XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Martedì 9 novembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, della presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF), Cristina Maggia:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 3 
Cavandoli Laura , Presidente ... 7 
Fregolent Sonia  ... 7 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 7 
Fregolent Sonia  ... 8 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 8 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Ascari Stefania (M5S)  ... 9 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 12 
Noja Lisa (IV)  ... 12 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 12 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
Giannone Veronica (FI)  ... 14 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 15 
Giannone Veronica (FI)  ... 16 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 16 
Cavandoli Laura , Presidente ... 17 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 17 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 19 
Cavandoli Laura , Presidente ... 21 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 21 
Cavandoli Laura , Presidente ... 22 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 22 
Cavandoli Laura , Presidente ... 22 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 22 
Cavandoli Laura , Presidente ... 22 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 22 
Cavandoli Laura , Presidente ... 22 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 22 
Cavandoli Laura , Presidente ... 23 
Maggia Cristina , presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF) ... 23 
Cavandoli Laura , Presidente ... 23

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione, in videoconferenza, della presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF), Cristina Maggia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione in videoconferenza della presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, la dottoressa Cristina Maggia, che ringraziamo nuovamente per la cortese disponibilità.
  Ricordo che la prima parte dell'audizione della presidente Maggia si è svolta il 27 ottobre scorso e aveva consentito di affrontare diversi temi di cui all'articolo 3, comma 1, della legge istitutiva della nostra Commissione. L'audizione si era chiusa sul tema dei giudici onorari, di cui la presidente aveva sottolineato l'importanza, non senza rilevare i problemi creati dal loro turnover.
  Lascio ora la parola alla dottoressa Maggia per terminare la relazione complessiva. Al termine dell'audizione potremo formulare quesiti. Rinnovo la richiesta alla dottoressa di rispondere eventualmente per iscritto nel caso non fosse sufficiente il tempo a nostra disposizione. Prego, presidente Maggia.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Non ricordo più se la volta scorsa avevo parlato – ma posso ridirlo velocissimamente – della necessità di una formazione permanente per tutti coloro che si occupano dei temi che sono oggetto di attenzione da parte della Commissione, perché sapete meglio di me come la società evolva ben più velocemente delle leggi e di come chi si occupa di persone e di vicende umane debba saperle trattare e inquadrare nella dovuta luce.
  Mediamente si tratta di vicende che non sono generalizzabili. Non abbiamo schemi come in altri settori della giurisdizione, ma ogni storia è un caso a sé e ogni storia va apprezzata nella sua originalità e singolarità. Per poter fare valutazioni di questo tipo, così accurate, occorre essere formati, essere molto umili, tutte le volte accostarsi alle vicende umane senza pregiudizi e senza preconcetti cercando di comprendere davvero quali sono le dinamiche presenti nei casi di cui ci occupano.
  È importantissimo che tale esigenza si imponga a tutti gli operatori dei servizi sociali, coloro che lavorano nelle comunità, coloro che si occupano come giudici onorari e giudici togati di queste materie, gli avvocati tantissimo, perché con gli avvocati ci sono veramente grosse difficoltà, anche perché probabilmente passerà – forse è già stata votata la fiducia – la riforma del processo civile in cui è stata prevista la nomina dei curatori speciali in molte situazioni; ma se il curatore speciale non è attrezzato a parlare con un minorenne – e parlare con un minorenne non è come parlare con un adulto – si rischia di fare Pag. 4dei danni invece di migliorare le condizioni. Le leggi vanno bene, ma devono essere preparate con il reperimento di risorse.
  Proseguo descrivendo qual è la tipologia dei ragazzi in comunità. La mia personale esperienza di giudice minorile è trentennale, nel tempo che ho verificato che nelle comunità ci sono ragazzi, non bambini, in età adolescenziale fino alla maggiore età. Si tratta soprattutto di ragazzi che hanno avuto esperienze esistenziali problematiche, cresciuti in famiglie inadeguate per varie ragioni, e che poi in adolescenza esplodono con condotte trasgressive e violente nei confronti dei genitori, nei confronti della scuola, e anche nella commissione di reati. Sono ragazzi difficilissimi da gestire, per i quali sono i genitori stessi che ci chiedono se li possiamo allontanare, e li collochiamo in comunità perché non sono in grado di affrontarli, di gestirli e di contenerli.
  Questa idea un po' romantica del bambino allontanato e messo in comunità in maniera proterva e arrogante, non coincide col reale. Sono i genitori che vengono spessissimo a chiederci di intervenire in questo modo. Molto spesso si tratta di fallimenti adottivi, di tante adozioni prevalentemente internazionali che hanno avuto esiti infelici. Voi sapete che l'adozione internazionale è un istituto estremamente difficile da affrontare come genitori, perché si deve accogliere un bambino che viene da lontano connotato da esperienze di abbandono devastanti e traumatiche e provare a ripararle, che è un'impresa sul cui successo non ci sono garanzie nonostante uno profonda tutte le sue risorse e le sue energie. «Fallimento adottivo» è una parola che non mi piace, ma ci sono delle fasi della vita – e l'adolescenza è una di queste – in cui tutte le ferite che un bambino ha subito nel suo passato esplodono e non riesce a stare da nessuna parte. Molti ragazzi che hanno avuto storie così, dopo avere messo alla prova pesantemente i genitori adottivi, transitano in comunità. Naturalmente non è possibile preferire una famiglia affidataria in queste situazioni, perché sono ragazzi difficilissimi da affrontare e nessuna famiglia affidataria avrebbe la bacchetta magica per farlo, né vorrebbero loro adolescenti ribelli essere messi in un'altra famiglia, perché la costruzione e l'impegno di un legame affettivo che è insita nell'essere collocati in una famiglia diversa per loro non è sopportabile.
  Poi c'è tutta la fase del disagio psichiatrico che è esploso dopo la pandemia. Si tratta di ragazzi che essendo stati chiusi per un lungo tempo, privati di tutte le occasioni sportive di scuola, di scambio, di relazioni umane, arrivano adesso proprio ad avere delle reazioni di natura anche patologica, psichiatrica, rispetto alle quali le famiglie non sono spesso attrezzate; ragazzi che si chiudono in casa e non vogliono più uscire perché si sono creati queste specie di tana e passano la notte a chattare o a giocare con il computer e di giorno poi dormono, in una situazione di grave depressione.
  Nelle comunità ci sono questi ragazzi. Sono ragazzi molto difficili. Le comunità di cui disponiamo non sono sempre attrezzate ad affrontarli, perché continua a permanere una separatezza tra la comunità educativa, che dovrebbe essere una comunità che accoglie i ragazzi che hanno famiglie d'origine incapaci dal punto di vista educativo, e la comunità terapeutica, che deve affrontare le problematiche più specificamente sanitarie. Ma la realtà non è mai così chiara, purtroppo. Quello a cui noi assistiamo è una grande confusione di questi ragazzi, che hanno degli stili di vita al limite della normalità, con un enorme bisogno di riconoscimento, di affetto e di regole, ma anche di interventi di tipo specialistico. Comunità di questo genere che possano offrire entrambi i servizi ce ne sono, direi, pochissime.
  Peraltro spesso sono comunità gestite da persone che non hanno un'età matura o esperienze e autorevolezza conseguente, quindi a volte questo genere di ragazzi così complicati viene trattato da educatori molto giovani, ai quali gli utenti – chiamiamoli utenti – non riconoscono nessuna autorevolezza. Quindi succedono esplosioni, liti eccetera. Bisognerebbe fare un lavoro molto approfondito su che cosa chiedono questi Pag. 5ragazzi, su che cosa dobbiamo offrire e come offrirlo. Al momento la risposta, per quanto mi risulta, è piuttosto carente, anche perché ci sono sempre stati tagli nel settore sociosanitario.
  Per quanto riguarda il collocamento fuori famiglia, l'alternativa alla comunità – ma non è così semplice dirlo – è quella del collocamento del bambino con la mamma nelle comunità mamma-bambino (ma di questo non ci occupiamo) o l'affido familiare. Il nostro sistema già prevede di favorire il collocamento in famiglia rispetto alla comunità, ma purtroppo l'Italia è un Paese piccolo ma molto lungo, con delle realtà profondamente diverse dal punto di vista territoriale. Posso dirvi che l'affidamento familiare da Firenze in giù non esiste quasi. Mentre nei territori del Nord fino alla Toscana è un istituto molto utilizzato, per fortuna, in Lazio e in Sardegna sono rarissime le famiglie affidatarie, e al Sud direi che l'unico territorio virtuoso è quello di Catania, perché negli altri territori del Sud quasi non esiste l'affido familiare.
  Quando un giudice del SUD deve allontanare anche un bambino in tenera età perché non può stare a casa sua dato che la situazione è troppo grave, non può che collocarlo in comunità. Non ci sono alternative. Non è che si fanno delle valutazioni di tipo diverso. Questo significa che gli enti territoriali dovrebbero creare momenti di formazione e di stimolo, campagne promozionali per l'affido familiare, che è un istituto assolutamente positivo, perché intanto è un istituto che costa poco all'ente territoriale. Il rimborso spese a una famiglia affidataria è ridicolo: si parla di 400 euro al mese. I bambini in comunità costano molto di più. La retta nella comunità è molto più alta. E poi vivere in una condizione familiare e solidale accogliente e adeguata è un'esperienza certamente molto riparativa. Occorre però che ci sia un investimento anche qua. Occorre destinare denaro per creare percorsi di questo genere in tutto il territorio italiano, non solamente in alcune zone d'Italia.
  Va anche sottolineato questo aspetto: l'affido familiare può essere consensuale – quindi gestito dai servizi con un avallo del giudice tutelare – in quelle situazioni emergenziali in cui, per esempio, essendo la mamma l'unico genitore presente che deve subire un intervento chirurgico che la terrà lontana da casa per un periodo e non sa dove mettere i bambini, di concerto con i servizi viene individuata la famiglia affidataria, chiaramente provvisoria. Diverso è l'affido giudiziale, cioè quello deciso dall'autorità giudiziaria, che presuppone un tempo anche prolungato, utile da un lato alla famiglia di origine a riparare le sue difficoltà, a migliorare, a cercare di porre rimedio alle sue criticità. Sono percorsi lunghi, perché due genitori tossicodipendenti devono fare un lavoro su di sé di recupero che non si fa in sei mesi, così come nel caso in cui vi sia qualche patologia psichiatrica o situazioni di violenza intrafamiliare forti che presuppongono una modalità relazionale negativa sia da parte del maltrattante che da parte della vittima.
  Nello stesso tempo, il bambino per beneficiare di una collocazione in una famiglia affidataria deve poter avere il tempo di fidarsi di questi adulti e conoscerli. Io ho visto dei disegni di legge che invece prevedevano dei tempi rapidissimi, ma andare in una famiglia altra non è come andare un week-end in una pensione o in un B&B. Sono cose che muovono dentro sentimenti, legami, emozioni che devono essere valutate nell'interesse del bambino. L'interesse del bambino è che la sua famiglia recuperi, ma perché la sua famiglia recuperi deve avere il tempo di farlo, sennò non sarebbe neanche stato allontanato. Se le problematiche fossero piccole, non sarebbe stato allontanato; si sarebbe fatto ricorso ad altri rimedi.
  Vi sottopongo un altro tema, che non so se è una cosa che vi può interessare. Nella mia esperienza, rilevo che ciò che manca a volte è la fantasia. Ci sono tanti percorsi che possono essere messi in atto, non così tranchant come il collocamento in comunità o l'inserimento in famiglie affidatarie, ma che sono a metà per aiutare famiglie che sono fragili ma non dannosissime. Mi riferisco all'affido diurno, mi riferisco ai rapporti di buon vicinato, all'affido omoculturale.Pag. 6 Tutto questo dovrebbe essere frutto della iniziativa degli enti territoriali, ma è difficile trovare amministratori che abbiano un pensiero così avanzato. Preferiscono stare sul conosciuto. In realtà si tratta di strumenti che potrebbero servire a ridurre ulteriormente gli allontanamenti.
  Per quanto riguarda il controllo delle comunità, le comunità hanno assoluto bisogno di essere controllate sotto vari profili: che ci sia un adeguato rapporto fra il numero del personale con quello dei ragazzi ospitati, che ci siano degli ambienti idonei, ambienti anche personalizzati, perché questa per il ragazzo è la sua casa e quindi la sua camera deve avere delle caratteristiche nelle quali lui possa stare bene. Devono essere controllati anche sullo stile di intervento, su quali sono i progetti che vengono posti in essere. Questo controllo attualmente spetta al pubblico ministero minorile in base all'articolo 9 della legge sull'adozione. Nasceva originariamente come un controllo volto ad accertare che non ci siano bambini abbandonati nelle comunità. Una volta si usavano gli istituti religiosi e tanti bambini non venivano segnalati. Bambini in stato di abbandono restavano a vita dalle suorine che si affezionavano a loro, ma che ovviamente non erano un sostituto di famiglia. Per ovviare a questa situazione si introdusse il controllo del pubblico ministero con la legge n. 149 del 2001. Ovviamente sono passati molti anni, per fortuna è tutto diverso. Nel 2006 sono stati chiusi tutti gli istituti, e quindi di bambini abbandonati nelle strutture direi che non ce ne sono più. Per cui il controllo che viene fatto dal pubblico ministero è un controllo sulla qualità del servizio che la comunità eroga.
  Questo controllo così importante, però, si scontra con la numerosità delle comunità e la piccolezza dei ruoli degli organici delle procure minori. Nel mio territorio, nella Lombardia orientale, sono presenti quattro province molto popolose (Bergamo, Brescia, Mantova e Cremona), con una popolazione di circa 4 milioni di abitanti di cui 600 mila minorenni. La nostra procura ha un organico di un procuratore più due sostituti. È impensabile che, oltre a tutto il resto che devono fare, debbano anche andare a controllare le comunità.
  I controlli si possono anche delegare alle forze dell'ordine, ma la sensibilità per apprezzare se un servizio è fatto bene o no non è per tutti, è una cultura che va un po' implementata. Questo è un tema importante, secondo me. Anche di questo tutte le riforme non si sono ricordate. Tra l'altro il controllo che la procura minori fa sulle comunità è un controllo che è privo di strumenti. Il PM può accorgersi che questa comunità non funziona, è inadeguata. Ci viene segnalata perché ci sono state delle risse tra gli utenti, perché c'è l'educatore che si è innamorato della ragazzina ospitata. Ci sono tante vicende che possono accadere. Se poi io vado, faccio un controllo e riscontro che c'è una situazione inadeguata, non ho poi strumenti per incidere. Se c'è una situazione igienica carente posso investire il Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri, posso investire la Guardia di finanza se ci sono delle irregolarità di tipo amministrativo e finanziario; però poi non posso fare niente. La cosa che si può fare è dire alla comunità: «Così non va bene, ti do un tempo perché tu ti rimetta in sesto e ti organizzi in un modo differente», anche per evitare di disperdere delle risorse, perché non è che ne abbiamo tantissime. Questo è per quanto riguarda il tema del controllo delle comunità, che però deve essere fatto in un modo competente e non repressivo, ma di aiuto. È molto importante affrontarlo.
  Io a questo punto posso concludere il mio excursus dicendo che occorrono investimenti nel welfare assolutamente, uguali per tutta l'Italia, e che non ci siano varie Italie. Io continuo a pensare che la riforma che sarà approvata per quanto riguarda l'attività dei giudici minorili non sia per nulla splendida. Comunque nessuna legge, per quanto splendida, potrà funzionare se non c'è un investimento parallelo in formazione e in risorse da mettere a disposizione, perché il giudice può fare anche un provvedimento, ma se poi nessuno lo riesce a eseguire perché non ci sono i mezzi è un'attività inutile.Pag. 7
  Non si deve pensare alla giurisdizione minorile come qualcosa di separato dall'intervento del welfare. Deve essere un unicum, e gli avvocati specializzati competenti sanno che non ci sono battaglie con i bambini al centro. Sono percorsi con varie prospettive professionali che vanno nella stessa direzione. La cosa che dico in maniera un po' provocatoria è che tutti si lamentano degli allontanamenti. Ci sono tragedie di cui la cronaca ogni tanto ci dà notizia, come il bambino ucciso a due anni dalle botte del compagno della mamma. Nessuno si è mai lamentato che quella situazione familiare non fosse mai stata segnalata. L'indifferenza non fa scalpore. Se si interviene può anche darsi che ci si sbagli perché nessuno è perfetto, allora quello è sbagliato. Ci sono le campagne strumentali. Invece, se i bambini rimangono nelle loro case e li ammazziamo, pazienza.
  Grazie, presidente, ho concluso. Rimango a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Maggia. Ci sono sicuramente domande. Io intanto la ringrazio per il focus che lei ha richiamato sull'affido familiare, perché concordo con lei sulla necessità di rendere questo strumento conosciuto in tutta Italia, anche con un apporto economico oltre che promozionale; ma soprattutto che sia un percorso accompagnato, cioè che ci siano o servizi sociali o comunque degli esperti che aiutino le famiglie affidatarie a proseguire in questo importantissimo incarico professionale, come io lo chiamo. Perché è anche questo, non è solo un incarico dal punto di vista di diritto civile.
  Io ho prenotate la senatrice Fregolent e l'onorevole Ascari in presenza, e poi l'onorevole Noja da remoto. Partiamo dalla senatrice Fregolent.

