XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 19 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, Gianni Fulvi:
Cavandoli Laura , Presidente ... 3 
Fulvi Gianni , presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare ... 3 
Cavandoli Laura , Presidente ... 7 
Saponara Maria  ... 8 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Ascari Stefania (M5S)  ... 8 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Ascari Stefania (M5S)  ... 8 
Cavandoli Laura , Presidente ... 8 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 9 
Cavandoli Laura , Presidente ... 9 
Giannone Veronica (FI)  ... 9 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 10 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 10 
Fulvi Gianni , presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare ... 10 
Cavandoli Laura , Presidente ... 14 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 14 
Cavandoli Laura , Presidente ... 15 
Fulvi Gianni , presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare ... 16 
Cavandoli Laura , Presidente ... 19 
Bellucci Maria Teresa (FDI)  ... 19 
Cavandoli Laura , Presidente ... 20 
Fulvi Gianni , presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare ... 20 
Cavandoli Laura , Presidente ... 20 

Comunicazioni della Presidente:
Cavandoli Laura , Presidente ... 20 

ALLEGATO: Documentazione successivamente inviata dal Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare ... 21

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA CAVANDOLI

  La seduta comincia alle 19.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, Gianni Fulvi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, Gianni Fulvi. Tale audizione è stata indicata come prioritaria dal gruppo del Partito democratico. Ringraziamo il dottor Fulvi per la cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito a intervenire oggi in Commissione.
  Sono collegati, da remoto, facendo parte di questo Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, Silvana Nappi, Patrizia Corbo, Pinuccia Porro, Manuel Oliver, Suor Silvia Carboni e Giovanni Tagliaferri. Il Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, con sede a Firenze, presso l'Istituto degli Innocenti, si è costituito nel 1990 ed è costituito da oltre 70 soci che condividono, come finalità, gli obiettivi della Carta dei diritti del bambino.
  Si tratta, dunque, di una forma di coordinamento che offre anche possibilità di localizzazioni delle comunità attive nelle varie Regioni. Il Dottor Fulvi ha una lunga esperienza in questo ambito e potrà sicuramente fornirci elementi di interesse su una realtà complessa e frastagliata e poi diffusa su gran parte del territorio nazionale. Per la Commissione, sarebbe importante avere elementi di fatto e specifici, oltre che riflessioni di tipo generale, su una materia che è comunque già in corso di revisione sul piano normativo.
  Come ho anticipato, chiederei sin d'ora, come di consueto, la disponibilità a rispondere a eventuali quesiti posti dai commissari in presenza o da remoto, anche mediante forma scritta. Lascio quindi la parola al dottor Fulvi per la sua relazione.

