XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 4 febbraio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 

Audizione di Claudio Regeni e Paola Deffendi, genitori di Giulio Regeni, e dell'avvocato Alessandra Ballerini:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 
Regeni Claudio  ... 3 
Deffendi Paola  ... 4 
Regeni Claudio  ... 5 
Deffendi Paola  ... 6 
Regeni Claudio  ... 7 
Deffendi Paola  ... 7 
Regeni Claudio  ... 8 
Deffendi Paola  ... 8 
Regeni Claudio  ... 8 
Deffendi Paola  ... 8 
Regeni Claudio  ... 9 
Deffendi Paola  ... 10 
Ballerini Alessandra  ... 11 
Deffendi Paola  ... 11 
Regeni Claudio  ... 13 
Deffendi Paola  ... 14 
Ballerini Alessandra  ... 15 
Deffendi Paola  ... 18 
Ballerini Alessandra  ... 18 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 19 

(La seduta, sospesa alle 12.35, riprende alle 12.40). ... 19 

Palazzotto Erasmo , Presidente ... 19 
Trancassini Paolo (FDI)  ... 19 
Ballerini Alessandra  ... 20 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 20 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 20 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 21 
Ballerini Alessandra  ... 21 
Deffendi Paola  ... 22 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 22 
Deffendi Paola  ... 22 
Ballerini Alessandra  ... 22 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 22 
Pettarin Guido Germano (FI)  ... 22 
Penna Leonardo Salvatore (M5S)  ... 23 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 23 
Serracchiani Debora (PD)  ... 23 
Deffendi Paola  ... 23 
Serracchiani Debora (PD)  ... 23 
Deffendi Paola  ... 23 
Serracchiani Debora (PD)  ... 23 
Deffendi Paola  ... 23 
Serracchiani Debora (PD)  ... 23 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 24 
Ungaro Massimo (IV)  ... 24 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 24 
Ballerini Alessandra  ... 24 
Deffendi Paola  ... 25 
Ballerini Alessandra  ... 26 
Deffendi Paola  ... 26 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 26  ... 26 
Regeni Claudio  ... 27 
Deffendi Paola  ... 27

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Claudio Regeni e Paola Deffendi, genitori di Giulio Regeni, e dell'avvocato Alessandra Ballerini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta reca l'audizione di Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio Regeni, e dell'avvocato Alessandra Ballerini, che li assiste. Ringrazio Paola e Claudio Regeni per la grande disponibilità ad accogliere l'invito della Commissione. Per noi tutti, avervi qui ha un alto valore simbolico e morale. Riteniamo che questa audizione abbia straordinaria importanza per questa Commissione anche per il lavoro che dobbiamo svolgere e soprattutto per il ruolo che avete avuto in questa drammatica vicenda, che vi ha visto essere protagonisti e contributori della ricerca della verità e soprattutto animatori di un grande movimento civile che ha difeso i valori del rispetto dei diritti umani e delle libertà nel nostro Paese. Vi ringrazio anche perché so che è difficile dovere sempre ricordare e ricostruire i passaggi di questa drammatica vicenda. Vi porgo questo ringraziamento, sapendo che tutti noi abbiamo una grandissima e altissima forma di rispetto per il vostro ruolo. Sono certo di interpretare il sentimento di tutti i colleghi nel riconoscere la nobiltà, ma soprattutto la dignità e la coerenza nell'impegno che profondete ogni giorno perché sia ricercata la verità e sia fatta giustizia per Giulio. Sappiate che, per quello che è il nostro ruolo e per raggiungere quest'obiettivo, potete oggi contare sull'unanime determinazione di questa Commissione nel fare la propria parte per raggiungere verità e giustizia. Questa riunione ha luogo in un giorno particolare, all'indomani dell'anniversario del ritrovamento del corpo di Giulio e a poco più di una settimana dall'anniversario del suo rapimento. È un tempo trascorso che non può non interpellare la nostra coscienza; è un severo monito a non perdere più altro tempo, che ci carica di una responsabilità maggiore, una responsabilità che riguarda tutti noi, nel nostro ruolo di rappresentanti delle istituzioni, impegnati oggi a fare di più di quello che fino a ora le istituzioni hanno fatto per raggiungere l'obiettivo della verità. Spero che questa Commissione possa svolgere questo ruolo e supportare la vostra azione. Desidero sottolineare che l'audizione è per questa Commissione un atto imprescindibile, un punto di partenza fondamentale per il lavoro della nostra indagine, anche per richiamare alle proprie responsabilità le altre autorità dello Stato che andremo successivamente ad ascoltare. Vi ringrazio, non aggiungo altro e lascio a voi la parola. Liberamente, decidete chi comincia e quando cambiare l'ordine degli interventi.

  CLAUDIO REGENI. Buongiorno a tutti e grazie. Siamo molto onorati di essere qui e siamo pronti a riferire le cose che noi riteniamo importanti della storia di Giulio, che stiamo seguendo già dall'inizio e ancora prima. Sono stati quattro anni, come giustamente ha detto il presidente, in cui sono accaduti molti fatti. Abbiamo fatto Pag. 4molte indagini, abbiamo partecipato personalmente anche collaborando con l'avvocato Alessandra Ballerini e con la Procura di Roma e con tutti quelli che avevano bisogno di approfondire e di chiederci i dettagli che noi potevamo fornire di volta in volta. Abbiamo fatto passi in avanti, conseguendo risultati che all'inizio sembrava impossibile ottenere, risultati importanti che potranno esserlo ancora di più grazie alla vostra azione. Noi, naturalmente, siamo sempre disponibili a continuare come abbiamo fatto fino ad oggi a collaborare con voi per qualsiasi cosa possa aiutare il vostro compito, compito che sappiamo non facile. Si tratta di avere la possibilità di arrivare idealmente all'accertamento processuale regolare della verità e della giustizia. Ci sono delle zone grigie che, con il vostro aiuto, potremmo scoprire. Sono zone grigie sia dal lato del governo egiziano – che da più di un anno è «recalcitrante», poiché non collabora come ci si sarebbe aspettati – e anche da parte italiana, perché è da un po’ di tempo che noi chiediamo il richiamo dell'ambasciatore Cantini, il quale non ci sta riferendo cosa sta facendo, effettivamente.

  PAOLA DEFFENDI. Buongiorno, come sempre è andata così: ci alterniamo nel racconto. Vi ringrazio e auguro a voi veramente buon lavoro; ce n'è bisogno, di un buon lavoro. Voi arrivate, come ha sottolineato il presidente e anche Claudio, nella linea del tempo del quarto anno, quindi tante cose si sono succedute. Tante cose non le saprete, sia perché possiamo immaginare che uno non è che ogni giorno fino adesso abbia seguito la tragedia inimmaginabile di Giulio, sia perché sono talmente tante le cose... Ma penso che questo sia ora invece il vostro compito. Vi trovate in un'altra situazione. Voi arrivate, sulla linea del tempo, al quarto anno; prima è successo tanto, e tanto dovrebbe – e anche velocemente – succedere, secondo noi, verso la verità. Noi dalla Commissione e da voi ci aspettiamo... ce lo siamo segnato...sono emozionata e quindi, contrariamente ad altre volte, ogni tanto leggerò qualcosa. Noi abbiamo delle aspettative: che voi smuoviate la politica. Nella nostra narrazione di oggi vi andremo a spiegare perché. Abbiamo avuto modo di conoscere che cosa ha già riferito la Procura di Roma. Avete già chiaro anche il quadro, il contesto delle indagini e ci sembra evidente che, se la politica non collabora a costruire un certo contesto favorevole, la Procura di Roma non riesce ad andare avanti. Questa è una scelta che bisogna che venga fatta, anche perché è Giulio stesso – chi ci ha seguito lo ha ormai capito – che ci porta e porta le persone a fare una scelta: da che parte stare. Farò solo un piccolo quadro politico di sfondo, che è il quadro politico di sfondo che abbiamo conosciuto in questi quattro anni. Dopo, sta a voi, chiaramente, con le audizioni o con l'approfondimento a mezzo stampa, a mezzo libri, a mezzo quello che volete, capire meglio quali sono state le dinamiche politiche italiane in questi quattro anni. La «parte egiziana» è stata ben chiarita dai procuratori di Roma. Vi faccio questo riassunto: noi, in questi quattro anni, abbiamo vissuto – come voi, d'altronde – con ben quattro governi. Quattro governi per noi ha significato incontrare alcune persone chiave. Poi, probabilmente ce ne sono altre; noi ci riferiamo a quelle che abbiamo incontrato. Poi, i meccanismi di che cosa succeda nelle stanze dei palazzi li sapete meglio voi di noi. Abbiamo incontrato per primo e più volte – su cui poi riferiremo – il Presidente del Consiglio Renzi; abbiamo incontrato l'allora Ministro degli esteri Gentiloni, che poi è diventato Presidente del Consiglio; abbiamo successivamente incontrato il Presidente del Consiglio Conte, nel Governo Conte I e nel Governo Conte II o bis, come si dice; e abbiamo incontrato il Ministro degli esteri Di Maio. Tra Gentiloni e Di Maio abbiamo avuto come Ministro degli esteri Moavero Milanesi, che abbiamo incontrato una volta. Faccio presente che all'interno della storia di quattro governi, quando c'era il governo Renzi, come Ministro dell'interno c'era Angelino Alfano, che poi è diventato Ministro degli esteri, che non abbiamo mai incontrato. Prima era Ministro dell'interno, poi degli esteri. Poi, Ministro dell'interno è stato Minniti, che non abbiamo mai incontrato; e Ministro dell'interno è stato poi Pag. 5Salvini, che non abbiamo mai incontrato. Questi sono, secondo noi, attori principali nella scena, nei rapporti con noi, ma anche nei rapporti precedenti, durante e successivi con l'Egitto. Inoltre, abbiamo anche incontrato rappresentanti della Farnesina – tanti ce li ricordiamo, ma non sempre: il segretario generale del Ministero, Michele Valensise, che poi è stato sostituito da Elisabetta Belloni, che sappiamo incontrerete. Lei, l'abbiamo vista, come abbiamo visto Cristina Ravaglia, che è stata direttore generale per gli Italiani all'estero e le politiche migratorie, al posto adesso occupato da Luigi Vignali. Questo è un po’ il quadro delle persone che riteniamo importanti e che ci sono state più o meno vicine. Io penso che adesso Claudio possa cominciare un po’ a raccontare. Per incontrare o non incontrare queste persone dovete immaginare che dietro c'è tutto il lavoro della nostra legale e nostro, più tutto quello che è successo; questi sono stati i nostri quattro anni.