  SONIA FREGOLENT (L-SP-PSd'Az). Grazie, presidente. Grazie alla dottoressa Maggia. Io l'ho ascoltata anche la volta precedente con molta attenzione. Devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita anche dalla descrizione che lei ha fatto di un sistema dove in teoria tutto quello che interviene dovrebbe andare nell'interesse del bambino. Se così fosse, io credo che questa Commissione non avrebbe ragione di essere. Se il sistema fosse perfetto, questa Commissione oggi non avrebbe senso.
  Io le volevo fare delle domande specifiche soprattutto relative al rapporto con i servizi sociali. La volta precedente lei diceva che i servizi sociali sono la vostra sentinella nel territorio e che quindi vi confrontate e vi rapportate ai servizi sociali. Ma come fa il giudice a verificare l'attendibilità delle relazioni dei servizi sociali? Può accadere in alcune occasioni che il tribunale possa disporre l'allontanamento di minori senza aver audito, in contraddittorio magari, se quel minore ha un tutore o i genitori affidatari? Se questo accade, quali sono gli strumenti che eventualmente un tutore oppure gli affidatari hanno a disposizione?
  Ho un'altra domanda, e io su questo concordo molto con lei. Credo che l'allontanamento di un bambino debba essere l'extrema ratio e che l'aspetto affettivo sia assolutamente fondamentale, perché il legame familiare è quello che ci accompagna per sempre. Anche su questo, in che modo il giudice va a verificare se e come i servizi sociali hanno approfondito quel legame familiare? Grazie.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Provo a rispondere, ma forse non ho capito bene la prima domanda. Semmai mi corregga, senatrice. Parlando proprio stamattina in Camera di consiglio con i miei giudici, dicevo che il lavoro dei servizi sociali, così come quello della polizia, come quello della magistratura, come quello della scuola, risente dei soggetti che operano; quindi ci può essere l'insegnante più dotato e l'insegnante meno dotato, il poliziotto più scaltro e quello un po' più tonto, il servizio sociale più attento e quello meno attento. Noi non possiamo generalizzare.
  Quello che il tribunale deve fare assolutamente è ascoltare, confrontarsi con il servizio e con la proposta che il servizio fa, e poi fare una valutazione critica il più Pag. 8possibile autonoma, nel senso che è molto criticabile l'appiattimento su quello che il servizio ci manda. Loro ci danno una relazione. Come quando arriva la relazione della Polizia, non possiamo pensare che se la sia inventata. È una relazione scritta in buona fede, ma che può essere più o meno approfondita, più o meno attenta alla salvaguardia delle relazioni familiari. E qui sta alla bravura del giudice e del giudice multi professionale, ripeto, perché la componente onoraria ha una competenza a valutare le vicende umane che il giurista non possiede.
  Può essere la persona più colta del mondo, ma non ha mai studiato come valutare determinate situazioni. Quindi la presenza del giudice onorario in Camera di consiglio è utilissima a valutare la qualità della relazione che ci arriva dal servizio sociale.
  Poi ovviamente i territori sui quali il tribunale per i minorenni opera sono limitati, e alla fine noi sappiamo di chi ci si può fidare e di chi no. Non è che ogni volta arriva un servizio sociale diverso. A Brescia c'è un servizio sociale composto di un certo numero di soggetti stabili e noi dopo un po' sappiamo che se la relazione arriva da quel professionista è una relazione fatta bene, mentre se arriva da quell'altro un po' meno. Questo è normale. Sta al tribunale non appiattirsi su quello che gli viene trasmesso, ma vedere in controluce sotto i vari profili se veramente è una cosa importante, grave, oppure anche edulcorata.
  Nella sua domanda lei faceva riferimento a relazioni che superficialmente troncano legami, ma tante volte al contrario sono relazioni che non vogliono vedere il danno che si sta provocando ai bambini, perché l'utente ti fa pena, perché lo conosci, perché a sua volta questa mamma è stata seguita da piccola in una condizione familiare sfortunata, e quindi non si vuole infierire. Le prospettive da cui muovere sono tante, e quello che conta è avere una libertà di pensiero e mai una superficialità, sempre interrogarsi e fare tutti gli approfondimenti necessari sentendo tutti: il tutore se c'è un tutore, gli affidatari se ci sono gli affidatari, ovviamente i genitori; ma sentendo tutte le varie voci. Dopodiché la responsabilità della scelta è della magistratura, e la scelta è quella che è. Potrebbe anche essere una scelta sbagliata, ma non abbiamo il dono della perfezione. Ci sono poi i sistemi di impugnazione. Questa mi sembrava che fosse la sua domanda, se ho capito bene.