  GIANNI FULVI, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare. Buonasera e grazie dell'invito. Alcune precisazioni sul Coordinamento, perché siamo aumentati come soci, il sito non è aggiornato, siamo 108 enti associati che gestiscono circa 250 comunità per minori, presente in tutta Italia, tranne nel Trentino-Alto Adige e nella Basilicata. Da remoto, sono collegati i rappresentanti della Lombardia, del Friuli, delle Marche, della Campania e della Sardegna. Questo lo abbiamo concordato perché, se ci fossero domande specifiche rispetto ai territori da parte dei deputati e senatori presenti, c'è disponibilità da parte dei colleghi di dare poi risposte più precise rispetto a situazioni di vostro interesse.
  La partecipazione a questa Commissione, per noi, è molto importante e mi permetto di essere qui anche in rappresentanza di altri coordinamenti, i colleghi del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), i colleghi della Rete dei Villaggi SOS (Società Solidale) d'Italia, i colleghi del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'abuso all'Infanzia) e anche i colleghi dell'AssociazionePag. 4 Agevolando che raccoglie ex ospiti delle comunità.
  Rileggendo l'oggetto di questa Commissione che è nata con questo interesse, che noi condividiamo, di mettere in luce quelle che possono essere le criticità di questo nostro mondo, una cosa che mi sollecitava condividere con voi è il problema dei controlli del funzionamento delle nostre comunità. Noi stessi – e io personalmente che opero in questa Regione, in particolare su Roma – abbiamo segnalato alla procuratrice presso il Tribunale per i minorenni di Roma, la dottoressa Latella, delle situazione di comunità che noi conosciamo, o perché accogliamo in altre comunità aderenti al coordinamento minori che erano stati ospiti in quelle comunità, o perché condividendo difficoltà che hanno i servizi territoriali, e abbiamo sollecitato la Procura a intervenire con ispezioni dirette da Roma presso queste strutture.
  Per carenza di personale che c'è presso la Procura minorile, i Tribunali per i minorenni si avvalgono, per queste ispezioni, del personale operante nelle stazioni dei Carabinieri locali o delle Questure. Su questo c'è difformità sui controlli. C'è difformità sullo stesso distretto nella Regione, distretto del Tribunale per i minorenni, e avvengono in maniera diversa le ispezioni gestite dalle Forze dell'Ordine. Alcuni si limitano a invitare i responsabili a portare l'elenco dei minori ospiti presso la stazione dei Carabinieri, altri vanno di persona presso la comunità, ma non è chiaro poi che cosa devono verificare.
  Quello che è il dovere delle comunità, inviare le schede semestrali alle procure minorili, diciamo che, al 99 per cento, è realizzato. Altro problema è poi questi dati riuscire a leggerli. La Procura li legge per quello che è un interesse specifico rispetto a ravvisare uno stato di abbandono di un minore lì ospite, ma quello che potrebbe essere interessante è una condivisione di questi dati; e questo, per quello che ci risulta, sta accadendo solo in due Regioni, la Sardegna e la Lombardia, per lo meno per il Tribunale di Milano tra la Regione e le Procure. Questo permette di avere una lettura del fenomeno, per lo meno dei minori ospiti nelle comunità, aggiornato.
  Nel Lazio, stiamo cercando di realizzare un protocollo di intesa, con la garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza, in modo da potere insieme fare una lettura di quello che accade, di quelli che sono i tempi di permanenza dei minori, di quelle che sono le visite con i familiari, di quelle che sono la visita degli stessi servizi sociali. Questo per quanto riguarda la Procura. Il problema dei controlli è che, in realtà, esistono gli enti che dovrebbero effettuare questi controlli, in molti casi, questi avvengono ma sono un po' più difficoltosi laddove c'è carenza di personale nei servizi sociali. Questo accade anche qui a Roma. Esistono comunità che dal giorno della loro apertura, circa 10 anni fa, dopo avere ricevuto l'autorizzazione al funzionamento da parte dei servizi territoriali, non hanno più avuto le visite ispettive.
  Noi stiamo riformulando un codice deontologico, nel nostro coordinamento, perché il socio si faccia poi attivo nel richiedere l'ispezione. Se dopo 12 mesi non arriva un'ispezione da parte dei servizi, deve richiederla. Questo permetterebbe anche di prevenire situazioni di difficoltà, anche dal punto di vista strutturale. Quindi abbiamo i servizi sociali che sono titolari della concessione dell'autorizzazione al funzionamento – nel caso romano, i municipi – i servizi sanitari, le ASL (Azienda Sanitaria Locale), le ATS (Agenzie di Tutela della Salute) – nei vari modi in cui si chiamano in questo nostro Paese – che devono verificare la situazione igienico – sanitaria. Anche qui grande confusione. Raccontava il collega della Toscana di una ispezione avvenuta ieri, presso una struttura in provincia di Lucca, in cui gli ispettori sanitari pensavano di essere andati a ispezionare una struttura sanitaria e non una struttura di tipo familiare organizzata sul modello strutturale della civile abitazione. Quindi richiedevano che le scarpe, ad esempio, nelle scarpiere, messe dai ragazzini, fossero prima di tutto disinfettate e poi collocate. Cosa che, a casa nostra, questo non accade. Allora è capire se vogliamo mantenere un ambiente di tipo familiare, all'interno delle Pag. 5comunità per minori, oppure se dobbiamo renderla più su un modello da istituto.
  Faccio un accenno a quello che è accaduto con l'epidemia del COVID-19, dove le nostre strutture non erano riconosciute dalle varie disposizioni regionali. Abbiamo scritto, insieme agli altri coordinamenti, alla Presidenza del Consiglio, al Ministero della Sanità, a tutti quelli a cui potevamo scrivere, per rappresentare questo problema. Quindi noi dovevamo applicare le procedure, per la gestione e il contenimento dell'epidemia, come se fossimo RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) per anziani. Nel momento in cui già avevamo la ripresa scolastica dei minori, noi avremmo dovuto gestirli in tutt'altro modo rispetto a quello che è una gestione dei propri figli all'interno della propria famiglia.
  Quindi queste sono delle difficoltà che, a livello nazionale, noi ravvisiamo. È una cosa che, purtroppo, nessuna Regione ha ancora recepito, e su questo saremmo ben felici se, da parte vostra, ci fossero delle sollecitazione nei confronti dei vostri colleghi nelle Regioni. Le linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per i minorenni, realizzate nel 2017 – io ero un membro del tavolo di lavoro su questo – prima di tutto, hanno cercato anche di ridefinire, riprendendo quello che era già stato definito nel nomenclatore nazionale del 2013, i nomi di queste strutture. Noi abbiamo ancora oggi che, se ci spostiamo in Campania, Regione confinante con la nostra, vediamo che la stessa struttura, organizzata allo stesso modo, ha un altro nome e questo crea confusione nei servizi invianti.
  Gli invii fuori Regione sono prevalentemente per quelle situazioni di protezione in cui devono essere inseriti i minori. Protezione anche perché figli di soggetti coinvolti in attività criminose gravi, e quindi proprio nel regime di protezione previsto dal Ministero dell'interno. L'altro problema è che, non avendo le Regioni recepito le linee di indirizzo, anche le modalità organizzative delle comunità risentono di difformità. C'è poi il problema che so che era stato sollecitato anche perché, da un incontro con la garante nazionale, chiedeva anche a noi se fossimo d'accordo a ipotizzare un tariffario unico, a livello nazionale; noi su questo abbiamo provato a proporlo quando eravamo sul tavolo, cosa che poi non siamo riusciti a realizzare perché già questo non è chiaro quanto sia di competenza delle Regioni, e quanto sia demandato esclusivamente agli enti locali.
  Quello che noi chiedevamo era tentare di dare un'indicazione chiara su quello che possa essere la retta minima di riferimento perché, se una comunità si organizza rispettando gli standard, ha dei costi. Il costo principale è dato per circa lo 80% dai costi del personale. Perché se si richiede che in una struttura ci debbano essere gli educatori professionali, dei pedagogisti, se ci debba essere la formazione continuata, se ci debba essere supervisione, diciamo che i due elementi, quello della formazione e quello della supervisione, sono quegli elementi che ci permettono di controllare la qualità del lavoro degli educatori. Il poter garantire dei raddoppi durante i turni. Questo per non lasciare l'educatore da solo, che altrimenti non riesce poi a gestire un gruppo di 8 bambini. Dobbiamo rispettare i contratti nazionali per garantire la stabilità degli educatori. Stabilità che serve per garantire altrettanta stabilità nelle relazioni affettive che, là dentro, si devono creare.
  Questo è un grande problema. Noi abbiamo un gemellaggio con i colleghi francesi e ci stupisce sempre quando ci incontriamo con loro di vedere che le loro equipe si compongono da neo educatore assunto, appena laureato, all'educatore anziano che sta andando in pensione. Nelle nostre comunità, molto spesso, sono monogerazionali e c'è un'alta frequenza di ricambio dell'equipe. Questa, per esempio, è una lamentela che facevano gli stessi ragazzi quando hanno espresso le difficoltà della loro esperienza di vita all'interno delle comunità. Mi ricordo una ragazzina che chiedeva: «Dovete garantire dei giusti stipendi agli educatori». Infatti io le ho detto: «Potresti fare la sindacalista nostra». Perché questo permetterebbe forse di non cambiare, come è la mia esperienza, 5 equipe in 5 anni. Voi capite che questo, già nel trauma Pag. 6di abbandono di questi ragazzini, crea ulteriori problemi.
  Sulle rette io vi posso accennare, partendo dalla Valle d'Aosta che ha una media di 120 euro al giorno, il Piemonte 105, la Liguria 108, e la Lombardia ha un range fra 107 e 141; questo range è dato, molto spesso, dalle integrazioni sanitarie che vengono riconosciute. Arriviamo quindi all'Abruzzo che parte anche da rette di 45 euro al giorno – al che ci domandiamo qual è la qualità di queste strutture – e il Molise su 70, il Lazio che oggi si attesta tra un range fra i 100 e 150 euro pro die, pro capite. Questo è determinato dalle integrazione sanitarie.
  Un dato che non è stato sufficientemente rilevato da indagini fatte – sappiamo perché le Regioni non si sono organizzate, perché il sistema nazionale proposto non è stato recepito anche questo dalle Regioni – è un dato che, negli ultimi anni – ormai 15 – ci ha preoccupato molto, delle accoglienze di minori provenienti da affidi e adozioni, affidamenti familiari, adozioni nazionali e internazionali. L'altro giorno parlavo con una religiosa che gestisce una comunità qui a Roma, e mi raccontava di un bambino di 10 anni restituito dai genitori adottivi. È chiaro che qui parliamo anche di situazione complesse, molto spesso, con delle disabilità non riscontrate nella fase iniziale, che spaventano le coppie adottive e quindi c'è necessità anche di un maggiore supporto dal punto di vista educativo e sanitario.
  Per questo, in alcune Regioni, si è riusciti a realizzare quella che è stata presentata, fin dal 2000, sulla possibilità delle integrazioni socio – sanitarie che, anche qui, in tutte le Regioni non è riconosciuta. Nelle linee di indirizzo che noi vorremmo riprendere a promuovere, perché chiaramente il COVID-19 ci ha limitato in tante cose, abbiamo iniziato a fare delle attività seminariali nelle Regioni proprio per promuovere le linee di indirizzo con le Regioni stesse e poterle fare recepire. Perché è stata individuata anche un'altra tipologia di comunità che è l'educativa psicologica, quella che prevede un'alta integrazione sanitaria.
  Qui si aprirebbe un altro tema che andrebbe, probabilmente, fatto oggetto di verifica sulle comunità terapeutiche per i minori, le sanitarie. Lì vediamo che, molto spesso, gli standard non sono così simili ai nostri, a volte sono addirittura più leggeri, con rette che sono anche più alte, dove, a volte, c'è un eccesso di sanitarizzazione dell'intervento, a discapito dell'intervento educativo. Abbiamo iniziato, anche in questo ambito, un avvicinamento con un coordinamento delle comunità terapeutiche esistenti in Italia per vedere che cosa noi possiamo trasmettere a loro come modello organizzativo e cosa noi prendere da loro, considerando che, per esempio, la comunità educativa psicologica di cui parliamo, nelle linee di indirizzo, si pone in una via di mezzo fra la comunità socio educativa e la comunità terapeutica.
  Avevo previsto per me una quindicina di minuti, vedo se vi ho esplicitato in modo da lasciare spazio a domande. Una cosa che mi ero segnato negli appunti pomeridiani era che, per esempio, tra le Regioni ancora l'Abruzzo e il Molise non hanno fatto una legge – per quello che ci risulta – di recepimento della legge 328 e tanto meno hanno elaborato gli standard organizzativi delle comunità di accoglienza, mentre tutte le altre Regioni li hanno. Poi abbiamo il problema delle linee di indirizzo. Suggerivamo ai colleghi dell'Abruzzo e del Molise di proporre immediatamente le linee di indirizzo e farle recepire; sarebbe stata una procedura molto veloce, per le loro Regioni, per avere successivamente realizzati gli standard.
  Vi è un problema a cui accennavo rispetto ai rapporti con il mondo dell'affidamento familiare: è chiaro che io ho parlato delle situazione negative di relazioni – se le vogliamo definire negative, sicuramente più complesse – tra l'affido e l'adozione; per le comunità è quello dell'accoglienza, ma consideriamo che molti dei minori che transitano nelle nostre comunità vanno poi in esperienze di tipo familiare o nell'affido o nell'adozione. L'affidamento familiare – non certo l'adozione – molto spesso è promosso dalle stesse comunità. I dati ci dicono, questo è ormai assodato, che più del 50% Pag. 7dei minori che transita nelle comunità di tipo familiare, rientra nella propria famiglia di origine. Quindi c'è tutto un lavoro anche con le famiglie d'origine. Quello che riteniamo è che molto spesso risulta tardivo l'intervento di allontanamento da contesti familiari compromessi. Questo significa che, ritardando questo, dovuto anche molto spesso, se pensiamo ai piccoli centri, a una difficoltà di fare fronte alla spesa economica di un inserimento in comunità, arrivano ormai ragazzi in prossimità dell'adolescenza per i quali la situazione di relazione affettiva è assai compromessa e questo determina una maggiore difficoltà. Un piccolo sondaggio che facemmo in un nostro incontro è verificare quanti dei minori ospiti già fanno psicoterapia o già assumono qualche psicofarmaco, prescritto dalla neuropsichiatria chiaramente, e avevamo visto che erano circa 1 per comunità nella fascia adolescenziale e più del 50% in psicoterapia. Questo è un trattamento sanitario, non è socio-educativo, ed era per questo che allora noi poi richiedevamo un aiuto in questo ambito. Voi capite che se nella retta – che mediamente si attesta sui 90 euro – noi dobbiamo prevedere anche le spese sanitarie, psicoterapia, per non parlare poi di psicomotricità, logopedia, molto spesso i servizi territoriali non sono in grado di farsi carico e offrire, nel pubblico, questo tipo di servizi, noi dobbiamo ricorriamo a privati. Questo è un altro problema.
  Nel rapporto con i privati, una cosa che sta accadendo e che ci preoccupa – posso parlarne tranquillamente per il territorio romano – è esternalizzare i servizi sociali, ovvero esternalizzare le tutele. Abbiamo situazioni – cito Fiumicino per non andare lontano – in cui una cooperativa sociale gestisce i tutori nominati in alternativa al Sindaco. Questo crea molta confusione. Il problema che abbiamo segnalato anche alla Presidente del Tribunale di Roma è quando noi ci ritroviamo con il Sindaco tutore del minore ed è lo stesso Sindaco che non è più disposto a pagare la retta della comunità o cerca le comunità al ribasso. Allora viene meno poi il suo dovere di tutore di provvedere in maniera più che adeguata al suo tutelato. Sembra che il Sindaco tuteli più le casse della propria amministrazione che l'interesse del minore. Su questo, noi crediamo che ci sia necessità di fare ordine, di rimettere al centro gli interessi del minore, e veramente lavorare perché quel diritto di potere crescere nell'ambito della propria famiglia si realizzi pienamente.
  Non siamo contenti di riempire le nostre comunità; posso parlare per me, posso parlare per i colleghi che ci seguono e posso parlare per quasi tutte – non esagero a dire tutte – le comunità aderenti. Quindi, quando noi inauguriamo una nuova comunità, dobbiamo pensare che possa essere quasi una sconfitta rispetto al sistema di tutela per l'infanzia. Molto spesso assistiamo all'abbandono delle famiglie di origine. Molto spesso le comunità si fanno carico anche del sostegno alla famiglia d'origine entrando in una situazione di difficoltà nel gestire poi la relazione, perché, da una parte, io devo sostenere il figlio di questi genitori un po' disfunzionali, dall'altra li devo sostenere perché ne sentiamo il totale abbandono da parte dei servizi.
  Sicuramente va rivisto, fortemente, un investimento migliore nei confronti dell'infanzia e dell'adolescenza che rimetta al centro, in questo Paese, l'infanzia e l'adolescenza. Cito nuovamente i francesi: gli investimenti nel sociale, per loro, sono prima di tutto sulla famiglia, poi la disabilità, per ultimi arrivano gli anziani. E non capiscono il nostro sistema, non riescono a comprenderlo pienamente. Allora, forse, anche noi dovremmo ribaltare... ma questo non significa che allora chiuderemo le comunità. Purtroppo, delle comunità d'accoglienza ce ne sarà bisogno perché, purtroppo, genitori inadeguati ce ne saranno sempre. Ma se un sistema dei servizi si rinforza e veramente si fanno politiche nei confronti dell'infanzia, in maniera più adeguata, forse possiamo ridurre i danni e sicuramente restituire dei genitori più adeguati a questi ragazzi.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottore Fulvi per la relazione. Chiedo se vi è qualche collega che si prenota per delle domande, anche da remoto. Prego, senatrice Saponara.