  CLAUDIO REGENI. La nostra storia, il nostro coinvolgimento, nei fatti di quello che è successo a Giulio, sono iniziati il 27 gennaio 2016, alle ore 14.30, con la telefonata della console Alessandra Tognonato, che mi ha raggiunto telefonicamente e mi ha informato della scomparsa di Giulio, avvenuta la sera del 25 gennaio. Dalle ultime notizie che abbiamo poi scoperto di Giulio, sappiamo che era uscito di casa dopo le 19.41, che è l'ora in cui ha inviato un ultimo messaggio via posta elettronica, via social. In base a quanto riferito dalla console, la sera del 25 gennaio 2016 Giulio è uscito per andare a incontrare un suo conoscente, Gennaro Gervasio, il quale lo aspettava a una fermata dopo piazza Tahrir, che era chiusa, in quanto il 25 gennaio era l'anniversario della rivoluzione del 2011 e si temevano disordini. Alle 20.20 Gennaro Gervasio ha telefonato a Giulio perché ritardava all'appuntamento. Il telefono ha squillato, ma senza risposta. Poi, alle 20.30 ha provato di nuovo a chiamare e il telefono è risultato spento. La dottoressa Tognonato mi ha confermato che avevano già indagato sugli ospedali, e stavano continuando con interlocuzioni verso i servizi di sicurezza e che stavano cercando di fare quanto in loro potere per localizzare Giulio. In seguito, abbiamo avuto varie telefonate, una importante avvenuta il 29 gennaio con l'ambasciatore Maurizio Massari, direttamente dal Cairo. Noi eravamo ancora a casa e ci stavamo organizzando per partire e per andare noi stessi al Cairo. In questa telefonata, l'ambasciatore ha confermato e assicurato che stavano lavorando attivamente per avere notizie di Giulio. Mi ha confermato che, siccome c'erano stati dei casi precedenti in cui la conferma del fermo presso la polizia era tardata di qualche giorno, aveva ancora la speranza attiva di poter ripetere questa esperienza anche per Giulio. Aveva un buon rapporto con il Ministro dell'interno e si aspettava notizie tramite gli addetti del Ministero dell'interno. Poi, l'ambasciatore Massari ha confermato che la domenica mattina sarebbe andato personalmente dal Ministro dell'interno egiziano Ghaffar per avere notizie ribadendo che avevano un buon rapporto; poi, mi ha confermato che la settimana successiva era attesa al Cairo in visita ufficiale una delegazione di imprenditori italiani e che quindi, secondo l'ambasciatore Massari, anche gli interlocutori egiziani erano interessati a collaborare per risolvere la situazione di Giulio al più presto possibile. Noi siamo poi partiti e arrivati al Cairo il 30 gennaio, che era un sabato, e abbiamo incontrato all'aeroporto l'amica di Giulio, Noura, con un suo amico. Ci aspettavano e ci hanno accompagnato in auto a casa di Giulio, dove abitava fino alla sua scomparsa. Lì abbiamo incontrato i coinquilini di Giulio: Mohamed Sayed, avvocato del Cairo, e una coinquilina tedesca di nome Juliane. Il 31 gennaio, il giorno successivo, la domenica, siamo andati direttamente all'ambasciata italiana al Cairo, dove abbiamo incontrato l'ambasciatore Massari e la console Tognonato. L'ambasciatore Massari doveva ancora andare dal Ministro dell'interno Ghaffar, il quale, stranamente, secondo l'ambasciatore Massari, in quegli ultimi giorni non stava rispondendo alle sue telefonate. Lo ha cercato telefonicamente senza ricevere risposta. In quel giorno, diceva – siccome ne erano già Pag. 6passati cinque e questo era il sesto giorno dalla scomparsa di Giulio – che, se non avesse ricevuto risposte soddisfacenti dal Ministro Ghaffar, sarebbe stato opportuno, a suo parere, lanciare l'allarme di scomparsa di Giulio. Fino a quel momento, ci avevano richiesto il silenzio, la riservatezza, in modo da dare agli egiziani il tempo di rispondere alle richieste senza avere delle pressioni che forse avrebbero complicato – almeno così ci sembrava di aver capito – la situazione. Nel frattempo, erano state contattate anche altre persone che potevano eventualmente fornirci qualche informazione in più, come la tutor di Cambridge Maha Abdelrahman, la quale ci aveva anche detto che avrebbe fatto qualche tentativo, interessando un suo amico parlamentare europeo, sperando di poter avere qualche notizia attraverso questo canale. La notizia della scomparsa di Giulio era stata data molto tempestivamente perché l'amico che lo stava aspettando, Gennaro Gervasio, ha chiamato dopo poco l'ambasciata italiana, dando l'informazione preliminare. Ha avvertito l'ambasciata del mancato arrivo di Giulio con una certa preoccupazione e con un certo presentimento, come se fosse successo qualcosa a Giulio nel percorso da casa sua al luogo in cui avevano l'appuntamento. Sappiamo che Gennaro Gervasio, oltretutto, ha chiamato un suo amico parlamentare italiano per una verifica con la Farnesina per sapere se avevano ricevuto nel frattempo questa informazione nei giorni successivi alla scomparsa di Giulio. Sembra avesse ricevuto una conferma positiva, affermativa. Quindi, la Farnesina era stata informata. Nei giorni successivi, abbiamo fatto dei percorsi che sapevamo essere stati svolti da Giulio. Erano percorsi che normalmente faceva Giulio verso il centro del Cairo e nella zona in cui abitava. L'abbiamo fatto solo per capire un po’ l'ambiente, per cercare dalle tracce, eventualmente. In questo eravamo accompagnati dall'amica di Giulio, Noura. Nel frattempo, eravamo costantemente in contatto con l'ambasciata; attendevamo notizie da loro. Il 31 gennaio sera, l'ambasciatore Massari ci conferma di avere incontrato il Ministro dell'interno egiziano Ghaffar, però senza avere avuto alcuna informazione utile; anzi, ci ha detto che aveva un atteggiamento un po’ sprezzante e per niente collaborativo.
  In queste condizioni, l'ambasciatore Massari ci ha confermato che stava per dare la notizia all'ANSA della scomparsa di Giulio e che, dal momento in cui avrebbe dato la notizia, noi avremmo avuto cinque minuti di tempo per avvisare i nostri familiari rimasti a casa e gli amici, prima che loro lo scoprissero attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione. Il 2 febbraio eravamo sempre in zona Dokki, dove abitava Giulio, e sembrava che dovessimo avere un incontro l'indomani con la polizia della stazione locale, che voleva incontrarci per chiederci informazioni riguardanti Giulio. Questo incontro è stato disdetto. L'indomani c'era la delegazione italiana che ci era stata preannunciata, la visita del ministro Guidi con gli imprenditori italiani. Verso sera riceviamo la telefonata che ci avverte della visita a casa di Giulio, dove noi ci trovavamo, da parte del ministro Guidi, assieme all'ambasciatore Massari. Questa prima telefonata ci coglie di sorpresa; non sapevano bene come interpretarla, se come una notizia buona, positiva, per cui il ministro, insieme all'ambasciatore Massari, ci volevano fare una sorpresa portandoci Giulio a casa ritrovato sano e salvo... Se le notizie erano negative, in quel caso sapevamo già. Invece, dopo poco, ci arriva una seconda telefonata da parte dell'ambasciatore Massari, il quale ci avverte che sarebbero arrivati con qualche minuto di ritardo e che non stavano portando buone notizie. Questa è stata la comunicazione che ci ha informati, purtroppo, della tragedia, di quanto era successo a Giulio. Questo, il 3 febbraio. Il 4 febbraio veniamo accompagnati e siamo ospitati, anche per motivi di sicurezza, presso l'ambasciata italiana al Cairo. Incontriamo in quell'occasione l'ambasciatore Massari, il suo assistente Davide Bonvicini, la console Tognonato e l'amica di Giulio Noura. Nei giorni successivi ci sarà la cerimonia di benedizione di Giulio presso l'ospedale italiano del Cairo.

  PAOLA DEFFENDI. Aggiungo alcune cose nel racconto di Claudio e dopo apro una Pag. 7piccola finestra. Quando veniamo avvisati dall'ambasciatore Massari, arriviamo con dieci minuti di ritardo. Dopo, partono tutte le nostre ipotesi; poi, arrivano e noi ci ricordiamo dell'ambasciatore Massari, che scuote la testa, e da lì capiamo. Poi, sappiamo che l'ambasciatore Massari andrà di sua scelta a vedere Giulio all'obitorio. Scopriamo dopo mesi che questa è stata una scelta sua, sembra anche una scelta coraggiosa e che gli egiziani si sono anche molto arrabbiati per questo, ma questo magari lo approfondirete voi. Tutto ciò per dirvi che poi, durante la notte, io personalmente, leggendo Repubblica, ho scoperto che Giulio era stato torturato. Quindi, quello che era successo a Giulio nei dettagli, per ciò che si poteva sapere, noi l'abbiamo scoperto in questo modo, leggendo tutti i quotidiani on line. Questo è un dettaglio non da poco, probabilmente. Non ci era stato riferito anche per una sorta di affetto, di tutela, però da quella volta... Come diciamo sempre, siamo nella società della conoscenza, della tecnologia. Fake news a parte, tutto si viene a sapere, per cui è stata una «super botta», per usare una certa terminologia. Aggiungo ancora una cosa – sembrano dettagli, ma in realtà...noi siamo a casa di Giulio fino al 4, quando viene la console; andiamo prima in ambasciata: voi dovete pensare che nei giorni precedenti al 3, quindi dal 31 al 3, noi stiamo in casa di Giulio, dove c'è il coinquilino Mohamed Sayed, che poi, come avete sentito dal procuratore Colaiocco, comunque, in qualche modo, è implicato nel discorso della «ragnatela». Noi siamo lì, in quella casa, con lui. Anzi, andando via, addirittura gli lascio dei biscotti che non avevo potuto lasciare a Giulio, pensando a lui come alla persona che in realtà non è; quando va via l'ambasciatore, noi chiamiamo Noura, che arriva con sua sorella, con la quale eravamo stati a cena prima di rientrare nella casa. Lui rientra facendo quasi finta di non sapere niente; ci prepara un tè e ci abbraccia anche: scusate, questi sono particolari non da poco perché, per noi che viviamo in questa società democratica, pensare che poi eravamo anche noi dentro... Come hanno – scusate – fregato noi, hanno probabilmente fregato Giulio. Ci riuniamo e col senno di poi ci siamo resi conto che comunque ci trovavamo anche noi in una situazione di pericolo. Probabilmente, in tutti i giri di cui vi ha riferito Claudio, saremmo anche stati seguiti. In particolar modo, siamo andati più volte nella zona della metropolitana, dicendo: «Ci son tante porte; l'avranno sbattuto di qua, di là...» Abbiamo visto anche le telecamere: sembrava di essere in quei film sul futuro dove ci sono le tecnologie vecchie e le tecnologie nuove. Dicevamo: «Ma che telecamere!» Infatti, fin dall'inizio – l'ho ritrovato nella nota del mio quadernetto del Cairo – avevamo chiesto all'ambasciatore sia delle telecamere – il discorso di avere le immagini delle telecamere – e sia, cosa che ci ripeteva mio fratello in continuazione, che ci fosse la geolocalizzazione del telefono. Insistentemente, questo ci dicevano da casa. Secondo noi, non è stato fatto niente di ciò. Scusate se non vado in ordine temporale, ma son dettagli da tener presente. La denuncia della scomparsa di Giulio è stata fatta dalla persona fisica di Davide Bonvicini, braccio destro dell'ambasciatore Massari (con lui ora a Bruxelles) e viene fatta 24 ore dopo perché così è la prassi. Quindi, ufficialmente, se sparisce il 25, la denuncia alla polizia, come si fa anche da noi, avviene il 26. In tarda notte – questo sarebbe interessante farselo raccontare da Bonvicini – lui sembra che venga trattato proprio «a pesci in faccia»: insomma, trattano un rappresentante delle istituzioni italiane in malo modo.

  CLAUDIO REGENI. Ha fatto fatica a farsi dare una conferma della denuncia scritta. Non volevano dargliela e lui è rimasto lì fino a quando non gliel'hanno consegnata.

  PAOLA DEFFENDI. Già qua c'erano dei segnali, oltre al Ministro dell'interno che non voleva ricevere l'ambasciatore Massari. In quei giorni, ci muoviamo comunque sempre con Noura. Poi, la nostra Procura riesce a svelare delle cose su Noura. Noura era con noi in ambasciata, Noura ci portava in giro, noi siamo andati a casa della Pag. 8zia di Noura... Quindi, lei sapeva, passo dopo passo, tutto quello che avveniva. Ve lo diciamo così, senza interpretazione, ma ci sembra abbastanza una suggestione interessante.

  CLAUDIO REGENI. Un'altra informazione che è stata confermata dalla stampa: sappiamo che in quei giorni era presente al Cairo il direttore dell'AISE Manenti. Quindi, tra il 25 gennaio e il 4 febbraio, sembra che Manenti fosse presente al Cairo.

  PAOLA DEFFENDI. Forse proprio il 3, ma noi ci basiamo su questo, sulla stampa. Tutte queste sigle noi le abbiamo lette sui giornali in precedenza, ma non avevano il significato che hanno assunto in questi anni. Ancora una precisazione, prima di andare avanti, breve, però è giusto farla. La facciamo sempre anche quando incontriamo le persone che ci invitano a parlare. Giulio era andato al Cairo come ricercatore. Non era andato al Cairo perché gli piaceva girare tra le bancarelle dei venditori, con tutto il rispetto per le bancarelle. I mesi al Cairo dovevano essere un approfondimento sul campo di una ricerca molto più ampia, storico-sindacale, proprio un discorso sui sindacati, sul lavoro e sui rapporti storici all'interno dell'economia molto più ampio. L'Egitto era un focus, come un focus erano i sindacati, che dovevano essere sia i sindacati indipendenti – anche perché la stampa ha calcato molto su questo – sia i sindacati governativi. Lui aveva una visione complessiva e generale – da quello che sappiamo, perché noi siamo i suoi genitori, abbiamo seguito delle cose, però certi dettagli neanche ci sono, perché, come abbiamo capito, la vera ricerca nella testa ce l'aveva solo lui: non sappiamo che cosa sapesse o cosa avesse concordato con la docente. Quindi, la sua ricerca era più ampia di quello che la stampa ha pensato di evidenziare. Chiaramente, lui doveva starci fino al 23 marzo. Quindi, tutta una serie di appuntamenti e di incontri di approfondimento che aveva previsto – in particolar modo con il sindacato governativo – non li ha potuti esplicare. Lui era lì come ricercatore. Di per sé... Noi ci siamo confrontati con tantissime persone e, non lontano da ieri, mentre firmavamo il nostro libro, mi è venuta vicino una giovane che ha fatto studi internazionali alla «Sapienza» e mi ha detto: «Sa, io ero al Cairo a febbraio dopo Giulio... Tutti parlavano di Giulio». Io ho detto: «Mamma mia, ti hanno mandato dopo Giulio». «Sì sì, l'università mi ha comunque mandato, con tante precauzioni». Poi, sapete, eravamo in una situazione così pubblica e non potevamo continuare. Di per sé, se l'Università «La Sapienza» ha mandato anche dopo dei suoi ricercatori, la ricerca non era pericolosa, anche perché confrontandoci con tante persone, ci è stato detto: «Io, fino ad agosto ero al Cairo». Sono tematiche abbastanza nella norma per chi approfondisce certi aspetti. Noi, quando siamo stati a Bruxelles, abbiamo anche incontrato dei sindacalisti europei che, devo dire la verità, non pensavo neanche esistessero, che sono andati a incontri ai quali ha partecipato, ad esempio, Giulio. Tipo: «Ah, probabilmente lui entrava e io uscivo. Non ci siamo conosciuti». Abbiamo approfondito molto questo discorso. Di sicuro, quello che possiamo dire è che abbiamo capito tutti, dopo l'uccisione brutale di Giulio, che l'Egitto – e dobbiamo dircelo, perché siamo uno dei primi Paesi che è andato a stringere la mano al presidente al-Sisi – è un Paese con una forte dittatura, che poi potrà essere comoda per i rapporti economici, ma è un Paese che ha molte paranoie. Scusate, ma andava detto.