  SONIA FREGOLENT (L-SP-PSd'Az). Sì, volevo anche capire, nel caso in cui non venissero ascoltati o auditi tutore e gli affidatari, quali sono eventualmente gli strumenti a disposizione degli stessi.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Nella procedura di adottabilità è obbligatorio sentire gli affidatari. Il tutore è presente in tutte le fasi della procedura. Nelle procedure de potestate non è così, però la prassi del rispetto del contraddittorio ormai è invalsa per analogia alle più gravi procedure di adottabilità. Poi da tribunale a tribunale chiaramente ci sono abitudini differenti. Noi li sentiamo e ascoltiamo quello che hanno da dire. Spesso succede che gli affidatari in una fase iniziale non sono tali ma sono collocatari, perché quando si decide che un bimbo deve essere collocato in affido familiare, nelle esperienze che ho io dei tribunali in cui ho lavorato – che poi sono due – si fa un affidamento al servizio con collocamento in famiglia affidataria. Inizialmente, quindi, l'interlocutore è il servizio. Poi, quando l'affido viene sperimentato nella sua positività, si fa un affido diretto agli affidatari e certamente vanno sentiti. Se questo non accade ovunque, speriamo che questa cosa venga superata. Adesso c'è anche questa modifica del rito. Sarà una possibilità in più di ascoltare tutte le voci, ma quanto più deve essere condiviso l'intervento. Quindi bisogna sentire tutte le campane.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Intanto le dico, ma forse glielo specifica anche l'onorevole Ascari, che la riforma del processo civile è stata approvata solo al Senato ma non ancora alla Camera. PresumibilmentePag. 9 entro fine mese dovrebbe essere approvata anche qua, nel testo che non dovrebbe cambiare. Prego, onorevole Ascari.

  STEFANIA ASCARI. Grazie, presidente. Dottoressa, lei è stata audita anche in Commissione Giustizia, dove sono tuttora pendenti cinque progetti di legge, tra cui uno mio, in cui si cerca di rivedere completamente il sistema di affidamento dei minori e soprattutto il sistema di tutela dei minori. Sentendo anche le sue parole, in realtà, io vedo un quadro estremamente drammatico, perché se è vero che viene un minore allontanato da una situazione, da un contesto sicuramente non idoneo, poi è ovvio che se finisce in un affidamento familiare o in una comunità il progetto va seguito e va monitorato. A me non risulta che i PM dei tribunali dei minori vadano così frequentemente a fare dei controlli. Molto spesso a sua volta il minore rimane abbandonato a sé stesso e passiamo veramente da un abbandono all'altro. Io vedo veramente in questo un sistema estremamente buio e che necessita di numerosi interventi anche dal punto di vista empatico.
  Io le pongo adesso le mie domande. Vorrei chiederle se sono noti all'Associazione i casi in cui i componenti dei tribunali minorili svolgano anche attività di collaborazione o addirittura di gestione in strutture incaricate per l'accoglienza dei minorenni per la somministrazione di terapie e per la gestione di incontri vigilati, e se è noto all'Associazione che tali situazioni si caratterizzano secondo le disposizioni del CSM come ipotesi di incompatibilità funzionale non conciliabili con la normale garanzia della posizione di terzietà e indipendenza dell'organo giudicante. Questa è la prima domanda.
  La seconda: come si pone l'Associazione di fronte alla disapplicazione sistematica del termine di durata dell'affidamento extra familiare; alla costante o comunque frequentissima riduzione a minima cadenza e durata della frequentazione dell'affidato con genitori e familiari; ai procedimenti, frequenti soprattutto in alcuni tribunali, in cui affidamenti sine die vengono costantemente mutati in adozioni non legittimate, con evidente confusione tra le funzioni dei due istituti.
  Terza domanda: l'Associazione è al corrente dell'enorme numero, peraltro indicato in statistiche ministeriali parziali e in relazioni del Garante dell'infanzia, di minorenni affidati al servizio sociale e della quantità ingente di bambini e ragazzi collocati fuori dalla famiglia per periodi pluriennali? E le chiedo anche se l'Associazione sia conscia del fatto che tali dati vengano erroneamente comparati con quelli relativi a Paesi in cui l'affidamento ha effettivamente durata limitata ed è frequentemente disposto con il consenso della famiglia dell'affidato per far fronte a temporanee difficoltà.
  Chiudo con le ultime due domande: in molti tribunali minorili le istruttorie sono interamente delegate a componenti privati. Quali specifici percorsi di formazione garantiscono che essi conoscano in modo approfondito il sistema processuale e siano in grado di garantire l'osservanza dei principi del contraddittorio e della parità delle parti?
  Infine: come si pone l'Associazione di fronte al dato raccolto nella scorsa legislatura dalla Commissione Infanzia, secondo cui una quota considerevole degli allontanamenti minorili dipende dalle difficoltà economiche della famiglia di provenienza? Grazie.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). La prima domanda è se sia noto all'Associazione il fatto che alcuni giudici onorari, in spregio alle circolari del CSM, operino all'interno delle strutture; questa è una questione alla quale io non posso rispondere, nel senso che il CSM – essendovi adesso anche la legge n. 107 del 2020 – stabilisce (ne ho parlato la volta scorsa) queste linee di incompatibilità assoluta che devono essere rispettate. Il responsabile di queste cose è il presidente del tribunale per i Minorenni.
  Quello che io e l'Associazione chiediamo è che vengano fatti nomi e cognomi, perché se un presidente di un tribunale ignora, non indaga, non controlla il fatto che un Pag. 10suo giudice onorario contemporaneamente presti l'attività che è vietata dalla circolare del CSM prima e dalla legge adesso, è il presidente del tribunale che deve rispondere; e questo non mi risulta. Ci sono stati continui articoli di stampa, riferimenti a 200 giudici onorari, ma non si capisce di dove.
  Non sono mai stati fatti né i nomi né i luoghi in cui questi giudici onorari avrebbero, in spregio alla normativa, lavorato sia nei tribunali per i minorenni che nelle comunità. Io invito chiunque sia informato a fare nomi, cognomi e a segnalare al CSM questa situazione gravissima, in modo tale che questi giudici onorari vengano allontanati, e che il presidente che non ha controllato subisca un procedimento disciplinare.
  Personalmente, come me tanti altri colleghi, ogni sei mesi faccio una verifica con i giudici onorari del mio ufficio per comprendere che non ci siano state delle variazioni. La nomina viene fatta dal CSM e non dai tribunali per i minorenni. I tribunali per i minorenni raccolgono le domande, valutano i titoli che ciascun candidato propone, valutano l'assenza di profili di incompatibilità. Dopodiché è il CSM che fa la nomina e fa la valutazione finale. Se nel corso del triennio una persona che inizialmente non aveva incompatibilità poi risulta averne, è il presidente del tribunale che lo deve verificare e che lo deve segnalare al CSM perché venga revocata la nomina. Però ci vogliono nomi, cognomi, indirizzi e persone; non frasi. Credo che, come me, tutti i miei colleghi presidenti si adoperino nel modo corretto e, se invece non fosse così, dovrebbero essere ritenuti responsabili.
  Passiamo al discorso della durata dell'affido familiare. Prima ho accennato a questo discorso velocemente. L'allontanamento è considerato l'extrema ratio. Lo considera l'extrema ratio il nostro sistema normativo attuale, al di là delle modifiche future possibili. La durata dell'affido familiare è di due anni. Parlo dell'affidamento familiare giudiziale ovviamente, non di quello consensuale, ma il termine è uguale. Quando collochi un bambino in affido familiare e chiudi il fascicolo, se dopo due anni questo affido non deve cessare e non vi è il rientro del bambino a casa, ci viene segnalata la necessità di una proroga. Si riapre un nuovo fascicolo, si esplora la necessità di mantenere o di revocare l'affido familiare, si fa un'istruttoria e si decide; e per altri due anni si va avanti così.
  Come dicevo prima, gli allontanamenti intervengono in situazioni drammatiche la cui soluzione, a volte, è complessa da raggiungere, difficile nel tempo. È possibile che ci siano più proroghe, perché non c'è la garanzia che questa famiglia, per la quale abbiamo tentato in tutti i modi che si rimettesse in carreggiata una volta tolto il figlio, funzioni. In alcuni casi, invece, succede che la famiglia senza bambino ce la fa a stare in piedi, perché è meno gravata da un peso. Tutti voi sarete genitori come lo sono io. La crescita di un figlio non è solamente gioia, amori e torta di compleanno. Ci sono tante fatiche da affrontare quotidianamente. Se una persona è già fragile e in difficoltà a stare in piedi da sola, con un figlio è difficile che ci riesca. A volte queste mamme migliorano senza il bambino e, se glielo si restituisce, capita che ricomincino a cadere in certe abitudini dannose. Ogni storia comunque è diversa ed è difficilissimo generalizzare. Questo è il discorso della durata dell'affido familiare. Non si può stabilire a priori quanto durerà, perché dipende dalla patologia della famiglia, dipende dalle condizioni generali di quel caso. Non si può stabilire.
  L'affido sine die: quando una famiglia alla quale è stato tolto un figlio, gravata da problemi serissimi, non ce la fa a rimettersi in carreggiata e il bambino è stato in affido familiare magari per dieci anni, ma come pensate che facciamo? Quando uno è entrato in affido familiare all'età di otto anni e arriva ai diciotto, dopo dieci anni in cui ha continuato a incontrare ogni tanto i suoi genitori ma continua a non essere possibile il suo rientro nella famiglia di origine – perché i genitori sono separati e hanno altre famiglie complicate, perché non hanno casa, perché sono malati di mente, perché hanno delle fragilità pazzesche – questo ragazzo deve pure appartenere a qualcuno; Pag. 11quindi capita che spesso ci sono le domande di adozione speciale, nel rispetto peraltro della legge sulla continuità degli affetti. Io non ci vedo niente di scandaloso. I bambini hanno diritto ad appartenere a qualcuno, non di essere delle palline da ping pong in balia degli adulti.
  Sul discorso dei dati, l'Italia è veramente in crisi. Io direi che nemmeno la Commissione a cui faceva riferimento ha la certezza dei dati di cui parlava. Le fonti sui dati sono varie. Sono dati acquisiti con modalità diverse, non sono comparabili. Forse lei ha ragione a dire che i sistemi stranieri con i quali li abbiamo confrontati sono diversi. Io per la verità ho conosciuto soltanto il sistema francese, perché ho lavorato tanto in Liguria. E sono rimasta profondamente scandalizzata, perché nel sistema francese i bambini vengono allontanati alla nascita. Non si aprono le procedure di adottabilità. Vengono collocati nei foyer, che sono famiglie affidatarie professionali – con le quali non ho niente da dire, va benissimo – ma poi dimenticati lì. E poi li ritrovavamo a delinquere a 17 anni: da Mentone venivano a Ventimiglia a fare le rapine perché non avevano mai avuto una famiglia sostitutiva. Io non credo che ci siano sistemi al mondo che possano vantare la perfezione a cui cerchiamo di tendere ma a cui non arriveremo mai.
  Sulle istruttorie delegate ai giudici onorari, io posso farvi sempre l'esempio del tribunale minorenni di Brescia. Il tribunale minorenni di Brescia, che ha una mole di lavoro enorme, ha un organico di sette magistrati (sei più il presidente), togati, e non ce la fanno a fare tutte le istruttorie loro. È inutile, non ce la facciamo. Le giornate hanno 24 ore. I miei giudici lavorano tantissimo. Per cui si scelgono attività istruttorie meno significative da delegare ai giudici onorari, perché diversamente non potremmo farvi fronte in un tempo ragionevole. Potrebbero darci gli organici giusti, e c'è una differenza enorme anche qua tra il Nord e Sud. La nostra procura dei minori è composta da un procuratore più due. Quali controlli alle comunità pensa che possano fare? Ci sono centinaia di comunità sul nostro territorio.
  Il pubblico ministero minorile deve venire in udienza penale, fare le misure cautelari – sennò ci sono le baby gang che impazzano – curare le attività di filtro del civile e poi fare i controlli nelle comunità; ma non sono dei «Batman», onorevole. Quindi o ci date degli organici decisamente superiori – molto costosi per il contribuente, perché lo stipendio di un magistrato è una spesa grossa per lo Stato – o si accetta che i giudici onorari facciano le istruttorie meno delicate e vengano loro delegate, o si blocca l'attività. Può essere una soluzione anche questa, solo che poi gli avvocati non lavorano più.
  Quale formazione hanno questi giudici onorari? Come ho detto, il giudice onorario presenta una domanda, ha dei titoli, ha dei requisiti; il CSM, sulla base della graduatoria formulata dai presidenti dei tribunali per i minorenni, e dopo un'istruttoria ovviamente condivisa, fa le nomine, e spetta al presidente del tribunale e alla Scuola superiore della magistratura organizzare percorsi di formazione precedenti all'inizio del lavoro. Sono entrati due anni fa i nuovi giudici onorari. Abbiamo fatto tre mesi di apprendistato gratuito. Loro sono venuti in tribunale, hanno affiancato i giudici, hanno visto le udienze, ci sono state le lezioni alle quali sono stati obbligati a partecipare – di diritto, anche di procedura – e si sono attrezzati. Anche lì c'è chi è meglio e c'è chi è peggio. Spetta sempre al capo dell'ufficio valutare e attribuire competenze diverse in base alle abilità. La formazione quindi è fatta dentro i tribunali per i minorenni e dalla Scuola superiore che organizza dei corsi.
  Il discorso dell'abbandono in comunità dei ragazzi perché le procure minori non controllano è un tema – lei ha assolutamente ragione – che è legato a questa carenza di organici e alla mancanza di strumenti. Lo dicevo la volta scorsa quando parlavo dell'esecuzione dei provvedimenti: se si chiude una procedura con il collocamento di un ragazzo in comunità, la procedura è chiusa. Il giudice non ha più titolo per andare a vedere dov'è. Sarebbe il servizio che paga la retta che deve dire: «Guardate che questo ragazzo può tornare a Pag. 12casa. È inutile che continuiamo a pagare una retta se la sua famiglia è migliorata». Questa è una cosa che spetta al Servizio segnalare. Dopodiché si interviene.
  L'attività di controllo delle procure minori è un'attività che dovrebbe essere implementata. È un tasto dolentissimo. Sono d'accordo con lei. Pensiamoci, facciamo qualcosa per renderla efficace. Ha ragione quando dice che ci sono situazioni, a volte, di secondo abbandono che non vanno accettate. Io non ho descritto un mondo bellissimo, che non coincide con il reale. Il nostro mondo è pieno di criticità e di fatica di tutti gli operatori che in buona fede si adoperano. Io credo profondamente che si possa migliorare qualunque cosa, con l'aiuto di tutti; ma bisogna conoscerla nella sua vera luce, non per sentito dire.
  Mi sembra di avere risposto a tutte le questioni. Se c'è qualcosa che ho dimenticato, mi perdoni e me lo dica.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Maggia. Adesso c'è l'onorevole Noja da remoto.

