenti quest'oggi – sia necessario darne alcuni cenni, perché sono indispensabili per cogliere alcuni dati fattuali e alcuni sviluppi delle indagini. Rimane personalmente, almeno da parte mia, il grande imbarazzo nel parlarne e nell'indicare pubblicamente circostanze così delicate che chiedono, credo da parte di tutti, grande rispetto per Giulio e per tutti coloro che gli hanno voluto bene.
Dal punto di vista tossicologico è emersa con chiarezza la mancata assunzione, sia recente, rispetto al gennaio 2016, sia pregressa, di sostanze di interesse tossicologico da parte di Giulio Regeni, quindi assenza di droghe, assenza di farmaci, assenza di veleni. Quanto all'epoca della morte, il professor Chiarotti della Sapienza ha effettuato un accertamento di particolare rilevanza e di particolare interesse, con metodologie all'avanguardia, perché, pur essendo intervenuto in data 6 febbraio, ha potuto ricostruire con un lasso di tempo abbastanza preciso il momento della morte di Giulio Regeni. Ciò è stato possibile attraverso l'esame dell'umor vitreo dell'occhio e un'analisi sull'attività intra ed extra cellulare del potassio e del calcio che si verificano al momento della morte. Attraverso questa azione è stato possibile collocare la morte di Giulio Regeni in un lasso di tempo che va tra le 22 del 31 gennaio 2016 e le 22 del 2 febbraio 2016. Per cui mediamente, convenzionalmente, in fase di indagini, noi l'abbiamo indicata nel giorno intermedio: la sera del primo febbraio.
Per quanto riguarda la causa della morte, l'esame autoptico condotto in Italia ha portato a un risultato del tutto differente da quello accertato dall'esame autoptico fatto dalla medicina legale al Cairo. I medici legali del Cairo, nel referto consegnato alla famiglia, hanno individuato la morte in un ematoma subdurale, cioè in un'emorragia cerebrale, detta in termini semplici: la tipica causa di decesso da incidente stradale. Mentre in Italia si è accertato che la causa della morte non derivava dalle contusioni alla testa, bensì da una causa del tutto peculiare: una violenta azione esercitata sul distretto cranico cervicale che ha comportato un'insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale. Detta anche qui in parole semplici, gli hanno sostanzialmente rotto l'osso del collo. Quindi si tratta di un'azione violenta e acuta, come dicono in termine tecnico i medici legali, un'azione volontaria e non la conseguenza delle torture.
Come sapete, sono state accertate una serie di torture poste in essere ai danni di Giulio tra il 25 sera e questa data media che noi indichiamo nel primo febbraio. In particolare è stata accertata la frattura di alcuni denti; la frattura della scapola di destra e di sinistra; la frattura pluri-frammentaria dell'omero di destra; la frattura del polso destro; la frattura di alcune falangi del secondo dito della mano destra e del quinto dito della mano destra e del primo dito della mano sinistra; la frattura della base del primo metacarpo di sinistra; la frattura della base del quinto metatarso di destra. Sono state poi accertate in tutto il corpo (alla testa, al volto, agli arti inferiori) una serie di lesioni traumatiche, che i medici legali ritengono potersi ricondurre a mezzi produttivi di due tipi: naturali (calci o pugni) o fatti attraverso strumenti personali di offesa quali bastoni e mazze.
Ultimo elemento rilevante che ritengo opportuno evidenziare in questa sede è il fatto che l'esame autoptico ci ha confermato, ci ha restituito come dato il fatto che le torture non sono avvenute in un'unica fase ma in più fasi. Non sappiamo quante. Ma attraverso l'esame medico-legale, in particolare attraverso l'analisi delle lesioni cutanee macro e microscopiche, si è potuto affermare che vi è stata una differente epoca di produzione, avendo le torture un timing differenziato sia come tipologia riparativa sia come espressività cellulare e molecolare, il che vuol dire che le lesioni che ho finora qui descritto sono avvenute in più fasi, come forchetta massima tra il 25 sera e il primo febbraio.
Questo quadro emerso nell'immediatezza, già nei giorni 6 e 7 febbraio, al rientro del corpo di Giulio Regeni in Italia, ha orientato immediatamente le indagini sia in Egitto sia in Italia. Tutto ciò detto, mi soffermerò ora su quella che abbiamo definito la prima fase di cooperazione tra Egitto e Italia che riguarda i mesi di febbraio e marzo 2016. In Egitto ci sono una serie di riunioni tra il team investigativo italiano, composto dagli otto componenti del Servizio centrale operativo e del ROS, e i componenti della National security. In particolare, viene effettuato il 10 febbraio un sopralluogo sul luogo del ritrovamento, che viene descritto dalla nostra polizia giudiziaria come un'area a ridosso di due grandi vie di comunicazione in una zona desertica tra Alexandria desert road e Sahara El Haram road. Si accerta che il cadavere, secondo la ricostruzione degli egiziani, è stato rinvenuto alle 10.30 del 3 febbraio dai passeggeri di un minivan che percorreva la Cairo-Alexandria road, che era stato obbligato a fermarsi a causa della foratura di uno pneumatico. I turisti del minivan individuano il corpo di Giulio Regeni adagiato in posizione seduta su un terreno sabbioso, in una zona non asfaltata e non frequentata al di sopra di un sottopassaggio. Il corpo era posizionato dietro uno dei muri, distante circa due metri dalla strada e non visibile dalla strada stessa. Non vi erano testimoni, non erano stati individuati né sistema di videosorveglianza né ripetitori di telefoni cellulari.