  CLAUDIO REGENI. Noi, dal giorno successivo alla benedizione avvenuta all'ospedale al Cairo, ci prepariamo per il rientro e andiamo alla sede della Procura egiziana per i documenti di autorizzazione al trasporto della salma di Giulio. Lì troviamo un ambiente un po’ disordinato, con le scartoffie ammassate in tutti gli angoli, e ci riceve il procuratore. Ci fa qualche domanda e poi dobbiamo firmare delle carte per poter trasportare Giulio. Il 6 febbraio rientriamo a Roma, portando Giulio.

  PAOLA DEFFENDI. Il 6 arriviamo a Roma. La sera precedente arriva la squadraPag. 9 speciale – non abbiamo mai capito veramente quanti fossero, perché quando ho iniziato a raccontare la prima volta questo aspetto ad Alessandra, li ho chiamati «i magnifici sette», però sembra fossero sei od otto. Non so quante persone ci fossero in questa squadra speciale arrivata al Cairo, ROS e SCO. Poi, sembra che si siano anche succeduti nel tempo, fino a marzo/aprile. Noi questo non lo sappiamo, anche perché quella sera abbiamo avuto una cena di lavoro: chi ha letto o leggerà il nostro libro avrà modo di capire perché l'abbiamo nominata «riso crudo». L'ambasciata era già super controllata, anche già prima, dagli egiziani. Poi, da racconti che abbiamo strappato, sappiamo che nei giorni successivi gli egiziani controllavano tutti gli ingressi dell'ambasciata, anche piazzandosi nei palazzi – questo lo chiederete però alle persone dell'ambasciata – anche piazzandosi con macchine fotografiche per capire chi entrava e usciva. La pressione sull'ambasciata è stata immediata – forse, adesso che c'è l'ambasciatore Cantini non sarà più così. C'erano difficoltà nel mandare fax. C'era da sbrogliare un problema che nessuno riusciva a sbrogliare e l'ha sbrogliato Claudio. Ha ancora tutti i numeri delle pompe funebri di Roma, perché, una volta arrivata la salma di Giulio, c'era da capire chi poi l'avrebbe trasportata all'Umberto I, dove hanno fatto l'autopsia di Giulio. Claudio ha risolto questo aspetto, mentre io venivo interrogata, giustamente: è stato duro, questo fa parte del lavoro, e ho anche apprezzato poi comunque la delicatezza della squadra speciale. Venivo interrogata su tutta la vita di Giulio: ho dovuto essere da sola in quel momento perché Claudio doveva risolvere questo problema; poi da casa ci avevano segnalato l'opportunità dell'assistenza legale. Così abbiamo avuto anche il primo contatto con Alessandra, che non conoscevamo prima. Da casa ci dicevano che bisognava capire se fossero state fatte foto o video durante l'autopsia e che noi, come parte lesa, dovevamo averle. Capite, ci troviamo anche in queste situazioni di cui non capiamo niente, ma in pochi secondi dobbiamo capire. Essendo là, ci siamo detti che con tutto ciò che è successo a Giulio, avremmo dovuto anche un po’ come cittadini – e qua forse scatta l'aspetto dei cittadini, come ho detto prima – mettere le mani avanti verso il nostro stesso Stato, di cui noi ci fidiamo, ci siamo fidati. Con tutto questo, partiamo, anche perché poi, circa la restituzione della salma di Giulio, abbiamo capito come il discorso dell'obitorio non era poi una cosa così logica e scontata. Noi di questo dobbiamo rendere atto. Supponiamo che anche la Farnesina e i vari politici che erano in certe posizioni, con cui poi avevamo avuto qualche rapporto telefonico in quei giorni, prima e dopo l'uccisione di Giulio, abbiano mosso delle cose. Se a un cittadino italiano ed europeo succede tutto quello che gli succede, poi non è neanche logico che da morto possa ritornare a casa. Claudio, vuoi continuare tu?

  CLAUDIO REGENI. All'ospedale Umberto I incontriamo per la prima volta il dottor Colaiocco. Prima ancora, all'arrivo all'aeroporto di Fiumicino incontriamo vari politici italiani e l'ambasciatore egiziano di allora, con il quale abbiamo avuto un primo colloquio preliminare. Lui ci ha confermato che aveva già parlato con il presidente al-Sisi, il quale aveva affermato la loro piena disponibilità a collaborare per le indagini e per scoprire chi erano i colpevoli di quanto era successo. Questa era la prima delle promesse che ci sono state fatte, al nostro arrivo in Italia, il 6 febbraio 2016. All'ospedale Umberto I, con il dottor Colaiocco, abbiamo un primo interrogatorio. Il dottor Colaiocco ci chiede informazioni per poter redigere un suo primo rapporto. All'ospedale facciamo anche il riconoscimento di Giulio, che è stato un altro passaggio difficile e doloroso, ma indispensabile. In quel caso, ci viene fatto vedere Giulio, però era quasi tutto coperto. Si vedeva soltanto una parte del viso. L'abbiamo riconosciuto nonostante ci fosse soltanto una piccola parte del viso scoperto. Insieme al dottor Colaiocco, c'erano anche i suoi collaboratori, tra cui il dottor Macilenti. Il giorno successivo, il 7 febbraio, rientriamo a casa, a Fiumicello. Qui, al nostro arrivo, tramite il volo da Roma all'aeroporto di Trieste Ronchi dei Legionari,Pag. 10 incontriamo anche la dottoressa Serracchiani, che era l'allora governatrice del Friuli-Venezia Giulia. Nei giorni successivi facciamo i preparativi del funerale e succedono alcune cose a livello di comunicazione ufficiale. L'8 febbraio, il Ministro dell'interno egiziano Ghaffar, in una conferenza stampa, afferma che l'Egitto non ha nessuna responsabilità su quanto era successo a Giulio. I giorni successivi, il 9 febbraio, c'è il primo rapporto della Procura di Roma, in cui si rivelano già i primi depistaggi da parte del governo egiziano. Successivamente, ci sono altre informazioni, tra cui quella del Sottosegretario agli affari esteri Benedetto Della Vedova, il quale dichiara che Giulio non era dei servizi segreti italiani, chiarendo quindi almeno questo aspetto che poteva essere un potenziale punto di domanda.

  PAOLA DEFFENDI. Chiaramente, si succedono tante cose a livello di cronologia. Non andiamo certo oggi a dirvi tutto, non perché non vogliamo, ma perché se no penso che staremmo qua un mese. Poi, ci sono delle parti che, come già detto, la Procura vi ha riferito; poi voi sentirete altri attori che andranno a completarla. Una piccola aggiunta rispetto al discorso del funerale, cosa che è nota perché la stampa l'ha riferita – e anche con un certo affetto, bisogna dire. Al funerale sono arrivati tantissimi amici e amiche di Giulio da tutto il mondo. Ho visto che era una persona internazionale. C'era anche la rappresentanza dell'università di Cambridge, Peter Nolan, il capo dipartimento, la professoressa Maha Abdelrahman con il marito, che, tra l'altro, sono venuti anche a casa nostra, perché comunque fino a quel momento avevano avuto un certo atteggiamento. Al funerale c'era anche il procuratore Colaiocco. Tutti gli amici e le amiche decidono spontaneamente – è stata come un'onda che si è sviluppata durante il funerale – di consegnare tutti i loro computer e telefonini per vedere se magari all'interno di qualche comunicazione con Giulio poteva esserci qualche elemento utile, cosa che poi è continuata nel tempo. Vanno tutti alla caserma di Cervignano con questa strumentazione. All'interno di questo, visto che c'era anche la professoressa, viene chiamata anche lei, che si dimostra subito «indispettita», questa sarebbe la parola giusta. Non ci pare ci abbia dato delle risposte. Ha mantenuto questo atteggiamento sia quando noi siamo andati nel giugno 2016 alla cerimonia al Girton College, che noi chiamiamo «la cerimonia alla Harry Potter», dove il giorno dopo doveva incontrare la Procura italiana, sempre tutto su rogatoria, preciso... Dice di no, dice che lei accetta solo domande scritte, che le sono state inviate, ma alle quali risponde: «Non so, non ricordo». Farà la stessa cosa nel gennaio del 2018. Ha sempre risposto: «Non so, non ricordo». Le fanno delle perquisizioni e... posso dire quella del libro? Giulio aveva regalato alla professoressa nel percorso del Master, il nostro equivalente alla magistrale, un libro, perché era una persona cortese e ringraziava gli insegnanti: nella nostra educazione c'è anche questo. Eravamo precedenti all'epoca «whatsapp» dei genitori, scusatemi questo intercalare. Rispetto per la scuola e quindi rispetto per la professoressa. Quindi, decide di regalare – anzi, io ero la consigliera su questo e gli avevo consigliato un libro d'arte. Scusate questo aneddoto, ma fa capire tante cose. Era un libro d'arte sull'Italia, cosa vuoi più di noi su questo? Invece, lui decide di regalarle Gomorra in inglese, di Saviano. Questo ormai era un particolare del 2012. Alla domanda dei procuratori, tramite i poliziotti inglesi: «Lei ha mai ricevuto un regalo da Giulio?», lei ha risposto: «No», «Ha mai ricevuto un libro? – No». Noi riferiamo quale fosse il libro, dopo un «lavorone» di memoria: voi dovete capire che c'è stata una parte attiva anche da parte nostra ogni volta che serviva andare a rivedere le nostre mail con Giulio, in questi quattro anni – e continua ancora – andiamo ogni volta su e giù, su Skype, le mail eccetera, per ricordare delle cose. Lei dice di no e poi decidono di fare la perquisizione. Mi pare che nello studio dell'università abbiano trovato il libro. Non aveva la dedica, però non è che proprio tanti fanno questo regalo a una docente inglese. Questo è un piccolo particolare; dopo, non parlerò forse più di lei. Siamo in Italia, c'è Pag. 11stato il funerale; dopodiché, noi aspettiamo delle reazioni dal nostro Governo. Nel nostro libro – che casualmente è uscito in concomitanza con l'istituzione di questa Commissione – non è per far pubblicità, però può essere uno strumento utile, c'è una cronologia: mancano alcune parti, sono sfuggite o sono sparite con la stampa, però può aiutarvi. Siamo in Italia e cominciamo ad aspettare delle reazioni, anche perché con tutto quello che è successo, che continuerà a succedere e continua a succedere ancora sia rispetto ai depistaggi sia rispetto all'infangare la figura di Giulio... Ci ha fatto molto piacere che ieri, nell'articolo del quotidiano La Stampa, il dottor Pignatone ha scritto che Giulio era un giovane colto. È stata una parola molto importante detta da lui. Aspettiamo delle risposte e aspettiamo anche una reazione. Noi, come primo atto, abbiamo scritto una lettera all'allora Presidente del Consiglio Renzi, che poi abbiamo incontrato in data 9 marzo, dopo aver incontrato su invito il Presidente Mattarella. Noi abbiamo incontrato il Presidente Renzi: era presente anche l'allora presidente Debora Serracchiani, che si ricorderà. Questi due incontri sono stati gli unici con nostra figlia; poi abbiamo tenuto nostra figlia un po’ al riparo soprattutto dalla stampa, anche se con noi è sempre presente e segue tutto; quindi, non siamo mai soli, come si può pensare. Quello è stato un incontro importante, che abbiamo riletto. Sapete, poi si ripensa, si riflette, ci si chiede cosa è successo, che senso aveva. Abbiamo riflettuto molto perché il Presidente del Consiglio Renzi ci aveva chiesto di andare senza la nostra legale, cosa che con il percorso formativo che abbiamo sviluppato non farei adesso, non lo faremmo più. Piuttosto non accetteremmo di andare. Quella volta l'emotività e il desiderio di far muovere le cose ci ha fatto andare senza. Era una cosa strana. Non lo so. Io ve lo do come dato. L'abbiamo incontrato e all'interno di questo incontro ci ha dato fiducia. Ci ha manifestato le condoglianze e ci ha chiesto di avere fiducia in lui, fiducia nel Governo, che avrebbe trovato comunque un modo, che aveva una strategia per smuovere gli egiziani, che insomma avevamo avuto la migliore procura d'Italia e che grazie al Governo – questo adesso lo dico così da cittadina semplice – era partita questa squadra dei cosiddetti «magnifici sette», che non me ne vogliano, ma a loro vogliamo veramente tanto bene, al di là del soprannome. Noi un po’ intontiti abbiamo fatto questo colloquio. Quello che è successo dopo qua lo dico, lo do come dato. Subito dopo, se voi ricordate bene, era uscita su Repubblica in due puntate un'intervista dell'allora direttore del giornale, Mario Calabresi, al presidente al-Sisi, che ci aveva fatto le prime promesse ufficiali. Ci aveva fatto le condoglianze e dopo è successo questo. Dopo noi abbiamo avuto nel tempo diverse interlocuzioni telefoniche con il Presidente del Consiglio Renzi, che abbiamo rivisto con la legale Alessandra Ballerini il 7 luglio. Dopo il primo incontro, oltre ad andare sempre con la legale Ballerini a tutti gli incontri ufficiali, abbiamo scelto di andare prima in Procura a fare il punto; quindi grazie anche alla collaborazione, all'apertura, alla disponibilità, al capire che volevamo essere attivi nonostante il dolore, siamo andati sempre in Procura prima di incontrare tutte le varie cariche politiche, perché avevamo capito che, al di là della dell'autonomia di azione delle istituzioni, di Procura e Governo, lo avevamo capito nel tempo che ogni tanto qualcuno ci raccontava delle cose che non erano vere. Quindi all'interno di quel colloquio, lo devo dire, quello del 7 luglio, l'allora Presidente del Consiglio Renzi ci fa un discorso, come se quasi lui avesse visto o fossero già in Italia i famosi video della sorveglianza – storia su cui poi bisognerebbe fare chiarezza. C'è tutto un capitolo su questo e rimaniamo un po’ basiti.