  LISA NOJA. Grazie, presidente. Io ringrazio moltissimo la dottoressa Maggia per questo quadro molto esaustivo e approfondito che ci ha fornito. Vado subito alle domande puntuali. La prima. Lei prima citava questi dati di eterogeneità territoriale tra il Nord e il Sud rispetto all'attitudine delle famiglie a rendersi disponibili per l'affido consensuale. Parlava della necessità di campagne di informazione. Le chiedevo se c'erano altri elementi, secondo lei, che potrebbero aiutare a superare questa criticità. Per esempio, mi chiedo se c'è un tema anche reddituale. Magari le famiglie del Sud sono spesso economicamente più in difficoltà e quindi, come lei diceva, non sarebbero in grado di sostenere costi legati a questo tipo di strumento. Quali secondo lei potrebbero essere, oltre alla campagna informativa, dei percorsi che aiutino a raggiungere maggiore omogeneità territoriale?
  La seconda domanda era rispetto agli strumenti che lei definiva «creativi», diciamo l'alternativa all'affido, agli affidi diurni, tutti quegli strumenti di flessibilità che lei diceva sarebbero molto utili. Bisogna incrementarli perché consentono una capacità del sistema di reagire magari prima di dover arrivare alla soluzione estrema. Anche lì, secondo lei, quali potrebbero essere gli strumenti di promozione di queste soluzioni? A livello legislativo, ma anche se non legislativo a livello governativo, ci sono delle misure, delle iniziative che potrebbero essere utili per rendere questo sistema di strumenti flessibili più diffuso?
  L'ultima domanda che volevo porle era sul controllo delle comunità. Lei diceva che c'è un tema di organico, ma le volevo chiedere se lei ritiene che ci possano essere delle modifiche proprio del sistema di controllo che aiutino a rendere i controlli più diffusi; e quindi se anche eventualmente una modifica delle competenze che spettano alla magistratura, magari allargandole anche ad altri soggetti, potrebbero aiutare a svolgere un'attività di controllo più continuativa e soprattutto eterogenea su tutti i territori. Grazie mille.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Grazie a lei. Ha perfettamente ragione: il dato reddituale è un dato che incide. Per una famiglia accogliere un bimbo ha un costo che non è coperto da questo piccolo contributo che viene dato. Mediamente sono 400, massimo 500 euro mensili. Certo che la differenza tra Nord e Sud è data anche da questo. Come fare? Secondo me, siccome la generosità è una caratteristica del popolo italiano – ho visto situazioni meravigliose di gente veramente splendida, e certamente non ricca, che si apriva all'accoglienza della diversità in modo da far fiorire proprio la speranza di queste persone, e di cui purtroppo non si parla mai – è importante riconoscere, credo, nelle zone dove si fa maggiore fatica, magari un sussidio superiore; però anche i comuni non hanno bilanci allegri. È un discorso di stabilire finanziamenti dedicati a certe attività, a fronte di un percorso di formazione che deve essere un percorso di formazione qualificato, che si può gestire anche nel privato, perché ci sono tante associazioni che si sono occupate di adozioni e Pag. 13adozioni internazionali, che poi si sono aperte all'affido e che organizzano anche percorsi di sensibilizzazione. Li ho individuati spesso soprattutto nel Nord, ma si potrebbe implementare questo ricorso al Sud, perché secondo me è una manifestazione di grande civiltà e di solidarietà del cittadino più solido nei confronti del cittadino più fragile. Solidarietà e spirito di comunità che purtroppo sparisce sempre di più in questo individualismo e in questa rabbia che ci pervade tutti.
  Ad esempio, l'Autorità garante, così come ha fatto per i minori stranieri non accompagnati, potrebbe farsi promotrice di campagne per l'affido. Lì siete voi che dovete insegnare a me e non io a voi.
  Per quanto riguarda i percorsi creativi, è la stessa cosa: per quanto riguarda noi magistrati – non è una cosa scontata – noi dobbiamo imparare a comprendere che il nostro provvedimento può calare in una realtà in cui non viene visto bene, perché ci sono difficoltà.
  Faccio due esempi molto banali. Quando lavoravo a Genova, ricordo che avevo come zona quella di Sanremo, che non è certo una zona povera – ci sono il festival, i fiori eccetera –, però non c'era niente a metà tra la famiglia che funziona bene e la famiglia in difficoltà. Se la famiglia in difficoltà diventava troppo in difficoltà, come aiuto possibile ai figli di quella famiglia c'era solo la comunità. Non esistevano centri diurni, non c'era niente. Ricordo che io ho convocato davanti a me l'assessore ai servizi, dicendo: «Non siamo in Basilicata, siamo a Sanremo. Le immagini scintillanti che ci arrivano da questa bella cittadina turistica non mi fanno pensare che non ci siano i soldi per organizzare centri diurni per ragazzini che a casa non hanno nessuno che controlli i loro compiti o che vengono lasciati da soli, perché i genitori devono lavorare eccetera. L'alternativa è solo la comunità?». Questa è successo parecchi anni fa e adesso le cose sono migliorate, però è a volte ciò che manca è proprio la sensibilità dell'amministratore e l'interesse a certe fasce sociali che non vengono considerate.
  L'altro esempio che le faccio è recentissimo e riguarda una procedura di una mamma africana e un bimbo. La mamma era ospitata in un CAS (Centro di accoglienza straordinaria) collocato in un piccolo paese del nostro territorio. Si apre una procedura, questa mamma ha delle fragilità grandi e decidiamo di collocare la mamma e il bambino in comunità per monitorare e aiutare questa donna a svolgere i suoi compiti di madre. Il sindaco voleva «morire», mi ha riempito di lettere dicendo che per il bilancio di quel piccolo paese, la retta della comunità mamma-bambino era una retta esagerata e io lo devo capire, non mi posso solo indignare dicendo: «Non sono affari miei. A me non importa del denaro. Ho fatto il provvedimento e tu adesso lo esegui». Devo capire con che stato d'animo lui si trova a dover giustificare una spesa così rispetto ai suoi cittadini. Allora si trovano delle soluzioni alternative che possono essere un affido familiare di mamma e bambino magari proprio da parte di connazionali già radicati e che vivono nel territorio, e che quindi la signora può vedere in un modo diverso.
  È l'amministratore che deve avere un po' di voglia di sistemare le cose. La prima reazione è: «Toglieteceli da mezzo», ma così non può essere. Sono una mamma e un bambino, non importa da dove vengano, hanno diritto di avere le attenzioni e le cure di tutti. Se non ce la fai, troviamo delle strade insieme, però cerchiamole e non ci deve pensare qualcun altro, perché non è una soluzione.
  Per quanto riguarda i sistemi creativi, in un nostro caso c'era una mamma con due bambini fragilissimi. Lei era figlia di genitori tossicodipendenti mai allontanata e cresciuta in mezzo alle siringhe; diventa mamma a sua volta e, siccome non ha imparato un modello positivo, non riesce a fare la mamma come si deve, ma vuole bene ai suoi bambini. Questa mamma giovanissima aveva bisogno lei di una mamma.
  La comunità non ci serve più di tanto, perché era una mamma che sapeva accudire i figli nel modo materiale, ma poi non riusciva a essere autorevole, perché era una bambina essa stessa. Siamo riusciti con Pag. 14grande fatica a trovare una famiglia affidataria in Trentino, due signori in età che si sono presi in affido sia la mamma che due bambini.
  Questi sono percorsi creativi – come li chiamo io –, che però costano molta fatica e molto lavoro e per i quali ci vuole una passione.
  Per quanto riguarda il controllo delle comunità e da parte di chi, le comunità, per essere aperte, devono chiedere le autorizzazioni agli enti locali, ai servizi sanitari e anche gli immobili devono avere determinate caratteristiche. Ogni legge regionale organizza in modo diverso. Perché vi parlo della Liguria? Perché sono stata procuratore minori, PM e giudice tanti anni in Liguria.
  La legge regionale ligure prevedeva un controllo dell'adeguatezza dei requisiti delle comunità ogni quattro anni. Ogni quattro anni è veramente pochissimo, ma quella è una legge regionale sulla quale io non posso incidere. In più le concessioni, le licenze e le autorizzazioni vengono date in questi piccoli centri, dove tutti si conoscono, dove chi apre la comunità è magari cugino dell'assessore, quindi ci possono essere delle possibili commistioni. Il controllo dovrebbe essere fatto da qualche soggetto lontano.
  Va benissimo il controllo delle procure, ma – adesso sorrido perché prima è stato molto forte l'intervento dell'onorevole Ascari sui giudici onorari – io penso che per ovviare alle carenze di organico delle procure minori sarebbe importante prevedere dei viceprocuratori onorari che potrebbero fare benissimo questa attività, delegati dal PMM. Anche questo è stato un tema non arrivato all'attenzione del legislatore.
  Anche le forze dell'ordine non hanno delle competenze specifiche sulla modalità di aiuto e di sostegno al ragazzo. Il collocamento in comunità non deve rimanere un parcheggio: ti tolgo da casa tua, ti metto lì, ma per fare cosa? Che cosa fai? Vai a scuola? Fai un lavoro su di te? Hai una psicoterapia in corso? Fai un'attività propedeutica a trovare un lavoro futuro? Il controllo in questo questo deve consistere, senza demonizzare la comunità, perché la comunità è una risorsa, cercando di stimolare a far bene.
  Spesso le comunità hanno degli andamenti ciclici: quando si aprono sono ottime, poi è un lavoro durissimo avere a che fare con questi ragazzi, perché ti mettono alla prova, e quindi ci sono delle fasi calanti come di burnout. Bisogna cercare di salvaguardare la risorsa senza essere distruttivi, ma verso il meglio.
  Le modifiche del sistema potrebbero essere: dare strumenti alla procura minori per incidere, perché laddove non funziona, la procura dei minori deve poter dire: «Questa comunità la posso chiudere, posso sospendere l'attività, posso fare delle prescrizioni autorevoli in cui si dice di adeguarsi: questo servirebbe sicuramente». Vi dovrebbe poi essere la possibilità di fare affiancamento alla procura dei minori da parte di qualche soggetto esperto e formato.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Abbiamo ancora le onorevoli Giannone e Bellucci da remoto e, infine, le farei anche io qualche domanda. Quindi le chiediamo ancora un po' di pazienza. Prego, onorevole Giannone.