Pag. 8

  MARIA SAPONARA. Grazie, Presidente. Ringrazio anche il dottore Fulvi per la relazione. Sono tanti gli spunti di riflessione che lei ci propone e sui quali, sicuramente, è necessario lavorare. Lei ha parlato di linee guida che sono state, da quello che ho capito, fatte nel 2017 e però non recepite da tutte le Regioni. Volevo capire se queste linee guida voi intendete riproporle così come sono, o aggiornarle anche alla luce di uno sviluppo che c'è stato nella nostra società, perché comunque la pandemia è indubbio che abbia creato molti problemi. Io sono anche nella Commissione per l'infanzia e l'adolescenza e quindi, per quanto riguarda i minori, si sono create delle situazioni di tipo psicologico-sanitario piuttosto pesanti. È notevolmente aumentato il numero di minori che assume psicofarmaci, nonché droghe ed alcool, e quindi sicuramente tante situazione si sono aggravate. Le chiedo questo perché, proprio in contemporanea, ci è stato presentato in Commissione per l'infanzia e l'adolescenza il nuovo piano per l'infanzia e l'adolescenza. Quindi la mia domanda va in quella direzione, in che misura voi interloquite in modo da poter poi proporre delle linee guida che possano essere attuali e possano essere anche, effettivamente e oggettivamente, recepite dalle Regioni. Questa è la prima cosa.
  La seconda cosa. Per quanto riguarda la retta minima di riferimento, le chiedo questo: non sarebbe più opportuno valutare quelli che sono i livelli essenziali di prestazione e poi, in base a quelli, determinare delle rette di riferimento? Diciamo, una retta di riferimento per bambini o comunque minori, che non hanno problemi, una retta per bambini che hanno bisogno di medicinali, come diceva lei prima. Però è chiaro che, per avere delle rette minime di riferimento, dobbiamo anche partire da quelli che sono i livelli essenziali, quindi basilari. Vado infine a parlare del personale: questo penso che sia in generale un problema dell'Italia perché, anche nell'istruzione, si cambiano professori e docenti tutti gli anni, quindi ritengo che sia un problema da affrontare. Comunque se lei ha delle proposte da portare avanti, noi siamo disponibili. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Saponara. Io direi, se per lei va bene, che facciamo fare almeno due gruppi di domande. Do ora la parola all'onorevole Ascari, da remoto.

  STEFANIA ASCARI. Intanto ringrazio il Presidente del coordinamento per tutti gli spunti che ci ha dato. Vorrei farle alcune domande. La prima è se il coordinamento ha adottato strumenti specifici per una verifica continua del rispetto dei parametri di qualificazione professionale del personale delle comunità.
  La seconda è se il coordinamento sia al corrente dell'esistenza di comunità collegate tra loro che talvolta... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto)... come formalmente distinte, ma in realtà operando con il medesimo personale e anche in uno stesso edificio, accolgono minorenni di... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto) diverse, dai neonati agli adolescenti... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto). Un esempio recente, che ho letto, è il gruppo di comunità a Rocca di Papa.
  La terza domanda è: il coordinamento adotta iniziative e criteri specifici per verificare se, e come, le comunità garantiscano il diritto dei minorenni accolti di incontrare i genitori e i familiari con la massima assiduità possibile, almeno quando non vi siano le limitazioni... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto) specifiche di... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto).

  PRESIDENTE. Onorevole Ascari, la devo interrompere perché non riusciamo a seguire, quindi interrompiamo. Do la parola all'Onorevole Bellucci.

  STEFANIA ASCARI. Mi riuscite a sentire?

  PRESIDENTE. No, onorevole Ascari non riusciamo a seguirla. La faccio intervenire Pag. 9più tardi se riesce a trovare una connessione più stabile. Ora lascio la parola all'onorevole Bellucci.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Ringrazio per la relazione che ha svolto l'audito e passo subito a delle domande. Volevo sapere se avevate una statistica, interna ovviamente all'organizzazione che lei rappresenta, rispetto al tempo medio di collocamenti dei minori all'interno del servizio e suddiviso anche per fascia di età. Poi volevo sapere se voi effettuate delle verifiche e se avete quindi anche su questo dei dati da fornirci per quanto riguarda la questione... (audio incomprensibile per problemi nel collegamento da remoto).

  PRESIDENTE. Onorevole Bellucci non la vediamo più collegata. Chiedo agli uffici di poter verificare. Darei intanto la parola all'onorevole Giannone. Chiedo almeno a lei una connessione stabile. Prego.

  VERONICA GIANNONE. Buonasera a tutti. Grazie mille per la parola, Presidente. Credo che il video non sia perfetto, probabilmente per un problema del mio computer, però spero almeno che si senta la mia voce in modo corretto e che possiate ascoltare per bene le domande. Sono d'accordo su determinati appunti e problematiche che il dottor Fulvi ha messo in evidenza. Una cosa che, però, volevo chiedere riguarda i tempi legati al recuperare, in qualche modo, il rapporto con il genitore, o con i genitori, quando un bambino entra in una comunità. Da varie denunce che sono arrivate nel tempo, in questi anni, risulta che la maggior parte delle volte, una volta che un bambino, o bambina, viene inserito all'interno di una comunità, spesso per decreto di un Giudice, il tempo che passa tra quell'inserimento e la possibilità di vedere – o anche solo telefonare – al genitore è lunghissimo. Si parla addirittura, a volte, di settimane e mesi. Essendo che voi avete questa grande esperienza, e soprattutto un numero così ampio di queste comunità, vorrei proprio sapere come funziona da voi. Se è poi soltanto il servizio sociale a definire quei tempi, perché molte volte, per esempio all'interno dei decreti giudiziari, non viene espresso un tempo specifico, ma si demanda a chi ha la responsabilità di questi minorenni. Mi interessa sapere questa cosa, perché io la definisco una tortura nei riguardi dei bambini. So che ci sono tantissimi casi in cui, forse, è giusto che questi minorenni vengano allontanati da un ambito familiare pericoloso e che, soprattutto, possa mettere a rischio la loro vita, ma ci sono tantissimi altri casi in cui questo non avviene, cioè non c'è un pericolo. Ci sono, molte volte, anche delle situazioni che arrivano da denunce per violenze in ambito familiare, piuttosto che da problematiche giudiziarie che si pongono tra moglie e marito. Portano comunque all'allontanamento di questo bambino che, molte volte, a mio parere, potrebbe essere evitato, come diceva prima il dottore Fulvi, anche perché si potrebbe lavorare di più con le famiglie anziché inserire i piccoli all'interno di una comunità, ma comunque la cosa che ripeto, secondo me, rimane più dolorosa è il fatto di sapere che questi bambini perdono il loro punto di riferimento, da un momento all'altro, e poi si ritrovano addirittura a non potere avere nulla a che fare con loro, né nel vederli, né nel sentirli. Quindi vorrei avere una risposta specifica su questo. Un'altra cosa che vi chiedo, riguarda sempre i bambini. Molte volte vengono divisi tra fratelli e sorelle. Che cosa può fare, allora, chi gestisce le comunità? Potete voi, in quanto esperti nel campo, fare richiesta all'interno di Tribunali, per esempio, al servizio sociale, rendere nota la difficoltà e la cattiveria, secondo me, della divisione di fratelli e sorelle? Perché a me sembra assurdo che, chi ha a che fare direttamente con questi bambini, non possa fare nulla per fare modificare delle distanze e degli allontanamenti che avvengono addirittura tra loro, che sono familiari.
  Infine, per quanto riguarda la questione dei controlli, sono assolutamente d'accordo con voi che non vengono effettuati nel modo corretto o comunque ne vengono effettuati troppo pochi. Io ho personalmente tante denunce, con registrazioni e fotografie, di case famiglie dove, all'interno, Pag. 10oltre ad esserci delle sbarre alle finestre e alle porte, che reputo assurde, lucchetti o anche del cibo scaduto, insomma problemi anche nelle strutture, effettivamente, anche su segnalazione, molte volte non vengono controllate. Io vorrei capire meglio come funziona il vostro sistema, che tipo di strutture voi avete, se è possibile, e anche comprendere che differenza c'è tra il vostro portare avanti questo sostegno, questa ospitalità, in determinati casi, e come si può arrivare effettivamente a fare in modo che quelle strutture che esistono, che spero io sinceramente siano sempre di meno, possano iniziare a essere effettivamente d'aiuto e di ricongiungimento con i familiari e, soprattutto, nel minore tempo possibile. Mi piacerebbe anche sapere quali sono i tempi medi per un rientro in famiglia dei bambini dei quali voi vi occupate. Grazie mille.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Mi scusi Presidente, è caduta la linea, potrei finire con le domande che avevo soltanto iniziato?