  ALESSANDRA BALLERINI. Scusami, intervengo affinché sia più chiaro, perché diamo tutto per scontato. Si tratta di video della sorveglianza della metropolitana, dove Giulio è stato presumibilmente preso che poi ritroveremo dopo tantissimi mesi, anche anni. Invece il 7 luglio viene detto come se fossero già stati visti.

  PAOLA DEFFENDI. Per cui diciamo che siamo stati sempre contenti della scelta di Pag. 12andare sempre prima alla Procura, perché capiamo che i politici hanno tanto lavoro, però ci sembrava che dei dettagli forse dovevano essere forniti brevi manu. Dopo non incontriamo più il Presidente del Consiglio Renzi, lo sentiamo telefonicamente varie volte. Esprime sempre la disponibilità e la voglia di ricercare con noi verità e giustizia. Noi, sempre come incontri più importanti se da cittadino semplice si può dire, abbiamo incontrato l'allora Ministro degli esteri, Gentiloni, con cui poi ci siamo anche sentiti telefonicamente, come con Renzi, anche al Cairo prima e dopo l'uccisione di Giulio – oltre alle varie persone della Farnesina, i capi di gabinetto, rappresentanti italiani all'estero. Lo incontriamo, mi pare, due volte alla Farnesina come Ministro degli esteri e, una volta, il 20 marzo come Presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Già quella volta lui ci dice: «Io vi chiamerò e ci vedremo». Questo era il 20 marzo 2017. Ci dice: «Io vi chiamerò e dovrò convincervi che prima o dopo bisognerà rimandare l'ambasciatore», perché nel frattempo a livello temporale l'8 aprile del 2016 è stato richiamato, non ritirato, richiamato l'ambasciatore Massari. Noi rimaniamo un po’ stupiti dalla cosa e rispondiamo: «Lei non ci convincerà» perché noi – con tutti questi amici e queste persone internazionali legate a Giulio, e tutti che studiavano – perché noi ci siamo messi a studiare. Fa parte un po’ del nostro DNA e quindi avevamo studiato l'Egitto, la geopolitica, tutti i vari problemi, la Libia e tanti ci dicevano: «Si potrebbe fare così. Si potrebbero fare queste pressioni internazionali. L'Europa dovrebbe muoversi». Tutto questo gruppo di persone pensanti avrebbero potuto diventare degli aiuti se magari al Governo italiano fosse servito; però poi si succedono altre telefonate. Adesso queste mi sembrano sfumature inutili, perché arriviamo a livello temporale a quel famoso 14 agosto, quando veniamo chiamati dalla segretaria dell'allora Presidente del Consiglio Gentiloni – noi eravamo ognuno in luoghi diversi, anche sul territorio, ci sentiamo e ci rincontriamo a casa nostra. Ci viene annunciato che il Governo – era allora Ministro degli esteri Angelino Alfano – ha deciso di rimandare l'ambasciatore in Egitto. Claudio chiede: «Quando deciderete?» perché era rimasto a «Vi richiamerò o ci risentiremo o ci rivedremo e vi diremo», e lui ci dice: «Abbiamo già deciso». L'abbiamo tenuto al telefono una buona mezz'ora. Non eravamo molto felici, potete bene immaginare. Così scopriamo che forse abbiamo anche ritardato un'ANSA che avrebbe dovuto partire dopo cinque minuti, perché in questi anni abbiamo capito e ve lo dico molto sinceramente che – forse sarà successo anche in altre tragedie o altre situazioni – si chiamano o si parla coi familiari, si dice: «L'ho fatto» e dopo si chiama l'ANSA o un'altra agenzia così siamo tutti a posto e questo avviene. Noi chiaramente facciamo le nostre rimostranze, come ben sapete. Il giorno dopo esce anche un articolo sul New York Times che dice che gli americani avevano avvisato il Governo sulle responsabilità degli egiziani nell'uccisione di Giulio e arriviamo al 14 settembre. Forse alcuni di voi si ricorderanno perché probabilmente erano in carica come parlamentari e hanno anche avuto modo di partecipare direttamente quando Angelino Alfano risponde sul perché dell'invio dell'ambasciatore Cantini. Per noi, questo lo devo dire anche per quello che non è più successo dopo, perché anche per la Procura – anche ieri l'ex procuratore Pignatone l'ha detto – dopo il 2017 si è interrotto il filo di comunicazione diretto che c'era stato tra le due procure. Stranamente si è risvegliato ultimamente, anche perché – dopo vado al Ministro Angelino Alfano – in questi quattro anni abbiamo capito tantissimo sui fili che si possono tessere all'interno della Farnesina e certamente oltre ai Ministri, ai segretari e portavoce, ai capi di gabinetto, ci sono delle persone, dei funzionari che magari hanno in mano la situazione. Come nei piccoli comuni: cambiano i sindaci, però ci sono magari gli impiegati là da anni che sanno come sbrigare le carte e che magari danno anche dei consigli. Questo ve lo dico, perché abbiamo fatto un po’ noi personalmente la storia delle varie persone che si sono succedute alla Farnesina. Ad esempio abbiamo scoperto recentemente che se l'8 aprile del 2016 l'ambasciatore Pag. 13Massari veniva richiamato, nel frattempo c'era uno scambio di persone e veniva nominata la dottoressa Elisabetta Belloni come segretario generale della Farnesina. Proprio in quei giorni, siamo nel 2016 – sempre questo da uno studio su internet, quindi prendetelo tra parentesi – già quella volta lei dice che sarà necessario il richiamo dell'ambasciatore. Mi correggo: il rinvio dell'ambasciatore, così ho verificato che mi seguite: è la maestra che c'è in me! Già nel 2016, come si richiama Massari, si prepara il rinvio dell'ambasciatore. Ho trovato su questo articolo le stesse parole, perché ero partita da Gentiloni, da quel che lui ci dice. Quindi era una cosa che mi è suonata strana. Siamo sempre al 14, quando si inventa che sono arrivate delle carte. Chi fa arrivare le carte dagli egiziani? Chi le fa arrivare? Chi in questi anni ha un po’ smosso quei «contentini» che ci hanno dato? Quindi viene deciso di mandare Cantini. Le promesse sono state tante. Tanti di voi hanno assistito il 14 settembre alla spiegazione. Noi il video del Ministro Angelino Alfano l'abbiamo rivisto recentemente e qua devo veramente usare un aggettivo e gli aggettivi sono soggettivi, però la parola che noi ci siamo detti è che è stata una fuffa velenosa. Perché? Le persone che credono nelle istituzioni hanno creduto che fosse una buona strategia quella di mandare Cantini, invece poi abbiamo visto che si è rivelata una fuffa velenosa. Io qua invito voi, sempre a mezzo stampa, quindi non sono cose personali, a cercare di capire poi lui nella sua attuale veste di avvocato cosa abbia svolto e cosa stia svolgendo nei rapporti con l'Egitto. Non l'ambasciatore, qua parlo del Ministro Alfano. Cosa sta facendo oggi con il suo studio e se per caso ha rapporti con l'Egitto. Mi dispiace per chi ha creduto che questa fosse la strada migliore, anche perché era stato promesso un affiancamento alla Procura e tante altre cose. Con noi fin dall'inizio l'ambasciatore non ha quasi un rapporto, ma prego Claudio poi di approfondire.
  Nel frattempo andiamo anche in Europa, quindi Renzi, Di Maio – mi scuso se non uso le cariche e le nomine, ma vado veloce – Renzi e Gentiloni nelle varie vesti. Poi non incontriamo, come ho detto, né Alfano né Salvini. Incontriamo poi Moavero Milanesi, Di Maio e andiamo in Europa il 15 giugno 2016. Andiamo su richiesta della Commissione diritti umani e di un gruppo di europarlamentari italiani. Nell'agenda del nostro incontro alla Commissione si inserisce, non prevista, Federica Mogherini che era Alto Rappresentante. Si inserisce. Ci vuole incontrare. Abbiamo un colloquio e a noi piacerebbe tanto sapere quali sono state le sue azioni in Europa per Giulio. Seguiamo le varie agenzie, abbiamo la nostra squadra amicale che ci manda tante cose e sappiamo che è stata, nella sua funzione, varie volte anche in Egitto. Non è stato per noi un colloquio illuminante. Infatti alla richiesta di fare una fotografia, perché ci sono le «ANSE», ci sono le fotografie... abbiamo detto di no. Quindi a voi Commissione diamo questo compito di indagine. Claudio, vai tu con l'ambasciatore che è arrivato al Cairo?

  CLAUDIO REGENI. Sì, l'ambasciatore è arrivato al Cairo a settembre e immediatamente ci complica un po’ la vita, perché le carte, che avevamo fatto in precedenza per la nomina dei nostri legali rappresentanti al Cairo, sembra che devono essere rifatte. Non solo una volta ma due volte le dobbiamo fare, perché non andavano mai bene e questo ha comportato per noi spese e tempo e ritardo nel procedere verso fatti e acquisizioni di carte che potevano aiutare nella prosecuzione delle indagini. Riceviamo finalmente un plico di carte che però erano assortite in maniera molto casuale. I nostri investigatori con la Procura di Roma hanno fatto un lavoro davvero eccezionale, perché da quelle carte hanno estrapolato informazioni molto importanti, mettendo prima in ordine significativo, facendo naturalmente la traduzione dall'arabo e quindi con un lavoro veramente importante e faticoso, abbiamo ottenuto delle informazioni preziose, che con l'incrocio dei tabulati telefonici che erano stati consegnati precedentemente, ha consentito di arrivare all'individuazione di molte persone che erano state coinvolte nelle varie fasi dell'inseguimento di Giulio.Pag. 14
  Per quanto riguarda l'ambasciatore Cantini, riteniamo che effettivamente, se al primo posto – almeno questa era stata una delle motivazioni per cui era stato rinviato – c'era il compito di agevolare le comunicazioni per scambio di dati tra le due procure, quella egiziana e quella italiana, questo non è avvenuto. In pratica l'ambasciatore Cantini è già da molto tempo che non ci risponde ed evidentemente persegue degli obiettivi altri, diversi da quelli di verità e giustizia. Non porta avanti il nostro caso, mentre porta avanti con molto successo altre iniziative rivolte all'agevolazione di scambi economici, affari, politica e turismo. Si vede chiaramente anche dalle conferme e dall'aumento degli scambi commerciali tra Italia ed Egitto.