  VERONICA GIANNONE. Grazie mille, presidente. Grazie alla dottoressa Maggi. Cercherò di essere veloce. In quanto presidente dell'Associazione dei magistrati per i minorenni, lei ha parlato prima di quelle che sono le relazioni dei servizi sociali. Io le chiedo anche se ha contezza, e se può darci qualche informazione, relativamente alla rilevanza delle CTU nei provvedimenti di allontanamento, perché spesso e volentieri quello noi abbiamo visto in questa legislatura – sia in Commissione giustizia, ma anche in Commissione infanzia con tutte le segnalazioni pervenute negli anni – è che tanti decreti vanno poi a riprendere nello specifico, se non quasi completamente, quanto periziato dalla CTU, che viene quasi trasformato in decreto.
  Davanti a me – se vuole poi glieli invio – mi sono segnata diversi questi decreti con il numero, quale tribunale, la sezione e gli anni per fare un po' anche uno studio e Pag. 15cercare di capire effettivamente quanto incideva, però il mio dato è relativo alle mie piccole segnalazioni. Lei magari potrà darci qualche dato maggiore, sempre se lo ha, o comunque una contezza anche sulla base della sua esperienza lavorativa. Questa è la prima cosa che le chiedo.
  Passando alla seconda domanda, quando lei parla di allontanamenti per motivi gravi che sono giusti e che devono essere messi in atto, perché se c'è un bambino in pericolo, noi abbiamo l'obbligo nei suoi riguardi di proteggerlo – su questo sono assolutamente d'accordo con lei –, però ci sono anche tanti altri casi nei quali, a mio avviso, non si vede questa criticità o questa gravità.
  Le faccio degli esempi legati sempre a valutazioni fatte da CTU o dal servizio sociale, perché non sempre il tecnico viene nominato dal giudice, ovvero quando abbiamo delle separazioni consensuali che spesso vengono trasformate in conflittuali o quando ci sono vittime di violenza non soltanto fisica, ma anche a livello psicologico piuttosto che violenza assistita che molte volte è più difficile da riconoscere. In quei casi molte volte le uniche motivazioni che noi ritroviamo anche da decreti emessi dai giudici sono relative a concetti astratti.
  La settimana scorsa io ho posto un quesito alla Ministra Cartabia proprio su questo. Parliamo di alienazione parentale, sindrome della madre malevola, simbiotica e quant'altro, che sappiamo perfettamente non essere esclusivamente legati alla donna, ma nella stragrande maggioranza, purtroppo, sono accuse rivolte alle madri.
  In questi casi noi abbiamo trovato tantissimi allontanamenti dei minorenni con inserimento spesso in casa famiglia o a volte in famiglie affidatarie, meno per tutti i problemi che lei ha già ben spiegato prima. Ma in quei casi la gravità sinceramente dov'è? Non parliamo di bambini maltrattati in pericolo di vita o in pericolo di abbandono o di bambini che hanno a che fare con genitori non accudenti o che non fanno in modo che questi bambini abbiano tutto quello di cui hanno bisogno, ma si parla molto spesso anche di bambini che non vengono ascoltati e che, invece, esprimono il desiderio di continuare la loro vita. Perché in quel caso vengono allontanati, se l'allontanamento e l'inserimento in strutture dovrebbe essere l'ultima ratio? Sinceramente questo proprio non lo comprendo.
  Anche in questo caso vorrei avere, oltre che delle sue opinioni – non parliamo di dati, perché lei ha ragione quando dice che ne abbiamo pochi e siamo veramente messi male –, almeno una contezza personale sul lavoro che ha svolto anche come associazione.
  Per finire le pongo una questione non come domanda, ma per attenzione. Spesso ci arrivano segnalazioni – parlo veramente di centinaia e centinaia – di bambini che al momento dell'allontanamento o dell'inserimento nelle case famiglia rimangono allontanati e senza poter sentire, parlare o vedere il proprio genitore o i propri genitori anche per mesi.
  Capisco che possono esserci dei casi gravi, come lei diceva prima, per i quali conviene tenerli lontani, ma tantissimi altri casi non hanno di queste necessità. Invece, non si pensa al fatto che quei bambini si ritrovano in una sorta di stato di abbandono che non riescono e non possono elaborare, perché non hanno gli strumenti. Si ritrovano da soli in un ambiente sconosciuto con persone sconosciute alle quali dovrebbero affidarsi, ma come è possibile fidarsi poi di qualcuno che non ti permette di sentire i tuoi genitori neanche telefonicamente – figuriamoci vederli – per mesi?
  Le chiedo se è possibile tenere assolutamente sotto controllo questa cosa, perché immagino comunque che arrivino delle istanze dai legali di questi genitori. Teniamo sotto controllo questo, perché credo sia necessario. Grazie mille.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Grazie, onorevole. Volevo chiederle un chiarimento. Quando lei parla della rilevanza dell'allontanamento e del fatto che il decreto ripete pezzi della perizia CTU nella sua parte motiva, si riferisce al tribunale dei minorenni o del tribunale della sezione famiglia?