L'altra attività svolta dal team investigativo nell'immediatezza è stata quella di ascoltare un personaggio che si rivelerà poi centrale in tutta l'indagine: il capo del sindacato dei rivenditori indipendenti del Cairo, il sindacalista Said Mohamed Abdallah. Costui era a capo del sindacato indipendente dei rivenditori di strada, quindi non del sindacato ufficiale statale ma di un sindacato autonomo, che raccoglie coloro che vendono oggetti di ogni tipo per strada sulle bancarelle. Questa persona verrà ascoltata già in occasione della prima riunione il 10 febbraio e verrà poi ascoltata molte volte tra febbraio, marzo e aprile, ma – come vedremo poi – inizierà a dire quella che risulterà poi essere la verità solo in data 10 maggio. Per cui contribuirà a depistare le indagini per alcuni mesi. Nelle riunioni successive dei due team investigativi vengono ascoltati alcuni altri personaggi centrali, che sono le persone con cui Giulio Regeni viveva in una stanza di un appartamento dalle parti del quartiere di Dokki. Giulio Regeni viveva in una stanza in affitto e nelle altre due stanze c'erano un avvocato egiziano, El Sayed, e una ragazza tedesca. Questo avvocato egiziano poi – vedremo – assumerà un ruolo particolare come il sindacalista e come la terza persona di cui vi voglio parlare, che è un'amica egiziana di Giulio Regeni, Noura Wahby, ragazza coetanea da lui conosciuta a Cambridge quando faceva il master nel 2011 e che lo accoglierà e lo aiuterà a trovare casa e a inserirsi nella realtà egiziana nei mesi dell'autunno 2015. L'ultima annotazione su questa prima fase, per quanto riguarda ciò che è avvenuto in Egitto, la devo fare sul fatto che la National security dichiara ufficialmente che, fatti i propri accertamenti, esclude categoricamente il coinvolgimento delle forze di sicurezza egiziane in quanto accaduto a Giulio Regeni. Mentre questo succede in Egitto, in Italia, una volta rientrato il corpo e fatta l'autopsia, il 12 febbraio a Fiumicello viene celebrato il funerale di Giulio Regeni. In occasione del funerale mi reco personalmente, insieme a polizia e carabinieri, a Fiumicello per ascoltare tutte le persone che, amiche di Giulio, da ogni parte d'Europa e da Paesi mediorientali, erano venute in Italia per le esequie, perché era l'unica occasione per poterle ascoltare e acquisire elementi utili alle indagini. Qui mi pare doveroso sottolineare da un lato la grande disponibilità di tutti questi amici e di tutte queste persone che, oltre che accettare, poche ore dopo il funerale del loro amico, di venire alla stazione dei carabinieri a fare dichiarazioni, mettono a disposizione i loro personal computer e i loro cellulari, di cui noi facciamo copie forensi, proprio nella consapevolezza che in quel momento non vi erano elementi per capire cosa era utile e cosa non era utile, ma si dovevano raccogliere a strascico tutti gli elementi per poi verificarne l'utilità nel prosieguo delle indagini. Tutti questi ragazzi di venticinque, trent'anni, italiani e non solo, generosamente e con grande disponibilità passano la nottata con noi, dopo il funerale dell'amico, per cercare di contribuire alla verità. In quella sede molte di queste persone vengono individuate e ci vengono portate dalla famiglia. Inizia quella collaborazione, di cui ha parlato il procuratore Prestipino, con la famiglia e con l'avvocato Ballerini che – devo dare atto – ha sempre contribuito in modo attento ed equilibrato allo sviluppo delle indagini, anche tramite attività difensive. In quell'occasione vengono ascoltati non solo gli amici residenti nei vari Paesi europei, ma anche Valeria (la fidanzata di Giulio) e viene ascoltata per la prima volta – e direi anche l'ultima da parte mia – la professoressa di Cambridge che aveva affidato il dottorato a Giulio Regeni, la professoressa Maha Abdel Rahman. Nei giorni successivi, rientrati a Roma, ascoltiamo Gennaro Gervasio, con cui Regeni aveva appuntamento la sera del 25 gennaio, e un altro coetaneo e amico di Giulio, Francesco De Lellis, che faceva una ricerca analoga a quella di Giulio sui sindacati indipendenti in Egitto, i quali subito dopo i fatti vengono consigliati dall'ambasciatore Massari di rientrare immediatamente in Italia. Questa prima fase si conclude con la trasferta del procuratore Pignatone e mia al Cairo nel primo incontro il 14 marzo 2016 con i colleghi egiziani. Incontriamo in quella sede il procuratore generale della Repubblica araba d'Egitto, Nabil Sadek, che, al termine dell'incontro, prende l'impegno di seguire personalmente le indagini, escludendo quindi la National security dalle stesse, e riconosce pubblicamente che Giulio Regeni quando era in Egitto si è comportato correttamente, smentendo così ufficialmente, dall'alto del suo ruolo, tutti i depistaggi che vi erano stati fino a quel momento.
Anche su questo è necessario, per quanto brevemente, soffermarsi un attimo e dare contenuto fattuale alle valutazioni che abbiamo fatto. Accennavo prima che, nell'immediatezza dell'evento, vengono costruiti alcuni dati di fatto che la National security fornisce all'opinione pubblica: dapprima l'esito dell'esame autoptico dei medici legali egiziani, l'ematoma subdurale che depone quindi per un incidente stradale, ipotesi che viene indicata da alcuni media egiziani nei giorni successivi; successivamente anche il movente sessuale. Giulio viene fatto ritrovare nudo, se non per una camicia e un maglione appoggiato sul corpo, segno evidente dell'idea di attribuire un movente sessuale ai fatti. Esistono altri due, e più rilevanti, tentativi di depistaggio: il primo alla vigilia della nostra andata al Cairo il 14 marzo. Due giorni prima (il 12 marzo) alla tv egiziana un ingegnere egiziano dice di aver visto Giulio Regeni litigare con una persona straniera dietro al consolato italiano. Questo sarebbe avvenuto alle 17 del 24 gennaio. Successivamente si accerterà che, da un lato, il tabulato del cellulare di questo ingegnere indica come lo stesso fosse in tutt'altra zona del Cairo e, dall'altro, si accerterà che Giulio Regeni, tra le 16 e le 18 del 24 gennaio, stava vedendo un film in streaming. Grazie all'esame del pc di Giulio Regeni emerge che in quelle due ore, quindi ovviamente anche a metà, alle 17, lui era a casa a vedere il film. Una volta che la procura di Roma comunica alla procura egiziana questo dato, improvvisamente anche il teste ammette di aver detto il falso e ammette di averlo detto su richiesta di un ufficiale della sicurezza nazionale, Mustafa Maabad, che gli aveva chiesto di mentire al fine di tutelare l'immagine dell'Egitto e di incolpare degli stranieri sulla morte di Giulio Regeni. Tenete presente che questo ufficiale di sicurezza (Mustafa Maabad) in quelle settimane faceva parte del team investigativo egiziano che lavorava insieme al team italiano. Relativamente a questo fatto, devo dire che non abbiamo più avuto alcuna notizia dalla procura egiziana di incriminazione di questo soggetto o dell'agente Mustafa Maabad per tali tentativi di favoreggiamento e di depistaggio. Il depistaggio più noto e più rilevante è quello del 24 marzo. Dopo