  PAOLA DEFFENDI. Adesso, fatto questo quadro, immagino che sarete anche voi stanchi con noi, ma vado velocemente. Aspettiamo invece sempre degli incontri con la politica, quindi abbiamo il primo Governo Conte e col primo Governo Conte diventa Presidente della Camera Roberto Fico che, come ormai sapranno tutti, rispetto alle altre situazioni, è stato proprio il primo che si è proposto di chiamarci per capire bene da noi in primis come era stata la tragedia, la storia e quello che è successo di Giulio, quindi noi a maggio, mi pare 2018, incontriamo per la prima volta il Presidente Fico che incontreremo più volte. Dal 2018 ad oggi noi abbiamo incontrato nel giugno il Ministro Moavero Milanesi, presente Elisabetta Belloni e poi lo stesso giorno abbiamo incontrato il premier Conte. Chiaramente tutti ci dicono che vogliono verità e giustizia e nell'incontro con l'allora Ministro Moavero Milanesi è evidente, e ce lo dice proprio chiaramente, che la scelta del Governo con l'Egitto è la scelta del dialogo, utilizzando anche un po’ la figura di Giulio in questo piccolo intercalare personale. All'interno di quell'incontro ad esempio ci rendiamo conto che spesso le persone che andiamo a incontrare sempre del Governo non hanno ben chiara la storia di Giulio e non hanno chiaro chi fosse Giulio, cioè che era un ricercatore, che ricercatore non vuol dire studente, che Giulio non era un giornalista e che Giulio non era un blogger. Perché molte volte le persone che incontriamo non capivano e non sapevano chi fosse. Questo è gravissimo, perché, capite, noi rispettiamo tutte queste situazioni e professioni, però si è posto Giulio fin dall'inizio in modo veramente ambiguo e non chiaro. Siamo a giugno 2018. Dopo questo incontro, avvengono tutta una serie di eventi che non sono in relazione a noi che incontriamo la politica italiana, ma che la politica italiana fa. È una sintesi. Il 18 luglio del 2018, il vicepresidente del Consiglio Salvini va al Cairo e incontra, oltre ad Abbas Kamel, direttore dell'Apparato d'Informazioni Generali, Mahmoud Tawfik, Ministro dell'interno, naturalmente sempre con l'ambasciatore Cantini tutto questo. Poi in successione molto rapida, 3 agosto 2018, il Ministro Moavero Milanesi va sempre a incontrare al-Sisi. Immaginiamo: incontro per la Libia, continue promesse da marinaio del presidente al-Sisi. Poi il 30 agosto, Di Maio, Vicepresidente del Consiglio, va sempre al Cairo e permette ad al-Sisi di dire che Giulio era uno di noi, cosa per noi molto dolorosa e terribile. Poi tra il 16 e il 17 settembre – siamo sempre nel 2018 – il Presidente della Camera Fico va al Cairo, ma, contrariamente alle altre situazioni, va e va solo per Giulio e lo fa presente al presidente al-Sisi, cosa che gli era sembrata probabilmente molto strana: «Uno che arriva solo per Giulio qua da me!».
  Poi il 12 novembre in Italia avviene l'evento cosiddetto di Palermo. Immagino che fosse in relazione alla Libia, la conferenza sulla Libia alla quale non hanno poi partecipato tutti i Capi di Stato dell'Europa e non solo. Qua arriviamo a novembre del 2018, una cosa così, estemporanea. Il Ministro Moavero Milanesi il 30 novembre convoca l'ambasciatore egiziano a Roma: solite promesse. Una piccola cosa tra parentesi: se da parte se dell'ambasciatore Cantini, almeno da quello che possiamo capire noi, non viene mai evidenziato il suo lavoro per Giulio – se lo fa – in Egitto. Perché dovete sapere che noi abbiamo tutta una serie di persone che leggono per noi e traducono i quotidiani arabi, quindi le immagini che noi abbiamo del nostro ambasciatorePag. 15 sono tutt'altro. Di sicuro non andrà con lo striscione «verità e giustizia» agli incontri. In compenso l'ambasciatore egiziano in Italia, che era stato nominato più o meno nello stesso periodo di Cantini, l'11 maggio 2016, sta facendo tantissimo in Italia, proprio una roba incredibile cosa non fa questo uomo... Lui approccia persone della cultura italiana. Lui approccia politici. Fa eventi all'ambasciata. Invita persone. C'è chi va e chi non ci va, quindi ringraziamo chi non ci va. Guardate, è una roba incredibile cosa non fa, un uomo veramente laborioso. Naturalmente dice che noi parliamo male dell'Egitto. A chi gliel'ha chiesto: «Avete incontrato i Regeni?» «I Regeni? Scherza?». Sta facendo tantissimo. Incontra industriali italiani. Poi c'è tutta una crème dell'industria e non solo, dell'economia egiziana in Italia; quindi, da cittadini capiamo che c'è quello che si vede e poi c'è tutta una trama sotterranea. È incredibile. Prima Claudio vi parlava di turismo, vi parlava di tante cose. È incredibile, comunque il suo Presidente può essere molto contento... Quindi una prima barriera alla verità viene da parte dell'Egitto e viene già fatta in Italia e probabilmente qualcuno lo permette. Chiudo la parentesi.
  Siamo a novembre 2018, succedono varie cose. Una cosa che succede è il 13 dicembre. Ci sono varie risoluzioni. No, il 28 novembre, scusatemi. Vengono sospesi i rapporti col parlamento egiziano. Il parlamento italiano sospende i rapporti col parlamento egiziano. Poi voi sapete, ogni volta gli egiziani si arrabbiano, dicono che loro rispettano i diritti umani... perché poi nel frattempo ci sono state varie delegazioni, anche delegazioni europee, ultimamente anche una italiana che sono andate al Cairo a vedere una struttura, una galera egiziana, dove naturalmente avevano addirittura preparato tutta una messa in scena. Hanno voluto far credere – e chi ci va ci crede o ci vuol credere – che i detenuti hanno un self-service, cioè addirittura un catering. Magari dieci metri più in là fanno le torture più atroci, però tutti sono andati e hanno detto: «Vengono rispettati i diritti, quindi che cosa ci stanno raccontando tutte le organizzazioni internazionali?». Questo è un atto forte, rompere i rapporti col parlamento egiziano, però dopo, capite, ci sono tutte queste «serpentine». Arriviamo al nostro incontro con il Ministro degli esteri Di Maio, che avviene il 6 ottobre del 2019. Noi ci andiamo e riprendo il discorso della linea temporale fatto all'inizio. Ci andiamo con tutti questi quattro anni di cui noi cerchiamo di farvi un riassunto. Andiamo con la richiesta di richiamare l'ambasciatore Cantini, che ci racconti che cosa ha fatto o non ha fatto e come, e a che punto siamo. Questa è la richiesta che abbiamo fatto. Dopodiché qualcuno probabilmente ha mosso delle carte e c'è una lettera e chiedo ad Alessandra che utilizza il suo linguaggio professionale di spiegare questo passaggio. Diciamo che noi siamo qua. Poi nel frattempo si è istituita questa Commissione. Alessandra, grazie.

  ALESSANDRA BALLERINI. Sì, rispondo a questo, poi magari due precisazioni su tutto il resto. Quando incontriamo il Ministro Di Maio il 6 ottobre, viene fissata una data, che è quella del 28 di novembre. Viene detto: «Se entro il 28 di novembre non ci saranno delle vere novità, dovremmo prendere dei provvedimenti» e il provvedimento doveva essere il richiamo dell'ambasciatore. Perché questa data del 28 di novembre? Perché il 28 di novembre c'era stato l'incontro tra le procure al Cairo. Era stato quello dell'anno precedente ed era stato illustrato ai procuratori, al loro procuratore capo, Sadek, tutto il frutto degli anni di indagine con tanto di slide per far capire tutte le connessioni rispetto ai nomi di quei cinque che poi vengono, successivamente al rientro dei nostri procuratori in Italia il 30 novembre, iscritti nel registro degli indagati. Quindi ci sono cinque persone iscritte nel registro degli indagati da un anno. C'è una rogatoria della fine di aprile del 2019 che non ha avuto nessuna risposta, una rogatoria peraltro fatta anche in seguito a diversi testimoni che abbiamo tra virgolette trovato anche noi e tra questi quello molto importante, keniota, che riferisce del maggiore Sharif Magdi, che si vanta di aver preso e torturato Giulio: una rogatoria importante alla Pag. 16quale la procura egiziana non si degna di rispondere. Ci diamo questa data simbolica del 28 novembre, cioè hanno avuto un anno di tempo per fare qualcosa. Non si degnano manco più di rispondere alle mail, bisogna richiamare l'ambasciatore. Sul limite di quella data arriva questa lettera del nuovo procuratore capo egiziano, perché nel frattempo c'è stato un cambio, una lettera che non arriva peraltro ai colleghi procuratori italiani, ma viene consegnata, credo fisicamente, alla ambasciatrice Belloni che la porta alla Farnesina, in cui viene detto sostanzialmente – noi non l'abbiamo letta, ma al telefono ci viene letta – che ci sarà un incontro a data da destinarsi e a persona da destinarsi. Nel senso che all'Italia viene detto: «Quando avrete voi il nuovo procuratore capo, lo incontreremo» che non è un riallacciare, neanche un riallacciare i rapporti, perché questi rapporti non sono avvenuti direttamente tra le procure. Non è certamente una collaborazione, perché non c'è neanche scritto: «Vi daremo delle risposte sulla rogatoria». Non c'è nulla di tutto questo. È anche una missiva piuttosto maleducata, perché si bypassa la persona che si sta occupando da quattro anni delle indagini, che è il procuratore Colaiocco, quindi viene detto: «A te non ti consideriamo neanche. Quando ci sarà il nuovo procuratore capo, lo incontreremo». Quell'incontro, sapete, non c'è stato. C'è stato un incontro tra gli investigatori che comunque pare che non abbia portato a niente, nel senso che non hanno minimamente risposto alla rogatoria ad oggi, quindi quella missiva è servita soltanto a impedire che venisse richiamato l'ambasciatore Cantini e questa è una strategia che gli egiziani usano continuamente. Nel momento in cui sentono lievemente di più il fiato sul collo, ci elemosinano qualche cosa, sapendo che intanto le istituzioni italiane ci cascano ogni volta e che è quasi come se non aspettassero altro per evitare di dover rompere questa amicizia con il governo egiziano. Volevo fare due precisazioni su tutto quello che vi è stato detto oggi e soprattutto focalizzare alcuni punti, perché vi hanno detto tantissime cose e l'impatto anche emotivo di tutto quello che avete sentito è tale per cui magari poi è difficile focalizzare. Giulio viene preso il 25 gennaio. Loro ricevono la notizia il 27 gennaio. Questo non è normale, che la famiglia, che i legali, non sappiano che il loro figlio è sparito, e il loro numero era facilmente recuperabile e l'indirizzo di casa anche, per due giorni. È uno degli elementi di riflessione oltre che di dolore, perché tante cose si potevano fare in due giorni ed era loro diritto preoccuparsi del figlio quarantott'ore prima e attivarsi quarantott'ore prima. Loro partono da soli per il Cairo a loro spese. E nessuno dice loro: «Volete andare al Cairo? Avete i passaporti? Vi serve il visto? Vi facciamo il viaggio?». Niente. È una loro iniziativa e non vengono messi in sicurezza. Si sa benissimo che Giulio è stato preso dagli apparati egiziani. È evidente che è stato preso dagli apparati egiziani immediatamente, tant'è vero che Massari si attiva immediatamente chiamando il ministro dell'interno e chiamando tutte le stazioni di polizia, tutto quello che può e che sa. Perché si muove così Massari? Ve l'ha detto Claudio, ma forse non si è percepito benissimo. Perché, e ce l'hanno ribadito delle altre persone di cui magari poi parleremo un attimo, nei cinque minuti segretati, Giulio non è la prima persona che viene presa. È la prima che viene fatta morire in quel modo. Non è il primo italiano che viene preso. È il primo che viene fatto ritrovare torturato e ucciso, ma altri italiani sono stati presi precedentemente anche per non solo qualche ora, alcuni anche di più e sono stati anche maltrattati. Ci è stato detto in un caso molto, molto, molto maltrattato. Ecco perché Massari usa quella strategia di «sottotraccia», diciamo, perché le sparizioni forzate funzionano così. Non sono veri arresti. Ti prendo, non c'è traccia di te, trattiamo, ti rilascio. Nel momento in cui c'è traccia, a quel punto trattare diventa più difficile, quindi Massari usa una strategia che aveva già collaudato nel tempo e che era risultata funzionante per altri casi di italiani che però sono così terrorizzati quando rientrano che non parlano. Uno di questi italiani ci ha contattato – lui era stato anche portato poi ufficialmente in carcere – pentito di non aver parlato, perché ha detto: Pag. 17«Se noi che abbiamo subìto questo trattamento, avessimo parlato, magari si saprebbe che l'Egitto è un Paese non sicuro». Non tutti magari vanno a leggersi i rapporti di Amnesty International o Human Rights Watch. D'altronde forse, se sul sito Viaggiare Sicuri della Farnesina ci fosse scritto che l'Egitto non è un Paese sicuro, le persone approccerebbero questo Paese in un altro modo; quindi era una strategia che era collaudata, perché purtroppo era già successo e bisognerebbe indagare, per chi può, sui casi precedenti, su che cos'era successo esattamente, chi si era mosso, come, chi aveva chiamato, se erano stati attivati i servizi, come, perché eccetera; perché quel sistema oliato non ha funzionato nel caso di Giulio. Doveva funzionare ancora di più, perché c'era il Ministro Guidi, perché c'era una delegazione italiana, perché dovevano fare bella figura, perché non potevano permettersi quello scandalo che pure è avvenuto. Vi sono stati omessi tutti i depistaggi di cui già sapete, ma ricordiamoci come viene trovato Giulio, voi lo sapete, seminudo e che l'autopsia egiziana, il primo rapporto del medico legale egiziano parla di un incidente stradale; quindi va dato atto al coraggio di Massari, perché io sono praticamente certa che se Massari non fosse andato all'obitorio a vedere il corpo, noi non sapremmo che Giulio è stato torturato. Magari quel corpo veniva fatto sparire, magari... Lui l'ha visto ed era per quello che si voleva assolutamente impedirglielo, quasi minacciando... Lui ha dovuto correre per andare a vedere quel corpo e infilarsi dentro e vederlo. Credo, sono certa che la sua vita è completamente cambiata dopo aver visto il corpo di Giulio. Ghaffar, intervistato dai giornalisti, se non sbaglio del quotidiano La Repubblica, dice non solo che non è stato l'Egitto, ma dice: «Giulio non è mai stato attenzionato dalla nostra polizia, non è mai stato segnalato»; e ha mentito. Ghaffar ha mentito e oggi lo sappiamo per certo e anche questo ne segna delle chiare responsabilità. Tra i vari depistaggi, lo sapete, ma vale la pena ripeterlo, il 24 marzo del 2016 vengono uccisi cinque innocenti e vengono uccisi davanti a telecamere e testimoni. Poi grazie al lavoro degli investigatori italiani scopriamo anche chi li ha uccisi e lo scopriamo anche grazie al dossier egiziano. Scopriamo poi il nome della persona che entra nella casa di uno dei parenti di uno dei cinque e tira fuori dalla sua tasca i documenti di Giulio. Evidentemente, se ce li aveva lui, è in qualche modo responsabile della scomparsa, della tortura e dell'uccisione di Giulio. Sottolineo poi il fatto che i genitori di Giulio sono stati certamente spiati quando erano al Cairo e non sono stati minimamente messi in sicurezza ed erano letteralmente nella tana del lupo: erano a casa di El Sayed, giravano con Noura e certamente i servizi li seguivano ovunque. Vorrei dirvi che anche qua siamo spiati costantemente. Io personalmente ho depositato l'11 gennaio scorso un esposto alla DIGOS a Genova, perché in seguito a delle telefonate con i nostri collaboratori in cui dico loro dei particolari sulle indagini, loro poche ore dopo ricevono una telefonata dell'ufficio della National Security di Dokki, quindi quella di Giulio. Li chiamano e chiedono ai nostri collaboratori e consulenti: «Di che cosa vi state occupando adesso?». Di Giulio si stanno occupando adesso e li chiamano in commissariato per riferire. Loro non ci andranno. Era già successo un anno prima quando avevo mandato un file – speravo in maniera protetta – ai miei consulenti al Cairo con i nomi dei cinque, perché le indagini già ci stavano portando lì, quindi ricevono i nomi dei cinque e di altri, e la notte stessa subiscono un arresto. La National Security entra a casa loro, a casa di Mohamed Lofty, che è il direttore dell'ECRF (Commissione egiziana per i diritti e le libertà) che è l'ONG alla quale appartengono i nostri avvocati, e arresta lui, la moglie e il bambino piccolo di tre anni. Lui e il bambino hanno la doppia cittadinanza egiziana e svizzera, quindi vengono poi rilasciati. La moglie subirà arresto e trattamenti inumani e degradanti per mesi. In quel caso tra l'altro sequestreranno i loro computer, ma loro sono esperti di questo, quindi sanno dove mettere al sicuro le loro cose. A noi capita... È capitato ancora ieri sera che se andiamo ai convegni, c'è qualche egiziano Pag. 18che fotografa non solo noi, ma fotografa tutte le persone presenti. È capitato al Parlamento europeo nel 2017. Hanno proiettato il docufilm Nove giorni al Cairo che vi invitiamo a vedere. Noi partecipavamo a distanza, come quando noi eravamo andati nel 2016 e ci eravamo trovati di fronte dei funzionari dell'ambasciata egiziana che ridevano, mentre noi, così come voi, eravamo a questa distanza... ridevano, mentre noi raccontavamo, leggendo il referto autoptico, delle torture di Giulio. L'anno dopo è il 2017. Proiettano Nove giorni al Cairo. Noi partecipiamo a distanza. I funzionari dell'ambasciata fotografano tutte le persone che entrano e c'era la comunità italiana peraltro che entrava. Questo è il loro modo ed è il loro modo anche – io detesto questa frase – «a casa nostra», perché lo fanno impunemente ovunque noi andiamo. Così come è evidente che le nostre telefonate sono palesemente ascoltate e ci manca che ci salutano quando parliamo.