Pag. 16

  VERONICA GIANNONE. Spesso tribunale per i minorenni.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Come dicevo prima, il tribunale per i minorenni ha una composizione onoraria che normalmente dovrebbe servire a evitare le CTU, perché la CTU è un costo anche per le parti e si dispone la CTU quando veramente non si sa dove sbattere la testa, ma parlo sempre della mia esperienza, perché è vero che io sono presidente dell'Associazione nazionale, ma non è che conosco cosa faranno i miei colleghi nelle loro stanze in tutta Italia.
  La mia esperienza è che la CTU è l'ultima spiaggia quando non sai a che santo votarti. Quando ci sono situazioni ambigue e ambivalenti in cui non è facile trovare una soluzione, si nomina un CTU, ma non tutti sono uguali: ci sono CTU provati che sanno approfondire e CTU che lo fanno meno. Certo che quando un esperto che hai nominato tu, ti dice: «La situazione è questa e bisogna allontanare...», è un po' difficile smentirlo, anche perché non abbiamo gli strumenti tecnici, al di là della presenza dei nostri giudici onorari. È un po' difficile dire che l'esperto abbia torto, soprattutto se la CTU è svolta con un consulente di parte nel contraddittorio fra tutte le parti.
  Nella mia esperienza ci sono CTU fatte bene e CTU fatte male. Di fronte a una CTU fatta male, ti chiedi se forse non era meglio non farla, perché è comunque una zeppa importante che ti arriva e che dice delle cose.
  Nella mia esperienza la nomina del CTU viene fatta con molta parsimonia, solo in situazioni gravissime e quando abbiamo un CTU che davvero ci può illuminare. Non so se questo accada ovunque. Non posso dire che questa sia una prassi comune.
  D'altro canto, se io facessi il giudice fallimentare e facessi fare una perizia economica o finanziaria sulla società, cosa potrei fare? Io non lo so, non conosco la materia. Il giudice è il peritus peritorum, però per poter smentire un discorso fatto da un tecnico bisogna avere degli strumenti da opporre e qui siamo nella stessa condizione. Questa è la risposta alla prima domanda.
  La seconda domanda riguarda gli allontanamenti fatti per motivi non gravi. Da un lato sono molto contenta che la violenza di genere emerga e che le donne si attivino, ma dall'altro sono terrorizzata dall'ideologia e dal fatto che basta che una donna racconti una storia per darle credito e per allontanare la mamma col bambino che magari non hanno detto tutta la verità e che non corrisponde al reale. Le mode e le ideologie mi fanno sempre paura, anche se nascono da esigenze importanti. Il modo con cui a volte ci si avvicina alla violenza di genere richiederebbe da parte degli operatori, soprattutto dei magistrati, una grande prudenza e una grande esperienza che non è così semplice da costruire. Prima di costruirsi un'esperienza, uno deve essere stato giovane e avere potuto fare degli errori.
  Lei parlava di allontanamenti in situazioni di violenza psicologica o di violenza assistita che non sono così gravi. Anche il concetto di gravità è un concetto soggettivo. Una donna può percepire delle frasi poco carine come violenza psicologica, ma un'altra può non farci caso. Non è semplice, ma è tutta un'interpretazione soggettiva della parte offesa che si sente vittima, dell'operatore che raccoglie il suo racconto, sia esso un poliziotto o un operatore sociale, e del giudice, perché tutte queste sono interpretazioni che risentono delle nostre questioni interne. Se io sono stata una donna in qualche modo umiliata, entro in risonanza con quella persona che mi sta raccontando un'esperienza di umiliazione e non sarò tanto asettica e distaccata. Tuttavia su come ovviare francamente, onorevole, non so che cosa proporre se non la formazione di tutti in un modo libero ed esente da condizionamenti.
  Vi è poi la possibilità di impugnare. Per esempio, per i reclami verso gli allontanamenti fatti dal tribunale per i minorenni, ormai quasi tutte le Corti d'appello li accolgono, se il provvedimento incide nella vita delle persone in un modo così imponente, anche se è provvisorio. Nella nostra Corte d'appello, questi sono reclami che si possono fare, ma so che non avviene in Pag. 17tutte le Corti d'appello, perché in Italia ci sono luoghi dove le Corti d'appello, anch'esse sottodimensionate eccetera, preferiscono lavarsene le mani e dire: «Il provvedimento è provvisorio.». Adesso con la riforma saranno tutti provvedimenti reclamabili, e questa potrebbe essere una cosa favorevole.
  Per quanto riguarda il discorso degli allontanamenti dei bambini e il collocamento in casa famiglia con perdita di qualunque contatto, non so se lei si sia riferita ai casi di allontanamenti disposti con provvedimento dell'autorità giudiziaria. Relativamente alle regole della comunità, questo divieto di contatto era previsto nel decreto? Perché normalmente, quando fai un allontanamento, devi prevedere che una volta ogni X c'è l'incontro con il papà e la mamma da cui sia stato tolto, ma che ha il diritto di vedere.
  I decreti fatti bene prevedono la possibilità di una telefonata ogni tanto o un incontro, perché se no assolutamente ha ragione lei. Lì si tratta di provvedimenti mal fatti, mal scritti e molto lesivi degli individui dei quali bisognerebbe mettere in atto la protezione. La motivazione deve essere prevista nel caso in cui non ci siano incontri o ci fosse un divieto di incontro.
  Facciamo degli esempi. Un probabile caso di abuso all'interno della casa con una vendita della bambina da parte della mamma, prostituta, ai clienti, è chiaro che a questa mamma non faccio vedere la bambina, perlomeno finché questa mamma non si mette in discussione. Ci sono casi e casi. È gravissimo se poi non ci sia una regola e che sia la comunità a decidere per sua comodità di non aprire, perché magari poi il bambino piange e lo devi gestire. Questo sarebbe grave e non va bene. Ha ragione.