  PRESIDENTE. Va bene onorevole Bellucci, concluda le sue domande.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Sì, avevo chiesto, rispetto alla presenza di figure professionali all'interno dei centri, per quanto riguarda l'incompatibilità che è stata rivista dal Consiglio Superiore della Magistratura. Volevo anche chiedere se avevate il tempo medio di collocamento diviso per fasce d'età dei minori. Inoltre, se sapete dell'esistenza di linea guida per quanto riguarda le verifiche che vengono fatte nelle strutture. Se viene, ordinariamente, fatta una visita da parte del garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza all'interno delle strutture e, in caso positivo, in quali Regioni viene fatta e in quale Regioni questa non è una modalità che viene proposta dal garante.
  Un altro aspetto che volevo chiedere è se, nelle linee guida di funzionamento, almeno rispetto alle vostre aderenti, c'è la condivisione di strumenti di controllo all'interno delle strutture che possano garantirne l'efficienza, l'efficacia e quindi che vengono pensate e immaginate dalle strutture stesse. Poi un'altra domanda che volevo fare – perché era molto interessante la sottolineatura che lei aveva fatto rispetto all'esternalizzazione di alcuni servizi da parte della pubblica amministrazione – è se fosse stata fatta una richiesta esplicita, e anche una sottolineatura rispetto alle lamentele che lei avanzava, inviata alle Amministrazioni Pubbliche che in maniera – come ha detto lei – troppo estesa, esternalizza dei servizi sociali o socio-sanitari per poi andare a dare delle risposte a questi minori che, evidentemente, sono in uno stato di particolare affezione.
  Infine, volevo chiederle – rispetto alla platea di strutture che sono aderenti e quindi ai casi che voi trattate – in che percentuale gli allontanamenti dei minori vengono fatti a fronte di una motivazione riconducibile alla sindrome di alienazione parentale e se avete quindi anche statistiche in tal senso. E poi se nella prassi – per quella che è la vostra esperienza – vengono ascoltati i minori dalle autorità giudiziarie, quindi se la metodica dell'ascolto è proposta in maniera ordinaria, sempre e comunque, e se ci sono delle modalità che vedete all'interno delle diverse Regioni che propongono un'uniformità rispetto alle modalità dell'ascolto del minore in sede giudiziaria. Ringrazio il dottor Fulvi per la relazione e per le risposte che ci darà.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Bellucci. Prego, dottor Fulvi.