otto settimane (febbraio e marzo), i componenti del team investigativo italiano stanno rientrando in Italia il pomeriggio del 24 marzo. Una volta passato il check-in, mentre stanno salendo sull'aereo, da Roma li informano che le agenzie rilanciano la notizia che il caso Regeni è chiuso e che sono stati trovati i colpevoli. Dopo un po’ di discussione con la sicurezza egiziana scendono dall'aereo e ritornano al Cairo. Vengono convocati a una riunione a quel punto della National security dove viene comunicato loro che sono state individuate cinque persone, morte in un conflitto a fuoco con la National security, e che nel corso della perquisizione fatta presso la dimora del capo di queste cinque persone, del capo della banda criminale, sono stati rinvenuti i documenti di Giulio Regeni. Ricorderete probabilmente le immagini della foto che la National security ha diffuso su un piatto del passaporto di Giulio Regeni, dei due tesserini universitari, quello di Cambridge e quello della American University del Cairo, e della carta di credito Fineco, sempre intestata a Giulio Regeni. La National security afferma che, avendo ritrovato i documenti nell'abitazione del capo della banda criminale, è evidente la riconducibilità del sequestro di Giulio a questa banda criminale, che gli stessi sono morti in un conflitto a fuoco e che quindi il caso è chiuso. Deve intervenire pubblicamente il procuratore Pignatone con una dichiarazione formale della procura di Roma, nella quale viene detto, nel pomeriggio del 25, che la procura di Roma ritiene che gli elementi comunicati non sono idonei a fare chiarezza sulla morte di Regeni e che le indagini devono comunque andare avanti per identificare i responsabili dell'omicidio. Questa ferma presa di posizione induce anche la procura generale del Cairo a non associarsi alla posizione della National security. Si accerterà nelle settimane successive che la dinamica della sparatoria in cui queste cinque persone sono morte era del tutto incompatibile con la ricostruzione fatta dalla National security, in quanto gli stessi sono stati uccisi attraverso colpi di arma da fuoco sia di fronte sia a destra e a sinistra, mentre sul minivan sul quale erano stati ritrovati i cadaveri i colpi erano solo sul frontale parabrezza anteriore. Quindi una ricostruzione dei fatti del tutto incompatibile. Inoltre si accerterà che il giorno 25 (giorno certo della scomparsa di Giulio) il cellulare del capo della banda criminale era a cento chilometri dal Cairo, quindi in una posizione del tutto incompatibile con l'attività di sequestro. Sulla base di questi elementi e di altri, che poi potrete leggere negli atti, è la stessa procura egiziana che un anno dopo incriminerà alcuni degli ufficiali (due) della National security che hanno partecipato al conflitto a fuoco per falso sui verbali e per omicidio volontario, per i quali però ad oggi ancora non è stato aperto il processo. Rimane ovviamente la domanda di come i documenti di Giulio Regeni siano arrivati nelle mani della National security; rimane la domanda di come il colonnello Hendy, colui che ha effettuato la perquisizione a casa della banda criminale, abbia fatto ritrovare documenti, asseritamente a casa del capo della banda criminale, il quale, per le ragioni che ho detto, non poteva essere stato colui che li aveva presi a Giulio Regeni. A parere dell'ufficio, anche se sono elementi solamente indiziari, appare significativo che il colonnello Hendy avesse avuto nelle settimane precedenti il 24 marzo contatti telefonici, diretti e indiretti, con le persone che poi noi accerteremo hanno seguito Giulio e sono state poi iscritte sul registro degli indagati. Quindi è stato accertato un collegamento tra l'ufficiale che ha presieduto alla perquisizione a casa del capo della banda criminale e che ha detto di aver ritrovato in quella casa i documenti, e quelli che seguivano Giulio nei mesi, nelle settimane precedenti i fatti.
La seconda fase della cooperazione giudiziaria va da aprile a dicembre 2016, ed è la fase più intensa di collaborazione tra i due uffici della procura di Roma e della procura egiziana. Questa fase si apre però in realtà con un momento di crisi, con la riunione che porterà il Governo a ritenere di dover richiamare per consultazioni l'ambasciatore italiano in Egitto. L'incontro si svolge a Roma il 7 e 8 aprile, ed è un incontro nel quale le autorità egiziane dichiarano di non poter consegnare nessuno degli atti effettivamente rilevanti che, nelle rogatorie da noi presentate nelle settimane e nei mesi precedenti, avevamo loro richiesto. In particolare, il confronto avviene sul traffico di cella che a quei tempi divenne, anche mediaticamente, molto noto. Il punto tecnico era che nell'immediatezza dei fatti la procura di Roma aveva chiesto che fosse acquisito tutto il traffico telefonico registrato dai ripetitori della zona di Dokki dove Giulio era scomparso tra le 19 e le 21 del 25 gennaio: si volevano individuare i cellulari accesi nella zona di Dokki tra le 19 e le 21 del 25 gennaio e acquisire anche quelli della zona dove era stato ritrovato il 3 febbraio, al fine di verificare, da un confronto tra la massa di cellulari che avevano utilizzato il ripetitore il 25 gennaio e quelli che l'avevano utilizzato il 3 febbraio, se vi erano utenze in comune e iniziare a verificare questi soggetti, perché erano presenti in ambedue i teatri dei fatti. Spiegata la necessità di questa attività all'autorità egiziana, alla National security, ci è stato opposto che l'autorità giudiziaria egiziana non poteva condividere con noi questi dati per ragioni di privacy. Quindi ha opposto la privacy e il diritto a tutela della riservatezza delle persone e ha ritenuto di non condividere con noi questo dato. È evidente che accertare se questo dato sia giuridicamente fondato secondo l'ordinamento egiziano è affermazione piuttosto complessa su cui noi non siamo ovviamente potuti entrare, non spettando a noi sindacare la correttezza dell'azione dei colleghi egiziani. Questo rifiuto è stato quello che poi ha portato il Governo a richiamare l'ambasciatore. Questa seconda fase di cooperazione, quindi, inizia con il momento di crisi più acuta (il richiamo dell'ambasciatore), ma proprio questo favorisce nei mesi successivi, in particolare nell'autunno, tre incontri con il procuratore generale Sadek che viene personalmente a Roma due volte: a settembre e a dicembre 2016. Questi incontri si riveleranno i più utili e i più produttivi, perché ci vengono consegnati una serie di documenti che si riveleranno molto interessanti. Molti verbali di dichiarazioni di soggetti, molti verbali di sommarie informazioni, molti tabulati telefonici, il verbale a cui accennavo poc'anzi del 10 maggio 2016 del sindacalista Abdallah e anche il video dell'ultimo incontro tra il sindacalista Abdallah e Giulio Regeni, che probabilmente ricorderete, perché è stato diffuso pubblicamente, sia pure per un minuto e mezzo: quello in possesso della procura dura in realtà circa un'ora e un quarto e contiene una serie di dati rilevanti dal punto di vista investigativo.