  PRESIDENTE. L'onorevole Bellucci, da remoto. Prego.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Grazie, presidente. La ringrazio, presidente Maggia, per l'illustrazione che ci sta facendo della sua esperienza e anche per la possibilità di rispondere puntualmente alle nostre proposte e alle nostre riflessioni. Detto questo le volevo chiedere, presidente, in che misura secondo lei viene utilizzata l'adozione mite. Prima lei faceva riferimento alla prosecuzione di quei 24 mesi previsti per legge all'affidamento, e successivamente sottolineava il diritto del bambino ad avere una base sicura e una certezza di legame, riflessione che condivido pienamente, perché se tutta la nostra normativa, sia nazionale che sovranazionale nei riferimenti delle carte che abbiamo sottoscritto e delle ratifiche, pone il superiore interesse del bambino come il faro guida di chiunque intervenga da un punto di vista legislativo, ma anche da un punto di vista giudiziario, allora la questione consiste nel dare una base sicura e un riferimento, un legame sicuro e certo che possa contenere e proteggere da quelle ansie rispetto all'indefinitezza e alla precarietà di un legame che, invece, si viene a configurare per bambini che hanno poi la sofferenza più grande di non avere una figura stabile di attaccamento. In questo sia nel diritto del bambino di poter mantenere la relazione con le proprie figure genitoriali biologiche, ma anche, come ha detto lei, nel caso in cui queste figure non siano nella condizione di poter esercitare quella responsabilità genitoriale che dà contezza a quel bisogno di rassicurazione, la nostra normativa prevede l'adozione mite.
  Per quello che mi è dato sapere – per questo mi volevo confrontare con lei – in realtà è un istituto che viene poco utilizzato. Credo che questo sia un problema se noi andiamo a rintracciare non tanto la legislazione da correggere e nuove norme da introdurre, ma come dare vita a quelle che esistono. Fra l'altro, una delle sottolineature che ci viene fatta anche a livello europeo è che l'Italia ha moltissime norme adeguate rispetto alla protezione dei minori, ma la problematica è che non vengono del tutto attuate oppure vengono attuate male.
  Rispetto a questo che, per quanto sommessamente mi riguarda, ritengo essere uno strumento molto prezioso, se messo in attuazione nella maniera in cui è stato pensato, le vorrei chiedere che cosa ne Pag. 18pensa e se, per quanto riguarda la sua attività o anche quella dei colleghi che lei rappresenta, è un istituto che viene utilizzato in maniera adeguata o se è poco utilizzato. Se è poco utilizzato, secondo lei, perché? Nel caso in cui la normativa che la istituisce non fosse adeguata, secondo lei, in che punti dovrebbe essere corretta? Se, invece, è adeguata, volevo sapere il suo parere e se conferma come è stata predisposta dal legislatore.
  Passando alla seconda domanda, per quanto riguarda il curatore del minore, volevo sapere se secondo la sua esperienza il curatore svolge anche una funzione di difensore del minore e se questo il ruolo del curatore sia monitorato da qualcuno. Le chiedo anche se c'è qualcuno – e chi è – che svolge un monitoraggio e una verifica del buon andamento in cui svolge la propria funzione.
  La terza domanda riguarda la pianta organica, nel senso che lei sottolineava come non tutte, ma almeno una parte – mi sento di aver colto questo – delle disfunzioni relative alla non efficienza ed efficacia della macchina istituzionale, ma anche giudiziaria, di protezione del minore è legata a una scarsa quantità di risorse umane.
  Per quello che mi è dato sapere, io condivido la sua riflessione. Noi abbiamo avuto dei tagli drammatici nei decenni sia per quanto riguarda i servizi sociali e sociosanitari, che anche per la nostra giustizia. A partire dalla sottoscritta, dico l'ovvio e non sto proponendo nulla di così innovativo rispetto a questa definizione di problematica. Vi è una quantità di personale che è assolutamente ridimensionato, ma siccome il lavoro deve essere sempre svolto dalle persone, nel momento in cui non ci sono risorse umane adeguate, il lavoro non potrà mai essere fatto nel migliore dei modi.
  Tuttavia, avanzo una questione, perché lei proponeva nella soluzione la dotazione di risorse umane in capo ai giudici onorari, con un numero maggiore per poter sopperire ai carichi di lavoro ingenti e alla mancanza di risorse umane all'interno dell'asset giudiziario. Su questo volevo un approfondimento da parte sua, perché in questi anni abbiamo tanto vissuto la difficoltà del giudice onorario di poter essere una figura di riferimento stabile e con un inquadramento lavorativo consono alle responsabilità che gli vengono affidate, perché il giudice onorario si va a configurare anche da un punto di vista giuslavoristico. Mi permetto di fare questa apertura, perché se noi pensiamo – credo che questo sia un punto di partenza – che queste figure svolgano una funzione cardine dell'assetto democratico e della giustizia in termini fattivi, inevitabilmente con la possibilità di avere una figura di riferimento con un inquadramento lavorativo e con l'assegnazione di responsabilità che siano parametrate con la stabilità del lavoro che devono svolgere, mi fa sorgere qualche dubbio il credere che la risposta della scarsità delle risorse umane possa poi trovare una risposta in figure che sicuramente da un punto di vista tecnico possono avere moltissime competenze, ma in realtà cambiano nel corso degli anni, perché hanno comunque degli incarichi che sono a tempo determinato, hanno una modalità di lavoro e di collaborazione che non li garantisce e, inoltre, hanno un riconoscimento economico estremamente esiguo.
  Il lavoro che svolgono è importante, perché oltretutto si occupano di proteggere i più fragili e i minori sono sempre più fragili. Sono sempre stata convinta che i più fragili siano minori, ovvero persone di minore età che sono soggetti di diritto, ma che da soli hanno l'impossibilità di poter richiedere l'esigibilità di quei diritti proprio perché sono persone di minore età e quindi la responsabilità viene affidata in capo agli adulti.
  Queste figure da un punto di vista giudiziario, ma anche da un punto di vista dei servizi sociali, dovrebbero essere sicuramente delle figure cardine dell'asset giudiziario all'interno della pianta organica e in forma stabile, ma anche dell'asset sociale e sociosanitario, fortemente incentrate in un rapporto di dipendenza pubblico, meno in questo caso con un rapporto di esternalizzazione del servizio. Io sono sempre per una parità tra pubblico e privato, ma ci sono degli ambiti di intervento in cui credo Pag. 19che questo tipo di collaborazione tra pubblico e privato e tra pari dignità debba avere dei confini e delle articolazioni diverse.
  Per questo volevo chiarire meglio perché, se la pianta organica è scarsa, allora forse dovremmo aumentare la pianta organica, al di là del bilancio e della coperta corta. Come dice lei, lì è la politica che deve fare delle scelte e allora ci sono delle scelte che non possono essere delegate, pena il fatto che si mantiene e si perpetua una inefficacia della protezione di tutela delle persone di minore età.
  Tuttavia, conviene che ci diciamo questo dall'inizio, perché se pensiamo che la risoluzione sia una coperta corta in un'azione fondamentale dal punto di vista giudiziario, istituzionale e sociale, abbiamo costruito i presupposti per continuare a patire di un male un po' diverso, ma comunque di un male. La ringrazio.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). La prima domanda è quella sull'adozione mite o articolo 44, lettera d della legge sull'adozione, che sono due cose diverse. L'adozione mite non esiste nelle nostre norme. È un'indicazione che da ultimo la Cassazione sta dando, in situazioni gravissime che hanno comportato la dichiarazione di adottabilità di un bambino e la completa separazione dalla sua famiglia d'origine, laddove esiste all'interno della famiglia d'origine una figura positiva con un legame da salvaguardare che può essere un fratello, una nonna o figure che non sono in grado di farsi carico del bambino, ma che il bambino non può perdere. Secondo la Cassazione in questo modo si può dichiarare un'adottabilità con l'inserimento del bambino in famiglia adottiva e il cambio del cognome, mantenendo un rapporto con il fratellino che è in un'altra famiglia adottiva, piuttosto che la nonna che però non disturba.
  Questo è un orientamento che esiste all'estero e non Italia – non ci sono state proposte di legge – da prendere con molta prudenza, come al solito, nel senso che l'uomo poi tendenzialmente cerca le strade più facili e più comode. Il rischio è di dichiarare sempre adozioni miti, anche perché così si fa meno fatica e le persone si arrabbiano di meno, essendo scelte un po' più morbide, ma tutto sommato però non vanno nell'interesse del bambino.
  Bisogna fare attenzione a questa adozione mite che va studiata bene. Non è da demonizzare, ma neanche da utilizzare come strumento principe.
  Altra cosa, invece, è l'adozione speciale ai sensi dell'articolo 44, lettera d, cioè quando non è possibile un affidamento preadottivo e una dichiarazione di adottabilità e il bambino ha costruito dei legami importanti con una famiglia nella quale è vissuto per anni; questa famiglia può chiederne l'adozione. Come dicevamo prima, affido sine die e richiesta di adozione mite.
  Nella mia esperienza queste richieste sono veramente poche, e purtroppo sono molto meno di quelle che dovrebbero essere. Se volete, ho anche i numeri bresciani, ma sono un paio di decine all'anno e forse è anche meno. Sono meno di venti all'anno nel nostro territorio, perché questo è legato alla scelta della famiglia affidataria in cui collocare un bambino che è una scelta che viene fatta dai servizi. Così come i servizi scelgono la comunità, scelgono anche la famiglia affidataria sul presupposto che l'affido è una situazione a termine e che quindi la famiglia deve essere disponibile per un tempo limitato. Chi si propone per l'adozione, invece, si propone per la vita.
  L'ambiguità dell'affido sta qua, perché a volte, siccome si allontana molto poco e solo in casi gravissimi, è difficile che si possa rientrare nella famiglia d'origine e quindi quella diventa la famiglia per il bambino.
  Quello che si richiede all'operatore o al magistrato è una visione prognostica, ovvero la capacità di vedere oltre l'oggi e capire se quella famiglia d'origine, se aiutata, avrà veramente la possibilità di recuperare oppure sarà molto difficile.
  In quel caso bisognerà scegliere una famiglia affidataria che non abbia altri cinque figli propri, perché se il padre lavora, la mamma sta in casa e cresce i cinque figli e fanno un'esperienza dell'affidoPag. 20 familiare con un sesto bambino, difficilmente poi lo vorranno adottare, perché dovranno dividere questa eredità tra sei figli e non tra cinque.
  Innanzitutto, bisogna che per il bambino che è stato a lungo nella famiglia affidataria, questa famiglia si trasformi da provvisoria in definitiva nel cuore, ma l'istanza deve partire da lei. Spesso le famiglie affidatarie non sanno neanche che esiste questo istituto. Dovrebbero essere i servizi che, dopo varie proroghe dell'affido o dopo sei anni con il bambino si trova lì con una famiglia di origine irrecuperabile, dicano: «Perché non lo adotti? Perché non fai l'istanza al tribunale?». Questa è una cosa che suggerisco sempre quando mi trovo in situazioni di questo tipo, ovvero di mandare un messaggio alla famiglia affidataria, dicendo: «Guardate che esiste questa possibilità. Poi siete liberi di percorrerla o meno.».
  Non sempre questo viene ricordato e le famiglie spesso non lo sanno. Ecco il motivo per cui ci sono poche domande o non se la sentono, perché non se la sentono di costruire una fratellanza anche legale ai loro figli, al di là di quella di cuore, che vada oltre e che riguarda, ad esempio, la casa della nonna poi sarà divisa in più ragazzi e non solo fra figli biologici. Queste sono le ragioni. Sono valutazioni della coppia.
  Laddove la coppia non avesse questi problemi, spesso non sa che può fare questa domanda, capita che anche i servizi non conoscano questa soluzione, perché sono poco formati e, come diceva lei, il taglio delle risorse continua a ritorcersi sulla tutela dei minori, spesso l'assistente sociale è da sola ad affrontare centinaia di casi gravi e urgenti, succede che gli utenti le tagliano le gomme e la minacciano perché sanno dove vanno a scuola i suoi figli. Non è una bella vita quella dell'assistente sociale. Non possiamo pensare che siano tutti eroi, e può anche succedere che lavorino in maniera superficiale o frettolosa.
  Per quanto riguarda il curatore speciale, il curatore speciale che viene nominato all'interno delle procedure è un avvocato. Una cosa è il tutore che potrebbe essere chiunque, un'altra cosa è il curatore speciale che è un avvocato iscritto a un albo dei curatori speciali. Gli ordini professionali degli avvocati stanno preparando questi albi e stanno facendo in tanti corsi di formazione. Il curatore svolge sia la funzione di curatore speciale che quella di difensore e il suo operato è un operato che viene controllato dalla magistratura che si interfaccia con lui e dal consiglio dell'Ordine degli avvocati, laddove si comporti nel modo corretto.
  Per quanto concerne la pianta organica, in un'epoca in cui sembra che tutto il male del mondo sia legato ai giudici onorari – siamo usciti da una stagione in cui sembrava che tutti i peggiori criminali fossero i giudici onorari del tribunale per i minorenni, poiché erano corrotti ed altro, ma poi i nomi non sono mai usciti – è un po' impossibile politicamente dire addirittura che li dobbiamo stabilizzare e che li dobbiamo far diventare una cosa che non sono.
  Il giudice onorario del tribunale per i minorenni tra poco non ci sarà più – state tranquilli –, perché se questa riforma domani avrà la fiducia e passerà così come è stata scritta, ormai i giudici onorari saranno delle figurine nel collegio del giudizio penale e nel collegio dell'adottabilità. Non ci saranno più i giudici onorari, ma ci sarà un povero collega togato che dovrà occuparsi da solo di cose enormi. Non c'è stato verso di cercare di far ragionare chi doveva decidere su questi temi. Questa cosa, che mi sembra che voi capiate, non è stata proprio ascoltata.
  I Tribunali per i minorenni in tante zone d'Italia hanno degli organici storicamente piccoli e le piante organiche degli uffici giudiziari sono vecchissime. Il tribunale dei minorenni di Catania, che ha tre province – Catania, Siracusa e Ragusa – con criminalità organizzata, tanto penale e pochissimo civile, perché non ci sono servizi, ha la stessa pianta organica di giudici togati del TM di Torino con nove province più la Valle d'Aosta. Se vi sembra giusto... a me sembra gravissimo. Il tribunale dei minorenni di Napoli è enorme. La procura dei minori di Napoli ha circa 14 pubblici ministeri e c'è anche il tribunale dei minorenniPag. 21 di Salerno in Campania, non c'è solo Napoli. A Brescia sono in tre, mentre a Torino, che credo siano messi malissimo, hanno una pianta organica di cinque, ma sono stati due. Come fanno due pubblici ministeri a curare nove province, più la Valle d'Aosta, le comunità e tutto il resto?
  Quando si parla di piante organiche, in primo luogo certamente la pianta organica dei magistrati va resa perlomeno equa, nel senso che non possiamo fare figli e figliastri. Questo solleverà campane campanilistiche di tutti i generi, già me lo immagino.
  In secondo luogo, il giudice onorario del tribunale minorenni – che tra poco non ci sarà più – fa parte del Collegio che decide. Infatti, il tribunale per i minorenni è composto di quattro giudici: due togati e due onorari. Giustamente noi possiamo delegare loro l'istruttoria, perché fanno parte del collegio che decide. Non sono degli aiutanti, non sono dei periti e non sono degli ausiliari, quindi non sono neanche GOT (giudice onorario di tribunale).
  Lei parlava un po' mescolando le figure. Sappiamo che è allo studio una riforma anche della magistratura onoraria che si identifica con i GOT, che fanno attività dei tribunali ordinari. Meno male che ci sono i giudici onorari. I nostri giudici onorari sono cosa diversa, sono stati presi in considerazione dalla commissione presieduta dal mio presidente di Corte d'appello, il dottor Castelli, in minima parte soltanto perché il gettone del giudice onorario minorile è fermo da venti anni. Queste persone, a fronte di una giornata di lavoro, prendono 95 euro lordi. Tutti quelli che bisognava far scomparire – non si sa perché – guadagnano veramente poco rispetto al tempo che dedicano, ma sono cose diverse dai GOT, perché percorrono due strade di reclutamento completamente differenti.
  Consideriamo che, proprio perché fanno parte dell'organo che decide, sono delegati a trattare delle istruttorie. Ci sono istruttorie nel mio tribunale che non sono delegabili. Infatti, nelle mie tabelle ho scritto che le procedure di adottabilità non si possono delegare agli onorari, perché sono troppo difficili e troppo delicate, però il togato e l'onorario le possono fare insieme, quindi sentono i genitori, il bambino e i servizi, ma non si possono delegare. Ai giudici onorari si possono delegare cose più semplici, e le abbiamo. Questo loro contributo ci aiuta a mandare avanti il tribunale che altrimenti avrebbe dei tempi biblici di trattazione delle procedure. In questo senso dicevo che è importante la loro componente anche dal punto di vista dell'aiuto materiale per cose di non gravissima importanza.
  Il discorso pubblico-privato, che credo si riferisse ai servizi, è un altro tema molto importante perché purtroppo vi è stato lo smantellamento del pubblico a vantaggio di un privato, sul quale non si può esercitare controllo. Così ci troviamo servizi pubblici depauperati ed enti territoriali che si avvalgono della cooperativa «Pinco Pallino» che assume delle persone che non si sa quali percorsi hanno fatto, e via dicendo. Questo è un tema che ti dà una grande ansia, perché loro devono fare delle valutazioni; speriamo che abbiano le competenze per farlo, ma non sempre le hanno, poiché c'è stata questa corsa alla privatizzazione.
  Come vedete, i fattori sono molti e complessi. È tutto molto complicato e non facilmente risolvibile. Ci sono delle situazioni con cui dobbiamo continuare a convivere cercando di fare del nostro meglio.