  GIANNI FULVI, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare. Grazie. Sono tante domande, potremmo stare qui molto a lungo, ma sarò breve. Le linee guida sono state fatte dal Ministero delle Politiche Sociali, dalla direzione nella quale vi era prima il direttore Tangorra, adesso c'è la dottoressa Adriana Ciampa; si sta ricostituendo il tavolo, sarà un tavolo misto, sull'affido, affidamento familiare e comunità di accoglienza. L'idea che hanno avuto è di unificare i tavoli anche perché noi, a volte, siamo sugli stessi tavoli. Nella preparazione delle linee di indirizzo, inizialmente, noi Pag. 11rappresentanti del terzo settore non eravamo previsti a partecipare in pianta stabile, ma era prevista la partecipazione di alcune Regioni; se non ricordo male, c'era il Piemonte, l'Emilia Romagna, il Lazio, la Campania, la Sicilia e la Toscana. La Toscana è poi presente anche con l'Istituto degli Innocenti che gestisce molte di queste attività. La cosa che stupisce è che le stesse Regioni presenti non hanno recepito le linee di indirizzo, questo ci stupisce ancora di più. È vero quello che lei suggeriva di vederne una rivisitazione alla luce di quello che è successo. Perché, per esempio, noi l'avevamo sollecitato di scrivere un capitolo rispetto alla gestione dell'emergenza. Cosa è accaduto e cosa questo ci ha insegnato.
  Noi abbiamo fatto una ricerca, come coordinamento nazionale, su come è stato vissuto il COVID-19 all'interno delle comunità, da parte dei responsabili, da parte degli educatori e da parte dei ragazzi. Abbiamo avuto 200 risposte dai responsabili, 250 dagli educatori e 150 dai ragazzi, ovviamente i più grandi. Quello che ci ha stupito è quello che hanno detto i ragazzi, e su questo dovremmo fare oggetto, anche noi, di riflessione interna: loro si sono sentiti molto protetti, l'80 per cento. Alcuni di loro hanno avuto un miglioramento dal punto di vista scolastico, la DAD (Didattica a Distanza) li ha aiutati, cosa che, invece, i dati ci dicono, per certi aspetti, che ha complicato la vita ai nostri figli, in alcuni casi. Hanno vissuto la comunità e il rapporto con gli educatori in maniera più positiva. Quello che è stato il disorientamento generale da parte dei responsabili e da parte degli educatori i quali non avevano indicazione chiare su come si dovevano comportare. Un po' tutti siamo stati vittima di ciò ma, in particolare, per quello che vi dicevo prima rispetto alla gestione e il non avere chiaro, da parte dei nostri amministratori, che cosa sono le comunità per minori. Quindi sicuramente le dovremmo rivisitare e attualizzare. La Conferenza Stato Regioni ha recepito le linee di indirizzo, quindi c'è stato un passaggio formale con la Conferenza. Quello che, torno a dire, ci ha lasciato un po' l'amaro in bocca... è vero c'è stato il periodo del COVID-19, e tutto il resto, ed è per questo che volevamo riprendere. Il tavolo di ripresa forse ci aiuterà in questo. Proprio per questo si lega al discorso delle rette. Se definiamo i livelli minimi organizzativi, quello che abbiamo fatto con la Regione Lazio, ad esempio, non solo la Regione Lazio l'ha fatto.
  Perché noi – delle comunità che gestiamo – diciamo che questo è il costo? Perché se tu, Regione, mi chiedi che devo avere una proporzione di educatori adeguata, che devo avere quei titoli professionali, che devo mettere la formazione, che devo mettere la supervisione, devo dare da mangiare, devo avere una situazione organizzativa più che adeguata, l'affitto, se c'è, delle case, quindi esplicitando tutti i costi, è chiaro che noi abbiamo raggiunto una retta minima. Nella Regione Lazio la retta minima è 100, mediamente, lavorando su una struttura che accolga 8 minori, dove vanno garantite una serie di cose. Quello che noi sollecitiamo, perché ci rendiamo conto che alcune – poche, per fortuna – realtà si potrebbero approfittare di questa mancanza di controlli e andare a verificare come spendiamo i nostri soldi pubblici. Perché se io come cooperativa, pago puntualmente gli educatori, quindi li stabilizzo, attuo i contratti nazionali e tutto il resto e le 100 euro al giorno sono appena sufficienti per andare avanti, non posso accettare che un'altra realtà si basa esclusivamente sul volontariato. Questo non è possibile. Questo introduce l'altro elemento necessario che è il sistema di accreditamento.
  Finalmente Roma, dopo 5 anni che la Regione aveva previsto il sistema di accreditamento, ha fatto l'accreditamento, quindi prevede e stabilisce che anche laddove ci siano associazioni di volontariato, o associazioni religiose, almeno il 50% del personale sia assunto a tempo indeterminato, questo per garantire e verificare i titoli di studio anche di quel personale residente. Allora, su questo, stiamo cercando di incrociare. Questo richiede dei controlli sulla qualità delle nostre strutture. Noi ci vorremmo attrezzare con strumenti nostri interni di controllo. Il codice deontologico Pag. 12vuole essere questo: la formazione che noi offriamo.
  È chiaro che ci rendiamo conto che noi rappresentiamo, rispetto al mondo delle comunità che sono circa 3300 sul territorio nazionale, un 10%. Tutto il resto è rappresentato da chi e come si rappresenta. Questo è un problema. L'onorevole Ascari parlava della struttura di Rocca di Papa, che conosco bene e non è socia del nostro coordinamento, ma non è un vanto per me, e questa cosa mi preoccupa. Quello che mi preoccupa di più è sia i colleghi del terzo settore che mettono in piedi strutture di accoglienza utilizzando, nello stesso edificio, 6 appartamenti, quindi ricreando una situazione da istituto – per quanto siano appartamenti separati – dove mettono insieme situazioni che, insieme, non potrebbero stare in maniera adeguata, dai neonati, mamme con bambino, disabili, ma ci sono anche strutture gestite dall'ente pubblico in questo modo. Qui a Roma, a via dei Colombi, c'è una struttura del Comune di Roma dove tranquillamente ci sono 6 appartamenti dove dentro vi sono situazioni di pronta accoglienza, disabili e comunità di adolescenti minori stranieri non accompagnati.
  Allora, se lo stesso soggetto che mi deve controllare, poi, per una questione di economia amministrativa, mette in piedi una struttura di questo tipo, capite che diventa complesso, da parte nostra, immaginare di fare attività di verifica di qualità. Questo è un problema – lo ridico – del terzo settore che accetta anche bandi al ribasso. Questa è un'altra cosa che noi stiamo scrivendo nel nostro codice deontologico: non posso andare al ribasso per una struttura che accolga ai minori. Perché? Cosa non do a quei minori? Per questo il sistema che deve essere realizzato pienamente è il sistema dell'accreditamento, come prevede la legge 328, che si dovrebbe sempre più limitare l'utilizzo di bandi di gara per i servizi sociali.
  Per ciò che riguarda la verifica delle frequentazioni con la famiglia – che si lega anche sui tempi – è chiaro che dobbiamo attuare quello che prevede il decreto del Tribunale. Io ho fatto anche il giudice onorario, sono anche membro dell'associazione Magistrati minorili, quindi, come formazioni ho quella di assistente sociale e faccio l'educatore. Quindi, in me, si personifica tutto questo sistema. I decreti del Tribunale non sono irremovibili, immodificabili. Se la comunità lavora bene, può dire al Giudice: «Ho visto la famiglia di questo ragazzino, è possibile ipotizzare dei contatti, è possibile immaginare». È necessario avere dei luoghi, non ci sono spazi neutri a Roma. Molto spesso, noi delle comunità, dobbiamo utilizzare i nostri spazi interni per fare incontrare le famiglie e, quando noi dobbiamo interrompere l'incontro perché il genitore sta mettendo in atto comportamenti inadeguati, e lo devo allontanare, io l'allontano dalla casa dove vive il minore stesso. Come gestisco, poi, il minore che vede me che ho allontanato il suo genitore? Queste sono le cose che noi stiamo cercando di rappresentare. Lo rappresentiamo agli enti di riferimento Regioni? Io vi invierò la lettera che abbiamo inviato in aprile alla Regione Lazio – e sollecitavo i colleghi di altre Regioni di fare lo stesso – dove in indirizzo abbiamo messo dal Presidente della Regione, fino al referente dell'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) regionale, al quale chiedevamo di verificare come mai i Comuni aderenti all'ANCI non applicavano poi quello previsto dalla Regione, le rette. Vi è una narrativa che c'è falsa, che non ci sono soldi; sono testimone, direttamente, del distretto dove abito io, alle porte di Roma, in cui abbiamo trovato nelle casse di quel distretto socio – sanitario, 7 milioni di euro non spesi per il sociale. Quindi i soldi, in realtà, ci sono. Per i fondi di contrasto alla povertà, le Regioni stanno rendicontando a fatica, l'80% del 2018, siamo arrivati al 2022. Questo è come i soldi per acquistare gli autobus, che non venivano acquistati ma erano stati resi disponibili. Allora qui c'è il sistema. Quando parliamo di controllo, ben venga il controllo su di noi. Quello che vi chiederemmo è di controllare anche quello che accade nelle Amministrazioni. Perché allora sì che riusciamo a smuovere la situazione.Pag. 13
  Il tempo medio di permanenza: anche qui ci sono i dati – ve li rinvio – raccolti dall'Istituto degli Innocenti, a campionatura lo fa. Quello che vi chiederemmo veramente è che i garanti regionali, più che fare le ispezioni nelle comunità, dovrebbero garantire le ispezioni. Cioè intervenire sui servizi territoriali, sulle ASL, sui NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità). Inviateci le ispezioni e che la Procura le faccia perché, se ognuno di questi facesse due ispezioni l'anno, noi avremmo ogni tre mesi un'ispezione nelle comunità. Questo ci permetterebbe di evitare di fare errori, di accorgerci che si sta creando la macchia di muffa nella cucina, di rivedere quel sistema dei lucchetti nelle comunità, di preoccuparci di non tenere i farmaci scaduti e di tutte le scadenze da controllare. A questo serve un controllo, non per venire a sanzionare, ma per fare veramente prevenzione. I garanti cosa potrebbero fare? Raccogliere il dato, aiutare le Procure a incrociare i dati, a sapere quanti minori ci sono realmente nelle comunità, quanto ci sono, qual è l'età. I tempi di permanenza sono la media della stragrande maggioranza 24 mesi, quindi staremmo all'interno di quel limite massimo previsto per l'affidamento familiare consensuale che sta diventando un termine di paragone anche per i Tribunali su determinare i provvedimenti. 24 mesi. E sono in prevalenza i più piccoli che permangono meno nelle comunità. È ovvio che più si alza l'età dei soggetti accolti e più la permanenza si allunga. Il dato è stato falsato dalla presenza dei minori stranieri non accompagnati, in cui l'età media era 17 anni, 16 anni, se accogliamo adolescenti, permangono fino alla maggiore età o addirittura fino ai 21 anni, laddove questo si rende necessario. Ma, veramente, i più piccoli permangono poco all'interno delle comunità, mediamente.
  Io sto, per fortuna mia, avendo rapporti anche con genitori che hanno minori in comunità, che mi raccontano cose strane che accadono in quelle comunità, e per esempio io chiedo ai servizi: perché avete deciso di mandare un minore di Roma a Tortoreto? Non so se questa vi è arrivata come segnalazione. Quando si doveva mantenere la distanza dalla famiglia o il contenimento della famiglia, il minore poteva andare anche a Subiaco, a un'ora di distanza, poteva andare a Civitavecchia, a un'ora e mezza, dove oggi sta quel minore. Ma perché inviarlo fin laggiù? A volte anche noi vediamo un approccio punitivo, da parte dei servizi, e non lo comprendiamo. Con l'ordine degli assistenti sociali anche stiamo cercando di interloquire per migliorare questo aspetto. Mi stupisce il fatto dei tempi, di non potere avere contatti, telefonate con i propri genitori se non c'è un divieto espresso chiaramente, all'interno del decreto del Tribunale. Torno a dire è un divieto che può essere anche rivisto, modificato, se da parte della comunità e dei servizi si ravvede la possibilità che quel rapporto può essere ricostituito, nessuno può decidere che non si debbano avere rapporti. Per fortuna sto vedendo negli ultimi anni, da parte dei Tribunali, sempre meglio esplicitare le motivazioni. Ormai nei decreti – oggi ne leggevo un altro con i colleghi delle comunità – ci sono premesse di due, tre pagine e poi si arriva alle motivazione conclusive e viene motivato il perché si è arrivato a prendere una decisione.
  Sulla divisione tra fratelli, in linea di massima noi siamo d'accordo che i fratelli possano stare nello stesso contesto, se questo è funzionale a loro. Se non lo è, perché anche la loro relazione è disfunzionale, e la presenza dei fratelli, per quel fratello più grande, può essere difficile da gestire, perché c'è un patto generico, perché è quello che deve mantenere il nucleo insieme, perché è questo che gli viene ripetuto dai genitori: «non permettere che vadano in adozione, non permettere che vi separano» e il più grande si sente caricato di questa responsabilità e non può lavorare su se stesso, con se stesso, insieme agli altri educatori, è opportuno che si separino. Come però può avvenire questa separazione? Con comunità vicine. A un servizio sociale che proponeva l'accoglienza di due fratelli, i quali, insieme, scatenavano delle reazioni aggressive – si capiva questo dalle relazioni – avevo proposto: «Ci sono due comunità, a cinque minuti di distanza l'una dall'altra, Pag. 14non nello stesso edificio ma nello stesso quartiere; potrebbero frequentare la stessa scuola, potrebbero frequentare lo stesso ambiente di gioco, lo stesso ambiente sportivo, forse questo è più sano. Il più piccolo in una comunità con più piccoli, il più grande in una comunità con più grandi». La risposta è stata: «No, assolutamente», non si ha il coraggio di proporre questo al Tribunale. I minori vengono inseriti in un'unica struttura, e dopo due mesi si decide la dimissione di uno dei due. Su questo noi chiediamo anche di ascoltarci. È inutile che mettiamo in queste comunità dei pedagogisti, degli psicologici che verificano queste situazioni. Sicuramente, non può essere deciso a priori «I minori li separiamo perché così complichiamo la vita ai genitori» – perché anche questo abbiamo sentito – in modo che così non attaccano fortemente quella comunità. Questo non deve avvenire. Su questo non siamo d'accordo. Però, sul valutare nel superiore interesse dei singoli minori, se quella convivenza per loro è adeguata, questo sì.
  Il dato dell'incompatibilità rispetto ai Giudici onorari, è ormai assodato. Diciamo che però questo ci preoccupa un po'. Perché l'esperienza di colleghi che lavoravano in comunità – come la mia, quando ho fatto il Giudice onorario, ma non ero un gestore di comunità – era utile all'interno del Tribunale, è stata utile quella conoscenza. Oggi, questa conoscenza, non c'è più, se non di educatori che hanno smesso di lavorare nella struttura e offrono il loro aiuto ai Giudici togati. Anche qui, in mancanza di controlli, si è deciso di tagliare – con l'accetta, dico io – il sistema. Perché ci sono state delle situazione in cui c'erano, in alcuni territori, il Giudice onorario interno, con la moglie che gestiva la comunità e l'indicazione di quella struttura. Ma quante ne sono accadute di queste sulle 3300 comunità? Poche, per nostra fortuna. Questa però è un'occasione, sta di fatto che è totalmente rispettata. Nessuno dei colleghi che gestisce le comunità – c'è chi si è dimesso nel frattempo – per quello che risulta a noi, è più Giudice onorario se lavora o se gestisce comunità, o se ha parenti che gestiscono comunità.
  Per quello che riguarda la nostra capacità di verificare la qualità delle comunità, stiamo cercando di riconoscersi in un modello organizzativo. Cerchiamo, attraverso la formazione, di capire come è gestita la comunità. Facciamo delle visite alle comunità, cioè la conoscenza. Una nuova comunità, che vuole aderire al nostro coordinamento, viene visitata dal referente regionale. Visitata e conosciuta rispetto alla propria esperienza. Alcune le teniamo bene a distanza perché sappiamo che non sono adeguate. Quello che stiamo iniziando a fare è anche segnalare ciò, creando un sistema che ci permetta... questa era la richiesta che facevo venerdì alla garante regionale del Lazio, di farlo insieme: andiamo insieme in Procura, e costruiamo un modello di verifica che ci permetta di farci raccontare come funziona la comunità. In questo modo, forse, possiamo prevenire quegli errori che danneggiano poi, ulteriormente, la vita dei ragazzi.