  PAOLA DEFFENDI. Li salutiamo noi...

  ALESSANDRA BALLERINI. Siamo educati. Anche le reazioni che hanno a tutto quello che noi ci diciamo, immediate contro i nostri collaboratori, sono evidenti. Per quello che riguarda la ricerca e le connessioni, rammento solo questo schema mentale: la tutor, Maha Abdelrahman di Cambridge, affida Giulio a Rabab El Mahdi co-tutor dell'università americana del Cairo, la quale affida Giulio a Hoda Kamel del Centro per lo studio sui sindacati, la quale affida Giulio, cioè dice a Giulio: «Guarda, che la persona migliore per le tue ricerche è Abdallah, il venditore ambulante», che poi si fa mettere la microcamera da Sharif Magdi. Quindi questa è la rete. Così ce li avete chiari. Io ogni volta mi devo fare lo schema, anche perché i nomi non sono semplici, ma è questo. L'altra cosa su Cantini: non risponde alle nostre mail, non risponde neanche... Io ho fatto un passo indietro. Penso: «Magari con l'avvocato... Se scrive la famiglia...», non risponde neanche alla famiglia e lui come primo punto della sua missione... Noi abbiamo fatto un accesso agli atti per sapere con che incarico è andato giù e il primo punto è la ricerca di verità e giustizia per Giulio. Peraltro crediamo, anzi sappiamo, che l'ultima volta che è venuto in Italia non è neanche andato a parlare in Procura, quindi neanche uno scambio di informazioni con la Procura. Quando sono andata al Cairo a prendere quelle carte, i nostri consulenti al Cairo sono stati messi in pericolo...Noi nominiamo nostri avvocati, questi avvocati egiziani, i nostri avvocati egiziani...Quella procura che noi avevamo fatto faticosamente: notaio, traduzione asseverata, ambasciata e tutto quanto, era ritenuta valida, perché con quella procura i nostri consulenti al Cairo si erano già mossi. Erano già andati dal procuratore capo. Avevano già preso delle carte. Avevano già parlato, quindi erano sempre state ritenute valide. Scende l'ambasciatore Cantini: quelle procure non sono più valide. Ce le fa rifare una volta, le mandiamo. Quelle procure, quando scendono giù, poi devono essere, come dire, asseverate da due ministri loro. È una fatica interminabile. Fanno tutta la procedura e per due volte non vanno bene. Nel frattempo al-Sisi stava facendo un decreto secondo cui da quel momento si doveva vietare l'uscita di carte dai fascicoli egiziani, quindi era tutto fatto perché noi non si arrivasse in tempo a chiedere le copie. Arriviamo in tempo, perché siamo ormai, come dire, inarrestabili e anche veloci e una parte di quelle carte ci vengono date. Scendo a prenderle... e loro, i miei colleghi egiziani, le prendono, rischiando la vita, perché gli avvocati quando vanno in Procura vengono fatti scomparire. Le prendono. Me le consegnano. Ritorno. Mi fermano all'aeroporto del Cairo, e mi fermano nello stesso ufficio dove viene fermata Francesca Borri recentemente, dove era stato fermato l'avvocato Ibrahim Metwally mentre andava all'ONU a riferire sulle sparizioni forzate eccetera. È un ufficio che in qualche modo conosciamo già. Fanno sparire il mio passaporto e mi dicono che c'è un problema col mio nome. Tengono fuori il funzionario dell'ambasciata che non può dire nulla e che sbianca. Quando poi dopo un po’ esco e gli chiedo: «Ma sei diventato bianco?», lui mi dice: «Certo, perché io Pag. 19non potevo fare nulla. Potevano fare di te quello che volevano». Lui infatti non può neanche entrare nell'ufficio dove io sono. Io poi farò un'istanza di accesso agli atti. Mi timbrano tutti i fogli che si firmano quando si va al Cairo e se li tengono loro. Mi restituiscono il passaporto. Ci seguono finché non prendiamo l'aereo. Quando torno in Italia, la prima cosa che faccio è chiedere conto all'ambasciatore egiziano in Italia e al nostro ambasciatore in Egitto, perché la funzione dell'ambasciatore dovrebbe essere tutelare i propri cittadini... chiedete anche a Francesca Borri quanto è stata tutelata. Faccio un accesso agli atti e gli chiedo il motivo per cui io sono stata presa e trattenuta e se sono stata espulsa e se sono in una lista nera, perché io al Cairo ci dovrò tornare per Giulio. Non mi viene mai risposto né dall'ambasciatore egiziano né dall'ambasciatore italiano. L'unico che mi risponde, sempre gentilissimo, è il direttore generale per gli Italiani all'estero e le politiche migratorie Vignali, che tutte le volte mi dice: «Sì, stiamo provvedendo... proveremo...» perché tra l'altro Cantini non mi risponde manco più. La stessa cosa abbiamo fatto per Francesca Borri, perché anche lei è stata presa, tenuta un po’ di ore e rimandata via. Lei neanche è stata fatta entrare al Cairo, nel senso che la fermano appena arriva in aeroporto ed è evidente che l'hanno fermata perché noi ci eravamo sentiti e lei doveva andare a fare delle indagini per noi e lo può sapere solo una persona che ascolta i nostri telefoni. La prendono, la fermano – lei c'era già stata al Cairo, non era mai successo niente – e la rimandano indietro. Anche lei non sa se è stata espulsa o cosa. Abbiamo chiesto e la risposta, sempre di queste persone gentilissime che sono Branciforte e Vignali, perché l'ambasciatore Cantini non mi risponde, è stata: «Abbiamo provato a verificare con le autorità egiziane e probabilmente c'è un provvedimento di espulsione e bisognerebbe impugnarlo nei tempi previsti». Noi chiediamo quali sono i tempi previsti e qual è il provvedimento. Cosa impugno, se non ho un provvedimento? Facciamo degli accessi agli atti che restano lettera morta per cui che dire? Gli italiani in questo momento ricevono questa tutela. Perché uno pensa che senza l'ambasciatore gli italiani non saranno tutelati. Non sono già tutelati e in ogni caso richiamare l'ambasciatore non vuol dire chiudere le porte dell'ambasciata, ovviamente. C'è una console, che di solito si muove lei per queste cose e restano tutti i funzionari, però vuol dire dare un segnale chiaro a quel Paese, così come dichiarare l'Egitto «Paese non sicuro». Sarebbe un modo per tutelare i cittadini che vanno in quel Paese, pensando che vengono mandati dalle università; pensando che è tutto normale in fondo, se noi lasciamo l'ambasciatore e non facciamo altro che stringere le mani ai loro rappresentanti; far sapere che non è normale che in quel Paese si rischia di fare la fine di Giulio e che in quel Paese tre o quattro persone fanno la fine di Giulio ogni giorno.

  PRESIDENTE. Grazie. Sospendiamo la seduta per qualche minuto.

  La seduta, sospesa alle 12.35, riprende alle 12.40.

  PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Nel dare la parola ai colleghi, ricordo che oggi l'avvocato Ballerini è qui in audizione anche per assistere la famiglia e che è mia intenzione proporre all'Ufficio di presidenza una sua specifica audizione per approfondire gli aspetti giuridici più legati all'indagine. Per orientare le vostre domande, segnalo che ci sarà un'ulteriore audizione in cui approfondire quegli aspetti. Chiedo quindi ai colleghi chi vuole intervenire. Si era già iscritto il collega Paolo Trancassini.

  PAOLO TRANCASSINI. Io mi scuso innanzitutto se poi dovrò assentarmi, ma ho un'altra audizione nella Commissione ambiente. Innanzitutto volevo ringraziarvi per questo racconto sofferto e per essere venuti qui per raccontarci questa orribile esperienza. Credo che tutti quanti noi siamo all'interno e abbiamo scelto di stare in questa Commissione perché pensiamo di fare qualcosa, perché pensiamo che la politica debba avere anche un riscatto rispettoPag. 20 a quelli che sono stati alcuni passaggi imbarazzanti della nostra categoria. Credo che però una valutazione vada fatta: credo che dovremmo focalizzare non tanto i nomi dei singoli attori, perché se ci focalizziamo sui singoli nomi, probabilmente non capiamo e non entriamo all'interno di quelle che sono le strategie di governo, che sono scelte di governo e di maggioranza, perché altrimenti perdiamo di vista, secondo me, la madre di tutte le domande: perché accadono certi fatti? Perché voi – fatto gravissimo – continuate a essere spiati nel nostro Paese? Perché Cantini non risponde? Se noi non entriamo all'interno di un'ottica di governo, probabilmente noi a queste risposte non rispondiamo; e mi sembra di capire che l'ottimo lavoro svolto dalla Procura di Roma faccia sì che fra quella che è la definizione di questa storia e il lavoro manchi solo l'aspetto politico; manca principalmente questo. Sono perfettamente d'accordo col presidente sulla necessità di audire nuovamente l'avvocato Ballerini per entrare un po’ più nel vivo. Lo dico al presidente: non so con quali strumenti, ma credo che questa Commissione debba già interfacciarsi con il Governo adesso e cercare di capire se quello che stiamo facendo noi ha un senso o non lo ha. Se noi imbocchiamo una strada, quella per esempio di domandarci, non cercando di avere delle risposte oggi, non alla conclusione dei lavori della Commissione, sul perché i genitori di Regeni vengono ancora spiati nel nostro Paese, questa è una cosa che dobbiamo fare oggi. Dobbiamo capire perché questo avvenga e soprattutto se su questo ci sono delle coperture. Magari possiamo già da oggi cercare di audire l'ambasciatore Cantini, non solo e non soltanto per quello che sa su questa vicenda, ma anche per il fatto che su questa vicenda lui non interviene, che ritorna in Italia e nonostante, mi sembra che l'avvocato lo abbia detto, fosse il primo compito che lui avesse, quello di dare informazioni su Regeni, lui ritorna in Italia e non va minimamente in Procura. Magari, se gli ponessimo noi come Commissione questa domanda, riusciremmo ad avere un elemento in più. Credo che dovremmo focalizzare questa situazione all'interno di una problematica di scelte politiche a livelli molto più in alto rispetto ai nostri. Una volta che l'abbiamo focalizzata in quel modo, magari cerchiamo di intervenire per far cambiare opinione anche solo e soltanto – e potrebbe essere, secondo me, già un successo – sul fatto che l'Egitto non sia un Paese sicuro. Credo che questo dovremmo darci come compito per casa, che penso anche che sia quello che muove i genitori di Giulio Regeni, e cioè la ricerca della verità, anche per evitare che questa disgrazia poi capiti a qualcun altro, per cui rinnovo la mia stima per il vostro lavoro. Noi siamo a disposizione, sperando di riabilitare la classe politica ai vostri occhi.

  ALESSANDRA BALLERINI. La ringrazio di questo intervento e... se posso rispondere subito...