In questo periodo emergono tre soggetti, su cui voglio soffermarmi perché sono centrali nella ricostruzione del fatto. Emerge il ruolo del coinquilino che ho già nominato: l'avvocato El Sayed; Noura Wahby, l'amica coetanea che l'aveva accolto al Cairo e che aveva conosciuto a Cambridge; e il sindacalista Abdallah. Tre persone che Giulio ritiene amiche, tre persone che sono vicine a Giulio, tre persone che non casualmente vanno a coprire tutti gli aspetti della vita di Giulio. Il coinquilino ha notizie dirette di tutto quello che avviene in casa; l'amica Noura ha notizie dell'ambiente, delle amicizie e delle frequentazioni di Giulio; e il sindacalista Abdallah ha notizia delle attività di ricerca che Giulio fa attraverso il suo ausilio. Queste persone che Giulio riteneva amiche si riveleranno invece persone che, direttamente o indirettamente, riferiscono ogni movimento di Giulio alla National security o comunque ad alcuni soggetti. Quei soggetti che poi noi dovremo iscrivere sul registro degli indagati. In particolare le dichiarazioni del sindacalista Abdallah appaiono particolarmente rilevanti, perché è lui che denuncia Giulio alla National security, in un periodo non meglio definito che possiamo collocare intorno...
DEBORA SERRACCHIANI. La National Security è una forza di polizia o un servizio di sicurezza?
SERGIO COLAIOCCO, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma. Ci sono sezioni che hanno ambedue le funzioni; a noi non è stato possibile accertare in quale sezione siano i soggetti di cui poi abbiamo acquisito elementi indizianti.
Dicevo, il sindacalista Abdallah, capo dei sindacati indipendenti dei rivenditori di strada, viene intervistato da Giulio per la ricerca per il suo dottorato sulle attività economiche egiziane e sui sindacati indipendenti. Lo stesso dapprima rifiuta, nel mese di ottobre, di stringere rapporti con Giulio: fa delle interviste, ma è molto schivo, si rifiuta di accompagnare Giulio in giro per i mercati dei rivenditori ambulanti; improvvisamente un giorno cambia idea, secondo la nostra ricostruzione, perché aveva denunciato Giulio ad appartenenti alla National security e quindi Abdallah viene incaricato di seguire Giulio Regeni da quel momento, per cui di propria iniziativa richiama Giulio Regeni dicendogli di averci ripensato e offrendosi di accompagnarlo dai suoi colleghi a vedere come funziona la vita dei rivenditori di strada. Successivamente sarà lui che equivocherà quanto Giulio riferirà circa la possibilità che una fondazione del Regno unito (Fondazione Antipode) avrebbe potuto fornire 10 mila sterline – cosa che non accadrà mai, era solo una prospettazione, e alla Fondazione Antipode non arriverà mai alcuna domanda – al sindacato per fare attività sociali a favore degli associati. Questa possibilità astratta viene probabilmente equivocata dallo stesso sindacalista Abdallah, e viene fatta oggetto di attenzione da parte di alcuni appartenenti alla National security, i quali incaricano un soggetto, uno dei cinque indagati (il maggiore Sharif), di seguire attentamente tutte le attività di Giulio. Sarà lui poi che chiederà al sindacalista Abdallah di registrare un incontro con Giulio Regeni, e gli darà i mezzi per farlo.
Veniamo all'altro elemento che avevo accennato: il video del 7 gennaio. Al sindacalista Abdallah, su richiesta del maggiore Sharif e dei suoi superiori gerarchici, viene fornita una camicia con un bottone dove è nascosta una telecamera, in modo tale da videoregistrare il colloquio tra lo stesso sindacalista Abdallah e Giulio Regeni. La sera del 7 gennaio tra le 21 e le 22.30 all'incirca avviene questo colloquio in un bar del Cairo, ma l'inesperienza del sindacalista Abdallah fa sì che vengano registrate sia una mezz'ora prima sia una mezz'ora dopo l'incontro con Giulio Regeni, quindi vengono registrate anche le telefonate che il sindacalista fa. Incrociando i dati dei tabulati telefonici e quanto lui dice nel video noi possiamo quindi sapere con chi parlava e che cosa ha detto. Lui parla con i centralini della National security, prima e dopo, e parla – in particolare dopo – con il maggiore Sharif, sul cui tabulato risulta una chiamata del sindacalista Abdallah un quarto d'ora dopo che è finito il colloquio registrato dal video.
Questo è il momento più intenso di collaborazione, e anche il più utile. Si conclude nel dicembre 2016 con l'incontro tra il procuratore Sadek e i genitori di Giulio Regeni, che avviene qui a Roma, al cui termine il procuratore Sadek manifesta il dolore personale e di tutto il popolo egiziano per i fatti di cui Giulio è stato vittima e assicura la massima determinazione e trasparenza nel portare avanti le indagini da parte della National security. È in quell'occasione che il procuratore Sadek definisce Giulio Regeni portatore di pace, amico dell'Egitto e che la sua morte è stata una tragedia anche per il popolo egiziano.