  PRESIDENTE. Io le farei fare un altro giro di domande, visto che è disponibile. Do la parola all'onorevole D'Arrando.

  CELESTE D'ARRANDO. Grazie, presidente. Ringrazio l'audito perché ci ha dato, secondo me, delle informazioni che sono importanti e necessarie anche per comprendere meglio in quale direzione andare anche nell'elaborazione di suggerimenti alle proposte di legge in materia, che sono anche incardinate in Commissione Giustizia. Le faccio alcune domande. Ho sentito una collega, precedentemente, che parlava dei LEP (Livello Essenziale nelle Prestazioni). In realtà, e chiedo anche a lei che cosa ne pensa, poiché molto spesso quello che è il mondo sociale e quello che è il mondo sanitario si integrano – perché quando arriva un minore possono esserci anche degli aspetti sanitari – bisognerebbe trovare un modo di applicare quello che la legge 328 dice, l'integrazione socio – sanitaria e quindi arrivare non solo alla definizione dei livelli essenziali di prestazione, ma anche dei livelli essenziali di assistenza in quell'ambito. Oltre al fatto che le rette devono tenere conto di quello che ha detto Pag. 15lei, esiste anche quella che è una differenza interindividuale del minore; ogni minore ha delle esigenze diverse rispetto all'altro e quindi, per quanto si possa standardizzare la retta, ci sono anche delle situazioni da personalizzare per cui non sempre quello che necessita al minore può essere coperto da una retta. Quindi, la mia opinione è che bisogna anche considerare questa componente di differenza interindividuale di ogni minore. E questa è la prima riflessione.
  Relativamente a una seconda riflessione, lei parlava di relazioni disfunzionali perché, di fatto, quello che accade – e sta accadendo soprattutto negli ultimi anni – è che abbiamo spesso situazioni di famiglie disfunzionali che non hanno gli strumenti per potere fare fronte a situazioni di un certo tipo al di là poi di quelle situazioni in cui ci sono delle situazioni di violenza e quindi lì si va anche in altri ambiti. Reputa opportuno – a livello istituzionale e anche prevederlo nelle norme – investire e potenziare quella che può essere una rete sociale, socio–sanitaria, sul territorio che possa dare gli strumenti alle famiglie per poter fare fronte a quelle che sono le situazioni che non riescono ad affrontare da soli? Perché molto spesso, anche dietro a delle disfunzionalità, ci sono altri fattori che può essere, ad esempio, la situazione economica non molto agevole che quindi non gli consente di fare fronte a quelle che sono le esigenze dei figli. Ci sono diversi fattori non esiste solo un fattore psicologico. Dietro a ogni situazione disfunzionale, ci sono diversi fattori. Vorrei quindi chiedere se sarebbe opportuno, secondo lei, investire in quella che è la rete sociale, la rete socio–sanitaria, oltre al fatto che, come sa molto bene, noi viviamo una carenza strutturale, anche molto grave, di quelle che possono essere le figure utili, sia territorialmente ma anche all'interno delle comunità, come sia gli assistenti sociali, sia psicologi, sia gli educatori. Perché quello che manca, sostanzialmente, sono le risorse.
  In ultimo, quando ha parlato della separazione tra fratelli minori, io la ringrazio di averci dato delle spiegazioni, perché spesso chi non è addetto ai lavori, non comprende il perché vengano separati. E poi un altro fattore, io sono anche in Commissione d'inchiesta Forteto e quindi, in quella situazione, per esempio, sono successi fatti che effettivamente hanno lasciato un velo d'ombra su quelle che sono le comunità. Anche se quella non era una comunità per affidi, bensì era tutt'altro. Quindi credo che sia opportuno, anche qui, fare chiarezza. Quindi la voglio ringraziare proprio perché bisogna comprendere che esistono comunità virtuose, ma che esistono anche delle comunità che non lo sono e quindi dobbiamo capire effettivamente come controllare. Molto difficile farlo se, secondo me, non si ha anche un riferimento chiaro di chi si deve occupare perché, se parliamo di sociale, abbiamo dei riferimenti e dei controllori, se parliamo di sanitario, i controllori possono anche diversi perché vanno a controllare cose diverse. Quindi volevo anche un'opinione su questo. Per il resto la ringrazio perché è stato esauriente ed esaustivo, e anche molto utile ai fini della nostra Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole D'Arrando. Farei anch'io, se fosse possibile, alcune domande. Intanto, vorrei chiederle se si verifica fra le varie comunità, lei lo ha accennato, una specie di gioco al ribasso, se anche con specifici casi all'interno delle Regioni, per essere preferite rispetto ad altre nella terminazione dei servizi sociali o addirittura del Tribunale dei minorenni. In tutta questa situazione, lei ha giustamente citato queste linee guida che comunque partono da un tavolo ministeriale del Ministero delle Politiche Sociali, ma in che rapporto sono? Gli altri Ministeri che sono coinvolti nell'educazione, nell'accoglimento, nella crescita dei minori, che ruolo svolgono? A latere di questo, c'è una parte relativamente ai minori stranieri non accompagnati perché, non ne abbiamo parlato fino ad adesso, però le chiedo se, nella sua esperienza, ci sono comunità che accolgono sia minori allontanati dalle famiglie, sia i minori stranieri non accompagnati. Una domanda che viene dai nostri esperti è quale verifica sia stata fatta fra la corrispondenza del collocamento in struttura e il miglioramento dello stato di benesserePag. 16 del minore? E chi si occupa di questa verifica?
  Vado avanti con altre domande che mi ha sollecitato il suo intervento. Come avvengono i vari progetti per i minori? Lei ha detto una cosa molto importante. Alla fine, la DAD ha agevolato, in qualche modo, i ragazzi allontanati cioè quelli collocati presso le comunità. Quindi cosa manca? Perché questi ragazzi, a questo punto, fanno un percorso scolastico non normale o comunque non regolare? Perché questo a noi interessa. Come sempre, abbiamo l'ambizione di vedere i ragazzi che crescono e che vanno a scuola, che si formano e che, poi, a 18–21 anni trovano un lavoro. Dovrebbe essere il percorso migliore, in subordine a quello del ritorno in famiglia, dove però abbiamo un percorso simile. Infatti chiedevo anche a 18–21 anni cosa succede a questi ragazzi. Poi lei ha parlato dell'allontanamento ed è un problema molto grosso anche perché ci chiediamo – ce lo siamo chiesti varie volte in queste Commissioni – chi deve intercettare il disagio o comunque la disfunzionalità della famiglia. È chiaro che ci sono tanti operatori, i servizi sociali, la scuola, chi è in contatto con la famiglia, quindi anche questo è importante che chi deve intercettare, o chi può intercettare, questa disfunzionalità possa farlo ed essere informato al meglio. Per quello che riguarda la vostra esperienza, le chiedo se a sua cognizione le norme sui requisiti minimi strutturali del decreto del Ministero della Solidarietà Sociale del 2001 risultano rispettate o se voi, in relazione ai servizi che vengono offerti e alle linee guida che lei ci ha citato, prima di associare una comunità fate una verifica della rispondenza a questi requisiti. Sarebbe ovviamente una scelta di qualità del servizio. Inoltre, poiché abbiamo avuto delle sottolineature della criticità rispetto all'effettiva valutazione dei rapporti informativi provenienti dai servizi sociali da parte dei Tribunali dei minorenni, volevo chiederle se questo le risulta. E anche, in relazione alle cosiddette relazioni semestrali che ogni comunità dovrebbe inviare alla Procura presso il Tribunale dei minorenni, se riuscite a redigerle e se vengono tenute in considerazione. Perché lei ci ha detto una cosa molto importante: ci sono comunità, che sono bene organizzate, e che alla luce di un percorso positivo del minore possono fare richiesta, al Tribunale dei minorenni, di ricollocarlo in famiglia, pensare a un affidamento familiare o, credo, anche a un percorso adottivo se, chiaramente, sussistono gli altri requisiti.
  Una ulteriore questione riguardava il problema che lei ha citato, della forte diversificazione dei servizi che vengono offerti su base territoriale nelle varie Regioni, ma anche all'interno dello stesso Comune per quello che riguarda proprio i minori fuori famiglia. In alcuni ambiti di intervento ci sono servizi molto deboli, pur nella consapevolezza di situazioni di degrado e di violenza: quale è la sua esperienza in merito? Le chiedo anche, infine, se per caso le sia mai capitato di individuare una comunità che svolgeva un servizio in un modo non conforme, e in tal caso che cosa abbia fatto. Questo per capire effettivamente quali sono i passaggi che ha ritenuto di fare. Grazie.