  PRESIDENTE. Raccogliamo alcuni interventi e poi un primo giro di risposte. Ringrazio il vicepresidente Trancassini. Do la parola alla collega Lia Quartapelle.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie di cuore per il tempo, per l'energia, per la disponibilità. Credo che nessuno di noi avrebbe voluto conoscersi, perché se ci siamo conosciuti è per quello che è successo a Giulio. Voi meno che noi, ovviamente. Credo che, però, questo riconosca il fatto che quello che ci unisce qui è la ricerca della verità e della giustizia per quanto accaduto a Giulio. Per questo vi ringrazio; la vostra audizione è stata particolarmente utile per introdurci sulla strada che percorreremo in questo anno. Ci sarà altro spazio e altre occasioni per considerazioni più di carattere generale. Vorrei utilizzare il vostro tempo per capire delle cose che non ho capito, per capire da voi che idee vi siete fatti in questo periodo. La prima cosa riguarda la ricerca di Giulio. La Procura ci ha detto che dalle e-mail emerge che Giulio, in realtà, volesse fare una ricerca leggermente diversa. Nei vostri rapporti con Giulio, ha mai affrontato il tema del rapporto con la sua professoressa e di quanto questo rapporto fosse, o meglio di quanto lui si sentisse libero di perseguire le sue Pag. 21idee, di quanto lei lo stesse mettendo sulla strada, insomma se era un rapporto conflittuale? Questa è la prima domanda. Seconda domanda: l'avete in realtà sollevata voi, l'articolo del New York Times del 15 di agosto. Eravate consapevoli che era in pubblicazione ovvero l'avete visto sul giornale? Eravate stati contattati prima? Sapevate che stava per uscire? Perché, secondo voi, è uscito proprio il 15 agosto del 2017 e non prima o dopo? Poi, due domande più generali che, però, secondo me, per noi sono molto utili: perché, secondo voi, il caso di Giulio è stato un caso diverso rispetto agli altri casi a cui l'avvocato Ballerini ha accennato? Perché non è stata una sparizione forzata di qualche ora? Che idea vi siete fatti voi? L'ultima domanda è: che cosa ha funzionato? Noi siamo rimasti, credo, tutti quanti molto colpiti dal lavoro investigativo portato avanti dalla Procura, con la vostra pienissima collaborazione attiva. Quali sono gli elementi che hanno fatto andare avanti quel lavoro di indagine? Credo che questo per noi sia molto importante per cercare di capire quello che ci avete chiesto, cioè da un lato spingere la politica nella direzione giusta e dall'altro lato, nelle parole di Claudio, arrivare a un accertamento processuale regolare.

  PRESIDENTE. Io farei un primo giro di risposte per poi fare una seconda tornata di domande.

  ALESSANDRA BALLERINI. Rispondendo al primo intervento, noi facciamo i nomi delle persone per permettervi di fare delle indagini. Il nostro lavoro è faticosissimo, in particolare il mio, nel senso che noi facciamo delle indagini. Ne facciamo a mani nude, io posso sentire sommari informatori; di certo, non posso andare da Elisabetta Belloni a porle domande. Abbiamo parlato con Massari in modo assolutamente amichevole e mi ha raccontato, ma c'è un livello a cui noi dobbiamo assolutamente fermarci; voi no. Vi facciamo quei nomi perché così sapete chi sono stati gli attori principali in questi quattro anni. Se dovete chiedere a qualcuno... magari sapevate già a chi chiedere, ma se dovete chiedere a qualcuno: «Scusa, c'è una procedura standard, cioè esiste una procedura “italiano sequestrato in Egitto”? Me la fai vedere? È cambiata dopo il 25 gennaio del 2016? Quali erano gli scambi di e-mail tra voi? C'erano delle e-mail tra voi e Ghaffar?» Così almeno sapete a chi chiedere. Vi abbiamo fatto i nomi perché quelli noi abbiamo e quindi il nostro contributo può essere quello.
  Per quello che riguarda – e poi lascio la parola – il New York Times, mi sembra di ricordare che, come sempre, avevano chiamato me non per dirmi il contenuto – questo no – ma: «Stiamo facendo un pezzo su Giulio. Avete qualcosa da dirci?» Anche noi eravamo rimasti colpiti dalla coincidenza del rinvio dell'ambasciatore e del pezzo. Se non sbaglio, si faceva proprio il nome del Presidente del Consiglio Renzi; c'era proprio il suo nome. Gli era stato detto che i servizi egiziani erano implicati nel sequestro di Giulio e questo glielo si era detto fin dal primo momento, cosa che, tra l'altro, secondo noi, era facilmente intuibile. Quando si è sentita la notizia del sequestro di Giulio, penso che chiunque avesse un po’ di informazioni sull'Egitto ci abbia pensato; di certo non avrà pensato che fosse stato preso da una banda di rapinatori, come poi hanno tentato di farci credere. Però, penso che sia molto utile sentire il giornalista autore dell'articolo e capire, semmai ve lo dirà, quali erano le sue fonti, perché dice questo. La sensazione che avevamo avuto era di un pezzo che era quasi pronto che a quel punto è stato fatto uscire in contemporanea.
  Alla domanda sulle perplessità di Giulio sulla ricerca, risponderò quando ci sarà la mia audizione. È frutto delle nostre indagini difensive. C'è uno scambio di e-mail di Giulio con i suoi amici e rientra nella collaborazione degli amici nel darci tutte le e-mail. Quindi, quelle perplessità noi le evinciamo lì. Giulio era una persona assolutamente cauta. Per darvi un indizio, lui voleva registrare le conversazioni che aveva con gli ambulanti. Sapeva che in Egitto sei sospetto se compri un registratore. Quindi, non è andato a comprare un registratore. Anche quando viene dipinto come il giovanePag. 22 sprovveduto, aveva delle cautele alle quali io personalmente non avrei mai pensato. Tutte queste cose, ad esempio, le sappiamo grazie agli scambi di e-mail che gli amici ci hanno messo a disposizione.

  PAOLA DEFFENDI. Lei ha chiesto perché il caso di Giulio ha avuto così risonanza? No? mi può ripetere la domanda? Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Faccio anche una puntualizzazione sulla ricerca di Giulio perché so che voi ci tenete molto, giustamente, alla figura di Giulio ricercatore. La mia domanda aveva l'obiettivo di aiutarci poi a capire, nella parte che faremo di audizioni e di incontri relativi a Cambridge, il valore del lavoro di Giulio. Ovviamente, da parte mia, venendo da un background di ricerca, avendo fatto ricerca in Paesi meno difficili dell'Egitto, capisco che cos'è quel lavoro. Però, credo che sia per noi importante capire che tipo di ragionamenti aveva lui dietro. Poi, ascolteremo. La mia domanda è: perché non è una sparizione – e mi dispiace di essere brutale – che è finita come le altre, secondo voi?

  PAOLA DEFFENDI. La mia risposta è che, se noi sapessimo perché, Giulio sarebbe qui con noi, magari al vostro posto, a occupare qualcosa che si meritava.

  ALESSANDRA BALLERINI. Non ho ancora risposto su quello che ha funzionato. La Procura, l'abbiamo detto; gli investigatori, l'abbiamo detto. Hanno funzionato i nostri collaboratori, che sono eroici, al Cairo, perché hanno pagato con arresti e torture il fatto di starci vicino, loro e i loro familiari, e pagano tutti i giorni. Ci sono delle volte in cui i nostri collaboratori devono dormire in macchina perché non possono rientrare a casa; questo è il prezzo che loro pagano da quattro anni per starci vicino, senza alcuna protezione. Lo fanno, tra l'altro, in maniera totalmente gratuita. Ha funzionato il Presidente della Camera Fico e ha funzionato il ministro Vignali, sempre se facciamo i nomi. Ci spiace che non fosse il direttore degli Italiani all'estero quando hanno preso Giulio. C'è il dubbio che qualcosa magari poteva andare diversamente, perché, personalmente, ci siamo poi occupati di altri casi di italiani presi all'estero – il più famoso Gabriele Del Grande, ma molti altri – e grazie anche all'intervento del ministro Vignali sono tornati. Questo ha funzionato. Funzionano questi braccialetti, funziona mettersi una spilla gialla, funziona la solidarietà delle persone in tutto il mondo, funziona il fatto che mettano striscioni, non funziona quando li tolgono. Funzionano i buoni giornalisti, che, quando chiunque – istituzioni italiane o europee e comunque di Paesi che si dicono democratici – va a incontrare Al-Sisi, gli ricordano di Giulio e gli dicono: «Cosa hai chiesto per Giulio?» Funziona questo. Senza questo, noi non saremmo qua, se non ci fosse stato questo, perché le energie sono quelle che sono. Funzionerà, la borsa di studio che è stata istituita. Quel gesto di istituire la borsa di studio del Ministro Fioramonti, poco prima delle dimissioni, è stato un gesto importante. Funzionano tutte le persone famose che in TV mostrano il bracciale, e lo fanno anche, in alcuni casi, rischiando il posto o rischiando che gli venga detto qualcosa. È la scelta da che parte stare. Le persone che scelgono da che parte stare, quelle funzionano.

  PRESIDENTE. Ci sono altri interventi? Il collega Pettarin, il collega Penna, la vicepresidente Serracchiani.

  GUIDO GERMANO PETTARIN. Non ho parole adeguate per poter riuscire a esprimere quanto importante sia l'impatto che questa testimonianza ha e ha avuto. Sono ammirato per il coraggio che state dimostrando, e naturalmente, come il vicepresidente Trancassini prima ha detto, quelli che di noi sono qui lo sono per poter cercare di riuscire a fare qualche cosa. Ringrazio moltissimo voi della vostra presenza, nonché per la possibilità di risentirla, a un livello un po’ più tecnico, l'avvocato Ballerini. Sono rimasto colpitissimo dallo schema che chiamo «dell'affidamento universitario» perché mi pare molto indicativo di quelle che sono alcune situazioniPag. 23 che varrà assolutamente la pena di andare ad approfondire, così come sono estremamente indicative delle chiavi che durante l'intervento di oggi ci sono state fornite. Il fatto che può essere che noi arriviamo a livelli diversi da dove voi potete arrivare mi pare assolutamente evidente. Non ho dubbi che noi faremo tutto ciò che ci è possibile per poter riuscire a dare queste risposte o almeno a cercare di perseguirle. Grazie.

  LEONARDO SALVATORE PENNA. Intanto un grazie alla famiglia, perché è la dimostrazione che anche una famiglia da sola e senza mezzi può tenere vivo non solo il ricordo ma la ricerca della verità su Giulio ed è una cosa che aiuta e conforta, credo, tutta la gente e il popolo italiano: nel senso di sapere che quando ci sono dei soprusi, ci sono dei passaggi che sono oscuri o comunque calpestano il diritto; la reazione della gente se fatta bene, se fatta con determinazione, può portare a risultati impensabili. La mia domanda – alla quale la signora Regeni in parte aveva risposto, dicendo: «Se noi sapessimo il motivo, Giulio sarebbe qui» – riguarda il fatto che nell'audizione della Procura il motivo del perché gli apparati egiziani abbiano rapito e ucciso Giulio non c'è. È come se questo filone fosse stato completamente cancellato, mentre in ogni passaggio di fronte a ogni delitto, la prima cosa che si cerca sono sia gli autori ma anche il motivo, perché appare del tutto evidente che nel motivo dell'uccisione di Giulio ci sia quello che Giulio probabilmente ha fatto, da quando è atterrato al Cairo, altrimenti perché non si capisce il perché. Non c'è stato un passaggio... i rapimenti lampo intimidatori come prima, ma c'è stato qualcosa di più penetrante, di più pesante e perché soprattutto gli apparati investigativi o repressivi – chiamiamoli meglio così – egiziani si preoccupino a tutt'oggi di monitorare la vostra attività, perché temono che qualche cosa possa affiorare, qualche cosa che non è emerso negli anni precedenti possa di nuovo essere messo in luce. Questo secondo me è uno dei filoni che noi dovremmo approfondire. Forse, come ha detto il collega Pettarin, guardando anche la lista della committenza, cioè lo studio commissionato a Giulio: chi l'ha commissionato e soprattutto i vari passaggi che in questo studio sono stati fatti, per capire se lì c'è una chiave oppure non c'è. Grazie.

  PRESIDENTE. Adesso c'è la collega Serracchiani. Chiedo se ci sono altri che vogliono intervenire. Se c'è solo il collega Ungaro, finiamo con questo giro, così diamo la parola per le risposte definitivamente.

  DEBORA SERRACCHIANI. Grazie, presidente. Io non posso che aggiungere le mie parole a quelle dei colleghi già intervenuti. Io posso soltanto dire da un punto di vista personale che nel ruolo che ricoprivo in quegli anni c'è stato con la morte di Giulio un prima e un dopo e francamente sono anche contenta che gli striscioni siano ancora presenti nella sedi regionali di Udine e di Trieste, nonostante qualcuno abbia ogni tanto cercato di togliergli. Credo che sia un segnale importante.

  PAOLA DEFFENDI. No, a Trieste, no e neanche a Udine.

  DEBORA SERRACCHIANI. A Trieste è stato rimesso dopo che l'avevano tolto.

  PAOLA DEFFENDI. Quando, scusi? Stanotte?

  DEBORA SERRACCHIANI. No, quello di Trieste era stato rimesso e poi è stato tolto quando è stata fatta l'iniziativa istituzionale...

  PAOLA DEFFENDI. No, a Trieste non c'è niente sullo striscione. Non c'è nessuno striscione, solo quello di Amnesty International sull'edificio dell'università.