Con questo incontro del dicembre 2016 si conclude il periodo veramente utile di collaborazione tra la procura egiziana e la procura di Roma, perché tutto il 2017 sarà incentrato sul problema del recupero dei video della metropolitana che in realtà, almeno per l'anno 2017, non porterà ad alcun risultato. Anche qui in estrema sintesi: una volta accertato che l'ultimo aggancio del cellulare di Giulio Regeni era alle 19.51, vicino alla stazione metropolitana di Dokki, nei pressi di piazza Tahrir, subito, sia la procura di Roma sia la procura egiziana, ritengono rilevante acquisire i video registrati dalle telecamere di videosorveglianza di uscita dalle due stazioni più vicine al luogo di aggancio. La procura di Roma lo chiede già in data 10 febbraio, quattro giorni dopo l'inizio delle indagini; la procura egiziana provvederà al sequestro solo un mese dopo, nella prima settimana di marzo. Una volta effettuato il sequestro da parte della procura egiziana si pone il problema di estrarre dai server della metropolitana questi video, selezionare quelli delle due stazioni e fare un'attività di recupero. La procura egiziana comunica che non ha i mezzi per effettuare questa attività e chiede tre cose: che sia la procura di Roma ad assumersi gli oneri economici del recupero; chiede che l'attività sia svolta dalla procura egiziana, quindi la procura di Roma si deve assumere gli oneri economici, ma l'attività stessa deve essere compiuto dall'autorità egiziana in territorio cairota; e che, in terzo luogo, deve essere fatta con una società individuata dalla procura egiziana, la Kroll Ontrack, società tedesca. Impieghiamo da gennaio a maggio a cercare di far quadrare il cerchio. Non entro nei particolari per non dilungarmi, ma è stato piuttosto impegnativo. Ci riusciamo, grazie all'intervento di altre istituzioni, in primis il Governo italiano che, attraverso il Ministro della giustizia, dà la disponibilità a spendere tutto quanto necessario per fare questa attività tecnica, perché la stima era in ordine ai 100 mila euro, che non verranno in realtà mai utilizzati e mai spesi, come vedremo. Devo dare atto, a tal proposito, della grande collaborazione e della grande sinergia tra istituzioni in quei mesi. Viene indotta anche la società Kroll Ontrack ad accettare di fare una consulenza in Egitto, cosa che la società aveva molte perplessità ad accettare. Peccato che poi a maggio, quando era tutto pronto e quarantott'ore dopo il team doveva partire per l'Egitto, arriva una telefonata del procuratore Sadek che dice che l'Egitto aveva trovato i soldi per farlo in proprio, quindi non era più necessaria l'attività della procura di Roma e che nel giro di un mese loro avrebbero dato incarico alla società Kroll Ontrack. In realtà passerà esattamente un anno, da maggio 2017 a maggio 2018, perché la società Kroll Ontrack si rifiuterà di assumere un incarico dalla procura egiziana. Nel maggio 2018 veniamo invitati al Cairo, andrò io con un team tecnico della Scientifica e del RaCIS dei Carabinieri e ci viene fornito del materiale, in realtà già lavorato da un loro tecnico russo. In particolare, ci viene fornito l'arco orario tra le 19 e le 00.59 del 25 gennaio di tutta la metropolitana del Cairo, quindi non solo di quelle due stazioni. L'analisi fatta in quella settimana viene effettuata con protocolli che i nostri tecnici, di grandissima esperienza, hanno ritenuto conformi ai protocolli più avanzati, ma dal materiale – che come detto era già stato selezionato dal tecnico russo – emerge che ce n'è una grandissima quantità tra le 19 e la mezzanotte del 25 gennaio, ma ci sono anche tre buchi orari, cioè tre spazi di tempo in cui non ci sono immagini. Questi spazi sono tra le 19.49 e le 20.08, tra le 22.35 e le 23.03, e tra le 23.15 e le 00.08. Uno dei tre, come è facile vedere, riguarda esattamente il tempo dopo le 19.51, che è l'ultimo orario di aggancio di Giulio Regeni: quindi i venti minuti successivi al momento in cui Giulio ha o gli è stato fatto chiudere il cellulare non sono presenti nei video della metropolitana del Cairo. La domanda che sorge spontanea è se sia possibile stabilire se c'è stata una manomissione dei server, quindi dei dati. Questo è tecnicamente possibile, si può fare attraverso i file di log: file che raccontano la storia informatica di un file anche video. Quando abbiamo fatto questa richiesta, ci è stato risposto però che nel caso specifico non era possibile, perché i file di log dei server della metropolitana del Cairo erano andati dispersi quando, due settimane dopo il sequestro dei server, la società che gestisce la metropolitana del Cairo aveva ritenuto di cambiare il sistema di videosorveglianza e quindi in questa attività tecnica i file di log erano andati dispersi. Pertanto non è stato tecnicamente possibile accertare se questi buchi siano stati frutto di manomissione o invece siano una conseguenza tecnica dovuta alla casuale sovrascrittura delle riprese video successive. Non posso però non evidenziare come molto prima del maggio 2018, quando abbiamo acquisito questi dati, il 7 febbraio 2016 la National security aveva detto alcune cose al team investigativo, che ancora era al Cairo, a proposito del video della metropolitana. Riferisce la National security al nostro team investigativo che erano stati visionati i filmati della metropolitana del Cairo, di quelle due stazioni della metropolitana e che nella fascia oraria di interesse non era stata rilevata in alcun modo la presenza di Giulio Regeni.