  GIANNI FULVI, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare. Per quanto riguarda il problema dell'esternalizzazione, questo si lega ai livelli essenziali di prestazione. Non è ancora stata pienamente raggiunta quella proporzione di 1 a 5 mila degli assistenti sociali sui territori, e su questo bisogna capire come investire. Per esempio, i fondi di contrasto alla povertà per le Regioni e per gli enti locali sarebbero serviti anche a quello. Nel mio distretto, il direttore del distretto sta utilizzando quei fondi per potere assumere 27 assistenti sociali su 17 Comuni, quindi noi raggiungeremo la proporzione di 1 a 4 mila. Forse riusciremo, poi, a far vivere ai cittadini l'assistente sociale non più come quella cattiva che toglie i bambini, ma quella che è di supporto a quelle problematiche che possono essere, a quel punto, segnalate. Sono stato anche presidente del consiglio d'istituto, quando avevo i figli più piccoli, e mi chiedevano, a volte, su situazioni come procedere e io dicevo: «Interpelliamo i servizi sociali, facciamo venire il procuratorePag. 17 di riferimento su questo territorio che ci spiega come fare arrivare le segnalazioni». Quello che ci diceva: «Non fate le segnalazioni al Tribunale ma fatele alla Procura minorile, perché poi il Tribunale ce lo chiede a noi, quindi è un passaggio inutile». Ma poi noi chiederemo ai servizi sociali e ai Carabinieri del luogo di venire a raccontarci che cosa succede su quella situazione. E capitò il sostituto procuratore di Roma che mi chiese: «Tu che abiti in quel paese, mi spieghi come mai io ho una relazione del comandante dei Carabinieri che mi dà un quadro negativo su quella famiglia e una relazione del servizio sociale che invece me la presenta idilliaca?». Io gli ho chiesto chi avesse firmato quella del servizio sociale e ho detto: «Tieni conto di quella dei Carabinieri». Questo è uno dei problemi che, con l'ordine degli assistenti sociali, andrebbe ripreso; se poi lì c'è solo un assistente sociale che interviene, la possibilità che quello non funzioni bene è alta, mentre se ce ne fossero due la possiamo dividere al 50%. Questo è un rinforzo da fare sul territorio, da parte dei servizi, per intercettare prima il bisogno, ma anche cercando di migliorare la fiducia da parte delle famiglie nei confronti dei servizi, e che veramente siano percepiti come un sistema di aiuto e non di censura.
  L'esternalizzazione ci preoccupa ancora di più. Quando io arrivai nel mio paese ad abitare, c'era una cooperativa che gestiva sia il servizio sociale che l'assistenza domiciliare, ma chi decide quanti minori hanno necessità di assistenza domiciliare? La stessa assistente sociale della cooperativa. C'è un conflitto di interesse? Saranno i più bravi del mondo, ma il rischio che ci sia un conflitto di interesse è molto alto. Quindi, per prima cosa, l'assistente sociale deve essere dipendente pubblica dell'Amministrazione e questa è la funzione di garanzia che noi dovremmo avere.
  Sicuramente è opportuno investire nelle figure professionali; noi abbiamo le neuropsichiatrie ma non ci sono più neuropsichiatri infantili, questo lo dice la stessa SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza). Non abbiamo assistenti sociali. Non abbiamo psicologi. Non abbiamo una serie di figure professionali che potrebbero essere realmente di sostegno alle famiglie. Io ho la figlia grande disabile e quindi ne so qualcosa rispetto a quella che è un'assenza dei servizi rispetto a questo, sul sistema scolastico e altro. Quindi su questo, assolutamente, deve essere rifatto un investimento. Se investiamo oggi un euro ne risparmieremo 7–8 in futuro. Questo non l'ha detto Madre Teresa di Calcutta, l'ha detto un premio Nobel economista. Quindi è questo quello che dobbiamo fare.
  Riguardo all'alienazione parentale, per fortuna la Pas, per quella che è la mia esperienza, non si sta usando più molto come riferimento. Quindi c'è una certa attenzione a non abusare di questa diagnosi, rispetto alle situazioni di alta conflittualità che sono aumentate. Il problema dell'alta conflittualità, nell'ambito genitoriale, nell'ambito delle separazioni, ha prodotto una serie di difficoltà. Facevo una battuta con un collega, dicendo: «Se noi abbiamo un minore sotto bombardamento che facciamo? Lo proteggiamo e lo mettiamo al riparo da quel bombardamento». Se nella relazione genitoriale la conflittualità è così alta, quel minore comunque va protetto. È bene che, da quel conflitto, venga temporaneamente allontanato, non definitivamente.
  L'utilizzo delle schede semestrali, e delle relazioni semestrali. Quello che sollecitiamo ai colleghi è di fare delle note particolari ai procuratori in cui segnalare: «Sono due anni che non c'è un provvedimento su questo minore, il minore non è stato ascoltato, il Giudice lo deve ascoltare, facciamo scrivere anche al minore la necessità di essere ascoltato, se è necessario». Quindi le schede – quello che dicevo anche all'inizio – al 99 per cento, ormai, vengono redatte e inviate. Il dubbio che avevamo in passato è se poi venivano lette, e immagino che sia il dubbio che circola anche qua dentro; non è più tanto così ma, quello che noi diciamo, è uno strumento di lavoro. Quindi quella segnalazione deve permettere di sottolineare delle situazione che potrebbero essere modificate, anche chiedendo la riapertura del fascicolo, se è stato Pag. 18archiviato, e il procuratore lo può fare, assolutamente.
  Il ribasso dei servizi: a questa problematica accennavo prima. Se ci troviamo con il Sindaco tutore che, per risparmiare, sceglie di dimettere i minori da una comunità perché decide che con la retta di uno, ne paga due, voi capite che il sistema va fortemente in crisi anche sul controllo. Questa è una scelta non del Tribunale dei Minori, perché i Tribunali non lo possono fare e per fortuna non lo fanno – per lo meno quello che noi sappiamo, vediamo e verifichiamo – non c'è un'indicazione chiara della comunità dove debba andare, a meno che non ci sia l'articolo 25, quindi per misure di sicurezza, che quel minore vada in una comunità, a quel punto, la individua anche il Giudice.
  Per quanto riguarda i Ministeri che sono stati coinvolti nelle linee guida, il dipartimento giustizia minorile – e quindi il Ministero della Giustizia – era stato coinvolto; anche con il Ministero della Sanità era stato fatto un tentativo non ben riuscito e quindi, su quello, bisognerebbe tornare.
  Per i minori stranieri non accompagnati, la risposta è assolutamente sì. Noi abbiamo, per esempio, il collega della Sicilia che lavora molto sui minori stranieri accompagnati, e ne fa una scelta di qualità su questo. Avendo un'esperienza nell'accoglienza di minori italiani trentennale, quando ha aperto comunità per i minori stranieri, il modello era quello dei minori italiani. Aumentando i numeri, vista la necessità rispetto allo sbarco, non c'è stata l'idea di ricreare i grandi istituti. In Sicilia ci siamo trovati con strutture che avevano 60 minori ospiti e un educatore presente. La legge Zampa sicuramente ha aiutato a rifare un po' d'ordine anche su questo. Quello che auspichiamo è che non ci siano comunità specifiche, esclusive, per i minori stranieri non accompagnati. Anche se, per la tipologia e le necessità, si richiede una maggiore attenzione al bisogno di questo tipo di minori. Però, l'esperienza che noi abbiamo, è anche di presenze miste.
  In merito alla verifica tra il tempo di permanenza e il miglioramento del minore, noi stiamo iniziando ad ascoltare i minori di cui ci siamo occupati. Per esempio, nei nostri convegni abbiamo deciso che i saluti delle autorità abbiano inizio con un ragazzo, una ragazza, una donna, un adulto, che hanno fatto esperienza di comunità e che ci vengono salutare, quindi ancora prima del Ministro, del garante e tutto il resto; alcuni ci dicono le criticità che hanno vissuto in quelle comunità, e noi non ci vogliamo solo sentir dire: «È andato tutto bene» ma «In quella comunità questo non ha funzionato, in quest'altra comunità questo ha funzionato». Io ho ancora rapporti con ragazzi, padri, madri di famiglia e che rinnovano il racconto, la narrazione rispetto a quello che hanno vissuto nella comunità. L'associazione Agevolando, in questo, ci aiuta molto rispetto alla qualità.
  Rispetto alla DAD, noi abbiamo visto che alcuni hanno avuto dei miglioramenti, è chiaro che questo poi richiede un approfondimento. Perché questi hanno avuto un miglioramento didattico? Perché sono stati più seguiti? Perché c'è stata maggiore attenzione? Perché sono stati maggiormente sostenuti? Quindi questa è la restituzione che stiamo facendo all'interno delle comunità per rileggere il dato e capirne meglio il significato.
  Dopo i 18/21 anni che succede? Venerdì, una collega mi diceva che una ragazza che hanno attualmente ospite, che sta facendo l'università di interpretariato ed è pure stata all'estero in progetto Erasmus (European Region Action Scheme for the Mobility of University Students), si è sentita dire dai servizi sociali: «Guarda che tu, adesso, a novembre, fai 21 anni, quindi per noi arrivederci e grazie, quello che succederà di te non ci interessa più». La comunità si sta facendo carico, chiaramente, di questa ragazza e non la metterà in mezzo alla strada, ma qui è da riprendere tutto quel discorso rispetto al sostegno ai neo maggiorenni fino ai 25 anni, età media in Europa dell'emancipazione dei ragazzi, dei nostri figli, dalle proprie famiglie.
  Relativamente a chi debba intercettare le situazioni di disagio e disfunzionalità, questo è la rete di quei servizi che, sul territorio, dovrebbero essere rimessi in moto Pag. 19e verificare meglio i rapporti tra scuola, servizi territoriali, pediatri. Cioè come questo sistema intercetta le difficoltà di un minore di una famiglia, come comunicano tra di loro e quindi che progetto possono fare e chi accompagna, per non arrivare poi alle situazioni in cui si deve intervenire perché, nel momento in cui interviene il Tribunale per i minorenni, questo decide se può rimanere a casa con i propri genitori, oppure no. Ho semplificato molto ma, di fatto, questa è la funzione principe del Tribunale dei minorenni. Allora meno arriviamo al Tribunale e meglio è, perché significa avere superato tanti gradi di prevenzione.
  Rispondenza ai requisiti prima di associare? Assolutamente sì. Noi facciamo una verifica rispetto a come funziona la struttura, la formazione ci permette di entrare all'interno delle strutture.
  Nei rapporti informativi da parte dei servizi sociali, anche qui ci sono delle carenze, ma ritorniamo a quello che dicevamo prima, rispetto al numero degli assistenti sociali presenti sul territorio, rispetto all'esperienza del servizio sociale. L'esternalizzazione che cosa comporta? In alcune realtà della Provincia di Roma, o delle Province vicine, o di altre Province di altre Regioni, l'esternalizzazione produce poi un ricambio dell'operatore sociale ogni sei mesi, quindi non c'è continuità nel progetto. Quindi vengono a mancare riferimenti sul territorio per il Tribunale. Questo che cosa poi mette in atto da parte dei Giudici? Di sostituirsi insieme ai Giudici onorari ai servizi territoriali. Quindi, in questo, c'è una confusione rispetto ai ruoli che poi vediamo.
  Sulle relazioni semestrali, ho detto. Sulle comunità che svolgono una funzione non conforme, io personalmente, come dicevo all'inizio, sono andato dalla Procuratrice minorile qui di Roma, e abbiamo segnalato un territorio della Regione con due o tre realtà che, secondo noi, andavano attenzionate, e abbiamo detto dove, in quali Comuni. Ho detto: «Come dobbiamo fare per segnalare questo? Veniamo qui e glielo raccontiamo. Io non ho problemi anche a metterlo per iscritto affinché poi andiate a verificare, perché non so quella situazione come realmente sia». Questo è quello che dovremmo fare tutti quanti insieme, nell'interesse di quei minori che abbiamo là dentro. Quello che dico sempre ai colleghi è che è vero che dobbiamo pensare ai nostri e alle nostre comunità, ma noi rispondiamo in minima parte. Sulla base di quella proporzione che dicevo prima, sui 21 mila accolti all'interno delle comunità noi siamo un decimo, quindi noi ne possiamo gestire 2 mila circa, ma gli altri 19 mila in mano a chi sono? Questo è lo sforzo che dovremmo fare anche per avvicinare i colleghi delle altre comunità per migliorare la qualità. Quindi vi è un altro lavoro che avremmo da fare, fino a non so quando.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Bellucci per una ulteriore precisazione. Un minuto però, perché poi dobbiamo congedare il dottor Fulvi. Grazie.