  PRESIDENTE. Cercherò di essere brevissima: volevo chiederle se la comunicazione dei dati, che le strutture devono trasmettere alle procure dei tribunali per i minorenni ogni sei mesi, avviene in generale nei vari tribunali e soprattutto nel tribunale che lei presiede.
  Inoltre, proprio per farci un'idea, volevo sapere i numeri delle ispezioni che la procura del tribunale per i minorenni di Brescia ha fatto nell'ultimo anno o negli ultimi due anni. Le chiedo se ci dà una idea delle grandezze.
  Lei ha citato gli adolescenti che consensualmente vengono allontanati su richiesta delle famiglie: anche qui le chiedo se ci dà un'indicazione.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i MinorenniPag. 22 e per la Famiglia (AIMMF). Mi dispiace tanto, presidente; le sue domande sarebbero molto importanti, ma noi non abbiamo sistemi di rilevazione. Lei sa benissimo che l'unico tribunale non digitalizzato è il tribunale dei minorenni. Abbiamo un sistema informatico che risale alla fine del secolo scorso e che è già stato acquistato vecchio, per il quale non si è mai ritenuto di fare aggiornamenti, perché tanto bisognava sostituirlo. Peccato che non è mai stato sostituito.
  Per quanto riguarda il dettaglio del fascicolo, quando ci è stato chiesto dal Ministro Bonafede prima e ora dalla Ministra Cartabia di avere dei dati, io mi sono presa i brogliacci scritti a mano delle camere di consiglio e ho contato, ma non si può lavorare così nel 2021.
  Qualcuno si deve porre il problema che noi non siamo serbatoi di dati; non abbiamo i mezzi per poter informatizzare e che se diamo risposta, è a prezzo delle nostre serate, soprattutto delle mie, perché i miei colleghi mi dicono: «Non ci pensiamo nemmeno di metterci a fare questo lavoro.». Tuttavia, siccome è importante darveli, lo faccio, però dopo di me non so chi verrà.
  Quello che le posso dire, come dato recente che ho portato al Ministero, è che le sopravvenienze civili al tribunale dei minorenni di Brescia dell'ultimo periodo sono 1.600 fascicoli, ricorsi de potestate, con circa 70 di procedure di adottabilità, con una percentuale del 4,5 per cento.
  Le segnalazioni alla procura, se vuole, gliele mando, ma non ce le ho qui.

  PRESIDENTE. La mia domanda era proprio più sulla statistica, nel senso se venivano fatte o no. Se è l'eccezione o se è la regola che non vengano fatte.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). I dati dei fascicoli che noi apriamo e le segnalazioni che arrivano, certo che li abbiamo. Ogni tribunale ha i suoi e dobbiamo riferire al Ministero regolarmente all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Sono tutti i dati che abbiamo, ma ogni ufficio ha i suoi. In questo momento non li ho qui, non me li sono tenuti e non li so a memoria, ma le mando tranquillamente quelli bresciani.
  Per quanto riguarda gli allontanamenti dei ragazzi, avevamo fornito al Ministero i dati della prima richiesta del Ministro Bonafede per un periodo di un anno e mezzo circa e adesso la Ministra ce li ha richiesti e glieli abbiamo ridati. Mi sembra che questa richiesta era fatta per voi, giusto?

  PRESIDENTE. In realtà noi ne avevamo fatto richiesta, ma non erano stati chiesti per noi. Noi abbiamo chiesto al Ministero se ce li può fornire.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). La Ministra ci aveva detto: «Devo essere sentita dalla Commissione.», quindi credevo fosse la vostra.

  PRESIDENTE. Noi lo avevamo richiesto. L'audizione non ce l'ha ancora concessa, forse aspettava i vostri dati.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Secondo me sta aspettando tutti i nostri dati, perché qualcuno, che non aveva voglia di fare il lavoro di Mastro Geppetto che ho fatto io, ha risposto: «Non possiamo fornirli perché non abbiamo i sistemi informatici.». Proprio all'ultimo incontro che abbiamo avuto con la Ministra il 20 ottobre ha riaperto i termini che erano chiusi al 25 settembre. Io li ho dati subito, ma molti colleghi hanno detto: «Non ce la facciamo.» e quindi adesso ha ridato un termine. Quindi credo che stia aspettando questi dati che mancano e lì avrete tutto.

  PRESIDENTE. Ho anche una domanda che mi viene da una consulente della Commissione.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Sì, la Pag. 23consulente mi aveva chiesto se i dati delle comunità arrivano alle procure dei minori. Io sono stata a lungo procuratore dei minori di Genova e i dati arrivavano, però anche lì i meccanismi sono diversi. Infatti, là avevo una relazione personale del mio ufficio con le comunità, mentre, ad esempio, so che in Lombardia e a Milano – dove questo sarebbe impossibile perché le comunità sono tantissime – c'è un sistema informatico della regione che dà i dati e ogni luogo ha un sistema diverso. Sicuramente i dati arrivano, perché sono tenuti a inviarli alla procura dei minori.

  PRESIDENTE. L'ultima cosa che mi chiede un nostro consulente è perché i PM non delegano i giudici onorari a fare le verifiche attraverso delle griglie di analisi puntuali.

  CRISTINA MAGGIA, presidente dell'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia (AIMMF). Le rispondo immediatamente. Il pubblico ministero non può delegare i giudici onorari, perché non ne dispone. I giudici onorari compongono l'organo giudicante, il tribunale. Il tribunale non fa i controlli delle comunità. Alla Procura dei minori magari piacerebbe disporne, ma non può perché non fanno parte dell'ufficio di procura. Era proprio questo quello che dicevo prima: se ci fossero dei viceprocuratori onorari, potrebbero essere delegati.

  PRESIDENTE. Benissimo. La ringraziamo anche per questo chiarimento e la lasciamo tornare al suo lavoro. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.15.