Un brevissimo cenno anche all'analisi dei tabulati, di cui ho parlato come elemento particolarmente rilevante. L'analisi dei tabulati, lo accenno non per entrare in tecnicismi, ma per esporre anche la capacità e la professionalità del Servizio centrale operativo e del ROS dei Carabinieri, è avvenuta con software di cui solo l'Italia e gli investigatori italiani dispongono e che ha permesso di fare degli incroci di tabulati, quindi non solo di vedere se due persone si conoscono ma anche i collegamenti tra più persone. Questo ha consentito – e faccio solo due esempi – di accertare da un lato che l'amica Noura, l'amica che lo ha accolto al Cairo, l'amica con cui lui si confrontava e a cui chiedeva aiuto nelle traduzioni in arabo, ogni volta che parlava con Giulio, da una certa data in poi, telefonava successivamente a un suo amico, un agente turistico di nome Rami, il quale immediatamente dopo chiamava il maggiore Sharif, di cui già abbiamo parlato. Quindi le informazioni, almeno da dicembre in poi, di cui Noura è in possesso perché frequenta quasi quotidianamente Giulio, vengono passate, attraverso questo agente Rami, direttamente al maggiore Sharif e, quindi, alla National security. Dall'altro lato, accertiamo che il coinquilino, l'avvocato El Sayed che vive nella stanza accanto alla sua, contatta ed è contattato per ben otto volte, tra il 22 gennaio e il 2 febbraio, da un agente, l'agente Najem (un sottoposto del maggiore Sharif). Se fate caso alle date, già tre giorni prima della scomparsa di Giulio Regeni questo sottoposto di Sharif contatta il coinquilino di Giulio Regeni. L'attività di incrocio operata attraverso il software della polizia giudiziaria italiana ci ha dato non solo questi due dati, ma anche tanti altri, di questo tipo, rilevanti per ricostruire i fatti.
Una parentesi va poi fatta sui rapporti tra Giulio e il Regno Unito, perché nel corso di questa indagine sono state svolte anche tutta una serie di attività su questo aspetto. In particolare sono state acquisite le dichiarazioni di Paola e Claudio Regeni, è stato esaminato il personal computer di Giulio; sono stati esaminati i conti correnti di Giulio; sono state fatte due rogatorie nel Regno Unito e due volte mi sono recato personalmente a Cambridge; sono state acquisite le dichiarazioni della professoressa Maha Abdel Rahman, responsabile del dottorato di Giulio; ed è stata, anche se non nell'immediatezza, acquisita poi, grazie alla collaborazione dell'Università di Cambridge, tutta una serie di materiali di natura soprattutto amministrativa relativi al percorso di Giulio a Cambridge. Attraverso questi elementi si è potuto acquisire il fatto che Giulio – e anche qui vado in estrema sintesi – dopo essersi laureato in Inghilterra, presso l'Università di Leeds, aveva fatto prima un master nel 2011 a Cambridge, dove conoscerà la professoressa Maha Abdel Rahman; poi lavorerà per Oxford Analytica, una società inglese, nel 2013 e nel 2014, da cui avrà tutta una serie di retribuzioni che ritroveremo poi sui conti correnti e da cui si dimetterà volontariamente nel 2014, perché è un tipo di attività che non lo interessava e che non lo appassionava. Per cui, raccolto un po’ di denaro per proseguire gli studi, si dimetterà volontariamente. Questo denaro raccolto lo ritroveremo sui conti correnti. Ma sul tenore di vita di Giulio appaiono significative le dichiarazioni rese dai genitori, i quali riferiscono, in data 27 febbraio 2016: «Per quanto riguarda la parte economica, Giulio continuava a farsi sostenere sostanzialmente da noi, e questo anche se lui avrebbe preferito non pesare su noi genitori. Per questa ragione era estremamente parsimonioso e anche molto sobrio nel vestire. A noi risulta che abbia un conto corrente Fineco, nel quale non vi è nessun movimento o accredito a noi non noto. Giulio aveva poi avuto una retribuzione nell'anno che aveva lavorato a Oxford Analytica, in cui guadagnava circa 2 mila sterline al mese. Poi aveva piccoli contributi per borse di studio. Possiamo affermare con certezza, quindi, che Giulio non ha mai avuto grandi disponibilità economiche né tantomeno ha manifestato improvvisa disponibilità di denaro». In effetti dall'esame dei conti correnti italiani e inglesi risulterà un totale di circa 15 mila euro, sostanzialmente tutto riconducibile ai pagamenti di Oxford Analytica.
Altro punto è quello che riguarda i rapporti con Cambridge e con la professoressa Maha Abdel Rahman. Qui emergono – come credo sia noto – una serie di contraddizioni tra le dichiarazioni della professoressa che, dopo aver parlato con noi la sera del funerale a Fiumicello, si rifiuterà sempre di interloquire con la procura di Roma, malgrado le rogatorie. Emergono tutta una serie di contraddizioni tra la ricostruzione della professoressa e ciò che è oggettivamente stato acquisito in ordine all'individuazione del tema del dottorato di Giulio Regeni (lui aveva idea di occuparsi in generale dei rapporti economici e della situazione economica in Egitto, invece viene indirizzato verso i sindacati indipendenti); sulle modalità della ricerca, in cui la professoressa gli chiede di fare un'osservazione partecipata che richiede di andare sul campo e intervistare direttamente i rivenditori ambulanti del Cairo, e fare domande su come vivono, su come vivono il loro lavoro, su come vivono i loro rapporti con le autorità e sulle loro difficoltà; e sull'individuazione della tutor al Cairo, che Giulio voleva meno fortemente caratterizzata politicamente della professoressa Rabab dell'American University, che invece la professoressa Abdel Rahman gli impone. L'unico esempio che voglio fare è quello relativo al fatto che in una email Giulio racconta agli amici di aver fatto presente alla professoressa Abdel Rahman che fare questa attività in questo modo e con questi contenuti al Cairo gli avrebbe sicuramente creato problemi, come aveva creato problemi a una sua collega di Cambridge che era stata espulsa dall'Egitto l'anno prima, perché aveva ricevuto un libro da Israele dal titolo «Teorie della cospirazione», segno evidente del controllo che viene fatto su tutti gli stranieri al Cairo. Anche durante la presenza al Cairo la professoressa Abdel Rahman dice che ci sono stati contatti sporadici con Giulio; noi abbiamo ricostruito che, invece, ci sono stati almeno due incontri, a settembre e a gennaio, e molti contatti via email.
Quello che si può concludere di questa parentesi sui rapporti con...
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. La professoressa Abdel Rahman ha incontrato Giulio Regeni?
SERGIO COLAIOCCO, sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma. La professoressa ha incontrato Giulio al Cairo in data 20 settembre e 7 gennaio e ha avuto in data 4, 14 e 16 novembre contatti via email. Il 7 gennaio, lo stesso giorno del video: la mattina incontra la professoressa Abdel Rahman per prendere un caffè e la sera viene videoregistrato dal sindacalista Abdallah.