  MARIA TERESA BELLUCCI. Sì, non mi sembra che abbia risposto alla domanda in cui chiedevo se fosse stata esplicitata formalmente, alle Amministrazioni Pubbliche, la sottolineatura rispetto alle deficienze delle relazione provenienti dai servizi esternalizzati. Inoltre, se è stato esplicitato formalmente, se ci rende disponibile la data in cui questo è stato formalizzato. Infine, rispetto alla DAD, ha riportato che la DAD abbia avuto un effetto benefico rispetto ai minori che si trovavano in comunità familiari: devo dire, dottor Fulvi, che mi sorprendo un po' e le chiederei di approfondire perché questa sua affermazione lascia basiti, dal momento che si è visto che la DAD, in realtà, ha avuto delle ricadute negative importanti in ordine agli aspetti psicologi, emotivi, relazionali. Quindi ci sorprende apprendere che, invece, nei minori che si trovano collocati in comunità minorili la DAD abbia avuto un effetto non negativo. Quindi le chiedo se effettivamente lei conferma questa sua sottolineatura e le evidenze sulla base delle quali lei fa questa affermazione. Quindi che tipo di monitoraggio è stato fatto, sulla base di quali variabili e quali indicatori, perché quello Pag. 20che risulta dal monitoraggio effettuato a livello nazionale sulla popolazione generale e, in particolare, su quei minori che hanno delle difficoltà e delle fragilità, è un aggravamento delle problematiche, sia per i minori disabili, ma anche per i minori che si trovano in una fase delicata della propria vita, in termini di disturbi d'ansia, di depressione per arrivare fino ad attacchi di autolesionismo e tentati suicidi. Quindi le chiedo di potere approfondire – se non adesso, anche in un altro momento – questa affermazione che ha fatto, che ha destato la mia sorpresa e che vorrei comprendere meglio, dal momento che è un dato divergente con il monitoraggio che invece è stato fatto durante la pandemia. Grazie per la pazienza e anche per l'ascolto.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Bellucci. Prego, dottor Fulvi.

  GIANNI FULVI, presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare. Sì, noi abbiamo segnalato – e questo ve lo posso dare – alla Regione Lazio questo problema rispetto all'esternalizzazione; l'abbiamo segnalato alla Regione e fatto presente anche alla presidente del Tribunale. L'unico soggetto che ci ha ricevuto è stato proprio il Tribunale insieme alla Procura. Né la Regione Lazio, né l'assessore ai servizi sociali... cioè no, i servizi sociali per alcune cose sì, per altre no, ma quella della sanità e l'ANCI non ci hanno proprio dato ascolto.
  Per quanto riguardo la DAD, le confermo che ha sorpreso anche noi. Noi ci aspettavamo grandi problemi nel gestire la permanenza dei ragazzi all'interno delle comunità. E proprio questa sorpresa ci ha portato a fare questa piccola indagine, per capire che cosa era accaduto. È vero anche, però, che forse una risposta – non lo so, ma dobbiamo approfondire – è data anche dalle difficoltà che molti dei nostri ragazzi hanno nell'inserimento scolastico. Tanto è vero che, per alcuni di loro, abbiamo attuato – penso che ci ascolta, se è ancora in linea, suor Silvia, in Sardegna, ma anche la dottoressa Corbo, ma anche altri nostri colleghi – e iniziato a realizzare nelle comunità per un periodo, con servizi paralleli, la scuola parentale, proprio tenendo conto delle difficoltà che molti dei nostri ragazzi hanno nel poter stare nell'ambito scolastico ordinario, perché molto spesso si sentono rifiutati da quel contesto. Quindi per questo, forse, alcuni di questi ragazzi, con la DAD, sono riusciti meglio. In assoluto, siamo d'accordo che l'isolamento ha prodotto danni, non c'è dubbio. Quello che abbiamo visto, rispetto ai nostri ragazzi, è che forse l'organizzazione della comunità ha contenuto questi danni. Non abbiamo avuto un aumento di atti lesionistici autodiretti da parte dei ragazzi, né eterodiretti. Non abbiamo avuto fughe in numero superiore a quello che era stata la media, perché noi temevamo tutto ciò. Quindi anche noi siamo rimasti sorpresi di quanto accaduto. Ed è per questo che poi approfondiremo i dati che abbiamo rilevato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottore Fulvi, e dichiaro conclusa l'audizione.

  (La seduta in Commissione plenaria è sospesa dalle 20.50 alle 21.05 per lo svolgimento dell'Ufficio di presidenza).

Comunicazioni della Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di svolgere una missione presso l'Istituto degli Innocenti di Firenze e presso due comunità, individuate sulla base delle segnalazioni pervenute.
  Comunico inoltre che sono pervenuti alla casella funzionale della Commissione quattro esposti, riservati, sui quali il tenente colonnello Andro svolgerà un primo esame, preliminare all'eventuale trasmissione ai competenti Comandi dell'Arma dei Carabinieri.

  La seduta termina alle 21.10.

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