  DEBORA SERRACCHIANI. Stiamo dicendo la stessa cosa. Forse mi sono espressa male. Ho detto: «Sono contenta che siano rimasti dopo che sono andata via. Dopodiché sono stati tolti». Questo ho detto, però forse mi sono spiegata male io. La mia era una domanda precisa forse più per l'avvocato e non so se sarà l'oggetto dell'audizionePag. 24 che faremo successivamente, però volevo farle questa domanda puntualmente, perché non so se ho capito bene rispetto all'ambasciatore Massari quello che è accaduto, che io ho collocato oggi il 31 gennaio. Nel senso che noi abbiamo saputo dall'audizione del procuratore Colaiocco che la morte di Giulio è stata collocata tra le 22.00 del 31 gennaio e le 22.00 del 2 febbraio. Se non ho capito male, è il 31 gennaio che l'ambasciatore vi informa di aver visto proprio quel giorno...No, volevo dire un'altra cosa, se posso finire. Mi pare d'aver capito che lui dice che darà la notizia della scomparsa dopo aver visto in quel giorno il Ministro dell'interno e di averlo visto in circostanze nelle quali il Ministro dell'interno gli è parso reticente. Questo sto dicendo, cioè il giorno nel quale ha incontrato il Ministro, il Ministro è stato reticente e il Ministro gli è sembrato anzi particolarmente indisponente e lui decide di dare notizia della scomparsa. Sto parlando del 31 gennaio ed è nella data dalle 22.00 del 31 gennaio alle 22.00 del 2 febbraio in cui la Procura colloca, a seguito dell'esame autoptico, la morte di Giulio. Ho capito bene? Questa era la mia domanda e quindi la fine della domanda era: voi avete acquisito contezza maggiore su quello che è accaduto in quelle ore che mi sembrano determinanti dal 31 gennaio al 2 febbraio? In quelle ore cosa è accaduto esattamente, cosa può essere stato acquisito nelle informazioni avute dall'ambasciatore Massari? È una mia ricostruzione – prendetela assolutamente come una nota magari inutile e fuorviante – ma sto cercando di capire anche io i fatti e se non ci sia una sorta di svolta anche nell'atteggiamento di chi aveva Giulio in quel momento, anche alla luce del comportamento magari giustamente determinato dell'ambasciatore, giustamente determinato della famiglia, se e perché il Ministro dell'interno decide di tenere quel comportamento, cioè ha quel comportamento. Avete ricostruito, siete in grado di dire qualcosa in più rispetto a quello che è accaduto in quelle ore? Solo per capire se c'è un qualcosa che mi permette di avere contezza di questo passaggio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, vicepresidente Serracchiani. L'ultima domanda, così le raccogliamo tutte, da parte del deputato segretario Ungaro.

  MASSIMO UNGARO. Grazie per il vostro coraggio, la vostra forza e per la battaglia che state conducendo e per tutto quello che rappresenta non solo per Giulio, ma anche per i tanti egiziani che stanno scomparendo ogni giorno nello Stato di al-Sisi a un ritmo ben superiore a quello che succedeva sotto Mubarak. È una domanda molto puntuale, riguardo all'Università. Voi avete descritto le lacune o le cose fatte o non fatte dalle istituzioni italiane e quelle egiziane. Volevo chiedere invece l'Università di Cambridge che atteggiamento ha avuto, che comportamento ha avuto con voi negli ultimi quattro anni. Avete già descritto in maniera chiara il ruolo della tutor Maha Abdelrahman, ma l'Università in cui Giulio studiava? Sono curioso di sapere cosa ha fatto. Se potete riferire sul loro rapporto con voi in questi anni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'avvocato Ballerini per le risposte.

  ALESSANDRA BALLERINI. Inizio dal perché. Io mi ricordo il primo incontro che ho avuto con il procuratore Colaiocco e mi ricordo che la prima cosa che ci siamo detti è: «Perché l'hanno fatto trovare?», non solo perché l'hanno ucciso, ma: «Perché l'hanno fatto trovare?» Siamo partiti con i perché da subito. Ovviamente c'è una ricerca del perché e del movente che fa parte della straordinarietà del lavoro dei nostri investigatori. Non si fermano a dire: «Vabbè, la ricerca!» perché non è giustificato, perché in realtà non è la ricerca la risposta, perché Giulio era con degli amici o pseudo-amici che facevano delle ricerche molto più «pericolose» della sua e che non hanno mai avuto problemi o comunque problemi limitati. Il perché è quello che ci divora da quattro anni... I perché. Voglio anche risponderle come mi rispondono i miei colleghi consulenti al Cairo. In queste nostre telefonate fiume e peraltro controllate c'è Pag. 25sempre un momento in cui dico: «Ma perché? Perché l'hanno fatto trovare, perché l'hanno torturato, perché l'hanno preso, perché in quel modo, perché?» Loro mi rispondono: «I perché ti faranno impazzire», e ci faranno impazzire. «Perché voi siete nativi democratici e voi non potete capire. Da noi la vita umana vale zero, quindi non ci poniamo i vostri perché». Tre-quattro persone fanno la fine di Giulio al giorno. Se andiamo a studiare la storia dei desaparecidos in Argentina, del nazismo, non ci sono quei perché che ci poniamo noi. La gente obbedisce a degli ordini, punto. Uno viene considerato un nemico, perché è uno stato paranoico. Giulio parlava benissimo arabo. Basta questo. Poi non ci sono tutte quelle conseguenze che abbiamo noi, se violiamo il corpo di una persona o togliamo la vita a una persona. I nostri perché ci portano in realtà poi a «perché è stato permesso?», ma oggi sappiamo che ci sono dentro dei generali, quindi in realtà andava bene a tutti, andava bene ai vertici. Oggi sappiamo che non è stato ucciso per un eccesso di torture e scusatemi la brutalità. È stato ucciso con un atto determinato. È stato scelto di porre fine alla vita di Giulio, mentre prima era stato scelto di tenerlo in vita e di non toccargli gli organi interni, cioè di devastarlo, ma di tenerlo vivo. Perché? Non è che non ci pensiamo, che non sia tutto orientato su questo. C'è anche un altro perché – poi magari ne parleremo meglio. Giulio torna a casa per le vacanze di Natale. Giulio era già seguito. Giulio aveva il nemico in casa che era l'avvocato El Sayed. Aveva la migliore amica Noura che lo tradiva. Sapevano tutto di lui, perché lui aveva il computer in casa. Non c'era una cosa che non sapevano di Giulio. Giulio è considerato in qualche modo pericoloso. Torna a casa per le vacanze di Natale. Per non farlo tornare in Egitto, lo respingi quando arriva. Perché non avviene? È un altro dei perché. Siamo pieni di questi perché. La ricerca non è la risposta. Quello schema ci serve per ricondurre a delle responsabilità che sono morali e civili e poi vedremo la spocchia con cui si comportano anche moltissimi universitari e ricercatori italiani che non fanno altro che firmare appelli a favore dell'intoccabile Cambridge e della professoressa Maha Abdelrahman, perché poi fa curriculum andare a fare una lezione lì. Tutti si devono tenere buona l'università di Cambridge. È un'altra partita e dolorosa, ma non c'entra. Giulio non è stato preso e torturato e ucciso per la sua ricerca. È la ricerca che l'ha portato in Egitto, quindi sì, se vogliamo pensare a un nesso di causalità estesissimo. Non sarebbe mai andato in Egitto, se non avesse dovuto fare quella ricerca, ma non è stato ucciso per la sua ricerca. È stato ucciso, se dobbiamo dare una risposta larga, perché si trovava in un regime paranoico e questo è l'inizio di tutto, dove tutto può succedere, perché veramente non c'è il minimo rispetto per i diritti umani e c'è la tracotanza di chi pensa che potrà dire che è un incidente stradale. Con un Ministro italiano sul posto, potrà dire che è un incidente stradale, perché tanto gli italiani non scaveranno mai per avere la verità. Questa è un'altra parte del perché.

  PAOLA DEFFENDI. Grazie, Alessandra. Noi iniziamo e finiamo la giornata su queste cose. I rapporti con Cambridge... Vado dall'ultima parte. Non so se avete visto quel video che ha fatto per noi l'attore Pif. Non è casuale e quindi è riassuntivo di tante cose. I rapporti con Cambridge sono stati cordiali – se cordiali si possono definire – fino a quando c'è stata la cerimonia del 15 giugno del 2016. Noi siamo andati con i nostri amici, perché una cosa che bisogna sapere è che il sistema universitario di Cambridge come di Oxford e altri luoghi inglesi e non solo, si fonda su due aspetti: l'università e quindi le varie facoltà e tutto il sistema dei college che sono separati e anche si incrociano. Quindi c'è la parte di Giulio affiliato al Girton College. Che poi uno in genere, se ha una storica dinastia, può scegliere a quale college affiliarsi, perché quello fa curriculum. Mi pare che Giulio non volesse quello, ne voleva un altro. Poi a lui hanno dato il Girton, perché oltre all'università e ai dipartimenti, come li possiamo intendere noi in italiano, ogni college organizza seminari, eventi culturali, ecc...C'è un doppio curriculum, diciamo. Pag. 26Certe cose sono riservate per chi è al college e altre sono aperte, quindi questo è un dato importante. Abbiamo avuto quasi un doppio comportamento all'inizio dal Girton College che fino a quel 15 giugno è stato cordiale. Hanno messo insieme tutte le cose che Giulio aveva nel deposito, tra cui la bicicletta, che avevamo affidato all'amica Noura, e poi un'altra vera amica però messicana di origine l'ha salvata ed è rientrata a Fiumicello. Poi c'è stato fin da subito la parte del Dipartimento, per cui se noi il 5 partecipiamo alla cerimonia nel Girton College, il 6 la nostra Procura doveva sentire la professoressa. Ma dopo aver fatto camminare tutto il giorno i nostri investigatori col procuratore Colaiocco, mi pare fossero le 17.00, dice: «No, non vengo», la professoressa. Da qua secondo noi inizia proprio un percorso di scambi burocratici e i rapporti si sono in un certo senso chiusi. Il nuovo rettore nel 2018 ha cercato di riaprire un canale di cortesia, dicendo: «Desidereremmo dedicare un dottorato a nome di Giulio», ma noi abbiamo detto che finché non c'è la verità o non ci si pone in un certo modo, anche nei confronti della tutor, a noi non interessa che a Cambridge ci sia un dottorato o una targa per Giulio. Quindi i rapporti non ci sono. Questo lungo parlare per dire: «Non ci sono». Noi sappiamo che anche la politica italiana e in particolare il Presidente del Consiglio Renzi aveva stabilito un rapporto con Theresa May a suo tempo, il primo ministro inglese, ma non c'è rapporto.

  ALESSANDRA BALLERINI. Mi sono dimenticata di rispondere: no, tra l'altro avevamo sbagliato noi, perché ci sono troppe cose. Il 31 gennaio in realtà ci sono i tentativi di vedere Ghaffar, ma Ghaffar non si fa vedere. In compenso, Massari vede il capo della National Security, ambasciatore Faiza Abou el-Naga, e la sera il Ministro degli esteri Gentiloni parlerà al telefono con Shoukry, ma Massari vedrà Ghaffar soltanto il 2 febbraio alle 13.00. Era passato troppo tempo secondo i loro standard, cioè loro normalmente dopo tre giorni che facciamo pressioni di questo tipo qualcosa ci dicono. Ce lo restituiscono o ci tranquillizzano e invece anche il fatto che il ministro Ghaffar negasse l'incontro, viene visto come un cattivo segno.

  PAOLA DEFFENDI. Dalla mia agendina del Cairo – ho scritto solo un giorno o due, dopo non ho più scritto niente – come anche via via ha raccontato Claudio, io ho proprio chiesto all'ambasciatore Massari: «Fino a quando questa strategia del silenzio?» Era il 31 mattina questo, poi lui non avendo nessuna risposta alla sera – noi tra l'altro eravamo a casa della zia di Noura, con lei – ci telefona e ci dice: «Cinque minuti per avvisare a casa, devo dare la notizia che non si sa dove sia Giulio» e parte il tweet #whereisgiulio, che lancia per prima Noura.

  PRESIDENTE. A questo punto chiedo ai signori Regeni e all'avvocato Ballerini se intendano formulare altre osservazioni eventualmente in seduta segreta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta)

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

  (La Commissione riprende in seduta pubblica)

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che hanno preso parte a questa audizione, ma soprattutto voglio ringraziare Paola Deffendi, Claudio Regeni e l'avvocato Alessandra Ballerini per il prezioso contributo che hanno dato al lavoro di questa Commissione. Vi voglio ringraziare anche a nome di tutti i colleghi per la dignità e il grande rispetto per le istituzioni che avete avuto in questi anni, e qui oggi ci avete raccontato che sono stati anni difficili. Questo percorso è stato lungo e immaginiamo molto doloroso. Come ho avuto modo di dire, nel chiedervi scusa, da rappresentante delle istituzioni, per ogni mancanza che da parte delle istituzioni del nostro Paese ci sia stata in questo cammino, da cittadino voglio però ringraziarvi per il modo in cui avete condotto questa vostra battaglia e con cui avete animato la coscienza civile di questo Paese Pag. 27e quindi attraverso voi voglio ringraziare tutti coloro che in questi anni non si sono fermati un attimo e hanno continuato a chiedere verità e giustizia per Giulio, permettendo anche che questa Commissione a un certo punto nascesse.
  Noi oggi, a maggior ragione dopo la vostra audizione, sentiamo ancora di più la responsabilità e il peso del lavoro che dobbiamo fare per arrivare fino in fondo nella ricerca della verità, sapendo che la ricerca della verità è fatta anche dalla ricerca dei tanti perché, non solo del perché. Tra questi ci sono anche la ricostruzione della catena delle responsabilità di ogni atto, omissione o intralcio alla ricerca della verità che è stato messo in campo, sapendo appunto che la verità è un cammino che si compie passo dopo passo e che il nostro compito è quello di camminare insieme a voi fino alla fine.
  Io vi ringrazio davvero tanto, ci sentiremo con l'avvocato Ballerini per la prossima audizione. Penso che questo ringraziamento sia a nome di tutti i colleghi per il prezioso contributo al nostro lavoro.

  CLAUDIO REGENI. Grazie a voi, arrivederci.

  PAOLA DEFFENDI. Noi rimaniamo a disposizione, buon lavoro.

  La seduta termina alle 13.35.