Da tutto quanto acquisito non emerge alcun elemento, neanche meramente indiziario però, che possa far ritenere che Giulio Regeni avesse altri obiettivi, se non quello dichiarato: portare avanti la ricerca per il suo dottorato. L'esame dei conti correnti, sia in Italia sia nel Regno Unito, ha permesso di escludere che lo stesso avesse remunerazione da soggetti o enti diversi da quelli dove aveva prestato la propria attività lavorativa o da borse di studio. L'indagine della procura di Roma non ha fatto emergere alcun elemento, neanche meramente indiziario, circa contatti di Giulio Regeni con soggetti esterni all'ambiente universitario che abbiano, in modo diretto o indiretto, condizionato l'attività di ricerca partecipata dallo stesso condotta al Cairo. Diverso è a dirsi per quanto riguarda il ruolo della professoressa Abdel Rahman, da cui è emersa una totale assenza di volontà di collaborare e di contribuire alle indagini. Circostanze queste che possono dar luogo certamente a responsabilità morali o giuridiche, ma di natura civilistica, e che pertanto esulano dalle competenze di questa autorità giudiziaria.
La quarta e ultima fase della cooperazione giudiziaria va dall'agosto 2017 al novembre 2018. A maggio 2017 avviene il rifiuto da parte del procuratore Sadek di farci andare al Cairo a recuperare, con la Kroll Ontrack, i video; ad agosto invece consegnano una serie di atti. A metà agosto vengono consegnati dalla procura egiziana dei tabulati e dei verbali, e a seguito di questa consegna di atti e documenti il Governo italiano decide di far tornare l'ambasciatore: fa terminare la fase del richiamo per consultazioni e fa tornare l'ambasciatore al Cairo. Questa dell'agosto 2017 è l'ultima consegna di atti realmente utili e importanti per fare luce sui fatti e sulla ricostruzione di ciò che è successo a Giulio Regeni.
Pochi mesi dopo, a novembre 2017 i carabinieri dei ROS e lo SCO, sulla base di tutti questi elementi che ho cercato rapidamente di esporvi, consegnano un'informativa di settantacinque pagine, in cui raccolgono tutti gli elementi in ordine a ciò che è stato compiuto dai tre soggetti (il coinquilino El Sayed, l'amica Noura e il sindacalista Abdallah) e in ordine al depistaggio del 24 marzo. Consegnano questa informativa alla procura di Roma a novembre e noi riteniamo opportuno, nello spirito di collaborazione di cui parlava prima il procuratore Prestipino, di condividere immediatamente questa informativa e questi risultati che facciamo tradurre in arabo, e li consegniamo, a dicembre del 2017, alla procura egiziana. Il procuratore Pignatone si reca personalmente al Cairo e illustra, insieme a me, i contenuti di questa informativa alla procura egiziana, la quale resta colpita dal contenuto e dalla ricostruzione dei fatti operata, e restiamo d'accordo (a dicembre 2017) che non avremmo proceduto all'iscrizione nel registro degli indagati nell'immediatezza, a dicembre 2017, ma avremmo aspettato di avere una loro valutazione degli elementi indiziari da noi forniti per poter continuare a camminare di pari passo con la procura egiziana. Questo non avverrà. Da dicembre 2017 dovrà passare un anno, fino a novembre 2018, perché succeda qualcosa di nuovo. È un anno in cui, malgrado le insistenze da parte italiana per ottenere una risposta e per non sganciare il percorso giudiziario dell'una e dell'altra procura, nulla succede. Per cui a novembre 2018, nel settimo incontro che ho al Cairo con i colleghi egiziani, chiediamo loro se sono arrivati a una determinazione in ordine a questa informativa di settantacinque pagine consegnata un anno prima. Loro riferiscono che non ritengono che ci siano indizi per indirizzare univocamente le indagini su alcuni soggetti della National security, ma che le indagini devono andare avanti a trecentosessanta gradi, come si usa dire. Quindi all'esito di questo primo incontro, nel secondo incontro della giornata, io, come d'accordo con il procuratore Pignatone, rappresento loro che siamo costretti a questo punto, essendo passato un anno, a provvedere all'iscrizione nel registro degli indagati. Quindi un anno fa, ai primi di dicembre del 2018, la procura di Roma provvede all'iscrizione per il reato di sequestro di persona di cinque appartenenti alla National security.
Sul quadro che è uscito fuori e che ci ha portati all'iscrizione vorrei richiamare in forma sintetica alcune delle cose dette, per cercare di fornirvi il quadro più chiaro possibile. Innanzitutto sono tutti appartenenti alla direzione della sicurezza nazionale della National security, i cui nomi sono già trapelati sulla stampa: il colonnello Ather Kamal, direttore delle ispezioni delle investigazioni giudiziarie del Cairo, e altri quattro appartenenti alla National security, in particolare della direzione della sicurezza nazionale, ovvero il generale Tareq Sabir, il colonnello Usham Helmy, il maggiore Magdi Sharif e l'agente Mahmoud Najem.
Se finora abbiamo visto come Giulio Regeni abbia vissuto i mesi tra settembre e gennaio, in estrema sintesi mi sembra utile vedere come invece, sulla base degli elementi raccolti, la National security, alcuni appartenenti alla National security – perché qui ovviamente parliamo di responsabilità personali, singole e individualizzanti – hanno stretto una ragnatela intorno a Giulio Regeni per stringerlo sempre di più e trasformare tutte le persone che gli stavano vicine – le tre di cui ho parlato più volte – in loro informatori. È in questo modo che da ottobre a gennaio Giulio viene sempre più stretto da questa ragnatela, di cui finisce inconsapevolmente al centro. Abbiamo detto che il coinquilino El Sayed inizia a diventare amico di Giulio, lo invita ad andare a correre, a uscire la sera; il sindacalista prima rifiuta di accompagnarlo in giro per i mercati e poi invece accetterà, dopo aver deciso di denunciare Giulio. Quando decide di denunciarlo, viene portato dal colonnello Ather Kamal, della polizia investigativa, alla sede della National security, dove – secondo il racconto dello stesso Abdallah – incontra il colonnello Helmy e il maggiore Sharif. Da quel momento, il maggiore Sharif inizia a seguire Giulio in tutti i suoi movimenti. Il 7 dicembre incarica il sindacalista Abdallah di organizzargli per il giorno dopo un giro al mercato di Masr al Agida, ma il sindacalista Abdallah, non volendo creare problemi ai suoi colleghi, la mattina fa un primo giro tra i rivenditori di strada per dire loro: «attenzione, vi porterò una persona, ma voi non vi esponete, non vi pronunciate, perché è una persona pericolosa»; successivamente «fa il teatro» con Giulio Regeni, gli fa fare il giro mostrandogli una realtà che invece non era: tutto questo su richiesta del colonnello Helmy e del maggiore Sharif.
L'11 dicembre Giulio Regeni partecipa, insieme al suo amico Francesco De Lellis, a una riunione sindacale, a cui è presente anche il sindacalista Abdallah, dove ha l'unico segnale che lo mette in allarme, con cui gli appartenenti alla National security compiono l'unico «errore»: fotografano Giulio Regeni, lo fanno fotografare da una ragazza, la quale, subito dopo averlo fotografato, prende e si allontana dalla sala. Giulio nota questo fatto, lo segnala a degli amici, ma non alla fidanzata né alla madre per non farle preoccupare. L'11 dicembre c'è questo fatto della fotografia. Il 15 l'amica Noura, che lo aiutava nelle traduzioni dall'arabo, cancella improvvisamente dal personal computer la dropbox che aveva in comune con Giulio Regeni. Lì lei lo aiutava a tradurre in arabo le domande che lui faceva ai ragazzi. Perché proprio in quei giorni, in cui il cerchio intorno a Giulio si stringe, Noura cancella la dropbox in comune con Giulio Regeni? Sempre in quei giorni si stringe il rapporto tra Noura e l'agente turistico Rami, che riferisce al maggiore Sharif tutti i collegamenti di Giulio; il 17 dicembre il maggiore Sharif e l'agente turistico Rami si sentono tre volte nel giro dello stesso pomeriggio e successivamente, il giorno dopo (il 18), non casualmente il maggiore Sharif dirà al sindacalista Abdallah di chiedere a Giulio Regeni il bando per il finanziamento delle 10 mila sterline di cui abbiamo parlato. Anche dopo che Giulio il 18 riparte per l'Italia, per le sue ultime vacanze con la famiglia, continua l'attività della National security. Il 20 dicembre il maggiore Sharif incarica l'agente Ibrahim, agente della National security ancora non completamente identificato, di andare a prendere i documenti che il sindacalista Abdallah aveva ricevuto da Giulio Regeni. Sappiamo che questo agente li prende da Abdallah e li consegna al maggiore Sharif. Il video ci dà poi una serie di elementi significativi nei giorni 5, 6 e 7 gennaio, perché ci sono gli incontri preparatori presso la National security tra il colonnello Helmy, il maggiore Sharif e il sindacalista Abdallah, in cui gli spiegano quello che desiderano, e poi il 5 e il 6 gli consegnano la camicia con la telecamera nel bottone, e il 7 ci sono tutti i controlli e la registrazione del video di cui abbiamo parlato. Tra l'8 e il 21 il sindacalista Abdallah contatta tredici volte, quindi in poco più di dieci giorni, una volta al giorno, il maggiore Sharif. In uno di questi colloqui – riferisce Abdallah a verbale – «parlando con il maggiore Sharif ho capito che avrebbero comunque voluto tenere sotto controllo Giulio per sapere che cosa avrebbe fatto il 25 gennaio». È evidente quindi che questa ragnatela, questo cerchio che si è stretto progressivamente da parte di questi cinque appartenenti alla National security, iscritti nel registro degli indagati, induce a ricostruire univocamente che Giulio è stato attenzionato da queste cinque persone. Immaginare che la sera del 25 gennaio, quarto anniversario della manifestazione a piazza Tahrir, in una Cairo in cui erano state interrotte tutte le attività lavorative per tutta la giornata, in una città blindata e piena di poliziotti e di militari dell'esercito, in una zona, quella centrale, quella di piazza Tahrir, dove la presenza era particolarmente significativa, ci possa essere stato qualcuno che abbia posto in essere delle attività criminose in danno di Giulio Regeni, senza che nessuno della National security o dell'esercito se ne accorgesse, rimane francamente piuttosto difficile.
Su richiesta della procura di Roma queste cinque persone iscritte nel registro degli indagati sono state ascoltate, non direttamente da noi, perché, malgrado l'avessimo chiesto, ci è stato opposto che il diritto processuale penale egiziano impedisce di far ascoltare i testimoni, anche in via rogatoriale, da autorità giudiziarie estere, e anche solo di presenziare all'interrogatorio. Quindi io non ho mai potuto presenziare alle dichiarazioni di questi soggetti. Questi cinque soggetti sono stati ascoltati e hanno negato tutto, negato ogni fatto, anche quelli oggettivamente provati. L'ultimo passaggio lo vorrei fare in ordine all'attualità della situazione delle indagini, però chiederemmo al Presidente di procedere in via riservata.
PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.
(La Commissione prosegue in seduta segreta)
PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo.
(La Commissione riprende in seduta pubblica)
PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore Prestipino e il procuratore Colaiocco, anche a nome di tutti i colleghi, per la disponibilità a svolgere questa audizione in tempi così rapidi e per il quadro significativo che oggi ci è stato offerto e che sarà fondamentale per il nostro compito. Abbiamo voluto iniziare la nostra inchiesta con la vostra audizione, riconoscendo il prezioso lavoro che la vostra procura ha svolto in questi anni e per stabilire tra di noi un rapporto di leale collaborazione istituzionale, a cui sarà improntata tutta l'attività di questa Commissione nel contribuire – speriamo – in modo efficace alla ricostruzione della verità sulla morte di Giulio Regeni.
Saluto il dottor Prestipino e il dottor Colaiocco, dando loro appuntamento per la prossima seduta in cui tutti noi, anche sulla scorta della documentazione che ci avete fornito, potremmo porre domande e richieste di chiarimento.
A tal proposito informo i colleghi che ho predisposto una bozza di regolamento interno della Commissione sul regime di divulgazione degli atti e dei documenti, che provvederò a recapitare a tutti i componenti della Commissione stessa e che sarà oggetto di deliberazione nella prossima riunione dell'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, affinché possa essere avviata la consultazione della documentazione che comincerà a essere da oggi depositata nell'archivio della Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11.40.